Visualizzazione post con etichetta Giuseppe Vittorio Guglielmo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Giuseppe Vittorio Guglielmo. Mostra tutti i post

sabato 5 dicembre 2020

Il comandante Vitò ed i suoi partigiani al ballo di Perallo, ma anche in una vana ricerca di sale

                                                       Perallo - Fonte: Mapio.net
 
Fu un momento veramente entusiasmante. Si celebrava in Perallo [Frazione di Molini di Triora (IM)] il 19 marzo 1944 la festa patronale di San Giuseppe.
Le funzioni religiose della Messa e della processione erano fondamentali, ma dopo, nel pomeriggio, specie ad opera dei giovani, si organizzava il ballo. Ed al ballo interveniva la gioventù di tutti i paesi limitrofi ed anche da paesi distanti. 
 
Su tutte le strade dell'Alta Valle Argentina, in posizioni strategiche, i nazifascisti avevano organizzato posti di blocco e piccoli fortilizzi in previsione di un attacco dei partigiani, in realtà non ancora costituitosi in forze organizzate, ma tutti erano convinti che lo fossero. 
 
Correva anche la voce che sulle alture, a corona dei monti, da Margheria dei Boschi a Torraggio, a Prea Veglia, a Cima Marta, a Colle Sanso, al Saccarello il principe di Piemonte, con più di quattromila uomini si fosse posto a difesa ed in lotta contro i tedeschi. Ma era semplice fantasia o propaganda depressiva ed inganno. Su quei monti vi erano solo contadini del luogo, che sudavano per ricavare dal taglio del fieno e degli alberi concessi, il pane quotidiano. 
 
Alla Goletta avvenivano i preparativi per la prima uscita. Vitò ["Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo] parlava ai suoi. "Ragazzi, nel pomeriggio, andremo al ballo di Perallo". Tutti applaudirono entusiasti, ma dopo qualche momento apparvero le prime incertezze.
"Andremo armati?" "Certo. Tutti devono vederci in perfetto assetto di guerra". "E non ci sarà pericolo?". "Chi non risica non rosica". Tutti si prepararono ad arma a tracolla, si tennero pronti per le istruzioni. "Vi raccomando di obbedire a tutti i miei ordini. Cammineremo in fila indiana, a qualche distanza gli uni dagli altri. Non si devono usare le armi senza il mio ordine". "Le teniamo cariche le armi?" "Certo. Non vi sono guardiacaccia. Potremo però incontrare i fascisti o tedeschi. Ciascuno deve coprire con la sua arma il compagno davanti". "E in caso di ritirata come ci dobbiamo comportare?" "Dobbiamo fare una avanzata e non una ritirata. Nessuna imprudenza e nessuna spavalderia. Comportiamoci come bravi ragazzi che vanno ad una festa". 
 
Sulla carrozzabile Carmo Langan - Molini di Triora il gruppo incontrò una pattuglia di fascisti che si stavano recando al loro accampamento. L'incontro improvviso e non previsto non fu drammatico. Vitò fermò i suoi uomini. "Non usate le armi se prima non sparerò io. Nessuno dia segni di nervosismo. Calma". 
Avanzò lui col mitra a tracolla e si comportò come un comune passante. I fascisti, sette o otto, erano disarmati. Solo alcuni avevano la rivoltella. "Buongiorno, ragazzi. Come mai non andate al ballo?"
Non risposero e si fermarono tutti, perchè vedevano arrivare gli altri partigiani. Era dipinto sul loro viso un certo timore. "Non abbiate paura. Non veniamo con intenzioni aggressive. Voi andate per la vostra strada e lasciateci in pace. Siamo l'avanquardia di un battaglione di partigiani che sta dirigendosi verso queste parti". I fascisti non si mossero. Avevano davanti uomini armati tutti di mitra. 
 
Dice Vitò: "I fascisti erano giovani di prima leva. Si vedeva. Inesperti e impauriti. Li accerchiamo ma con fare di amici. Non dovevamo metterli nella condizione di usare le armi, anche se ne avevano poche e non adatte a contrastare i mitra. Avevano delle belle pistole alla cintola ed anche i miei uomini le guardavano con cupidigia. Avremmo potuto disarmarli facilmente, ma mi premeva far sapere che i partigiani erano forti e soprattutto che volevano combattere i tedeschi e non gli italiani, anche se fascisti a meno che..."

Parlai a loro: "Vedo che siete giovani, appena arruolati. Siete italiani e contro di voi non abbiamo alcun rancore; il fatto che siate fascisti non comporta ancora per noi di considerarvi nemici, a meno che... non siate voi i primi a farvi nemici. Come vedete non abbiamo intenzione aggressive. Se un giorno vi troverete a disagio, venite da noi. Vi accoglieremo come amici, se così vi dimostrerete. Una sola raccomandazione vi debbo fare: Acqua in bocca. Voi non avete visto nessuno".
 
Quei giovani fascisti non avevano mosso, dall'incontro, nessun passo. Erano meravigliati e scossi. Qualcuno, quando Vitò accennò ad avviarsi, abbozzò un saluto fascista, qualche altro quello militare. Risposero anche al saluto dei partigiani, alla voce. 
 
Forse nel loro animo era nato un seme di visione realistica delle condizioni della guerra e produceva l'ingradire del desiderio di cacciare i tedeschi e di finirla con le atrocità. Fu strano, ma non diedero l'allarme, anche perchè l'ammonimento dell'arrivo del battaglione di partigiani, creava in loro una grande paura ed il bisogno di attendere vigilando.

