martedì 16 gennaio 2024

Attacco nazifascista alla IV Brigata

Una vista dal Passo della Pistuna. Fonte: Wikiloc

Il rastrellamento previsto contro la IV brigata ha inizio.
Una colonna di Tedeschi proveniente da Molini di Triora scende nelle prime ore del pomeriggio del 31 ottobre [1944] verso Montalto ove attende un'altra colonna proveniente da Arma di Taggia: circa trecento uomini che, raggiunta Badalucco ove compiono ulteriori saccheggi e arrestano Secondo Antonio fu Napoleone che fanno sparire, proseguono e si congiungono alla prima.
Nel tardo pomeriggio una parte dei Tedeschi ritorna a Molini di Triora mentre il grosso della colonna pernotta per proseguire all'alba del giorno successivo per Carpasio, con tutte le mucche razziate lungo il cammino.
Il Comando della brigata garibaldina, informato che quello tedesco era a conoscenza dell'ubicazione del Comando stesso, decide di spostarsi nella notte, con tutto il materiale e gli uomini, in altra località.
Il primo distaccamento e quello di brigata ricevono anch'essi l'ordine di spostarsi nella notte in un'altra località, pur mantenendo le guardie ai soliti passi.
E' l'alba del primo novembre quando circa centocinquanta garibaldini del primo battaglione del comandante Giovanni Alessio (Peletta), e del 2°, del comandante Giacomo Sibilla (Ivan), incominciano ad animarsi negli accampamenti posti tra il passo della Pistona [Pistuna] e quello di Verna, e a Costa di Carpasio, mentre alcune squadre da qualche ora erano di pattuglia.
Il Comando brigata, come prestabilito, aveva rapidamente attuato lo spostamento. Rimane invece appostata sulla strada una squadra agli ordini del vicecomandante di brigata Angelo Perrone ("Bancarà" o "Vinicio"), per attendere la prevista colonna nemica proveniente da Montalto e diretta a Carpasio. Ma non avvertito alcun movimento apparente, la squadra si ricongiunge al distaccamento alle ore 10 circa antimeridiane e perciò la colonna tedesca, non individuata ed attaccata, alle ore 11 può raggiungere indisturbata il paese di Carpasio.
Il nemico invade il paese con violenza, svaligia per l'ennesima volta tutte le case e preleva tre ostaggi di cui uno verrà fucilato a San Remo.
Sviluppa l'attacco alla IV Brigata pure da levante e perciò il primo novembre Tedeschi e fascisti della formazione del capitano F. [Ferrari] provenienti da Pontedassio e penetrati in Borgomaro, saccheggiano una dozzina di case e catturano il garibaldino Agostino Guglieri (Barba) fu Agostino, nato a Borgomaro il 24.3.1918 (che verrà fucilato a Taggia il 28.11.1944). Altre tre persone catturate come ostaggi finiranno nel campo di concentramento di Bolzano (1). Una squadra di Tedeschi saccheggia alcune case nel borgo di Candeasco.
La rapida evoluzione della situazione militare induce il vicecomandante "Bancarà" a chiedere rinforzi al primo battaglione il cui comandante "Peletta", già in osservazione col binocolo sulla cresta della montagna presso il passo della Pistona, aveva scorto una colonna tedesca in marcia in direzione del valico di Conio.
I garibaldini decidono di affrontare immediatamente i Tedeschi per bloccarli al valico e quindi ricacciarli indietro per non permettere loro di circondare la brigata.
Una quindicina di componenti del primo battaglione, ivi compresi il comandante "Peletta" (2), il vice comandante, il commissario Mimmo Semeria (Sparviero), uomini del 6° distaccamento, ed altri tra cui Pietro Frangi (Milan), "Canteria", "Nando" e Raul Oreggia (Raul), affrettano il passo per giungere al valico prima dei Tedeschi e tendere loro l'imboscata.
Si muovono sul versante a mare con "Milan" in avanscoperta che sulla cresta della montagna, giunto a circa 400 metri dal valico, scorti sul versante opposto, per i prati, numerosi Tedeschi avanzanti in ordine sparso in direzione del valico stesso, col movimento di un braccio esorta i compagni ad accelerare la marcia per arrivare prima del nemico a prendere posizione sulla cresta, alla quale ormai sono prossimi.
In anticipo solo di un minuto sul nemico ignaro, i garibaldini riescono appena in tempo a piazzare le armi automatiche e a prenderlo di mira da una distanza di circa trenta metri.
Con lo scoppio fragoroso e micidiale di un grappolo di quattro bombe a mano tedesche, lanciate da "Peletta", che provocano una strage in mezzo al nemico, inizia un violento combattimento.
Allo scoppio segue un fuoco infernale scatenato dalle armi automatiche (mitra, machinen-pistole, parabellum, Mayerling) che investe i nazisti sorpresi dall'attacco e perciò, in preda al terrore, subito tentennano e quindi cercano riparo tra le rocce che non sono a portata di mano.
La sparatoria durerà circa due ore (3).
Il comandante tedesco che, all'inizio dello scontro, con la rivoltella in pugno marciava davanti ai suoi uomini, imbottito di piombo da "Sparviero" e da altri compagni di lotta tarda a cadere; sembra che le pallottole lo sfiorino appena e avanza ancora verso la posizione garibaldina con gli occhi di ghiaccio e quasi è addosso agli uomini quando cade a terra morto. Sgomento tra i garibaldini davanti a tale allucinante spettacolo.
Rimangono sul terreno una quindicina di nemici uccisi prima che, inceppatosi il Mayerling, i garibaldini si ritirino sul valico del Maro, verso il quale i Tedeschi, rimasti incolumi, da un riparo all'altro, da un cespuglio all'altro, cercano di spostarsi.
Dai loro movimenti appare evidente il tentativo di riunirsi in colonna per portarsi a quel valico onde prendere alle spalle i garibaldini. I quali vi giungono per primi e scatta, così, la seconda imboscata della giornata.
Lo scontro si accende accanito con le avanguardie nemiche; al gruppo si sono ora aggiunti i garibaldini del 6° distaccamento guidati da "Ivan" [Giacomo Sibilla], comandante del 2° battaglione.
Si combatte per circa due ore; tra morti e feriti sono messi fuori combattimento una trentina di nemici (4).
Verso le ore 11, cessato ormai il combattimento, in perlustrazione con il binocolo "Peletta" scorge piazzata sul sagrato della chiesa di Carpasio una mitragliera da 20 mm. che inizia, in quel momento, un violento fuoco sul gruppo dei partigiani usciti dal riparo.
"Sparviero" riesce a pararsi in tempo, ma il garibaldino Giovanni Blasi (Fiorello) di Antonio, nato a Lecce il 14.11.1920, viene colpito da un proiettile alla spalla sinistra (5).
Intanto per penuria di munizioni i garibaldini si sganciano ma i Tedeschi non osano andare avanti.
A tarda sera carri nemici, che trasportano le salme dei caduti coperte di frasche, scendono per la strada di Borgomaro.
Durante questa giornata di scontri viene pure proditoriamente attaccato dal nemico, con l'aiuto di una spia, il 5° distaccamento e perciò cade il garibaldino Angelo Gorlero (Toro) fu Luigi, nato a Imperia il 5.10.1922 e due altri rimangono feriti; il nemico perde tre uomini.
Il comando partigiano, prevedendo un rastrellamento generale per il giorno successivo, che avrebbe potuto precludere ogni possibilità di ritirata alla IV Brigata, ordina ai distaccamenti di scindersi ordinatamente in squadre secondo le istruzioni a suo tempo emanate.
Il 2 di novembre tre colonne di nazifascisti, rispettivamente provenienti da Conio, da San Bernardo e da Aurigo dove avevano pernottato (presumibilmente gli stessi che il giorno innanzi avevano sostenuto i combattimenti ai valichi di Conio, del Maro ed attaccato il 5° distaccamento), si riuniscono a Ville San Pietro, invadono la chiesa durante la S. Messa dei defunti e catturano quattro ostaggi (6).
Il rastrellamento si estende in tutta la valle dell'Impero, in valle Prino da Villa Talla al mare, in valle Argentina da colla d'Oggia a Montalto; viene così investita tutta la zona d'operazioni della IV Brigata.
Nel pomeriggio a Ville San Pietro si formano due colonne, di cui una, composta di Tedeschi, scende ad Arzéne, già sede del Comando della brigata, l'altra, composta di fascisti, scende a Villa Talla e assedia il paese. I nemici intimano l'alt ad un civile che non si ferma e riesce a fuggire, quindi radunano la popolazione in piazza e sono catturati alcuni membri del C.L.N. Locale. Messi in marcia, due di essi fuggono lungo la strada e i quattro rimasti vengono condotti a Valloria dove altro ancora, elusa la sorveglianza, riesce a nascondersi.
Dei tre non riusciti a fuggire, ammanettati e trascinati in prigione a Porto Maurizio dalle SS, Francesco Trucco verrà liberato dopo tre mesi di detenzione, mentre Mario Gazzano e Pietro Pellegrini, deportati nel campo di concentramento di Bolzano dopo quattro mesi, ne usciranno alla fine della guerra.
Dopo aver messo a sacco Villa Talla, la colonna fascista prosegue per Tavole e Lecchiore.
Durante il tragitto una nebbia fittissima protegge i fascisti; infatti quattro squadre garibaldine (due del 3° distaccamento e due del 4°) trattenute dal Comando allo scopo di colpirli sulla via del ritorno, a causa del fenomeno non riescono a stabilire l'entità delle loro forze, mentre li odono gridare e chiamarsi a vicenda nell'abitato di Tavole.
Allora i partigiani si appostano alla cappella di Santa Marta perché sembra, con tutta probabilità, che i nemici vogliono salirvi; invece, protetti ancora dalla fitta nebbia si portano a Lecchiore, guidati dal capitano Ferrari, e circondano il paese.
Su indicazioni di spie, sorprendono il garibaldino Patrone Battista (Patron) di Giobatta, nato a Pieve di Teco l'8.8.1926 che feriscono gravemente, ed intimano di alzare le mani a Elio Cologni (Ricon) di Antonio, nato a Bergamo il 13.01.1911, vicecommissario del primo battaglione, mentre tenta di portare in salvo il compagno ferito.
Il Cologni non si dà per vinto e reagisce ma viene mortalmente colpito al cuore da una raffica di mitra; si conclude, così, la sua nobile esistenza perché è stata di continua lotta per la libertà (7).
Anche il Patrone viene barbaramente finito con una raffica alla nuca (8).
In giornata, prima di allontanarsi da Montalto, i bersaglieri fascisti bruciano l'osteria del paese; in uno scontro nei pressi di Vasia cade il garibaldino Augusto Dal Bò (Tripolino) di Angelo, nato a Treviso il 16.07.1928. A Poggialto viene catturato e fucilato Guglieri, detto "Rinè", di Borgomaro. Cade anche Attilio Ventimiglia di Conio. E' catturato dai nazifascisti pure Armando Benza che verrà fucilato alla periferia di Oneglia il 6 novembre 1944.
Avvisate dalla pattuglia inviata verso Lecchiore il 3 novembre, le quattro squadre, che erano state tenute in riserva per le imboscate, con i rispettivi comandanti si portano rapidamente al valico di Santa Brigida per attaccare il nemico che sta transitando per scendere verso la costa, ma giungono in ritardo. La retroguardia composta da diciassette fascisti si salva, così, per pochi minuti.
Nonostante i combattimenti sostenuti per due giorni consecutivi, gli appostamenti prolungati sotto terribili acquazzoni, i vestiti fradici senza possibilità di asciugarli ad un fuoco ed alcune perdite subite, i garibaldini escono dal rastrellamento, condotto dal nemico con ingenti forze per distruggere la gloriosa IV Brigata isolata in Liguria, col morale alto e le fila del tutto intatte.
Ed appunto il nemico, conscio dello scacco subito, scatena la sua rabbia su vari paesi del litorale.
Il 3 di novembre rastrella cinque persone a Castellaro, fra queste Vincenzo Capponi viene deportato in Germania ed altre due nelle carceri di Marassi a Genova. In rastrellamento fucila Giambattista Filippi a Terzorio e sulla strada una giovane donna che transitava in bicicletta.
Rastrella sessanta civili a Riva Santo Stefano, di cui, quaranta deporta nella villa Magnolia a San Remo, venti a Marassi ed in seguito, otto di questi in Germania, compresi Renato Minasso, G.B. Garibaldi,  Settimo Boeri e Gerolamo De Micheli.
Nella prima decade di novembre si stabilisce a Baiardo una compagnia di bersaglieri fascisti di cui descriveremo le malefatte, e vi rimarrà fino alla liberazione; durante questo periodo colpirà duramente le località di Vignai, Fontana Bianca, Pei, Valeglia, Ciliegia, Castello, Serra, San Giorgio, Carosse, Fornace, e Berzi.
[NOTE]
1 Gli ostaggi ostaggi catturati e finiti a Bolzano in campo di concentramento sono: Aldo Gandolfo, Giacomo Guglieri, Onorino Toesca; vi rimarranno fino alla liberazione.
2 Giovanni Alessio (Peletta) fu un grande combattente per la libertà. Nell'aprile 1944 disarmò due carabinieri a Borgo Prino e a Caramagna; nella primavera, con una squadra, catturò il presidio fascista di San Lorenzo al Mare; attaccò per tre giorni un presidio nemico nei pressi di Civezza; prelevò a Villa Ludovici otto Tedeschi in servizio ai pozzi minati; catturò e disarmò la batteria di Poggi composta da trentasette milili della San Marco e da un Tedesco; sbaragliò una colonna nazifascista presso Prelà; il 4 settembre 1944 attaccò e distrusse una squadra tedesca presso Santa Brigida. Le imboscate da lui tese coi suoi uomini, susseguitesi per tutto l'inverno a Tavole, a passo Verna, a passo Pistona, a Pietrabruna, a Dolcedo, ecc., causarono tali perdite ai nazifascisti che essi stessi lo bandirono promettendo una taglia di un milione di lire da consegnarsi a chi l'avesse catturato e rortato vivo o morto al loro Comando.
3 Da una relazione della IV brigata pervenuta al Comando divisione il 26.12.1944.
4 In occasione dei vittoriosi scontri venne emesso dai Comandi partigiani il seguente ordine del giorno:
"... Corpo Volontari della Libertà aderente al C.L.N.
Comando Divisioni e Brigate d'Assalto "Garibaldi".
Ispettorato della I e II Zona Liguria.
       Al Comando della IV Brigata.
       A tutti i volontari della IV Brigata.
                                                                                               Ordine del Giorno
Il Comando della IV brigata e tutti i volontari della libertà che la compongono sono citati all'ordine del giorno per avere, durante l'ultimo tentativo di rastrellamento, saputo tener testa con fermezza e coraggio a tutti gli attacchi del nemico, passando quindi alla controffensiva ed infliggendo ai Tedeschi gravi perdite.
L'encomio è decretato al comandante "Ivan" ed al 6° distaccamento per il loro valoroso comportamento e per lo spirito combattivo dimostrato al passo del Maro il primo novembre contro il tentativo di rastrellamento nemico.
L'encomio solenne è decretato al garibaldino Blasi che, incurante dell'offesa nemica, troppo si esponeva e rimaneva mortalmente ferito al passo del Maro il primo di novembre.
L'encomio solenne è decretato al vicecomandante di brigata "Vinicio", al comandante "Peletta" e alla squadra del primo battaglione che con loro ha combattuto a passo di Conio e al passo del Maro, per essere stati gli animatori della lotta, per decisione nel combattimento e alto spirito combattivo.
La IV ha saputo in questa circostanza mantenere alta la bandiera della divisione "F. Cascione" e la sua eroica tradizione di sacrificio e di lotta per i più alti destini della Patria.
                               Il Comandante Ispettore della I e II Zona Liguria
                                 firmato: "Simon"                                                             ..."
(n.d.r. - Angelo Perrone aveva due nomi di battaglia: "Vinicio" e " Bancarà")
5 A nulla valsero le cure. Il 7 di novembre 1944 il garibaldino Blasi colpito da setticemia cessa di vivere, murato in una nicchia rifugio di una “fascia” di Valloria, ove era stato nascosto, assistito dal dr. D'Alessio.
6 Gli ostaggi verranno rinchiusi nelle carceri d'Oneglia e sottoposti a torture per due mesi.
7 Vedi nota 8 del capitolo precedente.
8 Da relazione del Comando IV brigata "E. Guarrini" alla Delegazione militare della I Zona Liguria, prot. n. 6/Cm, 5.11.1944.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, ed. Amministrazione Provinciale di Imperia e patrocinio IsrecIm, Milanostampa, 1977, pp. 235-240

