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mercoledì 16 agosto 2023

Il pallido sole di quel primo giorno aveva accompagnato i tedeschi a Pietrabruna nelle prime ore del mattino

La zona di Pietrabruna (IM) vista da Civezza

Il verde del Faudo ingialliva, i cespugli erano diventati sterpi, le ultime foglie calavano silenziose per non turbare il freddo incanto dell'inverno ormai presente. Alla “Bramosa” era stata presa una decisione: spostare il campo. La brutta stagione e la lunga permanenza nello stesso posto rendevano opportuno il cambiamento; sul monte, diventato brullo, la piacevole brezza estiva era solo un ricordo, spirava, ora, un freddo vento che aumentava col passar dei giorni. Come nuova base venne scelto il bosco dei ”Lavanin”, situato al di sotto del Faudo, sul versante sud, venendo così ad evitare i venti del nord e trovandosi inoltre vicino a Pietrabruna, da cui poter attingere informazioni e rifornimenti alimentari. Oltre a ciò, diversi paesani si recavano settimanalmente sulla costa e nella città capoluogo, particolarità questa che a noi tornava molto utile; il bosco, poi, coni suoi robusti tronchi che coprivano un vasto tratto, dava la possibilità di mimetizzarsi al meglio; nella valle, infatti,i soli uliveti più vicini al mare conservavano interamente il fogliame anche nel periodo invernale, ma la loro vicinanza alle postazioni fisse nemiche sconsigliava l'insediamento. Al centro di una radura vennero sistemate la cucina e le poche riserve di alimentari, mentre il distaccamento, diviso in piccoli gruppi, prese posto nei rifugi in pietra disseminati all'intorno. Lunghe ore di giornate interminabili, trascorse fra nodosi alberi i cui rami spogli sembravano chiedere un po di sole ad un cielo ermeticamente grigio; unico intermezzo, ritrovasi alla distribuzione del rancio per ricevere minestre di riso altrettanto lunghe, arricchite con l'aggiunta di qualche patata, il cui ritrovamento veniva segnalato con un grido di trionfo dal fortunato scopritore. Il tedio di quei giorni era confortato dal lento, ma inesorabile passare del tempo, il pensiero del domani aiutava a sorridere. Spesso, con pochi compagni, ci si appartava nelle vicinanze e si accendeva un fuoco; un elmetto poi, una vecchia casseruola, bucati, servivano per arrostire le castagne preventivamente raccolte. Un sasso per sedile e una coperta sulle spalle, a difesa dell'invadente umidità, moderni zingari che la guerra affratellava, e scorrendo le ore, fra lo scoppiettio delle castagne che si arrostivano; ricordi di esperienze diverse, nel calore di un fuoco che avvicinava, episodi raccontati con l'esuberanza della giovinezza e la pacatezza della maturità, e così per molte ore di quei giorni, fino a quando il freddo diventava pungente e l'ombra della sera ci raccoglieva infreddoliti nel piccolo rifugio illuminato dal lanternino ad olio. E si parlava ancora, si raccontava, arrestandosi a tratti per ascoltare il brusio del vento fra gli alberi del bosco, insieme e vicini, fino al giungere puntuale del sonno. Era arrivato dicembre [1944] e il pallido sole di quel primo giorno aveva accompagnato i tedeschi a Pietrabruna nelle prime ore del mattino. Una malcelata inquietudine agitava l'intera base, la segnalazione era stata portata dal nostro incaricato all'acquisto del pane, il quale, in procinto di entrare in paese, aveva fortunatamente incontrato un contadino che ne usciva per avviarsi al consueto lavoro; l'informazione raccolta era scarna e consisteva nel diretto incontro dello stesso con un paio di soldati tedeschi che avendo proseguito nel loro cammino, del tutto indifferente; non poteva perciò fornire altre informazioni. Oltre a ciò, da qualche giorno circolavano voci sulla presenza in Pietrabruna di una spia, che risiedeva nel paese, attendibilità difficile da stabilire per il sensibile numero di persone che per ragioni di lavoro o affari si recavano periodicamente ad Imperia, centro per l'intera zona di uffici informativi e comandi delle varie armi, impegnati esclusivamente nella repressione della guerriglia. L'insicurezza sul da farsi durò per poco, era necessario defilarsi immediatamente per evitare un probabile scontro con un nemico di cui non si conosceva la forza e l'intenzione. Si procedé quindi ad evacuare il campo, avviandosi verso un settore della valle privo di sentieri; un percorso sui resti di una rada vegetazione, fatica e spine consuete, abbondante sudore per lo sforzo espresso. Si ritenne opportuno spostarsi sul versante opposto alla posizione del nostro campo, annullando il vantaggio della possibile informazione fornita al comando tedesco. Il ritmo della marcia ci impegnava totalmente e scaricava il vuoto d'una noia accumulata in giorni inutili; la fatica non preoccupava e le mani, nello stringere la armi, ne carpivano una nuova energia. Il fondo valle in breve raggiunto e, dopo il torrente, si scavalco la strada carrareccia con estrema prudenza; durante il tragitto si erano raccolte altre voci che assicuravano la presenza dei soldati e la loro probabile intenzione di rientrare in giornata nella riviera; naturale, quindi, il delinearsi di un piano operativo preciso. La strada nel suo tortuoso percorso accompagnato dai vari dislivelli, rendeva particolarmente idoneo il nostro appostamento, accuratamente disposto su un grosso sperone roccioso, proteso sulla stessa, alla fine di un'ampia curva. Distesi fra le rocce si attendeva pazienti, una insolita calma si evidenziava nei gesti dell'intero reparto tranquillizzato dalle ultime informazioni che capovolgevano la situazione completamente. Si ritorna ad essere cacciatori, pronti a colpire la pericolosa selvaggina. L'attesa d'un tempo che sembrava arrestarsi divenne ansia, i minuti diventavano ore, e nella strada il vuoto; Il nervosismo comincio ad affiorare, le voci salirono di tono nel chiedere il da farsi, infrangendo la dovuta prudenza ma, improvviso, un rumore, un rumore di passi prodotto da poche persone, e alla svolta apparvero due paesani che, tranquilli, procedevano verso il fondo valle. Il nostro richiamo li bloccò immediatamente, e alla domanda: “dove sono i tedeschi”, apparve sui loro volti un'evidente espressione di stupore, subito seguita dalla risposta verbale che, questa volta, stupì noi tutti: “quali tedeschi”. I contadini provenivano direttamente dal paese e, a loro sentore, non vi esisteva alcuna presenza di forze germaniche; qualche parola ancora di precisazione , un amichevole saluto, e se ne andarono tranquilli com'erano venuti. Ci si guardò in faccia senza parlare, si raccolsero le armi per incamminarsi subito,disordinatamente, verso Pietrabruna; alla silenziosa perplessità rifiorì il dialogo, malgrado la stanchezza cominciasse ad affiorare. Il resto del percorso continuò nella ricerca d'una motivazione che giustificasse la logica dei fatti intervenuti. Le prime case del paese erano già superate e si continuava a procedere a piccoli gruppi, chiacchierando animatamente quando, improvviso, il fulmine; armi nascoste esplosero nei nostri timpani, “majerling e machin pistol” sgranavano spietate i loro colpi in continuazione. Attimi di nebbia, in un brancolare nel vuoto; senza saperlo, ero già a terra, perfettamente immobile in un diluvio di pensieri che smarrivano la mente, urla e richiami all'intorno, mentre le armi non cessavano il pauroso ritmo; vicina la voce amica di Vento che urlava: “Faggian è morto”, e un piede mi saliva sulla schiena; una confusione caotica, indescrivibile e, improvviso, il silenzio. Le armi tacevano, forse il nastro dei proiettili era terminato ed era necessario qualche secondo per sostituirlo, e allora scattai, ponendo tutta l'energia di cui ero capace, come allo sparo d'uno starter che comanda la corsa; una decina di metri e mi abbandonai sul fianco della massicciata che sosteneva il sentiero, le mani aggrappate all'erba che l'avvolgevano, celando aguzze pietre; cinque o sei metri e mi trovai sul fondo perfettamente illeso, le ammaccature non contavano; l'arma era ancora silenziosa. Storditi e attoniti, come ubriachi, ci si allontanò rapidamente nella sicura copertura delle alte gradinate che circondavano l'abitato. Per la prima volta avevamo subito un'imboscata, acquisendo una nuova esperienza, ed era inutile al momento ricercarne il perché; era opportuno ricongiungersi all'altro gruppo, nell'imprevisto il distaccamento s'era diviso in due. Stanchi, ma soprattutto depressi per lo smacco ricevuto, e constatando le difficoltà del ricongiungimento, si occupò l'intero pomeriggio in sicuri appostamenti, stringendo la cinghia abbondantemente allentatasi, e solo verso sera, poco prima del calar della notte, si affrontò la marcia del rientro. Al “Lavanin” un uomo solo attendeva, ci comunicò di salire al vecchio campo della “Bramosa”, dove l'altro gruppo ci aveva preceduti; i tedeschi, e questa volta l'informazione veniva data per certa, avevano abbandonato Pietrabruna dirigendosi sulla costa. Provati dal peso della giornata [14 dicembre 1944], percorremmo lentamente l'ultimo tratto di strada che ci separava dal campo, accompagnati dal solo rumore delle nostre scarpe, e quando lo si raggiunse, un pallido sole, liberatosi dalle nubi, si immergeva piano sul profilo del mare. Una giornata intensa e fortunata, ma non per tutti: Lolli, Luigi Rovatti, del gruppo modenese, era stato colpito da un proiettile di “machine pistol” che gli s'era incastrato in prossimità della spina dorsale; cominciò per lui la dura prova di una continua fuga, peregrinando da una valle all'altra, nel tentativo di sfuggire alla cattura, resa più facile dalle sue condizioni.
Renato Faggian (Gaston), I Giorni della Primavera. Dai campi di addestramento in Germania alle formazioni della Resistenza Imperiese. Diario partigiano 1944-45, Ed. Cav. A. Dominici, Imperia, 1984, pp. 81-85
 
Si trattava, invece, quasi del preludio al tragico eccidio di Torre Paponi, Frazione di Pietrabuna, situata più a valle del paese, una efferata strage nazista che da Faggian viene rammentata qualche pagina dopo.
Adriano Maini 
 
E' stato uno dei peggiori eccidi di cui si macchiarono le truppe d'occupazione naziste durante la Guerra di Liberazione che divise l'Italia nel tragico triennio 1943- 1945. E' l'eccidio di Torre Paponi il cui orrore, senza nulla togliere alle stragi di Marzabotto o Sant'Anna di Stazzema, ha colpito nei decenni dell'Italia repubblicana l'immaginario collettivo dei tanti studiosi che si sono applicati allo studio della Resistenza in Italia.
I fatti accaddero esattamente settant'anni fa, il sedici dicembre del 1944. Inverno duro e tragico quello che precedette la Primavera di Liberazione, soprattutto nell'estremo Ponente ligure. Già era caduto in quel di Alto, combattendo, il "mitico" capo partigiano Felice Cascione ma nell'Imperiese, la cui Provincia non a caso si fregia della Medaglia d'oro al valore militare, le bande partigiane davano parecchio filo da torcere ai nazi-fascisti per i quali l'entroterra rappresentava una vera e propria incognita. Fu così che i comandi tedeschi escogitarono la rappresaglia contro i molti contadini che nei paesi abbarbicati alle pendici delle Alpi liguri solidarizzavano con i combattenti per la libertà, di qualsiasi credo politico fossero.
La mattina del sedici, credendo di trovare a Torre Paponi, oggi frazione montana del Comune di Pietrabruna, gruppi partigiani, i tedeschi risalirono armati sino ai denti la stretta valle alle spalle di San Lorenzo al Mare. Molti civili, vedendoli salire determinati, si diedero alla macchia nei boschi quasi presagendo quella che sarebbe stata la tragica fine di molti loro compaesani. I nazisti occuparono in una manciata di minuti il borgo, poi radunarono gli abitanti rimasti (molti erano donne e bambini) nella barocca chiesa parrocchiale. Qui condussero anche, orribilmente torturato, il curato Don Vittorio De Andreis che ritenevano un fiancheggiatore delle bande partigiane.
A questi affiancarono il parroco, Don Pietro De Carli, reggiano di Guastalla. Incendiarono poi gran parte di Torre Paponi distruggendola. Non paghi di tanto orrore diedero fuoco pure ai due sacerdoti che morirono tra sofferenze atroci. Parimenti furono uccise altre ventisei persone del paese. Le uccisioni proseguirono, pure, il dì appresso.
Sergio Bagnoli, Settant’anni fa Torre Paponi, una delle peggiori stragi naziste del secondo conflitto mondiale, Agora Vox, 15 dicembre 2014  
 