A Perallo i giovani partigiani erano conosciuti e furono accolti come amici. Avevano messo al sicuro le armi con una buona scorta alternata da ciascuno di loro. Furono presentati ai tedeschi ed ai fascisti presenti come conterranei. 
 
La festa faceva nascere una certa amicizia. Bevvero insieme a tutti gli altri, cantarono le canzoni dei loro paese. Anche i tedeschi facevano circolo con loro e a loro volta cantarono le loro canzoni. Forse, e senza forse, anche nella loro mente si profilava la gioia per una pronta fine della guerra. 
 
Lo scopo era raggiunto. I partigiani si erano fatti vedere. Occorreva ancora che li osservassero partire armati.
 
A mezzanotte Vitò, per prudenza, invitò i suoi a ritornare. Tedeschi e fascisti presenti erano brilli. Ad un segnale di Vitò, le vedette portarono le armi. Due di essi puntarono i mitra e Vitò parlò: "Vi ringraziamo per la festa. Siamo partigiani, ma non combattiamo gli amici festaioli. Nessuno si muova finchè noi non saremo lontani. Siate prudenti perchè siete circondati. Come vedete i partigiani non sono banditi ed abbiamo pagato tutte le nostre consumazioni. Arrivederci!"

Il fatto della apparizione partigiana si divulgò vicino e lontano. La gente diceva: "I partigiani ci sono. Li hanno veduti festaioli a Perallo".  "Erano armati e non avevano paura, ma ne hanno messo ai tedeschi e ai fascisti".  "Pare che sui monti siano a centinaia, forse migliaia". "Erano alla festa coi tedeschi e coi fascisti e non è successo nulla". "Presto prenderanno il comando della zona".

E quelle parole corsero nelle vallate, ingrandendosi e moltiplicandosi e da Arma corsero fino a Ventimiglia e tutti le udirono, le commentavano e le moltiplicarono ancora.
 
Era diventato un mito il partigiano e nel cuore di ciascuno cresceva la speranza della fine della guerra per mezzo degli uomini della montagna.

Anche i partigiani lassù alla Goletta fremevano di gioia di soddisfazione e guardavano Vitò come un comandante naturale e naturalmente riconosciuto da tutti, perchè sapeva parlare e sapeva agire. Aveva dichiarato ai fascisti gli scopi dei partigiani. Se quelli avessero capito, a frotte, avrebbero dovuto lasciare le armi dell'esercito ed arruolarsi con Vitò. Non ci fu nessun rastrellamento, né i nazisti osarono avanzare verso la terra da cui doveva venire il Battaglione partigiano.
 
I giovani affluirono alla Goletta con sempre maggior ritmo, anzi raggiunsero un numero talmente considerevole da decidere la formazione di numerosi distaccamenti. 
 
I problemi dell'organizzazione aumentavano, ma primo si imponeva quello del vettovagliamento. I giovani che erano dei paesi lassù andavano a casa a mangiare o se ne portavano anche in più, ma ai giovani che erano giunti dalla riviera o da paesi lontani bisognava provvedere per le esigenze dei loro stomaci divoratori.

don Ermando Micheletto *La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975, pp. 40-43
* ... Don Micheletto per tutta la guerra si adoperò per i partigiani, generalmente in contatto con i gruppi di Vitò, che accompagnò spesso nei loro spostamenti. Esplicherà la sua attività specialmente nell'assistenza e per captare messaggi radio. Giovanni Strato, Storia della Resistenza imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976 
 
[...] i tedeschi sono in agguato alla ricerca di arruolamenti di militari sbandati o fuggiti. Il compagno Pino mi ospita a casa sua. Non devo farmi vedere. I compagni cercano di farmi raggiungere i primi nuclei partigiani che si vanno formando. Vi è discussione tra i compagni, in quanto alcuni ritengono che dovrei lavorare per il P.[ artito ] in città. Insisto per andare in montagna. Prima tappa, accompagnato dal panettiere Floriardo, è Garessio, per raggiungere Valcasotto. Dopo Valcasotto, Valle d'Inferno, Trappa. Dopo uno sbandamento della formazione, raggiungo Alto e nuovamente la zona di San Remo. Il compagno Manetti Oreste mi accompagna a Molini dal farmacista, nel cui negozio ha sede di riferimento la formazione partigiana organizzata da Vittò. È domenica, sono accompagnato a Cetta. Sul terrazzo di un piccolo locale vedo i primi partigiani della zona che ballano. Vedo Vittò, Guido, uomo di fiducia, e altri della zona. Sono presentato a Vittò. Mi guarda, mi scruta, pare che voglia leggere nel mio animo. Mi sollecita a ballare, rispondo che non sono capace. "Devi essere o un grande lavativo o un gran bravo ragazzo", mi dice Vittò, "vedremo". Incomincia la grande esperienza della Resistenza, che mi farà diventare uomo, che mi fa conoscere la generosa gente di montagna, i tanti altri giovani che hanno scelto di combattere, di sopportare freddo, fame, sacrifici [...] Entrato nella banda, il primo atto è quello di scegliere il nome di battaglia. È una misura che garantisce soprattutto la tranquillità e la sicurezza delle famiglie. Tra noi non ci si conosce per cognome, vale il nome di battaglia. D'ora in poi mi chiamerò Gino. Sono assegnato al distaccamento di Guido da semplice garibaldino. In seguito diventerò capo-squadra comandante del 2° distaccamento "G. Repetto", comandante del 1° battaglione "N. Bini" e infine vice comandante della 5^ brigata "L. Nuvoloni". 
Gino Napolitano (1), La semplicità della politica. Scritti autobiografici, lettere, immagini, a cura di Saverio Napolitano, Arma di Taggia, 2012
(1) [Luigi "Gino" Napolitano di Sanremo (IM). Dalle formazioni autonome di “Mauri” a marzo 1944 passò definitivamente alle formazioni Garibaldi dell’estremo ponente ligure. Per le sue doti di coraggio e spirito combattivo veniva subito nominato comandante di un Distaccamento che, per l’aumentato numero di volontari, divenne poi Battaglione. Come risulta da un rapporto, era considerato dai nazi-fascisti “elemento assai pericoloso”. Protagonista di un gran numero di battaglie tra le quali: Carpenosa, Giugno 1944; Badalucco, 29 giuno 1944; Ceriana, Agosto 1944; Carmo Langan, 8 ottobre 1944 e febbraio 1945; Baiardo, marzo 1945. Ferito in combattimento a Baiardo. Commissario politico del I° Battaglione “Mario Bini” della V^ Brigata. Da fine gennaio 1945 vice comandante della V^ Brigata d’Assalto Partigiana Garibaldi “Luigi Nuvoloni”. Insignito di Medaglia d’argento al V.M. Vittorio Detassis su Isrecim].
 
