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sabato 18 febbraio 2023

Il reparto speciale antiribelli della Questura si sposta frequentemente

Dintorni di Triora (IM). Foto: Eleonora Maini

A maggio 1944 i distaccamenti partigiani dipendenti da Nino Curto Siccardi ammontavano a sei, considerando anche il gruppo di Mirko (Angelo Setti, in seguito vice comandante della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione").
Nel medesimo periodo i tedeschi emanarono un ultimatum diretto ai "ribelli" che agivano in montagna. Un titolo eloquente: "Si tratta dell'ultima occasione". Pervenne ai patrioti sotto forma di volantini lanciati da alcuni aerei.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
Nei primi giorni del maggio 1944 esce il bando fascista contraddistinto dalla frase "È L'ULTIMA OCCASIONE", col quale ancora una volta si intima ai militari di presentarsi, e ai partigiani di deporre le armi, pena la morte, fissando il 24 maggio 1945 come termine di scadenza per la presentazione stessa.
Vittò [Ivano/Vitò, Giuseppe Vittorio Guglielmo], Erven [Bruno Luppi], Tento [Francesco Tento, già sergente maggiore dei reparti repubblichini G.A.F. (Guardia Armata alla Frontiera)] e Marco [Candido Queirolo] fanno affiggere alcuni esemplari del manifesto nei pressi delle baite che servono da alloggiamento, perché tutti i partigianipossano liberamente scegliere se andare o stare.
Nessuno va; anzi, ogni giorno arrivano nuove reclute.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Nella settimana testè decorsa l'attività dei ribelli nel territorio di questa provincia è stata particolarmente intensa.
Il 9 corrente, in ora imprecisata, in località campestre prossima alla frazione S. Lazzaro del Comune di Chiusavecchia, ignoti tagliavano il filo della linea telefonica militare tedesca, interrompendo le comunicazioni, a scopo di sabotaggio.
In ora imprecisata del 12, ignoti, in territorio del Comune di Mendatica, a scopo di sabotaggio, hanno tagliato i fili della linea telefonica militare tedesca, interrompendo le comunicazioni.
Nel territorio sovrastante Oneglia si sono pure verificati tagli di fili della rete telefonica militare germanica.
L'autorità militare tedesca ha richiesto degli ostaggi per la vigilanza delle linee telefoniche nelle località ove si sono verificati i suddetti atti di sabotaggio.
Un buon numero di ribelli armati si è portato nel bosco "Bugliena" in frazione di Buggio di proprietà del Comune di Pigna, e nel bosco "Colletta Manaira" in territorio del Comune di Castelvittorio, entrambi in via di utilizzazione.
I ribelli hanno imposto agli operai di sospendere immediatamente i lavori, avvertendoli che qualora si fossero presentati nel bosco sarebbero stati fucilati.
Alcuni operai furono incaricati di diffidare il proprietario a continuare il taglio, minacciando di incendiare i boschi e distruggere la teleferica.
Tale episodio ha prodotto la sospensione dei lavori di taglio e quindi la diminuzione della produzione di legna e carbone per i bisogni della popolazione civile.
Se tali episodi dovessero ripetersi ci si troverebbe nella impossibilità di mantenere la produzione con il ritmo regolare adeguato ai bisogni della provincia.
Tre sconosciuti disarmati, qualificatisi "patrioti", sono entrati nella scuola elementare di Pieve di Teco e hanno asportato due cartelli dell'alfabeto con le parole "bandiera", "fascio" ed il quadretto del martire maltese Carmelo Borgo PISANI.
Pure a Pieve di Teco, cinque così detti "patrioti" asportavano, con la minaccia delle armi, l'apparecchio radio della scuola.
Nella frazione Montegrosso del Comune di Mendatica, alcuni ribelli hanno asportato con violenza la bandiera della scuola, nonostante l'opposizione dell'insegnante.
Nella notte sul 12 corrente, nel Comune di Triora, tre sbandati costringevano, sotto la minaccia delle armi, l'esercente della rivendita generi di monopolio Caprile Leonardo a consegnare loro tabacchi e cerini per l'importo di £. 1275, da essi rimborsato.
Il 14 corrente, verso le ore 23, in Cervo S. Bartolomeo, quattro ribelli armati di moschetto, pistola, pugale e bombe a mano, si presentavano nell'abitazione del capitano marittimo Calo Attilio di anni 62, assente, e procedevano ad una perquisizione, asportando preziosi, danaro, buoni del tesoro ed oggetti vari, arrecando un danno di lire 100.000 circa.
Il 10 corr. in regione "Colle Manaira" tra "Carmo Langan" e "Palazzo Maggiore" 15 ribelli armati fermavano alcuni boscaiuoli, strappando i documenti che portavano addosso. Di poi si presentavano nell'abitato della frazione di Buggio, prelevando 6 giovani. Tale fatto suscitava vivo allarme in quella popolazione, la quale è costretta a subire la violenza dei ribelli ed a favorirli, in quanto non si sente tutelata dalle forze legali, che o non sono presenti o arrivano sul posto troppo tardi e quando i ribelli hanno abbandonato la zona.
