martedì 4 ottobre 2022

A Fontane subimmo un piccolo attacco tedesco che ci sfiorò appena

Vessalico (IM). Fonte: Mapio.net

Per ritorsione e per vendicare i compagni caduti, il 4 ottobre 1944 attaccammo il caposaldo nemico di Cesio.
Insieme ad alcuni altri, il mio compito era quello di trasportare a spalle una mitragliatrice pesante con relative munizioni. Camminammo da Colle San Bartolomeo fin quasi al paese di Caravonica da dove era possibile battere il presidio nemico di guardia ad un ponte minato. Ma il nemico era ben protetto e il nostro attacco ebbe scarso successo.
Per continuare l'azione punitiva, alcuni garibaldini fecero saltare il ponte di Borgo di Ranzo, interrompendo i rifornimenti al nemico dislocato nella bassa valle.
Il giorno successivo, l'8, squadre d'assalto attaccavano il presidio nemico di Vessalico.
Dopo una precedente azione, una squadra al comando di "Cion" [Silvio Bonfante] investiva i tedeschi che cercavano di riattivare il ponte di Vessalico, anch'esso andato distrutto a causa di un'azione garibaldina. Lo scontro diventò accanito perché i tedeschi resistevano. Ad un certo punto parve che si dovessero arrendere, dato che da una finestra fecero sventolare una bandiera bianca. Allora "Cion" e Sandro Nuti ("Scrivan") uscirono un poco allo scoperto. Fu in quel momento che i due garibaldini vennero colpiti da diverse raffiche nemiche provenienti da un'altra finestra. Probabilmente non tutti i tedeschi erano d'accordo di arrendersi. Il primo ebbe una gamba squarciata, il secondo un gomito spappolato. Anche il garibaldino Calogero Madonia ("Carlo Siciliano") rimase gravemente ferito. l tedeschi persero una decina di uomini tra morti e feriti. Inoltre una mezza dozzina di loro, presi prigionieri, furono condotti al Comando in Piaggia, insieme ai nostri feriti. Sistemato nell'albergo Pastorelli, "Cion" rischiò la cancrena. Da Albenga giunse il famoso chirurgo, professor Abbo, per visitarlo. Dopo qualche giorno però, il pericolo della cancrena era passato.
Il nemico intanto aveva ideato un piano per distruggere la V^ Brigata a ponente e la I^ a levante, sul territorio della provincia imperiese. L'8 ottobre con ingenti forze attaccò la V^ a Pigna. Dopo alcuni giorni di resistenza estrema, quest'ultima dovette iniziare una ritirata per le montagne verso levante, attraversando Carmo Langan e altri passi, finché giunse a Viozene. Anche la I^, lasciando Piaggia, giungeva a Viozene la sera del 16, mentre i feriti, su ordine del Comando, venivano raggruppati nel paese di Upega poiché si pensava che la località rimanesse a ridosso del rastrellamento, e quindi protetta.
Mentre le due brigate evitavano il passo delle Fascette a levante di Upega, per giungere a Viozene, attraversando il Lagaré per una via più agevole, noi del Comando, all'imbrunire del 16, ci inoltrammo, appunto, per il passo delle Fascette per giungere a Carnino.
Il passo delle Fascette era l'unico passaggio che congiungeva Upega a Viozene (nel dopoguerra fu costruita la strada carrozzabile). Era già problematico attraversarlo di giorno, ma noi lo attraversammo di notte e fu una impresa terribile. Sopra i precipizi vi erano delle corde alle quali chi attraversava il passo doveva tenersi con le mani, e bisognava mettere i piedi in nicchie scavate nella roccia per non scivolare. Questa attraversata non la dimenticherò mai più. Giunti all'altro capo del passo, ci sentimmo stanchissimi, e cercammo di dormire. Nessuno di noi conosceva la strada per Carnino: ce l'insegnò poi la partigiana Anita Boeri ("Candacca"). All'alba del 17 ottobre ci preparammo per trasferirci a Carnino a congiungerci con altri partigiani. Facevamo delle corsette per scrollarci il freddo notturno che sentivamo nelle ossa, quando sentimmo delle raffiche di mitraglia provenienti dalla vallata di Upega. Immaginammo che i tedeschi avessero attaccato il paese, e, sapendo che colà erano rimasti i feriti con qualche altro partigiano, insieme a "Curto" [n.d.r.: Nino Siccardi, in quel periodo ancora comandante della II^ Divisione "Felice Cascione", da cui dipendevano le brigate qui citate, poco tempo dopo comandante della I^ Zona Operativa Liguria], a Libero Briganti ("Giulio"), commissario della divisione "Felice Cascione", e al medico De Marchi, fummo portati a pensare il peggio.
Non ci sbagliammo: dopo un'impari lotta i garibaldini al comando di "Curto" e di "Giulio" si sbandarono, e  fu in quel momento che Giulio fu colpito da una pallottola che gli attraversò il ventre. A Curto non rimase altra scelta che portare sulle spalle fuori tiro il compagno, fin sopra il passo delle Fascette. Quando lo depose a terra era quasi morente; all'imbrunire esalò l'ultimo respiro. Allora Curto cercò di passare oltre per raggiungere le due brigate a Viozene. A Upega caddero il dottor De Marchi e altri partigiani, tra cui Lorenzo Acquarone, Francesco Agnese e Francesco Gazzelli, in totale quasi una ventina. Il Cion, già rimasto ferito a Vessalico, mentre lo stavano trasportando sopra una barella verso un rifugio, quando vide i compagni che lo attorniavano falciati da una raffica, per non cadere vivo in mano al nemico si uccise con un colpo al cuore davanti alla madre e alla sorella che lo accompagnavano. Si salvarono Vittorio Rubicone ("Vittorio il Biondo"), Lazzaro Calcagno ("Mimmo") infermiere, Sandro Nuti [Scrivan/Scrivano], "Carlo Siciliano" [Calogero Madonia] e qualcun altro. Sei partigiani fatti prigionieri (Giovanni Giribaldi, Lorenzo Alberti, Domenico Moriano, Carlo Pagliari, Francesco Caselli e Michele Bentivoglio) dal nemico furono portati a Fontan Saorge e fucilati [n.d.r.: su questo ultimo tragico eccidio vedere a questo link].
Raggiunto Carnino, noi ci mettemmo nuovamente in marcia per raggiungere le due brigate che si erano spostate in Pian Rosso, a monte di Viozene.
Quando ivi giungemmo, cercammo qualche cosa da mangiare. Notammo una grande confusione. Tutti dicevano la loro: chi affermava che si doveva andare a Fontane [nd.r.: Frazione di Frabosa Soprana (CN)] in Piemonte, chi invece voleva andare nella valle di Albenga. Ma sul far della sera giunse l'ordine perentorio di mettersi in marcia verso il Mongioje, per raggiungere Fontane attraverso il passo del Bochin d'Azeo. Molti obiettavano che non si poteva attraversare il passo di notte con le armi pesanti per il fatto che vi era molta neve. Altri facevano presente che, se fossimo rimasti nei dintorni di Viozene, probabilmente il nemico ci avrebbe circondati e massacrati tutti. Informazioni in tal senso portavano a questa conclusione. Non avemmo altra scelta, piano piano, in salita, ci avviammo verso il passo a circa duemila metri di altezza, ed era già notte fonda. Cominciammo a pestare neve fresca che cresceva in altezza man mano che si saliva.
Quando giungemmo al passo trovammo la neve ghiacciata, e ancora più ghiacciata la trovammo quando incominciammo la discesa del versante opposto. Nel buio profondo bisognava stare attenti dove mettere i piedi per evitare scivoloni che  potevano rivelarsi mortali.
Fu una marcia tremenda anche per noi, inservienti del Comando, benché l'unico peso che avessimo fosse quello del fucile e di qualche caricatore. Ma fu cosa ancora più tremenda per coloro che avevano muli, armi pesanti (mortai e mitragliatrici), cassette di munizioni e simili.
Ad un certo momento per loro la situazione divenne impossibile per cui dovettero abbandonare tutto. Noi che stavamo in retroguardia per evitare qualche sorpresa, col cuore sofferente dovemmo subire il triste spettacolo, conseguenza della disastrosa ritirata delle due brigate, la I^ e la V^.
La partigiana "Candacca" fu più sfortunata di noi: finì in un laghetto, che non vide, dalla superficie ghiacciata. Tutta bagnata, tremava terribilmente per il freddo, mentre piangeva con disperazione, come una bambina. Per fortuna, però, si giunse in una baita diroccata che era nei pressi, dove potè spogliarsi e asciugarsi presso un fuoco che avevamo acceso bruciando grossi pezzi di legno.
Finalmente venne giorno e fu più facile portarsi in fondovalle, giungendo, dopo diverse ore a Fontane in val Corsaglia. Mangiammo qualche cosa che qualcuno aveva preparato e ci buttammo a dormire nei vicini fienili.
Dopo due giorni mandammo una dozzina di muli verso il Mongioje per recuperare gli armamenti e i materiali abbandonati durante la ritirata.
In quella notte (una sola per noi) compresi quanto avevano sofferto i  nostri soldati durante la ritirata di Russia.
A Fontane facemmo le solite cose, qualche attacco sulla strada Savona-Cuneo, subimmo un piccolo attacco tedesco che ci sfiorò appena. Iniziammo a mangiare in modo regolare (si trovava molta pasta, però mancava completamente il sale e, dati i tempi che correvano, non protestavamo). Dopo qualche giorno io e "Jacopo" ricevemmo l'ordine di recarci a Corsaglia, dove il nostro Comando aveva stabilito un incontro con il CLN di Mondovì.
Giungemmo puntuali all'appuntamento che era fissato per il pomeriggio presso un albergo del luogo, mentre tardarono quelli del CLN, che dovevano portarci del denaro.
Ligi al dovere, attendemmo ed intanto cenammo nell'albergo, seduti ad un tavolo pulito, serviti come signori, e di ciò ci meravigliammo molto, abituati come eravamo ad una vita randagia, carichi di fame, di sonno e di fatica.
Dovendo ancora attendere, ci accolse una camera riscaldata con lenzuola candide, coperte e cuscini; ci sentimmo dei grandi signori benché fossimo preoccupati di non avere sentinelle di guardia.
Finimmo per dormire comodamente e  profondamente.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998 
 