[...] il dramma di Torre Paponi, piccolo paese a sud di Pietrabruna, che rappresentò per le valli imperiesi l'assurda violenza espressa da uomini armati contro altri uomini disarmati e indifesi. Borgo dell'entroterra che non supearva i centoventi abitanti, in prevalenza contadini, venne occupato nella metà di dicembre da un reparto di soldati tedeschi. Non un solo abitante risultò in possesso di armi e nessuno riuscì a superare il tragico cerhio: due preti, due donne e una ventina di uomini, i capi famiglia dell'intero paese, vennero abbattuti a colpi di pistola sul sagrato della chiesa, una confusa massa di corpi che coprì lo spiazzo di sassi chimamto piazza. Negli occhi di Italo (Maurizio Massabò), il nuovo comandante [n.d.r.: del distaccamento di Faggian, inquadrato nella IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione], uno smarrimento che trasmise a noi tutti, ancora restii nell'accettare il drammatico racconto.
Renato Faggian, Op. cit., pag. 90

lunedì 19 giugno 2023

Quando i partigiani sono ormai fuori tiro, il nemico si libera degli ostaggi ormai inutili

Testico (SV). Fonte: Mapio.net

Mentre oltre la "28" si attendeva il lancio, verso il mare la vita continuava normale. Se a nord della Val Lerrone la zona pareva priva di partigiani ed i Comandi brigata con gli uomini rimasti continuavano la vita clandestina, nella Val d'Andora il Comando brigata era tornato all'aperto e si era installato a San Gregorio, dove arrivavano staffette e borghesi. L'avere di nuovo un punto di riferimento, un Comando di brigata efficiente, rialzava il morale di tutti, facilitava la ripresa. Pur essendo rimasti in pochi in attesa di quei del lancio, la fiducia che tra poco sarebbero stati più forti ricreava nella Val d'Andora un ambiente che da mesi era scomparso. Anche nei contadini, nei civili la fiducia tornava ed i partigiani erano di nuovo chiamati patrioti.
La polizia della I Brigata non si limitava a compiti militari: un vecchio con un sacco di maglioni e pantaloni bagnati venne arrestato ed interrogato. Affermò di essere caduto in acqua nella zona del Pizzo d'Evigno, mentre in tutta quella zona non c'era che una misera fontanella. Affermò di conoscere "Mancen" [n.d.r.: Giuseppe Gismondi, comandante della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"], ma non lo riconobbe mentre era proprio interrogato da lui. "Mancen" lo ritenne colpevole e, prima di partire per la zona del lancio, lasciò l'ordine di fucilarlo. "Federico" [Federico Sibilla, commissario della I^ Brigata] fece condurre il prigioniero a Stellanello e lo lasciò legato sulla piazza con la refurtiva ai piedi: se qualcuno avesse riconosciuto come sua la roba l'avrebbe potuta ritirare e noi avremmo fucilato il vecchio come ladro. Nessuno, nemmeno dopo qualche giorno, si presentò a rivendicare il suo. Invitammo i parroci dei paesi vicini ad avvertire i fedeli: nemmeno così ottenemmo nulla; allora il vecchio venne liberato e gli indumenti distribuiti ai partigiani. Il furto era stato consumato a Degna dove gli indumenti, lavati, erano stesi ad asciugare. Solo per caso ne venni informato ed avvertii io gli interessati che il ladro era stato trovato e ormai rilasciato. Qualche maglione lo restituii io, per gli altri i borghesi preferirono rinunciare piuttosto che sobbarcarsi qualche ora di marcia fino a San Gregorio. L'opinione pubblica cominciò a poco a poco a considerarci non più come esseri braccati e fuggiaschi, ma come una realtà organizzata ed efficiente.
Il Comando della Bonfante rientrò a Poggiobottaro il 9 aprile 1945. le varie squadre raggiunsero le rispettive bande portando il prezioso materiale del lancio e la notizia del pieno successo.
Il morale migliorò ancora; se il Comando divisionale continuava la tattica clandestina, facendo anzi costruire a Poggiobottaro un rifugio sotterraneo per la missione alleata e gli apparecchi radio trasmittenti, il cui arrivo si annunciava imminente, le bande invece ritornavano quasi ovunque  al vecchio inquadramento estivo. Venivano ripresi i pattugliamenti ed i servizi di guardia, le squadre tornavano a riunirsi, le nuove reclute continuavano ad affluire, si riprendeva la tattica dell'offensiva ad oltranza.
Col miglioramento del morale i partigiani acquistavano una maggior sicurezza, le montagne a poco a poco tornavano verdi.
"Vedi quei cespugli, quelle foglie che spuntano" mi diceva Mala una sera a Ranzo, "quella è per me la miglior propaganda. Non sono le notizie radio o le avanzate americane ad alzarmi il morale, è la primavera, sono le foglie che non tradiscono mai".
Ed infatti arbusti e cespugli offrivano mille rifugi lungo mulattiere e sentieri; le staffette tornavano a circolare, sicure che vaste zone interne erano di nuovo sotto il nostro controllo. Non è ormai lontano il giorno in cui, bloccati gli accessi delle principali vallate, appoggiate le bande l'una all'altra potremo avere uno schieramento organico come ai tempi di Rezzo e Piaggia senza la tensione e la precarietà degli schieramenti realizzati per difendere i lanci. L'intenzione di attaccare le colonne nemiche che si avventurassero nella nostra zona torna a manifestarsi. Operando congiuntamente con varie bande avremmo potuto infliggere al nemico duri colpi, obbligarlo per l'avvenire a rinunciare alle puntate per noi micidiali, obbligarlo a tornare ad operare con colonne numerose e pesantemente armate che, operando sulle carrozzabili, mancavano del fattore sorpresa e e potevano minacciarci solo saltuariamente.
Le maggiori cure del Comando divisionale vennero rivolte alla I Brigata mentre le altre subivano un rimaneggiamento dei quadri, entrando cosi in una nuova crisi di assestamento.
La I con le cinque bande schierate nella Val d'Andora era destinata ad un compito di primo piano essendo la più vicina alla costa. Il morale più alto, l'armamento ed il comando migliore facevano inoltre sperare al comando divisionale di avere un valido appoggio nel caso che il nemico attaccasse Poggiobottaro.
Dopo il lancio le bande della I estesero la zona occupata includendovi le valli di Cervo e di Diano. Il plastico esplosivo avuto col lancio venne provato da "Stalin" [n.d.r.: Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata] sul ponte di Chiappa la cui distruzione avrebbe reso più lento un eventuale attacco nemico.
Il 10 aprile due partigiani in missione a S. Bartolomeo del Cervo affrontano due tedeschi in una abitazione privata nel tentativo di disarmarli. Il sopraggiungere di rinforzi obbliga i due garibaldini alla fuga; per potersi sganciare fanno fuoco sul nemico ferendo un tedesco ed uccidendo l'altro. Otto ostaggi borghesi catturati poco dopo vengono fucilati per rappresaglia. Un tentativo partigiano di liberare i prigionieri viene impedito dalla popolazione che teme nuove ritorsioni. Il giorno dopo il nemico passa al contrattacco: colonne tedesche salgono dal mare verso Tovo e Villa Faraldi. I partigiani del "Garbagnati", che erano attestati alle Fontanelle sopra Villa Faraldi, ripiegano in cresta apprestandosi a sostenere l'urto avversario.
I tedeschi da Villa puntano sulle Fontanelle, incendiano il casone, poi avanzano verso la cima venendo a trovarsi sotto il fuoco intenso dei nostri. La lotta è accanita e lunga: i tedeschi dal basso devono avanzare allo scoperto, in salita. I primi tentativi costano loro perdite sanguinose, poi fanno entrare in azione i mortai. I colpi cadono ritmici sulla cresta e sull'altro versante, il "Garbagnati" sotto la nuova minaccia ripiega.
Dalla Valle d'Andora frattanto il "Piacentini" [altro distaccamento della I^ Brigata] è partito in aiuto ai compagni. Non era conforme alle tradizioni della guerriglia accorrere dove il nemico attaccava, pure dopo tanti mesi una banda si è mossa in direzione degli spari: "Simon" [n.d.r.. Carlo Farini, già ispettore della I^ Zona Operativa Liguria, alla data corrente aveva già assunto un incarico clandestino regionale] ne sarebbe stato contento.
La manovra non è coordinata e pertanto è destinata all'insuccesso: i tedeschi ormai occupano la cresta, il "Garbagnati" ripiega per un'altra via e non incontra i rinforzi che salgono.
Le nuove reclute partigiane hanno il battesimo del fuoco in condizioni di assoluta inferiorità e devono sganciarsi rapidamente. Poco dopo anche i tedeschi ripiegano.
Da parte nostra uno solo manca all'appello: Antonio, il tedesco che era nel "Garbagnati". Diamo poca importanza alla cosa che invece avrà dopo pochi giorni conseguenze tragiche. Ignoriamo l'ammontare delle perdite nemiche.
Lo scontro del giorno 11 ha dato ai partigiani la misura della loro forza. Siamo ormai effettivamente forti abbastanza per poter affrontare e bloccare per qualche tempo il nemico sul nostro terreno.
Il morale migliora ancora dopo lo scontro, torna la fiducia ed il desiderio di misurarsi coi tedeschi anche in forti nuclei: potremo di nuovo contendere al nemico la terra che torna nostra.
Cacciato dalle Fontanelle bruciate, il "Garbagnati" si trasferisce a S. Damiano presso il M. Agnese di nuova formazione. Stalin persiste a non voler presidiare Tèstico, tranne questo punto però tutta la Val d'Andora è sotto il controllo partigiano cosicché anche il Comando divisionale si sposta a S. Gregorio assieme al Comando brigata. Giungendo dalla Val Lerrone o dal mare in Val d'Andora par di essere tornati ai tempi di Rezzo o di Piaggia.
Nelle altre vallate però il nemico mantiene ancora l'iniziativa. Il 13 una colonna fascista e tedesca piomba di notte a Ranzo e a Borghetto, preleva il segretario comunale sospetto di aver aiutato i ribelli e, dopo un rapido interrogatorio accompagnato da percosse, esasperati dai continui dinieghi, lo uccidomo gettando il suo corpo nel fiume.
La moglie dell'intendente Firminio, pur essa ricercata, riesce a stento a salvarsi.
Il 15 i tedeschi tentano un colpo che può riuscire grandioso: l'attacco alla sede del Comando Divisionale che la sera del 14 è rientrato a Poggiobottaro.
"Mario" [Carlo De Lucis, commissario della Divisione Bonfante], io ed uno del C.L.N. la notte tra il 14 ed il 15 dormiamo nel nuovo rifugio. Pensiamo che Tèstico è sempre sgombero e Poggiobottaro è fuori dalla zona controllata dalla I Brigata, gli altri, fiduciosi nella vicinanza delle bande di S. Damiano, si fermano in sede. A Ginestro il recapito staffette, che dopo il rastrellamento del 21 marzo, funziona saltuariamente ed è spesso assente, non è in grado di dare l'allarme.
Alle 8,30 del 15 aprile i tedeschi, occupata Ginestro, spingono colonne su Tèstico e Poggiobottaro. Raffiche di mitraglia improvvise e vicinissime destano "Giorgio" [n.d.r.: Giorgio Olivero, comandante della Divisione Bonfante] e "Pantera" [Luigi Massabò, comandante della Divisione Bonfante] che che sono ancora a letto. La sede del Comando è in una casa alla periferia del paese, in pochi istanti i due comandanti, seguiti da qualcuno del S.I.M., sono all'aperto, ma il nemico li scorge e fa fuoco su di loro. Correndo tra ulivi e cespugli, salvandosi con balzi improvvisi, "Giorgio" e "Livio" [Ugo Vitali, responsabile SIM della Divisione Bonfante] passano tra le pallottole nemiche. Pantera, ripetendo il gesto di Ginestro, cammina in piedi mormorando preghiere mentre la mitraglia nemica cerca inovano di colpire quel bersaglio visibilissimo.
Quando i nostri sono ormai fuori tiro i tedeschi, che già hanno preso ostaggi a Ginestro, catturano qualche uomo a Poggiobottaro, poi si spingono su Tèstico mitragliando la piazza della chiesa per impedire ai civili che stanno uscendo da Messa, di mettersi in salvo.
Occupato il paese fu visto Antonio, il tedesco, che era stato col "Garbagnati", guidare i compagni casa per casa facendo arrestare le famiglie che, per suo invito, avevano prestato aiuto ai partigiani malati e feriti. La caccia all'uomo è brevisima: i tedeschi temono la reazione partigiana.
"Tenete duro se vi attaccano" -  aveva promesso a "Giorgio" "Mancen" - "vi dò la mia parola che verrò con i miei uomini". "Giorgio" dalla cresta dove è appostato sente con emozione le raffiche di mitraglia di quelli della I Brigata, Mancen  non aveva promesso  invano.
Quando alla testa del "Garbagnati" "Mancen" entra correndo in Tèstico i tedeschi hanno già sgomberato il paese portandosi dietro una trentina di ostaggi. I garibaldini continuano l'inseguimento: il nemico pagherà cara l'incursione. Agganciati sulla via di Ginestro dalle mitraglie partigiane i tedeschi in ritirata si coprono con gli ostaggi. Nel trambusto un prigioniero riesce a fuggire, ma i tedeschi raggiungono il loro scopo: Mancen deve sospendere il fuoco permettendo ai tedeschi di ripiegare al sicuro verso Cesio.
Prima di lasciare la Val Lerrone, quando i partigiani sono ormai fuori tiro, il nemico si libera degli ostaggi ormai inutili: una lunga raffica di mitraglia ed i trenta civili cadono uno sull'altro fulminati venti metri sotto la strada mentre si avviavano verso casa.
Il colpo di Tèstico rivelò gli errori partigiani e la gravità della situazione nemica. Se da parte nostra senza perdite eravamo riusciti a porre in fuga per la prima volta dopo mesi un forte nucleo nemico penetrato nel nostro territorio, dobbiamo riconoscere che il massacro degli ostaggi, di quelli ostaggi, è imputabile, almeno indirettamente ai due errori di Stalin. Il primo era l'aver rifiutato di fucilare il disertore tedesco come era costume partigiano di fare, concedendogli anche la libertà di osservare e fuggire. Il secondo era stato il rifiuto di occupare Tèstico che aveva dato al nemico il tempo e la possibilità di conoscere e colpire quanti ci avevano appoggiato.
E' difficile però giudicare se Stalin avrebbe potuto resistere, tenere Tèstico per il tempo necessario all'arrivo dei rinforzi e se, nel caso avesse dovuto sgomberare il paese sotto l'attacco nemico, Tèstico sarebbe stato incendiato e distrutto. E' però ragionevole supporre che il "Garbagnati" avrebbe potuto tenere.
Quale era stato l'obiettivo dell'azione nemica? Sapevano i tedeschi che il Comando partigiano era a Poggiobottaro? Le notizie che ci aveva mandato il comandante delle Brigate Nere di Alassio ci portano ad escluderlo. Ad Alassio si sapeva che forti nuclei partigiani della Brigata "A. Viani" operavano in quel di Stellanello, che un altro gruppo comandato dal tubercolotico Boris unito a bande dell'ebreo Martinengo operava in quel di Alto. "A. Viani" era il nome della banda di Russo mentre "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario della Bonfante], un giorno che aveva la tosse, aveva detto scherzando nella trattoria di Nasino che gli restavano pochi mesi di vita. Evidentemente qualcuno aveva udito e riferito. D'esistenza di un Comando importante a Poggiobottaro pareva quindi che il nemico non fosse informato. Era stato prudente basarsi su questa informazione isolata e regolare su tale fiducia la tattica del comando?
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 232-239 

