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domenica 1 ottobre 2023

Cimitero ha mandato ai fascisti una sua fotografia che ora figura in tutti i posti di blocco

Il partigiano Cimitero è il primo a sinistra. Fonte: Gino Glorio, op. cit. infra

Il giorno 13 [marzo 1945] sono di nuovo a Ginestro [Frazione del comune di Testico in provincia di Savona]: al centro staffette si è sempre informati degli ultimi avvenimenti. A Ginestro sono in allarme perché sulla carrozzabile per Testico è in transito una macchina nemica; poi i tedeschi si allontanano e tutto torna normale. Vedo Venezia: la staffetta per la Cascione che si sposta a cavallo di un mulo: «Eri tu il partigiano cui la pattuglia tedesca ha sparato addosso?».
«Esatto, e me la sono cavata con una storta».
Venezia era contento per l'incidente. Compresi solo allora quale incubo fosse per lui passare tutti i giorni la «28» [n.d.r.: statale del Col di Nava] pattugliata dal nemico. Mai una volta si era lamentato di quell'incarico, pure l'incidente che lo immobilizzava e che da tutti noi era temuto perché l'esser bloccati in caso di attacco poteva essere la fine, faceva brillare di gioia gli occhi di Venezia. Conobbi la nuova staffetta, provvisoria perché appena guarito Venezia avrebbe ripreso il suo servizio. «Mancen [n.d.r.: Massimo Gismondi, comandante della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"] ci ha chiamato tutti», mi aveva detto. «C'è bisogno di una staffetta per la Cascione, ci ha detto. E' una cosa rischiosa perché c'è da passar la strada tutti i giorni. Chi si offre? Nessuno ha risposto. Benissimo allora va tu. Ed ha preso me. Dir di no non potevo. Avrebbe detto che avevo paura e sarebbe stata la verità. Al posto del moschetto ho la pistola, dà meno nell'occhio e spara lo stesso», ha detto Mancen. «Se ti vuoi sparare poi è più comoda. Se ci penso mi sento sudare... Dirlo è facile... Ma certo vivo non mi faccio prendere». Almeno Venezia guarisse presto!
Al pomeriggio lasciai Ginestro accompagnando fin quasi a Testico la staffetta della I^ Brigata. Mi raccontò un episodio di pochi giorni prima nella Valle di Diano.
Uno sbandato si era presentato al parroco di Diano Arentino. Il prete gli aveva dato un biglietto indirizzandolo a suo nome a chi gli avrebbe dato dei viveri; lo sbandato era caduto nelle mani dei fascisti ed il biglietto era stato sequestrato. Il giorno dopo, mentre il parroco diceva la Messa, venne uno di corsa ad avvertirlo che una macchina saliva per lo stradone: erano fascisti che venivano a cercare lui. Il prete cercò di affrettarsi ma l'auto era più veloce ed in pochi minuti fu in paese e si fermò sulla piazza della chiesa. Ad Arentino c'erano Mancen e suo fratello, udirono il rumore della macchina, i fascisti su un'auto non potevano essere molti ed attaccando risolutamente... Mancen piombò sulla piazza spianando il mitra: «Arrendetevi!». Due fascisti che stavano uscendo dall'auto cercarono di sparare, ma vennero fulminati da una scarica, gli altri due si arresero. Il parroco uscì di chiesa. Mancen lo chiamò: «Reverendo cercano di voi». «Eravamo venuti per una informazione... Una cosa amichevole...» balbettò il commissario di polizia.
«Per una informazione siete venuti con tutte queste armi?» ribattè il parroco. Il bottino era di due mitra, quattro pistole Berretta ed una Mauser. I due prigionieri vennero portati al Comando e fucilati, malgrado le loro implorazioni. Il parroco si rese irreperibile. Il giorno dopo i fascisti tornarono ad Arentino, incendiarono la canonica e altre case; ripiegarono poi rapidamente prima dell'arrivo di Mancen con i suoi. Gli eventi della Val di Diano indicavano che il morale dei partigiani andava migliorando, che a poco a poco tornava il desiderio di misurarsi col nemico direttamente, non limitandosi più alla tattica dell'imboscata.
Le imboscate erano pur sempre le azioni più redditizie e provocavano al nemico un lento stillicidio di perdite, un'inquietudine per ogni spostamento.
Il nemico aveva terrore di noi e resisteva ad oltranza. Non era facile catturar vivo un repubblicano ed un fascista come l'anno scorso. Russo [n.d.r.: Tarquinio Garattini, comandante del Distaccamento "Angiolino Viani" della già citata I^ Brigata] con i suoi intimò la resa a due repubblicani, quelli estrassero le armi e vennero uccisi. Un tedesco sorpreso da quei di Pippo [n.d.r.: detto anche Bill, Giuseppe Saguato, comandante del Distaccamento "Francesco Agnese" della I^ Brigata] in Diano S. Pietro si fece ammazzare ma non si arrese. Un altro, appostato da quei di Stalin [n.d.r.: Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata] sulla «28» mentre passava in motocicletta frenò bruscamente alla prima raffica, sterzò e si gettò nella cunetta trincerandosi dietro alla macchina. Di là rispose al fuoco dei partigiani appostati a semicerchio finché un camion di truppe ci obbligò a sgomberare. Ricordavo che Stalin aveva preso in giro un altro capobanda perché aveva appostato gli uomini ai due lati della strada: «Al momento buono, per non colpirsi fra di loro, avevano dovuto rinunciare a sparare!», aveva commentato. Se quella volta però avesse avuto anche lui qualcuno oltre la «28» avrebbe preso il tedesco alle spalle.
Lasciata la staffetta della I presso Testico raggiungo Poggiobottaro [Frazione del comune di Testico (SV)].
Mi fermo pochi minuti perché trovo solo Livio [n.d.r.: Ugo Vitali responsabile SIM, Servizio Informazioni della Divisione "Silvio Bonfante"] e Citrato [n.d.r.: Angelo Ghiron, vice responsabile SIM della citata Divisione], poi prendo la mulattiera a fondovalle che porta a Degna [Frazione del comune di Casanova Lerrone (SV)]. A poco a poco, inavvertitamente, riprendiamo confidenza con le mulattiere, con le strade battute dal nemico, qualcosa però dentro di noi si mantiene sempre in allarme, ad ogni curva sostiamo istintivamente attenti se udiamo dei passi. A fondovalle, ad una curva, sento due che salgono: uno scatto fuori strada, ma è troppo tardi: i due mi compaiono di fronte ed uno abbassa il mitra in posizione di sparo. L'altro gli tocca il braccio: «E' l'amministratore!» Il compagno solleva l'arma, fa un passo avanti e mi tende la mano: «Sono Cimitero. Due occhi neri, profondi, una capigliatura corvina che gli scende ad onde sulle spalle, statura alta, torace d'atleta. Tale mi apparve quella sera Cimitero [n.d.r.: Bruno Schivo, capo di una squadra del Distaccamento "Filippo Airaldi" del Battaglione "Ugo Calderoni" della II^ Brigata "Nino Berio"] che avevo visto in agosto, ma che più non ricordavo. «Hanno ucciso suo padre e sua madre, mi avevano detto». Hanno preso la sua fidanzata e le hanno ucciso davanti un uomo: «Così finirai anche tu se non ci dai modo di prenderlo!». Le avevano detto, poi, visto che taceva, l'avevano uccisa.
Cimitero ha mandato ai fascisti una sua fotografia che ora figura in tutti i posti di blocco. «Ora lo conoscono ma non lo prenderanno mai!».
Arrivato a Degna trovo la popolazione in subbuglio: «E' passato Cimitero con un compagno tranquilli per lo stradone, poco dopo di loro sono passati i tedeschi della pattuglia, se si incontravano succedeva un macello!».
A poco a poco nella fantasia e nell'affetto popolare la figura di Cimitero con la giacca di telo da tenda, la capigliatura fluente, il nome funebre come il destino dei suoi fa presa ed ingigantisce.
La sera del 13 radio Londra manda l'atteso messaggio: il lancio è per questa notte. Le staffette partono dai posti di ascolto, il dispositivo di sicurezza entra in funzione, i distaccamenti incaricati occupano i passi, il Catter  [n.d.r.: distaccamento della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della richiamata Divisione Bonfante] si schiera sul campo di lancio.
Scesa la notte, un aereo volteggia nel cielo di Capraùna, in basso palpitano nel buio le luci accese dai partigiani. I paracadute si aprono l'uno dopo l'altro, poi in cielo si accende una piccola luce: è il segnale che il lancio è finito. L'aereo si allontana rombando. Recuperati ed aperti febbrilmente i bidoni vengono estratti Sten, fucili, caricatori e pacchi di munizioni. Luci sospette vengono segnalate, le nuove armi vengono caricate febbrilmente al chiarore dei tizzoni che si spengono, partigiani si alternano nella difesa e nella raccolta, le armi vengono distribuite perché il campo di lancio deve esser difeso ad oltranza fino a raccolta ultimata.
Recuperato il materiale scompaiono anche le luci sospette. I partigiani rientrano a Capraùna.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 199-202