Trucco Carlo, "Girasole", nato ad Imperia il 22.12.1925
Di famiglia antifascista, è militante del P.C.I. clandestino dal marzo 1943.
Dopo il 25 Luglio partecipa a tutte le manifestazioni antifasciste che si svolgono a Oneglia.
Continua l'attività antifascista clandestina fino al marzo 1944 quando entra nel distaccamento partigiano "Inafferrabile" comandato da Giacomo Sibilla "Ivan", che opera intorno al Monte Grande.
Fra Luglio ed Ottobre 1944 partecipa all'organizzazione dell'ospedale partigiano di Valcona (Mendatica).
Durante il rastrellamento di Upega fa parte della squadra che porta in salvo l'Ispettore "Simon" (Carlo Farini), che giace in barella malato di broncopolmonite.
Vittorio Detassis

E' stato accertato che le bande di fuori legge, già dislocate sui monti verso il confine italo-francese, in seguito all'affluenza dei reparti germanici che si schierano sulla linea di frontiera, si sono ritirate in altre zone.
Continuano le azioni di piccoli gruppi di banditi, i quali compiono aggressioni e rapine.
La popolazione in generale è sempre favorevole ai banditi.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana [GNR] del giorno 22 ottobre 1944, p. 4,  Fondazione Luigi Micheletti   

Il movimento partigiano nelle località controllate è pressoché negativo, mentre nelle altre le manifestazioni criminose tendono ad elevarsi: parecchi i prelievi di persone - alcune rilasciate - non per i loro sentimenti fascisti o simpatizzanti o sospette di non condividere i sistemi instaurati di brigantaggio, molteplici i reati contro la proprietà, qualche delitto di sangue.
Reparti della G.N.R. di questo Capoluogo in collaborazione con la Polizia germanica e con il reparto speciale antiribelli di questa Questura hanno effettuato azioni di rastrellamento in alcune località della provincia con proficui risultati, alcuni ribelli sono stati catturati e passati per le armi, altri morti in combattimento, discreto il numero delle armi sequestrate.
Un sottufficiale, una guardia scelta ed una guardia di P.S., mentre svolgevano accertamenti di polizia giudiziaria in località periferica di questo Capoluogo, da elementi armati venivano prelevati e si sconosce la loro sorte.
Giovanni Sergiacomi, Questore di Imperia, Al capo della Polizia, Relazione mensile sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia (mese di ottobre 1944), Imperia, 1 novembre 1944

mercoledì 28 settembre 2022

Il 28 gennaio 1944 nuclei armati di renitenti ribelli occupavano il comune di Rezzo

Rezzo (IM): uno scorcio del centro storico. Fonte: Davide Papalini su Wikipedia

In relazione al telegramma Nr. 57351/441 si omettono per la seconda quindicina del dicembre u.s. le tre segnalazioni richieste, permanendo tuttora le condizioni di cui alle mie precedenti relazioni per la prima quindicina dello stesso mese, trasmesse con mio foglio del 18 dicembre u.s. pari numero.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Al capo della Polizia [n.d.r.: della Repubblica Sociale di Salò] - Roma, Imperia, 3 gennaio 1944  - XXII°. Documento <MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4> dell'Archivio Centrale dello Stato di Roma 
 
[...] Con sempre maggiore impulso viene combattuto il mercato nero e continuano le mie ispezioni personali ai mercati del Capoluogo e degli altri centri della Provincia.
Le recenti incursioni nemiche in questo Capoluogo ed in alcune località della Provincia, che hanno fatto vittime e danni, nonché i frequenti e ripetuti allarmi giornalieri, hanno provocato un certo sbandamento, aggravando il problema dei rifornimenti dei prodotti ortofrutticoli. A rimuovere tale inconveniente si sta procedendo con tutti i mezzi a disposizione.
Attiva sorveglianza viene esercitata sugli elementi avversi al Regime Repubblicano Fascista per seguirne gli ulteriori atteggiamenti e poter, all'occorrenza, tempestivamente intervenire per energicamente reprimere qualsiasi tentativo di turbamento dell'ordine.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Al capo della Polizia - Roma, Relazione settimale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Imperia, 10 gennaio 1944 - XXII°. Documento <MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4> dell'Archivio Centrale dello Stato di Roma
 
Il 7 corrente in Cosio d'Arroscia elementi ribelli hanno asportato quattro fusti di carburante dall'abitazione di tale Gastaldi.
Il 9 corrente in Cosio d'Arroscia i carabinieri intervenuti per far cessare una festa da ballo che svolgeva in una abitazione privata sono stati respinti e minacciati da elementi partigiani che partecipavano alla festicciuola. Militari germanici accorsi in aiuto dei carabinieri hanno ucciso un borghese e ne hanno feriti due. Poi, hanno fermato il Commissario Prefettizio locale.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 20 gennaio 1944, pagine 9-10. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti 
 

Nella settimana testè occorsa, e precisamente il 28 gennaio u.s. [n.d.r.: il giorno dopo l'uccisione dell'eroe partigiano Felice Cascione], nuclei armati di renitenti ribelli occupavano il comune di Rezzo di questa provincia, ove prelevarono un sottufficiale e 10 militi della G.N.R. (carabinieri), i quali si erano recati sul posto, da Pieve di Teco, per arrestare alcuni renitenti.
Mi recavo subito sul posto, con Funzionari, agenti ed elementi della G.N.R., nel limitrofo comune di Pieve di Teco, donde constatavo l'impossibilità di effettuare consuete operazioni di polizia. Si riusciva però ad ottenere il rilascio del sottufficiale e dei militari prelevati.
Pertanto, l'indomani, 29 gennaio, reparti germanici e della G.N.R., al comando di un ufficiale tedesco, procedevano a perquisizioni nelle abitazioni del comune di Rezzo e venivano arrestate sei persone, di cui tre renitenti, due perché trovati in possesso di armi ed uno quale ostaggio, siccome unico congiunto trovato in luogo del principale responsabile. Venivano inoltre incendiate sette abitazioni nelle quali erano state rinvenute armi.
L'ordine pubblico nel Comune di Rezzo ritornava subito normale.
Continuandosi nell'opera di pacificazione, svolta da me, ritornato nuovamente sul posto, a nome dell'Ecc. il Capo della Provincia, si otteneva la presentazione di 17 renitenti, che sono stati fatti accompagnare al Distretto Militare, nonché il ritiro di 90 fucili, 14 baionette, due pugnali, un fucile mitragliatore, con 8 caricatori, nonché cartucce varie ed alcune bombe a mano, tutto materiale di provenienza militare e spontaneamente versato alle autorità locali, dietro mie esortazioni.
La popolazione manifestava, infine, il suo sincero pentimento per le violenze commesse.
Tale episodio va quindi ridotto di proporzioni, per cui, più che di ribellione vera e propria, deve considerarsi come una ragazzata effettuata da giovani imberbi renitenti. 
Il 28 gennaio u.s. in Aurigo di Borgomaro di questa Provincia, circa 150 persone, in prevalenza, donne aggredirono con sassi e bastoni il comandante la stazione G.N.R. (carabinieri) di Borgomaro e tre dipendenti, mentre traducevano un renitente della classe 1925 poco prima arrestato. I militari per non essere soprafatti facevano uso delle armi, colpendo all'addome una donna, che successivamente decedeva. Un militare leggermente ferito ad una gamba da una bastonata. Il fermo del renitente veniva mantenuto. L'ordine pubblico ritornava subito normale.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Al capo della Polizia - Roma, Relazione settimale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Imperia, 2 febbraio 1944. Documento <MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4> dell'Archivio Centrale dello Stato di Roma

