domenica 19 marzo 2023

Pare che in prossimità di Cesio i partigiani abbiano iniziato un'azione contro i Muti

Cesio (IM). Fonte: mapio.net

Per ritorsione e per vendicare i compagni caduti, il 4 ottobre 1944 attaccammo il caposaldo nemico di Cesio.
Insieme ad alcuni altri, il mio compito era quello di trasportare a spalle una mitragliatrice pesante con relative munizioni. Camminammo da Colle San Bartolomeo fin quasi al paese di Caravonica da dove era possibile battere il presidio nemico di guardia ad un ponte minato. Ma il nemico era ben protetto e il nostro attacco ebbe scarso successo.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998  

Bisognerà muoversi, tenere moralmente i distaccamenti in efficienza bellica e, oltretutto, vendicare nel modo più efficace i compagni caduti nell'imboscata di Pieve di Teco.
Il 2 ottobre 1944, presa la decisione di attaccare il presidio nemico di Cesio composto da circa quaranta uomini, brigate nere del battaglione «Muti», uccisori dei compagni di Nino Berio, viene studiato nei minimi particolari il piano di annientamento (per spazzare quel triste covo), partendo dalla considerazione che il presidio in avamposto, molto isolato, distava all'incirca sette chilometri da quello più vicino di Chiusavecchia.
Appostata una squadra a sud di Cesio sulla statale 28 per bloccare eventuali rinforzi nemici proveniente da Chiusavecchia, altre squadre avrebbero portato un attacco concentrico al paese, supponendo che in esso e alla periferia fossero dislocate le postazioni nemiche. A forze pari il fattore sorpresa avrebbe dovuto giocare a favore dei partigiani, scelti tra i più coraggiosi della brigata.
Lasciata Piaggia alle ore 8, trentasei garibaldini del distaccamento d'assalto «G. Garbagnati» e una squadra del battaglione «Nino Berio» unitamente al vice comandante di divisione «Cion» [Silvio Bonfante], al vice comandante di brigata «Mancen» [Massimo Gismondi] ed al commissario «Mario» [Carlo De Lucis], giungono a Pieve di Teco nella mattinata del 3 ove procedono ad una retata di spie e pernottano nel paese.
Però la spia annidata nel Comando partigiano riesce ad informare del prossimo attacco i fascisti di Cesio che nel corso della notte raddoppiano gli effettivi. Conosciuto il fatto e la fallita sorpresa, «Cion» decide di attaccare ugualmente: è nel suo stile.
Prima dell'alba del giorno 4 i garibaldini partono verso Cesio. La marcia di avvicinamento si compie senza ostacoli ma termina con alquanto ritardo sul previsto.
Ormai è già chiaro ad oriente quando i partigiani si accingono, col fiato grosso per la marcia affrettata, ad appostarsi.
Dal colle San Bartolomeo si staccano due squadre: una di cinque uomini con una mitragliatrice pesante va a piazzarsi a sud del paese per stroncare un eventuale invio di rinforzi da Chiusavecchia e per battere contemporaneamente, con più ampio respiro, tutta la zona. L'altro nucleo cala su Cesio bloccandone la periferia. Nel contempo il grosso delle forze, raggiunto il passo omonimo e divisosi in tre squadre, piomba dai tre lati sopra il ponte rotto.
«Cion» urla (altra sua romantica qualità di guerrigliero latino): "Fascisti... siamo i compagni di Nino... siamo venuti a vendicarlo... difendetevi ...fuoco!" <1.
L'azione ha inizio con una mitragliatrice pesante «Breda», tre «Machinen-Gravers», due «Saint-Etienne», tre lanciagranate ed alcune armi automatiche individuali.
Sono le 7,30 precise; all'urlo di «Cion» i fascisti, che stanno facendo colazione e l'alza bandiera, capiscono e riescono a dileguarsi tra gli alberi di ulivo. Il fuoco inizia violentissimo, i garibaldini scendono all'attacco benché la conformazione della vallata impedisca loro di battere con precisione l'accampamento nemico ove regna panico e disorientamento.
In un primo tempo il fuggi fuggi tra i fascisti, che lasciano sul terreno un morto ed un ferito grave (il comandante del presidio ten. Lo Faro), é generale <2.
I loro baraccamenti sono crivellati e sconvolti dalle raffiche dei mitragliatori, dalle bombe a mano e dai colpi ben piazzati dei lancia granate.
Frattanto, raggiunte a fatica le loro vantaggiose posizioni, i «Muti» aprono un fuoco intenso con due mitragliatrici pesanti «Fiat», alcuni mitragliatori, fucili e mortai da 45 mm.
La lotta dura circa due ore; tra gli spari si odono gli ordini e le invettive dei comandanti nemici: "Raggiungi il «Sant-Etienne»". "Non posso, signor tenente, mi tirano addosso", poi le vecchie canzoni di lotta «Fiamma Nera» e «Giovinezza», echeggiano nella vallata tra gli ulivi e le raffiche di mitragliatrice, poi ancora insulti ed invettive: "Tirate meglio... fatevi sotto, fatevi vedere se avete del fegato" <3.                                                                              
Il nemico, convinto di essere circondato da forze preponderanti, resiste con tutta la sua disperazione, consapevole della sorte che l'attenderebbe se venisse sopraffatto.
È una lotta mortale; i garibaldini sparano con cieco furore, il pensiero dominante é vendicare Nino e gli altri compagni.
Però venuta a mancare per le ragioni suddette la sorpresa, il fuoco incrociato delle armi del nemico rende problematico e oltremodo temerario un assalto. Sarebbe follia e morte certa, tanto più che non si conosce con precisione l'esatta ubicazione delle postazioni nemiche. Nonostante ciò qualcuno vorrebbe tentarlo. Però non resta che la determinazione di continuare un violento duello di logoramento col nemico.
In questa fase dello scontro vengono uccisi alcuni brigatisti neri compreso un borghese delatore, alcuni altri rimangono feriti. Nessuna perdita da parte garibaldina <4.
Intanto richiamati dagli spari, giungono rinforzi autocarrati al nemico da Chiusavecchia.
Le squadre partigiane data l'esiguità delle loro forze, ritenendo foriera di perdite la tattica di snidare i «Muti» dalle loro munite e difficili postazioni, risalgono a Cesio ove compiono pulizia di tutto ciò che é segno di collaborazione e aiuto ai fascisti <5.
Viene sequestrato, tra l'altro, il materiale di cucina che serviva per l'alimentazione dei «Muti» (marmitte, pentole, viveri ecc.) e completamente requisita o resa inutilizzabile la dotazione di un albergo che usava ospitare i fascisti e i loro famigliari (materassi, coperte, effetti, ecc.).
I fascisti giunti di rinforzo riescono a tagliare fuori del grosso una squadra del distaccamento «Marco Agnese» comandata da «Trucco» che, però, infiltratasi tra le maglie nemiche, miracolosamente raggiunge i compagni oltre il colle San Bartolomeo.
Il tenente Lo Faro, ferito, ordina ai suoi uomini di andare in paese per prelevare alcuni ostaggi da fucilare; la sentenza non viene eseguita ma sono fatte saltare alcune case e fienili ed é catturato un giovane presunto partigiano. L'azione non ha dato i risultati sperati. Il gruppo, ad eccezione del comandante «Boscia» <6 che con otto garibaldini rimane a Pieve di Teco per ragioni di servizio, nel tardo pomeriggio raggiunge Mendatica ed il giorno 5 perviene a Piaggia, mentre il distaccamento «F. Airaldi» riprende posizione nella casermetta del Tanarello.
Intanto il 5 di ottobre «Simon» [Carlo Farini] aveva avuto un colloquio con Giovanni Parodi (Michele) membro del Triunvirato Insurrezionale per la Liguria delle brigate Garibaldi, e con Baldini (Matteo) segretario della federazione del P.C.I. di Imperia e addetto ai collegamenti con la città, in cui si era discusso sulla formazione delle Giunte Popolari, presenti i candidati Sindaci di quasi tutti i Comuni della valle Impero.
Il 6 di ottobre riuniva in due casoni posti di fronte a Carpasio il Comando della IV brigata e tutti i comandanti e i commissari di distaccamento per discutere le cause che avevano determinato i precedenti sbandamenti garibaldini in seguito ai rastrellamenti nemici ed il ripiegamento in alta montagna (Piaggia) della I brigata.
Nel contempo emanava direttive per una maggiore disciplina ed un più stretto contatto tra i distaccamenti ed il comando e disponeva che la IV brigata rimanesse sulle sue posizioni (funzioni di collegamento tra la costa e l'alta montagna).
Nel pomeriggio il vice commissario della I brigata Osvaldo Contestabile (Osvaldo) era nominato commissario della V brigata ed il garibaldino Beniamino Miliani (Miliano) assumeva l'incarico lasciato libero da «Osvaldo».
Finite le riunioni, «Simon» rientrava al Comando divisione a Piaggia incalzato dalle notizie del rastrellamento tedesco iniziato nella valle Argentina e a Pigna contro la V brigata e del ripiegamento di questa sulle posizioni della I. A causa di questi precipitosi spostamenti a piedi o a dorso di mulo, «Simon» si ammalava di broncopolmonite. Il 12 di ottobre sembrava segnare un inizio di miglioramento, ma era mera illusione.
[NOTE]
1 Dal diario di Gino Glorio (Magnesia).
2 Dal diario di Luigi Massabò (Pantera).  
3 Dal diario di Gino Glorio (Magnesia).
2 Dal diario di Luigi Massabò (Pantera).                                            
4 Le perdite inflitte al nemico risultano nella relazione n. 330 di protocollo, del 4.10.1944, inviata dallo Stato Maggiore al Comando divisionale nel pomeriggio stesso della giornata dello scontro.
5 Nelle postazioni «Muti» di Cesio si trovava tutto il marciume della gioventù fascista e filotedesca della riviera, da Oneglia a Ventimiglia. Da lì partivano le rappresaglie contro i civili, le azioni di disturbo ed i rastrellamenti effettuati nelle zone adiacenti.
6 Il comandante Franco Bianchi (Stalin) aveva anche il nome di battaglia «Boscia».

Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977, pp. 141-144 

3 ottobre 1944
Questa notte forti contingenti di partigiani, provenienti dai pressi di Acquetico, sono transitati per Pieve di Teco, diretti versi il Colle S. Bartolomeo.
A quanto si vocifera, pare che in prossimità di Cesio i partigiani abbiano iniziato un'azione contro i Muti. Intanto è da ieri che Pieve è bloccata dalla parte di Imperia.
Questa mattina, con una macchina da turismo proveniente da Albenga, sono giunti sei o sette tedeschi per la misurazione dei ponti demoliti.
Sono le 18 e non si sa ancora niente di preciso circa ciò che sia accaduto verso Cesio.
Sono le 5 e si lancia «la grida» che, per ordine del Commissario Prefettizio, il coprifuoco è stabilito dalle ore 8 di stasera alle 5 di domani; il lanciatore proclama: «Le pattuglie spareranno su tutti quelli che dopo le ore 8 si troveranno fuori di casa».
Queste pattuglie sono formate da patrioti e tale grida l'hanno fatta lanciare per loro maggiore sicurezza.
Questi partigiani a Cesio hanno combattuto dall'albafino alle ore 10.
- All'una erano già a Pieve.
4 ottobre 1944
Si dice che nel combattimento svoltosi ieri a Cesio i repubblichini abbiano avuto perdite assai gravi e che in parte sono state danneggiate dal fuoco parecchie case - Però sono sempre notizie incerte. Mentre scrivo parecchi di questi partigiani vanno in cerca di uomini per farli andare alla Paperera al di là del ponte rotto ove, trovandosi un camion con un carico di viveri, vorrebbero farlo trasbordare per Pieve.
E tutto per non lasciarlo proseguire per Vessalico ove sono una quarantina di tedeschi al lavoro per la ricostruzione di quel ponte.
Questa notte io e mia moglie abbiamo pernottato nel Barcheto nella villa.
Questa decisione fu consigliata dallo strano caso delle cose incombenti e per assicurare tranquillità a mia moglie che vive sempre sotto l'incubo della drammatica notte del mio arresto.
5 ottobre 1944
L'azione a Cesio ha effettivamente dato luogo a rappresaglie da parte tedesca.
Si dice che in Vessalico siano giunti altri tedeschi di rinforzo per affrettare la riparazione del ponte.
6 ottobre 1944
Giornata d'acqua a dirotto - L'Arroscia è in piena e tutti si augurano che cresca maggiormente onde ostacolare ai tedeschi le riparazioni ai ponti - Si nota fin da stamattina un'insolita attività di patrioti: ve ne è una vera invasione.
L'acqua ha diminuito di intensità, ma piove sempre.
Manca totalmente la farina - Oggi si è ancora distribuito un etto e mezzo di pane procapite, ma si dice che domani non sarà più possibile alcuna distribuzione.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994,  pp. 123,124

martedì 14 marzo 2023

La successiva battaglia di Nava dell'11 marzo 1944 vide altre perdite significative tra i partigiani

Colle di Nava: il Forte Centrale. Fonte: Alpi del Mediterraneo

Altro avvenimento degno di nota fu la battaglia di Garessio che si svolse tra il 25 e il 27 febbraio. La cittadina piemontese era stata occupata dai nazisti al fine di compiere severi rastrellamenti, per cui i partigiani tentarono di respingerli nel corso di combattimenti assai sanguinosi, nei quali perse la vita un altro esponente di rilievo del movimento di liberazione: Sergio Sabatini. La successiva battaglia di Nava dell'11 marzo 1944 vide altre perdite significative tra i partigiani, che dovettero anche subire, nei giorni immediatamente successivi, un pesante rastrellamento che chiuse questo periodo di scontri sostanzialmente a favore dei nazifascisti per quanto i partigiani avessero combattuto con estrema energia.
Paolo Revelli, La seconda guerra mondiale nell'estremo ponente ligure, Atene Edizioni, Arma di Taggia (IM), 2012

Olivio Fiorenza.
Nato a Pornassio (IM) il 15 marzo 1924, contadino. Si aggrega con alcuni partigiani di Albenga e dintorni al 3^ distaccamento della Colla di Casotto nelle squadre di Trappa e Valdinferno. Il giorno 10 marzo 1944, “Martinengo” [Eraldo Hanau] delle Formazioni “Mauri”, con gruppi di badogliani fatti affluire da Garessio, unitamente a partigiani di Ormea disarma il presidio dei carabinieri di tale località. Il giorno successivo gruppi di badogliani e gruppi di resistenti del posto, non ancora collegati ad alcuna organizzazione, combattono nella zona di Pornassio contro i tedeschi che vengono respinti ai Forti di Nava (nota 5). Nel corso del combattimento cade Fiorenza Olivio.
Da “Storia partigiana della 13^ Brigata Val Tanaro” di Renzo Amedeo - Testimonianza dell’autore: “L’uomo che stava alla mia sinistra, un giovanissimo ligure giunto al mattino e che ancora era in borghese (Olivio Fiorenza) ha il cranio attraversato da un colpo e cade bocconi sull’arma, versando fiotti di sangue e grida ancora “Viva l’Italia”.
Ad Olivio Fiorenza è intitolato un Distaccamento della Brigata “Arnera” - Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
(nota 5) FORTI di NAVA
Il 9 marzo 1944, data la grande necessità di armi, venne effettuato da una trentina di volontari, capitanati dal tenente Renzo Merlino un assalto alla caserma dei carabinieri di Pieve di Teco. Dopo uno scontro a fuoco, breve, ma intenso, il presidio si arrese consegnando armi e munizioni; ipotizzando, però, una reazione nemica, i partigiani si trasferirono da Ormea ai Forti di Nava.
Da “Storia partigiana della 13^ brigata Val Tanaro” di Renzo Amedeo.
“Diario” del colonnello Ilario Bologna: "In previsione della reazione nazifascista, la mattina del 10, onde poter controllare la provenienza da Imperia, si provvide ad occupare alcuni costoni tra Pieve di Teco e i Forti di Nava. Il nemico, preannunciato da un forte rumore di autocarri, non si fece attendere molto. Pochi colpi sparati lo costrinsero a fermarsi ed ad abbandonare celermente gli automezzi… La posizione più elevata… consentì un’azione efficacissima, che bloccò sul posto i tedeschi… Iniziò allora la caccia al nemico nascosto, con rabbiose riprese di fuoco seguite da silenziosi intervalli. Con tale andamento la lotta continuò per tutto il giorno. La mitragliatrice pesante catturata il giorno prima… piazzata in posizione predominante… poté battere tutto lo schieramento avversario portandovi un notevole scompiglio. Verso l’imbrunire i nazifascisti, con il loro orgoglio alquanto malconcio, ci voltarono la schiena sparendo dalla nostra vista".
Redazione, Arrivano i Partigiani. Inserto 2. "Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I Resistenti, ANPI Savona, numero speciale, 2011