15 marzo 1945 - Da "Marco" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che occorreva avvisare "Cimitero" dei rischi di delazione che stava correndo.
15 marzo 1945 - Da "K. 20" alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Informava che era giunto "a Diano Marina un numero consistente di soldati appartenenti alla fanteria tedesca che si fermeranno per la notte"; che, oltre alle 3 compagnie della GNR, ne agiva un'altra, O.P., al comando del capitano Ferraris; che ad Imperia vi era un'altra compagnia ancora dell'esercito repubblichino.
17 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante" ["Livio", Ugo Vitali, responsabile], prot. n° 1/96, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" ['Giorgio' Giorgio Olivero, comandante] - Riportava le notizie ricevute il 12 marzo da un informatore ed aggiungeva che il maresciallo Groot, addetto al controspionaggio tedesco, era stato trasferito da Pieve di Teco a Pontedassio e, ancora, che sempre il 12 il comando della II^ Brigata "Nino Berio" aveva condannato e fatto giustiziare il commissario di P.S. Santo Miglietta e l'agente Attilio Sorbara, che erano stati catturati armati di mitra nella zona di Diano Marina.
17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Svolgeva una lunga relazione soprattutto sul tema degli aviolanci alleati [n.d.r.: di cui si riportano qui di seguito significativi stralci]: "... il giorno 13 u.s. si è effettuata l'operazione lancio nella località convenuta [Piano dell'Armetta nei pressi di Alto (CN)]; sono stati lanciati 33 colli di cui 28 recuperati nella serata ed i restanti 5 nella successiva mattinata. Non è stato possibile per il disturbo alle stazioni radio ricevere il messaggio per il lancio del giorno successivo. Tutte le tracce del lancio sono state cancellate anche grazie alla popolazione, di modo che i tedeschi non hanno trovato nulla. Data l'esperienza si consiglia di potenziare l'ascolto messaggi mediante l'aumento delle apparecchiature sulle 3 linee, visto che si è ordinata la revisione dell'impianto di Nasino. È da evitare inoltre il lancio in giorni consecutivi, poiché vi è un'unica via di deflusso rappresentata da una mulattiera ed è, quindi, impossibile creare una colonna eccessivamente grande di muli, perché desterebbe sospetti ed in quanto l'occultamento del materiale va eseguito a spalla. Il luogo si è mostrato idoneo allo scopo, per cui per il prossimo lancio si richiedono 150-180 colli. Non servono fucili, ma armi automatiche, mortai leggeri, bombe anti-carro. Il collo indirizzato a 'Roberta' [n.d.r.: capitano del SOE britannico Robert Bentley, ufficiale di collegamento degli alleati con il comando della I^ Zona Operativa Liguria] contiene 2 R.T. [radiotrasmittenti]: si prega di inviare degli uomini a prelevarle...".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), “La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

lunedì 25 settembre 2023

Hanno detto che i tedeschi hanno i cani da guerra

La Val Lerrone. Fonte: mapio.net

Verso sera [6 marzo 1945] al comando [della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] di Poggiobottaro si venne a sapere che a Cesio c'erano quattrocento tedeschi. La notizia meritava di essere considerata attentamente. Cesio era un piccolo paese sulla «28». Difficilmente si sarebbe prestato ad alloggiare tante persone oltre al normale presidio di Brigate Nere. Perché i tedeschi non avevano proseguito per Pieve? Una puntata nemica da Cesio sarebbe stata facile: dal paese partiva una carrozzabile per la Val Lerrone ed un'altra portava a Testico e di là, in cresta, fino ad Alassio. Più difficile era che il nemico conoscesse con esattezza la sede del comando, ma dopo tanto tempo di permanenza nello stesso posto, non si poteva escluderlo. Varie proposte consigliate dal buon senso vengono esaminate. Si potrebbe montare la guardia poiché tra noi e Cesio non c'è nessuna banda. Si potrebbe partire per una, meno minacciata, subito, o verso le tre di notte, dopo sorta la luna. Le varie soluzioni non vengono accettate, soffocate da una sorta di fatalismo, poi alla cosa viene dato un tono scherzoso, la minaccia viene volutamente accentuata per impressionare chi riteniamo più degli altri impressionabile.
«Hanno detto che hanno i cani da guerra, lo ha riferito un contadino che è arrivato ora da Cesio, è una cosa seccante». Guardo Vittorio, il padrone di casa che, in cambio dell'ospitalità, vuole essere considerato partigiano anche lui. Noi avevamo acconsentito volentieri perché in verità condivideva molti dei nostri rischi, però pensavamo, forse a torto, che in lui non vi fosse la stoffa del partigiano. Ho l'impressione che la notizia sia diretta a lui, vedo che si controlla bene, ma ha gli occhi lucenti, attenti. «E come li impiegano i cani da guerra? Non sentiranno mica i partigiani dall'odore?». Chiede con voce che sembra indifferente. «No, il cane non distingue il partigiano dal contadino» - spiega Livio - «i tedeschi quando giungono in paese di notte lanciano i cani lupo per le strade e chiunque esca di casa viene azzannato. I soldati intanto perquisiscono sicuri che nessuno possa scappare». «Anche ad Alba li hanno impiegati» - aggiungo io - «a Degolla li hanno lanciati contro i partigiani che sparavano distesi per terra: è un brutto affare, se stai in piedi i tedeschi ti vedono, se ti stendi i cani ti addentano alla gola». «Sapete la storia del Monco?». Racconta Giorgio. «In quel di Triora, prima dell'ultimo rastrellamento avevano detto che era un tedesco delle SS che aveva ammaestrato i cani da guerra. I cani sentivano l'odore dei partigiani e scoprivano i rifugi. Il Monco li seguiva e con un uncino, perché era mutilato di una mano, tirava fuori i partigiani dalle tane. Quando il rastrellamento comincia due partigiani, che sapevano la storia del Monco, si nascondono in un rifugio. Dopo qualche tempo sentono un cane ansare fuori dell'apertura. Che sia la bestia del Monco? Due mani escono dal rifugio, il cane è afferrato per la gola, strozzato, tirato dentro. Tre giorni sono vissuti i due nella tana con la bestia morta: era un povero cane da pastore perché il Monco non era mai esistito».
Era abitudine dei partigiani essere spietati con coloro cbe dimostravano qualche timore. Venivano spaventati al punto che non distinguevano più il vero dal falso. Ricordavo uno della Matteotti: Lupo; dopo averlo preparato a dovere con vari racconti di torture e fucilazioni avevamo finto un imminente attacco tedesco e lo avevamo mandato solo in esplorazione. Non era più tornato.
Pure quella sera i tedeschi di Cesio non erano una fantasia. Pensavo al rapporto che ci era pervenuto dopo Upega: «E' possibile dopo un anno di vita partigiana essere ancora sorpresi?». Era ancora possibile.
La notte passò tranquilla per quanto il mio sonno leggero venisse più volte interrotto dal canto di un gallo.
Il giorno 7 torno a Segua [Frazione di Casanova Lerrone (SV)] e l'8 vado al recapito staffette di Ginestro per vedere se hanno preparato i conti. Al recapito trovo un francese che giorni prima era passato da Segua. «Sei ancora qui?» gli chiedo. «Si è accorto che può mangiare e non far niente ed è ormai impossibile mandarlo via» mi dice una staffetta. Il francese era un giovane biondo, robusto, pareva più un tedesco che un latino, era un tipo singolare. Era passato da Segua con un telo da tenda sulle spalle. «Ho visto un contadino che batteva l'ulivo raccogliendo i frutti nel telo. Militare, gli ho detto io, ed ho preso il telo» - così aveva raccontato - «quello mi è corso dietro dicendo che lo aveva pagato, ma io sono stato buono e non gli ho dato niente».
«Poteva averlo pagato davvero» aveva detto Bertumelin indignato.
«E poi col mangiare e con l'alloggio che vi diamo mi sembra che possiamo averceli guadagnati dei teli e delle coperte militari che a voi non servono». «Potevo anch'io pagarlo con questa» aveva replicato il francese mostrando la rivoltella; «ma non l'ho fatto perché ero di buon umore».
«Come è che sei in Italia?», gli chiesi.« Affondato nel '40 con la mia nave presso Piombino. Fino al '43 prigioniero, adesso libero».
«Sarai contento di tornare a casa fra qualche mese a guerra finita?».
«Fra qualche mese? Troppo presto... Dovrò lavorare di nuovo, è più bello fare la guerra». «E gli altri cinque che vi ho mandato giorni fa?» chiesi alla staffetta.
«Li ho portati alla Cascione, avevano fretta di tornare in Francia. Appena fusa la neve cercheranno di passare».
Anche quelli li avevo visti a Segua: erano aviatori abbattuti: «Se i tedeschi ci prendono dico che sono canadese», aveva detto uno di loro. «Un mio compagno è stato tagliato con la sega circolare perché era francese».
La pattuglia dei ciclisti tedeschi continuò a percorrere la Val Lerrone sempre più spesso. Passò il 6, l'8, il 13. Il giorno 8 giunsero anche cani con tedeschi che requisivano fieno. La ricostruzione del ponte di Garlenda proseguiva lentamente, l'inattività partigiana cominciava a pesare, i borghesi, che all'inizio erano atterriti, temendo che tendessimo qualche imboscata alla pattuglia, cominciavano ora a parlare di accordi segreti, di compromessi fra noi ed i tedeschi. Una squadra della banda di Rostida, decisa a por fine a questo stato di inferiorità, si appostò a Case Soprane in attesa della pattuglia. I borghesi ripiombarono nel terrore e prima avvertirono i nostri dell'arrivo dei tedeschi, poi, visto che i partigiani non scappavano, andarono ad avvertire i tedeschi facendo fallire l'imboscata. Il Comando divisionale fece rientrare alla base la squadra che per rappresaglia stava requisendo galline e conigli.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980,  pp. 163-167, pp. 196-199

7 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 183, alla banda locale di Ginestro - Disponeva la presenza di una pattuglia sul Passo di Cesio per il giorno successivo dalle ore 23 alle ore 9 e la segnalazione di allarme al Distaccamento garibaldino più vicino una volta avvistati i nemici che lungo la strada di Testico, non transitabile da automezzi, sarebbero necessariamente saliti a piedi.
8 marzo 1945 - Dal comando del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che il 1 marzo il Distaccamento con l'ausilio di civili aveva effettuato il diroccamento del ponte di Degna e che il giorno 5 aveva fatto brillare con 3 mine il ponte di Garlenda "rendendolo inutilizzabile".
13 marzo 1945 - Dallo Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante" avviso n° 1 alla popolazione costiera - "Si invita la popolazione ad allontanarsi dagli obiettivi militari. Si consiglia di annotare i luoghi abitati da tedeschi e fascisti e di tenere sotto sorveglianza la Feldgendarmerie".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), “La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

lunedì 28 agosto 2023

Bersaglieri fascisti a Baiardo

Baiardo (IM)