I primi episodi di lotta [a Rezzo] si verificano nel novembre 1943, allorché i Carabinieri di Pieve di Teco, con la costituzione della Repubblica di Salò, invitano i renitenti alle varie leve a presentarsi alle armi del costituendo regime fascista. Questo invito si reitera per tutto il mese di gennaio del 1944. Nel frattempo i giovani di Rezzo, muniti delle armi di cui si sono impadroniti l'8 settembre, si sono organizzati in una banda per montare turni di vedetta a San Bernardo di Conio.
Alla fine di gennaio giungono a Rezzo una quindicina di carabinieri, guidati da un maresciallo per prendere provvedimenti seri contro i renitenti. Ma questi, stanchi delle angherie e forti dell'appoggio della popolazione, armi alla mano circondano una dozzina di carabinieri sulla piazza del paese, li legano e li portano nel bosco di Rezzo. Per farli rilasciare intervengono le autorità fasciste ed il prete della parrocchia. Ottenuto il rilascio dei carabinieri, i fascisti compiono una ritorsione bruciando alcune case e, radunata la popolazione, la portano incolonnata in cima al paese, in località "Pilastri". Sono momenti di terrore. Siamo al 30 gennaio: il contadino Costantino Donati tenta di fuggire, ma i fascisti sparano e lo uccidono in località Crocetta.
A febbraio 1944, dopo gli avvenimenti appena narrati, nel bosco si radunano una novantina di partigiani che si organizzano in tre Distaccamenti.
Francesco Biga in Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria) - vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016
 
Agostini Annibale: nato a Genova il 13 maggio 1911, agente in servizio presso la Squadra Antiribelli della Questura di Imperia
Interrogatorio del 10.10.1945: Fui trasferito ad Imperia nel 1940 e venni assegnato a prestare servizio presso l’ufficio di polizia di Ponte Unione di Mentone. Nel dicembre del 1943 venni inviato di rinforzo ad Imperia inizialmente nella Squadra Politica e poi siccome non mi ci trovavo bene, essendosi formata una squadra di pronto impiego, io passai a far parte di essa. Detta squadra, composta in un primo tempo di 10 elementi, venne poi aumentata a circa 30 e poi ancora a 60 uomini e cambiò la denominazione in Squadra Antiribelli. Con detta squadra presi parte all’azione svolta a Pieve di Teco allorquando i partigiani avevano assaltato la caserma dei carabinieri ed avevano prelevato il maresciallo comandante. In detta azione fu proceduto al fermo di alcune persone che vennero poi portate in questura ad Imperia.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia,  StreetLib, Milano, 2019

martedì 20 settembre 2022

Ebrei deportati dai nazifascisti da Sanremo

Sanremo (IM): uno scorcio del Forte di Santa Tecla

Natalie Camerini, figlia di Giuseppe Camerini e Diana Norsa è nata in Italia a Trieste il 21 dicembre 1852. Arrestata a San Remo (Imperia). Deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuta alla Shoah.   
Raffaele Camerini, figlio di Giuseppe Camerini e Diana Norsa è nato in Italia a Trieste il 17 settembre 1863. Arrestato a San Remo (Imperia). Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuto alla Shoah.
Donato Colombo figlio di Davide Colombo è nato in Italia a Trinità il 4 ottobre 1863. Coniugato con Emma Ottolenghi. Arrestato a San Remo (Imperia). Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuto alla Shoah.
Benvenuta Perla De Benedetti, figlia di Leone De Benedetti e Giustina Artom è nata in Italia a Asti il 14 maggio 1873. Coniugata con Alessandro Levi. Arrestata a San Remo (Imperia). Deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuta alla Shoah.
Emma Foà, figlia di Leone Bonaventura Foà e Giulia Ferraresi è nata in Italia a Verona il 23 maggio 1874. Arrestata a San Remo (Imperia). Deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuta alla Shoah.
Sara Franco, figlia di Abramo Franco e Elvira Schnur è nata in Turchia a Istanbul il 23 luglio 1874. Arrestata a San Remo (Imperia). Deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuta alla Shoah.
Alessandro Levi, figlio di Donato Levi e Marianna De Benedetti è nato in Italia a Torino il 4 ottobre 1868. Coniugato con Benvenuta Perla De Benedetti. Arrestato a San Remo (Imperia). Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuto alla Shoah.  
Edwin Lumbroso è nato in Egitto a Alessandria d'Egitto il 4 dicembre 1875. Coniugato con Irene Elena De Bonfils. Arrestato a San Remo (Imperia). Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuto alla Shoah.
Brunilde Levy, figlia di Federico Levy e Gemma Pugliese è nata in Italia a Milano il 13 settembre 1929. Arrestata a San Remo (Imperia). Deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuta alla Shoah.
Federico Levy figlio di Alfredo Levy è nato il 21 aprile 1871. Coniugato con Gemma Pugliese. Arrestato a San Remo (Imperia). Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuto alla Shoah.
Irma Neufeld figlia di Ferdinando Neufeld è nata in Austria a Vienna il 24 settembre 1909. Arrestata a San Remo (Imperia). Deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuta alla Shoah.
Anna Luciana Norzi, figlia di Guido Norzi e Amalia Segre è nata in Italia a Casale Monferrato il 27 aprile 1931. Arrestata a San Remo (Imperia). Deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuta alla Shoah.
Guido Norzi, figlio di Moise Norzi e Evelina Momigliano è nato in Italia a Vercelli il 5 settembre 1886. Coniugato con Amalia Segre. Arrestato a San Remo (Imperia). Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuto alla Shoah.
Lodovico Orvieto, figlio di Sabatino Orvieto e Anna Calò è nato in Italia a Roma il 15 settembre 1882. Coniugato con Ines Pacifici. Arrestato a San Remo (Imperia). Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuto alla Shoah.
Giulio Osimo, figlio di Raffaele Osimo e Debora Osimo è nato in Italia a Turro di Podenzano il 7 febbraio 1886. Arrestato a San Remo (Imperia). Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuto alla Shoah.
Emma Ottolenghi, figlia di Maurizio Ottolenghi e Speranza Ottolenghi è nata in Italia a Acqui Terme l' 1 dicembre 1866. Coniugata con Donato Colombo. Arrestata a San Remo (Imperia). Deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuta alla Shoah.
Vittorio Ottolenghi, figlio di Gershon Ottolenghi e Rachele Pugliese è nato in Italia a Alessandria il 18 gennaio 1874. Arrestato a San Remo (Imperia). Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuto alla Shoah.
Ines Pacifici è nata in Italia a Firenze il 30 aprile 1889. Coniugata con Lodovico Orvieto. Arrestata a San Remo (Imperia). Deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuta alla Shoah.
Gemma Pugliese, figlia di Giuseppe Pugliese e Giuseppina Treves è nata in Italia a Alessandria il 17 aprile 1881. Coniugata con Federico Levy. Arrestata a San Remo (Imperia). Deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuta alla Shoah.
Tullio Pescarolo, figlio di Giuseppe Pescarolo e Lucia Peirone è nato in Italia a Torino il 22 giugno 1919. Arrestato a San Remo (Imperia). Deportato nel campo di concentramento di Buchenwald. È sopravvissuto alla Shoah.
[ n.d.r.: i nomi - e relative sintetiche informazioni - che precedono sono stati desunti dal meritorio Archivio CDEC, che si consiglia di consultare per ulteriori approfondimenti. Si coglie l'occasione per sottolineare che il partigiano Renzo Orvieto (altresì, illustre artista pittore e scultore: a lui si deve, ad esempio, il monumento ai Partigiani Caduti di Sanremo) era figlio di Ines Pacifici e di Lodovico Orvieto, sopra citati ]