Il 15 corrente, in località "Chiappe" [Chiappa] del Comune di Cervo S.Bartolomeo, otto ribelli armati prelevavano, con violenza, nella propra abitazione, il contadino CASALINI Stefano, fascista, il cui cadavere veniva poi rinvenuto - ucciso con colpi d'arma da fuoco - successivamente in contrada campestre del Comune di Andora (Savona).
Viene segnalato che gruppi di ribelli dai baraccamenti di "Cima Marta" e "Monte Grande" si sono spostati verso "Bregalla" e "Cetta", occupando case dei contadini della zona. Tali gruppi sarebbero comandati da un ex sergente maggiore, certo ZENTA Pietro [n.d.r.: Pietro Tento], già appartenente alla G.A.F. del sottosettore di Triora.
I capi delle bande di ribelli di questa Provincia, ex tenente colonnello VANNI (ora autopromossosi generale) ed il tenente colonnello di artiglieria CALORETTI, già comandante il gruppo di Molini di Triora, si sarebbero recati nel Cuneense.
E' stato segnalato che una forte banda di ribelli armati ed inquadrati, in uniforme grigio-verde dell'ex-esercito, ha sostato nel territorio di Pornassio, proveniente dal comune di Alba (Cuneo), dirigendosi poi verso la frazione di Nava del comune di Pornassio. Si apprende che tale banda sia stata rifornita di armi e munizioni la notte sul 12 corr. da aerei nemici, e che altre bande di eguale forza, provenienti pure da Alba (Cuneo) si sarebbero dirette contemporaneamente nella zona di "Monte Melogno" del comune di Calizzano (Savona).
Da qualche giorno nella zona sita tra il Colle S.Bartolomeo (comune di Borgomaro) ed il colle di S. Bernardo (comune di Rezzo) viene notata la presenza di più nuclei di ribelli, costituiti ciascuno di 20 uomini circa, i quali, per il momento, si mantengono lontani dagli abitati.
Fonte sicura segnala che preponderanti forze di ribelli, suddivise in bande di 30 uomini ciascuna, trovansi distaccate nella zona campestre tra Pigna, Cima Marta, Colle Ardente, Monte Saccarello - Molini di Triora. Il loro numero sarebbe di circa 2000. Sono armati di armi automatiche (mitragliatrici e fucili mitragliatori), di mortai da 45 e da 81, di mitra, di moschetti e di bombe a mano.
La dotazione di ogni banda sarebbe di una mitragliatrice con 1000 colpi, di due mortai da 45, con circa 50 granate e di un fucile mitragliatore con circa 1000 colpi. La dotazione individuale sarebbe di un fucile o moschetto con 5 o 6 caricatori e di tre bombe a mano.
In località Goina, in valle del Capriolo, frazione di Triora, si troverebbe una banda comandata da 3 ex ufficiali, che presidia le località di Verdeggia, Carneli e Realdi [Realdo].
Da qualche giorno gruppi di ribelli si sono portati oltre Buggio ed il bosco di "Bugliena", incitando anche i giovani ad arruolarsi tra i partigiani. Risulta che un ex tenente, certo LOLLI [Giuseppe Longo], tiene il collegamento tra le bande suddette con quelle di Nava.
Il reparto speciale antiribelli della Questura si sposta frequentemente ovunque venga segnalata la presenza di ribelli.
Nella decorsa settimana si è portato in territorio dei comuni di Chiusavecchia e di Borgomaro, prelevando alcuni ostaggi e procedendo al fermo di renitenti.
Continua l'assunzione del personale ausiliario agenti, laddove alcuni ausiliari dimostratisi inidonei, specie per motivi disciplinari, sono stati licenziati.
L'addestramento tecnico e professionale del personale ausiliario procede con ritmo accelerato mediante lezioni giornaliere impartite da Funzionari di polizia.
Fervono tuttora le indagini per la scoperta degli assassini del parroco di Castelvittorio, già segnalato con la precedente relazione.
La situazione economica della provincia è stazionaria.
Circa la situazione del personale Funzionari di polizia si fa presente che è stato testè disposto il trasferimento del Commissario Agg. VERRUSIO Roberto da questa provincia a Vicenza, senza sostituzione.
Data la nota deficienza di personale effettivo in questa Provincia, si prega di voler provvedere, con l'urgenza che il caso richiede, alla sostituzione del Verrusio ad Imperia con altro Funzionario effettivo, facendo presente che alla Questura del Capoluogo prestano attualmente servizio soltanto tre funzionari effettivi, il cui numero è assolutamente insufficiente alle esigenze dei vari servizi di polizia, nelle attuali contingenze, specie se si considera la necessità, non infrequente, di dover inviare in altre località della Provincia funzionari per accertamenti ed inchieste di carattere politico.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Al Capo della Polizia - Maderno, 15 maggio 1944 - XXII. Documento "MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4" dell'Archivio Centrale dello Stato di Roma

