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venerdì 9 febbraio 2024

Solo un piccolo gruppo di partigiani riesce ad agganciare il nemico che fugge perdendo materiale ed equipaggiamento

Cervo (IM)

Il 17 aprile 1945 il «Garbagnati» [n.d.r.: Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata "Silvano Belgrano", VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] distrugge il ponte di Degna [Frazione di Casanova Lerrone (SV)] e la sera stessa il nemico sgombra Vellego e Garlenda: con un colpo solo la Val Lerrone è liberata dalle pattuglie e dalle minacce nemiche: non più l'incubo dei ciclisti tedeschi, non più lo stradone superato d'un balzo. Il 18 giunge con una staffetta Fernandel [n.d.r.: Mario Gennari, comandante della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo", VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] a visitare Tèstico: «Verrò con i miei a difendere il paese» dice ai contadini che gli chiedono armi, poi va a S. Damiano alla ricerca del Comando divisionale che da qualche giorno ha lasciato Poggiobottaro. A S. Damiano ci sono le bande di Stalin [Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati"] e Marco: le mitraglie sono puntate verso Alassio, i partigiani si lavano al sole. Sullo stradone, altri preparano il rancio, ovunque un'aria di festa, di sicurezza. «Vai ad occupare Tèstico? Auguri ... noi non siamo stati così scemi», dicono a Fernandel quelli di Stalin. Fernandel è meravigliato, ma non si impressiona: «Ho visto la zona ed ho fatto i miei piani: il Catter [n.d.r.: Distaccamento "Giuseppe Catter" della III^ Brigata] può tenere il paese».
Con Fernandel tutta la III^ Brigata si sposterà a sud a presidiare la Val Lerrone. In Val d'Arroscia e ad Alto resterà la II [n.d.r.: II^ Brigata "Nino Berio", comandante "Gino", Giovanni Fossati], in Val Tanaro la IV [comandante "Fra Diavolo", Giuseppe Garibaldi]. Così all'ingrosso lo schieramento da elaborare nei particolari.
Non possiamo contare egualmente su tutte le bande e ci vorrà ancora un po' di tempo perché i nuovi Comandi della II e della III non hanno ancora in mano la situazione e parecchi capibanda sono restii ad obbedire. Comunque l'atmosfera si fa febbrile, una colonna tedesca che punta su Garlenda provoca la reazione di parecchie bande, ma solo un piccolo gruppo di partigiani riesce ad agganciare il nemico che fugge perdendo materiale ed equipaggiamento.
Il presidio fascista di Molino Nuovo viene attaccato dalla I Brigata e riporta perdite sanguinose, due disertori del presidio di S. Bernardo di Conio vengono catturati presso Ginestro [Frazione di Testico (SV)], percossi selvaggiamente dalle donne dei paesi che attraversano e finiti da quelli di Stalin.
Al Comando divisionale, che ha ormai sede ufficiale a S. Gregorio, l'attività si fa intensa. Arriva il Curto [n.d.r.: Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria] del Comando zona, arrivano la missione alleata con le radio trasmittenti, staffette, capibanda, ordini, notizie. Boris [n.d.r.: Gustavo Berio, vice commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] parte in missione per la IV Brigata in Val Tanaro con notizie e disposizioni urgentissime, Pantera [n.d.r.: Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] va ad Alto dove si dice ci sia stato un piccolo lancio, ad organizzare la II Brigata.
Ha inizio così la terza decade di aprile: il Comando è di fronte ad eventi e problemi di enorme importanza perché la situazione militare precipita. Le azioni di sabotaggio e di imboscata si fanno sempre più audaci e fortunate, il nemico comincia anche lui a sentire la morsa del terrore: ormai la fine è imminente, chi viene catturato o diserta è soppresso senza pietà: i trenta morti di Ginestro e gli otto di Cervo hanno ridato alla guerriglia il suo carattere di durezza spietata.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 241-242