martedì 2 gennaio 2024

Dopo un paio di bordate andate a vuoto, una nave francese riuscì a colpire il mercato dei fiori

Sanremo (IM): la zona di Piazza Colombo allo stato attuale

Venerdì 20 [ottobre 1944] - Sanremo bombardata per due ore da un C.T. protetto da corvette.
Giuseppe Biancheri, Diario di guerra, pubblicato su LA VOCE INTEMELIA anno XXXIX n. 10 - ottobre 1984 e n. 11 - novembre 1984, qui ripreso da Cumpagnia d’i Ventemigliusi

20 Ottobre [1944]
Questa mattina verso le 11,30 abbiamo avuto un potentissimo bombardamento navale. Un incrociatore e un cacciatorpediniere colpiscono duramente la Piazza Colombo dove nel mercato dei Fiori avevano nascosto siluri umani e camion di benzina e nafta. Colpendo esattamente l'obiettivo, si può immaginare la forte esplosione avuta; la costruzione del mercato floreale andò completamente distrutta; incendi si svilupparono nelle case tutto intorno e, per lo spostamento d'aria siluri vennero lanciati fino a Via Vittorio nella casa di Ramoino in via Carli davanti a Frova, sotto all'Ospedale e in via Palazzo. Vittime furono quattro, essendo crollato il rifugio sotto al Mercato, ma dobbiamo proprio dire che la Madonna della Costa ci aiuta, altrimenti potevano essercene in peggior quantità. Con tutta quella materia infiammabile nel centro della città, potevano saltare tutte le case. E poi dicono che Sanremo è priva di obiettivi. Questa è una prova!
21 Ottobre [1944]
Il numero dei sinistrati va aumentando, e tutti cercano di venire ad abitare da questa parte della città per esser lontani dal porto, ma fin quando saremo sicuri anche qui?
22 Ottobre [1944]
La X Flottiglia Mas che era all'Albergo Splendido, dopo il bombardamento navale dell'altro giorno, dove l'albergo è stato quasi colpito, si è trasferita momentaneamente all'Albergo Astoria, in attesa di trovare altrove, poiché questa casa è già a disposizione della "Wermacht" e della "Todt".
23 Ottobre [1944]
Oggi c'è stato nuovamente un bombardamento navale sul porto; ma i danni si sono limitati alla zona di S. Tecla e il molo.
[n.d.r.: dal diario di una ragazza rimasta ignota, figlia di albergatori di Sanremo]
Renato Tavanti, Sanremo. "Nido di vipere". Piccola cronaca di guerra. Volume terzo, Atene Edizioni, 2006 