martedì 18 maggio 2021

Con dei trucchi e con i travestimenti, avrebbero catturato due partigiani

Chiusavecchia (IM) - Fonte: Wikipedia

Giovanni Nino/Tracalà Berio, nato ad Imperia il 24 aprile 1924; comunista. Già a settembre del 1943 è attivo nella lotta partigiana recuperando armamenti abbandonati dai militari che consegna a Felice Cascione e ai suoi uomini di stanza nell’entroterra dianese. A fine febbraio 1944 si unisce con Massimo Gismondi “Mancen” ed altri a Silvio Bonfante “Cion”. Il 23 settembre 1944 a Pieve di Teco (IM) un consistente numero di elementi della banda di fuoriusciti italo-francesi e di esaltati fascisti del capitano Giovanni Ferraris, travestiti da partigiani, ostentano la loro presenza compiendo soprusi e violenze con lo scopo di attirare i ribelli. La notizia mobilita alcuni partigiani che scendono per una ricognizione; sul posto si trovano in missione Menini e Calderoli. Nino Berio, zoppicando perché ferito in un precedente combattimento, si trasferisce in bicicletta. Arrivato a Pieve di Teco cade nell’imboscata e fatto prigioniero dai fascisti è condotto a piedi nudi a Chiusavecchia dal capitano Ferraris. Legato alla porta di un casone a braccia nude con filo spinato e torturato per un giorno intero con percosse e colpi di pugnale, viene infine portato presso il ponte di Garzi e fucilato. Dalla lettera del commissario divisionale Carlo De Lucis “Mario” ai commissari di distaccamento (21 novembre 1944): “Invitato a tradire i compagni in cambio della libertà, Nino rifiuta. Atrocemente torturato con ferri roventi al viso e col pugnale, risponde cantando l’inno della Guardia Rossa. Queste furono le sole parole che i suoi carnefici poterono strappare”. 
Redazione, Giovanni Berio, A.N.P.I. Leca, 8 maggio 2014
 
Giovanni Daniele Ferraris fu comandante della Gnr Compagnia Ordine Pubblico Imperia. Dopo la dissoluzione della 4a Armata molti nizzardi lasciarono il loro territorio ed aderirono alla RSI. In duecento ad Imperia si arruolarono nel 627° CP GNR, potenziando presso la caserma Ettore Muti a Porto Maurizio la Compagnia O.P. (Giovanni Ferraris) oppure contribuendo a formare con i superstiti del Btg. GNR Nizza in ritirata alla fine del 1943 dalla Provenza il Btg GNR Borg Pisani (Massimo Di Fano). Altri furono incorporati nel 626 CP GNR  di Savona e in cento costituirono la Compagnia Nizza della 27a BN di Parma. Il Btg. Borg Pisani da aprile a novembre 1944 si pose nelle casermette della Guardia alla Frontiera di Taggia e di Arma di Taggia partecipando insieme alla 34a ID e a Reparti della RSI al presidio della costa ligure allo sbocco di Valle Argentina. Tutti aspetti che il Ferraris riportò in certe sue memorie scritte del tutto omissive delle efferatezze da lui commesse.
Adriano Maini
 
... banda Ferraris, il famigerato capitano Ferraris, ma allora ancora tenente. Un nome, quello di Ferraris, temuto: dotato di coraggio e di capacità militari, anima di tanti rastrellamenti, l'ideatore della Controbanda, l'uccisore di Nino Berio (Tracalà) a Chiusavecchia. Egli si era guadagnato la fiducia delle S.S. Tedesche, tanto da essere da loro decorato con la croce di ferro di II^ classe, per la spietatezza delle sue azioni.
Attilio Mela, Aspettando aprile, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1998   