Avevamo accennato nei capitoli precedenti alla formazione di bersaglieri fascisti che era stata dislocata nel paese di Baiardo.
La decisione presa dalle Autorità nazifasciste, nell'ambito del piano strategico relativo all'occupazione di tutti i paesi del retroterra per isolare le forze partigiane dai centri di rifornimento, creò nella zona una situazione particolare e difficile che ebbe modo di ripercuotersi, con tutte le sue drammatiche conseguenze, sulla popolazione civile locale per tutto il periodo che va dal 20 dicembre 1944 al 25 aprile 1945.
Abbiamo sintetizzato il suddetto periodo nei fatti che seguono, per ricordare il contributo di sangue dato dalla popolazione di Baiardo alla lotta di liberazione, testimonianza gloriosa da consegnare alla storia e alle generazioni di oggi e di domani, e per mettere in evidenza quale è stato il vero volto del fascismo e gli effetti dell'occupazione tedesca.
Il 20 dicembre 1944 i bersaglieri fascisti della «9^ Compagnia della Morte» di stanza a Baiardo, comandati da un tenente di nome F. B., di Corniglio (Parma), incominciano ad usare violenza, a spargere terrore e morte, a torturare e a macchiarsi d'infami delitti.
Spalleggiano il tenente nelle azioni criminose aguzzini come i sott'ufficiali G. C. M., G. T., C. C., T., e militi come S. G., V. R., A. F., G. S., L. A., O. T., M. e V.
Hanno la sede nell'albergo «Miramonti» e nei momenti cruciali della lotta non esitano a farsi scudo con la popolazione civile inerme. Altrimenti irrompono nelle case asportando ogni cosa, compiono prelievi notturni, interrogatori forzati, sevizie brutali contro persone ritenute favorevoli ai partigiani.
Un giorno arrestano i giovani Silvio Laura di Silvio, Mario Laura di Eugenio, Silvio Laura di Luigi, Giobatta Laura di Gio. B. Il tenente B. ne ordina l'interrogatorio eseguito dai suddetti ufficiali e soldati. Dopo indicibili torture, tradotti a San Remo, dove sono obbligati a scavarsi la fossa, vengono trucidati dalle S.S. tedesche (21-1-1945).
Oltre che dai Tedeschi, la 9^ compagnia è coadiuvata nei rastrellamenti da due o tre spie locali, tra cui l'amante del B., il quale non risparmia mai le persone da lei segnalate e su cui inveisce con crudele malvagità. La compagnia opera scassi e furti, rapina le scorte alimentari della popolazione, saccheggia il negozio di Eugenio Laura, padre di un caduto.
Per mesi i bersaglieri tengono forzatamente presso di loro donne e ragazze (M. Giovanna, L. Lidia, M. Giovanna, G. Luciana, L. Maria Rosa, L. Maria Caterina, T. Giovanna, L. Petronilla, L. Caterina, R. Giovanna, R. Maria, T. Caterina, ecc.) che seviziano in ogni modo.
Anche parecchi uomini subiscono la stessa sorte, rinchiusi nelle carceri dell'albergo trasformato in caserma. Per lungo tempo tengono prigionieri i cittadini: Luigi Laura, Gio. B. Chierico, Sergio Boeri, Giacinto Moriano, Michele Laura, Bartolomeo Novelli, Eugenio Chierico, Antonio Aurigo, G. B. Taggiasco, Antonio Moirano, Eugenio Laura, Nicola Rosafino, Antonio Pannaudo, Marco Taggiasco, ecc.
Danversa Giuseppe uscirà dalle carceri col volto irriconoscibile per le sevizie subite.
Il 10 marzo 1945 i carnefici fascisti legano per due giorni ad un palo i garibaldini Gaetano Cervetto (Nino) fu Guglielmo, e Matteo Perugini (Iena) fu Antonio, catturati in rastrellamento, dopo di che sfilano loro davanti, tempestandoli di pugni, bastonate e pedate. Al termine delle sevizie i martiri hanno le tibie fratturate, gli zigomi asportati, il mento senza carne, le mandibole spaccate. «Iena» viene esposto al pubblico ridotto in condizioni tali da essere irriconoscibile.
Dopo essere stati seviziati e fucilati nel cimitero di Baiardo, vengono oltraggiati e sputacchiati dalla soldataglia prima che le mani pietose di alcuni civili diano loro sepoltura.
In seguito, altri partigiani caduti nelle mani dei bersaglieri subirono la stessa sorte. Nel seviziare i garibaldini «Iena» e «Nino» si distinsero il sergente A. e il soldato G. S. Nel marzo del 1945 lo S. uccise personalmente il garibaldino Riccardo Vitali (Cardù), (vedi: «Battaglia di Baiardo»). Fu sanguinario e crudele, solo secondo al B. e, per ironia della sorte..., venne insignito di medaglia al valor militare.
Però la 9^ compagnia bersaglieri pagò cari i suoi misfatti con la perdita di oltre un centinaio di «camerati» tra morti, prigionieri e disertori (1).
[NOTA]
(1) I dati e i nomi riportati nel capitolo sono stati tratti da una denuncia fatta dalla popolazione di Baiardo il 29-10-1945 contro gli autori dei vari crimini menzionati (Archivio [Isrecim], Mazzo di dicembre del 1944, copia).

Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con patrocinio Isrecim, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977

Nella vicina Sanremo (IM) la notte successiva vennero fucilati presso Villa Junia cinque partigiani della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione, che erano stati arrestati a Baiardo (IM) il 17 gennaio.  Quattro di essi portavano il cognome Laura: Gio Batta Paolo, Luigi Gino, Mario Mario e Silvio Antonio. Come segnalato anche da  "Mimosa" [Emilio Mascia] alla Sezione SIM del CLN di Sanremo, il quale avvertiva che dopo l'uccisione di "Bacucco" e l'arresto della moglie le brigate nere avevano ucciso in Sanremo 4 persone tutte di cognome Laura e che altre 20 erano state arrestate e trasferite a Sanremo dove sarebbero state processate dal nemico per connivenza con i patrioti.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Il 17 gennaio 1945 nella zona di Baiardo bersaglieri repubblicani catturano i sapisti Laura Giobatta, Laura Mario, Laura Silvio Antonio, Laura Silvio Luigi e Laura Luigi “Miccia”. I cinque partigiani con il medesimo cognome, facenti parte della banda locale di Baiardo furono incolpati di aver trasportato un carico di farina da Baiardo a Passo Ghimbegna e a Vignai per rifornire i partigiani. Vennero portati a Sanremo nella Villa Negri, situata vicino alla Chiesa Russa, dove c'erano delle piccole celle. Il partigiano Laura Luigi Miccia riesce a fuggire durante un allarme aereo e a mettersi in salvo [riuscì a salire su di un tram per andare a rifugiarsi in un casolare in Località Tre Ponti di Sanremo]. Gli altri quattro partigiani furono trasferiti in un primo tempo nella Villa Ober [Oberg, Auberg...] e successivamente in un luogo poco distante, Villa Junia, dove dai Bersaglieri furono obbligati a scavarsi la fossa e quindi dagli stessi fucilati il 24 gennaio 1945.                                                                   Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, 2005, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia  

Fioriti Italo: nato a Coldirodi il 20 aprile 1924, squadrista della Brigata Nera “Padoan”, distaccamento di Sanremo.
Interrogatorio del 27.7.1945: [...] Giunto al ponte di Badalucco fui preso da alcuni tedeschi in servizio di guardia, i quali mi condussero al comando delle SS di Sanremo. Li mi volevano uccidere perché ero fuggito dalla brigata nera e per essere andato con i partigiani. I militari delle SS tedesche mi malmenarono per costringermi a rivelare dove si trovassero i partigiani ma io mi limitai a dire che i partigiani si trovavano sparsi sopra la località Vignai. Indi fui caricato su un camion fino a Baiardo da dove con una trentina di soldati tedeschi ci portammo a Ciabaudo dove i tedeschi effettuarono un rastrellamento fermando tutti gli uomini che si trovavano in paese che fecero sfilare davanti a me chiedendomi di ognuno se fossero o meno partigiani. Io dichiarai che tutti quegli uomini erano contadini e nessuno di essi era un partigiano.
[...]
Anfossi Amedeo: nato a Sanremo il 27 novembre 1915, milite della GNR in servizio presso il Comando Provinciale della GNR, compagnia di Sanremo
Interrogatorio dell’8.6.1945: Mi sono arruolato nella GNR nel mese di febbraio del 1944 e dal Comando provinciale di Sanremo fui destinato in servizio a Sanremo, prima a Villa al Verone e poi all’ex caserma dei carabinieri.
[...] Verso il 20 febbraio 1945 ho preso parte al rastrellamento effettuato nella zona di Baiardo unitamente ad una quindicina di altri militi, un reparto di bersaglieri, brigate nere e soldati tedeschi. Noi della GNR eravamo al diretto comando del Tenente Salerno Giuseppe. Io ero adibito al servizio di conducente di una carretta per il trasporto dei rifornimenti. Il rastrellamento è durato circa 8 giorni [...]
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019 

Nella notte del 9 febbraio 1945 elementi, appartenenti a reparti della Brigata Nera, Tedeschi e bersaglieri - circa centosessanta uomini - e partiti da Baiardo la sera precedente verso le ore 22, effettuano un rastrellamento nella zona di Vignai-Argallo: rimane ucciso Mario Bini (Cufagna) del II° Battaglione, e quattro altri partigiani vengono catturati, Chimica, Biondo, Bà, e Martinetto del I° Battaglione, nonché la staffetta Lucia.
[...] Rastrellamento, iniziato intorno al 20 febbraio 1945, effettuato nella zona di Baiardo, Monte Ceppo e Cima Marta da una quindicina di militi della compagnia di Sanremo della GNR al comando del Tenente Salerno Giuseppe, un reparto di bersaglieri, brigate nere e soldati tedeschi. Il rastrellamento durò circa una settimana senza che i nazifascisti riuscissero ad ottenere esiti positivi, fino al giorno in cui un lancio paracadutato alleato di armi e di viveri fu effettuato nella zona di Cima Marta.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; (a cura di) Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944-8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016 

martedì 22 agosto 2023

Quella mattina anche noi nel rifugio avevamo sentito alle 8.40 le prime raffiche di mitraglia forti e vicinissime