L'11 marzo 1944 nello scontro nella zona di Nava, nel comune di Pornassio (IM), perirono altri due patrioti imperiesi, Olivio Livio Fiorenza e Giovanni Ramò. Al fatto d'armi parteciparono partigiani autonomi di Martinengo [anche Capitano Martinengo, Eraldo Hanau] e gruppi di resistenti del posto non ancora collegati con le organizzazioni antifasciste.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

In relazione ai combattimenti dei giorni 11-12-13 marzo 1944, il primo scontro è avvenuto verso mezzogiorno dell'11 marzo in prossimità del Ponte della Teglia, che parecchi giorni prima era stato fatto saltare dai Patrioti e poi riattato in forma provvisoria dai tedeschi attraverso la Todt (che era un'organizzazione tedesca diretta dall'ing. Todt, generale nella riserva, col mandato di riparare i danni e di costruire opere di difesa occorrenti per la guerra in Italia).
In detta località le prime due avanguardie tedesche vi giunsero, unitamente a fascisti, verso il mezzogiorno e furono immediatamente attaccati dai patrioti disseminati nelle macchie sovrastanti.
Il fuoco violento e repentino cagionò perdite alla milizia ed ai tedeschi.
I patrioti ebbero un solo morto, un giovane di Eca frazione di Ormea. Sopraggiunti maggiori rinforzi, i patrioti, temendo d'essere sorpresi alle spalle si ritirarono verso i forti Bellarasco e il Centrale, ove passarono tutta la notte per riprendere il mattino seguente 12, la lotta che si protrasse per alcune ore.
Alla fine, sempre nella tema di accerchiamenti e per la scarsità di munizioni, lasciarono i «forti» e si ritirarono sulle rocce che fiancheggiano la Nazionale che scende a Ponti di Nava, dalle quali con tiri precisi decimarono il nemico che non riusciva a precisarne i nidi di raccolta e a colpirli.
La lotta fu veramente intensa e ferrea, per cui i tedeschi furono costretti a chiedere sempre maggiori rinforzi e artiglieria.
Intanto le autoambulanze tedesche, con un viavai veramente insolito ed allarmante, provvedevano ai trasporti di feriti e morti verso Albenga e verso Oneglia.
La lotta continuò per tutta la giornata e si riaccese il mattino del giorno 13, fin verso mezzogiorno, quando per assoluta mancanza di munizioni i patrioti furono costretti a sbandarsi come era loro tattica, senza aver lasciato un solo uomo prigioniero.
Fu questa però anche la tattica dei Garibaldini nel primo Risorgimento, specialmente nella Campagna del 1860 - ma allora la chiamavano «Il pittoresco disordine dei partigiani».
In questo giorno ebbero però un morto (cioè due, complessivamente, in tre giorni di lotta).
La notizia che il tenente del genio Ing. W. Sabatini fosse caduto in combattimento fu immediatamente smentita.
Un graduato tedesco ebbe a dichiarare che le perdite complessive dei tedeschi e della Milizia, siano state di 100 morti e 200 feriti.
Ma erano voci che non avevano riscontro ufficiale e perciò occorreva starsene sui si dice, perché i bollettini di guerra non solo non esistevano, ma la tendenza era quella di occultare addirittura ogni cosa.
Sbandati così i patrioti, le truppe tedesche e fasciste passarono il Tanaro a Ponte di Nava, occupandola, e marciarono senza resistenza su Ormea, che invasero nel pomeriggio dello stesso giorno 13.
Di lì proseguirono per Casotto, sede del Comando dei Patrioti e lo occuparono pare a causa (si dice) del tradimento di un maggiore.
Comunque sia, cessata la resistenza, dalla stretta di Ponte di Nava, gli invasori ebbero la strada libera alle loro imprese, ed incominciarono le rappresaglie.
Iniziarono quindi le perquisizioni, i furti e gli incendi, con numerose vittime innocenti.
A Ponte di Nava incendiarono tre case, fra cui la villa residenza estiva del Vescovo di Albenga, la casa degli Agaccio e quella di Merlino.
Dalla segheria Merlino asportarono 7 ettolitri di vino - un motore, e farina, con un danno di L. 60.000 - e così fecero in altre case.
In Ormea portarono il terrore. Per prima cosa radunarono sulla piazza dell'Olmo tutti gli uomini dai 15 ai 70 anni e, nel frattempo, perquisirono un'infinità di case.
Mentre erano in Piazza, uccisero il cognato di Cleto' Merigone e ferirono ad una gamba, con un colpo di moschetto, Antonio Basso (Gasparun) di 78 anni.
In seguito alle minacce severissime, diedero ordine di consegnare immediatamente tutte le radio, le macchine da scrivere e da cucire, e tutti i ferri da stiro elettrici.
In tal modo furono carpite circa 300 radio.
In questa terribile circostanza si svolse un episodio veramente mostruoso.
Nell'Ospedale Civico di Ormea era giacente un patriota di Diano Castello, con una gamba rotta per ferite riportate nell'ultimo combattimento di Nava, si chiamava Domenico Novaro.
I tedeschi lo seppero ed un maresciallo, con due della Milizia fascista, si recarono all'Ospedale.
Rintracciarono il ferito e lo fecero portare con un carretto nel cimitero, ov'era una fossa aperta.
Colà lo gettarono nella fossa come una bestia o come un cencio.
Dietro a questo triste corteo s'erano accodate alcune donne col parroco, che imploravano pietà; ma a nulla valsero le preghiere e le invocazioni di quelle popolane, perché quel maresciallo, estratta la rivoltella lo freddò nella fossa.
Mi è stato detto che perfino i due della Milizia si erano rifiutati di ucciderlo così barbaramente e freddamente.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994,  pp. 56,57,58

Fra gli uomini di Martinengo [Eraldo Hanau] alla battaglia di Pornassio (o di Nava) aveva anche partecipato il partigiano dianese Domenico Novaro che qualche giorno più tardi resterà ferito in uno scontro avvenuto quale strascico della battaglia stessa presso il forte di Bellerasco [n.d.r.: ubicato anche questo nel comune di Pornassio (IM)] e verrà ucciso dai tedeschi il 17 marzo...  Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Imperia.
Sono in corso operazioni di rastrellamento nella zona di Pieve di Teco, contro i ribelli sistemati nelle montagne circostanti i forti di Nava. Vi partecipano, dall'11 corrente, la G.N.R., agenti della polizia repubblicana e reparti tedeschi. Riserva di notizie.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 19 marzo 1944, p. 21. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti 
 

sabato 11 marzo 2023

I partigiani imperiesi, dopo la morte di Felice Cascione, tentarono subito di tornare in azione

Una vista sino ad Imperia Porto Maurizio da Villatalla, Frazione di Prelà (IM). Foto: mpvicenza/flickr