18 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 302, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava che il giorno prima una squadra comandata dal capo squadra "Mancinotto" [Giuseppe Gismondi] e da "Cis" [Giorgio Alpron, capo di Stato Maggiore della I^ Brigata "Silvano Belgrano"] aveva fatto nuovamente brillare il ponte tra Degna e Vellego [Frazioni di Casanova Lerrone (SV)].
18 aprile 1945 - Da "Giglio" alla Sezione SIM della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che lo scontro di Vellego aveva portato alla fucilazione di alcuni civili da parte del nemico, che i tedeschi in zona detenevano molti ostaggi e che era necessaria un'azione di forza su Nava ed altri presidi nemici.
18 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 300, al comando del Distaccamento "Filippo Airaldi" del Battaglione "Ugo Calderoni" della II^ Brigata "Nino Berio" - Comunicava come punizioni che il capo squadra "Cimitero" [Bruno Schivo] doveva rimanere disarmato per 15 giorni presso il comando di Brigata e che il garibaldino "Riva" doveva eseguire 19 giorni di corvèe presso il Distaccamento "Giuseppe Catter" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" e che erano invece mandati assolti i partigiani "Berto", "Grosseto" [Italo Chegia], "Prem-Prem", "Ercole" [Demo Trillocco], "Vessalico" [Vittorio Doglio].
18 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" [comandante "Mancen", Massimo Gismondi] al comando del Distaccamento "Francesco Agnese" [comandante "Buffalo Bill"/"Bill"/"Pippo", Giuseppe Saguato] ed al comando del Distaccamento "Angiolino Viani" [comandante "Russo", Tarquinio Garattini] - Disponeva che i garibaldini "Osanna" e "Bascherini" venissero assunti in forza al Distaccamento "Francesco Agnese" e che i garibaldini "Cimitero" [Bruno Schivo] e "Riva" dovevano passare, armati solo in caso di allarme, al Distaccamento "Angiolino Viani".
18 aprile 1945 - Da "Giglio" alla Sezione ["Livio", Ugo Vitali responsabile, "Citrato", Angelo Ghiron, vice responsabile] S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che ad Acquetico [Frazione di Pieve di Teco (IM)] alcuni partigiani avevano "avvisato la popolazione di un imminente attacco di patrioti al paese"; che lo scontro di Vellego [Frazione di Casanova Lerrone (SV)] aveva portato alla fucilazione di alcuni civili; che risultava "pericoloso attaccare frontalmente" i tedeschi perché dimoravano nelle case private trattenendo presso di loro non solo le loro squadre di lavoratori [coatti] ma anche "il consueto numero di ostaggi"; che sarebbe sata necessaria un'azione di forza partigiana su Nava e su tutti gli altri presidi nemici.
18 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava l'elenco del materiale ricevuto con il lancio alleato su Caprauna nel quale, tra l'altro, risultavano 9 cariche di plastico, 6 bombe incendiarie, 15 granate, 11 matite esplosive.
18 aprile 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Invito a mandare sollecitamente il materiale del lancio in pari data al "capitano Roberta" [Robert Bentley] e ordine di mettere a disposizione di "R.C.B." [sempre il capitano Robert Bentley del SOE britannico, incaricato della missione alleata presso i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria] i paracadute in seta.
19 aprile 1945 - Dal Comando [comandante Curto, Nino Siccardi] della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione d'assalto Garibaldi "Silvio Bonfante" - Segnalava che aveva stabilito di inviare presso le formazioni 'Mauri'  un ufficiale di collegamento, pensando di conferire tale incarico a Giovanni 'Gino' Fossati, comandante della II^ Brigata "Nino Berio", da sostituire nel precedente incarico con Giacomo 'Basco' Ardissone o "altro elemento capace".
19 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che una pattuglia del Distaccamento "Francesco Agnese" aveva sorpreso nei pressi di Oneglia un tedesco armato di pistola, ucciso mentre tentava la fuga.
19 aprile 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" al SIM della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che due ufficiali tedeschi di stanza a Garessio desideravano parlare con una competente persona per fornire i piani militari di cui erano a disposizione e, pertanto, si rimaneva in attesa di istruzioni.
19 aprile 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che una squadra del Distaccamento "Filippo Airaldi" aveva attaccato il 17 aprile sulla Statale 28 un carro di tedeschi per cui si supponeva l'esito di 18 morti e 3 feriti e che il 18 una squadra dello stesso Distaccamento aveva catturato a Vendone 4 tedeschi tra cui un sergente.
19 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Igino Rainis" al comando della II^ Brigata "Nino Berio" - Riferiva che sulla Statale 28 nei pressi di Calderara [Frazione di Pieve di Teco (IM)] una squadra di 4 uomini aveva attaccato un carro tedesco uccidendo 2 soldati e ferendone un altro e che, mentre tentavano di recuperare il materiale, quei partigiani erano stati "disturbati da altri 30 tedeschi, riuscendo, tuttavia a sganciarsi".
19 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Elio Castellari" al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" - Segnalava che il 16 aprile, verso le ore 18, un gruppo di garibaldini aveva attaccato 4 carri tedeschi provenienti, carichi di materiale, da Garlenda (SV): risultavano 4 feriti gravi tra le fila nemiche.
19 aprile 1945 - Dal comando della IV^ Brigata "Val Tanaro" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che in Val Tanaro si erano formati altri 2 Distaccamenti, il primo con elementi di Garessio per un totale di 25 uomini solo in parte armati, il secondo formato da 30 uomini di Ormea; che sarebbero stati necessari 2 mitragliatori, 2 o 3 Sten, plastico e bombe a mano. Chiedeva, poi, di dare il nome definitivo alla Brigata.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