Vitò racconta:
Ero dislocato con la mia banda nella zona di Cima Marta.
Si viveva come si poteva prelevando qua e là scarso cibo che i contadini ci offrivano fraternamente: ma le provviste erano sempre insufficienti e la fame era spesso l'indivisibile compagna dei nostri giorni.
Più di tutto sentivamo la mancanza del sale: mangiar erbe scondite o fagioli semi-crudi non è certamente piacevole, ma doverlo fare senza nemmeno un pizzico di sale era al di là delle possibilità del nostro stomaco. Eravamo affamati di sale, divenuto in quegli ultimi tempi quasi introvabile, tanto più che esso era usato come un prodotto di scambio e sostituiva spesso la moneta.
Decisi di procurarmene a qualunque costo.
Ero stato informato che avrei  potuto ottenerne in Francia: si trattava di un viaggio di qualche giorno in una zona impervia fra boschi e burroni, in un territorio occupato dal nemico che controllava sentieri e passi.
Partimmo: un piccolo gruppo di uomini decisi, con tutte le armi migliori che ci era stato possibile racimolare.
Una marcia lunga e faticosa ci portò sul Col D'Anan.
Qui fermai il distaccamento, lo alloggiai in due casoni abbandonati in una posizione che stimai fortissima e con sette elementi scelti proseguii per
il paese.
Lungo la strada m'informai se vi fossero tedeschi nella zona, ma si rispose che nessun nemico vi si trovava.
Eravamo allegri, si cantava e si rideva, come al solito, incuranti del pericolo che incombeva tutto intorno a noi.
Ed infatti nel superare una curva proprio all'entrata nel paese scorgemmo una postazione nemica. Essa era stata piazzata presso una chiesetta di montagna, trasformata in fortilizio: intorno si stendevano fitti reticolati, alcune  mitragliere allungavano le loro canne verso la strada ed una sentinella repubblicana, fucile in spalla, passeggiava sullo spiazzo antistante la chiesa [...]
Noi scavalcammo il filo di ferro spinato, stracciandoci gli abiti e la pelle e ci buttammo sulle mitragliere voltandole verso il fortino.
Il nemico non tentò nemmeno una resistenza seria [...]
Il posto era ben fornito: armi, munizioni, viveri e indumenti... ma sale nulla.
I repubblicani si erano riformati sulla cresta delle colline e tiravano su di noi di quando in quando. Colpi sprecati ai quali non si faceva caso. D'altra parte rimanere sul posto era pericoloso: il nemico avrebbe potuto ricevere rinforzi, aggirarci e distruggerci. Pazienza... saremmo  ritornati senza sale [...] Passava in quel momento un contadino con una mula [...] Lo bloccammo, requisimmo la mula, vi caricammo le armi e riprendemmo la strada del ritorno [...] per molto tempo ancora fummo costretti a mangiare minestre insipide...
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 105, 106
 
 