Nella tarda mattinata del 20 ottobre 1944 si verificò il bombardamento che rappresentò senza dubbio il più devastante attacco nemico di tutto il periodo bellico per quanto concerne la portata distruttiva <253. L'azione fu messa in atto dal cacciatorpediniere francese "Forbin", comandato dal capitano di corvetta Barthélémy, divenuto in seguito ammiraglio, dal comandante in seconda, il giovane sottotenente di vascello Hubert Pierre Duplaix, e dal luogotenente di vascello Mottez, che svolgeva le mansioni di ufficiale cannoniere.
253 Sul bombardamento navale di Sanremo del 20 ottobre 1944 cfr. M. Spertini, La distruzione del "Mercato dei Fiori" a Sanremo del 20/10/1944, in "Rivista Italiana Difesa", marzo 1990, pp. 88-97. V. Balbis, 20 ottobre 1944, in "A Gardiora du Matussian", n. 3, 2001, p. 9; R. Tavanti, Sanremo cit., pp. 115-141; Id., Storia di Sanremo: il bombardamento del 20 ottobre 1944, in "Civitas Sancti Romuli", 1983, pp. 62-66: Quel drammatico ottobre del 1944, in "A Gardiora du Matussian", n. 3, 2010, pp. 2-3; A. Gandolfo, Sanremo cit., pp. 170-74.
Andrea Gandolfo, Storia di Sanremo. Vol. VIII. Dall'entrata in guerra alla Liberazione (1940-1945), Famija Sanremasca, 2021

Trascrivo un pezzo della commemorazione che ha fatto mio fratello Franco, a nome dell’ANPI, dei Martiri di Poggio il 19 novembre 2017. E’ un pezzo di storia di Sanremo, che non abbiamo conosciuto direttamente (per fortuna).
Siamo a Poggio, nell’autunno del 1944, dove i miei genitori, mio fratello ed io piccolissima eravamo sfollati.
"… la situazione era piena di tensione, di ansia continua. I bandi di Graziani, che venivano appiccicati ai muri dallo stesso factotum addetto a 'battere la grida', a fare il netturbino e a chissà quali altre mansioni, aveva convinto anche i più titubanti fra i giovani a raggiungere i loro compagni sulle montagne. I partigiani che gravitavano nei dintorni erano molti, ma la parola 'partigiani' nessuno, in particolare i bambini, la potevano pronunciare in pubblico. Se proprio scappava di farne cenno, bisognava chiamarli 'ribelli'.
Non dimentico i generi alimentari e di prima necessità razionati; certi avvisi tam-tam di rastrellamenti che costringevano gli uomini validi a lasciare casa e a fuggire nel pieno della notte per recarsi nei boschi; l’aereo ricognitore, Pippo o Pippetto che fosse, che di notte sorvolava la regione, ronzando misterioso e ossessionante; spari notturni; fame della gente; donne che, armate di damigiane, scendevano in città a prendere l’acqua del mare per potersi fabbricare il sale; il campo sportivo, allora detto 'del Littorio', che si vedeva in lontananza, spesso brulicante di moto, carri, sidecar e attorno un formicolio di uomini… alcuni militari che transitavano a gruppi di due, silenziosi, recando sulla schiena, a mo’ di zaini, certe grosse bobine di fili o cavetti destinati alla riparazione di linee telefoniche e telegrafiche saltate. A poco a poco i tedeschi diventarono feroci.
Si sentiva la gente mormorare: «Hanno ucciso un uomo lì… hanno fatto un rastrellamento là… nel tale paese hanno massacrato donne, uomini e bambini… persino un prete!… nel centro di Sanremo, tra la farmacia Donzella e l’edicola della Scassa hanno fatto un rastrellamento grandissimo… alcuni uomini sono fuggiti sul campanile di San Siro, altri si sono nascosti al fondo della galleria, dietro ad alcune vecchiette. I tanti che sono rimasti sono stati caricati su un camion, a Upega un capo dei ribelli ferito in battaglia si è sparato per non cadere vivo nelle mani di quei brutessi… gli americani hanno bombardato Sanremo vecchia, un mucchio di persone sono rimaste sotto le macerie!».
Si arrivò alla mattina del 20 ottobre 1944. Dopo un paio di bordate andate a vuoto, una nave francese riuscì a colpire il mercato dei fiori, dentro il quale c’erano circa cinquanta siluri tedeschi di nuovo modello, depositati giorni prima dai nostri 'camerati' germanici. Al bombardamento assistetti da un punto panoramico privilegiato. Avevo attorno una folla di donne piangenti e piansi anch’io nel vedere quel tremendo cinemascope di fuoco, fumo, cannonate e spezzoni incendiati che saltavano per ogni dove.
Altra notizia terribile: fucilato nei pressi di Oneglia, dopo torture, il conosciutissimo sarto sanremasco Pippo Anselmi, antifascista da sempre, organizzatore delle prime 'bande'. Si sentì anche mormorare: «Un generale inglese, no, americano, ha mandato a dire ai ribelli di smobilitare, di andare a trascorrere l’inverno a casa, ma i nostri gli hanno risposto di andare a prendersela…».
24 novembre 1944. Altra mattinata di sole. Io sto giocando all’aperto, sul selciato della piazzetta del Dopolavoro, svogliatamente, perché, a differenza delle altre mattine, sono solo. Sento il rumore di un motore avvicinarsi. Mi affaccio dal parapetto e vedo arrivare un camion che arranca lentamente. L’automezzo entra nella stretta via che conduce alla piazza di Poggio ed sparisce al mio sguardo.
Dopo alcuni minuti rompe il silenzio un interminabile crepitio di mitraglia. Non faccio a tempo ad arrivare da mia mamma che si vede poco distante una spessa nube di fumo [...]"
Donatella D’Imporzano
Chiara Salvini, Donatella D’Imporzano racconta suo fratello..., Nel delirio non ero mai sola, 22 gennaio 2023

20 ottobre 1944
In questi giorni le navi hanno puntato su San Remo sparando le loro pillole incendiarie e, per conseguenza, c'è stato un gran numero di morti.
Caterina Gaggero Viale, Diario di Guerra della Zona Intemelia 1943-45, Edizioni Alzani, Pinerolo, 1988 

Testimonianza dell'avvocato Alessandro Remotti sul bombardamento navale di Sanremo del 20 ottobre 1944
[...] posso riferirti alcune testimonianze da me vissute, essendo un bambino di circa sette anni
[...] In altra occasione, però, quella che sarebbe poi stata la fatidica mattina del 20 ottobre 1944, portati come sempre dalle donne di casa nella medesima cantina-rifugio non appena suonato l'allarme, e accesa la solita candela di cera, in quanto durante tali momenti d'emergenza veniva sospesa l'erogazione dell'energia elettrica, e il piccolo vano non aveva aperture esterne da cui avere luce naturale, ad un certo momento avvertimmo una vibrazione del suolo che ci sembrò quasi di natura tellurica, seguita da un notevole spostamento d'aria che addirittura fece spegnere la fiamma della candela. Il fatto ci lasciò notevolmente impressionati, essendo il fenomeno del tutto inconsueto e mai avvenuto prima di allora, tanto che dopo un paio di minuti di assoluto silenzio da parte dei presenti, si provvide a riaccendere la candela e iniziare gli inevitabili commenti sull'accaduto, dando per la più plausibile ipotesi quella secondo cui una o più bombe avessero colpito l'edificio ove ci trovavamo, distruggendolo o comunque danneggiandolo notevolmente, suscitando viva preoccupazione sul se e come poter uscire all'aria aperta. Comunque, senza attendere oltre, e forse neppure prestando attenzione al segnale di cessato allarme, dapprima noi bambini e i ragazzi più vivaci, quindi tutte le persone presenti, uscimmo senza difficoltà al'esterno dell'edificio, constatando con estremo piacere che allo stesso nulla era accaduto, mentre si notava provenire in direzione sud-est, verso piazza Colombo, una densa colonna di fumo, il che ovviamente suscitò il nostro più vivo interesse, tanto da farci portare subito nel corso Garibaldi e dirigere verso il luogo. Giunti però poco oltre l'inizio di via XX Settembre, in prossimità lato est della chiesa degli Angeli, la strada cominciava ad apparire ostruita da detriti e macerie fumanti, e si poteva intravedere l'intero ex mercato dei fiori, che nella sospensione dell'attività commerciale, causa gli eventi bellici, veniva destinato a capannone per l'esercito e attività militari, interamente "saltato in aria" insieme a buona parte del soprastante edificio occupato dagli uffici giudiziari del locale Tribunale tramutato in una sorta di rovinoso "colosseo".
[...] Ritornati nei pressi della nostra abitazione, situata al piano terreno della scala ovest dello stabile, il cui appartamento era dotato di un piccolo giardinetto, potemmo accertare come su di esso fosse "piovuto", evidentemente scagliato dalla esplosione del mercato floricolo, uno spezzone di putrella in ferro lungo circa due o tre metri, tutto deformato e contorto, ancora caldo tanto da rischiare di scottarci le mani al tatto. Nella giornata poi si venne a sapere che il bombardamento marino "nemico" aveva centrato la struttura di piazza Colombo, in particolare quella dell'ex mercato dei fiori ove al suo interno si trovavano alcuni camion tedeschi giunti nella notte precedente, contenenti diversi "siluri umani" carichi di esplosivo, i quali erano saltati dando luogo ad una serie di quasi contestuali deflagrazioni. Forse con qualche fantasia, si sparse allora la voce che tale obiettivo era stato centrato alla prima "salva" in quanto la notizia della presenza di tale materiale bellico, giunto in tutta segretezza solo nella notte precedente, era stata tempestivamente "passata", tramite una radio portatile clandestina, agli inglesi, da un collaborazionista locale, di cui, in tempi successivi e sin dopo la Liberazione, circolava persino il nome. Ricordo inoltre che a sera inoltrata, allorché principiava il buio, per noi bambini era ormai sempre dopocena, si presentava nel cielo sanremese un piccolo aereo "nemico" che, data l'abitualità delle sue incursioni e essendo sempre solitario, ormai veniva da noi e da molti altri chiamato familiarmente "Pippo l'orfanello". Questo velivolo si limitava a sganciare uno o più "bengala" illuminanti sulla città, provocando una nutritissima reazione da parte delle locali batterie contraeree, in particolare di quella ubicata nei giardini Regina Elena presso la Madonna della Costa, senza tuttavia che queste riuscissero a colpirlo né, tantomeno, ad abbatterlo.
Andrea Gandolfo, Op. cit.