venerdì 2 febbraio 2024

I partigiani imperiesi alla fine di maggio 1944

Imperia: uno scorcio di Capo Berta

Come nelle altre zone liguri, anche ad Imperia i bandi di arruolamento della R.S.I. determinarono un notevole afflusso di reclute alle formazioni di montagna aumentandone gli effettivi ed impegnando i comandi in un'opera più attenta di inquadramento e di organizzazione.
Contemporaneamente venne predisposto un piano che stabiliva per il 25 maggio [1944] - data di scadenza dei bandi e dell'ultimatum fascista, per la quale era quindi prevedibile l'inizio di una offensiva nemica -  un attacco simultaneo in tre punti contro le posizioni germaniche e fasciste ed una nuova dislocazione difensiva dei reparti partigiani.
Il piano fu puntualmente eseguito nella data stabilita e sugli obiettivi fissati: il 25, i distaccamenti di Cion [Silvio Bonfante] e di Ivan attaccarono con successo rispettivamente le postazioni difensive nemiche di Capo Berta e di Garbella <7, mentre gli uomini di Mirko [Angelo Setti] sorprendevano con una violenta sparatoria il posto di blocco di Cesio, che poteva salvarsi - dopo due ore di combattimento e notevoli perdite - solo con l'arrivo di rinforzi germanici.
Quindi i reparti raggiunsero le nuove posizioni: mentre il distaccamento di Mirko e quello di Tito restavano a Bregalla e al Bosco Nero, Ivan si spostava a Fontanin (Costa di Carpasio) e Cion si piazzava con i suoi nomini a Casoni, a ridosso del Pizzo d'Evigno.
A giugno il movimento di resistenza imperiese, forte dei nuovi effettivi e già provato da importanti esperienze, si pose a sua volta il problema di unire in forma più organica - sotto un solo comando e con un nuovo inquadramento militare - tutte le formazioni e le bande operanti nell'entroterra.
La prima unità combattente risultato di questo impegno - regolarmente inserita nell'organico delle Brigate Garibaldi e del Comando Militare Ligure - fu la IX Brigata d'Assalto, che costituì la base da cui si sarebbe sviluppato successivamente tutto l'esercito partigiano della zona.
Benché il comunicato ufficiale della sua costituzione fosse stato diramato solo il 14 giugno - con una circolare a firma dell'Ispettore Pio - la Brigata funzionava già come tale dal primo giorno dello stesso mese.
Raggiungere l'accordo tra i vari reparti ed i gruppi sparsi nel vasto territorio della provincia non era stato - a quanto risulta - molto difficile data l'unità operativa già esistente tra le diverse formazioni e dato che gran parte dei vari comandanti e commissari provenivano dalla prima banda di Felice Cascione: più difficile fu - senza dubbio - ottenere un inquadramento disciplinare e tattico conciliando le esigenze generali con il mantenimento della massima autonomia di manovra possibile ai singoli reparti.
Il risultato fu tuttavia in gran parte positivo: ne risultò una Brigata piuttosto agile negli spostamenti, in grado di controllare una grande zona di operazioni, abbastanza efficiente nei servizi.
La sede del Comando fu stabilita nella casa di Bacì di Fundeghé, nel bosco di Rezzo; Curto (Nino Siccardi) fu designato comandante della Brigata, vice comandante Mario (Mario De Lucis), commissario Giulio (Libero Briganti), vice commissario Grosso (Luigi Nuvoloni) e ispettore di Brigata Pio.
[...] Collegata alla IX Brigata - ma mantenendo una propria autonomia di comando e di azione - operò anche in quel periodo una formazione denominata «Banda Matteotti» <8, che si era formata agli ordini del capitano Franco (capitano Franco Faverio).
Un così rapido aumento del potenziale dell'organico nel movimento militare di resistenza non poteva non avere delle immediate ripercussioni sulle autorità occupanti che del movimento clandestino avevano rilevato i progressi sia dalle notizie di numerosi informatori sia dall'aumentato numero e ritmo dei sabotaggi e degli attacchi portati contro le loro truppe.
Contromisure nemiche
Occorreva quindi predisporre non solo più munite difese nei punti nevralgici delle vie interne di comunicazione e della stessa via Aurelia ma anche - e soprattutto - effettuare alcune grosse operazioni di rastrellamento che liberassero il territorio alle spalle delle truppe germaniche operanti al confine francese e di quelle poste a vigilare contro sbarchi Alleati la Riviera Ligure di ponente.
Vennero dunque - nello stesso mese di giugno - aumentati gli organici della 33^ Legione della G.N.R. di stanza ad Imperia e del IX Battaglione G.N.R. di stanza ad Albenga, mentre nella zona si installavano grossi reparti della 41^ Divisione germanica Alpenjager i cui obbiettivi di impiego - al di fuori dei compiti delle truppe presidiarie <9 - erano appunto le operazioni antiribelli.
Tali misure consentirono ai comandi germanici e fascisti di effettuare nel solo mese di giugno circa 50 puntate di rastrellamento contro le forze partigiane: puntate rese del resto necessarie per l'aumentata combattività dei reparti di volontari della provincia e delle zone confinanti, che in breve erano giunti ad occupare una vasta zona del Colle di Nava a Garessio, controllando per un certo periodo di tempo anche Bagnasco e la strada Ceva-Ormea. <10
L'asprezza assunta dai nuovi scontri col nemico in ogni parte della provincia contribuì certamente in modo determinante a rafforzare la omogeneità e lo spirito combattivo dei reparti della IX Brigata operando una selezione che ne migliorò l'assetto militare e conferì agli effettivi la necessaria esperienza nello sviluppo della strategia partigiana.
Anche la parte logistica della formazione potè migliorarsi con la creazione di alcuni servizi indispensabili - quali l'intendenza, il Servizio Informazioni Militari, il Servizio Sanitario e il reparto Stampa e Propaganda - che se in quella prima fase non risolsero, tuttavia avviarono a soluzione i principali problemi relativi alla vita dell'unità combattente.
[NOTE]
7 In questa azione venne ferito il partigiano Emiliano Mercati.
8 Più tardi gli effettivi della Banda Matteotti vennero assorbiti in parte dalle formazioni garibaldine, in parte dalle formazioni Autonome del Basso Piemonte. (Documentazione Rubaudo).
9 Fra le truppe presidiarie della R.S.I. nella zona cominciavano a verificarsi numerosi episodi di diserzione; vi fu persino il caso di un rifiuto collettivo a partecipare ad un rastrellamento: a seguito di ciò 500 soldati furono disarmati e inviati a Genova a disposizione delle autorità germaniche. Un reparto della R.S.I. di presidio a Caramagna passò invece - al completo - alle forze della resistenza. Anche tra i militi della G.N.R. e gli agenti della P.S. erano cominciate le diserzioni ed i contatti con il movimento clandestino. (Documentazione Rubaudo).
10 L'occupazione avvenne nei giorni tra l'll e il 16 giugno.
Giorgio Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Istituto Storico della Resistenza in Liguria, 1969, pp. 240-246