sabato 4 luglio 2020

Non era un ammiraglio, ma il Curto

Molini di Triora (IM). Fonte: Mapio.net

Intanto Curto [Nino Siccardi], il 28 marzo '44 ha preso definitivamente e direttamente il comando dei gruppi partigiani di montagna derivati dalla banda Cascione.
Qualche giorno dopo, informato della presenza di un gruppo di guerriglieri dalla parte di Ventimiglia, manda in quella zona due suoi partigiani (Angelo Setti o «Mirko» e «Peppù» di Carpasio), perché si informino; a questi, giunti nella zona, si dirà che si tratta del gruppo di Tento e di Vittò [Giuseppe Vittorio Guglielmo]; ed essi torneranno indietro a riferire, affinché i contatti vengano presi dal fondovalle.
In tal senso era già stato dato incarico a Erven *.
Ancora prima del ferimento di Vittò, qualche incontro diretto vi era già stato - per la questione dei rifornimenti - fra Vittò e Mario Cichéro, collaboratore di Erven. Il Cichéro era entrato in relazione con Vittò appunto per incarico avuto dal suo Partito, il PCI, e dal Comitato di Arma di Taggia.
Vittò si era pure incontrato, qualche volta, col farmacista di Molini di Triora.
Infine, in ora notturna, fra una domenica e il lunedì, sulla strada Cetta-Molini, avvenne il predisposto incontro di Erven con Tento e Vittò, durante il quale Erven propose l'adesione all'organizzazione garibaldina, che Curto, per incarico del PCI, cercava di costituire e di potenziare, e che aveva avuto il suo primo nucleo nella banda Cascione.
Tale incontro Erven-Tento-Vittò avvenne dopo il ferimento di Vittò a Gavano; anzi, almeno parecchi giorni dopo; nell'aprile del '44, certamente non prima dell'aprile [...]
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, p. 272  
* Bruno "Erven" Luppi. Nato a Novi di Modena l'8 maggio 1916. Figlio di un antifascista, fin da ragazzo prese parte alla lotta clandestina contro il regime fascista e, nel 1935, venne arrestato e incarcerato a Modena.  Trasferitosi a Taggia (IM), si inserì nell'organizzazione comunista clandestina di Sanremo (IM). L'8 settembre 1943 era ufficiale dell'esercito quando venne catturato dai tedeschi. Riuscì però a fuggire a Roma dove partecipò ai combattimenti di Porta San Paolo. Tornato nuovamente in Liguria, fu tra gli organizzatori della lotta armata ed entrò a far parte del C.L.N. di Sanremo. Per incarico della Federazione Comunista di Imperia il 20 giugno 1944 organizzò, con altri dirigenti del partito, la prima formazione regolare partigiana del ponente ligure, la IX^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione", con sede nel bosco di Rezzo (IM), la quale diventò a luglio 1944 la II^ Divisione "Felice Cascione".  Il 27 giugno 1944 da comandante di Distaccamento venne gravemente ferito nella battaglia di Sella Carpe tra Baiardo (IM) e Badalucco (IM). Per mesi riuscì avventurosamente, ancorché costretto alla macchia pur nelle sue tragiche condizioni di salute, a sottrarsi alla cattura da parte del nemico. In seguito, appena guarito, assunse la carica di vice commissario della I^ Zona Operativa Liguria.  Vittorio Detassis
 
Il C.L.N. che iniziò un'opera di coordinamento e di aiuto tra le varie formazioni partigiane della provincia di Imperia [...]
Fu il dott. Vallini, il farmacista di Molini di Triora (IM) ad essere l'anello di congiunzione [per il gruppo] di Vitò [Giuseppe Vittorio Guglielmo].
Era impossibile circolare. Bisognava provvedere a liberare certe zone [dai nazifascisti] per poter ricongiungere i vari gruppi di patrioti.
Nelle parole di Vitò: "Il farmacista di Molini di Triora mi avvertì un giorno che mi dovevo incontrare con un ammiraglio. Non sapevo né il come né il perché di questo incontro. Il fatto mi preoccupava. Parlare con un ammiraglio mi confondeva. Sapevo che il re era passato con gli alleati contro i tedeschi e quindi era possibile che un suo alto ufficiale..."
Ci andasti con una scorta?
"Sì. Veramente no. Avevo con me qualche uomo che però rimase estraneo alla vicenda".
Temevi qualche tranello?
"In verità sì. Erano momenti difficili":
Dove [o alla fine di marzo o ai primi di aprile 1944] vi incontraste?
"A Molini di Triora. Il farmacista mi accompagnò in un suo piccolo podere fuori paese. Era già buio ed il timore di un tranello mi rendeva guardingo. Potevo trovarmi davanti ad una spia o anche a un sicario, un killer come si dice oggi. Era in una casetta. Mi avvicinai a lui e gli puntai la pistola in un fianco per avvertirlo delle mie intenzioni".
Come si comportò l'ammiraglio?
"Non era un ammiraglio, ma il Curto [Nino Siccardi], capitano di lungo corso. Mi colpì subito la sua imperturbabilità, la sua audacia, il suo sprezzo del pericolo. Non si impressionò affatto della mia iniziale aggressione e pacatamente con vero sangue freddo mi disse che facevo benissimo a tenerlo sotto tiro, perché la prudenza non è mai troppa".
Il farmacista si interpose e li presentò. Il Curto parlò delle formazioni di Imperia e Vitò espose la consistenza di quelle di Goletta. Poi il Curto ritornò e visitò la Goletta. Si parlò di aiuto reciproco.
Erven [Bruno Luppi, in quel momento comandante di un distaccamento partigiano, in seguito vice commissario della I^ Zona Operativa Liguria] a nome del Comitato di Liberazione portò il primo contributo in danaro di 80.000 lire [...]
I gruppi del bosco di Rezzo (IM) e della Goletta divennero insieme la IX^ Brigata Garibaldi e poi la [II^] Divisione "Felice Cascione", che si divise a sua volta in tre Brigate, I^, IV^, V^.
Solo verso la fine della guerra si formò anche la Divisione "Silvio Bonfante" [in seguito ancora, dal 26 marzo 1945, VI^ Divisione "Silvio Bonfante"].
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" (Dal Diario di Domino nero - Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975