giovedì 28 dicembre 2023

I partigiani proseguono la battaglia dei ponti

Ormea (CN). Foto: Mauro Marchiani

Alle tre del mattino del 2 agosto 1944 la cresta della montagna che si estende dal Pizzo d'Evigno al Pizzo della Ceresa, ancora in ombra, emerge netta sullo sfondo del cielo chiaro e stellato. Ad un tratto, un bisbiglio di pronuncia straniera giunge all'orecchi di Biga Albino della banda di Roncagli, accovacciato in un cumulo di fieno nei prati di "Scornabò". Alzata la testa ancora piena di sonno e volto lo sguardo verso la cresta, ad una ventina di metri scorge le ombre di una lunga fila di uomini sagomate contro il cielo, che gesticolano verso il fondo valle. I Tedeschi, pensa. Ma no! Non può essere, altrimenti i partigiani accampati ai "Fussai" lo saprebbero; il SIM li avrebbe informati di un probabile rastrellamento. Saranno i disertori polacchi unitisi ai partigiani, che stanno per trasferirsi in Valle Arroscia. Infatti, il giorno precedente gli uomini di "Mancen" a Borello, a Borganzo, a Roncagli, ad Arentino, ed a Evigno, avevano preso in prestito dai contadini una trentina di muli per il trasporto degli equipaggiamenti.
Albino, che nella penombra osserva ancora, ad un tratto intuisce che le ombre sono veramente soldati Tedeschi che stanno per iniziare il rastrellamento.
Con movimenti impercettibili riesce a raggiungere l'oscurità del bosco sottostante. Scivola rapido tra gli sterpi ed i cespugli di un ruscello, si avvicina, giù in basso, al casone dei "Fussai" dove sono accampati e dormono i partigiani della "Volantina"; della presenza tedesca avvisa la sentinella che attizza il fuoco sotto la marmitta del caffè e che, disgraziatamente non crede alla notizia, poi scende rapidamente le scogliere del "Negaesso" e si rifugia in inaccessibili tane insieme ad alcuni compagni. Altri contadini che, in piena fienagione, stavano dormendo per i prati, sono protagonisti dello stesso episodio, tra cui la ragazza Lucia Ardissone che, dopo una corsa di qualche chilometro per la montagna, riesce a mettere in allarme una decina di giovani di Roncagli che stavano riposando in una baita in località "Pian della Chiesa". Appena vi giunge, tutta la vallata già rimbomba di scoppi di bombe a mano, colpi di fucile, raffiche di mitragliatrice. I soldati Tedeschi giunti nella notte dalla Valle Impero, dalla Valle di Andora, dalla Valle Steria, dal Passo della Colla, dal Monte Ceresa, dal Colle del Lago e dal Monte delle Chiappe, scendono a valle. Alle sette del mattino i borghi di Evigno, Arentino, Roncagli e Borgoranzo vengono investiti e saccheggiati. Con qualche masserizia e col bestiame, gli abitanti fuggono disperati per tentare di nascondersi nei rifugi della campagna. Intanto i grandi stormi di fortezze volanti americane attraversano il cielo lasciando lunghe strisce bianche, il rumore assordante prodotto dai motori degli aerei fa vibrare il terreno, in modo insopportabile si ripercuote nelle tane costruite nelle fasce ulivate.
Ogni cespuglio del torrente Evigno viene battuto da raffiche di mitra e bombe a mano. Chi vi si trova nascosto prova momenti di indescrivibile terrore.
L'attacco del 2 agosto alla “Volantina” nella valle di Diano Marina, con il rastrellamento tra il Merula e l'Impero, e la marcia della colonna nazifascista, che pervenuta da Garessio si arresta ad Ormea, vanno intese come operazioni preliminari al vasto rastrellamento vero e proprio.
Il piano del Comando tedesco prevede le azioni su un territorio molto ampio, infatti i contingenti militari partono da direzioni notevolmente distanti l'una dall'altra: Garessio-Ormea, Albenga, colle San Bartolomeo. Sono toccate ben tre province (Cuneo, Savona, Imperia) e due regioni (Piemonte e Liguria).
L'obbiettivo è importante ma, nell'agosto, il fine si presenta più limitato rispetto al precedente mese di luglio, risultando ormai ben difficile l'eliminazione totale dei garibaldini della I Zona Liguria.
Perciò, il grande schieramento di forze è rivolto ad ottenere il controllo di alcune vie di comunicazione. I Tedeschi, dopo aver operato le marce di spostamento ed essersi assicurati il controllo della Statale n. 28 per il tratto che va dal litorale al colle San Bartolomeo, iniziano il giorno 9 o il 10 (a seconda della provenienza delle diverse colonne) le operazioni di rastrellamento.
L'epicentro dell'azione è Caprauna, paesello ubicato nel cuore del territorio  da accerchiare su cui convergono da ogni direzione, a raggiera, numerose vie di comunicazione; ma il primo obbiettivo nazista è l'occupazione di Pieve di Teco. Su questa località si dirigono le tre principali colonne accerchianti. La prima parte da Ormea, dove era giunta per mezzo di un treno che era stato attaccato dai partigiani appostati sulla riva destra del Tanaro (nel corso dell'operazione erano state divelte in parte le rotaie della strada ferrata, ma le carrozze ferroviarie non si erano rovesciate); da Ormea si avvia per la statale a Case di Nava e scende a Pieve di Teco. La seconda proviene da Albenga, percorre la carrozzabile, ed a sua volta si ramifica in due colonne: una raggiunge Nasino, Alto e punta su Caprauna; l'altra prosegue lungo la strada per Borghetto di Arroscia e si inoltra a Pieve di Teco. La terza infine, proveniente dal litorale, parte da colle San Bartolomeo e procedelentamente e molta guardinga per il timore di imboscate lungo la Statale n. 28 fino a Pieve di Teco e, verso mezzogiorno, entra nel paese, malgrado la resistenza opposta dal distaccamento di “Orano” presso villa Baraucola. Durante il percorso il grosso della truppa è preceduto da pattuglia di avanguardia che, passando, provocano vasti incendi che sprigionano alte colonne di fumo. Il Comando tedesco ha ormai racchiuso il territorio della I Brigata in una grande sacca e si appresta a sferrare l'attacco decisivo per eliminare i partigiani circondati.
Il comando garibaldino, però, essendo già stato informato dal giorno 5 del prospettato rastrellamento nazista, pur senza conoscerne la data esatta, aveva provveduto ad avvertire le formazioni dipendenti del pericolo, prendendo misure di immediata difesa, sicché era venuto a mancare ai Tedeschi il vantaggio del fattore sorpresa. La sede del comando della I Brigata, con perfetta scelta di tempo, dopo l'occultamento del materiale e dei documenti delle formazione, si era trasferita da Pieve di Teco a Moano (in Valle dei Fanchi). Anche l'ospedale civile era stato evacuato, mettendo in salvo i partigiani malati. La “Matteotti”, che da Lovegno seguiva i movimenti dei Tedeschi, invia staffette per avvisare le altri formazioni del pericolo imminente.
Nella notte tra il 9 e il 10 di agosto “Cion” [Silvio Bonfante] attacca i Tedeschi a Pieve di Teco; poi si sposta verso Madonna della Neve dove poco tempo prima si era portato “Pantera” con i suoi uomini e, sulla dominante vetta del Frascianello, aveva trovato la Matteotti. “Pantera” prima dell'arrivo di “Cion”, aveva rivelato alla “Matteotti” i suoi propositi di forzare l'accerchiamento nemico per cercare la salvezza nel bosco di Rezzo, ed a tal proposito aveva chiesto l'autorizzazione del Comando, ma gli era giunto l'ordine di non muoversi, di restare a presidio del luogo e di mandare pattuglie di sorveglianza sulla carrozzabile Pieve di Teco-Moano. Non si sa se l'ordine fosse impartito senza un'esatta cognizione della vastità del rastrellamento o se si intendesse effettuare l'attacco in un unico punto dell'accerchiamento nemico, dal quale passare tutti insieme dopo aver evitato dispersione di forze, maggiori rischi e perdite di vite umane. Successivamente per mezzo di staffette “Cion” ordina a tutti i distaccamenti di portarsi immediatamente verso Case di Nava. Oltre al Comando della I Brigata ed ai distaccamenti “Volantina” e “Matteotti”, si trovano nella zona le formazioni comandate da “Pantera”, “Orano”, “Renzo”, “Vittorio”, “Battaglia” e “Domatore”.
All'alba del 10 di agosto i Tedeschi chiudono la sacca addentrandosi nel centro del territorio. La colonna nazista dell'Alta Val Tanaro scende in direzione quasi parallela alla statale; altre due, partite da un unico punto dalla medesima strada equidistante da Ormea e da Case di Nava, si inoltrano anch'esse verso sud, nel cuore del territorio della I Brigata; una colonna da Armo punta a nord; una da Ranzo tende a Gavenola; un'altra ancora da Pieve di Teco oltrepassa Lovegno; ed infine una da Vessalico punta su Lenzari e si avvia a Madonna della Neve. Nel pomeriggio del 10 vi è tutto un dilagare di Tedeschi, in ogni direzione, in ogni paese e frazione e anche presso case sparse e sulle mulattiere.
I luoghi che poche ore prima erano stati le sedi dei garibaldini, ora sono investiti dall'ondata nemica. I partigiani per vie dirupate e sentieri da capre, attraverso boschi e crinali, devono operare complicate deviazioni per sganciarsi dal nemico. “Cion” da Madonna della Neve giunge a Case di Nava con altri distaccamenti, attacca decisamente i Tedeschi di presidio (circa una trentina), li disperde e riesce in tal modo ad aprire un varco nell'accerchiamento. La “Matteotti”, invece, dopo una lunga marcia, riuscirà ad oltrepassare il Tanaro presso Eca Nasagò. Ma non tutte le formazioni fanno in tempo a sganciarsi: quella di “Battaglia” resta ferma, o quasi, tra Gavenola e Leverone, mentre quella di “Renzo” si occulta nei boschi dell'alta Val Pennavaire. Il giorno seguente, 11 agosto, prosegue ancora il rastrellamento poi verso sera si estingue. Le perdite garibaldine non sono lievi: alcuni partigiani sono stati catturati ed uccisi, tra cui il comandante Giuseppe Arrigo (Orano). I Tedeschi non hanno conseguito risultati di grande rilievo. Hanno commesso gravi errori nel corso dell'operazione. Primo fra tutti, l'aver rinforzato eccessivamente le colonne rastrellanti a scapito di quelle d'accerchiamento. Altri gravi errori sono stati lo sgombero notturno di paesi e passi e l'aver presidiato tutti i ponti sul Tanaro il giorno 11 anziché il 10. La disposizione del presidio di Case di Nava ed il passaggio della “Matteotti” attraverso il ponte sul Tanaro rivelano infatti l'imperfetta riuscita dell'accerchiamento e la precarietà della sorveglianza notturna. Il vantaggio ottenuto è il controllo della Statale n. 28, d'altronde quasi impraticabile per i ponti distrutti dai partigiani. Questi, infatti, per la ragione opposta che ha spinto i Tedeschi alle azioni militari per il controllo delle vie di comunicazione, proseguono la battaglia dei ponti per impedire il libero transito ai nazifascisti. L'opera di ricostruzione o riparazione, lunga e non agevole, sarà continuamente ostacolata e ritardata dal sabotaggio dei partigiani. Dal resto, ormai la Resistenza è diventata esperta nella guerriglia e sa parare ogni colpo, affrontare ogni mezzo nemico, sfuggire un attimo prima, passare un attimo dopo il passaggio del nemico; i distaccamenti possono frazionarsi in squadre e nuclei ed in singoli uomini e, in seguito, ricostituirsi in breve tempo, come per magia. Il partigiano, ora, sa occultare il materiale salvandolo dalla furia dei nazifascisti, prevedere l'immediato futuro, dosarsi le forze per tutte le stragrandi difficoltà dei momenti peggiori. Egli sa tendere ad un luogo di salvezza valutando gli eventuali pericoli che potrà incontrare lungo la via, sa vegliare tutta la notte, digiunare a lungo e camminare senza posa, riposarsi due ore per riprendere il cammino; conosce la necessità del sangue freddo nelle occasioni più difficili e pericolose, sceglie il momento adatto per rispondere al fuoco dalla posizione migliore; è più veloce, agile e spedito dei Tedeschi incolonnati e timorosi dell'agguato, carichi d'armamento pesante, guidati dalle carte ma ignari dei sentieri, delle curve, della presenza partigiana. I patrioti procedono per luoghi impervi, informati dalla gente della presenza o vicinanza nemica o del viottolo che offre salvezza.
Immancabilmente, poco tempo dopo ogni grande battaglia o rastrellamento, le formazioni garibaldine ritornano nella zona occasionalmente abbandonata.
Gino Glorio "Magnesia", Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - I parte, Genova, Nuova Editrice Genovese, 1979