mercoledì 24 gennaio 2024

L'autonomia doveva essere lasciata alle Brigate partigiane ora nascenti

Cesio (IM). Foto di Davide Papalini su Wikipedia

A fine marzo 1945 la I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" con la costituzione del Distaccamento "Marco Agnese", comprensivo di 21 garibaldini, e del Distaccamento "Franco Piacentini" (15 partigiani) portava a cinque il numero dei suoi Distaccamenti. In quel periodo il Distaccamento "Francesco Agnese" [comandante "Buffalo Bill"/"Bill"/"Pippo", Giuseppe Saguato] aveva in organico 36 uomini, il Distaccamento "Giovanni Garbagnati" [comandante "Stalin", Franco Bianchi] 37 ed il Distaccamento "Angiolino Viani" [comandante "Russo", Tarquinio Garattini] 29.
Il 28 marzo ad Alassio venne momentaneamente smarrito un elenco di garibaldini, subito recuperato, di modo che venne evitata per un soffio una strage di partigiani, come quella purtroppo avvenuta proprio quel giorno a Latte, Frazione di Ventimiglia.
Il 30 marzo il capo di Stato Maggiore ["Cis", Giorgio Alpron] della I^ Brigata "Silvano Belgrano" faceva saltare gli aghi di scambio nella stazione ferroviaria di Andora. In effetti dal resoconto delle azioni compiute dalla Brigata nel mese di marzo 1945, inviato in data 3 aprile 1945 al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", si legge: "il Capo di Stato Maggiore 'Cis", recatosi da solo nella stazione ferroviaria di Andora, faceva saltare con l'uso di plastico gli aghi di scambio e più di 20 metri di binario, lato Genova. Il treno che doveva transitare quella notte rimase fermo a Laigueglia fino alle ore 10 del mattino seguente".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) -Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Il 29 [marzo 1945] Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] aveva invitato al Comando Stalin per esaminare la possibilità di creare uno schieramento organico a protezione della Val d'Andora. Ritirate le bande che operavano in Val di Cervo e di Diano, spostato il Comando da Diano Arentino a S. Gregorio la I Brigata doveva schierare il distaccamento «A. Viani» a Villarelli controllando l'accesso da Villa Faraldi-Cona e la carrozzabile da Andora. Il «Piacentini» doveva controllare il passo del Merlo ed il passo dei Pali, bloccando così i varchi dalla valle di Cervo e da quella di Diano; il « F. Agnese» sorvegliava la mulattiera che saliva dalla «28» al passo S. Giacomo, il «Marco Agnese» accampato a S. Damiano avrebbe bloccato la carrozzabile che saliva da Alassio. Infine il cerchio avrebbe dovuto essere chiuso dal «G. Garbagnati» che, presidiando Tèstico, avrebbe controllato l'accesso dalla Val Lerrone da Cesio. Il Garbagnati rifiutò di occupare la posizione.
Il colloquio tra Giorgio e Stalin, che fece fallire il progetto di una difesa organica della Val d'Andora, è indice del morale e della autonomia esistenti alla fine di marzo nelle bande della I Brigata.
Innanzitutto a Tèstico non c'era mai stato nessun presidio, nemmeno gli alpini fascisti in gennaio avevano osato sostarvi. Situato all'incrocio della carrozzabile Alassio-Cesio e delle mulattiere che da Stellanello in Val d'Andora portano a Poggiobottaro ed in Val Lerrone, Téstico poteva essere attaccato evidentemente da molte direzioni, offrendo però anche molte vie di ritirata.
Di esse la migliore sarebbe stata quella di Stellanello perché protetta dagli alberi. Un accerchiamento nemico, assai difficile per le asperità del terreno, avrebbe dovuto esser condotto con quattro colonne simultanee, il che lo rendeva problematico. Le viuzze strette e le case antiche avrebbero consentito una lunga difesa.
Questa la posizione di Tèstico: in teoria lo schieramento delle altre bande avrebbe dovuto garantire il presidio di Tèstico dalle minacce da Alassio e da Stellanello; rimaneva scoperta la più grave minaccia da Cesio, si poteva ovviarvi presidiando in permanenza con una squadra la cresta di Ginestro; ciò avrebbe dato tempo al presidio di contrattaccare o di sganciarsi al coperto del bosco. Come si vede la Matteotti in luglio a S. Bernardo di Garessio e molte altre bande intorno a Rezzo ed a Piaggia avevano presidiato posizioni ben più rischiose con armamento inferiore. Il Garbagnati stesso, in gennaio a Ginestro, aveva combattuto in una posizione tatticamente peggiore attestato su un pendio semiscoperto, battibile facilmente dal versante di fronte e ne era uscito brillantemente. C'era però allora l'illusione di non essere attaccati essendo lontani dalle principali mulattiere, mentre ora si trattava di controllare una carrozzabile per dove più volte era passato il nemico. In verità nel marzo 1945 non c'era ancora nessuna banda accampata su una carrozzabile od un nodo stradale. Se ora volevamo riprenderci era necessario tornare ai vecchi sistemi e se qualcuno doveva cominciare doveva essere il Garbagnati che a ragione era ritenuto il miglior distaccamento della Bonfante. Qual era l'armamento della banda di Stalin? Per il comando divisionale era una incognita. Sapevamo che avevano due lanciagranate, mitra e mitraglie pesanti, ma si sospettava che il numero dichiarato fosse inferiore al vero. Improvvisi sopralluoghi non riuscirono mai a risolvere il problema.
Il rifiuto di Stalin di occupare Tèstico fu abbastanza netto: capiva i vantaggi del controllo della Val d'Andora, non aveva però fiducia di essere appoggiato dalle altre bande. «Non posso garantire che arrestino il nemico, si può però contare che diano l'allarme. Esser garantiti da una sorpresa può essere sufficiente» affermava Giorgio.
«Se non fosse rischioso vorrei provare questa notte ad attaccare quelli di Pippo: vedresti che scappano tutti senza sparare» replicava Stalin scuotendo il capo. «Se vuoi che venga a Tèstico non rispondo delle conseguenze: può darsi che i miei uomini si rifiutino di obbedire e non posso dar loro torto. Se veniamo attaccati uno sbandamento è sicuro e francamente mi dispiacerebbe perdere uomini e materiali che ho salvato per tanti mesi».