Emma Foà nasce a Verona il 23 maggio 1874 da una famiglia ebraica e nella città scaligera vive gran parte della sua esistenza. Emma è un’educatrice e per anni dirige una scuola dell’infanzia nel quartiere veronese di San Zeno, in quella che oggi è via San Bernardino, 10. La sua attività professionale si scontra però nel 1938 con le leggi razziali, che le impediscono, in quanto ebrea, di continuare a svolgere quella che per lei è, oltre che un lavoro, anche una missione.
Negli anni successivi Emma Foà si trasferisce sulla riviera ligure, a Sanremo (IM), ed è proprio nella ‘Città dei fiori’ che viene arrestata il giorno dell’Epifania del 1944. Tradotta al campo di Vallecrosia (IM) e poi in quello di Fossoli, è infine deportata ad Auschwitz. È assassinata nelle camere a gas al suo arrivo, il 10 aprile 1944, in quanto considerata, con i suoi 70 anni, troppo anziana per contribuire allo sforzo bellico nazista, tramite il suo lavoro in stato di schiavitù [...]
Redazione, Emma Foà, Da Verona ai lager

Vallecrosia (IM): stele in memoria dei prigionieri del campo fascista di transito

Il nome intero di questo campo [n.d.r.: di Vallecrosia] era "Campo di concentramento provinciale per ebrei", ma in realtà non era un campo di concentramento ma di smistamento, dove prigionieri politici e ebrei venivano separati secondo le leggi razziali. Fu costruito nel Dicembre del 1943 ed entrò in funzione il Febbraio del 1944, chiuso poi nell'Agosto dello stesso anno. Scoperto negli ultimi vent'anni, il suo ricordo era quasi del tutto scomparso dalle menti della città, per questo motivo è stato posto il cippo, per far ricordare alla gente che in quel luogo, dove fisicamente non c'è più nulla, c'era un campo. Questo campo era diviso in tre aree: tutte avevano quattro edifici; la prima era chiamata "Il campo" anche se il vero nome era "Zona Fassi", un edificio era occupato da una caserma per soldati, gli altri tre da stalle per i cavalli; la seconda area era una distilleria di lavanda diventata caserme per soldati; la terza era destinata a caserme, uffici dettaglio, uffici comando e a dei magazzini. Una vicenda interessante è quella delle sorelle Perera portate subito da Bordighera con la madre a Vallecrosia per essere poi smistate in campi diversi, Gabriella andò da sola nel campo di concentramento di Bergen-Belsen e l'altra sorella, Mirella, con la madre andò al campo di Ravensbruck. Durante il periodo di permanenza a Vallecrosia furono aiutate dalle compagne di scuola di Mirella.
Iscrizioni:
    IN QUESTO LUOGO SORSE NEL 1944
    VIOLENZA TRA LE VIOLENZE DELL’INGIUSTA GUERRA
    UN CAMPO DI RACCOLTA PER EBREI
    E PRIGIONIERI POLITICI
    In memoria di tutti i perseguitati
    l’Amministrazione Comunale
    pose il 27 gennaio 2012
Redazione, 207474 - Cippo in memoria del campo per ebrei di Vallecrosia (IM), Pietre della Memoria. Il segno della storia, 22 luglio 2022


In Corso Garibaldi, al centro di Sanremo, il 28 gennaio 2022 sono state collocate due pietre d'inciampo dedicate alla memoria di Anna Luciana Norzi e Guido Norzi.
[...] La famiglia Norzi era composta da tre membri: la madre morta per cause naturali, la figlia Anna Luciana Norzi morta il 11 novembre del 1943 e il padre Guido Norzi morto il 31 gennaio del 1944. Quando arrivarono a prendere Guido Norzi lui nascose la figlia dentro l'armadio di casa sua e chi venne a prenderlo non se ne accorse e portarono via solo lui, la governante vide questa bambina e andò a cercare da vicini o conoscenti della famiglia se potessero prenderla ma non la prese nessuno. Lei la prese e la portò alla polizia dove c'era suo papà.
Redazione, 209128 - Pietre d’inciampo in memoria di Anna Luciana Norzi e Guido Norzi - Sanremo, Pietre della Memoria. Il segno della storia, 22 luglio 2022


Nella zona dell'ex carcere di Santa Tecla in Pian di Nave il giorno 28 gennaio del 2022 sono state posate due delle sei pietre d'inciampo dedicate alla memoria di Ines Pacifici e Lodovico Orvieto.
[...] Ines Pacifici, nata nel 1889, il 26 novembre del 1943 fu portata a Milano per poi arrivare ad Auschwitz dove morì il 11 dicembre del 1943 insieme a suo marito, nato nel 1882. Sono stati catturati dai tedeschi a Sanremo nel 1943 ed inviati a Materassi. Nel dicembre furono trasferiti nelle carceri di Milano, dopo circa tre mesi furono inviati a Bolzano e successivamente deportati nel campo di concentramento. Insieme ad essi si trovavano anche il signore Osimodo di Sanremo e il dottor Neppi di Milano.
[...] Questa famiglia era composta di persone già avanti con gli anni, erano cittadini italiani ed erano inseriti nella vita sociale.
Il giorno del posizionamento della pietra d'inciampo erano presenti dei discendenti della loro famiglia che vivono fuori Sanremo.
Dopo le leggi razziali e le deportazioni che il comune di Sanremo ha vissuto non si è più riformata una comunità ebraica significativa nel territorio comunale.
Redazione, 209092 - Pietre d’inciampo ai coniugi Ines Pacifici e Lodovico Orvieto a Sanremo (IM), Pietre della Memoria. Il segno della storia, 22 luglio 2022

sabato 10 settembre 2022

Un provvedimento casuale dell'amministratore della Divisione partigiana Bonfante

Ubaghetta, Frazione del Comune di Borghetto d'Arroscia (IM). Fonte: Comune di Borghetto d'Arroscia

Mi sarebbe forse stato facile sapere qualcosa di più chiedendo a Giorgio [n.d.r.: Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] ed a Pantera [n.d.r.: Luigi Massabò vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"], con i quali ero a frequente contatto [n.d.r.: in quanto Gino Glorio Magnesia, di cui qui si riproduce una testimonianza, era amministratore della richiamata Divisione garibaldina]. Pure non lo feci. Non che mi mancasse l'interesse, ma la vita che conducevo da due mesi era tale che non potevo  più escludere la possibilità di essere catturato vivo dal nemico. Già a Fontane i membri del Comando erano stati disarmati dei fucili e delle altre armi che potevano garantire una difesa efficace per armare gli sbandati che tornavano. In tali condizioni, se fossi stato sorpreso durante le marce, con una piccola pistola non avrei potuto colpire efficacemente il nemico. Avrei dovuto arrendermi sperando che una circostanza propizia mi consentisse la fuga. Purtroppo ciò mi avrebbe esposto ad interrogatori accompagnati da sistemi persuasivi. Sentivo che in tali ipotesi la migliore garanzia di poter mantenere il silenzio era il non sapere. Ridussi pertanto nel periodo invernale il mio interesse a quanto  era indispensabile all'assolvimento dei miei compiti ed alla mia sicurezza.
Il giorno 5 marzo [1945], lasciato Gazzo [n.d.r.: Frazione del Comune di Borghetto d'Arroscia (IM)], tornando in Val Lerrone, ripasso da Ubaghetta [n.d.r.: Frazione del Comune di Borghetto d'Arroscia (IM)]. Sono digiuno dalla sera prima e devo trovare la famiglia che ospitava i partigiani dell'intendenza e che dovrebbe avere parte dei viveri. L'intendenza non c'è più perché nessuno ha sostituito i caduti ed i prigionieri di gennaio e i superstiti, consumati e distribuiti parte dei viveri, sono passati alle altre intendenze; pure avevo sentito dire che qualche partigiano ad Ubaghetta ci doveva essere. Li trovo: sono un gruppetto di feriti e malati che vivono come possono, dimenticati dai Comandi e dai compagni, senza cure né medicine, aiutando le famiglie del luogo, stendendo i cavi della luce che avrebbero portato l'energia elettrica da fondo valle fino ad Ubaghetta. I borghesi danno loro un po' di cibo in cambio del lavoro svolto, qualcosa dei viveri dell'intendenza è rimasto. Mangio con loro: castagne bollite; poco per dei convalescenti.
Ce n'è uno ferito alla spalla che ha perso in parte l'uso del braccio. «Quando è stato?» gli chiedo. «In febbraio, il giorno 11. Ero della banda di Libero. Durante l'ultimo rastrellamento di gennaio avevamo passato la «28» perché di qua era un inferno e ci eravamo fermati ad Aurigo. Vi eravamo rimasti anche in febbraio perché il posto era buono. Poi una spia deve aver parlato ed una notte son venuti i tedeschi. Se ci siamo salvati lo dobbiamo a Libero che non perse la testa. I tedeschi ci avevano circondato e sparavano come dannati. Noi eravamo appena svegli perché l'allarme era stato dato all'ultimo istante. Libero ci fece segno di seguirlo e si lanciò in una direzione. Noi siamo tutti dietro a lui sparando come diavoli e siamo passati. Uno dei nostri è caduto, mi hanno preso alla spalla, tutti gli altri si sono salvati ma anche dei tedeschi ne devono esser morti».
La banda di Libero era il distaccamento G. Maccanò. Non avevo saputo nulla fino ad allora dello scontro di Aurigo. Mi raccontano la loro vita: piantano pali della luce e poi mettono i fili: «Loro possono lavorare perché hanno solo dei reumatismi, io invece con questo braccio posso far poco».
«Avete mai visto nessuno del Comando? - chiedo loro - Non avete mai detto alle staffette che siete qui?». «Il Comando? Cosa vuoi che se ne faccia di noi. Quando saremo guariti torneremo in banda, per ora ci arrangiamo come possiamo. Tempo fa abbiamo visto Boris [n.d.r.: Gustavo Berio, vice commissario della Divisione Bonfante] che ci ha augurato di guarire presto». «Se il Comando non ha dottori né ospedali, ha però una amministrazione. Tenete quattromila lire, andate a Ranzo dove deve esserci il medico condotto, compratevi le  medicine che vi ordina e che potete trovare e dei viveri perché, con solo castagne, non vi rimetterete di certo. Se potete lavorare meglio, altrimenti è nostro dovere sussidiarvi come facciamo con gli altri feriti e con le famiglie dei partigiani caduti o bisognosi. Sarebbe compito dei Comandi brigata, ma, se non possono farlo, potrebbero almeno avvisarmi. Tenete nota di come spendete questi soldi, quando mi manderete il conto ve ne darò degli altri».
I quattro accettano il denaro commossi e felici. Il ferito, capito che ero del Comando, mi dà del «lei». «Eri della S. Marco?» gli chiedo. «Sì». «Si sente... Adesso che so dove siete vi verrò a trovare quando ripasserò da Ubaghetta».
Mi rimetto in cammino piano, senza fretta. Mi fermo ogni tanto nelle radure del bosco a prendere il sole primaverile, ad osservare il panorama, a raccogliere i manifestini che gli aerei alleati avevano lanciato a centinaia.
Il 6 marzo vado a Casanova Lerrone dove ci sono dei conti da pagare.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 190,191