La zona di Testico (SV). Foto: Eleonora Maini

"Che sarebbe stato se il nemico fosse riuscito a colpire [n.d.r.: a Testico (SV), il 15 aprile 1945] Giorgio [n.d.r.: Giorgio Olivero, comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] o Pantera [n.d.r.: Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"], a scoprire la sede del Comando catturando documenti e materiale? Come si sarebbe ripresa la Bonfante in pochi giorni, ora che l'azione decisiva sembra imminente?" Erano le domande che pose Mario [n.d.r.: Carlo De Lucis, commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] nel pomeriggio di quel giorno. "Non ci ha insegnato nulla il disastro di Upega? Ricordate la circolare del Comando regionale di allora? E' mai possibile dopo un anno di lotta partigiana essere sorpresi? Così ad Upega, solo il caso e la fortuna vi hanno salvato oggi. Quando ieri sera ho chiesto chi voleva venire con me in rifugio non mi avete seguito. Vi pareva che fosse paura o eccesso di prudenza il non voler abbandonare ancora la tattica cospirativa. Avete visto. Non si tratta di paura o di coraggio, non siete padroni di esporvi senza ragione, le vostre vite sono troppo preziose per il movimento per sacrificarle per dormire in un letto".
Giorgio taceva, infatti non c'era nulla da opporre a quella requisitoria chiara ed inesorabile: il rifugio era stato costruito con ogni cura, era uno scavo di quattro metri per quattro, profondo due metri, rivestito di pietra, coperto di lamiera e di terra. Vi si accedeva per uno stretto corridoio la cui entrata era chiudibile con un cespuglio. La terra sopra il rifugio era coltivata. Nell'interno su telai in legno vi erano materassi per molte persone. Nelle pareti vi erano nicchie per le future radio trasmittenti. Come si vede si era ben lontani dalle umide tane in cui avevano vissuto per settimane i partigiani dei periodi più duri dell'inverno. Il rifugio era stato costruito da contadini cui il Comando aveva spiegato la delicatezza dell'incarico, l'alta prova di fiducia, le benemerenze che acquistavano nonché la possibilità di rappresaglie. Alcuni dei costruttori erano muti per sempre: erano tra gli ostaggi massacrati il giorno 15.
Se un appunto si può fare al rifugio era che era stato costruito troppo tardi. Il pericolo che gravava su Poggiobottaro era lo stesso che lo aveva minacciato da dicembre, da quando la circolare 23 aveva raccomandato la costruzione dei rifugi. Era ovvio che, dopo averne fatto a meno per tanti mesi, nel clima di euforia della primavera se ne sentisse meno la necessità. Io però l'avevo pensata diversamente. Tutte le volte che avevo dovuto dormire a Poggiobottaro mi ero trovato a disagio e mi era parso saggio, dato che dopo tanto un rifugio c'era, servirmene quella sera assieme a Mario.
Forse la situazione era migliorata, un attacco nemico poco probabile, ma non mi sarebbe piaciuto perdere alla vigilia della fine una vita che avevo salvato attraverso tante peripezie.
Quella mattina anche noi nel rifugio avevamo sentito alle 8.40 le prime raffiche di mitraglia forti e vicinissime. Eravamo rimasti stesi sui nostri materassi senza parlare, senza poter fare nulla. Fino alle 9.15 a brevi intervalli avevamo udito colpi, spari isolati ed altre raffiche. Chi soffriva di più era Sergio Sibelli del C.L.N. di Alassio che non pareva abituato ai rumori della guerra. "Come fate voi a restare calmi. Io vorrei non essermi mosso da casa", mi sussurrava a bassa voce. "E' questione di abitudine. Io è la prima volta che sento sparare sentendomi quasi al sicuro", gli risposi e aggiunsi "Non riuscirei invece a dormire come fate voi, in città con armi e manifestini nascosti in casa, sapendo che una spia potrebbe farmi prendere a letto".
Uscimmo alle 13.30 quando gli spari erano cessati e qualcuno da fuori si ricordò di noi e venne ad avvertirci.
L'incursione di Testico aveva rivelato che la potenza della Wehrmacht era al tramonto. Lo spionaggio del disertore tedesco e la conseguente condanna delle persone che ci avevano aiutato, se erano state condotte con abilità e prontezza, non raggiunsero, però, lo scopo che forse il nemico si riprometteva. La rapidità dello sgombero, l'essersi coperti con i civili, la mancanza di un bando, di un annuncio qualunque che dessero alla strage il carattere di una condanna, la brutalità stessa dell'esecuzione che dilaniò i cadaveri con proiettili esplosivi, diede all'azione un carattere di rabbiosa vendetta più che di giustizia, fu un gesto da banditi che rivelava una grave debolezza. I tedeschi per esercitare la loro legge dovevano adottare ormai anche loro i metodi che noi impiegavamo da tempo in Riviera, segno che la supremazia della loro forza si avvicinava al tramonto. In più noi portavamo, quando possibile, i colpevoli nelle nostre vallate per sottoporli a giudizio, mentre essi se ne erano coperti per sfuggire ai nostri colpi.
Non essendoci state né imboscate, né attacchi partigiani nei dintorni dagli abitanti la strage fu considerata un terrorismo selvaggio ed impotente. Ci si ricordava che il disertore tedesco aveva ordinato direttamente alle vittime di aiutare i malati partigiani quando era stato con noi, ciò aumentava ancora il risentimento e porterà in seguito la popolazione a tentativi di linciaggio di prigionieri da noi catturati.
I civili in preda al terrore abbandonarono i paesi della Val Lerrone passando le notti all'aperto, gli uomini chiedevano armi per unirsi a noi e difendere la loro vita, tornava così ad un anno di distanza il morale che aveva creato le bande locali. Il terrorismo nemico rendeva di nuovo i civili solidali con noi spingendoci alla lotta.
L'evolversi della situazione sui grandi fronti e la possibilità che incursioni nemiche contro la popolazione abbiano a ripetersi impongono ai partigiani un atteggiamento più deciso. L'opinione pubblica, orientata nettamente in nostro favore, l'afflusso continuo di nuove reclute e l'alto morale degli uomini decidono il Comando ad estendere il controllo finora limitato alla zona a sud della Val d'Andora a tutto lo spazio tra la «28» ed il mare. Dapprima si eliminerà il diaframma della Val Lerrone, poi collegheremo tra loro le bande creando uno schieramento quasi continuo sui due fronti della «28» e dell'Aurelia. I compiti verranno suddivisi tra le Brigate i cui effettivi sono in continuo aumento e dovrebbero già ora essere sufficienti.
Il timore delle rappresaglie nemiche non ci trattiene più: le popolazioni esasperate dal terrore e dalla vita nei boschi ci chiedono quando finirà quella situazione perché le notti passate all'aperto sono ancora fredde: "Per voi è appena cominciata, noi è più di un anno che facciamo questa vita", rispondiamo. "Ormai il tempo è buono, non abbiate paura, si può tirare avanti anche per dei mesi".
Una nostra occupazione sarebbe accolta con favore perché ormai ci ritengono in grado di respingere eventuali attacchi nemici.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 239-241
 
[...] Poco prima della Liberazione, il 15 aprile 1945, l’eccidio in assoluto più cruento, a Testico, nel quale perdono la vita 27 persone. All’alba di domenica due colonne tedesche giungono a Ginestro, frazione di Testico, per dare inizio a un rastrellamento: i militari catturano una ventina di civili, uomini e donne sorpresi nelle loro case, e li legano con corde. Poi, proseguendo la marcia, uccidono senza apparente ragione un contadino al lavoro. Alle 8.00, arrivati nei pressi della chiesa, irrompono nell’edificio, catturano altre persone e pongono tutti gli ostaggi lungo un muro sotto la sorveglianza di un soldato. Il resto della truppa, in parte, prosegue con il rastrellamento che porterà alla cattura di altri ostaggi; in parte si dirige verso Poggio Bottaro. Intorno alle 9.00 un gruppo di partigiani, dalla vicina frazione di Santa Maria di Stellanello, spara sui tedeschi permettendo a 3 degli ostaggi di fuggire. In risposta, i tedeschi tornano verso la chiesa, si appostano presso l’osteria del paese e catturano altri 3 contadini di Torria. Infine, la colonna riparte con i prigionieri al seguito. Durante la marcia, si arresta presso la frazione Zerbini per catturare altri ostaggi. L’ultima tappa è Costa Binella ove avviene la selezione dei progionieri. Vengono rilasciati 3 giovani di Ginestro, 4 donne e 4 ragazze. Queste ultime verranno poi condotte al carcere di Imperia, sottoposte a interrogatori e paestaggi e rilasciate almeno una dozzina di giorni dopo. Restano in mano ai tedeschi 27 persone: 25 uomini e 2 donne che vengono separate dagli altri prigionieri, seviziate e uccise a colpi di baionetta. I 25 uomini, legati 2 a 2 col fil di ferro, sono falciati a colpi di mitragliatrice. Dopo il massacro, i corpi risultano irriconoscibili [...]
Andrea Chiovelli, Quando i tedeschi massacravano i savonesi: ecco le 49 stragi che insanguinarono la provincia, IVG, 11 aprile 2016
 

giovedì 13 luglio 2023

Spostamenti del Comando Partigiano Imperiese

La prima pagina di un documento firmato da Simon (cit. infra) in data 3 agosto 1944. Fonte: Fondazione Gramsci