domenica 10 dicembre 2023

Il giorno dopo sette garibaldini del primo distaccamento, in missione a Pietrabruna, catturano e disarmano quattro bersaglieri repubblichini

Pietrabruna (IM): uno scorcio

A sua volta il Comando della II divisione «F. Cascione» il 18 di settembre [1944] costituisce il distaccamento mortaisti che assume il nome del garibaldino caduto Ettore Bacigalupo e il distaccamento rifornimento viveri in Fontane di Frabosa al comando di Domenico Arnera (Aldo). Assegna alla I brigata «S. Belgrano» i distaccamenti «G. Catter» al comando di Mario Gennari (Fernandel) e «G. Maccanò» al comando di Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo).
Sciolto il battaglione «Lupi» di E. Pelazza, con i suoi elementi vengono costituiti i distaccamenti «L. Fiorenza» e «I. Rainis», rispettivamente al comando di Valerio Ghirardo (Antonio) e Giacomo Ardissone (Basco).
I due distaccamenti di «Domatore» e «Battaia» assumono i nomi dei caduti Elio Castellari e Antonio Terragno.
Intanto i Tedeschi sgomberano Pieve di Teco, Nava, Ormea e altre località lungo la statale n. 28 che rimane libera, ma non sgomberano le città della costa. Non si conoscono gli scopi di tali movimenti nemici. Si decide di far saltare tutti i ponti ricostruiti dai Tedeschi sulla predetta strada per creare loro maggiori difficoltà. Con i muli viene recuperato il materiale pesante nascosto a Moano durante il grande rastrellamento svoltosi tra l'8 e il 12 agosto.
Una grande retata elimina molte spie e collaborazionisti annidati in Pieve di Teco. Però il Comando non ordina di occupare la città e gli altri paesi lasciati liberi dal nemico per timore di una trappola dato che, ormai, il fronte
francese si era stabilizzato e perciò i Tedeschi potevano manovrare molte forze rimaste disimpegnate.
Si conviene di occupare i valichi e le cime dei monti in modo da poter dominare la situazione come si era dominata il 25 di luglio, il 9 di agosto, il 4-5 di settembre, ed aspettare il successivo rastrellamento che, certamente, come l'esperienza passata aveva dimostrato, non avrebbe tardato.
Nel retrofronte il nemico doveva assolutamente avere le spalle tranquille e sicure, e così una via libera per una eventuale ritirata, come poteva essere la statale n. 28.
A ponente della I brigata operavano le formazioni della IV dalla valle Impero alla valle Argentina, e quelle della V dalla valle Argentina alla valle Roja.
Il 9 di settembre due garibaldini del 10° distaccamento «W. Berio», spintisi nel centro di Oneglia, prelevano e giustiziano un milite delle brigate nere; altre squadre recuperano tremila colpi di «Mauser» in una postazione a Santo Stefano, due fucili e bombe a mano in località Santa Brigida.
A Taggia i Tedeschi fucilano il garibaldino Antonio Martina fu Vincenzo, nato nel 1887. L'11 alcuni garibaldini puntano su Bestagno per prelevare delle spie; segue una rappresaglia nazifascista.
Il 13 di settembre, mentre i distaccamenti di «Dankò» e «Peletta» prendono posizione al passo della Follia e il distaccamento di Nino Verda al passo del Grillo, altre squadre ingaggiano combattimento con una trentina di Tedeschi in località Isolalunga, dopo di che, richiesto dal nemico l'intervento dei mortai da 81 mm. piazzati sul monte Papé a un chilometro di distanza dallo scontro, i garibaldini, sganciatisi e non accertate le perdite inflitte al nemico, ripiegano incolumi.
Cinque garibaldini del 3° battaglione «Artù» in missione, trascorsa la notte in Castellaro, all'alba del 18 di settembre mentre si avviano fuori paese sono sorpresi da un plotone di Tedeschi; una raffica colpisce al capo il volontario Antonio Boeri (Pescio) di Antonio, nato a Badalucco il 13.12.1919, che rimane ucciso all'istante.
In seguito ad un attacco garibaldino a soldati in perlustrazione a Santa Brigida (un morto ed alcuni feriti) il nemico bombarda Dolcedo con cannoni piazzati nella valle di Oneglia. In tale circostanza muore il civile Giobatta Guasco ed il paese subisce danni materiali (A.S.R.).
Nei giorni che seguono, in previsione di un rastrellamento che dovrebbe partire da Chiusavecchia e da Pontedassio, il distaccamento di «John» prende posizione ai passi di Ville e della Pistona, i distaccamenti di «Romolo» e di «Mirko»  [Angelo Setti] a Colla d'Oggia, il «Paglieri F.» in località Arzéne. Sorpreso dai partigiani in allarme il nemico desiste dalla sua azione.
Il giorno dopo sette garibaldini del primo distaccamento, in missione a Pietrabruna, catturano e disarmano quattro bersaglieri repubblichini recuperando un mitra, due fucili tedeschi e cinque bombe a mano.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, ed. Amministrazione Provinciale di Imperia e patrocinio IsrecIm, Milanostampa, 1977