 

5 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 175, al comando della II^ Brigata "Nino Berio" - Ordinava di compiere azioni di disturbo lungo la strada Albenga-Garessio; di recuperare ogni possibile esplosivo; di controllare se c'erano riserve di munizioni per  St. Etienne , nascoste dal partigiano "Falco"; di stimolare i Distaccamenti ad inviare regolarmente relazioni.

5 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/79, al comando della Divisione - Segnalava che un informatore di Ormea (CN) aveva comunicato che la stazione radiotrasmittente, con un effettivo di 8 soldati tedeschi, era stata riattivata; che lungo la strada 28 i tedeschi stavano costruendo posti di sbarramento tra Cantarana ed Ormea; che un capitano tedesco aveva detto che i nazisti se ne sarebbero andati dai paesi occupati solo a guerra finita; che a Vegliasco vi erano 34 tedeschi; che ad Acquetico erano arrivati 200 tedeschi; che a Pieve di Teco con l'aggiunta di nuove 200 unità i tedeschi ammontavano a 500.

5 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione - Informava che i tedeschi, guidati da "Carletto", avevano eseguito una puntata su Nasino per sorprendere il Distaccamento "Giannino Bortolotti" della II^ Brigata "Nino Berio", ma senza causare perdite tra i partigiani; che tedeschi provenienti da Nava avevano fatto prigionieri due uomini dell'intendenza garibaldina; che "Turbine" [Alfredo Coppola], fuggito nell'occasione citata, abbandonando uomini e materiale, era stato arrestato, poiché non aveva fornito plausibili giustificazioni.

6 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 2, al comando della II^ Brigata "Nino Berio" - Rammentava che a partire dal 9 marzo tutti i Distaccamenti della Brigata dovevano essere pronti ad agire al segnale convenuto: il Distaccamento "Filippo Airaldi" avrebbe sorvegliato Passo San Giacomo e Passo Saline; il Distaccamento "Igino Rainis" Passo Cosimo e la strada per Alto; il Distaccamento "Giuseppe Catter" il Passo San Bartolomeo; il Distaccamento "Giannino Bortolotti" la via d'accesso da Albenga e Cerisola alla vallata di Nasino (SV).

6 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 5, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che con un'ispezione alla II^ Brigata aveva riscontrato in quei garibaldini un morale alto, ma anche che portavano un vestiario malridotto; che era meglio "allontanare in modo garbato" dal Distaccamento ["Igino Rainis" della II^ Brigata "Nino Berio"] di "Basco" [Giacomo Ardissone] il commissario "Turbine" [Alfredo Coppola], in quanto "elemento che non fa altro che lamentarsi del C.D.[comando di Divisione]"; che "Basco" era un buon comandante; che nella zona di Albenga non erano presenti molti nemici; che il Centa, invece, risultava minato in molti tratti; che i cannoni nemici a Coasco era salito di numero sino a 12; che si chiedeva perché non fosse stata ancora bombardata Pieve di Teco, dove si trovavano 500 tedeschi.

6 marzo 1945 - Dal comando [comandante "Domatore" Domenico Trincheri] della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo", prot. n° 4, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che alcuni reparti tedeschi, accompagnati da alcuni delatori, tra cui "Carletto"ed il "Boia", erano arrivati da Albenga e da Ponti di Nava in Val Pennavaira, dove si erano "limitati a rastrellare il fondo valle senza avventurarsi nelle campagne"; che a Nasino 200 soldati nemici avevano bruciato diverse case ed operato alcuni arresti, tra i quali anche quello del commissario prefettizio Ballerin; che nell'operazione su Nasino una donna era stata uccisa mentre tentava la fuga; che "Pastorino" era stato arrestato dalla gendarmeria tedesca. Si chiedeva, infine, essendo critica la situazione finanziaria, di inviare del denaro.

6 marzo 1945 - Dal comando del Distaccamento "Silvio Torcello" della III^ Brigata d'Assalto Garibaldi della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che, con la cattura del nucleo repubblichino SIDA, operato dallo scrivente Distaccamento, si era appurato che 14 persone, di cui si indicavano, altresì, le generalità, erano sotto stretta sorveglianza delle Bande Nere e che come agenti delle Brigate Nere, ufficio SIDA, risultavano tali L. Brinis, "Pippo", "Scippa" e "Giacomo", tutti abitanti ad Albenga o zone limitrofe.

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), “La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)” - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

sabato 3 settembre 2022

I partigiani imperiesi se ne andarono, ma “Tigre” restò prendendo il comando del “Rebagliati”

Uno scorcio di San Lorenzo al Mare (IM)