Per presentare un quadro complessivo delle ubicazioni e degli spostamenti del Comando della Resistenza imperiese, che si identificano in tanti momenti della lotta, che viene sviluppata a sua volta nei quattro volumi dell'opera, abbiamo ritenuto interessante tracciarne a grandi linee la cronologia fino alla Liberazione, iniziando, però, dalla metà dell'anno 1944, dato che il periodo precedente è stato approfondito con somma perizia nel primo volume dall'autore G. Strato.
Del suddetto periodo precedente vogliamo ricordare soltanto due episodi, rimasti inediti, che dimostrano con quanta serietà il comandante Nino Siccardi (Curto) desiderava organizzare la Resistenza imperiese, dal punto di vista della competenza, dell'efficienza e, al tempo stesso, come era precaria e difficile l'esistenza dei primi embrioni dell'organizzazione.
Primo episodio: nei primi giorni di dicembre del 1943, «Curto» aveva pensato di incorporare nella Resistenza imperiese degli ufficiali superiori dell'ex esercito, pratici del mestiere dal punto di vista tecnico, tattico e strategico. Per questo motivo, dopo vari suggerimenti avuti da alcuni compagni, aveva pensato di interpellare un bravo ufficiale e, in modo particolare antifascista, cosa abbastanza rara negli ambienti dell'ufficialità. Partito in bicicletta da Imperia, si recava presso Castel Gavone nel Finalese, dove incontrava il capitano Wuillermin Renato di 47 anni, vecchio e bravo combattente della prima guerra mondiale. Ma le trattative non erano ancora terminate quando il capitano, incappato in un rastrellamento, venne fucilato a Savona insieme ad altri per rappresaglia il 27 dicembre 1943.
Secondo episodio: nella prima decade di maggio del 1944, «Curto» e Libero Briganti (Giulio), rispettivamente comandante e commissario di tutte le bande partigiane imperiesi, da Arzéne si erano postati nel bosco di Rezzo, ospitati nella casa di Giobatta Bonello (Bacì Fundeghé). Si dovevano ulteriormente organizzare dei gruppi armati nella valle dell'Impero e per questo motivo venivano consegnate lire diecimila a un compagno di Ville San Pietro per l'acquisto di alimentari e il recupero di armi. Purtroppo il compagno organizzatore, ritornato presso il Comando per comunicare il risultato del suo operato, camminando guardingo e con la rivoltella in mano, era scambiato per un fascista e prima che si  potesse chiarire l'equivoco, dopo una breve sparatoria cadeva ucciso (1).
Con l'unificazione di tutte le bande della provincia nella IX brigata Garibaldi in giugno, il Comando, con a capo «Curto», si sposta ancora nel bosco di Rezzo e ivi rimane fino al 24 giugno 1944 (uccisione di L. Nuvoloni), quindi raggiunge la zona di Tavole. Nei primi giorni di luglio, con l'elevazione della IX brigata a II divisione d'assalto Garibaldi «F. Cascione», ritorna nel bosco e s'insedia nuovamente nella casa di «Bacì Fundeghé».
Alla metà del mese, per necessità militari si trasferisce a Garessio in val Tanaro e, dopo la battaglia di Pievetta (25 luglio 1944), si porta sotto il passo della Follia (Case Almirante), a monte di Pietrabruna, ove rimane fino al giorno della fucilazione degli ostaggi sul monte Faudo (vedi II volume). Seguono brevi spostamenti a San Bernardo di Mendatica, a Pieve di Teco, a Villa Talla ma, in definitiva, rimane nel bosco di Rezzo fino al 19 di settembre, quando l'ispettore «Simon» parte per il Piemonte scortato dal distaccamento di Muccia Pasquale (Turbine) per incontrare una Missione alleata (2). Ritenuto ormai troppo infido, dopo il 19 di settembre il Comando lascia il bosco per rifugiarsi a Piaggia da dove dirige la lotta fino al 13 di ottobre quando, iniziato il grande rastrellamento con l'occupazione tedesca di Pigna in Val Nervia e a causa dell'offensiva nemica in direzione di Triora-Piaggia, viene sospinto verso nord raggiungendo Upega [Frazione di Briga Alta (CN)] il 16; valicato il Mongioie con le brigate I e V, si porta a Fontane (provincia di Cuneo) dove, impegnato nella riorganizzazione delle formazioni, rimane fino ai primi giorni di novembre.
Rientrato in Liguria prima delle formazioni garibaldine, il comandante «Curto» va ad ispezionare la IV brigata (nelle zone di Villa Talla-Pietrabruna) e quindi prende nuovamente contatto con l'ispettore «Simon» [Carlo Farini] a Prelà, giuntovi in  precedenza ammalato (vedi capitoli XXV e XXVI).
Il Comando Operativo della I Zona Liguria, costituitosi il 19 dicembre 1944 e composto da «Simon», da «Curto» e «Sumi» [Lorenzo Musso, commissario politico] s'insedia in casa di Mario De Carolis in Prelà, dove rimane fino all'uccisione di quest'ultimo durante il rastrellamento del 28 dicembre. Allora i componenti e gli addetti sono obbligati a spostarsi a Pianavia presso la tipografia del C.L.N. provinciale che, da Villa Talla ivi trasferita, era stata montata qualche giorno prima dal tipografo Giovanni Acquarone (Barba), in un sottofondo della casa di Giovanni Calzamiglia (Bacì).
Ennesimo rastrellamento il 4 gennaio 1945 e la casa del Calzamiglia viene data alle fiamme. Nuovo rapido spostamento del Comando, fortunatamente sfuggito alla cattura, verso Badalucco in una casa diroccata, dove ha sede anche il centro staffette dirette da Federico Panizzi (Fedé) (ex miliziano del P.O.U.M. in Spagna nel 1937), e da qui a Vignai.
Invece «Simon», annaspando nella neve verso monte Acquarone, con don Nino Martini riesce a raggiungere Lucinasco in valle Impero nella notte.
Il 6 gennaio 1945 sbarca a Vallecrosia la Missione alleata composta dal capitano inglese Robert Bentley e dal radiotelegrafista John Mac Dougall (Mac), che si aggrega al Comando I Zona Liguria dopo due giorni a Vignai. Completato il Comando, il gruppo si porta a San Salvatore, sotto il passo della Follia da dove dirige la lotta.
A metà mese un pesante rastrellamento sul luogo, causato dalla trasmittente individuata dai goniometristi tedeschi, obbliga il gruppo a spostarsi a «Ciazza Becco», tra Badalucco e Pietrabruna, dove sosta una dozzina di giorni.
Durante questo periodo «Curto» si reca ad ispezionare la divisione «S. Bonfante» ad est della strada statale n. 28. Il 25 di gennaio è quasi spettatore della cattura del 10° distaccamento «W. Berio» (IV brigata) da parte del nemico. Triste episodio accaduto nel vallone tra Villa Talla e Pantasina. Ritornato a «Ciazza Becco», il 27 la località è investita da un rastrellamento ancora causato dalla radio trasmittente; ma accade un episodio singolare: alcuni garibaldini del comandante Ermanno Martini (Veloce) incrociano una squadra di soldati tedeschi; i due gruppi nemici si scorgono ma non si accende lo scontro, ognuno prosegue per la propria strada.
Nella notte successiva il Comando si sposta a Beusi, nel bosco del Pistorino, dove i figli del contadino Lanteri Francesco (Chiccò) avevano costruito un'apposita baracca. Dopo qualche gioroo giungono nel detto luogo anche «Simon» e la sua segretaria Bianca Novaro (Rossana).
Intanto avviene l'episodio relativo al sommergibile alleato * che doveva sbarcare rifornimenti sulla spiaggia presso il giro del «Don» (Arma di Taggia) e che, invece, non giunse, mentre i garibaldini caddero in una imboscata (vedi il precedente capitolo LIV).
Il 2 di febbraio il Comando I Zona Liguria è nuovamente riunito. Al Pistorino si discutono i piani per rifornire di armi i garibaldini tramite gli alleati con aviolanci. Il 9 avviene il convegno di Beusi per definire questi piani anche con i rappresentanti di alcuni C.L.N. delle città costiere (vedi il IV volume).
I rastrellamenti si susseguono incessanti [...]
[NOTE]
1 Da una testimonianza orale di «Curto»
2 Gli avvenimenti collegati al Comando della Resistenza imperiese sono descritti in modo particolareggiato nei volumi e nei capitoli precedenti.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977, pp. 524,527

* Michael Ross, uno degli ufficiali alleati che sarebbero dovuti rientrare nelle linee con il citato sommergibile, lasciò scritto nel suo "From Liguria with love. Capture, imprisonment and escape in wartime Italy" (Minerva Press, London, 1997) che nel richiamato torno di tempo furono tre i tentativi compiuti da un mezzo navale amico. I primi due vennero frustrati perchè scattarono trappole, da cui i partigiani si salvarono a stento, predisposte dai tedeschi, informati da una donna infiltrata nelle fila della Resistenza locale. La terza volta gli uomini del sommergibile, arrivando, non trovarono nessuno, perché, nel frattempo, i garibaldini avevano individuato la spia, che venne addirittura eliminata con l'uso di una pistola in dotazione ad un altro degli ufficiali alleati: e le comunicazioni radio in quel frangente non poterono funzionare, il che spiegava quel viaggio a vuoto.
Adriano Maini

Il 20 ottobre 1944 “Curto”, Nino Siccardi, con la scorta di 5 partigiani tornò momentaneamente ad Upega per procedere alla messa in salvo anche dei patrioti feriti che là erano rimasti.
La missione ebbe esito positivo.
[…] Le forze sbandate della I^ e della V^ Brigata, circa 150 uomini, furono incorporate nell’VIII° Distaccamento di Domenico Simi (Gori), che si costituì in Battaglione.
Venne tentato a più riprese un contatto con il comando divisionale, conseguito, infine, il 22 ottobre.
Nei primi giorni di permanenza a Fontane avvenne l’incontro tra il comandante [della II^ Divisione Garibaldi “Felice Cascione” della I^ Zona Operativa Liguria] Nino Siccardi (Curto) ed il maggiore inglese Temple (Wareski): “Curto” chiese un consistente aiuto militare per le sue formazioni: la riunione si concluse, tuttavia, con un nulla di fatto.
Più concreto fu il contributo in denaro giunto da più parti e con il quale “Curto” rimborsò la popolazione di Fontane per i viveri ed il vestiario forniti ai suoi uomini.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio-30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

lunedì 19 giugno 2023

Quando i partigiani sono ormai fuori tiro, il nemico si libera degli ostaggi ormai inutili