Nella mattinata del 30 gennaio 1944 [n.d.r.: tre giorni dopo l'uccisione del loro comandante, Felice Cascione] i partigiani della banda «Cascione», che si erano fermati nei pressi di Eca Nasagò, partono in direzione di Rezzo. In Rezzo la popolazione era insorta qualche giorno prima (27-1-44), contro alcuni carabinieri di Pieve di Teco, che si erano recati nel paese per arrestare quelli che, secondo i fascisti, erano «renitenti» alla leva. La popolazione, armata, aveva fatto prigioniero il maresciallo dei carabinieri, e minacciava di fucilarlo. Poi venne rilasciato, in seguito a trattative; e i «renitenti» non furono arrestati. Però, subito dopo l'accordo con i carabinieri, vennero i fascisti, che operarono un rastrellamento in massa della popolazione di Rezzo.
I partigiani di Cascione si dirigono a Rezzo, per aiutare la popolazione; ma, mentre sono in cammino, vengono informati che la lotta è cessata per l'impossibilità di resistere contro la superiorità numerica dei nazifascisti; perciò, dopo avere mandato Gustavo Berio e Silvano Alterisio in cerca di notizie più precise, tornano indietro, e si fermano ad Armo.
L'aiuto dei partigiani era stato chiesto per mezzo di due o tre uomini di Rezzo giunti appositamente in Albra la sera del 29 gennaio 1944. Mirko (Angelo Setti), con un altro partigiano, ancora la sera stessa andrà a prendere mitragliatore e fucile nascosti durante il percorso da Forti di Nava a Barchi. I partigiani di Cascione, che la mattina del 30 erano partiti alla volta di Rezzo, saputo che la lotta è cessata si fermano in Trovasta; qui pernottano fra il 30 e il 31: quindi, per Moano e Trastanello, si portano ad Armo, dove pernottano fra il 31 gennaio e il 1° febbraio. Per andare da Albra a Rezzo i partigiani erano passati sul ponte di Eca Nasagò. Fino dal giorno 29 gennaio 1944 esponenti antifascisti imperiesi operanti in città, con i quali la banda «Cascione» era più direttamente in contatto (nucleo comunista), per mezzo di Carenzo Fedele avevano messo Curto (Nino Siccardi) in collegamento con Ivan (Giacomo Sibilla) giunto appena da Alto a Barcheto [Frazione di Imperia], e lo avevano mandato in montagna affinché si incontrasse con gli uomini della banda. Curto, con Ivan, parte intorno alle ore 14 da Porto Maurizio, col treno, e si reca ad Ormea, passando per Savona e per Ceva. Nei pressi di Eca Nasagò non trova più la banda; prosegue per Alto e per Caprauna; infine trova i partigiani ad Armo, dove arriva la sera del 31 gennaio 1944. Curto dà ordini ed istruzioni; e il giorno dopo ritorna in città.
I partigiani di Cascione, ridotti a circa una ventina di uomini o poco più, partono tutti insieme da Armo, pernottano ad Aquila d'Arroscia, pranzano a Bacelega e si fermano a Pizzo d'Evigno, dove arrivano la sera stessa del giorno della loro partenza da Aquila. Ma, prima di spostarsi da Armo per la ricerca di nuove sedi, essi, durante la notte, si erano recati ad Alto, per tentare di ricuperare almeno una parte del materiale abbandonato durante la lotta; ed erano pure andati a rendere omaggio alla salma di Cascione, che, a cura di persone del posto, era stata sepolta nel cimitero locale.
Intanto, il 1° febbraio 1944 veniva ufficialmente creato il Comitato di Liberazione Nazionale Provinciale (CLNP) di Imperia.
A Pizzo d'Evigno, il giorno immediatamente successivo a quello del loro arrivo, i partigiani, che già avevano appartenuto alla banda «Cascione», si dividono in due squadre: una comandata da Vittorio Acquarone, che dapprima si stabilisce a Villatalla di Imperia (nel periodo dal 2 al 15 febbraio circa) e poi si sposta a Borgo d'Oneglia, per preparare il colpo di Garbella, che verrà disposto per il giorno 18 dello stesso mese; e una comandata da Tito (Risso Rinaldo), che si stabilisce nella valle di Diano Marina, zona di Magaietto.
Il giorno 18 febbraio i due gruppi di partigiani derivati dalla banda «Cascione», ora di nuovo aumentati in tutto di forse una diecina di uomini, si recano sulla Via Aurelia, una parte nella zona di Capo Berta e l'altra nella zona di Garbella, con l'ordine di fare saltare la strada nelle due località. L'azione dovrebbe avvenire in concomitanza con uno sciopero operaio, nonché in relazione col progetto di un eventuale sbarco alleato nella piana di Albenga, del quale si era avuta notizia.
Poi l'azione di Garbella e di Capo Berta viene sospesa, e le squadre si ritirano. Il gruppo di Garbella, che si era appostato in una casa abbandonata, poco lontano dal posto di guardia germanico, in prossimità della strada (Via Aurelia), era stato però scoperto da un tedesco, che, giunto sulla soglia di una delle due stanze nelle quali si erano nascosti i partigiani, li aveva scorti, e aveva sparato tutti i colpi della sua pistola, dando l'allarme.
I partigiani, tuttavia, si ritirano incolumi.
Subito dopo la tentata azione del 18 febbraio, otto partigiani del gruppo di Garbella, che era quello già stanziatosi prima a Villa Talla e poi a Borgo d'Oneglia, ritornano a Villa Talla; gli altri otto (fra cui Mirko, Ivan, Federico, Gianni di Bestagno e Vittorio il Biondo) si portano in una zona a monte di Borgo d'Oneglia e di Sant'Agata. Qualche giorno dopo la maggior parte di questi ultimi (fra cui ancora Setti Angelo o Mirko), essendo giunto l'ordine di portarsi alla «Maddalena» per un raduno generale, si recano a Villa Talla, allo scopo di ricollegarsi con gli altri partigiani del medesimo gruppo, e di andare alla «Maddalena» insieme con loro; ma, non avendoli trovati, proseguono da soli.
Il gruppo prima di stanza a Villa Talla e poi a Borgo d'Oneglia, che partecipa al completo all'azione del 18 febbraio, era allora composto di sedici uomini, e, fra gli altri, ne facevano parte Vittorio Acquarone, Emiliano Mercati, Trucco G.B. o «Titèn» (rientrato in banda da qualche giorno), Angelo Setti o «Mirko», Franco Salimbeni, Sibilla Federico, Sibilla Giacomo o «Ivan», Gianni di Bestagno e Vittorio il Biondo.
Il gruppo suddetto, per andare a prendere posto in Garbella, parte da Borgo d'Oneglia; passa per Cantalupo, per il ponte di Piani sul torrente Prino, prosegue a mezza costa fra Poggi e il torrente suddetto, attraversando la regione «Perrine»; per un tratto di strada, gli uomini sono accompagnati da Curto che aveva dato istruzioni sul da farsi; poi vengono guidati da altre due persone, probabilmente una di Artallo e una di Piani. Avrebbero dovuto dormire in una baracca a varie centinaia di passi dal luogo dell'azione, che era da compiersi la sera del giorno seguente, cioè del 18, anzi intorno alla mezzanotte; ma non trovata la baracca, anche a causa dell'oscurità, si sistemano in una casa tinteggiata in rosa (Villa Ludovici), situata vicino al ponte dell'Aurelia sul torrente Prino, o ponte di Garbella, e a pochissimi passi dalla strada stessa. Entrati per una porta posteriore rispetto alla strada, per una scala interna scendono al piano sottostante, dove pernottano. Il giorno dopo vedono dei tedeschi che camminano vicino alla casa; perciò risalgono al piano di soprae occupano due stanze, ciascuna accessibile con una propria porta, dal corridoio, e fra loro intercomunicabili per mezzo di una terza porta. All'improvviso, poco dopo il mezzogiorno, sopraggiungono due tedeschi, accompagnati da due ragazze; uno di essi, mentre l'altro è ancora fuori della casa, entra nella seconda stanza per la porta che dà sul corridoio, vede Gianni e Mirko, spara alla rinfusa, e si precipita alla finestra, continuando a sparare. I partigiani, scendendo per la scala interna, si ritirano in fretta; otto si portano sull'Aurelia, passano per il ponte, e infine andranno a Villa Talla; gli altri otto, fra cui Mirko, Ivan, Federico, Gianni di Bestagno e Vittorio il Biondo, girano intorno alla casa, Ivan spara al tedesco che è ancora alla finestra mentre l'altro è fuggito, poi tutti e otto ritornano nei pressi di Borgo d'Oneglia, passando su per giù per la strada percorsa nel venire, e si fermano fra Borgo d'Oneglia e Sant'Agata, a monte dei due villaggi. Qui restano per qualche giorno, e poi alcuni di essi si dirigono alla «Maddalena», passando per Villa Talla.
Dopo la tentata azione del 18 febbraio, quando una parte del gruppo, che doveva operare in Garbella, si ritira a monte di Borgo d'Oneglia e Sant'Agata, Ivan, malato di artrite, si ferma in Sant'Agata, nella casa di Mela Giuseppe («Sacchetto»), che era staffetta del gruppo. Due giorni dopo viene raggiunto da Franco Salimbeni, febbricitante.
Giovanni  Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia 

lunedì 6 marzo 2023

Ai primi di aprile 1945 ero a Sanremo con il partigiano Salvatore Marchesi

Sanremo (IM): Via Corradi

Operavo di continuo tra la Francia e la costa italiana. Ai primi di aprile 1945 ero a Sanremo con il partigiano Salvatore Marchesi (fratello di Concetto, famoso latinista) e partecipai alla missione di spionaggio più significativa. In via Corradi, nei locali della drogheria Bronda, molto discretamente comandanti fascisti e tedeschi pianificarono la ritirata in previsione dell'imminente avanzata degli alleati. In una stanza attigua io e il Marchesi ascoltammo tutto. I capi fascisti chiesero insistentemente ai tedeschi di potersi ritirare per primi, così che, in caso fossero stati attaccati, i tedeschi avrebbero potuto scatenare la rappresaglia. Scopo della operazione era di indurre i partigiani a non ostacolare la ritirata dei fascisti per paura dei tedeschi. Per l'ennesima volta mi imbarcai a Vallecrosia per Le Petit Rocher, per mettere al corrente il comando alleato.  
Renzo Rossi in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia < Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale "Il Ponte" di Vallecrosia (IM)>, 2007

 
15 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/95, al CLN di Alassio - Scriveva che era necessario non accettare le proposte di organizzare squadre patriottiche avanzate dal signor Fustelli, in quanto persona non conosciuta e che, se fosse risultato agente nemico, era da arrestare immediatamente. 
 