«Non si pretende da voi una difesa impossibile: sappiamo che i tedeschi possono strisciare fin sotto ad una nostra posizione e farla fuori a colpi di bombe a mano. Era solo il primo tentativo di riprendere il controllo di una zona per poter attaccare un nemico non molto forte che si infiltrasse nel nostro schieramento ed evitare sorprese in caso di rastrellamento. II cerchio sarebbe stato chiuso: quelli di Marco hanno accettato di controllare lo stradone a S. Damiano e si sono impegnati, in caso di attacco soverchiante, di ripiegare su Tèstico per appoggiarti. Se non vuoi stai pure a Pian Bellotto. Troveremo un'altra banda che accetterà l'incarico, per ora diremo a Pippo di mandar una pattuglia» concluse Giorgio.
Ricordavo un altro colloquio di mesi prima tra Giorgio e Stalin: un partigiano di guardia ad una mitraglia aveva avvistato una pattuglia tedesca che si avvicinava. Appena aveva iniziato il fuoco il compagno che portava le munizioni era fuggito lasciando il mitragliatore col solo caricatore infilato nell'arma. Sparando un colpo alla volta questi era riuscito a tenere a bada il nemico obbligandolo poi a ripiegare. Stalin era allora dell'opinione di fucilare il fuggiasco: «Quando si ha un compito bisogna adempierlo fino in fondo, non si può tollerare che uno scappi lasciando gli altri nei guai per colpa sua».
«Ha avuto paura» - sosteneva Giorgio. «Se fuciliamo lui dovremmo fucilare anche tutti quelli che stanno a casa percbé hanno meno coraggio di lui. Lui per lo meno ha una fede; è più facile fare il partigiano avendo paura, che, essendo coraggioso».
«Nessuno lo aveva pregato di esser dei nostri» - ribatteva Stalin. «Siamo volontari e se uno accetta un compito devo esser sicuro che lo adempia, altrimenti dica chiaro che non se la sente».
Stalin infatti aveva detto chiaro che non se la sentiva di venire a Tèstico.
Quando uscì chiesi a Giorgio se era sicuro di trovare un'altra banda da piazzare al posto di quella di Stalin. «Appunto perché sono i più forti quelli di Stalin hanno più spiccata degli altri l'indisciplina caratteristica delle bande partigiane: per stare a Tèstico non occorrono degli eroi, basta un po' di senso del dovere. Lo diremo al Catter, vedrai che Fernandel [Mario Gennari, a quella data ancora vice comandante della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] accetterà».
L'atteggiamento di Giorgio può forse meravigliare, ma date le circostanze era il migliore. Dimostrava che l'esperienza degli eventi passati non era stata del tutto inutile. Anziché tentare di imporre la propria volontà provocando forse un dissidio, se non un nuovo urto anche col comando della I Brigata, Giorgio preferì mostrarsi tollerante, accettare l'autonomia della I Brigata riservandosi in pratica solo funzioni di controllo. Era la soluzione migliore. Giorgio ebbe fiducia nelle capacità organizzative del Comando brigata: osservammo così con gioia sincera il giovane virgulto della Bonfante che si sviluppava e si irrobustiva. Vedemmo le prime disposizioni date dal Comando brigata alle bande, i collegamenti tra i distaccamenti potenziati, la creazione del S.I.M. di brigata, lo sviluppo dell'intendenza, il risorgere del morale offensivo negli uomini, il Comando brigata che operava alla luce del sole. Tutto ciò era necessario perché con l'aumento degli effettivi la Bonfante si avviava ad essere una Divisione anche di fatto, come la scorsa estate lo era stata la Cascione. L'autonomia che avevano goduto lo scorso anno le Brigate V, IV e I doveva essere lasciata alle Brigate ora nascenti.
Solo così potrà stabilirsi una reciproca stima e collaborazione tra gli uomini d'azione ed i tecnici, tra i proletari ed i borghesi. Vi era una spiccata differenza di stile, di mentalità, di abitudini tra Giorgio, Boris [Gustavo Berio, vice commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"], Pantera [Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] da un lato e Mancen [Massimo Gismondi, comandante della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"], Federico [Federico Sibilla, vice comandante della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano"], Stalin. Pantera non era comunista, per Giorgio e Boris il comunismo pareva più una condiscendenza ad una moda che una vera fede. Lo stesso non si poteva invece dire del comando della I Brigata che sentivamo come l'ambiente più rosso della Divisione. Anche fisicamente Stalin, con capelli lunghi fino alle spalle, pareva l'incarnazione dello spirito ribelle ad ogni disciplina e consuetudine. Con lui erano alcri capibanda eredi di una tradizione di lotta e di autonomia.
Già altre volte la volontà di Stalin si era scontrata con quella del Comando divisione. Il soldato tedesco Jahob Unkelbach il 18 febbraio si era presentato al Garbagnati. Il Comando aveva consigliato la sua eliminazione, ma Stalin si era rifiutato: il disertore tedesco era uno studente di medicina e poteva essergli utile. Gli aveva dato il nome di battaglia «Antonio» e lo aveva messo alle dipendenze di Esculapio, medico della I Brigata, che si servì di lui per tutto marzo per curare feriti e malati. Purtroppo si vedranno più tardi le conseguenze dei due rifiuti di obbedienza ed anche il Comando della I Brigata dovrà trarne le conseguenze. Si cambierà allora il commissario del Garbagnati promuovendo Athos a commissario della II Brigata ponendo accanto a Stalin un commissario nuovo, ligio ai comandi superiori. La scelta non sarà felice e l'autorità di Stalin non verrà per questo ad essere diminuita. Così finiva il mese di marzo: un alternarsi di duri colpi e di successi, una ripresa sicura per quanto lenta, sintomi del crollo nemico sempre più chiari.
In marzo avvenne il nostro primo sabotaggio ferroviario riuscito sulla Albenga-Imperia. Un treno venne fatto deragliare bloccando la linea per qualche tempo.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 225-228