Pieve di Teco (IM) - Fonte: Mapio.net


Piaggia - Foto di Fabrizio Benedetto via Mapio.net

Il mattino del 23 settembre [1944] alcuni abitanti di Pieve di Teco raggiungono Piaggia [Frazione di Briga Alta (CN)] per protestare presso il Comando divisione per il fatto che gruppi di garibaldini, sfoggiando molti fazzoletti rossi con sopra la scritta «Cion» [Silvio Bonfante] e proferendo minacce, erano entrati nelle trattorie e nelle botteghe per mangiare e prelevare merce senza pagare, avevano gozzovigliato per le strade e manifestato l'intenzione di cercare il battaglione «Lupi» di Pelazza per disarmarlo (1).
«Simon» [Carlo Farini] e il Comando divisionale, seriamente preoccupati dalla notizia, ordinano di inviare squadre di polizia: una trentina di uomini armati solo di moschetti al comando del commissario «Mario» [Carlo De Lucis] che possedeva molto ascendente sui garibaldini, per indagare sui fatti e prendere provvedimenti.
Partiti da Piagga e attraversato San Bernardo di Mendatica, scendono verso Pieve di Teco. Con loro è Nino Berio (Tracalà), l'unico armato di mitra che, zoppicante per antica ferita (2), presa in prestito una bicicletta a Cosio, fila rapido verso Pieve da solo per ordinare il pranzo per le squadre in arrivo. Sul luogo erano già in missione Ugo Calderoni (Ugo), comandante del distaccamento mortai «E. Bacigalupo», «Menini» e «Staffetta di legno».
Quasi a Pieve gli uomini delle squadre, scorti sull'asfalto della strada alcuni bossoli di mitra e macchie di sangue, rimangono un attimo perplessi.
Cosa sarà capitato...? Qualche metro avanti, al lato della strada, il cadavere di Ugo Calderoni (Ugo) di Achille, nato a Genova il 25.3.1923, giace supino ancora caldo. Lo sbigottimento è enorme, poi tutto diventa chiaro. I partigiani in Pieve sono fascisti travestiti che tendono imboscate. Con questo timore e per prudenza i garibaldini si nascondono rapidi tra gli alberi delle «fasce» soprastanti la strada.
Frattanto giunge rapida una ragazza informatrice, racconta che a Pieve una cinquantina di fascisti in divisa partigiana avevano arrestato e disarmato alcuni garibaldini, tra cui Nino Berio mentre osservava una vetrina di un negozio, puntandogli il mitra nella schiena.
Reagì esclamando: - Compagni, non fate scherzi! - allorché i fascisti si palesarono. Lei intervenne dichiarandosi del S.I.M. e pertanto avente diritto di conoscere la causa dell'arresto di Nino.
- Vattene! - le risposero - se non vuoi guai -. Capì l'imprudenza commessa, gli uomini non sapevano cosa fosse il S.I.M.; non erano certo partigiani ma fascisti camuffati, per questo era fuggita.
Inoltre la ragazza informa i garibaldini che i fascisti, nascosti per le strade di Pieve in agguato, attendevano i partigiani.
Dopo un rapido scambio di idee «Mario» e i compagni si convincono che non possono più sorprendere il nemico armato con numerosi mitra e sarebbe mancato il tempo necessario per raggiungere la statale 28 prima del colle San Bartolomeo e attenderlo per affrontarlo e liberare i compagni. Per chiedere rinforzi ormai era tardi. Conveniva ritirarsi e preparare qualche piano più concreto.
Il ritorno a Piaggia è doloroso e l'ira è grande. Se «Ugo» fosse stato assassinato in luogo nascosto, l'imboscata avrebbe avuto esito inesorabile e mortale.
Alcuni distaccamenti  partigiani, alla notizia si lanciano su Pieve armati fino ai denti, ma non vi trovano più alcun fascista.
Oltre a «Ugo» e a Nino, cadono nel tranello e vengono catturati i garibaldini Franco Luigino Bellina (Bellina) nato a Udine il 3.9.1924, ucciso a pugnalate, Antonino Alessi (Nino) di Antonino, nato a Messina il 3.3.1925 e Pasquale  Tirella (Pasquale) di Francesco, nato a Ragusa il 7.2.1920, uccisi mediante impiccagione a colle San Bartolomeo; Giacomo Carinci (Scotto) fu Virgilio, nato ad Albenga il 15.6.1920 e Nino Berio vengono condotti a piedi nudi a  Chiusavecchia dove è il capitano F. della  brigata nera (3).
Giacomo Carinci cade trucidato sotto i colpi dei carnefici. Nino Berio (Tracalà) di Giuseppe, nato a Imperia il 24.4.1924, legato alla porta di un casone a braccia nude con filo spinato e torturato per un giorno intero con percosse e colpi di pugnale, viene infine portato presso il ponte di Garzi e fucilato. Il nemico stesso ammira il suo coraggioso comportamento (4) .
Nei pressi di Muzio anche il garibaldino Quinto Molli (Bosches) s'imbatte nei falsi partigiani, i medesimi che erano stati in Pieve di Teco. Accortosi dell'inganno apre il fuoco. Saltato nel torrente Arroscia ferito, riesce a mettersi in salvo aiutato dalle sorelle Giacomina e Pierina Pescio.
(1) I fascisti sapevano del dissenso esistente tra il Comando I^ brigata ed Eraldo Pelazza, comandante del battaglione «Lupi»; altro caso che testimoniava l'esistenza di una spia nel Comando garibaldino.
(2) Il coraggioso Nino Berio, partigiano dal settembre 1943, zoppicava perché era stato ferito a metà luglio circa da un proiettile alla gamba sinistra. Il mitra di cui era dotato durante la sua missione a Pieve di Teco era stato portato in montagna (a Piaggia) qualche giorno prima da Giorgio Alpron (Cis), la cui moglie lo aveva recuperato in una soffitta della casa in Peagna (Albenga)
[nd.r.: invero Frazione  del comune di Ceriale (SV)] di proprietà di una certa signora Roggero.
(3) Il capitano della brigata nera locale F., abile rastrellatore e uomo crudele, in coppia con M. Z. di F. detta la «Francese» o la «Donna Velata» simile a lui, diventerà tristemente famoso nel dicembre 1944 e nei primi mesi del 1945 per le sue azioni antipartigiane.
(4) Invitato a tradire i compagni in cambio della libertà Nino Berio rifiuta. Atrocemente torturato con ferri roventi al viso e col pugnale, risponde cantando l'inno della «Guardia Rossa» (lettera del commissario divisionale «Mario» ai commissari di distaccamento del 21.11.1944). Queste furono le sole parole che  i suoi carnefici poterono strappare dalla sua bocca. Il 28.9.1944 il C.L.N. provinciale inviò alla famiglia Berio la seguente lettera di cordoglio: «
A nome di tutti i partigiani componenti il C.L.N. vi porgiamo le più sentite condoglianze. Il nome del vostro caro figliolo sarà eternato  sul bronzo, accanto agli altri eroi della nuova Italia. L'olocausto della sua vita e il suo martirio serviranno di esempio a tutti noi e stimoleranno il nostro spirito combattivo per essere più degni dei nostri giovani eroi immolatisi  per un avvenire di libertà e di pace. Il vostro Nino non è morto invano, noi lo vendicheremo. La pietà oggi e domani può rappresentare un delitto: saremo spietati per vincere e far scomparire dalla faccia della terra tutti coloro che  oggi sono i nostri carnefici. L'aiuto che noi vi porgiamo non è certo il prezzo del suo sacrificio ma è l'infinitesimale attestato di solidarietà...».
Lettera del 4.10.1944 in risposta al C.L.N., dei famigliari di Nino: «
...La famiglia Berio, sinceramente commossa, ringrazia in codesto Comitato tutti i partiti dell'antifascismo e con essi tutti i compagni, gli amici e le buone persone che li compongono, per le prove di affettuoso cordoglio dimostratole in occasione della perdita del suo adoratissimo figlio Nino...».

Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977, pp. 81,82,83
 
Valfrè Carlo, nato a Ventimiglia il 7 luglio 1921, milite della Compagnia OP di Imperia.
Interrogatorio di Valfrè Carlo del 7.5.1946:
[...] Nego di aver partecipato al rastrellamento avvenuto nel mese di settembre 1944 a Villa San Pietro dove il Ferraris con la Squadra Comando si travestì da partigiano. Non ho partecipato al rastrellamento in borghese a Pieve di Teco, avvenuto il 22 settembre essendo rimasto di guardia al presidio di Chiusavecchia. Al ritorno della compagnia dal rastrellamento, ebbi occasione di vedere in mezzo al Ferraris e militi in borghese due partigiani che furono rinchiusi in una stanza della sede del comando compagnia... scesi ci congiungemmo con la squadra del tenente Di Carlo dove intesi dagli stessi militi che erano stati uccisi due partigiani ed il milite Zappella aveva un orologio al braccio di uno dei due uccisi. Da qui siamo rientrati a Dolcedo con il partigiano della San Marco, il quale venne poi ucciso nei pressi del cimitero dal milite Cartonio Antonio.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019 

Giovanni Nino Berio

Garzi - Fonte: mialiguria.it

Dopo pochi giorni da quando eravamo giunti a Piaggia, da Pieve di Teco giunsero alcuni civili, nostri collaboratori, per informarci che nel paese gironzolava una quarantina di partigiani che si comportavano con arroganza e prepotenza, mangiavano nei ristoranti, bevevano nei bar, prendevano oggetti ed altro nei negozi, senza pagare. La cosa ci apparve anomala e strana, per cui il Comando decise di inviare una decina di uomini per constatare come stavano le cose.
Uno dei responsabili della spedizione era Nino Berio ("Tracalà"), il quale, sapendo che a Pieve "filavo" con una ragazza, venne sotto l'albergo Pastorelli per chiamarmi, invitandomi a prendere il fucile, le munizioni, le altre cose necessarie, e a seguirlo perché si partiva subito.
Non mi feci ripetere l'invito e, in un attimo, fui per la scala che portava all'aperto.
Però in fondo alla scala incontrai il commissario "Mario", il quale, vedendomi armato di tutto punto, mi chiese dove stavo andando. Lo informai di quello che mi aveva detto "Tracalà."
Lui mi disse che la squadra era già pronta e mi invitò a ritornare sui miei passi. Senza permettermi obiezioni mi invitò a riprendere posto ìn fureria dove c'era tanto da fare. "Mario" era un uomo deciso e non accettava di essere contraddetto, ragion per cui a malincuore ritornai in ufficio. lnfatti si dovevano inviare molti ordinì che dovevo scrivere a macchina, per riorganizzare la brigata.
Quelli che scorrazzavano in Pieve di Teco erano fascisti, travestiti da partigiani, del capitano Ferraris.
Alcuni nostri compagni caddero nell'agguato. Ugo Calderoni fu ucciso per la strada, Nino Alessi venne impiccato a Colle San Bartolomeo, Nino Berio, condotto a Chiusavecchia, fu torturato e poi ucciso (fu tenuto una notte legato ad un albero con filo spinato, bruciato con ferri roventi, colpito con una decina di pugnalate non mortali, quindi fucilato quando i torturatori non provavano più divertimento); qualcun altro fece la stessa fine, dei catturati nessuno si  salvò.
Sarebbe stato meglio che si fossero tolti la vita (come fecero altri nei mesi seguenti) anziché cadere prigionieri. Avrebbero sofferto meno e dato meno soddisfazione a quei sadici carnefici.
Due giorni dopo che il triste episodio era accaduto pensai che "Mario", involontariamente, mi aveva salvato la vita. (Che, per varie circostanze, mi salvassi, non era la prima volta, e non sarà l'ultima).
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998
 
I falsi partigiani sono adesso nella zona di Pieve di Teco - è la metà settembre del 1944 - ne uccidono parecchi di quelli veri, Ugo Calderoni, 21 anni, di Genova, e Franco Luigino Bellina, 20 anni, di Udine, a pugnalate, Antonino Alessi, di Messina, e Pasquale Ticella, 24 anni di Ragusa, impiccati, Giacomo Carinci, di Albenga, e Nino Berio, 20 anni, di Imperia, fucilati. Ci vorrà del tempo prima che siano neutralizzati.
Ricciotti Lazzero, Le Brigate Nere, Rizzoli, 1983
 