Poco prima della fine del maggio '44 (forse il 28 maggio) Giribaldi Vincenzo, già alla macchia all'epoca della battaglia di Montegrazie sale di nuovo in montagna; accompagna circa una trentina di giovani, e insieme con lui vi è Luigi Massabò (poi «Pantera»). I giovani lavoravano tutti in San Lorenzo al Mare, presso la Ditta «Paladino»; la quale, in realtà, serviva soprattutto per evitare l'arruolamento. Giribaldi, insieme col padre, Francesco, e con un loro amico, Benza Angelo, si recava spesso per ascoltare la radio clandestina nella casa di un loro conoscente, Nino Donati, oppure nella casa di una zia del rag. Giacomo Castagneto, situata in Porto Maurizio, nella località detta «Porta nuova». Quando si recava in questa seconda casa, anche Giacomo Castagneto era presente.
In detti incontri il discorso cadeva, ovviamente, anche sui partigiani.
Una sera, saputo che molti giovani della «Paladino» vorrebbero andare in montagna e che si sono rivolti a Giribaldi, essendovi egli già stato, il Benza propone a Giribaldi di farne un elenco, e di portarlo a un certo sig. Fossati,  dimorante nella zona di Pontedassio-Chiusavecchia; l'elenco viene preparato e consegnato (è portato a destinazione nascosto nel manubrio della bicicletta). Poco dopo, Giribaldi Vincenzo viene invitato a recarsi da Lorenzo Acquarone di Artallo; Acquarone Lorenzo dà a Giribaldi una rivoltella e la parola d'ordine (Francesca - Rimini), e gli dice di presentarsi, insieme con gli uomini, al «pilone» di Sant'Agata, dove saranno raggiunti da una persona, che li accompagnerà fra le bande. A Sant'Agata si unisce a loro una ventina di giovani di Oneglia; e il gruppo, così, diventa di circa cinquanta persone.
Al «pilone» di Sant'Agata li raggiunge un partigiano, che il Giribaldi sente chiamare «Guerrino» (si tratta di Guerrino Peruzzi), mandato dalla montagna. Con lui vanno a Ville Agnesi (Prati Piani), e poi alla Mezzaluna, dove si incontrano con Curto, per ordine del quale viene formata la banda. Al comando di essa vengono messi un certo Mario, di Artallo, ossia Briatore Mario detto «Cora», e Massabò Luigi (Pantera). Fra i componenti vi sono: Gorlero Angelo e Sironi Egidio (D'Artagnan) poi caduti in montagna; alcuni giovani, che in seguito passeranno ad altre bande (ad esempio, Roncallo Andrea, Gavi Vincenzo, Bracco Sandro e Carlo, ed altri). Vi è anche un certo «Tigre» (o «Gemesio») [Rosolino Genesio], venuto da Modena, il quale poi diventerà capo di una grossa banda nei pressi di Savona.
Per impedire ecessivi accentramenti, che si sarebbero formati a causa dei nuovi afflussi di giovani in montagna, la banda viene mandata presso il Monte Alto, nella zona di Savona; e forse fra il 16 e il 20 giugno parte per detta località.
I partigiani del nuovo distaccamento avranno un combattimento a Calice Ligure (giorni 5-6 luglio '44), in seguito al quale cattureranno armi e munizioni; subiranno un rastrellamento nei pressi di Monte Alto (9 luglio 44), in seguito al quale sarà ferito il «Tigre», che resterà nella zona: rientrati nella zona di Albenga, subiranno un nuovo rastrellamento a Picco delle Penne(o «Brico delle Penne»); e infine giungeranno a San Bernardo di Mendatica, e si ricollegheranno, l'11 luglio 1944, a quello che era stato il Comando della IX Brigata, ora diventato Comando Divisionale (II Divisione d'Assalto Garibaldi «F. Cascione»). Frattanto al distaccamento verrà dato il nome di «A. Viani», dal partigiano Angelo Viani, ucciso dai nazifascisti presso Barchei (Cuneo) il 21 giugno '44, insieme con Austoni Luigi, Boldrini Lazzaro, Maccanò Giuseppe, Vicini Antonio, tutti appartenenti al Distaccamento stesso <48. Il distaccamento «A. Viani», qualche tempo dopo il suo arrivo nella zona della II Divisione, verrà sciolto per ragioni di ridimensionamento: Pantera otterrà un incarico più elevato: alcuni uomini passeranno alla «Fenice» (ad esempio, Bracco Sandro e Carlo e Boggiano Luciano); Giribaldi Vincenzo, dopo essere stato per qualche tempo presso il Comando Divisionale recentemente creatosi, entrerà anch'egli nella banda «Fenice» <49.
[NOTE]
48 Notizie sui Caduti del 21 giugno e sulla data, parzialmente ricavate dal "Diario di Pantera". Per i nomi, consultato pure il volume "L'epopea dell'Esercito scalzo".
49 Nel maggio del '44 anche dall'albenganese sale in montagna un numeroso gruppo di uomini (circa 180); provengono specialmente da Albenga centro, da Leca, da Bastia, da San Fedele e da Campochiesa; si radunano dapprima a Coasco, e poi si spostano a Brico delle Penne. Loro intenzione sarebbe di tornare a formare il gruppo Val Tanaro agli ordini di Martinengo: poi, però, preferendo operare nella loro zona piuttosto che in Piemonte, si aggregano alle Formazioni Garibaldine di Curto. (Dall'opuscolo "La Resistenza continua", pubblicato per la celebrazione in Albenga del ventesimo anniversario della Liberazione).

 
Artallo, Frazione di Imperia

Giovanni Strato
, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Calice Ligure (SV). Fonte: Comune di Calice Ligure

Guerriglia e controguerriglia erano ormai due macchine ben oliate e sempre pronte a colpire. Il 30 giugno una compagnia tedesca attaccò il colle dei Giovetti, tra Murialdo e Massimino, catturando una pattuglia garibaldina. Ma i partigiani si rifecero rapidamente, e con gli interessi, quando la notte del 5 luglio i volontari del “Calcagno” e una squadra del 10° distaccamento della 9a Brigata d’Assalto, reparto proveniente dall’albenganese che per qualche tempo aveva sconfinato tessendo contatti con i savonesi, attaccarono congiuntamente il presidio tedesco di Calice Ligure <68. Si trattò di un’azione esemplare che ebbe pochi riscontri anche in seguito. Guidati da un milite, fuggito il giorno prima dalla postazione, i partigiani calarono in tarda serata sul paese, divisi in tre squadre di cui una doveva bloccare la strada per Finale con una mitragliatrice e bombe da mortaio usate come granate a mano. Le comunicazioni erano state preventivamente tagliate per evitare l’affluire di rinforzi. Un colpo sparato troppo presto scatenò una violenta battaglia che sulle prime costrinse i garibaldini, molti dei quali in preda alla paura causa l’inesperienza, a ripiegare; ma verso l’alba i partigiani conquistarono il paese abbandonato dai nemici, che si erano accorti di essere circondati.
Complessivamente erano rimasti uccisi tre tedeschi, di cui uno sulla strada per Finale; altri 4, feriti, caddero prigionieri (ma non per molto: i partigiani, se il prigioniero non era da fucilare, lo scambiavano con propri compagni o lo lasciavano andare disarmato e privato dello equipaggiamento). Alcuni individui, sospettati di collaborazionismo, furono condotti, bendati, al Comando. Il bottino fu discreto: particolarmente utili risultarono gli undici teli da tenda confiscati.
Nonostante gli indiscutibili miglioramenti, Luigi Longo “Gallo”, comandante generale delle Brigate Garibaldi, giunto a Savona ai primi di luglio per visionare la situazione del Ponente ligure, non poté fare a meno di notare come il movimento garibaldino nel Savonese fosse tuttora meno sviluppato rispetto a quello della Prima Zona (Imperia ed Albenga); con tutto ciò, chiari sintomi di disgregazione dell’apparato poliziesco della RSI si avvertivano ora anche a Savona, e bisognava approfittarne senza remore <69.
Verso metà luglio una serie di eventi negativi mise a rischio lo schieramento garibaldino. In risposta allo scacco subito con l’attacco al presidio di Calice Ligure, i tedeschi organizzarono un rastrellamento contro il distaccamento “Calcagno”, attestato nei pressi di Monte Alto <70. Presi alla sprovvista, i garibaldini arretrarono in preda al panico (molti erano dei “novellini”) in una nebbia impenetrabile, tra continue raffiche di mitra. Miracolosamente non vi furono né vittime né prigionieri, ma la frattura prodottasi nel bel mezzo del rastrellamento tra il “Calcagno” ed il Comando Brigata - che a detto distaccamento si appoggiava - costituiva un fatto assai grave. Più in generale in quei giorni si dispiegò un rastrellamento generale contro tutta l’area dal Carmo alla Val Bormida; anche i garibaldini del “Rebagliati” di stanza alla Baltera se la cavarono per il rotto della cuffia <71. In più gli imperiesi del 10° distaccamento, rendendosi forse conto di essere diventati una presenza “scomoda”, chiesero ed ottennero di poter tornare in I zona. Il loro arrivo era stato determinato essenzialmente dalla caccia mortale che i fascisti imperiesi davano al comandante Rosolino Genesio “Tigre”, che aveva ucciso un carceriere con una testata allo stomaco (!) <72. I garibaldini imperiesi se ne andarono, ma “Tigre” restò prendendo il comando del “Rebagliati” e facendosi fama di estrema risolutezza.
Si imponeva una riflessione. Il servizio informazioni non si era mostrato pronto di fronte alla minaccia nemica, che solo per una fortunata circostanza fortunata non si era tradotta in un disastro irreparabile tipo Benedica o Val Casotto: una di quelle disfatte totali che il movimento partigiano impiegava mesi per assorbire. Molti partigiani, specie le reclute appena salite in montagna dai centri rivieraschi, si erano mostrate pavide: a questo avrebbero dovuto provvedere i commissari politici con un’appropriata opera di sostegno psicologico e di motivazione al combattimento.
[NOTE]
68. Cfr. G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, ed. 1985, vol. II, Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, pp. 220-222 e F. Pellero, op. cit., p. 32.
69. Le Brigate Garibaldi... cit., vol. II, p. 103.
70. M. Calvo, op. cit., p. 51.
71. M. Savoini “Benzolo”, Cosa è rimasto: memorie di un ribelle, Savona, Editrice Liguria, 1997, pp. 82-84.
72. Ibidem, p. 86.
Stefano d’Adamo, "Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45)", Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000

domenica 28 agosto 2022

Un sedicenne nato a Treviso, morto da partigiano, fucilato a Pieve di Teco

Monumento ai partigiani, Pieve di Teco (Imperia): lapide ai sei caduti con meno di vent'anni - fra cui il sedicenne Luciano  [Renato] Mantovani, nato a Treviso - Calderoni Ugo, 19; De Negri Lino, 16;  Ponzoni Mario, 18; Talluri Ettore, 19; Saldo Bartolomeo, 17 - (Pietre della Memoria): didascalia ed immagine qui riprese da Caduti Partigiani Treviso cit. infra