1 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 123, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della VI^ Divisione - Segnalava, rispetto al corso, di cui aveva già fatto cenno in un precedente rapporto, per la preparazione delle spie, istituito dalla Gestapo, che il medesimo era iniziato a metà marzo 1945, diretto dal capitano Maranzano; che partecipavano al corso Antonio Bracco, Gennaro Iacobone e Marchetti; che gli idonei al corso si sarebbero, poi, dovuti infiltrare nell'esercito alleato e prendere collegamenti con i tedeschi già insinuatisi in quelle file. Comunicava, inoltre, che [...] ad Andora (SV) l'Orstkommandatur aveva ceduto il posto a 30 repubblichini.
1 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 123 bis, al comando della VI^ Divisione ed al CLN di Alassio (SV) - Segnalava che il comando del Fascio Repubblicano era in possesso di un elenco di partigiani, consegnato dal maresciallo Gargano alle autorità repubblichine di P.S. e poi al Fascio e forniva i 29 nomi dei mentovati partigiani perché il CLN potesse avvertirli.
2 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 266, ai comandi del Battaglione "Ugo Calderoni", del Distaccamento "Filippo Airaldi", del Distaccamento "Giannino Bortolotti", del Distaccamento "Giovanni Garbagnati", del Distaccamento "Angiolino Viani", del Distaccamento "Marco Agnese" - Disponeva che per sicurezza della zona occupata dalle formazioni in indirizzo queste dovevano collocare ad una distanza di circa 25 metri delle bombe a mano a sbarramento dei sentieri e dei terreni circostanti; che nelle ore notturne doveva essere fatto "rispettare il coprifuoco per evitare incidenti alla popolazione civile"; che solo le persone dotate di permessi scritti a macchina, rilasciati da membri del Comando Operativo di Zona o del comando divisionale, potevano lasciare la mentovata zona; che nessun garibaldino poteva scendere a Viozene; che per qualsiasi necessità "essendo proibito comprare dai privati" i partigiani dovevano rivolgersi alla propria intendenza.
2 aprile 1945 - Da "Gigino" [Umberto Capelli] e "Germano" [forse Germano Tronville] al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che il 3 aprile ci sarebbe stata a Mondovì (CN) una riunione, presenti elementi comunisti ed il locale CLN, per formare una squadra di garibaldini e che venivano inviate 55.000 lire come ricavato dalla vendita di un mulo.
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II