All’alba di domenica 15 aprile 1945 (la seconda dopo la Pasqua) due colonne tedesche muovono da Cesio e da Vellego verso il piccolo centro abitato di Ginestro, frazione di Testico, ove giungono alle sette del mattino per dare inizio al rastrellamento. I militari catturano una ventina di civili, uomini e donne sorpresi nelle loro case, e li legano con corde. Poi, proseguendo la marcia, uccidono senza apparente ragione un contadino al lavoro. Alle 8.00, arrivati nei pressi della chiesa, irrompono nell’edificio, catturano altre persone e pongono tutti gli ostaggi lungo un muro sotto la sorveglianza di un soldato. Il resto della truppa, in parte, prosegue con il rastrellamento che porterà alla cattura di altri ostaggi; in parte si dirige verso Poggio Bottaro. Intorno alle 9.00 un gruppo di partigiani, dalla vicina frazione di Santa Maria di Stellanello, spara sui tedeschi permettendo a 3 degli ostaggi di fuggire. In risposta, i tedeschi tornano verso la chiesa, si appostano presso l'osteria del paese e catturano altri 3 contadini di Torria. Infine, la colonna riparte con i prigionieri al seguito. Durante la marcia, si arresta presso la frazione Zerbini per catturare altri ostaggi. L'ultima tappa è Costa Binella ove avviene la selezione dei progionieri. Vengono rilasciati 3 giovani di Ginestro, 4 donne e 4 ragazze. Queste ultime verranno poi condotte al carcere di Imperia, sottoposte a interrogatori e paestaggi e rilasciate almeno una dozzina di giorni dopo. Restano in mano ai tedeschi 27 persone: 25 uomini e 2 donne che vengono separate dagli altri prigionieri, seviziate e uccise a colpi di baionetta. I 25 uomini, legati 2 a 2 col fil di ferro, sono falciati a colpi di mitragliatrice. Dopo il massacro, i corpi risultano irriconoscibili. Nel pomeriggio della domenica e nel giorno successivo, quando i compaesani raggiungono Costa Binella per cercare di identificare le vittime, per riconoscerle devono ricorrere al loro abbigliamento (Armando Zerbone e Leonardo Arduino ricordano di aver riconosciuto i rispettivi padri “solo dalle scarpe”).
Chiara Dogliotti e Giosiana Carrara, Episodio di Testico 15.04.1945, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

venerdì 9 giugno 2023

Un consistente gruppo di uomini armati in divisa rastrellava la zona del Santuario dell'Acquasanta


Verso le ore 13 del 16 agosto 1944 una staffetta avverte che una trentina di Tedeschi tenta di entrare in Badalucco per stabilirvi una consistente testa di ponte.
Immediatamente il gruppo del 9° distaccamento «Artù» della IV Brigata si sposta, si porta a breve distanza dal tratto stradale Badalucco ­Montalto, in località Poggio e Carcagnolo, ed attacca il nemico che lascia sul terreno due morti.
Successivamente la squadra partigiana prende posizione a circa due chilometri dal paese e le arrivano dei rinforzi con una mitragliatice pesante. Passa circa mezz'ora ed i nazisti rispuntano. L'attacco dei garibaldini anche questa volta è violento. I Tedeschi si difendono con grande accanimento, ma dopo due ore di sparatoria infernale si disperdono, contando numerosi feriti ed altri tre morti, tra cui un capitano ed un tenente. Inoltre, lasciano nelle mani dei partigiani due prigionieri ed un rilevante bottino: quattro machinen-pistole, un mitragliatore Majerling, cinque ta-pum, varie pistole e circa novemila colpi.
Il patriota Domenico Boeri (Menego) rimane ferito al braccio destro.
Il commissario Raffaele Amato (Elio), a fondo pagina del rapporto sull'operazione, ha posto la seguente nota: «Al nostro fianco ha pure collaborato il signor De Andreis Giobatta, babbo dell'agente investigativo «Pierò», sequestrando un mitragliatore e consegnandocelo...» (1).
Il Comando tedesco, in conseguenza dello scacco subito a Badalucco, organizza un rastrellamento per il giorno seguente. Nella prima mattinata i Tedeschi ed i soldati della divisione «San Marco» iniziano ad attaccare le forze partigiane dislocate sul monte Faudo.
Le sentinelle garibaldine si ritirano nel bosco, mentre nell'accampamento viene nascosta ogni cosa per salvarla e sottrarla agli aggressori.
Un'ora di silenzio. Oltre trecento nazifascisti avanzano, muniti di armi automatiche. Poi incominciano a sparare. Il 9° distaccamento si sgancia per l'impossibilità di accettare il combattimento in condizioni di manifesta inferiorità ed in considerazione delle disposizioni del Comando che impongono attacchi improvvisi al nemico ed improvvisi ritiri. I tedeschi non riescono ad avvistare l'accampamento, sicché ogni cosa resta salva. Ma, come al solito, al loro passaggio seminano ovunque strage e desolazione.
Nei prati tra il monte Faudo ed il monte Follia numerosi civili innocenti vengono barbaramente trucidati.
Altri civili inermi vengono inesorabilmente falciati nelle verdi campagne di Montalto Ligure e nell'abitato stesso. Nel numero degli uccisi figurano due religiosi del Santuario-Ospizio della Madonna dell'Acqua Santa: il sacerdote lituano don Stanislao Barthus ed il chierico Mario Bellino (2), accusati di aver collaborato con i patrioti.
La micidiale colonna prosegue ancora per Badalucco ove uccide altri due civili.
Come a Montalto, la popolazione assiste impotente al saccheggio ed all'incendio di alcuni fabbricati (3).
I rastrellamenti sono effettuati su segnalazione di spie, la cui azione è stata tanto meticolosa che l'ubicazione del distaccamento comandata da Arturo Secondo (Artù), è identificata con una precisione impressionante. Infatti, sopra una roccia si trova scritto con pittura rossa: "X ALT [poi, il disegno di una freccia con la punta in basso a sinistra] NON SBAGLIATE".
Sicché è necessario spostare l'accampamento e trasferirlo sul versante destro dell'Argentina in zona Tumena. (4)
Il commissario Raffaele Amato (Elio), cosi descrive la nuova sede: «Percorrere la strada Montalto-Triora. A circa un chilometro e mezzo dal ponte di Montalto Ligure chiedere informazioni della casa del dottor Rossi, una casa grande e bianca. A poca distanza c'è una mulattiera a sinistra che s'inoltra nel bosco e conduce alle vigne di fronte al nostro accampamento...».
A seguito dell'eccidio il comando garibaldino lancia il seguente proclama alla popolazione, alla quale addita, ancora una volta, la barbarie dei nazifascisti:
«Italiani! Contadini!    
Sulle pendici del monte Faudo, in un invidiabile pace agreste, lontana dal dramma che sconvolge l'umanità, pacifici ed onesti contadini, con l'autorizzazione delle autorità tedesche ed italiane, sono intenti, curve le schiene, sudata la fronte a  manovrare con le forti braccia la falce per il taglio del fieno. Ma le iene nazifasciste spiano con occhi assassini quella pacifica opera e preparano la più feroce aggressione.
Improvvisamente, a tradimento, senza alcuna provocazione piombano su quegli inermi lavoratori, li costringono ad adunarsi in un sol gruppo e contro di questo fanno scaricare le loro mitragliatrici. Quindici infelici cittadini, quindici
padri di famiglia, quindici onesti vostri compagni, lavoratori e padri di famiglia sono così barbaramente trucidati dai nazifascisti guidati ed istigati dai lanzichenecchi italiani traditori della Patria.
Italiani! Contadini! Potete voi più oltre sopportare tanta feroce tirannia? Insorgete, non soffocate più il generoso impulso del vostro cuore; attaccate il nemico fascista e tedesco, carnefice dei vostri fratelli».
[NOTE]
(1) Archivio ISRI, sezione I (cronologica), documento del 9° distaccamento datato 20 agosto 1944. Vedasi pure Relazione storica sul movimento di Resistenza a Badalucco, opuscolo edito dal comune di Badalucco nel 1965, pag. 5.
(2) I due religiosi dell'Istituto Charitas di Imperia erano sfollati a Montalto Ligure con un gruppo di convittori (vedasi documento ASR); per altre notizie relative al chierico Mario Bellino vedasi R. Amedeo, Ogni contrada è patria di ribelli, Nicola Milano, Editore Farigliano (Cn), 1964, pagg. 171, 172.
(3) Nel corso del rastrellamento, trovarono la morte i seguenti civili: nella zona monte Faudo in località Bramosa: Amoretti Giovanni di Pietrabruna; Muratorio Giobatta di Badalucco; Ricca G.B. di Civezza; Bellissimi Giacomo, Benza Gioacchino, Benza Giovanni, Benza G.B., Benza Giuseppe, Castello G.B., Giretto Giuseppe, Lupi Antonio, Orengo Bartolomeo, Piropo Clemente, tutti di Dolcedo.
Nel comune di Montalto Ligure: Ammirati G.B. fu Antonio, Ammirati G.B. fu Vincenzo, Barla Ermelindo, sacerdote don Barthus Stanislao, chierico Bellino Mario, Brea Giorgio, Galleani Angelo (segretario comunale), Montebello G.B. ed il partigiano Torre Antonio. Nel comune di Badalucco: Bianchi Antonio e Gallo Giovanni.
(4) Verso la fine di agosto il distaccamento si sposterà in regione Carmo presso Madonna della Neve (da documento ASR)

Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, pp. 363,364,365

Elenco delle vittime decedute
Bianchi Antonio del Comune di Badalucco, civile, ucciso a Badalucco
Gallo Giovanni del Comune di Badalucco, civile, ucciso a Badalucco
Altre note sulle vittime:
Don Lanteri Giobattista - parroco di Montalto Ligure dal 1923 al 1977: come da manoscritto “Diario dei 10 mesi” conservato presso l'Archivio parrocchiale di Montalto Ligure pubblicato sul libro “I bambini no, lasciateli stare!” di Giovanni Perotto: “Era con noi anche il segretario comunale che conoscendo un po' di tedesco ci faceva da interprete... siamo messi davanti alle mitragliatrici... Col segretario siamo separati dalle altre persone che sono lasciate libere. Il segretario piange... continuando il segretario a lamentarsi quel bestione del medico tira fuori la rivoltella e comincia a tempestarci di colpi. Per vero miracolo io rimango incolume e cade solo il segretario”.
Circa 20 bambini sfollati da Imperia ospitati in un orfanatrofio a Montalto Ligure nei pressi del Santuario dell'Acquasanta come da testimonianza di Agostino Liburdi pubblicata sul libro sopracitato: “Il giorno dell'Eccidio, il 17 agosto 1944, un consistente gruppo di uomini armati in divisa rastrellava la zona del Santuario dell'Acquasanta in cui si trovava la casa ricovero dover ero rifugiato con altri bambini dell'Istituto... Gli italiani del gruppo erano più numerosi dei tedeschi... Venni quindi a sapere che gli italiani in divisa appartenevano alla brigata fascista San Marco. Alcuni di costoro ci prelevarono dalla casa ricovero dove eravamo sfollati e ci condussero - un gruppo di circa venti bambini - al vicino santuario. Sul piazzale erano presenti al nostro arrivo Don Stanislao Barthus e il seminarista Mario Bellini sorvegliati da tedeschi e fascisti armati... Noi bambini fummo portati all'interno della chiesa”.
Come da intervista con Aldo Maestro pubblicata sul libro sopracitato: “... i due preti ci spingono e ci ammucchiano tutti nell'abside... e aprono la porta, attraverso la quale si precipitano dentro i nazifascisti urlando. Agguantano subito don Stanislao e don Bellini che strattonano fuori: li vogliono fucilare! (...) Noi dopo questi avvenimenti siamo spaventati a morte, quando sentiamo distintamente i colpi delle vergate sui due sacerdoti che non possiamo vedere, ma sentiamo i loro lamenti e le loro urla (..) Ora dalla finestra della sacrestia, ammucchiati gli uni sugli altri per guadagnarci la visuale vediamo chiaramente la scena, anche se non riusciamo a capire il colloquio tra i nostri amici e i torturatori che continuano a picchiarli selvaggiamente... Intanto strattonandoli li spingano in direzione di una grande pianta di acacia: noi vediamo chiaramente la scena. Ce l'ho davanti agli occhi e non potrò mai più dimenticarla. Appoggiati i due uomini al tronco della pianta, i rastrellatori fanno una raffica di mitra nella loro direzione. Vedo chiaramente l'alta figura di don Stanislao, il breviario all'altezza del torace in mano, che si abbatte” e sempre dal libro citato l'autore Giovanni Perotto scrive: "Nel racconto di Aldo Maestro emerge drammatica la testimonianza della volontà di alcuni tedeschi di uccidere anche i bambini ospiti della casa: “qualcuno vorrebbe fucilare anche noi ragazzi! Per fortuna altri si oppongono. - Ma cosa vogliamo fare?! Siamo impazziti? Non sono che ragazzi! - Oggi ragazzi, domani banditi! - urla un tizio inferocito. Per fortuna prevale l'umanità e il buon senso!” Pare che siano stati proprio i due martiri ad impedire che i piccoli cadessero vittime della violenza nazista: “I bimbi no, lasciateli stare!” imploravano ai persecutori che volevano a tutti i costi informazioni sulla resistenza".
[...] Nel pomeriggio del 16 agosto i partigiani del 9° distaccamento “Artù” della IV brigata attaccano una trentina di Tedeschi che tentano di entrare a Badalucco: due morti. La battaglia si interrompe per poi riprendere violenta: i Tedeschi hanno numerosi feriti, perdono altri tre uomini (tra cui un capitano ed un tenente) mentre due sono fatti prigionieri ed un rilevante bottino di armi. Il patriota Domenico Boeri (Menego) rimane ferito al braccio. (da documento del 9° distac. Datato 20.08.1944 Archvio ISRECIm sez. I (cronologica)
[...] svolgimento indagini effettuato da: Procura militare della Repubblica presso il Tribunale militare di Padova (anno 2007) Procura Militare della Repubblica di Verona presso il Tribunale militare di Verona - Ufficio di coordinamento di Polizia Giudiziaria Militare in Bolzano - (procedimento penale nr. 163/09/mod. 44 (ign.) - anno 2009
Sabina Giribaldi, Episodio di Badalucco, 17.08.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

A destra il Monte Faudo (sullo sfondo il Monte Saccarello). Foto: Eraldo Bigi

Nel "Diario dei 10 mesi" dell'allora Parroco di Montalto Ligure, don G.B. Lanteri, si racconta la strage del 17 Agosto 1944:
Giornata di terribile rappresaglia sulla popolazione di Montalto Ligure. Verso le sei del mattino i tedeschi ed i fascisti sono già al passo di Vena. Dopo aver ucciso due persone a San Salvatore, uccidono una dozzina di uomini e donne di Dolcedo. Sono presi nel sonno in una casupola nei pressi del Faudo, addetti al taglio del fieno che, assicurati dal Prefetto non esservi più durante la fienagione scorrerie nei prati del Faudo, si erano recati lassù. I Tedeschi scendono nella Regione Binelle ed Evria. Uccidono certo Ammirati Giobatta, detto l'"Orso", di circa 70 anni, trovato per la strada carico di legni, così pure Ammirati Gio Batta (Bacò) di 72 anni ed un certo Brea Giorgio di 54 anni, trovato sulla porta che stava mangiando. Arrestano alcune donne che chiudono in una stalla ed alcuni uomini che poi rilasciano. Al Santuario dell'Acquasanta uccidono, dopo averli terribilmente bastonati e seviziati, i sacerdoti addetti a quell'istituto, Barthus Stanislao e Bellini Mario, e incrudeliscono sui loro cadaveri facendoli rotolare a calci giù dalla strada. Spaventano suore e bambini, gettano all'aria ogni cosa in Chiesa e nella abitazione delle suore. Nei sotterranei della chiesa si sono nascoste molte persone che non vengono scoperte. Preceduti dal fuoco dei mortai sul paese vi entrano da due parti. Uccidono il sacrestano Montebello Giobatta. Fracassano porte ed ogni cosa. Il parroco ed il podestà che non credevano avere a che fare con simili bestioni selvaggi ed ignari di quello che era accaduto nelle campagne, gli si presentano in Piazza della Chiesa. Fa parte del primo gruppo di Tedeschi un tenente medico. A Taggia si è poi vantato di avere il 17 agosto ucciso lui da solo nove persone: "Quest'oggi essere stata buona giornata."
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; (a cura di) Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944-8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]

Elenco delle vittime decedute
Ammirati Giobatta (Bacò), anni 66,civile, ucciso a Montalto Ligure
Ammirati Giobatta (Ursotto), anni 68,civile, ucciso a Montalto Ligure
Barla Ermelindo del Comune di Taggia, civile, ucciso a Montalto Ligure
Bartkus (o Barthus) Stanislao, fu Pietro, nato a Upyna in Lituania l'11.01.1907, anni 37, sacerdote ucciso al Santuario dell'Acquasanta
Bellino Mario, nato a Garessio (Cerisola) prov. di CN il 4.03.1916, anni 28, religioso chierico (seminarista), ucciso al Santuario dell'Acquasanta
Brea Giorgio del Comune di Montalto ligure, anni 54, civile, ucciso a Montalto Ligure
Galleano Angelo del Comune di Montalto Ligure, anni 37, segretario comunale, civile, ucciso a Montalto Ligure
Montebello Giobatta del Comune di Montalto Ligure, anni 54, sacrestano, civile, ucciso a Montalto Ligure
Torre Antonio (nome di battaglia) “Torre” fu Giobatta nato a Taggia l' 11.11.1908, anni 35, agricoltore, partigiano (II Divis. “F. Cascione” - IV brig.) dal 27.09.1943 al 17.08.1944 n° dichiaraz. Integrativa 3071, ucciso a Montalto Ligure
[...] Il giorno seguente (17 agosto 1944) l'azione partigiana si ebbe una rabbiosa reazione del Comando Tedesco il quale dopo aver richiamato rinforzi anche da Savona, iniziò nella vallata un terribile rastrellamento con epicentro Badalucco (come da “Relazione storica sul movimento di Resistenza in Badalucco 1943 -1945” pag. 5). Nella prima mattinata i tedeschi e i soldati della divisione “San Marco” iniziano ad attaccare le forze partigiane dislocate sul Monte Faudo. Come al solito al loro passaggio seminano ovunque strage e desolazione. Nei prati tra il monte Faudo e il monte Follia numerosi civili innocenti vengono barbaramente trucidati. Alla fine si conteranno tredici morti, rastrellati mentre erano, come scritto con toni enfatici nel proclama alla popolazione della Brigata Garibaldi, “intenti, curve le schiene, sudata la fronte, a manovrare con le forti braccia la falce per il taglio del fieno”. Altri civili (n. 7) inermi vengono inesorabilmente falciati nelle campagne di Montalto Ligure e nell'abitato stesso. Nel numero degli uccisi figurano i due religiosi del Santuario-Ospizio dell'Acquasanta don Stanislao Barthus e il chierico Mario Bellino accusati di aver collaborato con i patrioti.
Sabina Giribaldi, Episodio di Santuario dell’Acquasanta e altrove, Montalto Ligure, 17.08.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia 

giovedì 23 febbraio 2023

Mentre stava passando per Capo Berta per raggiungermi, mia madre aveva visto fucilare da tedeschi e fascisti Adolfo Stenca, insieme ad una decina di altri nostri combattenti