28 marzo 1945 - Da "Carmelita" al C.L.N. di Sanremo - Segnalava che tra i più assidui informatori dei tedeschi vi era un certo colonnello Alberto Neri, abitante a Sanremo, invalido, ex combattente dell'esercito francese, in diretto contatto con il capitano "Frank" e che un'altra informatrice era una donna sudamericana di nome "Pegg", intima amica del Neri stesso.

28 marzo 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che forse la spia "Carletto" era rimasta misteriosamente uccisa ad Albenga...
 
29 marzo 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria al comando del I° Battaglione "Mario Bini" della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Ordinava di procedere all'eventuale eliminazione fisica della spia prelevata dal battaglione a Quarzina.

29 marzo 1945 - Da "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" Comunicava che aveva processato due ragazzi inviati dalla Brigata Nera di Albenga; che il primo era stato fucilato; che il secondo, dissociatosi dalla missione di cui era stato incaricato, era stato aggregato alla formazione di "Fra Diavolo". Aggiungeva che la puntata tedesca tra San Calogero ed Ortovero fosse stata organizzata per recuperare la salma della spia di Ortovero, Richero.

29 marzo 1945 - Da "Dario" [Ottavio Cepollini] alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava, in riferimento alla lettera del SIM prot. n° 107 del 21 marzo 1945, che la signora Scialdema era "partita per ignota destinazione"; che si stava praticando "una stretta sorveglianza" sulla signora Maria Raffaello; che si sarebbe "provveduto a fare collaborare l'ex dottore delle bande nere" già catturato dai garibaldini...
 
30 marzo 1945 - Dal SIM [Servizio Informazioni Militari] [responsabile "S. 22", G.B. Barla] della I^ Zona Operativa Liguria al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Segnalava che occorreva procedere all'arresto della spia Seccatore (Coccodé), su cui si erano già date informazioni e che stava agendo a Molini di Prelà.

30 marzo 1945 - Da "K. 20" alla Sezione SIM [responsabile "Livio", Ugo Vitali] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Avvertiva che "in Diano Marina presso l'Albergo Edoardo si trovano 16 soldati, tra cui un ufficiale, con 12 moschetti e 4 mitra. Alla Prefettura di Imperia si trova una donna che funge da interprete: risulta facilmente corruttibile dal punto di vista sentimentale. Da Imperia il fratello di 'Pantera' [Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] comunica 5 nomi di spie che lavorano per le bande nere".

1 aprile 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 123, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della VI^ Divisione - Segnalava, rispetto al corso, di cui aveva già fatto cenno in un precedente rapporto, per la preparazione delle spie, istituito dalla Gestapo, che il medesimo era iniziato a metà marzo 1945, diretto dal capitano Maranzano; che partecipavano al corso Antonio Bracco, Gennaro Iacobone e Marchetti; che gli idonei al corso si sarebbero, poi, dovuti infiltrare nell'esercito alleato e prendere collegamenti con i tedeschi già insinuatisi in quelle file. ...

1 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 123 bis, al comando della VI^ Divisione ed al CLN di Alassio (SV) - Segnalava che il comando del Fascio Repubblicano era in possesso di un elenco di partigiani, consegnato dal maresciallo Gargano alle autorità repubblichine di P.S. e poi al Fascio e forniva i 29 nomi dei mentovati partigiani perché il CLN potesse avvertirli.

1 aprile 1945 - Da "Livio" [Ugo Vitali] responsabile S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della VI^ Divisione - Riferiva che ad Andora (SV) erano giunti 5 uomini, di cui forniva descrizioni fisiche e nomi, con il compito di indagare sui patrioti; trasmetteva le parole d'ordine del nemico valide per tutta la Liguria dal 1° al 16 aprile; comunicava i nomi di 3 soldati ricercati dai repubblichini in quanto disertori; avvertiva che due individui, appartenenti alle Brigate Nere e che parlavano bene francese, inglese e tedesco, erano partiti per la montagna con lo scopo di infiltrarsi tra i partigiani.

3 aprile 1945 - Dalla Sezione S.I.M. della VI^ Divisione, prot. n° 126, al comando della VI^ Divisione - Si segnalava l'individuazione della spia Rina Boero a Gazzo [Frazione di Erli (SV)].

7 aprile 1945 - Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria a "Gori" [Domenico Simi, comandante del III° Battaglione "Candido Queirolo" della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione"] - Il comandante "Gori" veniva invitato ad inviare a Genova a "Simon" [Carlo Farini, già ispettore della I^ Zona Operativa Liguria] una nota dettagliata ed obiettiva sul signor Bianchi, su cui si stava indagando da parte dello stesso Comando... 

12 aprile 1945 - Dalla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della II^ Divisione "Felice Cascione" alla sezione S.I.M. della V^ Brigata della II^ Divisione "Felice Cascione" - Si richiedeva di indagare su Nino Seccatore, detto Coccodé, presunta spia, aggiungendo che si rivolgeva alla Brigata in indirizzo, anziché alla IV^ ["Elsio Guarrini"], perché con quest'ultima erano quasi inesistenti in quel periodo i contatti.

13 aprile 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della I^ Zona Operativa Liguria ed al comando della II^ Divisione - Segnalava che l'ex garibaldino "Martellini", dopo essere stato arrestato dal nemico, "marcia in divisa da milite e mascherato" ed aveva anche l'incarico di trarre in trappola molti partigiani con l'invio di false lettere.
 
14 aprile 1945 - Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della II^ Divisione - Veniva comunicato che Bartali, sbarcato il giorno 11, stava proseguendo verso la zona della VI^ Divisione “Silvio Bonfante” per incontrare R.C.B. [capitano Bentley] e che il 20 avrebbe avuto luogo una riunione tra le formazioni garibaldine, R.C.B. e i CLN interessati. 
 
16 aprile 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" [responsabile, "Brunero" Francesco Bianchi], prot. n° 397, alla Sezione S.I.M. della II^ Divisione [responsabile "Achille" Francesco Martelli] - Comunicava che inviava il verbale di interrogatorio a carico di Alfredo Vido, fuggito il 9 aprile da Villa Ober di Sanremo dove era detenuto come prigioniero politico, e che il CLN di San Remo era stato incaricato di svolgere indagini suppletive su Vido.