Le prime informazioni relative all'esistenza della banda di Tento e Vittò [anche Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo], operante in valle Argentina, U Curtu [Nino Siccardi] le ebbe all'inizio di aprile del '44 e si attivò immediatamente per allacciare i primi contatti [...] L'adesione da parte di Vittò e Tento ci fu da subito; il primo era già d'accordo, il secondo, in quanto non comunista, accettò anche in relazione ai vantaggi, in termini di aiuti concreti, che tutta la banda ne avrebbe ricavato. L'accordo venne accettato soltanto in seguito a un confronto con gli uomini del gruppo (all'epoca circa 25). I partigiani vennero radunati da Bruno Luppi (Erven) il quale fornì le delucidazioni del caso. Tutti aderirono senza riserve. Successivamente avvenne il primo incontro tra Vittò e U Curtu [...] I bandi di arruolamento tra le fila della Rsi determinarono un notevole afflusso di reclute tra le formazioni partigiane. L'ultimatum dei fascisti scadeva il 25 maggio e il 14 giugno venne diramata la circolare che stabiliva la costituzione della IX Brigata [d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"]. Fu così che Vittò divenne comandante del V Distaccamento.
Romano Lupi, VITTO'. Vita del comandante partigiano Vittorio Guglielmo, Quaderni sanremesi, Sanremo, 2011

[...] in concomitanza con l'aumentata pressione nazifascista, dal 28 marzo 1944 i maggiori gruppi partigiani, originati dalla "banda Cascione", vennero posti sotto il comando di Curto, che [...] riuscì a contattare anche le bande di "Tento", Pietro Tento, e di "Vitò" [Giuseppe Vittorio Guglielmo], le quali agivano nella parte occidentale della provincia di Imperia in Alta Valle Argentina con base alla Goletta di Triora (IM) [...] A fine maggio 1944 il Comando Generale per l'Alta Italia del Corpo Volontari della Libertà mandò disposizioni per la creazione in Liguria di un Comando unificato. Sorse così il primo Comando Militare Unificato Regionale Ligure (CMURL). La Liguria venne suddivisa in 4 zone in ottemperanza alle direttive impartite dal Comando Generale Alta Italia: I^ Zona Operativa, dalla Valle del Roia, estremo ponente della provincia di Imperia, a quella dell'Arroscia [...] Attorno al 13-14 giugno 1944, in considerazione del crescente numero di combattenti che agivano nel territorio, venne riconosciuta alle forze della Resistenza imperiese una nuova unità operativa, la IX^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

lunedì 9 marzo 2020

Il comandante partigiano Vitò iniziò alla Goletta

Triora (IM) - Fonte: Vikipedia
... Guido di Cetta, Guido Arnaldi [in seguito comandante di distaccamento]... diveniva [autunno 1943] il segretario di Vitò [anche Vittò/Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo] ...

Furono i giovani dell'Alta Valle Argentina [tra] i primi ad aderire al movimento [partigiano]. Provenivano da Cetta, da Loreto, da Bregalla, da Creppo [tutte località o frazioni di Triora (IM)]...

Bisogna attribuire al Comandante Vitò il grande merito di avere saputo utilizzare gli ufficiali dei reparti G.A.F. [Guardia alla Frontiera], che erano rimasti nella zona...

Vitò, da uomo saggio, riconosceva in loro qualità superiori, in guerra, sia per istruzione che per capacità di comando, come avevano nell'esercito. Dovevano però dimostrare di comprendere il vero significato della lotta partigiana ed ispirare nei giovani la fiducia in loro, per il buon esempio, per l'attività, per la dedizione completa alla causa. 

Vitò li mise alla prova...

E gli ufficiali lo compresero e si trovarono bene con lui.
Il contatto umano che si provava stando vicini a Vitò era motivo più che sufficiente per affidarsi e dare fiducia.
Non tutti gli ufficiali passarono a Vitò.
Alcuni tentarono di raggiungere le loro famiglie...
Erano ufficiali che conoscevano la zona ed i fortini di confine; sapevano dove trovare armi e munizioni.

Quelli di un certo gruppetto, pur rimanendo vicini, preferirono rimanere isolati, per il momento, per notare il tipo di organizzazione che si andava sviluppando...

Per prudenza, per bisogno di isolamento si scelse come sede la zona sopra Cetta, Goletta, dove case di campagna potevano garantire un rifugio.
Era un luogo solitario e romito, adatto rifugio e vedetta importante da cui si poteva scorgere ogni movimento dei nazifascsiti.

Bisognava anche dare un aspetto, un volto, una fisionomia al gruppo organizzato.

Vitò aveva ereditato dalla sua partecipazione alla guerra di Spagna metodi ed esperienze.
Affidò il comando militare a Tento e a Guido e si assunse l'incarico di Commissario...

I giovani però non capirono lo scopo e la funzione del Commissario...
Vitò comprese che solo riassumendo il comando militare lui valeva meglio ad incoraggiare gli uomini...

Prima nei paesi della Valle Argentina e poi nei paesi e nelle città della Riviera l'esistenza di quel gruppo partigiano mosse gli animi.
Incoraggiò i dubbiosi e fece decidere gli incerti...