La zona del Dianese. Foto: Giulio Meinardi su Wikiloc

Negli ultimi giorni di gennaio del 1945 dal CLN di Diano Marina ci venne segnalato un nuovo, probabile, rastrellamento nell'alta valle dianese. Discutemmo sul da farsi. Si decise di sistemare la ventina di uomini addetti al Comando della I^ brigata ["Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"] in alcuni rifugi predisposti a monte di Diano San Pietro, in località Besta. Appunto, siccome in inverno la vegetazione era quasi nulla, gli alberi erano spogli e sovente il suolo era coperto dalla neve, per i nazifascisti, con le attrezzature efficienti di cui disponevano, era facile localizzare gruppi di partigiani. Quindi l'unico modo per difenderci era quello di scavare dei rifugi sotterranei ove nasconderci. Poiché gran parte del territorio, coltivato a oliveti, era a gradoni, si trattava di penetrare in un antro dal quale era stata asportata la terra, attraverso un buco attuato nel muro a secco di sostegno. L'antro poteva contenere non più di cinque persone. Dopo che i partigiani vi erano entrati, da fuori un compagno chiudeva il buco rifacendo per bene il muro a secco con alcune pietre; compiuta l'operazione, doveva dileguarsi come poteva.
Ritornando al discorso di Besta (nei pressi della località era ubicata una baita dove si era rifugiato il Comando della brigata), mentre la maggior parte dei partigiani si era rintanata, rimanemmo una mezza dozzina fuori. Non c'era più posto per noi. In questi frangenti venne in nostro soccorso un vecchio antifascista, trentasettenne, il sapista Gaetano Sgarbi, il quale in barba ai tedeschi ci propose di scendere a Diano, presso una casetta, in località Sant'Anna, di proprietà di Anna Tassi, madre di Vladimiro, un altro sapista di cui diremo dopo.
Ma Federico [Federico Sibilla], che intanto era diventato commissario di brigata, ci fece notare che eravamo in troppi per rifugiarci nella casa della Tassi, e mi invitò a ritornare in uno dei rifugi di Besta. Pensai di ritornare sui miei passi insieme al garibaldino Franco Piacentini ("Raspen"), che era sceso dalla montagna per procurare a lui ed agli altri dei viveri.
Questo invito di Federico non mi sembrava giusto poiché io facevo parte, a tutti gli effetti, del Comando della brigata e avrei preferito rimanere insieme ai miei abituali compagni. Comunque non feci discussioni e, insieme a "Raspen", racimolato un poco di pane, un poco di tabacco e qualche altra cosa da mangiare, incominciai ad avviarmi verso i rifugi. Sennonché, mentre scendevamo la scaletta della baita, incontrammo Giuseppe Saguato ("Pippo"), comandante del distaccamento "Francesco Agnese", il quale mi chiese dove stavo andando. Ascoltate le mie ragioni, mi invitò ad andare con lui, anche se Federico mi aveva suggerito di raggiungere i rifugi di Besta. Mi fece presente che nella casetta a Sant'Anna c'era posto anche per me.
Fu in quel momento che mi separai da "Raspen" e seguii Pippo. Ci accompagnava il sapista Gaetano.
Su suggerimento di "Moschin", altro compagno di lotta, per abbreviare la strada ci azzardammo a passare nei pressi della batteria tedesca dislocata in località Ciapasso.
Probabilmente i soldati udirono il nostro scarpinare nella notte perché spararono alcune raffiche col mayerling, ma tutto finì bene.
Ci fermammo nella casa della Tassi tre giorni e due notti; fummo trattati da quella signora con ogni gentilezza; riuscii a fare conoscere a mia madre dove mi trovavo per cui essa mi raggiunse con molti viveri, ma insieme ai viveri ci recò una grave notizia.
Rimasi stupito di vederla pallidissima in volto mentre parlava; ci informò che, mentre stava passando per Capo Berta per raggiungermi, aveva visto fucilare da tedeschi e fascisti il caro compagno Adolfo Stenca, capo dell'ufficio informazioni, partigiano, insieme ad una decina di altri nostri combattenti, prelevati dalle carceri di Oneglia.
Nella sua disperazione ci fece presente quanta paura aveva per la nostra vita.
Non ci rimaneva che farle coraggio dicendole che presto la guerra sarebbe finita e noi saremmo ritornati, tutti, alle nostre case.
Era il 31 gennaio 1945: andò via un poco più sollevata di animo, ma non del tutto convinta.
Nella notte fummo svegliati dal solito aereo solitario, soprannominavamo "Pippetto", il quale sganciò una bomba (forse per colpire i tedeschi del "Ciapasso") molto vicino a noi. Ci venne da pensare che non solo avevamo contro i nazifascisti, ma anche gli alleati angloamericani.
Il giorno successivo sentimmo dei colpi di mortaio che i tedeschi sparavano dal "Ciapasso"; un colpo finì davanti alla Chiesa di Diano Marina uccidendo tre bambini e ferendo alcune persone.
La terza sera - dopo che Massimo Gismondi ("Mancen"), comandante della brigata, aveva preso contatto con Giancamillo Negro, ufficiale della brigata nera il quale si dichiarava amico della Resistenza e diceva che per noi non ci sarebbero stati rastrellamenti e dopo aver consegnato a "Mancen" stesso il suo armamento - partimmo per rientrare nella nostra zona.
Dormimmo in un'altra casetta, in località "Biascine", di proprietà dello Sgarbi, perché non ci fidavamo per niente dell'ufficiale fascista.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998

domenica 15 gennaio 2023

Torre Paponi brucia

La vallata del torrente San Lorenzo con al centro Torre Paponi ed in alto a sinistra Pietrabruna

E’ stato uno dei peggiori eccidi di cui si macchiarono le truppe d'occupazione naziste durante la Guerra di Liberazione che divise l'Italia nel tragico triennio 1943-1945. E' l'eccidio di Torre Paponi il cui orrore, senza nulla togliere alle stragi di Marzabotto o Sant'Anna di Stazzema, ha colpito nei decenni dell'Italia repubblicana l'immaginario collettivo dei tanti studiosi che si sono applicati allo studio della Resistenza in Italia.
I fatti accaddero esattamente settant'anni fa, il sedici dicembre del 1944. Inverno duro e tragico quello che precedette la Primavera di Liberazione, soprattutto nell'estremo Ponente ligure. Già era caduto in quel di Alto, combattendo, il "mitico" capo partigiano Felice Cascione ma nell'Imperiese, la cui Provincia non a caso si fregia della Medaglia d'oro al valore militare, le bande partigiane davano parecchio filo da torcere ai nazi-fascisti per i quali l'entroterra rappresentava una vera e propria incognita. Fu così che i comandi tedeschi escogitarono la rappresaglia contro i molti contadini che nei paesi abbarbicati alle pendici delle Alpi liguri solidarizzavano con i combattenti per la libertà, di qualsiasi credo politico fossero.
La mattina del sedici, credendo di trovare a Torre Paponi, oggi frazione del Comune di Pietrabruna, gruppi partigiani, i tedeschi risalirono armati sino ai denti la stretta valle alle spalle di San Lorenzo al Mare. Molti civili, vedendoli salire determinati, si diedero alla macchia nei boschi quasi presagendo quella che sarebbe stata la tragica fine di molti loro compaesani. I nazisti occuparono in una manciata di minuti il borgo, poi radunarono gli abitanti rimasti (molti erano donne e bambini) nella barocca chiesa parrocchiale. Qui condussero anche, orribilmente torturato, il curato Don Vittorio De Andreis che ritenevano un fiancheggiatore delle bande partigiane.
A questi affiancarono il parroco, Don Pietro De Carli, reggiano di Guastalla. Incendiarono poi gran parte di Torre Paponi distruggendola. Non paghi di tanto orrore diedero fuoco pure ai due sacerdoti che morirono tra sofferenze atroci. Parimenti furono uccise altre ventisei persone del paese. Le uccisioni proseguirono, pure, il dì appresso [...]
Sergio Bagnoli, Settant’anni fa Torre Paponi, una delle peggiori stragi naziste del secondo conflitto mondiale, Agora Vox Italia, 15 dicembre 2014