16 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" [comandante "Mancen", Massimo Gismondi, vice comandante "Gordon", Germano Belgrano, commissario "Federico", Federico Sibilla, vice commissario "Loris", Carlino Carli] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" alla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione - Inviava i documenti di Ivo Panzani e di Francesco Idda, uccisi, durante un tentativo di fuga, da partigiani del Distaccamento "Giovanni Garbagnati".

da documenti IsrecIm  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)- Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

martedì 28 febbraio 2023

Quel giorno il Comando della Divisione Garibaldi Bonfante era quasi al completo

Casanova Lerrone (SV): Fonte: Mapio.net

Il 6 marzo 1945 vado a Casanova Lerrone dove ci sono dei conti da pagare. C'è sempre il pericolo della pattuglia tedesca sulla carrozzabile ma per evitarla dovrei fare un giro lunghissimo. Poi evitarla del tutto non potrei perché una tappa è un negozio proprio sulla carrozzabile... La pattuglia: spara su ogni giovane, sia civile che partigiano.
I tedeschi che la compongono sono una decina, passano in bicicletta, distanziati uno dall'altro ed hanno il terrore delle imboscate. Sanno che una bomba, un'arma, è facile da nascondersi ed ogni uomo può esser nemico per loro. Mi è noto che giorni fa hanno sparato sulla piazza di Casanova ad un partigiano ed a quattro borghesi che sono fuggiti appena in tempo. Mi è noto che hanno catturato un giovane idiota portandolo al Comando di Cesio. Venne liberato in seguito appena accertata la sua assoluta innocuità. Possibile che arrivino proprio nei pochi minuti che a me sono necessari per entrare ed uscire dal negozio?!...
Entro, mi faccio vedere i buoni rilasciati in cambio della merce, li controllo, pago, mi faccio firmare i buoni per ricevuta, li intasco, esco. Vedo che una ragazzina che è seduta di fronte a me dall'altro lato della carrozzabile mi fissa con uno sguardo strano: poi mi dice a bassa voce senza muoversi: «Magnesia i tedeschi!».
Quindici metri mi separano dall'angolo della casa, potrò girarlo prima che arrivino? E' possibile. E dopo l'angolo? Non ricordo cosa ci sia. Se c'è un muro sono perduto, se invece c'è aperto potrò saltare negli orti di sotto. Se mi metto a correre e poi trovo chiuso sono finito senza scampo, se invece cammino può darsi che non si allarmino e tirino dritto. E' questione di secondi: pure una ridda di pensieri si affollano nella mia mente. Affretto il passo. Sento dietro di me il rumore del primo tedesco che arriva: deve avere il mitragliatore appoggiato al tubo della bicicletta perché ne sento il rumore metallico degli urti ripetuti e non può farlo il moschetto che viene tenuto a tracolla. Per ora è uno solo, l'altro seguirà a trenta metri ma in bicicletta e in discesa si fa presto a percorrerli. Però fin che sono in sella non possono sparare. Cosa troverò dietro l'angolo? Sono pochi secondi, sento dietro di me una brusca frenata, non mi volto, non mi occorre, capisco che mi hanno visto e che scenderanno dalle biciclette. Svolto l'angolo: in fondo c'è una rete metallica con un cancelletto chiuso. Mi lancio di corsa, dopo cinque metri piombo sul cancello, lo sfondo, sento il rumore degli altri tedeschi che frenano, faccio di corsa tre metri oltre il cancello e salto in un orto due metri più sotto. Avranno i tedeschi voltato anche loro l'angolo prima del mio salto? Quanto tempo impiegheranno per piazzare le mitraglie? Qualcuno avrà una pistoia automatica? Dalla risposta a queste domande dipende la mia vita. Davanti a me il pendio è tutto a terrazze e farei presto a saltare ancora di sotto, ma sarebbe un errore aver fretta perché so di compagni che sono stati colpiti al volo durante tali salti. Mi sposto allora di lato di dieci metri e poi salto, mi sposto ancora sempre al coperto del muro e poi salto ancora in modo che il nemico non possa mai indovinare prima in che punto apparirò. Non sento sparare dietro di me e penso che abbiano rinunciato alla caccia; dopo parecchi minuti la speranza diventa certezza: anche questa volta sono salvo.
In aprile tornai in quella bottega e vidi che la padrona non c'era. Chiesi notizie al marito che mi rispose: «Come, non lo sa? Quel giorno che lei venne qui le prese un attacco di cuore e dovemmo portarla ad Albenga. Non si è ancora ripresa».
«Perché si è spaventata tanto? In caso i tedeschi avrebbero preso me».
«Già, ma lei aveva i buoni con la nostra firma in chiaro e neanche noi l'avremmo passata liscia». Avevano ragione.
Un'ora dopo la fuga da Casanova sono a Poggiobottaro, al Comando.
«A Casanova ci sono i tedeschi». «Davvero!...».
Quel giorno il Comando era quasi al completo:  Giorgio [n.d.r.: Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"], Pantera [n.d.r.: Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"], Boris [n.d.r.: Gustavo Berio, vice commissario della Divisione], Livio [n.d.r.: Ugo Vitali, responsabile del SIM, Servizio Informazioni Militari], Citrato [n.d.r.: Angelo Ghiron, vice responsabile del SIM]... Decisi di fermarmi anche la sera perché ci sarebbero stati gnocchi.
Era mia abitudine in quel tempo, e credo fosse una tendenza diffusa, il cercare al tramonto di raggiungere il rifugio dove da mesi avevo il giaciglio. Era il ricordo del 20 gennaio quando, se mi fossi indugiato a dormire a Bosco il nemico mi avrebbe colto in un luogo a me poco noto e forse non mi sarei salvato. O era forse l'istinto dell'animale selvaggio che ogni sera torna alla sua tana? Quando alla sera mi avviavo nel bosco di castagni dove una tana scavata nella terra con un po' di paglia e due coperte mi attendeva, provavo un senso di riposo e di sicurezza difficile a spiegare. I rami scheletrici degli alberi proiettavano ombre paurose al fioco lume della lanterna ed un barbagianni lanciava il suo lugubre grido nelle notti di luna, pure la natura mi pareva amica e quando toglievo le pietre che occultavano il mio rifugio mi pareva quasi di tornare a casa, di rivedere un luogo caro.
Ma quella sera c'erano gnocchi ed erano mesi che non ne mangiavo. Il pomeriggio era passato calmo, avevo dato un'occhiata alle circolari, avevo ascoltato i racconti, i commenti della situazione fatti dai compagni. Del lancio nessuno ne parlava, l'argomento era delicato. Giorgio accennò ad una sua impresa recente: il minamento della ferrovia. Erano scesi tra Diano e Cervo nel tratto dove i binari passavano in pianura. Il luogo non era ideale perché era molto abitato e le conseguenze di un deragliamento sarebbero state minori che se fosse avvenuto in galleria o con sotto uno strapiombo.
Giorgio era sceso con gli uomini della I^ Brigata, avevano attraversato la Via Aurelia, avevano cercato le mine dove i cartelli tedeschi indicavano pericolo: niente! Il primo campo minato non esisteva. Nel successivo invece l'insidia c'era. Vennero prese mine in quantità sufficiente, poi si portò turto sulla ferrovia. Mentre i partigiani disponevano gli ordigni passò un borghese. Venne fermato, interrogato, disse che abitava lì vicino. Venne diffidato a non uscire di casa fino a giorno inoltrato. Poi i partigiani se ne andarono.
Verso l'alba il borghese ripassò nella zona. Probabilmente aveva capito che era stato preparato un attentato e temeva di esser coinvolto in rappresaglie. Inciampò in una mina e ci rimise una gamba. I tedeschi accorsi all'esplosione arrestarono il traffico e tolsero le mine. «Se avessi saputo che era scemo al punto da lasciarci una gamba lo avrei fatto portare via con noi» disse Giorgio pensando a come era fallita l'impresa.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980

6 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che, dopo aver ricevuto il documento n° 162 del 4 marzo 1945, aveva predisposto 3 stazioni per l'ascolto di Radio Londra; che il campo che doveva accogliere il lancio di materiale alleato si presentava colmo di pietre e con una casetta di recente costruzione al centro; che il Distaccamento "Giuseppe Catter" [della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] era appostato, pronto ad intervenire, ad un'ora di cammino dal campo; che si era dovuto desistere dallo scavare le buche prescritte [per l'occultamento dal basso dei fuochi di segnalazione] in ragione della natura rocciosa del terreno; che i paracadute, appena recuperati, sarebbero stati nascosti in un anfratto già predisposto; che il vento, se continuava a soffiare in direzione di Alto (CN), sembrava ottimale; che a protezione dell'operazione aveva predisposto nei pressi del campo di lancio i Distaccamenti della II^ Brigata. Al documento era allegata la cartina topografica in scala 1:25.000 del campo di lancio.
7 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione - Comunicava che ad Albenga era imminente l'arrivo di nuove truppe, probabilmente un reggimento della Divisione San Marco; che a Pieve di Teco dovevano giungere circa 400 soldati dalla Germania, "elementi giovani già appartenenti all'aereonautica"; che a Pogli [Frazione di Ortovero (SV)] ed a Vessalico sarebbero stati inviati soldati tedeschi a presidiare i ponti; che i tedeschi a Cervo continuavano le esercitazioni con un'arma anticarro "che con l'esplosivo è in grado di fondere la parte del carro che viene colpita"; che i tedeschi a Capo Cervo controllavano le mine lungo la strada che portava ad Andora.
7 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 183, alla banda locale di Ginestro - Disponeva la presenza di una pattuglia sul Passo di Cesio per il giorno successivo dalle ore 23 alle ore 9 e la segnalazione di allarme al Distaccamento garibaldino più vicino una volta avvistati i nemici che lungo la strada di Testico, non transitabile da automezzi, sarebbero necessariamente saliti a piedi.
8 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 8, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Trasmetteva le informazioni ricevute il 6 marzo dal Distaccamento "Torcello" della II^ Zona Operativa Liguria.
9 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. 81, al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che era imminente un rastrellamento nemico nella zona di Albenga (SV); che di conseguenza la Brigata doveva assumere misure di sicurezza...
10 marzo 1945 - Da "K. 20", prot. n° 2, alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che a Diano Marina in regione Chiapazzo si stava installando una radio rice-trasmittente presso la compagnia mortai.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