Il 20 gennaio 1945 un grande rastrellamento nazifascista investì il paesino di Degolla, Frazione del Comune di Ranzo (IM). Sul piccolo centro si diressero tre colonne nemiche, provenienti da Cesio, da Pieve di Teco e da Casanova Lerrone. Il nemico giunse nella zona alle sette del mattino. Nei pressi del paese era dislocata la squadra di Riccobono Calcedonio "Assassino", composta da dodici garibaldini, armata con un solo mitragliatore. I garibaldini, rimasti circondati, spararono fino all'ultimo colpo. Il caposquadra Riccobono cadde dilaniato da una bomba a mano. Anche Giuseppe Cognein (Giuseppe) di anni 20, commissario del Distaccamento "De Marchi", venne ucciso da una raffica mentre scagliava la sua arma vuota contro il nemico. Altri sette garibaldini - Ettore Talluri, Giuseppe Loba, Luciano Mantovani, Oreste Medina, Ugo Moschi, Valter Del Carpio - caddero vivi in mano al nemico. Dante Rossi rimase gravemente ferito, ma, pur catturato e portato all’ospedale di Pieve di Teco, riuscì a salvarsi con la fuga grazie ad uno stratagemma (utilizzando il cadavere di un anziano deceduto per morte naturale), attuato con la complicità di un infermiere tedesco, sacerdote cattolico.  
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[ n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di) Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016 ]

Luciano Mantovani

Un primo esempio che proponiamo è quello di Renato Luciano Mantovani, nome di battaglia Balilla.
Questo giovane nato a Treviso il 16 dicembre 1928 e ucciso a Pieve di Teco (IM) il 26 gennaio 1945 aveva solo 16 anni. Il testo del suo ultimo messaggio dice:
Notizia ai genitori
“Sono accusato di appartenere alle bande comuniste, vi
domando perdono, ora mi fucilano”
Renato
Questa lettera sottolinea in modo evidente un tema tipico di questi documenti storici e che abbiamo evidenziato in rosso. I condannati a morte infatti spesso domandano perdono ai propri cari per il dolore che la loro morte avrebbe potuto causarli.
Giovanni Pietro Vitali, Insegnare la storia attraverso le ultime lettere e gli strumenti digitali, Seminario di aggiornamento per docenti "Il mio terzo mestiere. Primo Levi e gli studenti", 28 novembre 2019, Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore 


Renato Luciano Mantovani (Balilla). Di anni 16. Nato il 16 dicembre 1928 a Treviso. Studente iscritto al 2º anno della scuola di avviamento professionale. Nell’estate del 1944 si collega coi partigiani ed entra a far parte della 3ª Brigata della VI Divisione d’assalto Garibaldi-Liguria "Silvio Bonfante". Il 23 gennaio 1945 è sorpreso da un rastrellamento nazifascista mentre si trova a Degolla, una frazione di Ranzo (in provincia di Imperia). Catturato con altri 7 compagni d’armi (Bruno Cavani, Walter Del Carpio, Giuseppe Lobba, Oreste Medina, Ugo Moschi, Faustino Romano e Ettore Talluri), Mantovani è subito tradotto a Pieve di Teco (IM), dove viene fucilato senza processo il 26 gennaio 1945.
[...] Notizia ai genitori
"Sono accusato di appartenere alle bande comuniste, vi domando perdono, ora mi fucilano"
Renato
Ultima lettera di Renato Luciano Mantovani ai genitori
Igor Pizzirusso, Renato Luciano Mantovani (Balilla), Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza Italiana

26 gennaio 1945 - Sono le 8,30 e nel solito prato [di Pieve di Teco] gli otto sanmarchini già passati ai partigiani e catturati l'altro giorno nell'azione militare a Bosco vengono fucilati. Il paese terrorizzato è deserto - i pochi che vi si incontrano passano frettolosi per raggiungere le loro case -. Non una parola viene pronunciata da nessuno; si direbbero tutti ammutoliti dallo sgomento.                                          

27 gennaio 1945 - Uno dei sanmarchini superstiti, ferito al ventre, è morto alle 10,30 di stamane all'ospedale [n.d.r.: Barli non poteva certo saperlo, ma si trattava di Dante Rossi che, invece, riuscì a salvarsi mercé il sotterfugio descritto da Giorgio Caudano - vedere sopra - ].     

Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994

 

Certificato di morte di Luciano Renato Mantovani, rilasciato dal Comune di Pieve di Teco (IM). Immagine qui ripresa da Caduti Partigiani Treviso cit. infra


Mantovani Luciano di Adelchi, Treviso, classe 1928
Partigiano Combattente - 3. Brg. Bacigalupo - 6. Div. Bonfante
Caduto il 26 gennaio 1945, a Pieve di Teco
Dopo un aspro combattimento veniva arrestato il 23 gennaio, incarcerato, dopo tre giorni di stringenti interrogatori veniva fucilato.
Tipografo - 3. avv. professionale  (Elio Fregonese, 1997)
Ulteriori informazioni tratte dal foglio matricolare
Mantovani Luciano Renato, classe di leva 1928, matricola 56464 quater, Distretto di Treviso (28). / Figlio di Adelchi e di Florian Giovannina, nato il 16.12.1928 a Treviso.
«Considerato come arruolato nell’Esercito per aver fatto parte dal 1°.9.1944 al 26.1.1945 della formazione partigiana 6a Div. Bonfante, 3a Brig. Bacigalupo con la qualifica gerarchica partigiana: nessuna [...]
Timbro
Equiparato a tutti gli effetti (escluso il compimento degli obblighi di leva), per il servizio partigiano anzidetto, ai militari volontari che hanno operato in Unità regolari delle Forze Armate nella Lotta di
Liberazione (D.L. 6/9/1946 n. 93)
A penna
Deceduto nel Comune di Pieve di Teco, come risulta dall’atto di morte del Comune di Venezia in data 10.11.1958 - Partigiano Combattente Caduto (fucilato) - li 26 Genn. 1945)».
[...] Da segnalare come il padre, Adelchi Mantovani, fosse un ex socialista massimalista che nel 1924 entrò a far parte del partito comunista di Treviso. Lo veniamo a sapere dal partigiano e dirigente comunista trevigiano Nicola Paoli, a p. 134 dei suoi "Quaderni": «Cominciava la persecuzione, specie con gli intellettuali. Ghidetti [Vittorio, primo sindaco di Treviso dopo la Liberazione] allora faceva parte del gruppo di Serrati, i così detti “terzini", e fu lui, Oreste Bonaccina, Beppi Fiabon [marito di Teresa Menghi] e Adelchi Mantovani, che nel 1924 la frazione si fuse con noi. Ghidetti era alla camera del lavoro [...]»
[...]  Un piccolo eroe patriota
«Giunge notizia, da Venezia, che la salma del quindicenne Renato Mantovani di Adelchi e di Rina Florian, nato a Treviso, è stata trasportata dalla Liguria a Venezia nella camera ardente predisposta nella sede di S. Polo del P.C.I. Il piccolo Renato era fuggito da casa nel settembre 1943 alla insaputa dei genitori, i quali, dopo tante ricerche, avevano potuto solo stabilire che provvedutosi di uno zaino di marina aveva lasciato Venezia e nulla più. Improvvisamente, verso la metà di luglio, una breve comunicazione da Pieve di Teco faceva conoscere che Renato riposava nel cimitero di quel paese, poiché arrestato il 23 gennaio 1945 insieme ad altri sei patrioti, dopo tre giorni dall’arresto insieme a questi era stato fucilato dalle brigate nere. In un foglietto scritto di suo pugno, il piccolo eroico patriota mandava l’ultimo saluto ai genitori, alla sorella ed ai nonni chiedendo perdono per il dolore che procurava loro. I funerali di Renato Mantovani hanno avuto luogo a Venezia giovedì 26 corr. alle ore 10 dalla camera ardente per il cimitero di Venezia»
(Rinascita, Organo del Comitato di Liberazione Nazionale, Treviso, n. 10, 28.7.1945)                    
PS - La breve vita e la lettera ai genitori del partigiano Renato Mantovani sono ricordate anche nel libro di Eraldo Affinati "Vita di Vita", Mondadori, 2014 -
(Anteprima online su Google Libri - Consultazione: 14 agosto 2017)
Nota - Nella lapide del monumento di Treviso, la sua data di morte è stata scambiata con quella di Giacomo (o Jacopo) Mantovani Orsetti, di Renzo, nato nel 1924 e ucciso a Crespano del Grappa l'8 ottobre del 1944.
Fonte: Fregonese e la pagina Facebook "Studi storici Giovanni Anapoli" - 18-29 settembre 1944: Operazione “Piave” - “il massacro del Grappa” (Pedemontana e Massiccio del Grappa). 2^ PARTE - Le vittime  [scheda n. 157 - Consultazione: 14 agosto 2017]
[...] Redazione, [Renato] Luciano Mantovani, 1928-1945, I caduti partigiani del comune di Treviso, 12 novembre 2016

mercoledì 24 agosto 2022

Casimiro Briozzo, partigiano, e Carlo Ferrari, ex San Marco, furono fucilati il 21 agosto 1944