Capita un giorno che le staffette vengono a dire al comando, di una faccenda dei bottegai di Pieve, per questi buoni.
Al comando decidono che bisogna vederci chiaro, con una squadra apposta in ricognizione.
- È strano però - dicono al comando,- non sembra vero se ci sono quelli di Pelazza e i mortaisti di Menini, gente come si deve -; ma mandano lo stesso a vedere, non si sa mai.
Nino Berio il Tracalà, zoppicante per ferita, scende per primo sullo stradale a prendersi la bicicletta, - ho il mitra - dice, - e intanto vado a vedere.
Gli altri vengono dietro tutti tranquilli in fila indiana, e parlano tra loro delle cose della banda.
Ma eccoti di colpo sulla strada, prima delle case, luccicare al sole bossoli di mitra e sangue di traverso sul pietrisco, fino alla cunetta.
Più in là rigido disteso, eccoti il corpo crivellato di Ugo Calderoni, caposquadra mortaista.
Allora perdio, tutti presto sotto la scarpata giù al coperto e subito colpo in canna, pancia a terra col sole di striscio; ma stai fermo lo stesso dove ti trovi.
Eppure, non si riesce proprio a capire com'è successa senza spari e movimenti o altro bordello intorno, sta faccenda strana; com'è possibile insomma, se tutto è a posto e anche nelle case o per le strade non c'è traffico di niente; com'è possibile che sia successa sta cosa strana, che non si riesce a spiegare.
Invece, cos'è successo veramente, col sole di striscio e tutto alla svelta, lo dice propriamente adesso con l'affanno una donna ancora malmessa, che arriva dal paese tutta agitara e con la paura addosso.
Mentre lo dice, si guarda ingiro, e per spiegare come può tutto dal principio, si inciampa un po' nel parlare - macché, manco la gente se n'era accorta subito, perché nessuno se ne poteva accorgere; sì che c'erano delle facce nuove e c'era della stranezza: ma lo dico adesso; invece quando arrivarono, nessuno se ne accorse; come fai a capirlo lì sul momento, se li vedi vestiti proprio uguali, perfino coi fazzoletti rossi i moschetti a tracolla con lo spago e le braghe corte di teli mimetici? Dicevano i nomi giusti dei posti, litigando coi bottegai, e gridavano forte; era proprio tutto uguale e nessuno se ne è accorto, macché.
Così, quando il Tracalà saltò dalla bicicletta, se lo misero in mezzo senza farsene accorgere, parlando uno sull'altro.
- È proprio bello sto mitra corto; scommetto che spara ancora più preciso, fammi vedere.
Ma ci fu ben poco da vedere, quando gli vennero ancora più addosso, col mitra puntato nella schiena.
- Basta scherzi, ragazzi - diceva il Tracalà; ma diventava serio e sempre più pallido.
Si sentiva il sudore freddo, mentre vedeva all'ingiro soltanto facce nuove con le smorfie dei fascisti e il ghigno della morte. Per il trucco del travestimento, era troppo tardi ormai, quando il Tracalà capì che non lo era uno scherzo dei compagni; non lo era proprio: capì che invece senza sbaglio, era il ghigno della morte con la brigata nera di Ferrari addosso, più niente da fare.
Anche quel caposquadra mortaista, quando lo presero, lo presero a tradimento che non ci pensava nemmeno; si divincolò, che quasi ce la fece alla disperata; e così gli spararono lì sul momento.
Lo bruciarono nella rincorsa su per lo stradale, poi lo scansarono nella cunetta a pedate, rotolandolo nel pietrisco.
Invece a Nino Berio il Tracalà, che era stato uno dei primi partigiani salito in banda con Cascione, e Ferrari lo sapeva, gli fecero del resto prima di ammazzarlo come un cane; gli fecero di tutto lungo la strada.
Carico di un treppiedi, camminando scalzo a colpi nella schiena su per la salita e sempre più forte giù per la discesa, legato col filo spinato, glieli fecero fare tutti i tornanti della 28 che non finiscono mai.
Lo sfigurarono da capo a piedi per quel che gli fecero andando, finché lo ammazzarono soltanto in fondovalle ai Garzi, prima di Chiusavecchia; ma non parlò.
Un altro, portandoselo dietro che si impuntava, lo pugnalarono su per la salita finendolo a poco a poco e non lo trascinarono più, basta così.
Due li impiccarono a dei ganci da macellai, proprio in cima al Colle lasciandoli appesi; li lasciarono appesi per la gola bene in vista della gente, e su ciascuno ci attaccarono il cartello - questo è un bandito - legato sui garretti.
Dopo quella notte dei carnefici, il mattino fu diverso con le urla che si sentivano giù giù dal Colle all'intorno dei paesi, per tutta la valle; coi rintocchi dei campanili, prima che all'alba i preti potessero prendersi i cadaveri per le esequie, la gente chiusa in casa sentì ancora la brigata nera tutta sgonguaiata in guarnigione, che cantavano come all'osteria.
Fu in quella notte che, ciascun uomo sentendosi un brivido lungo nella schiena, i cani continuarono ad abbaiare alla catena, quasi a strapparla, per tutta la valle com'è lunga fino al mare.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 70,71
 
Ugo Calderoni

Ugo Calderoni. Nato a Genova il 25 marzo 1923. Mortaista, amico fraterno di Menini Lionello, è con lui nel settembre 1944 nel tentativo di liberare K13, agente SIM recluso a Castelvecchio di Imperia  nella sede OP GNR di Giovanni Ferraris.
E’ in ricognizione a Pieve di Teco il 23 settembre 1944 quando viene catturato a tradimento; cerca di reagire, ma è circondato da quattro militi della GNR che lo uccidono.
Il suo corpo è preso a calci dal milite della GNR Antonio Cartonio e fatto rotolare in una cunetta tra sterpaglie e pietrisco per un sommario occultamento.
Accusato della sua morte, oltre al già citato Cartonio, è Emanuele Cremonesi.
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011
 