giovedì 23 febbraio 2023

Mentre stava passando per Capo Berta per raggiungermi, mia madre aveva visto fucilare da tedeschi e fascisti Adolfo Stenca, insieme ad una decina di altri nostri combattenti

La zona del Dianese. Foto: Giulio Meinardi su Wikiloc

Negli ultimi giorni di gennaio del 1945 dal CLN di Diano Marina ci venne segnalato un nuovo, probabile, rastrellamento nell'alta valle dianese. Discutemmo sul da farsi. Si decise di sistemare la ventina di uomini addetti al Comando della I^ brigata ["Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"] in alcuni rifugi predisposti a monte di Diano San Pietro, in località Besta. Appunto, siccome in inverno la vegetazione era quasi nulla, gli alberi erano spogli e sovente il suolo era coperto dalla neve, per i nazifascisti, con le attrezzature efficienti di cui disponevano, era facile localizzare gruppi di partigiani. Quindi l'unico modo per difenderci era quello di scavare dei rifugi sotterranei ove nasconderci. Poiché gran parte del territorio, coltivato a oliveti, era a gradoni, si trattava di penetrare in un antro dal quale era stata asportata la terra, attraverso un buco attuato nel muro a secco di sostegno. L'antro poteva contenere non più di cinque persone. Dopo che i partigiani vi erano entrati, da fuori un compagno chiudeva il buco rifacendo per bene il muro a secco con alcune pietre; compiuta l'operazione, doveva dileguarsi come poteva.
Ritornando al discorso di Besta (nei pressi della località era ubicata una baita dove si era rifugiato il Comando della brigata), mentre la maggior parte dei partigiani si era rintanata, rimanemmo una mezza dozzina fuori. Non c'era più posto per noi. In questi frangenti venne in nostro soccorso un vecchio antifascista, trentasettenne, il sapista Gaetano Sgarbi, il quale in barba ai tedeschi ci propose di scendere a Diano, presso una casetta, in località Sant'Anna, di proprietà di Anna Tassi, madre di Vladimiro, un altro sapista di cui diremo dopo.
Ma Federico [Federico Sibilla], che intanto era diventato commissario di brigata, ci fece notare che eravamo in troppi per rifugiarci nella casa della Tassi, e mi invitò a ritornare in uno dei rifugi di Besta. Pensai di ritornare sui miei passi insieme al garibaldino Franco Piacentini ("Raspen"), che era sceso dalla montagna per procurare a lui ed agli altri dei viveri.
Questo invito di Federico non mi sembrava giusto poiché io facevo parte, a tutti gli effetti, del Comando della brigata e avrei preferito rimanere insieme ai miei abituali compagni. Comunque non feci discussioni e, insieme a "Raspen", racimolato un poco di pane, un poco di tabacco e qualche altra cosa da mangiare, incominciai ad avviarmi verso i rifugi. Sennonché, mentre scendevamo la scaletta della baita, incontrammo Giuseppe Saguato ("Pippo"), comandante del distaccamento "Francesco Agnese", il quale mi chiese dove stavo andando. Ascoltate le mie ragioni, mi invitò ad andare con lui, anche se Federico mi aveva suggerito di raggiungere i rifugi di Besta. Mi fece presente che nella casetta a Sant'Anna c'era posto anche per me.
Fu in quel momento che mi separai da "Raspen" e seguii Pippo. Ci accompagnava il sapista Gaetano.
Su suggerimento di "Moschin", altro compagno di lotta, per abbreviare la strada ci azzardammo a passare nei pressi della batteria tedesca dislocata in località Ciapasso.
Probabilmente i soldati udirono il nostro scarpinare nella notte perché spararono alcune raffiche col mayerling, ma tutto finì bene.
Ci fermammo nella casa della Tassi tre giorni e due notti; fummo trattati da quella signora con ogni gentilezza; riuscii a fare conoscere a mia madre dove mi trovavo per cui essa mi raggiunse con molti viveri, ma insieme ai viveri ci recò una grave notizia.
Rimasi stupito di vederla pallidissima in volto mentre parlava; ci informò che, mentre stava passando per Capo Berta per raggiungermi, aveva visto fucilare da tedeschi e fascisti il caro compagno Adolfo Stenca, capo dell'ufficio informazioni, partigiano, insieme ad una decina di altri nostri combattenti, prelevati dalle carceri di Oneglia.
Nella sua disperazione ci fece presente quanta paura aveva per la nostra vita.
Non ci rimaneva che farle coraggio dicendole che presto la guerra sarebbe finita e noi saremmo ritornati, tutti, alle nostre case.
Era il 31 gennaio 1945: andò via un poco più sollevata di animo, ma non del tutto convinta.
Nella notte fummo svegliati dal solito aereo solitario, soprannominavamo "Pippetto", il quale sganciò una bomba (forse per colpire i tedeschi del "Ciapasso") molto vicino a noi. Ci venne da pensare che non solo avevamo contro i nazifascisti, ma anche gli alleati angloamericani.
Il giorno successivo sentimmo dei colpi di mortaio che i tedeschi sparavano dal "Ciapasso"; un colpo finì davanti alla Chiesa di Diano Marina uccidendo tre bambini e ferendo alcune persone.
La terza sera - dopo che Massimo Gismondi ("Mancen"), comandante della brigata, aveva preso contatto con Giancamillo Negro, ufficiale della brigata nera il quale si dichiarava amico della Resistenza e diceva che per noi non ci sarebbero stati rastrellamenti e dopo aver consegnato a "Mancen" stesso il suo armamento - partimmo per rientrare nella nostra zona.
Dormimmo in un'altra casetta, in località "Biascine", di proprietà dello Sgarbi, perché non ci fidavamo per niente dell'ufficiale fascista.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998