Testico (SV). Fonte: Mapio.net

Mentre oltre la "28" si attendeva il lancio, verso il mare la vita continuava normale. Se a nord della Val Lerrone la zona pareva priva di partigiani ed i Comandi brigata con gli uomini rimasti continuavano la vita clandestina, nella Val d'Andora il Comando brigata era tornato all'aperto e si era installato a San Gregorio, dove arrivavano staffette e borghesi. L'avere di nuovo un punto di riferimento, un Comando di brigata efficiente, rialzava il morale di tutti, facilitava la ripresa. Pur essendo rimasti in pochi in attesa di quei del lancio, la fiducia che tra poco sarebbero stati più forti ricreava nella Val d'Andora un ambiente che da mesi era scomparso. Anche nei contadini, nei civili la fiducia tornava ed i partigiani erano di nuovo chiamati patrioti.
La polizia della I Brigata non si limitava a compiti militari: un vecchio con un sacco di maglioni e pantaloni bagnati venne arrestato ed interrogato. Affermò di essere caduto in acqua nella zona del Pizzo d'Evigno, mentre in tutta quella zona non c'era che una misera fontanella. Affermò di conoscere "Mancen" [n.d.r.: Giuseppe Gismondi, comandante della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"], ma non lo riconobbe mentre era proprio interrogato da lui. "Mancen" lo ritenne colpevole e, prima di partire per la zona del lancio, lasciò l'ordine di fucilarlo. "Federico" [Federico Sibilla, commissario della I^ Brigata] fece condurre il prigioniero a Stellanello e lo lasciò legato sulla piazza con la refurtiva ai piedi: se qualcuno avesse riconosciuto come sua la roba l'avrebbe potuta ritirare e noi avremmo fucilato il vecchio come ladro. Nessuno, nemmeno dopo qualche giorno, si presentò a rivendicare il suo. Invitammo i parroci dei paesi vicini ad avvertire i fedeli: nemmeno così ottenemmo nulla; allora il vecchio venne liberato e gli indumenti distribuiti ai partigiani. Il furto era stato consumato a Degna dove gli indumenti, lavati, erano stesi ad asciugare. Solo per caso ne venni informato ed avvertii io gli interessati che il ladro era stato trovato e ormai rilasciato. Qualche maglione lo restituii io, per gli altri i borghesi preferirono rinunciare piuttosto che sobbarcarsi qualche ora di marcia fino a San Gregorio. L'opinione pubblica cominciò a poco a poco a considerarci non più come esseri braccati e fuggiaschi, ma come una realtà organizzata ed efficiente.
Il Comando della Bonfante rientrò a Poggiobottaro il 9 aprile 1945. le varie squadre raggiunsero le rispettive bande portando il prezioso materiale del lancio e la notizia del pieno successo.
Il morale migliorò ancora; se il Comando divisionale continuava la tattica clandestina, facendo anzi costruire a Poggiobottaro un rifugio sotterraneo per la missione alleata e gli apparecchi radio trasmittenti, il cui arrivo si annunciava imminente, le bande invece ritornavano quasi ovunque  al vecchio inquadramento estivo. Venivano ripresi i pattugliamenti ed i servizi di guardia, le squadre tornavano a riunirsi, le nuove reclute continuavano ad affluire, si riprendeva la tattica dell'offensiva ad oltranza.
Col miglioramento del morale i partigiani acquistavano una maggior sicurezza, le montagne a poco a poco tornavano verdi.
"Vedi quei cespugli, quelle foglie che spuntano" mi diceva Mala una sera a Ranzo, "quella è per me la miglior propaganda. Non sono le notizie radio o le avanzate americane ad alzarmi il morale, è la primavera, sono le foglie che non tradiscono mai".
Ed infatti arbusti e cespugli offrivano mille rifugi lungo mulattiere e sentieri; le staffette tornavano a circolare, sicure che vaste zone interne erano di nuovo sotto il nostro controllo. Non è ormai lontano il giorno in cui, bloccati gli accessi delle principali vallate, appoggiate le bande l'una all'altra potremo avere uno schieramento organico come ai tempi di Rezzo e Piaggia senza la tensione e la precarietà degli schieramenti realizzati per difendere i lanci. L'intenzione di attaccare le colonne nemiche che si avventurassero nella nostra zona torna a manifestarsi. Operando congiuntamente con varie bande avremmo potuto infliggere al nemico duri colpi, obbligarlo per l'avvenire a rinunciare alle puntate per noi micidiali, obbligarlo a tornare ad operare con colonne numerose e pesantemente armate che, operando sulle carrozzabili, mancavano del fattore sorpresa e e potevano minacciarci solo saltuariamente.
Le maggiori cure del Comando divisionale vennero rivolte alla I Brigata mentre le altre subivano un rimaneggiamento dei quadri, entrando cosi in una nuova crisi di assestamento.
La I con le cinque bande schierate nella Val d'Andora era destinata ad un compito di primo piano essendo la più vicina alla costa. Il morale più alto, l'armamento ed il comando migliore facevano inoltre sperare al comando divisionale di avere un valido appoggio nel caso che il nemico attaccasse Poggiobottaro.
Dopo il lancio le bande della I estesero la zona occupata includendovi le valli di Cervo e di Diano. Il plastico esplosivo avuto col lancio venne provato da "Stalin" [n.d.r.: Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata] sul ponte di Chiappa la cui distruzione avrebbe reso più lento un eventuale attacco nemico.
Il 10 aprile due partigiani in missione a S. Bartolomeo del Cervo affrontano due tedeschi in una abitazione privata nel tentativo di disarmarli. Il sopraggiungere di rinforzi obbliga i due garibaldini alla fuga; per potersi sganciare fanno fuoco sul nemico ferendo un tedesco ed uccidendo l'altro. Otto ostaggi borghesi catturati poco dopo vengono fucilati per rappresaglia. Un tentativo partigiano di liberare i prigionieri viene impedito dalla popolazione che teme nuove ritorsioni. Il giorno dopo il nemico passa al contrattacco: colonne tedesche salgono dal mare verso Tovo e Villa Faraldi. I partigiani del "Garbagnati", che erano attestati alle Fontanelle sopra Villa Faraldi, ripiegano in cresta apprestandosi a sostenere l'urto avversario.
I tedeschi da Villa puntano sulle Fontanelle, incendiano il casone, poi avanzano verso la cima venendo a trovarsi sotto il fuoco intenso dei nostri. La lotta è accanita e lunga: i tedeschi dal basso devono avanzare allo scoperto, in salita. I primi tentativi costano loro perdite sanguinose, poi fanno entrare in azione i mortai. I colpi cadono ritmici sulla cresta e sull'altro versante, il "Garbagnati" sotto la nuova minaccia ripiega.
Dalla Valle d'Andora frattanto il "Piacentini" [altro distaccamento della I^ Brigata] è partito in aiuto ai compagni. Non era conforme alle tradizioni della guerriglia accorrere dove il nemico attaccava, pure dopo tanti mesi una banda si è mossa in direzione degli spari: "Simon" [n.d.r.. Carlo Farini, già ispettore della I^ Zona Operativa Liguria, alla data corrente aveva già assunto un incarico clandestino regionale] ne sarebbe stato contento.
La manovra non è coordinata e pertanto è destinata all'insuccesso: i tedeschi ormai occupano la cresta, il "Garbagnati" ripiega per un'altra via e non incontra i rinforzi che salgono.
Le nuove reclute partigiane hanno il battesimo del fuoco in condizioni di assoluta inferiorità e devono sganciarsi rapidamente. Poco dopo anche i tedeschi ripiegano.
Da parte nostra uno solo manca all'appello: Antonio, il tedesco che era nel "Garbagnati". Diamo poca importanza alla cosa che invece avrà dopo pochi giorni conseguenze tragiche. Ignoriamo l'ammontare delle perdite nemiche.
Lo scontro del giorno 11 ha dato ai partigiani la misura della loro forza. Siamo ormai effettivamente forti abbastanza per poter affrontare e bloccare per qualche tempo il nemico sul nostro terreno.
Il morale migliora ancora dopo lo scontro, torna la fiducia ed il desiderio di misurarsi coi tedeschi anche in forti nuclei: potremo di nuovo contendere al nemico la terra che torna nostra.
Cacciato dalle Fontanelle bruciate, il "Garbagnati" si trasferisce a S. Damiano presso il M. Agnese di nuova formazione. Stalin persiste a non voler presidiare Tèstico, tranne questo punto però tutta la Val d'Andora è sotto il controllo partigiano cosicché anche il Comando divisionale si sposta a S. Gregorio assieme al Comando brigata. Giungendo dalla Val Lerrone o dal mare in Val d'Andora par di essere tornati ai tempi di Rezzo o di Piaggia.
Nelle altre vallate però il nemico mantiene ancora l'iniziativa. Il 13 una colonna fascista e tedesca piomba di notte a Ranzo e a Borghetto, preleva il segretario comunale sospetto di aver aiutato i ribelli e, dopo un rapido interrogatorio accompagnato da percosse, esasperati dai continui dinieghi, lo uccidomo gettando il suo corpo nel fiume.
La moglie dell'intendente Firminio, pur essa ricercata, riesce a stento a salvarsi.
Il 15 i tedeschi tentano un colpo che può riuscire grandioso: l'attacco alla sede del Comando Divisionale che la sera del 14 è rientrato a Poggiobottaro.
"Mario" [Carlo De Lucis, commissario della Divisione Bonfante], io ed uno del C.L.N. la notte tra il 14 ed il 15 dormiamo nel nuovo rifugio. Pensiamo che Tèstico è sempre sgombero e Poggiobottaro è fuori dalla zona controllata dalla I Brigata, gli altri, fiduciosi nella vicinanza delle bande di S. Damiano, si fermano in sede. A Ginestro il recapito staffette, che dopo il rastrellamento del 21 marzo, funziona saltuariamente ed è spesso assente, non è in grado di dare l'allarme.
Alle 8,30 del 15 aprile i tedeschi, occupata Ginestro, spingono colonne su Tèstico e Poggiobottaro. Raffiche di mitraglia improvvise e vicinissime destano "Giorgio" [n.d.r.: Giorgio Olivero, comandante della Divisione Bonfante] e "Pantera" [Luigi Massabò, comandante della Divisione Bonfante] che che sono ancora a letto. La sede del Comando è in una casa alla periferia del paese, in pochi istanti i due comandanti, seguiti da qualcuno del S.I.M., sono all'aperto, ma il nemico li scorge e fa fuoco su di loro. Correndo tra ulivi e cespugli, salvandosi con balzi improvvisi, "Giorgio" e "Livio" [Ugo Vitali, responsabile SIM della Divisione Bonfante] passano tra le pallottole nemiche. Pantera, ripetendo il gesto di Ginestro, cammina in piedi mormorando preghiere mentre la mitraglia nemica cerca inovano di colpire quel bersaglio visibilissimo.
Quando i nostri sono ormai fuori tiro i tedeschi, che già hanno preso ostaggi a Ginestro, catturano qualche uomo a Poggiobottaro, poi si spingono su Tèstico mitragliando la piazza della chiesa per impedire ai civili che stanno uscendo da Messa, di mettersi in salvo.
Occupato il paese fu visto Antonio, il tedesco, che era stato col "Garbagnati", guidare i compagni casa per casa facendo arrestare le famiglie che, per suo invito, avevano prestato aiuto ai partigiani malati e feriti. La caccia all'uomo è brevisima: i tedeschi temono la reazione partigiana.
"Tenete duro se vi attaccano" -  aveva promesso a "Giorgio" "Mancen" - "vi dò la mia parola che verrò con i miei uomini". "Giorgio" dalla cresta dove è appostato sente con emozione le raffiche di mitraglia di quelli della I Brigata, Mancen  non aveva promesso  invano.
Quando alla testa del "Garbagnati" "Mancen" entra correndo in Tèstico i tedeschi hanno già sgomberato il paese portandosi dietro una trentina di ostaggi. I garibaldini continuano l'inseguimento: il nemico pagherà cara l'incursione. Agganciati sulla via di Ginestro dalle mitraglie partigiane i tedeschi in ritirata si coprono con gli ostaggi. Nel trambusto un prigioniero riesce a fuggire, ma i tedeschi raggiungono il loro scopo: Mancen deve sospendere il fuoco permettendo ai tedeschi di ripiegare al sicuro verso Cesio.
Prima di lasciare la Val Lerrone, quando i partigiani sono ormai fuori tiro, il nemico si libera degli ostaggi ormai inutili: una lunga raffica di mitraglia ed i trenta civili cadono uno sull'altro fulminati venti metri sotto la strada mentre si avviavano verso casa.
Il colpo di Tèstico rivelò gli errori partigiani e la gravità della situazione nemica. Se da parte nostra senza perdite eravamo riusciti a porre in fuga per la prima volta dopo mesi un forte nucleo nemico penetrato nel nostro territorio, dobbiamo riconoscere che il massacro degli ostaggi, di quelli ostaggi, è imputabile, almeno indirettamente ai due errori di Stalin. Il primo era l'aver rifiutato di fucilare il disertore tedesco come era costume partigiano di fare, concedendogli anche la libertà di osservare e fuggire. Il secondo era stato il rifiuto di occupare Tèstico che aveva dato al nemico il tempo e la possibilità di conoscere e colpire quanti ci avevano appoggiato.
E' difficile però giudicare se Stalin avrebbe potuto resistere, tenere Tèstico per il tempo necessario all'arrivo dei rinforzi e se, nel caso avesse dovuto sgomberare il paese sotto l'attacco nemico, Tèstico sarebbe stato incendiato e distrutto. E' però ragionevole supporre che il "Garbagnati" avrebbe potuto tenere.
Quale era stato l'obiettivo dell'azione nemica? Sapevano i tedeschi che il Comando partigiano era a Poggiobottaro? Le notizie che ci aveva mandato il comandante delle Brigate Nere di Alassio ci portano ad escluderlo. Ad Alassio si sapeva che forti nuclei partigiani della Brigata "A. Viani" operavano in quel di Stellanello, che un altro gruppo comandato dal tubercolotico Boris unito a bande dell'ebreo Martinengo operava in quel di Alto. "A. Viani" era il nome della banda di Russo mentre "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario della Bonfante], un giorno che aveva la tosse, aveva detto scherzando nella trattoria di Nasino che gli restavano pochi mesi di vita. Evidentemente qualcuno aveva udito e riferito. D'esistenza di un Comando importante a Poggiobottaro pareva quindi che il nemico non fosse informato. Era stato prudente basarsi su questa informazione isolata e regolare su tale fiducia la tattica del comando?
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 232-239 