Pieve di Teco (IM) - Fonte: Mapio.net

22 settembre 1944 - Circolano in Pieve [di Teco] dei Sanmarchini che, da quanto si vocifera, sarebbero qui venuti per presentarsi ai partigiani. Questa è l'unica constatazione della giornata.
23 settembre 1944 - Giorno di sabato, ore 10,30: scendono dal Colle S. Bartolomeo truppe composte da reparti di Sanmarchini. La popolazione è tutta in subbuglio e frastornata; molti si dileguano per le campagne. Queste temute forze di Sanmarchini pare si siano poi ridotte ad una trentina di Repubblichini che, mascherati, sono transitati per le vie di Pieve. Si dice che fra essi via sia pure il figlio primogenito del Dott. Viale e, a quanto pare, con dei trucchi e con i travestimenti, avrebbero catturato due partigiani. Quello che si attraversa è un periodo assai preoccupante perché si va accentuando la caccia all'uomo con mezzi assolutamente proditori e spregiudicati [...]
25 settembre 1944 - [...] Ore quattro e trenta: del centinaio di patrioti giunti stamane in Pieve, una metà sono andati al Colle S. Bartolomeo a prendere il cadavere di un patriota lassù impiccato proprio innanzi all'entrata dell'albergo Belvedere; l'altra metà son partiti per l'alta Valle Arroscia [...]
26 settembre 1944 - Sono le 10 e dal mio studio assisto al passaggio del feretro del patriota impiccato al Colle S. Bartolomeo. Benché ormai si sia usi a questi spettacoli di pietà, non si può trattenere un senso di sdegno per l'efferatezza oggi così diffusa.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994  

mercoledì 5 agosto 2020

Il rastrellamento nazifascista di Besta

Diano San Pietro (IM): Monumento ai Caduti in Guerra - Fonte: Mapio.net

Nella mattinata del 5 febbraio 1945 nella zona di Diano San Pietro (IM) si svolse un rastrellamento nazifascista ai danni della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante". Le forze nemiche erano divise in 3 colonne "una partita da Pairola, via Colletto, un'altra proveniente da Diano Castello, via Diano San Pietro, che puntavano sulla frazione Besta [località nel territorio del comune di Diano San Pietro (IM)] sede della I^ squadra, mentre una terza proveniente da Chiusavecchia cercava di chiudere la via verso l'interno", come recita un documento garibaldino.
La squadra del Distaccamento "Francesco Agnese" riuscì a sganciarsi quasi al completo, tranne 5 uomini che cercarono di nascondersi in rifugi già predisposti... secondo quanto sostiene il professor F. Biga... Franco Raspin Piacentini [nato ad Alessandria il 21 novembre 1923] si suicidava per non cadere in mano ai nemici...
Due giorni dopo si seppe che i nemici durante il  rastrellamento di Diano San Pietro avevano ucciso 2 civili sessantenni, perché trovati al lavoro.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
5 febbraio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Francesco Agnese" della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" al comando  della I^ Brigata - Segnalava un rastrellamento avvenuto nella zona di insediamento del Distaccamento stesso, un rastrellamento durante il quale un garibaldino era rimasto arso vivo e 4 partigiani erano stato fatti prigionieri.
5 febbraio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Francesco Agnese" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Completava il precedente rapporto aggiungendo che i garibaldini prigionieri erano stati portati verso Chiusavecchia e che tra i fascisti che li avevano catturati erano stati riconosciuti il capitano Borro, il guardacaccia Musso ed Emanuele il ciclista, tra i tedeschi il capitano Winter.
da documenti Isrecim in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II

Franco Raspin/Raspen Piacentini - Fonte: ANPI Savona
 
Pare che a seguito all'abbaiare insistente di un cane, sia individuato il posto in cui è nascosto Piacentini il quale, dalla testimonianza dei compagni nascosti nell'altro rifugio, anziché arrendersi, spara un colpo di rivoltella contro un brigatista nero della compagnia del capitano Ferraris, ferendolo ad una mano. Dopo aver gettato nel rifugio qualche bomba a mano, i fascisti estraggono il corpo di Raspin e lo bruciano. I quattro compagni di Piacentini (Emilio <Zari o Stendal, di Milano> Zari, Luigi <Luis di Andora (SV)> Vaghi, Giorgio Parmeggiani <Joe di Bologna; sulla lapide a Chiusavecchia (IM) Parmiggiani>, Antonio <Villa> Gioffrè) sono portati a Chiusavecchia e trucidati. Nel testo Diano e Cervo nella Resistenza, l'autore, Francesco Biga, scrive che Piacentini, rifiutandosi di darsi prigioniero, si toglie la vita nel rifugio con un colpo di pistola. Piacentini Franco è decorato alla memoria con medaglia d’argento al valor militare. A Franco Piacentini è intitolato un Distaccamento della Brigata "Silvano Belgrano" - Divisione d’assalto Garibaldi "Silvio Bonfante". 
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011
 
Il giorno 3 di febbraio 1945 tre colonne di nazifascisti effettuano un grande rastrellamento a Diano San Pietro (zona di Besta): si scontrano con un gruppo di garibaldini del distaccamento “F. Agnese” e sorprendono cinque garibaldini in un rifugio antirasteallamento. Mentre Franco Piacentini (Raspin), rifiutandosi di darsi prigioniero, si toglie la vita nel rifugio con un colpo di pistola, dove i tedeschi ne bruciano il corpo, gli altri quattro, Zari E., Vaghi L., Parmeggiani G. e Gioffrè A., condotti prigionieri a Chiusavecchia, saranno fucilati il giorno dopo.
Notizie tratte da Francesco Biga, Vol. IV della “Storia della Resistenza imperiese”, pagg. 131,132,133 e da Francesco Biga,, “Dalle valli al mare. Diano e Cervo nella Resistenza”, pagg. 207,208,209,210
Sabina Giribaldi, Episodio di Chiusavecchia, 03-04.02.1945Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia
 