martedì 16 gennaio 2024

Attacco nazifascista alla IV Brigata

Una vista dal Passo della Pistuna. Fonte: Wikiloc

Il rastrellamento previsto contro la IV brigata ha inizio.
Una colonna di Tedeschi proveniente da Molini di Triora scende nelle prime ore del pomeriggio del 31 ottobre [1944] verso Montalto ove attende un'altra colonna proveniente da Arma di Taggia: circa trecento uomini che, raggiunta Badalucco ove compiono ulteriori saccheggi e arrestano Secondo Antonio fu Napoleone che fanno sparire, proseguono e si congiungono alla prima.
Nel tardo pomeriggio una parte dei Tedeschi ritorna a Molini di Triora mentre il grosso della colonna pernotta per proseguire all'alba del giorno successivo per Carpasio, con tutte le mucche razziate lungo il cammino.
Il Comando della brigata garibaldina, informato che quello tedesco era a conoscenza dell'ubicazione del Comando stesso, decide di spostarsi nella notte, con tutto il materiale e gli uomini, in altra località.
Il primo distaccamento e quello di brigata ricevono anch'essi l'ordine di spostarsi nella notte in un'altra località, pur mantenendo le guardie ai soliti passi.
E' l'alba del primo novembre quando circa centocinquanta garibaldini del primo battaglione del comandante Giovanni Alessio (Peletta), e del 2°, del comandante Giacomo Sibilla (Ivan), incominciano ad animarsi negli accampamenti posti tra il passo della Pistona [Pistuna] e quello di Verna, e a Costa di Carpasio, mentre alcune squadre da qualche ora erano di pattuglia.
Il Comando brigata, come prestabilito, aveva rapidamente attuato lo spostamento. Rimane invece appostata sulla strada una squadra agli ordini del vicecomandante di brigata Angelo Perrone ("Bancarà" o "Vinicio"), per attendere la prevista colonna nemica proveniente da Montalto e diretta a Carpasio. Ma non avvertito alcun movimento apparente, la squadra si ricongiunge al distaccamento alle ore 10 circa antimeridiane e perciò la colonna tedesca, non individuata ed attaccata, alle ore 11 può raggiungere indisturbata il paese di Carpasio.
Il nemico invade il paese con violenza, svaligia per l'ennesima volta tutte le case e preleva tre ostaggi di cui uno verrà fucilato a San Remo.
Sviluppa l'attacco alla IV Brigata pure da levante e perciò il primo novembre Tedeschi e fascisti della formazione del capitano F. [Ferrari] provenienti da Pontedassio e penetrati in Borgomaro, saccheggiano una dozzina di case e catturano il garibaldino Agostino Guglieri (Barba) fu Agostino, nato a Borgomaro il 24.3.1918 (che verrà fucilato a Taggia il 28.11.1944). Altre tre persone catturate come ostaggi finiranno nel campo di concentramento di Bolzano (1). Una squadra di Tedeschi saccheggia alcune case nel borgo di Candeasco.
La rapida evoluzione della situazione militare induce il vicecomandante "Bancarà" a chiedere rinforzi al primo battaglione il cui comandante "Peletta", già in osservazione col binocolo sulla cresta della montagna presso il passo della Pistona, aveva scorto una colonna tedesca in marcia in direzione del valico di Conio.
I garibaldini decidono di affrontare immediatamente i Tedeschi per bloccarli al valico e quindi ricacciarli indietro per non permettere loro di circondare la brigata.
Una quindicina di componenti del primo battaglione, ivi compresi il comandante "Peletta" (2), il vice comandante, il commissario Mimmo Semeria (Sparviero), uomini del 6° distaccamento, ed altri tra cui Pietro Frangi (Milan), "Canteria", "Nando" e Raul Oreggia (Raul), affrettano il passo per giungere al valico prima dei Tedeschi e tendere loro l'imboscata.
Si muovono sul versante a mare con "Milan" in avanscoperta che sulla cresta della montagna, giunto a circa 400 metri dal valico, scorti sul versante opposto, per i prati, numerosi Tedeschi avanzanti in ordine sparso in direzione del valico stesso, col movimento di un braccio esorta i compagni ad accelerare la marcia per arrivare prima del nemico a prendere posizione sulla cresta, alla quale ormai sono prossimi.
In anticipo solo di un minuto sul nemico ignaro, i garibaldini riescono appena in tempo a piazzare le armi automatiche e a prenderlo di mira da una distanza di circa trenta metri.
Con lo scoppio fragoroso e micidiale di un grappolo di quattro bombe a mano tedesche, lanciate da "Peletta", che provocano una strage in mezzo al nemico, inizia un violento combattimento.
Allo scoppio segue un fuoco infernale scatenato dalle armi automatiche (mitra, machinen-pistole, parabellum, Mayerling) che investe i nazisti sorpresi dall'attacco e perciò, in preda al terrore, subito tentennano e quindi cercano riparo tra le rocce che non sono a portata di mano.
La sparatoria durerà circa due ore (3).
Il comandante tedesco che, all'inizio dello scontro, con la rivoltella in pugno marciava davanti ai suoi uomini, imbottito di piombo da "Sparviero" e da altri compagni di lotta tarda a cadere; sembra che le pallottole lo sfiorino appena e avanza ancora verso la posizione garibaldina con gli occhi di ghiaccio e quasi è addosso agli uomini quando cade a terra morto. Sgomento tra i garibaldini davanti a tale allucinante spettacolo.
Rimangono sul terreno una quindicina di nemici uccisi prima che, inceppatosi il Mayerling, i garibaldini si ritirino sul valico del Maro, verso il quale i Tedeschi, rimasti incolumi, da un riparo all'altro, da un cespuglio all'altro, cercano di spostarsi.
Dai loro movimenti appare evidente il tentativo di riunirsi in colonna per portarsi a quel valico onde prendere alle spalle i garibaldini. I quali vi giungono per primi e scatta, così, la seconda imboscata della giornata.
Lo scontro si accende accanito con le avanguardie nemiche; al gruppo si sono ora aggiunti i garibaldini del 6° distaccamento guidati da "Ivan" [Giacomo Sibilla], comandante del 2° battaglione.
Si combatte per circa due ore; tra morti e feriti sono messi fuori combattimento una trentina di nemici (4).
Verso le ore 11, cessato ormai il combattimento, in perlustrazione con il binocolo "Peletta" scorge piazzata sul sagrato della chiesa di Carpasio una mitragliera da 20 mm. che inizia, in quel momento, un violento fuoco sul gruppo dei partigiani usciti dal riparo.
"Sparviero" riesce a pararsi in tempo, ma il garibaldino Giovanni Blasi (Fiorello) di Antonio, nato a Lecce il 14.11.1920, viene colpito da un proiettile alla spalla sinistra (5).
Intanto per penuria di munizioni i garibaldini si sganciano ma i Tedeschi non osano andare avanti.
A tarda sera carri nemici, che trasportano le salme dei caduti coperte di frasche, scendono per la strada di Borgomaro.
Durante questa giornata di scontri viene pure proditoriamente attaccato dal nemico, con l'aiuto di una spia, il 5° distaccamento e perciò cade il garibaldino Angelo Gorlero (Toro) fu Luigi, nato a Imperia il 5.10.1922 e due altri rimangono feriti; il nemico perde tre uomini.
Il comando partigiano, prevedendo un rastrellamento generale per il giorno successivo, che avrebbe potuto precludere ogni possibilità di ritirata alla IV Brigata, ordina ai distaccamenti di scindersi ordinatamente in squadre secondo le istruzioni a suo tempo emanate.