All’alba di domenica 15 aprile 1945 (la seconda dopo la Pasqua) due colonne tedesche muovono da Cesio e da Vellego verso il piccolo centro abitato di Ginestro, frazione di Testico, ove giungono alle sette del mattino per dare inizio al rastrellamento. I militari catturano una ventina di civili, uomini e donne sorpresi nelle loro case, e li legano con corde. Poi, proseguendo la marcia, uccidono senza apparente ragione un contadino al lavoro. Alle 8.00, arrivati nei pressi della chiesa, irrompono nell’edificio, catturano altre persone e pongono tutti gli ostaggi lungo un muro sotto la sorveglianza di un soldato. Il resto della truppa, in parte, prosegue con il rastrellamento che porterà alla cattura di altri ostaggi; in parte si dirige verso Poggio Bottaro. Intorno alle 9.00 un gruppo di partigiani, dalla vicina frazione di Santa Maria di Stellanello, spara sui tedeschi permettendo a 3 degli ostaggi di fuggire. In risposta, i tedeschi tornano verso la chiesa, si appostano presso l'osteria del paese e catturano altri 3 contadini di Torria. Infine, la colonna riparte con i prigionieri al seguito. Durante la marcia, si arresta presso la frazione Zerbini per catturare altri ostaggi. L'ultima tappa è Costa Binella ove avviene la selezione dei progionieri. Vengono rilasciati 3 giovani di Ginestro, 4 donne e 4 ragazze. Queste ultime verranno poi condotte al carcere di Imperia, sottoposte a interrogatori e paestaggi e rilasciate almeno una dozzina di giorni dopo. Restano in mano ai tedeschi 27 persone: 25 uomini e 2 donne che vengono separate dagli altri prigionieri, seviziate e uccise a colpi di baionetta. I 25 uomini, legati 2 a 2 col fil di ferro, sono falciati a colpi di mitragliatrice. Dopo il massacro, i corpi risultano irriconoscibili. Nel pomeriggio della domenica e nel giorno successivo, quando i compaesani raggiungono Costa Binella per cercare di identificare le vittime, per riconoscerle devono ricorrere al loro abbigliamento (Armando Zerbone e Leonardo Arduino ricordano di aver riconosciuto i rispettivi padri “solo dalle scarpe”).
Chiara Dogliotti e Giosiana Carrara, Episodio di Testico 15.04.1945, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

sabato 3 giugno 2023

Sopra Ormea i tedeschi accendono fuochi per ingannare gli aerei alleati

Il torrente Negrone nei pressi di Ormea (CN). Foto: Mauro Marchiani

L'evento atteso da mesi era [n.d.r.: primi di marzo 1945] ormai una realtà imminente, il lancio sarebbe avvenuto di notte, rapidamente, sul campo di lancio un distaccamento avrebbe acceso i fuochi e raccolto i paracadute, altre bande si sarebbero schierate a difesa. Il lancio non avrebbe dovuto ripetersi, tutto il materiale a noi destinato doveva cioè venire lanciato in una unica notte perché, appena avvenuta la raccolta, avremmo sgomberato la zona prima della probabile reazione nemica.
Agli alleati avevamo chiesto armi, proiettili calibro 9 per mitra e pistole, colpi per mitraglie M.G. che da mesi erano il nostro punto debole. Il Comando aveva insistito nella richiesta di armi e munizioni escludendo espressamente equipaggiamento e generi voluttuari come cioccolata e sigarette che pure a noi mancavano da mesi.
Il messaggio speciale, "La pioggia bagna", avrebbe preceduto il lancio di poche ore. Era indispensabile sentire con sicurezza il messaggio: Ramon [Raymond Rosso, Capo di Stato Maggiore della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] doveva creare ad Alto e a Borghetto dei posti di ascolto radio per esser sicuri che almeno in un posto non mancasse la corrente e la trasmissione non fosse comunque disturbata. Erano poi naturalmente necessarie staffette che portassero la notizia, tutto nella massima segretezza perché il nemico non venisse a conoscenza del significato del messaggio.
La notizia che un lancio di anni era imminente si diffuse lentamente. Il concentramento della II e III Brigata intorno alla Val Pennavaira non ci obbligò a spostamenti perché la maggior parte delle bande di tali brigate operava già a nord della Val d'Arroscia. L'occupazione dei passi e delle creste venne rimandata all'ultimo istante per non allarmare eventuali informatori nemici, scoprendo il nostro gioco con un prematuro schieramento e per non stancare inutilmente gli uomini costringendoli a bivaccare in posizioni esposte.
Le azioni di guerriglia che giù erano sporadiche, vennero sospese del tutto per non provocare reazioni nemiche. Fu ordinato alle bande di occultarsi all'eventuale passaggio di colonne: il nemico doveva dimenticare la nostra esistenza.
Della imminenza del lancio dovevano essere al corrente pochissimi ed anche i partigiani impegnati direttuamente dovevano ignorare di far parte di una manovra combinata e specialmente delle finalità dell'operazione.
Date le nostre condizioni solo il segreto poteva garantire il successo. Solo una decina di persone era a conoscenza del messaggio speciale.
Tutto questo riguardava la II e la III Brigata. A sud della Val Lerrone, dove il lancio era considerato una possibilità ancora remota, le imboscate e gli spostamenti continuavano in modo del tutto indipendente.
I giorni passavano nell'attesa, attesa dell'evento imminente per pochi, della primavera sospirata per gli altri.
Com'era considerato il lancio da quei pochi, dagli informati? E' difficile rispondere perché i pochissimi che erano addentro a tutto il meccanismo non ne parlavano mai in quei giorni. Gli altri, che qualcosa sapevano, avevano fortissimi dubbi. Chi non ricordava le fantasie sui lanci del primo inverno, le voci più assurde della scorsa primavera, il campo di lancio permanente nel bosco di Rezzo in luglio ed agosto con le cataste di legnad i partigiani di turno per accendere il fuoco? Anche Umberto a Piaggia aveva preparato il progetto per il campo di lancio. Che fondamento avessero avuto nel '44 le nostre speranze lo ignoravamo, sapevamo però dei due messaggi speciali, uno che aveva promesso lo sbarco in Liguria entro un mese e l'altro, "Cade la pioggia", che lo prometteva per la mattina del terzo giorno. Ricordavo personalmente le notizie radio che avevano annunciato l'avanzata alleata oltre Ventimiglia e poi la nostra occupazione della costa. Dopo tali esperienze era naturale una diffidenza radicata. Ci si preparava e si attendeva poiché l'evento era possibile e forse c'era chi ne sapeva più di noi, pure il dubbio di esporsi inutilmente, di essere delusi e beffati ancora una volta era forte.
Aveva avuto un lancio * la Cascione? Se ne parlava, si diceva anche che parte del materiale fosse stato sottratto dai tedeschi, che, in seguito a tradimento, parte della missione alleata fosse andata distrutta. Si collegava tutto ciò con la cattura e la fucilazione di un capo partigiano, ma erano voci confuse, come vaga era l'ipotesi ventilata allora di un invio di munizioni via mare.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 188-190