Torre Paponi

Torre Paponi [Frazione di Pietrabruna (IM)] è un piccolo paese nell'immediato retroterra imperiese, sulla strada che da San Lorenzo al Mare conduce a Pietrabruna, nella vallata del torrente San Lorenzo, a 210 metri di altitudine. La popolazione (n. 150 abitanti) è composta, in stragrande maggioranza, di contadini olivicoltori piccoli proprietari e di qualche artigiano.
Durante l'occupazione nazifascista, senza essere un centro di reclutamento o base partigiana, è stato tuttavia un paese benemerito nella lotta di liberazione per i molti aiuti in denaro e viveri concessi ai partigiani di “Curto” [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Liguria], al distaccamento di “Mancen” [Massimo Gismondi], “Peletta” [Giovanni Alessio], “Artù” [Arturo Secondo], “Danko” [Giovanni Gatti], al distaccamento “Fenice” e ad altri più piccoli. Anche muli e bestiame vario furono imprestati o venduti o donati ai partigiani nel periodo novembre 1943 a dicembre 1944 (1).
Proprio nel dicembre del 1944 Torre Paponi viene a trovarsi al centro di una vasta zona partigiana.
Il nemico è a conoscenza di grossi concentramenti di garibaldini della IV brigata [d'Assalto Garibaldi "Elsio Guarrini"] sulle alture comprese tre la valle Argentina e la val Prino. Per l'ennesima volta tenta di distruggerli mettendo in esecuzione i piani prestabiliti.
Dal mattino del 13 al pomeriggio del 18 di dicembre i Comandi tedeschi di Taggia, di villa Cepollina e di Sanremo, rimangono quasi completamente privi di truppa inviata in rastrellamento nelle suddette zone.
L'azione dovrebbe iniziare con un fulmineo attacco al paese di Badalucco per mezzo di artiglieria e di reparti di guastatori con l'incarico di distruggere completamente il paese, reo di accogliere e rifornire giornalmente i garibaldini. Ma l'azione, per cause imprecisate, viene alquanto ridotta. (2)
Il primo contatto tra i garibaldini e tedeschi in fase di rastrellamento avviene alle ore 22 del 13, quando il garibaldino “Baffino” del 2° Distaccamento “Italo” (1° Battaglione, IV^ brigata), addetto alle spese viveri, scaglia una lanterna contro due Tedeschi sbucati tra le case inferiori del paese di Pietrabruna. Raggiunto l'accampamento verso l'una dopo mezzanotte e dato l'allarme, gli uomini nascondono tutto il materiale pesante del distaccamento.
Presa la decisione di imboscare il nemico, 25 garibaldini guidati dal comandante “Curto”, che occasionalmente aveva pernottato presso il distaccamento, con passo celere raggiungono la strada ad un chilometro da Pietrabruna e attendono in agguato tutta la notte invano.
Ormai è iniziata la giornata del 14, il sole s'innalza, ma il nemico non transita. Quattro borghesi, incontrati nei pressi del luogo dell'agguato, affermano che in Pietrabruna non vi sono Tedeschi, però, ripresa la via del ritorno, i garibaldini vengono investiti da raffiche di “Mayerling” partite dalle prime case del paese.
La reazione è pronta ed efficace, ma rimane ucciso sul posto Giuseppe Sciandra (Matteo) fu Matteo, nato a Pamparato (Cuneo) il 12-09-1907, garibaldino della IV^ brigata, mentre il garibaldino “Lolli”, colpito in modo grave alla schiena, non può più camminare, però alcuni animosi riescono a porlo in salvo. (3)
Sganciatosi, il gruppo di “Curto” insiste nell'agguato presso il paese di Torre Paponi fino a tarda sera, ma invano, il nemico è transitato altrove. Già nelle prime ore del mattino altri piccoli gruppi di partigiani passano per Torre Paponi, senza tuttavia fermarsi, perché avevano preso la direzione di San Salvatore.
Inspiegabilmente qualche ora dopo giungono i Tedeschi. Un piccolo gruppo di rastrellatori, forse di passaggio per caso o forse anche inviati sul luogo su segnalazione di qualche spia locale.
Intimorite dalla ostentata grinta dei nazisti, alcune donne del paese accennano o confermano (non è stato possibile accertare con precisione quale delle due versioni sia l'esatta) il passaggio dei gruppi partigiani. I tedeschi non fanno commenti e si avviano in direzione del paese di Lingueglietta.
Giunti sulla collina che separa i due paesi, ecco che compiono la prima rappresaglia su alcuni ostaggi che si portavano dietro da chissà dove. Fucilano i civili Francesco Guasco fu Domenico, Carolina Guasco fu Domenico, Agostino Ballestra di Ventimiglia e il pastore Pietro Lanteri nato a Realdo nel 1884, che col suo gregge svernava in Pietrabruna.
Costui portava a tracolla un sacco con del pane nero; gli sgherri ne prendono un pezzo e glielo infilano in bocca, quindi proibiscono di toccare il cadavere e ingiungono di lasciarlo per la strada a tempo indeterminato. Però dopo poco tempo il comandante “Curto”, di passaggio, ordina il recupero della salma ed il parroco la fa seppellire.
Alle ore 14.30 del giorno stesso i nazisti ritornano in forze su una quindicina di autocarri e circondano il paese.
Dopo un'intensa sparatoria eseguita con armi automatiche, restringono la morsa; ad un certo momento entrano nel paese e sparano a zero su un gruppo di giovani colti di sorpresa. Maurizio Papone, Pasquale Malafronte, Andrea Ascheri, Paolo Papone, Antonio Barla e quattro militari di stanza alle vicine polveriere, riescono a stento a mettersi in salvo. Rimane ucciso un giovinetto di quindici anni che stava rientrando in paese portando sulle spalle una fascina, non del paese ma profugo da Ventimiglia, in quei giorni battuta dai bombardamenti navali alleati.
Anche due donne, madre e figlia, colpevoli solo di aver chiamato ad alta voce il rispettivo figlio e fratello, bimbo di pochi anni, sembrando forse ai Tedeschi che esse cercassero di mettere sull'avviso ipotetici partigiani, vengono abbattute a raffiche di mitra.
Successivamente il paese subisce un iniziale incendio, prologo a quello ben più terribile appiccato due giorni dopo; vengono arse due case ed alcuni fienili.
A tarda sera, allorché i rastrellatori ritornano al loro Comando di Arma di Taggia con gli ostaggi Luigi, Stefano, Egidio, tutti di cognome Papone, e due profughi ventimigliesi, la popolazione riesce a circoscrivere l'incendio.
Però non tutti i Tedeschi lasciano la zona; alcuni piccoli gruppi si occultano, si pongono in osservazione e rimangono in contatto con eliografisti che, dalla località Castelletti, trasmettono segnali verso San Salvatore, davano disposizioni relative allo sviluppo che doveva assumere il rastrellamento nei giorni successivi.
All'alba del 15 altri fascisti e tedeschi rastrellano nuovamente le zone Circostanti Torre Paponi, Pietrabruna, Lingueglietta e rinforzano una loro batteria piazzata a Pian del Drago. Per rifarsi dei magri risultati ottenuti nella caccia ai partigiani, razziano tutto il bestiame che trovano.
L'esasperazione è al colmo ed una squadra di garibaldini del primo battaglione, messa al corrente della situazione dai contadini, per liberare il bestiame attacca senza indugio il nemico che, sorpreso, si ritira in direzione San Lorenzo al Mare per chiedere rinforzi al Comando locale. (4)
Il distaccamento “Italo” rientra in stato d'allarme, il nemico è scorto in lontananza.
Nonostante le lievi perdite subite, il comando tedesco ordina immediatamente di condurre una rappresaglia su Torre Papponi il giorno seguente con l'impiego di formazioni S.S. altoatesine e di brigatisti neri.
Gli ostaggi portati ad Arma di Taggia vengono rilasciati con la pura e semplice raccomandazione di non offrire più ospitalità ai partigiani e di rimanere tranquilli nelle loro case.
Ciò risulterà una menzogna ignobile a cui viene prestato credito per la sprovvedutezza del momento dettata dalla paura.
Con questo stratagemma i nazifascisti riescono a dissipare momentaneamente le apprensioni e ad affievolire la diffidenza degli abitanti di Torre Paponi, per poter mettere in esecuzione il loro insidioso piano, in particolare, per poter catturare più uomini possibile al momento opportuno, quando non guarderanno più di stare all'erta, premunirsi o nascondersi nei rifugi che si erano scavati per la campagna.
Anche l'accusa, che si sentirà ripetere poi dai fascisti con insistenza per giustificare la strage, che Torre Paponi ere un centro di banditi, sarà ben lungi da essere provata poiché il paese non è mai stato tale e tanto meno un centro di comando.
Nella notte colonne tedesche di rinforzo partono da Castellaro e salgono in direzione del monte Faudo e del passo Vena, rastrellano passo Follia e San Salvatore, si scontrano con pattuglie del distaccamento di “Italo” sotto il monte Faudo e sparano nell'oscurità, alla cieca, con mitraglie a canne da 20 mm. (5)
All'alba del 16 le S.S., accompagnate da una spia in borghese, investono il distaccamento “Nino Stella”, distruggono i casoni dell'accampamento, qualche arma e vari equipaggiamenti (una cassetta di munizioni per “Mayerling” con circa 200 colpi, cinque moschetti, otto coperte, la macchina da scrivere e un fagotto di Farina). I partigiani si ritirano presso il distaccamento di “Pancio” che non viene investito;però in giornata cade il garibaldino della IV brigata Antonio Novella “Novella” fu Giovanni, nato ad Arma di Taggia il 12-02-1923.
Altre forze nemiche occupano la valle di Dolcedo; sei autocarri carichi di truppa raggiungono il paese, poi il borgo di Bellissimi e Santa Brigida, quindi lanciano razzi bianchi; è il segnale dell'attacco. Rastrellano la valle sotto Santa Brigida, le zone a monte, Lecchiore e San Bernardo; lunghe raffiche di mitragliatrice e colpi di mortaio si ripercuoteranno per la vallate fino alle ore 19.00 (6)
Contemporaneamente a Lingueglietta, dove sostano per poco, le S.S. altoatesine arrestano il parroco del paese don Vittorio De Andreis, ritenuto colpevole di aver avvertito i partigiani con i rintocchi del mattino della presenza nemica. Dopo aver incendiato molte case di campagna e prelevano ventotto ostaggi (che tradurranno alle carceri di Oneglia e quattro saranno inviati in Germania di cui uno non tornerà più), proseguono il cammino e raggiungono Torre Paponi che si sveglia al crepitio delle armi automatiche.
Oltre 800 uomini tra Tedeschi e fascisti stringono in un cerchio di ferro e fuoco il paese impegnandosi in una delle più sanguinose imprese che la storia della Resistenza in Liguria ricordi.
Investono l'abitato con una valanga di proiettili, sparano con artiglierie pesanti e leggere, con razzi e proiettili traccianti, mettono in azione lanciafiamme e mortai che iniziano la loro opera di demolizione.
Sospeso il fuoco dopo circa mezz'ora, con mitra alla mano si lanciano nel paese. La prima vittima dello sterminio è Antonio Fossati di anni 43, ucciso a bruciapelo sulla soglia di casa. Il Fossati non è un partigiano o un particolare amico dei partigiani. Nessuno di quelli che saranno le innocenti vittime dell'infamia nazifascista potrà mai essere incolpata, a parziale discolpa per legge di guerra, di aver direttamente appartenuto al movimento di liberazione nazionale.
Colpito da una raffica di mitra al ventre, il sedicenne Giacomo Papone riesce a trascinarsi per una ventina di metri invocando disperatamente la madre, finché una seconda raffica sparata da un Italiano in divisa tedesca e che gli grida “te la diamo noi ora la mamma”, non lo inchioda definitivamente al suolo.
Matteo Temesio, decoratore di 41 anni, catturato presso la sua casa e condotto un po' fuori del paese, è ucciso con un colpo di rivoltella alla nuca.
Ernesto Pagani, Valentino Gonella, Luigi Papone (uno degli ostaggi rilasciato il giorno precedente), Bartolomeo Papone e Francesco Barla, vengono trucidati in gruppo in mezzo alle vie del paese. Si proibisce alla popolazione di rimuovere i loro corpi abbandonati sul posto, spostarli o pietosamente coprirli con un lenzuolo.
Sorte analoga subisce un altro Bartolomeo Papone, padre di famiglia numerosa, selvaggiamente ucciso ed abbandonato per la scala della propria abitazione.
Stefano Papone quindicenne (secondo ostaggio rilasciato), è ucciso poco distante, nella piazza ove era solito giocare a bocce.
Pure colpito Cosimo Papone, ma con scarso successo perché, con mossa prontamente eseguita, riesce ad offrire un bersaglio soltanto parziale ai mitra delle S.S. Per cui, ferito di striscio, se la caverà con un braccio amputato.
Dalla chiesa, dove erano stati sospinti ed ammassati dopo la cattura avvenuta nelle loro abitazioni, vengono prelevati Egidio Papone (terzo ostaggio rilasciato), don Pietro Carli parroco del paese, don Vittorio De Andreis canonico-vicario di Lingueglietta, Andrea Ascheri, due profughi di Ventimiglia di cui uno dodicenne, ed Antonio Geranio; i civili sono immediatamente Trucidati lungo la rampa che immette alla mulattiera per Boscomare, invece i due religiosi, condotti in un fienile e uccisi, vengono cosparsi di benzina e bruciati.
Solo l'Ascheri, a cui si parla in francese e lo si invita a discolparsi, dopo aver subito una specie di processo farsa e dopo essere stato posto davanti al plotone di esecuzione per un po' di tempo, è rilasciato incolume, con minacce e l'ingiunzione di non muoversi dalla chiesa fino a nuovo ordine.
Compiuta la strage, gli assasini pongono mano al fuoco per cui ben poche case del paese rimangono indenni. Volutamente risparmiano la chiesa, la canonica, l'oratorio dei SS Cosma e Damiano ed alcune case site alla perifferia, invece incendiano tutte le altre case, la scuola e l'asilo, i fienili ele stalle.
Una densa nube di fumo si leva in aria e ben presto ricopre l'intero paese. Le case crollano con grande schianto in una scena apocalittica di desolazione e di morte. I superstiti, ancora ammassati in chiesa, vengono ammoniti a non uscire per le vie, pena la morte. I Tedeschi ed i fascisti, accampati in Torre Paponi, lasceranno l'abitato soltanto il giorno dopo, alle ore 11.30 circa (7)
La suora Giovanna Simondini, rimasta ferita durante il bombardamento di Pietrabruna, morirà ad Imperia nei giorni successivi. Ballestra Francesco, Maccario Domenico e Maccario Mario sono gli altri ventimigliesi della frazione Torri, uccisi nell'incursione di Torre Paponi.
[NOTE]
(1) (Gran parte dei tragici episodi di Torre Paponi narrati in questo capitolo sono stati tratti dalla testimonianza di Andrea Ascheri, nativo del luogo, menzionato nella narrazione come protagonista, miracolosamente scampato alla strage).
(2) (Da una relazione del responsabile S.I.M. del 3° Battaglione “Artù” al comando della IV^ brigata, del 17-12-1944, prot.n. 86/E/5).
(3) (Da una relazione di Maurizio Massabò “Italo” comandante del 2° distaccamento [I° Battaglione "Carlo Montagna"] al Comando della IV brigata, del 16-12-1944. Il garibaldino Luigi Rovatti “Lolli” sarà trasportato nell'ospedale partigiano di Tavole ove rimarrà fino al 28 gennaio 1945 e poi in quello di Arzene (Carpasio) ove guarirà).
(4) ( Da una relazione di “Gianni”, responsabile S.I.M., al comando della V brigata [d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni"], del 18-12-1944).
(5) (Da una relazione di Francesco Bianchi “Brunero”, responsabile S.I.M. al Comando della V brigata, del 19-12.1944 n. 217).
(6) (Da una relazione di Italo Bernardi “Montanara”, responsabile S.I.M., al Comando della IV brigata, del 16-12-1944, prot. n. 360/N/12).
(7) Col titolo “Fremete”, riportiamo dal giornale provinciale “Fronte della Gioventù d'Imperia” anno I n. 5 (1944) la narrazione dei tragici fatti di Torre Paponi: "... Ancora non sono dimenticati (e quando mai potranno obliarsi) gli insani terrorismi effettuati dai Tedeschi a Lingueglietta, Poggio, Stellanello, ed ecco nuovi e sempre più barbari eccidi ai danni delle nostre innocenti e pacifiche popolazioni contadine. A Torre Paponi, paese che conta 150 abitanti, incredibile a dirsi, i nazisti piazzarono la mitraglia antiaerea contro la popolazione e ne fecero strage orrenda: ventiquattro sono per ora le vittime accertate. Ci è stato descritto lo spettacolo: appena entrati nel paese i militi dell'UNPA videro corpi orribilmente maciullati, uomini, donne, giovinetti. E non solo, ma l'ira dei teutoni si riversò pure su due sacerdoti che sono stati buttati in una casa in fiamme e quindi carbonizzati. La popolazione è in preda al panico più atroce. Appena gli uomini dell'UNPA comparvero davanti ad essa, tutta raccolta in chiesa, furono scambiati per Tedeschi, videro tutta la gente terrorizzata alzare le mani; però quando, con buone maniere, fecero loro comprendere che erano amici, gli infelici contadini li abbracciarono invocando soccorso. Contemporaneamente Pietrabruna veniva bombardata dai folli, barbari Tedeschi, che uccisero tre persone, finché una loro concittadina residente nel paese riuscì a farli desistere dal massacro. E Villa-Talla? Pure incendiata dai massacratori di Hitler. Questi gli atti continui, tristi e feroci, degni soltanto di belve, compiuti nei nostri paesi.  Imperiesi, Italiani, meditate! Le ombre delle povere vittime implorano ven detta! Il loro sangue innocente, i Tedeschi lo devono mordere nella polvere. Giustizia sarà!...".
Francesco Biga,
Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977