Giorgio Parmeggiani - Fonte
 
Parmeggiani Giorgio, «Joe», da Primo ed Ermelinda Bracci; n. il 28/3/1924 a Bologna; ivi residente nel 1943.
Licenza elementare. Ferroviere. Prestò servizio militare in marina sino all'8/9/43.
Catturato dai tedeschi dopo l'armistizio, venne deportato in Germania.
Arruolatosi in un reparto della RSI, disertò appena rientrato in Italia e militò nella 1ª brg Garibaldi Liguria della 6ª div Bonfante.
Catturato durante un combattimento a Chiusavecchia (IM), fu costretto ad assistere all'esecuzione sommaria di un compagno di lotta. Dopo essere stato a lungo torturato, venne fucilato il 4/2/1945 a Diano S. Pietro (IM).
Riconosciuto partigiano dal 14/9/44 al 4/2/45.
Gli è stata conferita la medaglia di bronzo alla memoria con la seguente motivazione: «Rientrato dalla Germania dove era stato deportato, si univa alle locali formazioni partigiane dimostrando in ogni occasione sprezzo del pericolo, ardimento e spirito combattivo. Catturato in rastrellamento, tradotto incatenato in un centro abitato della zona, costretto ad assistere all'esecuzione sommaria di altro partigiano, sottoposto ad atroci sevizie durante interminabili estenuanti interrogatori, non svelava nulla che potesse danneggiare il movimento della resistenza ed affrontava serenamente il supremo sacrificio per il bene della Patria.». Diano S. Pietro, Chiusavecchia (Imperia), 2-4 febbraio 1945.
(a cura di) Alessandro Albertazzi, Luigi Arbizzani, Nazario Sauro Onofri, Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel Bolognese (1919-1945), Vol. IV, Dizionario biografico M - Q, Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea nella provincia di Bologna "Luciano Bergonzini", Istituto per la Storia di Bologna, Comune di Bologna, Regione Emilia Romagna, 1985-2003 
 
Era il 5 febbraio 1945. Al sorgere dell'alba ci incamminammo verso Diano San Pietro. Eravamo giunti quasi nel paese quando sentimmo raffiche di mitra. Ci attirò l'attenzione una colonna di soldati tedeschi che, scendendo da Diano Castello, veniva verso di noi. Ci portammo rapidamente al passo della Erbarea, che portava verso Pairola, e ci appostammo in quel punto in quanto potevamo vedere nelle due vallate di Diano e di Cervo (Valle Steria) l'avvicinarsi di soldati nemici. Sentimmo diverse sparatorie proveniente dai luoghi ove erano ubicati i nostri rifugi nella zona di Besta e poi, silenzio totale. Preoccupati per i nostri compagni nascosti nei rifugi, ci avviammo in quella direzione. Quando giungemmo quasi sul luogo, avvertii un acre odore di carne bruciata; lo feci notare ai miei compagni di viaggio dicendo loro che, probabilmente, i tedeschi avevano bruciato qualcuno dei nostri compagni. Al che Germano e Mancen mi risposero: "Sandro, sei sempre lo stesso, vedi pericoli in ogni luogo,adesso senti anche odore di carne bruciata, piantala di fare in ogni occasione il pessimista". Dopo qualche decina di metri l'odore si fece più forte ed anche i miei compagni convenirono che qualche cosa era successo. Quando in un piccolo spiazzo, distante da noi una cinquantina di metri, notammo delle fiammelle, ci dirigemmo in quella direzione. Giunti sul posto, trovammo un corpo umano quasi completamente carbonizzato e notammo delle fiammelle ancora sopra una spalla e sopra un piede.
Attraverso alcuni brandelli di indumenti non bruciati identificammo il corpo del povero Franco Piacentini Raspen. Poi venimmo a sapere che gli altri quattro compagni (Emilio Zari, Luigi Vaghi, Giorgio Parmeggiani, Antonio Giuffrè) si erano arresi. Invece l'altro rifugio che si trovava nei pressi non venne individuato e gli occupanti (tra cui Peccenen e tre soldati russi), salvatisi, ci raccontarono che i nostri compagni erano stati quasi massacrati di botte [...] che Raspen si era rifiutato di arrendersi sparando dal rifugio un colpo di rivoltella contro il brigatista nero della compagnia Ferraris (tra le bande fasciste, la più sanguinaria), probabilmente ferendolo ad una mano. Allora i nemici avevano gettato nel rifugio qualche bomba a mano; non sentendo più alcun rumore, da sopra il rifugio avevano scavato, finchè non erano riusciti ad estrarre il corpo del povero compagno che, collocato sopra un mucchio di fascine, era stato bruciato, dando fuoco ad un liquido infiammabile.
Per il momento non ci rimase altro da fare che dare pietosa sepoltura nel cimitero di Diano San Pietro ai poveri resti (dopo la Liberazione, io, Germano e Frattini, li portammo ad Alessandria, sua città natale). I quattro che si arresero furono portati a Chiusavecchia, torturati per una notte intera e, all'alba del giorno dopo, fucilati.

La lapide rammentata da Sandro Badellino, op. cit. infra. Fonte: pietre della memoria
 
Una lapide, ivi collocata, con i nomi dei quattro e di altri partigiani uccisi nel medesimo luogo, ricorda il loro martirio.
Sovente ripenso che, se il comandante Giuseppe Saguato ("Pippo") [n.d.r.: anche Buffalo Bill o Bill, comandante del Distaccamento "Francesco Agnese" della I^ Brigata] non mi avesse portato con sé nella casa della Tassi in località Sant'Anna, sarei rimasto nel rifugio dove era Raspen. Sulla lapide di Chiusavecchia indubbiamente oggi ci sarebbe anche il mio nome.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998