Interessava al nemico tedesco la linea ferroviaria di Val Roia, che era di facile comunicazione con Piemonte e Nizza. Abbandonare la zona significava invitare i partigiani della Liguria ad unirsi con quelli del Piemonte, sempre che i partigiani badogliani accettassero di cooperare con i garibaldini dalla stella rossa.
Vitò conosceva bene i luoghi. Li aveva percorsi quando, ancora giovanissimo, tentava di passare in Francia per andare ad arruolarsi con le truppe volontarie che avrebbero combattuto contro Franco in difesa della Repubblica Spagnola.
La banda di Vitò tentò qualche azione di disturbo all'inizio della primavera del 1944.
Venne organizzato un attacco a Briga Marittima [La Brigue, dipartimento francese delle Alpi Marittime].
Anche per l'alterigia dei partigiani francesi, che rivendicavano solo loro di poter compiere azioni (almeno le avessero fatte!) nel territorio di loro competenza, i garibaldini procedettero attraverso Cima Marta.
A Briga il gruppetto di fascisti, tutti giovanissimi e di recente leva, presi alla sprovvista, non reagirono all'arrivo dei patrioti e si lasciarono disarmare. Temevano giunta la loro ultima ora.
Vitò parlò loro: "Non temete. Non siamo cattivi.  Abbiamo bisogno delle vostre armi. Ho notato che siete stati intelligenti quando le avete consegnate... salite con noi in montagna, vi accoglieremo con simpatia... vi lasciamo qui nella vostra postazione e non vi facciamo alcun male. Non tentate nessun atto di tradimento. Abbiamo tagliato i fili del telefono e  del telegrafo. Nelle alture qui sopra ho lasciato alcuni miei uomini per vigilarvi. Ci rivedremo presto..."...

don Ermando Micheletto *La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero - Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975

* ... Don Micheletto per tutta la guerra si adoperò per i partigiani, generalmente in contatto con i gruppi di Vitò, che accompagnò spesso nei loro spostamenti. Esplicherà la sua attività specialmente nell'assistenza e per captare messaggi radio. Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia



lunedì 24 febbraio 2020

La battaglia partigiana del 10 giugno 1944 intorno a Badalucco

Fonte: Strato, Op. cit.
In Badalucco [(IM)], intorno alla fine del maggio 1944, vi era stata una dura battaglia, illustrata - per ragioni varie - nella parte di questo libro specialmente dedicata al circondario di Imperia.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Alipio Amalberti [zio materno del comandante partigiano Pietro Gerolamo Girò/Gireu/Giraud Marcenaro e della staffetta Sergio Marcenaro: ...le ritorsioni erano molto dure, come nel caso di Alipio Amalberti, zio materno di Girò, che per aver gridato in un bar di Vallecrosia "Viva la Francia" venne dapprima schedato e successivamente costantemente perseguitato, fino a essere fucilato per ritorsione dopo essere stato preso come ostaggio. Renato Plancia Dorgia in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia - Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM), 2007], nato a Soldano l'11 febbraio 1901... Già nelle giornate che seguirono l’8 settembre metteva in piedi un’organizzazione per finanziare ed armare i gruppi che si stavano formando in montagna insieme a Renato Brunati e Lina Meiffret. Arrestato il 24 maggio 1944 e tenuto come ostaggio, in quanto segnalato più volte come sovversivo, venne fucilato a Badalucco il 5 giugno 1944 come ritorsione ad un'azione del distaccamento di Artù compiuta il 31 maggio. Giorgio Caudano Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020
 
[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]
 
Badalucco (IM)

Il giorno 10 giugno '44 (o, secondo altre fonti, l'11) si combatte intorno a Badalucco una nuova battaglia...
La sera del 9 giugno 1944 al distaccamento di Vittò [anche Vitò o Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo] ed Erven [Bruno Luppi] (5° distaccamento) arriva Libero Briganti, o «Giulio», a dare ordine di tenersi pronti per espugnare Badalucco e attaccare Pigna [(IM)].
L'attacco è disposto dal Comando unitario dei distaccamenti e gruppi garibaldini, cioè dal Comando della Brigata che è in via di costituzione (IX Brigata) [IX^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"].
All'attacco devono partecipare i distaccamenti 3° (Ivan) [Giacomo Sibilla, poi comandante del Distaccamento Inafferrabile, dopo ancora comandante della II^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Nino Berio" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"], 4° (Tento), 5° (Vittò), 6° (Mirko) [Angelo Setti], più il gruppo di Artù [Arturo Secondo].
Il combattimento dovrebbe avere inizio alle ore 12 del 10 giugno.

Nella notte fra il 9 e il 10 giugno anche il 4° distaccamento, Tento e Marco [Candido Queirolo],  riceve dal Comando l'ordine di portarsi a Badalucco per le ore 12 del giorno 10 giugno.

Ma due fatti ostacolarono il piano.

Durante la notte fra il 9 e il 10 giugno il 4° distaccamento (Tento e Marco) espugna il presidio di Val Gavano, senza perdite, catturando tutto l'ingente quantitativo di esplosivo (mine, ecc.) depositato nella polveriera, dove era il presidio.
Vengono catturati anche tutti i soldati fascisti del presidio stesso, i quali si arrendono.
I Garibaldini del 4°, però, dovettero fare un grande sforzo per l'azione e arrivano spossati all'accampamento di Triora [(IM)] appunto durante la notte.
Conosciuto l'ordine di portarsi a Badalucco per le ore 12 del 10 giugno, sono nell'impossibilità a causa della stanchezza e dell'ora tarda.