Elenco delle vittime decedute
Amoretti Giovanni, civile.
Balestra (o Ballestra) Giovanni Battista, civile anni 55, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz. di Pietrabruna.
Ballestra Agostino, civile, anni 17, deceduto il 14.12.1944 a Torre Paponi fraz. di Pietrabruna.
Ballestra Francesco, civile, anni 44, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz. di Pietrabruna.
Barla Francesco, civile, deceduto il 14.12.1944 a Torre Paponi fraz. di Pietrabruna.
De Andreis Don Vittorio, canonico vicario di Lingueglietta fraz. di Cipressa, anni 72, ucciso e bruciato il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz. di Pietrabruna.
De Carli Don Pietro. Parroco di Torre Paponi, anni 68, ucciso e bruciato il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz. di Pietrabruna.
Fossati Antonio, civile, anni 43, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Geranio Antonio, civile, anni 40, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz. di Pietrabruna.
Gonella Valentino, civile, anni 34, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz. di Pietrabruna.
Guasco Carolina, civile, anni 45, deceduto il 14.12.1944 a Torre Paponi fraz. di Pietrabruna.
Guasco Francesco Giocondo, civile, infermo di mente deceduto il 14.12.1944 probabilmente presso il Cimitero di Costarainera.
Lanteri Pietro, civile, deceduto il 14.12.1944 a Pietrabruna.
Maccario Domenico, proveniente da Ventimiglia (fraz. Torri) sfollato a Pietrabruna, civile, anni 29, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Maccario Mario, proveniente da Ventimiglia (fraz. Torri) sfollato a Pietrabruna, civile, anni 17, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Novella Antonio (nome di battaglia “Novella”) di Giovanni, nato a Arma di Taggia il 12.02.1913, anni 21, contadino, partigiano (II Divis. iV Brig.) dal 14.05.1944 al 16.12.1944, n° dichiaraz. Integrativa 10511, deceduto il 16.12.1944 a Pietrabruna.
Pagani Valente (o Ernesto), civile, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Papone Bartolomeo di Giacomo, civile, anni 37, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Papone Bartolomeo di Maurizio, civile, anni 52, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Papone Egidio, civile, anni 40, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Papone Giacomo, civile, anni 16, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Papone Ida (figlia di Guasco Carolina), civile, anni 20, ferita il 14.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna, deceduta ad Imperia il 16.12.1944.
Papone Luigi, civile, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Papone Stefano, civile, anni 17, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Ranise Gio Battista, civile, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Sciandra Giuseppe (nome di battaglia “Matteo”) di Matteo, nato a Pamparato il 12.10.1907, anni 37, partigiano (II Divis. IV Brig.) dal 11.08.1944 al 14.12.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3068, fucilato il 14.12.1944 a Pietrabruna (da documento partigiano), deceduto presso cimitero di Costarainera (da opuscolo ”L'eccidio di Torre Paponi”), deceduto il 17.12.1944 a Cipressa (da certificato di morte rilasciato dal Comune di Imperia del 3.08.1945).
Simondini Suor Giovanna, ferita il 16.12.1944 a Pietrabruna, morirà a Imperia il 17.12.1944 per le ferite riportate.
Temesio Matteo, civile , anni 41, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Altre
Papone Cosimo, civile, rimane ferito ma si salva, (braccio amputato).
Sabina Giribaldi, Episodio di Torre Paponi, Pietrabruna, 14-16.02.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia
 
Sono stato a Torre Paponi in questi giorni per ricostruire, nella sua dure e tragica realtà: le giornate di terrorismo vissute da quella onesta e laboriosa popolazione, che fu certamente la più martoriata di tutta la provincia; ne faccio ora una breve relazione, mettendo in rilievo soprattutto la figura dei due venerandi vecchi Sacerdoti, che in quella circostanza vennero bruciati vivi dagli sgherri sacrileghi di Hitler e Mussolini. Gli abitanti del paese rievocano le gesta di quei barbari con le lacrime agli occhi e sotto l'impressione di un diabolico terrore, che ancor oggi sembra li riempa di spavento. Pare incredibile che degli uomini abbiano potuto compiere atti selvaggi e crudeli! Quello che hanno fatto a Torre Paponi è una conferma sicura di tutto quello che i sicari di Satana hanno perpetrato nei campi di concentramento e nelle camere della morte in Italia, in Germania e nella Polonia. Qui mi fermo a descrivere le gesta sanguinarie di Torre Paponi, e lo faccio rapidamente, ma con precisione e chiarezza. Le giornate del terrore si aprono per quella gente pacifica e buona il 14 dicembre 1944. Al mattino per tempo passano nel paese nazisti e fascisti, che salgono sui monti in cerca di patrioti. La sera, al ritorno, entrano a Torre Paponi sparando all'impazzata e assassinano due donne e un uomo. Il 16 sabato ritornano fin dal mattino con diversi camion, provenienti da San Lorenzo, mentre altri scendevano dalla montagna, passando da Lingueglietta e da Boscomare. Erano senza dubbio insieme nazisti e fascisti, perché parlavano correntemente l'italiano e anche il nostro dialetto ligure! Iniziano la giornata con una sparatoria indiavolata, mettendo tutte le loro armi in azione: rivoltelle, moschetti, mitra, mortai e cannoni. La valle di San Lorenzo sembrava una bolgia infernale. Le donne, i vecchi e i fanciulli vengono chiusi nella Chiesa Parrocchiale dei Santi Cosma e Damiano. Intanto fuori i predoni e gli assassini compiono brutalmente i loro misfatti, svuotano le case di tutto ciò che potevano avare qualche valore, compreso mucche, capre, muli; e poi appiccarono il fuoco ai fienili, alle stalle, alle legnaie e uccidono tutti gli uomini e giovani che trovano in paese, sottoponendoli a orribili e strazianti torture. La piccola frazione di Torre Paponi viene così trasformata in un teatro di guerra, lasciando tutte le contrade seminate di morti. Di fatti ne uccidono 22 sopra 40 uomini, quanti ne poteva contare allora il piccolo paesetto. Solo uno Papone Marco, è riuscito a salvarsi dalla morte, perché quelle belve lo credevano morto. Gli hanno tagliato un braccio, gli hanno strappato i capelli e lo Hanno lasciato sulla strada! Do qui i nomi delle vittime, che saluto con l'anima commossa e piena di indignazione contro quelle tigri e quelle iene che godevano come demoni nell'orgia sanguinaria. Scriviamo questi nomi nei nostri cuori e custodiamoli come una cosa sacra, in modo indelebile, come i nomi dei caduti sull'altare della Patria e per la conquista di una vita civile e libera. Il loro sangue, è il sangue di tutti i nostri morti, valga a cementare l'unione e la fraternità del popolo italiano, che è riuscito a prezzo di tanto sacrificio, a spezzare le catene, che, per oltre un ventennio, lo tennero legato alla più obbrobriosa schiavitù.
Don Vittorio De Andreis, Parroco e Vicario Foraneo di Lingueglietta;
Don Pietro Carli, Parroco di Torre Paponi
Papone Ida
Guasco Carolina Papone
Amoretti Giovanni
Gonella Martino
Barla Francesco
Papone Bartolomeo fu Maurizio
Papone Bartolomeo di Giovanni
Papone Stefano
Papone Giacomo
Papone Luigi
Fossati Antonio
Papone Egidio
Temesio Matteo
Valencia Gonelli
Geranio Antonio
Pagani Valente
Macario Luigi
Macario Mario
Balestra Agostino
Balestra Francesco
Ma soprattutto è contro i due venerandi Sacerdoti che quei sacrileghi banditi usarono tutta la loro ferocia di barbari, indegni del nome di uomini. Il povero Don Pietro Carli, parroco di Torre Paponi, un bravo sacerdote milanese, sempre buono e affabile con tutti, fu sorpreso all'altare, mentre stava preparando per la celebrazione della Messa. Erano le 6.30. Lo strapparono all'altare, Obbligandolo a sedersi nei banchi della Chiesa con la popolazione, che nel frattempo entrava terrorizzata e piangente. Il bravo e pio sacerdote Incominciò a pregare insieme ai suoi parrocchiani recitando il Santo Rosario. Passò appena mezz'ora ed ecco gli sbirri che vengono a prenderlo. A pugni e calci lo spingono fuori della Chiesa. poi lo prendono per le gambe e per le braccia e lo portano di peso, percuotendolo brutalmente, fino alla porta del fienile di un certo Ascheri Matteo, dove giunti si fermano, lo percuotono ancora con pugni, calci e bastonate, lo gettano in mezzo alle fiamme, che divampano e crepitano come da una bolgia infernale. I resti, consistenti in poche ossa, vennero ritrovati soltanto dopo un mese dalla macabra giornata tra le ceneri dell'immenso braciere. L'altro venerando e santo sacerdote, conosciuto ed apprezzato in tutta la diocesi per le sue preclare virtù di santità e scienza , vecchio di 72 anni, il Rev. Don De Andreis, Parroco e Vicario Foraneo di Lingueglietta, arrivò a Torre Paponi verso le 8. Lo presero i banditi nazi-fascisti nella sua Chiesa Parrocchiale mentre suonava le campane per la Messa. A pugni e calci, apostrofandolo con ogni sorta d'improperii, lo spinsero attraverso aspri sentieri, fino a Torre Paponi, accompagnandolo in chiesa, dove giunse sfinito, senza poter pronunciare una parola. Cadde a terra e poi si riebbe, mettendosi a sedere sui banchi; la corona del Rosario in mano pregava, recitando il S. Rosario. Dopo una mezz'ora, ecco nuovamente gli sgherri che entrarono in Chiesa e prelevano il Santo Sacerdote. Alzatosi, giunge le mani verso l'altare, poi getta uno sguardo sul popolo come per salutare tutti l'ultima volta, e viene spinto fuori, nelle vie del paese, a calci e pugni, giù giù dalla parte di Pietrabruna, sulla strada carrozzabile, dove stava il comando di quei maledetti. Laggiù non si sa come venne trattato; ma possiamo immaginarlo benissimo, perché fu riportato quasi subito in paese, sempre a calci e pugni, fino alle prime case, che ardevano da enorme incendio.
Qui una donna, esterrefatta dalla paura, che stava sulla strada accanto al marito, vecchio e paralitico, certa Maddalena Re mi racconta come ha potuto assistere all'ultima scena dell'orribile esecrando sacrilego delitto. Giunti alla porta della stalla di Papone Domenico, trasformata in fienile e legnaia, si fermarono, intimando alla donna di allontanarsi e andare in Chiesa. Ma la povera donna fece notare che aveva il marito infermo, in condizioni pietose, sulla strada, e non si sentiva di lasciarlo. Allora il pio Sacerdote a supplicare quelle tigri che avessero compassione di questa povera donna, perché in verità il marito si trovava da tempo in quello stato pietoso. Uno di quei sgherri afferra la donna per un braccio e le dice: “vieni con me”. Essa rispose: “ma io ho paura a venire con voi, perché voi mi uccidete”. Nelle strade, dappertutto, c'era già pieno di morti! “”No risponde il manigoldo, non è per uccidervi, ma perché non vediate ciò che faremo al prete”. Proprio in quel momento essa guardava e vedeva il sacerdote, le mani giunte gli occhi verso il cielo, e i sacrileghi assassini che lo prendono a forza e lo gettano nella fornace, spingendolo con lunghi bastoni, mentre cercava istintivamente di uscire da quel fuoco d'inferno. In seguito la popolazione andò ad intingere pannolini e fazzoletti nel sangue del martire per conservare la reliquia di un santo come i primi cristiani. Non posso dimenticare un povero padre, che mi raccontava piangendo come gli trucidarono il figlio Papone Stefano dinanzi ai suoi occhi e presente la mamma e la sorellina di 12 anni. Un altro giovane 15 anni quasi morente, il ventre squarciato (e gli uscivano le budella) invocava piangendo la mamma, e quelle belve vestite da uomini gli spararono un colpo alla testa, dicendogli beffardamente: “Te la diamo noi la mamma. Prendi”. Alle 10 tutto era finito. I camion, carichi della refurtiva, compreso mucche, capre e muli si allontanarono verso San Lorenzo, mentre un gruppo saliva a Pietrabruna a seminare altri lutti ed altre rovine. La popolazione rimase così esterrefatta e sbalordita che non seppe più uscire di Chiesa, dove sostò spaventata dal terrore per diversi giorni. Questa la tragica storia delle terroristiche giornate di Torre Paponi.
Tratto dalla relazione del teologo Mons. G.B. Revelli
Redazione, La strage di Torre Paponi, Pietrabruna me amù
 

giovedì 23 settembre 2021

Il comando tedesco, aiutato dai fascisti, a Poggio di Sanremo la rappresaglia la mise in atto

Colline alle spalle di Poggio, Frazione di Sanremo (IM)