"Ed eccola, nutrita, improvvisa eppur prevista, la scarica dell'imboscata, proveniente dai terrazzi degli ulivi. Il sergente Bolla rotola a destra della strada che ci riporta a San Lorenzo: io, colpito ed immobilizzato all'anca destra, mentre sto facendo una piroetta, con perfetta manovra di "a terra" come nelle esercitazioni lungo la Bormida.
Finisco in una scanalatura del terreno e una miriade di proiettili arriva a dieci centimentri di distanza dal mio corpo, oramai al sicuro, e scalfiggono il suolo. Ma sento anche, benedetta ed assai violenta, la reazione degli altri bersaglieri col fuoco di copertura, un poco più dietro, che muta a nostro favore le sorti dell'imboscata.
[...] A tarda notte (io su un carretto) si giunge a S. Lorenzo al Mare. Vengo raccattato da un furgoncino, mandatoci incontro dal Comando e guidato dal bersagliere Carlo Bioni di Montichiari, con il bersagliere Lucio Questa di Brescia, a protezione, sul parafango anteriore destro.
Amici cari, benvenuti.
Sono portato a notte fonda all'Ospedale da campo di Taggia.
Vengo a sapere che anche il sergente Bolla, avanti a me, è salvo, pure se con una pallottola in un polpaccio.
[...] Avevamo lasciato Pietrabruna e ci dirigevamo verso le nostre postazioni a valle.
Mancavano all'appello il sergente maggiore Quartero, il caporal maggiore Rosier, il caporale Azzi, il bersagliere Bonadei che sapevamo essere stati catturati dai partigiani".
Queste - sullo scontro di Pietrabruna - le parole di un ex bersagliere di Salò, nostalgico, così come riportate nel libello di Umberto Maria Bottino, I nostri giorni cremisi. 1943-1995 <Attilio Negri srl, Rozzano (MI), 1995>, parole che in ogni caso confermano la portata dell'evento, risolto con successo dai garibaldini.
Adriano Maini

lunedì 4 dicembre 2023

Era Stalin con i suoi partigiani e quando giunsero il paese si animò d'improvviso

Aquila d'Arroscia (IM). Fonte: Wikipedia

Molti erano come Basco [n.d.r.: Giacomo Ardissone, vice comandante della II^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Nino Berio" della Divisione "Silvio Bonfante"], tutti anzi vivevano giorno per giorno senza chiedersi più se quello che facevano era bene o male o perché lo facevano. Avevano deciso una volta, quando erano venuti sui monti. Avevano meditato ancora sul da farsi quando la situazione era mutata, seguendo un impulso interno dettato più dai sentimenti che da ragionamento. Continuavano la lotta perché era ormai una seconda natura. Quali erano i sentimenti inespressi che covavano nell'inconscio di quei giovani che li avevano sostenuti, nei momenti di scoramento, quando l'abitudine non bastava più? Alcuni avevano sentito la necessità di riscattare il passato dell'Italia, di riconquistarle la libertà dall'oppressione con la forza non intendendola come un dono del più forte. Per i comunisti era la speranza di fondare un mondo nuovo, di gettare le basi per una società più giusta. E per gli altri? E' difficile dirlo perché ne parlavamo poco. Forse erano stati sufficienti i sentimenti che covavano in tutti: l'astio per il nemico, il desiderio di vendicare i compagni morti, i paesi bruciati, gli ostaggi fucilati, anche a costo di nuovi lutti; la speranza di prendersi una sanguinosa rivincita per tutto quello che avevamo sofferto; l'orgoglio di non piegarsi, di poter scendere alla costa a testa alta, il desiderio di non confondersi con la massa dei deboli, di quelli che sono vissuti nel terrore del nemico; la coscienza magari indistinta di essere tra gli attori del grande dramma, di una pagina di storia, di aver afferrato da forti una occasione unica che basterà a riempire di ricordi o di orgoglio tutta una vita per aver sfidato il nemico temuto da tutti e per non aver piegato quando i più l'avevano fatto.
"Una volta in Croazia" - raccontava Basco - " ero in postazione fuori paese quando avvistammo su una collina di fronte degli uomini in pantaloncini bianchi che scendevano con cautela. Era inverno e ci pareva strana una divisa di quel genere. Venivano verso di noi e non erano armati. Quando furono vicini ci accorgemmo che erano scalzi ed in mutande. Il nostro capitano uscì dalle linee, uno di loro scattò sull'attenti e si presentò, diede il nome del reparto e poi concluse: 'Catturati dai ribelli e poi liberati'. Il capitano esaminò il tenente da capo a piedi: 'Andate giù in paese a rivestirvi!'. Mentre scendevano per la mulattiera vedemmo che sul retro delle mutande avevano scritto con pittura rossa e azzurra VINCERE. Come erano stati presi? Lo seppi il giorno dopo da uno di loro che trovai in paese. Erano andati in perlustrazione fin quando avevano avvistato una sentinella partigiana; si erano buttati al riparo delle rocce, poi il tenente impugnando la pistola: 'Ragazzi, si attacca! Savoia!'. Gli altri risposero: 'Savoia!' ma poiché il tenente restava con la testa dietro al sasso, nessuno si mosse. Qualche minuto di attesa, poi di nuovo 'Savoia!' e di nuovo tutti fermi. Infine dopo aver gridato Savoia cinque o sei volte vennero i ribelli e li catturarono".
Il discorso fu interrotto dall'entrata di un partigiano: "C'è gente in cresta dalla parte di Aquila [Aquila d'Arroscia]". Uscimmo in due o tre: sulla mulattiera che scendeva dalla cappella di S. Cosimo scendeva una ventina di armati. "Forse son quelli della I che vengono per le armi. Fra poco li vedremo meglio". Era Stalin [Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"] con i suoi e quando giunsero il paese si animò d'improvviso.
Pranzammo e poi dividemmo le armi. C'era anche Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] con Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione Bonfante], c'era un capobanda della Divisione di Savona cacciato in Val Pennavaira da un attacco tedesco. Anche sopra Savona avevano avuto un lancio: ci promise munizioni per mitraglie che avevano ricevuto in abbondanza mentre a noi mancavano ancora.
"Da oggi ha inizio la campagna di primavera", disse Giorgio, mentre gli uomini riempivano i caricatori dei mitra con i colpi per gli Sten. "Si riprendono gli attacchi, si abbandona la tattica cospirativa: piena libertà di azione per ogni banda, attaccate come e quando volete, non occorre più l'autorizzazione del Comando. Ragazzi, distruggete la scatola delle munizioni, in paese non deve restare traccia del lancio".
L'armamento della Divisione era finalmente aumentato, venne esaminata la situazione di ogni banda sotto l'aspetto delle armi automatiche in dotazione: col nuovo materiale era possibile creare un maggiore equilibrio. L'esplosivo, la miccia, tutto il materiale da sabotaggio che ci era piovuto dal cielo venne consegnato direttamente ai comandi brigata: sarebbe finalmente finita la ricerca snervante nei campi minati.
In quelle ore giunse notizia che una colonna nemica scendeva su Caprauna, l'annuncio sollevò l'entusiasmo: finalmente avremmo affrontato il nemico ad armi pari. La notizia era errata e l'eccitazione si spense, era però buon segno che i partigiani anelassero di nuovo ad incontrarsi col nemico.
La banda di Stalin col Comando divisionale lasciò la valle di Alto, lo schieramento protettivo venne sciolto, la situazione tornò normale. L'operazione L 1 si era conclusa con un successo.
La campagna di primavera
L'inizio della campagna di primavera annunciata da Giorgio al distaccamento «G. Garbagnati» e ripetuto lo stesso giorno [16 marzo 1945] agli uomini di Cimitero coincise con una forte ripresa offensiva solo nella zona costiera.
La I Brigata preparava in collaborazione col S.I.M. la distruzione del posto di blocco fascista di Cervo progettando di far saltare la casa dove era trincerato con esplosivo collocato nella cantina. Al progetto si oppose il C.L.N. di Cervo del quale faceva parte Semeria che, salvatosi in ottobre dal disastro di Upega, collaborava ora con Batè (Cotta) nelle S.A.P. e nel C.L.N. Semeria era entrato in contatto coi fascisti del posto di blocco avendone la garanzia che, oltre a non molestare nessuno, avrebbero dato informazioni sul traffico di persone e reparti. Il posto di blocco era messo in posizione errata, poiché controllava solo la Via Aurelia e chi non voleva farsi notare poteva evitarlo passando per il paese. Gli argomenti erano buoni ed i partigiani rinunciarono consolandosi con l'intensificazione delle imboscate. Nelle zone più interne l'iniziativa rimaneva ai tedeschi che intensificavano le puntate.
Era a conoscenza il nemico del lancio avvenuto? Taluni indizi ce lo facevano supporre; era però poco probabile che fosse al corrente del punto preciso.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 209-211

19 marzo 1945 - Dal CLN mandamentale di Diano Marina al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Chiedeva di desistere da un'azione prevista contro il posto di blocco nemico di Cervo, del resto pericolosa perché sussisteva già allarme tra i soldati e la popolazione stessa, anche per evitare una rappresaglia contro i civili, e sottolineava che questo assunto era stato già sollevato in un incontro, alla presenza di un delegato del CLN provinciale, con il commissario "Federico" [della I^ Brigata "Silvano Belgrano", Federico Sibilla] e con il comandante "Mancen" [della I^ Brigata "Silvano Belgrano", Massimo Gismondi]
da documento IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999 

lunedì 20 novembre 2023

Però sarebbe bello, fatti fuori i tedeschi, mandar via anche gli inglesi...