sabato 18 febbraio 2023

Il reparto speciale antiribelli della Questura si sposta frequentemente

Dintorni di Triora (IM). Foto: Eleonora Maini

A maggio 1944 i distaccamenti partigiani dipendenti da Nino Curto Siccardi ammontavano a sei, considerando anche il gruppo di Mirko (Angelo Setti, in seguito vice comandante della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione").
Nel medesimo periodo i tedeschi emanarono un ultimatum diretto ai "ribelli" che agivano in montagna. Un titolo eloquente: "Si tratta dell'ultima occasione". Pervenne ai patrioti sotto forma di volantini lanciati da alcuni aerei.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
Nei primi giorni del maggio 1944 esce il bando fascista contraddistinto dalla frase "È L'ULTIMA OCCASIONE", col quale ancora una volta si intima ai militari di presentarsi, e ai partigiani di deporre le armi, pena la morte, fissando il 24 maggio 1945 come termine di scadenza per la presentazione stessa.
Vittò [Ivano/Vitò, Giuseppe Vittorio Guglielmo], Erven [Bruno Luppi], Tento [Francesco Tento, già sergente maggiore dei reparti repubblichini G.A.F. (Guardia Armata alla Frontiera)] e Marco [Candido Queirolo] fanno affiggere alcuni esemplari del manifesto nei pressi delle baite che servono da alloggiamento, perché tutti i partigianipossano liberamente scegliere se andare o stare.
Nessuno va; anzi, ogni giorno arrivano nuove reclute.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Nella settimana testè decorsa l'attività dei ribelli nel territorio di questa provincia è stata particolarmente intensa.
Il 9 corrente, in ora imprecisata, in località campestre prossima alla frazione S. Lazzaro del Comune di Chiusavecchia, ignoti tagliavano il filo della linea telefonica militare tedesca, interrompendo le comunicazioni, a scopo di sabotaggio.
In ora imprecisata del 12, ignoti, in territorio del Comune di Mendatica, a scopo di sabotaggio, hanno tagliato i fili della linea telefonica militare tedesca, interrompendo le comunicazioni.
Nel territorio sovrastante Oneglia si sono pure verificati tagli di fili della rete telefonica militare germanica.
L'autorità militare tedesca ha richiesto degli ostaggi per la vigilanza delle linee telefoniche nelle località ove si sono verificati i suddetti atti di sabotaggio.
Un buon numero di ribelli armati si è portato nel bosco "Bugliena" in frazione di Buggio di proprietà del Comune di Pigna, e nel bosco "Colletta Manaira" in territorio del Comune di Castelvittorio, entrambi in via di utilizzazione.
I ribelli hanno imposto agli operai di sospendere immediatamente i lavori, avvertendoli che qualora si fossero presentati nel bosco sarebbero stati fucilati.
Alcuni operai furono incaricati di diffidare il proprietario a continuare il taglio, minacciando di incendiare i boschi e distruggere la teleferica.
Tale episodio ha prodotto la sospensione dei lavori di taglio e quindi la diminuzione della produzione di legna e carbone per i bisogni della popolazione civile.
Se tali episodi dovessero ripetersi ci si troverebbe nella impossibilità di mantenere la produzione con il ritmo regolare adeguato ai bisogni della provincia.
Tre sconosciuti disarmati, qualificatisi "patrioti", sono entrati nella scuola elementare di Pieve di Teco e hanno asportato due cartelli dell'alfabeto con le parole "bandiera", "fascio" ed il quadretto del martire maltese Carmelo Borgo PISANI.
Pure a Pieve di Teco, cinque così detti "patrioti" asportavano, con la minaccia delle armi, l'apparecchio radio della scuola.
Nella frazione Montegrosso del Comune di Mendatica, alcuni ribelli hanno asportato con violenza la bandiera della scuola, nonostante l'opposizione dell'insegnante.
Nella notte sul 12 corrente, nel Comune di Triora, tre sbandati costringevano, sotto la minaccia delle armi, l'esercente della rivendita generi di monopolio Caprile Leonardo a consegnare loro tabacchi e cerini per l'importo di £. 1275, da essi rimborsato.
Il 14 corrente, verso le ore 23, in Cervo S. Bartolomeo, quattro ribelli armati di moschetto, pistola, pugale e bombe a mano, si presentavano nell'abitazione del capitano marittimo Calo Attilio di anni 62, assente, e procedevano ad una perquisizione, asportando preziosi, danaro, buoni del tesoro ed oggetti vari, arrecando un danno di lire 100.000 circa.
Il 10 corr. in regione "Colle Manaira" tra "Carmo Langan" e "Palazzo Maggiore" 15 ribelli armati fermavano alcuni boscaiuoli, strappando i documenti che portavano addosso. Di poi si presentavano nell'abitato della frazione di Buggio, prelevando 6 giovani. Tale fatto suscitava vivo allarme in quella popolazione, la quale è costretta a subire la violenza dei ribelli ed a favorirli, in quanto non si sente tutelata dalle forze legali, che o non sono presenti o arrivano sul posto troppo tardi e quando i ribelli hanno abbandonato la zona.
Il 15 corrente, in località "Chiappe" [Chiappa] del Comune di Cervo S.Bartolomeo, otto ribelli armati prelevavano, con violenza, nella propra abitazione, il contadino CASALINI Stefano, fascista, il cui cadavere veniva poi rinvenuto - ucciso con colpi d'arma da fuoco - successivamente in contrada campestre del Comune di Andora (Savona).
Viene segnalato che gruppi di ribelli dai baraccamenti di "Cima Marta" e "Monte Grande" si sono spostati verso "Bregalla" e "Cetta", occupando case dei contadini della zona. Tali gruppi sarebbero comandati da un ex sergente maggiore, certo ZENTA Pietro [n.d.r.: Pietro Tento], già appartenente alla G.A.F. del sottosettore di Triora.
I capi delle bande di ribelli di questa Provincia, ex tenente colonnello VANNI (ora autopromossosi generale) ed il tenente colonnello di artiglieria CALORETTI, già comandante il gruppo di Molini di Triora, si sarebbero recati nel Cuneense.
E' stato segnalato che una forte banda di ribelli armati ed inquadrati, in uniforme grigio-verde dell'ex-esercito, ha sostato nel territorio di Pornassio, proveniente dal comune di Alba (Cuneo), dirigendosi poi verso la frazione di Nava del comune di Pornassio. Si apprende che tale banda sia stata rifornita di armi e munizioni la notte sul 12 corr. da aerei nemici, e che altre bande di eguale forza, provenienti pure da Alba (Cuneo) si sarebbero dirette contemporaneamente nella zona di "Monte Melogno" del comune di Calizzano (Savona).
Da qualche giorno nella zona sita tra il Colle S.Bartolomeo (comune di Borgomaro) ed il colle di S. Bernardo (comune di Rezzo) viene notata la presenza di più nuclei di ribelli, costituiti ciascuno di 20 uomini circa, i quali, per il momento, si mantengono lontani dagli abitati.
Fonte sicura segnala che preponderanti forze di ribelli, suddivise in bande di 30 uomini ciascuna, trovansi distaccate nella zona campestre tra Pigna, Cima Marta, Colle Ardente, Monte Saccarello - Molini di Triora. Il loro numero sarebbe di circa 2000. Sono armati di armi automatiche (mitragliatrici e fucili mitragliatori), di mortai da 45 e da 81, di mitra, di moschetti e di bombe a mano.
La dotazione di ogni banda sarebbe di una mitragliatrice con 1000 colpi, di due mortai da 45, con circa 50 granate e di un fucile mitragliatore con circa 1000 colpi. La dotazione individuale sarebbe di un fucile o moschetto con 5 o 6 caricatori e di tre bombe a mano.
In località Goina, in valle del Capriolo, frazione di Triora, si troverebbe una banda comandata da 3 ex ufficiali, che presidia le località di Verdeggia, Carneli e Realdi [Realdo].
Da qualche giorno gruppi di ribelli si sono portati oltre Buggio ed il bosco di "Bugliena", incitando anche i giovani ad arruolarsi tra i partigiani. Risulta che un ex tenente, certo LOLLI [Giuseppe Longo], tiene il collegamento tra le bande suddette con quelle di Nava.
Il reparto speciale antiribelli della Questura si sposta frequentemente ovunque venga segnalata la presenza di ribelli.
Nella decorsa settimana si è portato in territorio dei comuni di Chiusavecchia e di Borgomaro, prelevando alcuni ostaggi e procedendo al fermo di renitenti.
Continua l'assunzione del personale ausiliario agenti, laddove alcuni ausiliari dimostratisi inidonei, specie per motivi disciplinari, sono stati licenziati.
L'addestramento tecnico e professionale del personale ausiliario procede con ritmo accelerato mediante lezioni giornaliere impartite da Funzionari di polizia.
Fervono tuttora le indagini per la scoperta degli assassini del parroco di Castelvittorio, già segnalato con la precedente relazione.
La situazione economica della provincia è stazionaria.
Circa la situazione del personale Funzionari di polizia si fa presente che è stato testè disposto il trasferimento del Commissario Agg. VERRUSIO Roberto da questa provincia a Vicenza, senza sostituzione.
Data la nota deficienza di personale effettivo in questa Provincia, si prega di voler provvedere, con l'urgenza che il caso richiede, alla sostituzione del Verrusio ad Imperia con altro Funzionario effettivo, facendo presente che alla Questura del Capoluogo prestano attualmente servizio soltanto tre funzionari effettivi, il cui numero è assolutamente insufficiente alle esigenze dei vari servizi di polizia, nelle attuali contingenze, specie se si considera la necessità, non infrequente, di dover inviare in altre località della Provincia funzionari per accertamenti ed inchieste di carattere politico.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Al Capo della Polizia - Maderno, 15 maggio 1944 - XXII. Documento "MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4" dell'Archivio Centrale dello Stato di Roma