"[...] 24 novembre 1944. Altra mattinata di sole. Io sto giocando all’aperto, sul selciato della piazzetta del Dopolavoro, svogliatamente, perché, a differenza delle altre mattine, sono solo. Sento il rumore di un motore avvicinarsi. Mi affaccio dal parapetto e vedo arrivare un camion che arranca lentamente. L’automezzo entra nella stretta via che conduce alla piazza di Poggio ed sparisce al mio sguardo.
Dopo alcuni minuti rompe il silenzio un interminabile crepitio di mitraglia. Non faccio a tempo ad arrivare da mia mamma che si vede poco distante una spessa nube di fumo. In giro si sente un coro di urla e pianti. Si saprà poco dopo che i tedeschi hanno voluto, con quel gesto, vendicare l’uccisione di un loro commilitone, freddato pochi giorni prima non da un partigiano, ma da uno sbandato ubriaco. Questi, entrato nell’osteria della piazza, aveva compiuto la tragica bravata di sparare alle spalle del militare che stava giocando a carte o a bere. L’ucciso non apparteneva alle SS: era un graduato che non aveva mai mostrato crudeltà alcuna, addirittura ben voluto da tutti. La popolazione organizzò subito un funerale solenne, sperando di scongiurare la rappresaglia. Ma il comando tedesco, aiutato dai fascisti, prelevati dei prigionieri da Villa Oberg o dal Castello Devachan, la rappresaglia la mise in atto. Gli assassini, dopo avere ucciso i dieci giovani prigionieri, diedero fuoco all’osteria dove tutto aveva avuto inizio; poi, entrati nell’alloggio dal cui balcone una donna aveva gridato qualche parola ad uno dei condannati, chiamandolo per nome, distrussero e incendiarono tutto quanto trovarono, senza dimenticarsi, prima di risalire sul camion e ripartire, di ordinare che nessun abitante di Poggio si azzardasse a toccare i cadaveri sanguinanti.
Gli incendi vennero domati, la piazza rimase devastata per un bel pezzo, con i buchi lasciati dalle pallottole ben visibili su una saracinesca e un muro. I corpi, dopo un giorno o due, vennero furtivamente non sepolti, ma interrati provvisoriamente in un terreno vicino, ciascuno con attaccato a un piede un cartellino con le generalità. Tutto ciò fu organizzato dalle donne, guidate dal necroforo del paese.
[...] Mi sembra giusto ricordare, nome per nome, quei giovani torturati e uccisi dai nazi-fascisti, nostri ideali figli e nipoti:
Domenico Basso (Vincenzo) di Rocchetta Nervina (Imperia)
Giuseppe Castiglione ( Beppe) di Centuripe (Enna )
Pietro Catalano - Ventimiglia (Imperia)
Giovanni Ceriolo (Dino) - Bussana - Sanremo (Imperia)
Pietro Famiano (Piero) - Sant’Agata (Imperia)
Michele Ferrara (Magnin) - Pigna ( Imperia)
Aldo Limon - Olivetta San Michele ( Imperia)
Giobatta Littardi (Giovanni) - Pigna ( Imperia)
Paolo Selmi ( Biancon) - Genova
Ignoto
 
San Giacomo, Frazione di Sanremo (IM): Chiesa Parrocchiale

Al ritorno dall’avere trucidato a Poggio quei dieci giovani, i nazifascisti si fermarono in località San Giacomo e ne assassinarono davanti alla chiesa altri tre:
Marco Carabalona
Filippo Basso
Stefano Boero
Tutti e tre erano contadini di Rocchetta Nervina.
Poco prima della Liberazione, il 22 aprile 1945, veniva fucilato il patriota milanese Gualtiero Zanderighi (Tenore). Poggio di Sanremo ha avuto un’altra giovane vittima, Andrea Grossi Bianchi".
Chiara Salvini, Franco D’Imporzano commemora a nome dell'ANPI il 17 Novembre 2017 i martiri di Poggio uccisi dai nazisti nell'autunno del 1944, neldeliriononeromaisola, 29 novembre 2017

Poggio, Frazione di Sanremo (IM): un caruggio

Il 17 novembre al termine di un  rastrellamento condotto nel centro storico della Pigna e in Frazione Poggio, sempre di Sanremo, venivano fucilati 3 civili. A Poggio vennero anche bruciate alcune case.
Il 24 novembre i nazifascisti uccisero in Sanremo altre 10 persone su 24 prelevate in alcuni paesi.
Da Pigna vennero condotti a Poggio di Sanremo per essere fucilati i partigiani Giuseppe Castiglione, Pietro Famiano, Michele Ferrara, Giobatta Littardi, Angiolino Bianconi Selmi.
Da Rocchetta Nervina a San Giacomo di Sanremo, dove vennero trucidati, Domenico Basso, Filippo Basso, Stefano Boero e Marco Carabalona.
Sempre in Sanremo venne fucilato quel giorno il sapista Giovanni Dino Ceriolo.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 1999
 
Giovanni Ceriolo. Giovane bussanese ventitreenne partecipò alla Resistenza ligure nella 'prima zona" con il nome "Dino" (cfr. G. Gimelli, La resistenza in Liguria, Carocci Ed. 2005, p. 528).
L'estremo Ponente ligure era «di vitale importanza per le truppe germaniche che operarono sul confine e sulla costa... Secondo un calcolo aritmetico le brigate della prima zona risulterebbero tra quelle che hanno subito il maggior numero di rastrellamenti rispetto alle altre regioni operative della regione» (La resistenza in Liguria, cit. p. 517).
Bussana viveva in quell'epoca in una atmosfera da incubo: vi era dislocato un Comando tedesco e postazioni antisbarco erano collocate tra Bussana Vecchia e la nuova.
In quel torno di tempo il Parroco, Mons. Francesco Buffaria, fu minacciato di arresto per il rifiuto di rivelare i nomi di eventuali partigiani della parrocchia: generosamente si offerse in suo luogo Don Francesco Moro, allora vice parroco, che fu carcerato con il confratello di Arma di Taggia Don Angelo Nanni. Essi «assumono nel carcere "pur col pianto nel cuore" atteggiamenti di serenità o di allegria per tener viva la speranza negli altri prigionieri ed impedire che siano sopraffatti dal panico e dalla disperazione» (G. Strato, C. Rubando, F. Biga, Storia della resistenza imperiese I Zona Liguria, Sabatelli Ed. 1992, Vol. 2, p. 71).
Il Ceriolo fu arrestato a seguito di una irruzione nella sua casa e dopo dieci giorni, il 24 novembre 1944, fu sottoposto a fucilazione a Poggio di San Remo insieme ad altri nove compagni. A loro fu dedicata la piazza del triste evento col titolo "Piazza Martiri" e una lapide con la seguente scritta: Qui / la rabbia teutonica spegneva la giovinezza / di undici Martiri. / Perché il loro ricordo non muoia / e sia di esempio alle generazioni future / Poggio / incise sul marmo i loro nomi (cfr. M. Bottero, Memorie nella pietra, monumenti alla resistenza ligure, 1945‑1996, Ist. Storico della Resistenza Ligure, 1996, p. 219).
Si narra un triste episodio collegato a questa esecuzione: una conoscente di Giovanni, Maria Ceriolo, che si rivolse a lui da una finestra pronunciando il suo nome, fu punita con l'incendio della sua casa.
Redazione, Toponomastica bussanese, Sacro Cuore Bussana [Sanremo], ottobre 2015

Poggio, Frazione di Sanremo (IM): un vicolo

Elenco delle vittime decedute
Basso Domenico (nome di battaglia “Vincenzo”) di Marcellino nato a Rocchetta Nervina il 17.11.1901, anni 43, contadino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 11.05.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3209, fucilato a Poggio di Sanremo
Basso Filippo (nome di battaglia “Piccolo”) fu Stefano nato a Rocchetta Nervina il 25.11.1900, anni 43, contadino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 6.06.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3208, fucilato a San Giacomo di Sanremo
Boero Stefano (nome di battaglia “Stefano”) di Stefano nato a Rocchetta Nervina il 5.12.1905, anni 38, contadino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 4.06.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3215, fucilato a San Giacomo di Sanremo
Carabalona Marco (nome di battaglia “Marco”) fu Gio Batta nato a Rocchetta Nervina il 25.04.1900, anni 44, contadino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 2.06.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3226, fucilato a San Giacomo di Sanremo
Castiglione Giuseppe (nome di battaglia “Giuseppe”) fu Antonio nato a Centuripe (Enna) l' 1.06.1903, anni 41, contadino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 29.08.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 10514, fucilato a Poggio di Sanremo
Catalano Pietro, civile, fucilato a Poggio di Sanremo
Ceriolo Giovanni (nome di battaglia “Dino”) di Attilio nato a Bussana Sanremo il 23.02.1921, anni 23, partigiano (Divis. SAP, V Brig.) dal 10.10.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 15242, fucilato a Poggio di Sanremo
Famiano Pietro (nome di battaglia “Piero”) di Paolo nato a Santa Agata Militello (Messina) il 25.04.1913, anni 31, sott.ufficiale di carriera in S.P.E., partigiano (II Divis. V Brig.) dal 25.08.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3238, fucilato a Poggio di Sanremo
Ferrara Michele (nome di battaglia “Magnin”) di Isidoro nato a Pigna il 9.06.1897, anni 47, contadino e magnino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 15.08.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3242, fucilato a Poggio di Sanremo
Limon Aldo, civile, fucilato a Poggio di Sanremo
Littardi G.B. (nome di battaglia “Giovanni”) di Giovanni nato a Pigna il 13.01.1914, anni 30, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 18.06.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 61105, fucilato a Poggio di Sanremo
Selmi Angelo o Angiolino (nome di battaglia “Biancon”) di Sabatino nato a Genova il 13.10.1914, anni 30, operaio, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 12.06.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 12312 fucilato a Poggio di Sanremo
Ignoto
[...]
Monumenti/Cippi/Lapidi:
Lapide in marmo - riferita a rastrellamento e fucilazione del 24.11.1944 a Poggio - iscrizione “qui la rabbia teutonica spegneva la giovinezza di undici martiri perché il loro ricordo... ..” (vengono citati 11 martiri invece di 10 perché è stato inserito anche il nominativo di Zanderighi Gualtiero caduto a Poggio il 22.04.1945) - sita in frazione Poggio Comune di Sanremo.
Edicola in pietra e cemento: lapide in marmo riferita a rastrellamento e fucilazione (fraz. San Giacomo 24.11.1944- n° 3 caduti) - iscrizione: “colpiti da crudele piombo nazista qui caddero per un Italia libera i Patrioti.... - sita in fraz. San Giacomo - Comune di Sanremo.
Sabina Giribaldi, Episodio di Poggio e San Giacomo, Sanremo, 24.11.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

Poggio, Frazione di Sanremo (IM): Chiesa Parrocchiale di Santa Margherita d'Antiochia

In epoca che il soggetto dice di non saper precisare, in una osteria di Poggio di S. Remo fu ucciso un militare tedesco appartenente alle 34^ divisione di fanteria.
Fu subito avvisato l'ufficio del RAITER, che si recò sul posto unitamente al soggetto e SCHMITD.
Il soggetto sostiene che in detta occasione essi si limitarono a chiedere al proprietario dell'osteria come si erano svolti i fatti.
Questi infatti disse che conosceva da diverso tempo il detto militare in quanto era già stato dislocato proprio a Poggio.
Fu poi trasferito nei pressi di Ventimiglia. Siccome aveva contratto rapporti di amicizia col proprietario, alla domenica era solito venirlo a trovare.
Anche quel giorno, come aveva fatto altre volte, il militare tedesco si era intrattenuto nell'osteria ed era vicino al banco intento a bere un bicchiere di vino, quando tre persone sedute ad un tavolo si alzarono e dopo averlo disarmato lo uccisero con un colpo di pistola.
Fatto ciò i tre, che il proprietario disse di non avere mai visto, fuggirono.
Dopo avere poi preso i connotati ed i documenti del militare il RAITER avvisò la Felgendarmeria e si pose quindi in contatto col generale LIEB comandante della 34^ divisione.
I^ FUCILAZIONE DI SEI O SETTE OSTAGGI
Ritornati al comando, il maresciallo Raiter telefonò al generale Lieb per riferire circa l'uccisione del militare.
Il soggetto sostiene di non essere stato presente quando il RAITER telefonava, né di essersi ulteriormente interessato dell'uccisione.
Solo due giorni dopo seppe che la 34^ divisione aveva fucilato sei o sette italiani quali ostaggi per l'uccisione del soldato tedesco.
Il soggetto insiste nel negare di conoscere particolari circa l'esecuzione sommaria degli italiani né di conoscere dove essi furono prelevati e sepolti.
Neanche dell'oste, che naturalmente avrebbe dovuto avere serie noie per l'uccisione avvenuta nel suo locale, il soggetto dice di saperne nulla.
Sa soltanto, o per meglio dire, ammette solo di aver saputo che a Poggio furono fucilati gli italiani per rappresaglia. 
Sintesi di un verbale di interrogatorio (Cas) a carico di Ernest Schifferegger (altoatesino, interprete, ex sergente SS, presente anche a Sanremo), verbale confluito in un rapporto del 2 giugno 1947 redatto dall’OSS statunitense

[ n.d.r.: Ernest Schifferegger, come si apprende dall'atto sopra citato, era un italiano altoatesino che, in occasione del referendum del 1939 aveva optato, come tutti i membri della sua numerosa famiglia, per la nazionalità tedesca. Entrato nelle SS, operò - a suo dire - solo nella logistica, su diversi punti del fronte occidentale. Era, tuttavia, a Roma come interprete, quando partecipò al prelievo di un gruppo 25 prigionieri politici italiani condotti a morte nella strage delle Fosse Ardeatine. Fece in seguito l’interprete per i nazisti anche a Sanremo. La relazione dell’OSS riporta che alla data del 2 giugno 1947 Schifferegger era ancora in custodia alla Corte d’Assise Straordinaria di Sanremo ]