Alto (CN). Fonte: Wikimedia

Il giorno 16 giunsi ad Alto. Là terminava la carrozzabile che saliva da Albenga per Castelbianco e Nasino. Inerpicato su un ripido pendio il paesino di Alto in quel marzo 1945 assomigliava stranamnente a Fontane in novembre. Castani spogli, cielo grigio piombo, viuzze fangose, cime e creste brulle ed a pascolo chiudevano a semicerchio la valle mascherando il varco che lasciava passare la mulattiera per Capraùna.
Alto; strano che Cascione avesse scelto per culla del movimento un luogo così cupo che, pur essendo ancora in Liguria, aveva già l'aspetto dei paesini d'alta montagna, dove la neve si fermava più a lungo, il clima era più freddo. Inesperienza? Motivi di sicurezza? Chi sa! Il fatto che la carrozzabile finisse ad Alto e quindi gli automezzi nemici potessero attaccare da una sola direzione e dopo una dura salita, la lontananza da altri paesi, quindi un maggiore controllo sugli abitanti e sullo spionaggio nemico possono aver fatto cadere la scelta su Alto. Ne dedussi anche che la banda di Cascione, dopo lo scontro di Montegrazie, dovette avere un atteggiamento difensivo analogo più o meno a quello adottato da noi nel periodo di stasi e depressione che ci colpì all'inizio del secondo inverno.
L'aspetto di Alto il 16 marzo era normale, nulla indicava che un lancio avesse luogo nelle vicinanze o che vi fossero concentramenti inconsueti di partigiani.
Che differenza con Garessio in luglio o Piaggia in ottobre. Allora una decina di partigiani riempiva un paese. Parevano migliaia e dopo un po' ti accorgevi che erano sempre le stesse facce. Ora invece pare che abbiano l'arte di scomparire.
Trovai Germano sulla piazza del paese; mi indicò la casa di Turbine [n.d.r.: Alfredo Coppola, capo squadra in seno alla II^ Brigata "Nino Berio" della Divisione Garibaldi "Silvio Bonfante"], uno degli incaricati del lancio. "Sta con la moglie" mi disse. Infatti anche Turbine nei giorni si scorsi si era sposato. Entrai: Basco [Giacomo Ardissone, vice comandante della II^ Brigata], Turbine, Trentadue e qualche altro erano intorno a piatti di castagne e di latte.
"Sempre la solita cagnara" -  diceva Basco - "chi si alza prima comanda. Nessuno di noi conosce il messaggio speciale, né i comandanti di brigata, né i capibanda ed è giusto. Poi ti trovi tra i piedi uno del S.I.M. che ascolta la radio con te e si mette a gridare: «Ecco il messaggio, stasera c'è di nuovo il lancio!» - e tu ci fai la figura dello scemo. Il Comando ti garantisce che di lancio ne fanno uno solo perché la zona è pericolosa e così ti fa perdere il secondo. Ma perdere è poco, ti fa scannare a correre nel buio e tutto per niente. Poi ti fa aspettare tre giorni i signori della I Brigata ["Silvano Belgrano"] che vengano con comodo a ritirare la loro parte. Adesso la zona non è più rischiosa secondo il Comando...".
Ricordavo il Basco dello scorso luglio caposquadra della Matteotti: "Questa volta ci hanno fregato: siamo al buio in una zona che non conosciamo, ma domani non ci stiamo più".
Il capobanda del distaccamento "I. Rainis" aveva conservato lo spirito ribelle di allora. "Ci fanno i lanci adesso i signori inglesi. Sperano che diamo loro una mano quando verranno avanti. Quando avevamo bisogno di armi per difenderci, per vivere, allora niente".
"A Mauri i lanci; noi, che siamo comunisti, più moriamo meglio è. Ma i primi inglesi che vedo... Ma siamo in pochi e finirebbe come in Grecia. Però sarebbe bello, fatti fuori i tedeschi, mandar via anche gli inglesi... Naturalmente i signori del Comando non la penseranno così. L'anno scorso quando speravamo di scendere avevano abolito le stelle rosse, i fazzoletti, le bandiere, tutto quello che c'era di rosso, come se gli inglesi non ci conoscessero. Quelli del Comando stavano al centro a decidere e noi sui passi intorno a far la guardia, a difendere quelli che decidevano. Quando abbiamo capito che la nostra vita valeva la loro e abbiamo cercato un posto meno rischioso, il Comando è sparito, è diventato clandestino. Adesso che viene il buon tempo verranno di nuovo fuori, pianteranno gli uffici in un paese e diranno a noi delle bande di schierarci a difenderli, ma stavolta non ci riusciranno".
"Guardate Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione Bonfante]: non ha preso mai un rastrellamento. Che furbo! Prima era al S.I.M. e quando le notizie eran brutte cambiava aria. Adesso è commissario e fa i comodi suoi. A Nasino ha un rifugio che è impossibile trovarlo. I poveri diavoli siamo noi che dobbiamo salvare gli uomini, il materiale e poi noi, se avanza il tempo".
"L'altro giorno trova un contadino che ha un permesso del Comando tedesco sotto il nastro del cappello, lo interroga e poi ci dà ordine di fucilarlo. Come se la vita degli altri non contasse niente! Noi abbiamo detto di sì e poi lo abbiamo lasciato andare. E' difficile giudicare uno ed è terribile condannarlo se non confessa. E' capitato a me con un S. Marco. Lo abbiamo interrogato per un giorno intero, ha sempre negato. Pure eravamo sicuri che era una spia.
Dovevo essere io a giudicarlo e vi assicuro che non ho chiuso occhio quella notte. Il giorno dopo era scappato. L'abbiamo ripreso per un miracolo ed allora ha confessato: era venuto su per tradirci. Ma se non avesse parlato non avrei avuto forse il coraggio di ucciderlo, neanche dopo la fuga".
Il tempo passava intorno alla stufa, qualcuno entrava, altri uscivano. Lungo il muro i sacchi del lancio erano comodi sedili, nella stanza più interna Trentadue aveva dormito immerso nei paracadute. Basco raccontava del tempo in cui era in Croazia come paracadutista: un giorno aveva aiutato i contadini a spegnere un incendio appiccato dagli alpini. Avevano avuto come compenso chili di miele. Un'altra volta avevano appostato una staffetta partigiana che passava di solito in uno stesso punto. L'avevano attesa a lungo, poi, appena avvistatala: una raffica e la staffetta era caduta: "Ci avvicinammo cautamente, quando fummo a pochi metri lo slavo fece scoppiare una bomba a mano. Si uccise ma distrusse i documenti che portava".
Episodi ed episodi, raccontati con naturalezza ed indifferenza. Ora si combatte da una parte, allora dall'altra. Ora si è rastrellati, allora si rastrellava. Si era mai chiesto Basco se vi era contraddizione fra le due guerre, se allora o ora si era nel giusto?
Allora il governo comandava di fare quello ed era naturale farlo, nessuno pensava a disubbidire apertamente. Ora i tedeschi non sono più sulle ali della vittoria, l'opinione pubblica è contro di loro e così è naturale esser partigiani. Cosa ha sostenuto questi giovani nel duro inverno? Il gusto dell'avventura? Il rancore per gli anni di guerra passati e subiti? Chissà...!
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 206-209

17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - "... il giorno 13 u.s. si è effettuata l'operazione lancio nella località convenuta [Piano dell'Armetta nei pressi di Alto (CN)]; sono stati lanciati 33 colli di cui 28 recuperati nella serata ed i restanti 5 nella successiva mattinata. Non è stato possibile per il disturbo alle stazioni radio ricevere il messaggio per il lancio del giorno successivo. Tutte le tracce del lancio sono state cancellate anche grazie alla popolazione, di modo che i tedeschi non hanno trovato nulla. Data l'esperienza si consiglia di potenziare l'ascolto messaggi mediante l'aumento delle apparecchiature sulle tre linee, visto che si è ordinata la revisione dell'impianto di Nasino. È da evitare inoltre il lancio in giorni consecutivi, poiché vi è un'unica via di deflusso rappresentata da una mulattiera ed è, quindi, impossibile creare una colonna eccessivamente grande di muli, perché desterebbe sospetti ed in quanto l'occultamento del materiale va eseguito a spalla. Il luogo si è mostrato idoneo allo scopo, per cui per il prossimo lancio si richiedono 150-180 colli. Non servono fucili, ma armi automatiche, mortati leggeri, bombe anti-carro. Il collo indirizzato a 'Roberta' [capitano del SOE britannico Robert Bentley, ufficiale di collegamento degli alleati con il comando della I^ Zona Operativa Liguria] contiene 2 R.T. [radiotrasmittenti]: si prega di inviare degli uomini a prelevarle. Il giorno 11 u.s. è stata bombardata Ormea ed è stata colpita la sede del generale. Alcuni garibaldini hanno requisito in detto comando vario materiale, tra cui una lettera di cui si invia traduzione circa gli spostamenti delle truppe tedesche. Sopra Ormea i tedeschi accendono fuochi per ingannare gli aerei alleati".
17 marzo 1945 - Da "Dario" [Ottavio Cepollini] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che "... il quartier generale tedesco si è trasferito nella palazzina Faravelli a Nava. I tedeschi, portandosi dietro il russo catturato ad Alto, hanno fatto una puntata a Gazzo e a Gavenola per arrestare 'Ramon' [Raymond Rosso, capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante"] e gli altri, ma, fortunatamente, il russo si è dimostrato leale e ha reso vana la puntata".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999  

giovedì 9 novembre 2023

Aumentano i distaccamenti partigiani imperiesi ad aprile 1944

 