* "Nella notte del 23 u.s. [23 febbraio 1945] venivano segnalati reparti tedeschi a Carmo Langan, Graj, Cima Marta e colle Sanson. Sospettando che si  trattasse di un rastrellamento i Distaccamenti sono stati spostati a sud della rotabile Pigna-Rezzo. Il 24 u.s. il rastrellamento venne eseguito con molta organizzazione:  la  zona venne controllata da 4 gruppi provenienti da Graj e Colle Sanson. Verso le ore 15 del  25 u.s. 3 quadrimotori americani si aggiravano con insistenza sulla zona di Cima Marta. Alle ore 12 circa del 28 u.s. comparvero nuovamente 5-6 quadrimotori che effettuavano diversi lanci di materiale su Cima Marta. Tentando di raggiungere i paracadute, i garibaldini venivano attaccati e 6 di essi risultano dispersi. Da informazioni avute risulta che i lanci constano di 280 pacchi paracadute avente ognuno 1 quintale di materiale (Sten, mitragliatori,  munizioni, caffè, vestiario, scarpe, medicinali...). Si presume che questi lanci siano stati intercettati dai tedeschi in quanto essi hanno carpito una emittente destinata ai partigiani con relativo cifrario. Si fa, pertanto, richiesta di sospendere questi lanci che rafforzano la possibilità di resistenza del nemico".  Dal comando [comandante Vitò/Ivano Giuseppe Vittorio Guglielmo] della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando [comandante Curto Nino Siccardi] della I^ Zona Operativa Liguria, documento IsrecIm, trascritto in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999 

3 marzo 1945 - Sono le 7.30 e passa [n.d.r.: da Pieve di Teco] un gran camion carico di truppa fascista diretta al mare. La truppa tedesca e repubblichina è in continuo movimento, lasciando l'impressione della incertezza, cioè che non sappiano neanche più loro dove dirigersi. Questa mattina si sono udite raffiche di mitraglia e colpi di fucile: con tutta probabilità si trattava di raffiche estemporanee, fatte ad arte, per tenere a bada i partigiani, affinché non scendano a molestare le truppe di passaggio.
4 marzo 1945 - I due olandesi sono stati trasportati ad Ormea, dove è il comando tedesco presidiato da un generale. La truppa tedesca presente in Pieve si può oggi calcolare sui 200 uomini, cioè 60 giovani ultimi arrivati e gli altri tutti conducenti. Tranne però i graduati, che sono effettivamente tedeschi, la ciurma è tutta composta da prigionieri russi e croati. In Ormea, il generale con l'intero Comando occupa villa Bianchi. La gendarmeria occupa villa Pittavino. Il Comando, in un primo tempo, occupava la mia casa, ma a seguito del bombardamento che ha distrutto quasi tutti i caseggiati di Via alle Scuole, si è trasferito in villa Bianchi.
5 marzo 1945 - Un reparto di 36 pionieri mi hanno occupato la casa di Muzio. Ho potuto parlare con un sorvegliante tedesco che capiva assai bene la nostra lingua e gli feci presente che detta casa occorreva a noi per ragione di lavori agricoli e di altre necessità. Mi assicurò che avrebbe proseguito senz'altro per Vessalico, e me ne andai.
6 marzo 1945 - Il movimento della truppa è sempre in aumento; non in grandi masse, ma con molta frequenza.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994

6 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che, dopo aver ricevuto il documento n° 162 del 4 marzo 1945, aveva predisposto 3 stazioni per l'ascolto di Radio Londra; che il campo che doveva accogliere il lancio di materiale alleato si presentava colmo di pietre e con una casetta di recente costruzione al centro; che il Distaccamento "Giuseppe Catter" [della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] era appostato, pronto ad intervenire, ad un'ora di cammino dal campo; che si era dovuto desistere dallo scavare le buche prescritte [n.d.r.: per l'occultamento dal basso dei fuochi di segnalazione] in ragione della natura rocciosa del terreno; che i paracadute, appena recuperati, sarebbero stati nascosti in un anfratto già predisposto; che il vento, se continuava a soffiare in direzione di Alto (CN), sembrava ottimale; che a protezione dell'operazione aveva predisposto nei pressi del campo di lancio i Distaccamenti della II^ Brigata. Al documento fu allegata la cartina topografica in scala 1:25.000 del campo di lancio.
6 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 3, al comando della II^ Brigata "Nino Berio", al responsabile SIM "Ottavio" ed al cappellano della Divisione "Don Celesia" [Don Giuseppe Pelle] - Comunicava che dopo il 10 marzo poteva avvenire il primo lancio alleato di materiale; che presso la radio di Alto (CN) doveva rimanere in ascolto il comandante della II^ Brigata, "Gino" [Giovanni Fossati]; che, appena udito il messaggio di Radio Londra, "Gino" doveva mandare una staffetta al Distaccamento di "Fernandel" [Mario Gennari], che avrebbe così acceso i fuochi di segnalazione per gli aerei, ed altri messaggeri agli altri Distaccamenti perché si posizionassero al meglio a difesa del campo; che in ascolto alla radio di Borghetto doveva trovarsi "Ottavio", il quale, udita la frase convenuta, avrebbe avvisato lo scrivente capo di Stato Maggiore e poi avrebbe dovuto proseguire per Alto; che "Don Celesia" doveva occuparsi del terzo punto d'ascolto.
17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Svolgeva una lunga relazione soprattutto sul tema degli aviolanci alleati, di cui si riportano qui di seguito significativi stralci: "... il giorno 13 u.s. si è effettuata l'operazione lancio nella località convenuta [n.d.r.: Piano dell'Armetta nei pressi di Alto (CN)]; sono stati lanciati 33 colli di cui 28 recuperati nella serata ed i restanti 5 nella successiva mattinata. Non è stato possibile per il disturbo alle stazioni radio ricevere il messaggio per il lancio del giorno successivo. Tutte le tracce del lancio sono state cancellate anche grazie alla popolazione, di modo che i tedeschi non hanno trovato nulla. Data l'esperienza si consiglia di potenziare l'ascolto messaggi mediante l'aumento delle apparecchiature sulle 3 linee, visto che si è ordinata la revisione dell'impianto di Nasino. È da evitare inoltre il lancio in giorni consecutivi, poiché vi è un'unica via di deflusso rappresentata da una mulattiera ed è, quindi, impossibile creare una colonna eccessivamente grande di muli, perché desterebbe sospetti ed in quanto l'occultamento del materiale va eseguito a spalla. Il luogo si è mostrato idoneo allo scopo, per cui per il prossimo lancio si richiedono 150-180 colli. Non servono fucili, ma armi automatiche, mortati leggeri, bombe anti-carro. Il collo indirizzato a 'Roberta' [capitano del SOE britannico Robert Bentley, ufficiale di collegamento degli alleati con il comando della I^ Zona Operativa Liguria] contiene 2 R.T. [radiotrasmittenti]: si prega di inviare degli uomini a prelevarle. Il giorno 11 u.s. è stata bombardata Ormea ed è stata colpita la sede del generale. Alcuni garibaldini hanno requisito in detto comando vario materiale, tra cui una lettera - di cui si invia traduzione - circa gli spostamenti delle truppe tedesche. Sopra Ormea i tedeschi accendono fuochi per ingannare gli aerei alleati".
17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Sottolineava l'importanza del documento ritrovato ad Ormea che meritava una corretta traduzione perché "potrebbe trattarsi di una richiesta di rimpatrio per le truppe tedesche". Chiedeva altro materiale bellico attraverso gli aviolanci alleati "per poter incalzare ancora di più il nemico", in particolare uno nel periodo compreso tra il 23 ed il 27 successivi "verso le ore 21,30 in quanto sarà un periodo favorito dalla posizione della luna". Aggiungeva che continuava l'affluenza di di volontari nelle fila partigiane, per quel periodo limitata a uomini conosciuti o già appartenenti a bande locali.
18 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 211, al CLN di Alassio - Segnalava che "... Il giorno 13 u.s. è stato effettuato il primo lancio. Se ne avranno altri in futuro. Dato l'arrivo delle armi..."
20 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della VI^ Divisione - Comunicava che aveva provveduto a fare aumentare il numero delle radio, necessarie per la buona riuscita dei lanci alleati di materiale, e ad impartire altre pertinenti disposizioni.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999