All'alba del 10 giugno Vittò, in testa a una lunga colonna di partigiani del 5°, disposti in fila indiana, scende per la strada militare della Val Gavano.
All'improvviso, superata una curva, Vittò e i primi uomini della colonna si trovano di fronte a due grossi camion, che procedevano a passo d'uomo, seguiti a breve distanza da soldati tedeschi con le armi in pugno.
Vittò, con ordine fulmineo, grida ai partigiani: A monte!; nello stesso tempo salta sul costone laterale della strada, e poi si porta alcuni metri al di sopra del costone stesso.
Lo seguono Argo, Ottavino, Vladimiro di Ventimiglia, tutti morti in montagna, Sanmaligno, Martellà (caduto), Géna e Spezia [anche Scarzéna, Pietro Bodrato, nato a Lerici, classe 1927] (entrambi caduti), Serpe [Isidoro Faraldi], i quali sparano contro i tedeschi, mentre il grosso dei partigiani, che non aveva udito l'ordine, si trova sorpreso e smarrito, e si disperde nella parte inferiore della strada.
L'attacco di Vittò e degli altri con lui è però sufficiente a mettere in fuga i tedeschi, che abbandonano ai partigiani un grosso camion, due fucili mitragliatori pesanti, un buon numero di fucili tapum e alcune grosse casse di munizioni.
Questo secondo fatto di Val Gavano, avvenuto a poche ore di distanza dal primo, impedisce anche al 5° distaccamento (Vittò ed Erven) di portarsi nei dintorni di Badalucco per l'ora stabilita.

Badalucco (IM) nel 1913
A causa dei fatti sopra esposti, l'attacco ai nazifascisti di stanza in Badalucco è condotto solo dai distaccamenti 3° (Ivan) e 6° (Mirko) e dal gruppo di Artù, in condizioni di inferiorità.
Durante l'attacco restano feriti seriamente Mirko e leggermente Lanteri Aldo di Verdeggia e Barbé, entrambi del gruppo di Ivan.

Mentre si svolgeva la battaglia, il maresciallo dei carabinieri era riuscito a dare l'allarme a tutte le postazioni nazifasciste della zona e anche a telefonare a Taggia.

Un tratto della strada tra Badalucco e Taggia

Intanto sulla strada Badalucco-Taggia erano stati mandati, con due mitragliatori, i partigiani Mario di Artallo e Pastorelli Renato o «Baracca».
All'altezza del ponte sull'Ausentina od «Oxentina», torrente che viene da Vignai, vedono arrivare un camion nemico, con oltre quaranta tedeschi.
I due partigiani sparano, costringendo l'automezzo a fermarsi, e colpendo buon numero di soldati.
Poi continuano a tener testa per circa due ore al riparo di massi e di alberi, fino a quando non si vedono minacciati dall'alto e alle spalle, in seguito a un movimento aggirante dei tedeschi.
Si ritirano, e solo allora i tedeschi hanno via libera per Badalucco...
Dopo il ripiegamento dei partigiani e il sopraggiungere dei rinforzi tedeschi, i fascisti, in Badalucco, sono di nuovo padroni della situazione, e con prepotenze festeggiano la loro momentanea vittoria.
In seguito alla suddetta battaglia, fra i patrioti badalucchesi morirà dopo qualche giorno (24-6-44), il giovane De Andreis Giovanni...
Il giorno successivo a quello della battaglia di Badalucco... una pattuglia del distaccamento di Vittò e di Erven va al Passo Muratone, situato fra Pigna e Saorge [nella Val Roia francese, dipartimento delle Alpi Marittime], a monte di rio Muratone. Sulla base delle citate indicazioni, l'azione avviene in data 11 giugno. A Passo Muratone vi erano cinque o sei guardie di finanza della repubblica di Salò. La pattuglia partigiana è comandata da Assalto...
Giovanni Strato, Op. cit.
 
Angelo Setti, "Mirko", apparteneva, quale vice caposquadra, al Distaccamento comandato dall’eroe nazionale Felice Cascione e, dopo la morte dello stesso e dello sbandamento del distaccamento da lui comandato, passava al 2° distaccamento della IX Brigata “Garibaldi”. Il 10/5/1944 veniva nominato Comandante del Distaccamento stesso, portando gli uomini ad una nuova fase combattiva. Infatti sotto la sua guida si conducevano un’infinità di azioni militari, imboscate, atti di sabotaggio. Si distingueva nella zona di sua influenza (valli Carpasina e Prino) per le azioni condotte procurando al nemico ingenti perdite e continua apprensione per le sue azioni di sorpresa. Disarmava molte postazioni nemiche catturando numerosi prigionieri e recuperando ingente materiale bellico. Per le sue ottime qualità il 18/1/1945 veniva nominato Vice Comandante della IV Brigata “E. Guarrini”, svolgendo immediatamente un ottimo piano organizzativo nei quadri della Brigata stessa. Elemento temerario, con molta ascendenza sui gregari e molta capacità combattiva, era stato insignito di Croce di guerra.
ANPI Imperia

12/6/44 [...] con loro raggiungiamo il Comando della banda a Costa di Carpasio. La presenza di tanti partigiani che mai avevo visto prima, mi faceva quasi paura. [...] In quella banda [quella di Ivan] c'era pure una giovane donna detta Candacca (Pierina Boeri) [come nome di battaglia aveva anche Anita; in seguito venne inquadrata nella III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"], che il giorno prima si era battuta contro i nazifascisti nella battaglia di Badalucco.
Giorgio Lavagna (Tigre), Dall'Arroscia alla Provenza - Fazzoletti Garibaldini nella Resistenza, Isrecim - ed. Cav. A. Dominici - Oneglia - Imperia, 1982

sabato 30 novembre 2019

Battaglia partigiana a Baiardo ai primi di settembre del 1944

A sinistra, in basso, la vallata di Apricale (IM); in alto, a destra, Baiardo (IM)