Andora (SV). Fonte: mapio.net

Nella terza decade di giugno, in un punto della Via Aurelia presso il borgo di Rollo, ad una squadra di dieci uomini (tra cui i partigiani Fiume, Leo, Ceno, Federico ed altri), comandata da Nino Agnese (Marco), si presenta l’occasione di catturare un camion di derrate alimentari destinate al Comando della marina militare tedesca di Loano.
I due ufficiali tedeschi che accompagnavano il carico vengono abbattuti da raffiche di mitra e le derrate comprendenti zucchero, farina, riso e sigarette, sono trasferite alla base partigiana di Cian di Bellotto.
Il 12 luglio 1944, con una magnifica azione, il Distaccamento “Volante” asporta quintali di derrate alimentari da un treno merci tedesco.
[...]
Altra perdita partigiana: Casimiro Briozzo, nato in Francia nel 1912, staffetta della 1a Brigata, catturato a Laigueglia il 20 agosto 1944, mentre per conto del Comitato di Liberazione Nazionale locale tratta con un soldato della Divisione fascista San Marco, Carlo Ferrari, al fine di organizzare la diserzione di un contingente della divisione stessa, di stanza ad Andora Marina, viene fucilato il giorno successivo sulla spiaggia della frazione Pigna, unitamente al milite contattato.
Redazione, La Resistenza, Andora nel tempo

[...] osservavo il gioco della luna sulle onde del mare, quando un indistinto rumore di motori si tramutò in breve in una flottiglia di motobarche che passavano a poca distanza dalla costa, piccoli trasporti adibiti al rifornimento delle truppe dislocate nella Francia meridionale, servizi condotti alternativamente per via mare, a causa dei continui bombardamenti cui era sottoposta la ferrovia e il suo conseguente irregolare funzionamento; l'oscurità della notte, inoltre, favoriva tali operazioni. Osservavo le figure incerte dei marinai in servizio in coperta, quando l'inaspettato scoppio di un bengala illuminò a giorno l'intero tratto di mare a noi visibile; immediato e assordante il rumore delle armi riempì l'aria, come fontane iridescenti si alzavano grosse colonne d'acqua, bersagli mancati dalle bombe sganciate dagli aerei, mentre i traccianti dei trasporti riempivano il cielo di colorate scie luminose simili a fuochi d'artificio. Pochi minuti soltanto di un carosello di fiamme e di colpi, e il piccolo convoglio, completamente indenne, scomparve oltre la costa; gli aerei avversari erano già lontani, il nostro tiepido battimani concluse il breve ed inatteso spettacolo.
Era stato un giorno piuttosto tranquillo, nessuna incursione di caccia-bombardieri inglesi e nessuna ispezione da parte del comando della San Marco, una giornata insomma da considerarsi rilassante, ma evidentemente il sole non era ancora tramontato, e verso le ore 17 un paio di ufficiali del comando di battaglione si presentarono alla postazione convocando l'immediata assemblea di tutti i componenti il gruppo, con la sola esclusione delle sentinelle. L'interesse e la curiosità da noi avvertiti furono ben presto sostituiti dall'amarezza che si manifestò nell'ascoltare la richiesta formulata dai due messaggeri, che consisteva nel contribuire a formare, per l'indomani mattina, un plotone d'esecuzione. Il motivo, giustiziare un ribelle ed un traditore: un civile era stato sorpreso a trattare con un nostro commilitone la diserzione di un nostro contingente che sarebbe entrato a far parte delle formazioni ribelli. L'immediata  fucilazione sentenziata per i due implicati dalla corte marziale doveva servire da ammonimento agli scontenti ed agli indecisi sulle inflessibili punizioni che attendevano coloro che fossero sorpresi in un tentativo di fuga. Un silenzio totale accolse la richiesta; la partecipazione volontaria, nelle parole degli ufficiali, era da considerarsi un onore, ma tale opinione evidentemente non era condivisa, nessuno infatti vi aderì.
La cerimonia doveva effettuarsi nel nostro settore particolarmente defilato e controllabile da minacce esterne, e qualora fosse stato impossibile raccogliere il numero necessario alla costituzione del plotone di esecuzione, i nominativi  mancanti sarebbero stati scelti di forza. Un malinconico tramonto concluse una giornata che terminava con la preoccupazione di essere scelti per il triste incarico, e a questa seguì una notte molto lunga per la parte di noi che non riuscì a dormire. L'alba non era ancora spuntata che l'intero contingente attendeva pienamente sveglio il nuovo giorno, e fu un'alba grigia in un incerto orizzonte di foschia che illuminò velatamente un mare quasi immobile e silenzioso. Precedeva un plotone con elmetto e fucile, seguito da un carro trainato da un cavallo, condotto per la briglia da un soldato; i condannati legati su due sedie, il viso del colore dell'alba, uno indossava una camicia bianca, l'altro una camicia grigioverde; chiudeva il corteo una squadra con ufficiali in testa. Guardavo la scena con un'intensità mai avvertita, sentivo e vedevo in essa la presenza di qualcosa che non conoscevo; per una frazione di secondo ebbi l'impressione di vedere una sequenza cinematografica, condannati che venivano condotti alla ghigliottina, un attimo soltanto però: l'alba che sorgeva, l'aria che respiravo, gli uomini che osservavo erano veri, e una parte di essi si apprestavano ad uccidere altri uomini, un dilungarsi di preparativi quasi teatrali, di una giustizia cinica di effetto. Il plotone d'esecuzione era già stato completato con elementi di altri contingenti, il nostro gruppo doveva soltanto  formare un cintura di sicurezza sull'intero perimetro. Con due compagni ricevetti l'incarico di sorvegliare la strada e allontanare i troppi curiosi; ci si dispose a breve distanza l'uno dall'altro, le armi in pugno, pronti a far fuoco; e subito, in un atteggiamento per nulla gentile, convinsi due uomini che ironizzavano sul fatto ad allontanarsi rapidamente; poi, fu più forte dell'ordine e di eventuali pericoli, mi volsi a guardare il dramma che si viveva sulla riva. Nitide, le due figure si stagliavano immobili contro il mare, la schiena rivolta contro il plotone che stava allineandosi, il sole ancora nascosto nella cortina di foschia; i fucili si alzarono, un silenzio profondo si avvertì all'intorno e nel secco rumore che lacerò l'aria, due uomini, come due burattini a cui viene allentato il filo, caddero sulla sabbia; ancora attimi di silenzio e i due colpi di grazia, che mi apparvero enormemente lontani, chiusero la tragica cerimonia*. Il carro ripartì con due corpi ammucchiati sul fondo che, ad ogni buca della strada, sobbalzavano goffamente; gli accompagnatori marciavano sempre silenziosi, ma più scomposti e nessun richiamo, nessun ordine intervenne a riprenderli. Il sole, liberatosi alla fine della grigia coltre, splendeva in una cornice di bellezza, quasi a voler far dimenticare la crudeltà appena consumata.
Qualche giorno di vuoto senza avvenimenti di rilievo e improvvisamente, come di norma, l'ordine di partire. L'apatia che cominciava a contagiarci scomparve soppiantata dall'interesse per la nuova destinazione.
*Casimiro Briozzo, partigiano, e Carlo Ferrari, ex San Marco, furono fucilati il 21 agosto 1944
Renato Faggian (Gaston), I Giorni della Primavera. Dai campi di addestramento in Germania alle formazioni della Resistenza Imperiese. Diario partigiano 1944-45, Ed. Cav. A. Dominici, Imperia, 1984, pp. 32-35