Il torrente Arroscia nei pressi di Ranzo (IM). Fonte: Wikipedia

Il distaccamento imperiese - comandante TITO (Rizzo Renato) [Rinaldo Rizzo, detto Tito] commissario GIULIO (Libero Briganti) - aveva dovuto impegnarsi in una lunga marcia forzata dalla Casa Rosa, sopra Diano Roncagli nel comune di Diano S. Pietro, dove era dislocato, sino a Caprauna (in provincia di Cuneo) per raccogliere un lancio che - secondo le notizie pervenute - gli Alleati avrebbero dovuto effettuare nei giorni dal 4 al 6 aprile [1944].
Il reparto <1 non giunse nel tempo prestabilito e si trovò ad affrontare la via del ritorno senza alcuna scorta di viveri e senza possibilità di rifornimenti <2; ciò rese particolarmente dura la marcia sino a Guardiabella (a occidente del Colle di S. Bartolomeo), da dove una pattuglia guidata da MIRKO (Angelo Setti) scese al comune di Aurigo e nella frazione di Poggialto alla ricerca di aiuti.
L'assistenza generosa di quelle popolazioni aiutò la piccola formazione a rimettersi in sesto; successivamente furono anche compiute azioni particolarmente rischiose allo scopo di prelevare vettovaglie in territorio presidiato dalle truppe germaniche, <3 ma l'esperienza aveva ormai confermato che anche il problema dei rifornimenti doveva avere una sua più organica soluzione.
Tanto più che - in meno di 20 giorni - vi fu un notevole afflusso di volontari, tale da trasformare in altrettanti distaccamenti (con circa 30 effettivi ciascuno) le tre squadre di cui inizialmente era composto il reparto.
Ai primi di maggio - comandati da CURTO [Nino Siccardi] e e dal commissario GIULIO - i distaccamenti avevano assunto le seguenti posizioni <4:
1°) comandante Tito, commissario Boris (Gustavo Berio) - dislocato presso i Tecci di Parodi sopra Pontedassio;
2°) comandante Ivan, commissario Dimitri (Bruno Nello) - dislocato al Passo della Mezzaluna;
3°) comandante Cion [Silvio Bonfante], commissario Federico (Federico Sibilla) - dislocato nel bosco di Rezzo.
Metodo piuttosto efficace ci sembra quello seguito dal comando partigiano imperiese - in modo abbastanza frequente in questo periodo - di designare per le azioni di guerra più importanti uomini scelti in egual numero da tutti e 3 i distaccamenti; tale criterio venne adottato - ad esempio - nell'attacco effettuato al posto di blocco del ponte di Ranzo; in questa occasione 6 partigiani (scelti 2 per distaccamento) volsero in fuga il presidio nemico - uccidendo un soldato germanico e catturando due G.N.R. - e si impossessarono di 2 mitragliatori, di due fucili tedeschi e di molte munizioni.
Si può anche rilevare in proposito - considerando l'armamento messo a disposizione del gruppo attaccante (su 6 effettivi, 4 fucili mitragliatori e 2 mitra) - che molto opportunamente il comando partigiano non aveva esitato ad affidare agli uomini prescelti per l'azione quasi tutte (molto probabilmente tutte, date le condizioni di allora) le armi automatiche in possesso della formazione, pur di ottenere un gruppo che unisse alla particolare agilità numerica una grande potenza di fuoco <5.
Nello stesso periodo si ebbe un ulteriore spostamento dello schieramento partigiano; il distaccamento di Tito venne stanziato a Bosco Nero, quello di Cion a Tecci di Parodi e quello di Ivan a Piani di Corte, nel comune di Triora.
Un nuovo distaccamento - anch'esso forte di circa 30 effettivi - venne costituito nella prima metà di maggio e dislocato, al comando di Mirko, in regione Castagna presso Bregalla, una località di particolare importanza strategica attraverso la quale il dispositivo partigiano della zona a levante di Imperia venne ad essere direttamente collegato con quello della zona a ponente, tramite un gruppo formatosi ai primi di marzo e comandato da MARCO (Candido Queirolo) e da TENTO.
Sempre a metà di maggio vi fu l'inquadramento definitivo del distaccamento operante nella zona di Cima Marta agli ordini di IVANO (Vittorio Guglielmo), commissario ERVEN (Mario Luppi) [invero Bruno Luppi]; questo reparto disponeva di circa 40 effettivi <6.
Anche nell'imperiese si era venuta intanto sviluppando l'azione intimidatoria delle Autorità fasciste e germaniche a seguito del bando Mussolini; dal primo al 20 maggio gli aerei avevano sorvolato le campagne lasciandovi cadere a migliaia i volantini dell'ULTIMA OCCASIONE:
"Coloro che all'Italia hanno offerto gli anni più belli della giovinezza per compiere il loro dovere di soldati e che oggi, fuorviati da una malvagia propaganda, rinnegano il loro valoroso passato di combattenti per rimanere tra le bande dei ribelli dove altro non sono che strumenti di ignobili sfruttatori che giocano sulla loro vita per guadagnarsi lo sporco denaro con cui il nemico paga i traditori, ricordino che la Patria li ha chiamati ancora a sé pronta a perdonare il loro traviamento e ad aiutarli a ritrovare la via del dovere e dell'onore.
Per volere del Duce, il Governo della Repubblica ha stabilito che chi si presenterà spontaneamente entro il 25 maggio p.v. andrà esente da qualsiasi pena e procedimento penale. È L'ULTIMA OCCASIONE. Non deve essere perduta. Dopo, per chi sarà rimasto sordo a quest'ultimo appello avverrà l'inesorabile.
Presentatevi al più presto a qualsiasi autorità civile o militare più vicina".
[NOTE]
1 Suddiviso in tre squadre: la prima comandata da IVAN (Giacomo Sibilla), la seconda da CION (Silvio Bonfante), la terza da MIRKO (Angelo Setti), per un totale di circa 30 effettivi. (Documentazione Biga).
2 Alcune testimonianze attribuiscono la perdita del lancio ad un non precisato sabotaggio.
3  La sera del 10 aprile, ad esempio, una decina di partigiani - tra i quali Cion, Mirko, Mancen (Massimo Gismondi), Carlo Siciliano - scesero, guidati da Curto, dal Colle di S. Bartolomeo sino alla prossimità di Pontedassio, celati sotto il tendone di un camion al volante del quale stava il partigiano Zò. Da lì, mentre il camion con a bordo il solo Curto compiva il percorso di fondovalle, essi raggiunsero Borgo d'Oneglia, passando per la collina, sino ad un deposito di viveri accaparrati da un grosso incettatore collaborazionista. Nella notte il camion veniva caricato dei viveri sequestrati e ripartì per la zona partigiana - con gli uomini armati occultati sotto il tendone - attraversando in pieno giorno i blocchi germanici e fascisti (ai quali Curto esibì dei falsi documenti tedeschi) posti sulla statale n. 28 di Pontedassio, Chiusavecchia, Ponte dei Grassi, Tesio, fino al Bosco di Rezzo. (Documentazione Biga).
4 Cfr. volume I° pag. 181
5 Invero l'armamento del piccolo reparto, potenziato dal considerevole bottino, impressionò favorevolmente alcuni ufficiali delle formazioni Mauri - incontrati sulla via di ritorno - i quali inutilmente proposero ai sei di entrare a far parte del nascente schieramento "Autonomi".
6 Ci viene segnalato - tra le prime azioni di questo distaccamento - il disarmo compiuto da un solo partigiano (FOLGORE) di una postazione della R.S.I. a Santa Brigida (Andagna) e la cattura di 10 soldati di presidio. (Doc. Biga, testimonianza di Angelo Setti).

Giorgio Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria - Volume II, Istituto Storico della Resistenza in Liguria, 1969, pp. 237-240

La popolazione tutta, specie quella dei paesi non sulla costa, è loro [ai partigiani] favorevole, li ospita, li nasconde e li rifornisce, nonostante che in parecchi casi si siano impossessati di bestiame e di derrate alimentari.   
La loro attività è sempre quella di scendere dai monti nei paesi, rifornirsi di viveri e tabacco, incitare i renitenti a non presentarsi e a cercare di impossessarsi di armi e munizioni assalendo caserme dei distaccamenti della G.N.R. (carabinieri), nonchè di molestare persone ritenute simpatizzanti per il Regime Fascista Repubblicano.   
A volte hanno prelevato ostaggi, fra cui qualche sottufficiale dei carabinieri, che sono stati poi rilasciati.   
Le località della Provincia più battute sono quelle confinanti con la provincia di Cuneo, in quanto tali bande si spostano dall'una all'altra provincia. Campi di azione delle bande di ribelli sono più frequentemente la vallata di Cervo, Diano Arentino, Diano Marina, Diano Roncagli, Chiusavecchia, Bestagno, Molini di Triora, Nava e Case di Nava.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione quindicinale sulla situazione..., 16 aprile 1944, Documento in Archivio Centrale dello Stato - Roma

In questi giorni, per ben due volte, nell'abitato di Diano Marina sono stati sparati da ribelli colpi di pistola contro ufficiali dell'esercito repubblicano in divisa, che transitavano isolatamente in bicicletta, senza conseguenze.  Il reparto antiribelli della Questura di Imperia frequentemente si porta nelle località ove viene segnalata la presenza di ribelli, che sistematicamente riescono a sfuggire alle ricerche. In tali operazioni viene però proceduto al fermo di renitenti, disertori e sfaccendati, i quali ultimi vengono proposti per il lavoro in Germania.
Non infrequentemente si addiviene ad uno scontro di colpi di arma da fuoco.   
E' stata sottoposta, con provvedimento dell'apposita commissione, all'ammonizione, per un biennio, una suora del locale Istituto Nostra Signora della Misericordia, la quale, sull'insegnamento che impartiva ai bambini ed alle bambine, teneva contegno niente affatto consono al momento attuale e nettamente contrario all'opera ricostruttiva del Governo Fascista Repubblicano e del suo Capo. Difatti, detta suora, fra l'altro, nella lettura del libro di testo, faceva saltare tutte le pagine riferentisi al Duce ed al Fascismo, proibiva ai bambini di portare emblemi fascisti e di salutare romanamente.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione..., 24 aprile 1944, N. di Prot. 01384, Documento in Archivio Centrale dello Stato - Roma