La V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" venne fatta oggetto nei primi giorni di settembre 1944, nella zona di Baiardo (IM), di un mal riuscito tentativo di rastrellamento da parte nazi-fascista.
Il 4 settembre 1944 nei pressi del cimitero del paese le sentinelle garibaldine avvistarono un gruppo di nemici che si avvicinavano e, aperto il fuoco, causarono otto morti ed un ferito. "Il caso volle che il prigioniero ferito fosse un polacco, il quale informò i partigiani che il sergente tedesco comandante della pattuglia, roso dall'ira per la sconfitta subita, aveva svelato il piano nemico: l'indomani cinquanta tedeschi sarebbero giunti a Baiardo per sloggiare i banditi" (Francesco Biga, Storia della Resistenza imperiese, Vol. III: Da agosto a dicembre 1944, a cura Amministrazione Provinciale di Imperia e con patrocinio IsrecIm, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977).
Questa preziosa informazione eliminò il fattore sorpresa a vantaggio degli attaccanti, in quanto i garibaldini poterono organizzare la difesa del paese sotto gli ordini di "Vitò" ["Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo, da luglio 1944 comandante della V^ Brigata Garibaldi "Luigi Nuvoloni" e dal 19 Dicembre 1944 comandante della II^ Divisione "Felice Cascione"] e di "Gino". Alle 6 del mattino i tedeschi attaccarono da tre direttrici: "la prima proveniente da Badalucco-Ceriana, la seconda da San Romolo-Monte Bignone, la terza da Isolabona-Apricale" (Francesco Biga, Op. cit.).
I partigiani con il loro ampio raggio di fuoco impedirono l'avanzata dei tedeschi e successivamente si sganciarono verso Monte Ceppo in modo da essere fuori dalla portata del tiro dei mortai nemici.
Contemporaneamente i garibaldini di Pigna (IM) puntarono la loro mitragliatrice pesante in direzione del trivio di accesso a Baiardo e bloccarono in questo modo i nazisti.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945). Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
[...] sentinelle che avevano udito raffiche di mitra provenienti da Bajardo. Segno di un conflitto del quale il comandante Ivano [n.d.r.: detto anche Vittò, Giuseppe Vittorio Guglielmo] venne avvisato da una staffetta. Vittò, trovandosi in zona, raduna una squadra e parte immediatamente alla volta di Bajardo, paese occupato il 2 settembre dal I° Battaglione di Gino Napolitano (Gino). La situazione, infatti, stava per precipitare. Le raffiche di mitra udite in precedenza segnalavano uno scontro tra alcuni uomini del II Distaccamento e un'avanguardia di tedeschi. Questi ultimi, nel pomeriggio, al termine di un conflitto a fuoco lasciarono sul posto morti e feriti. Tra coloro ai quali i partigiani prestarono cure c'era un polacco che, sentitosi in debito con i propri soccorritori, rivelò il piano nemico; il giorno successivo circa 500 tedeschi sarebbero saliti a Bajardo per cacciare i partigiani.
Alle 3 del mattino del 5 settembre, la gran parte delle forze appartenenti alla V Brigata aveva raggiunto le postazioni per contrastare l'avanzata dei nazifascisti, i quali, mentre avanzavano divisi in tre colonne provenienti da Ceriana, San Romolo e Apricale, vennero contrastati efficamente dai partigiani. Dopo i primi attacchi ci fu un periodo di relativa tranquillità ma, quando i tedeschi e i repubblichini del Battaglione San Marco misero in campo le armi pesanti (mortai e cannoni), i partigiani compresero che era giunto il momento di ritirarsi.
"Nonostante dovessimo ritirarci" - ha raccontato Vittò "eravamo soddisfatti di aver dimostrato la nostra presenza efficace. Erano in gran numero e compresi che la roccaforte di Bajardo era per noi in quel momento inattaccabile. Insegnai ai miei uomini la tattica del ripiegamento adatta a far consumare al nemico tante munizioni senza risultato. I miei suggerimenti furono accettati ed i miei insegnamenti sfruttati. Diventavano regola per le prossime circostanze. Avremmo potuto resistere di più ma io non dimenticavo che la nostra era una guerriglia. Dovevamo attirare le pattuglie nemiche a cercarci e far sì che, sparpagliandosi, dovessero diminuire di numero; così le potevamo attaccare in superiorità per le nostre cercate posizioni strategiche. Diminuendo il numero degli uomini delle pattuglie, esse dovevano avanzare prive di armi pesanti e così erano da noi battute. Quando arrivava la forza grossa, la massa, noi avevamo cambiato posizioni e li costringevamo nuovamente, per cercarci, a riformare piccole pattuglie. La battaglia, in queste condizioni, era favorevole a noi. Ci siamo ritirati tutti a Carmo Langan e non ci inseguirono. Ogni distaccamento tornò alla sua sede". <44

44 don Armando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di “Domino nero” - Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975, pagg, 117-118
Romano Lupi, VITTO'. Vita del comandante partigiano Vittorio Guglielmo, Quaderni sanremesi, Sanremo, 2011  
 
Le ferrovie sono purtroppo nello stato che Tu ben conosci: la Savona Ventimiglia non funziona, qualche tratto riparato con mezzi di fortuna viene utlizzato con l'unico carrello ferroviario esistente che - destino fatale - è azionato a benzina. Ottenere da parte del Ministero almeno due autotreni con rimorchio significherebbe rimediare in parte alla grave situazione in cui si dibatte la provincia, situazione che ci rende sempre più invisi alla popolazione.
I famigliari dell'ex Ministro Grandi, sentito il parere del Capo della Provincia ho provveduto a farli consegnare al Questore di Pavia per evitare l'eventuale caduta nelle mani inglesi.
Imperia, 12 settembre 1944
Giovanni Sergiacomi, Questore di Imperia, Al capo della Polizia