Il 2 di novembre tre colonne di nazifascisti, rispettivamente provenienti da Conio, da San Bernardo e da Aurigo dove avevano pernottato (presumibilmente gli stessi che il giorno innanzi avevano sostenuto i combattimenti ai valichi di Conio, del Maro ed attaccato il 5° distaccamento), si riuniscono a Ville San Pietro, invadono la chiesa durante la S. Messa dei defunti e catturano quattro ostaggi (6).
Il rastrellamento si estende in tutta la valle dell'Impero, in valle Prino da Villa Talla al mare, in valle Argentina da colla d'Oggia a Montalto; viene così investita tutta la zona d'operazioni della IV Brigata.
Nel pomeriggio a Ville San Pietro si formano due colonne, di cui una, composta di Tedeschi, scende ad Arzéne, già sede del Comando della brigata, l'altra, composta di fascisti, scende a Villa Talla e assedia il paese. I nemici intimano l'alt ad un civile che non si ferma e riesce a fuggire, quindi radunano la popolazione in piazza e sono catturati alcuni membri del C.L.N. Locale. Messi in marcia, due di essi fuggono lungo la strada e i quattro rimasti vengono condotti a Valloria dove altro ancora, elusa la sorveglianza, riesce a nascondersi.
Dei tre non riusciti a fuggire, ammanettati e trascinati in prigione a Porto Maurizio dalle SS, Francesco Trucco verrà liberato dopo tre mesi di detenzione, mentre Mario Gazzano e Pietro Pellegrini, deportati nel campo di concentramento di Bolzano dopo quattro mesi, ne usciranno alla fine della guerra.
Dopo aver messo a sacco Villa Talla, la colonna fascista prosegue per Tavole e Lecchiore.
Durante il tragitto una nebbia fittissima protegge i fascisti; infatti quattro squadre garibaldine (due del 3° distaccamento e due del 4°) trattenute dal Comando allo scopo di colpirli sulla via del ritorno, a causa del fenomeno non riescono a stabilire l'entità delle loro forze, mentre li odono gridare e chiamarsi a vicenda nell'abitato di Tavole.
Allora i partigiani si appostano alla cappella di Santa Marta perché sembra, con tutta probabilità, che i nemici vogliono salirvi; invece, protetti ancora dalla fitta nebbia si portano a Lecchiore, guidati dal capitano Ferrari, e circondano il paese.
Su indicazioni di spie, sorprendono il garibaldino Patrone Battista (Patron) di Giobatta, nato a Pieve di Teco l'8.8.1926 che feriscono gravemente, ed intimano di alzare le mani a Elio Cologni (Ricon) di Antonio, nato a Bergamo il 13.01.1911, vicecommissario del primo battaglione, mentre tenta di portare in salvo il compagno ferito.
Il Cologni non si dà per vinto e reagisce ma viene mortalmente colpito al cuore da una raffica di mitra; si conclude, così, la sua nobile esistenza perché è stata di continua lotta per la libertà (7).
Anche il Patrone viene barbaramente finito con una raffica alla nuca (8).
In giornata, prima di allontanarsi da Montalto, i bersaglieri fascisti bruciano l'osteria del paese; in uno scontro nei pressi di Vasia cade il garibaldino Augusto Dal Bò (Tripolino) di Angelo, nato a Treviso il 16.07.1928. A Poggialto viene catturato e fucilato Guglieri, detto "Rinè", di Borgomaro. Cade anche Attilio Ventimiglia di Conio. E' catturato dai nazifascisti pure Armando Benza che verrà fucilato alla periferia di Oneglia il 6 novembre 1944.
Avvisate dalla pattuglia inviata verso Lecchiore il 3 novembre, le quattro squadre, che erano state tenute in riserva per le imboscate, con i rispettivi comandanti si portano rapidamente al valico di Santa Brigida per attaccare il nemico che sta transitando per scendere verso la costa, ma giungono in ritardo. La retroguardia composta da diciassette fascisti si salva, così, per pochi minuti.
Nonostante i combattimenti sostenuti per due giorni consecutivi, gli appostamenti prolungati sotto terribili acquazzoni, i vestiti fradici senza possibilità di asciugarli ad un fuoco ed alcune perdite subite, i garibaldini escono dal rastrellamento, condotto dal nemico con ingenti forze per distruggere la gloriosa IV Brigata isolata in Liguria, col morale alto e le fila del tutto intatte.
Ed appunto il nemico, conscio dello scacco subito, scatena la sua rabbia su vari paesi del litorale.
Il 3 di novembre rastrella cinque persone a Castellaro, fra queste Vincenzo Capponi viene deportato in Germania ed altre due nelle carceri di Marassi a Genova. In rastrellamento fucila Giambattista Filippi a Terzorio e sulla strada una giovane donna che transitava in bicicletta.
Rastrella sessanta civili a Riva Santo Stefano, di cui, quaranta deporta nella villa Magnolia a San Remo, venti a Marassi ed in seguito, otto di questi in Germania, compresi Renato Minasso, G.B. Garibaldi,  Settimo Boeri e Gerolamo De Micheli.
Nella prima decade di novembre si stabilisce a Baiardo una compagnia di bersaglieri fascisti di cui descriveremo le malefatte, e vi rimarrà fino alla liberazione; durante questo periodo colpirà duramente le località di Vignai, Fontana Bianca, Pei, Valeglia, Ciliegia, Castello, Serra, San Giorgio, Carosse, Fornace, e Berzi.
[NOTE]
1 Gli ostaggi ostaggi catturati e finiti a Bolzano in campo di concentramento sono: Aldo Gandolfo, Giacomo Guglieri, Onorino Toesca; vi rimarranno fino alla liberazione.
2 Giovanni Alessio (Peletta) fu un grande combattente per la libertà. Nell'aprile 1944 disarmò due carabinieri a Borgo Prino e a Caramagna; nella primavera, con una squadra, catturò il presidio fascista di San Lorenzo al Mare; attaccò per tre giorni un presidio nemico nei pressi di Civezza; prelevò a Villa Ludovici otto Tedeschi in servizio ai pozzi minati; catturò e disarmò la batteria di Poggi composta da trentasette milili della San Marco e da un Tedesco; sbaragliò una colonna nazifascista presso Prelà; il 4 settembre 1944 attaccò e distrusse una squadra tedesca presso Santa Brigida. Le imboscate da lui tese coi suoi uomini, susseguitesi per tutto l'inverno a Tavole, a passo Verna, a passo Pistona, a Pietrabruna, a Dolcedo, ecc., causarono tali perdite ai nazifascisti che essi stessi lo bandirono promettendo una taglia di un milione di lire da consegnarsi a chi l'avesse catturato e rortato vivo o morto al loro Comando.
3 Da una relazione della IV brigata pervenuta al Comando divisione il 26.12.1944.
4 In occasione dei vittoriosi scontri venne emesso dai Comandi partigiani il seguente ordine del giorno:
"... Corpo Volontari della Libertà aderente al C.L.N.
Comando Divisioni e Brigate d'Assalto "Garibaldi".
Ispettorato della I e II Zona Liguria.
       Al Comando della IV Brigata.
       A tutti i volontari della IV Brigata.
                                                                                               Ordine del Giorno
Il Comando della IV brigata e tutti i volontari della libertà che la compongono sono citati all'ordine del giorno per avere, durante l'ultimo tentativo di rastrellamento, saputo tener testa con fermezza e coraggio a tutti gli attacchi del nemico, passando quindi alla controffensiva ed infliggendo ai Tedeschi gravi perdite.
L'encomio è decretato al comandante "Ivan" ed al 6° distaccamento per il loro valoroso comportamento e per lo spirito combattivo dimostrato al passo del Maro il primo novembre contro il tentativo di rastrellamento nemico.
L'encomio solenne è decretato al garibaldino Blasi che, incurante dell'offesa nemica, troppo si esponeva e rimaneva mortalmente ferito al passo del Maro il primo di novembre.
L'encomio solenne è decretato al vicecomandante di brigata "Vinicio", al comandante "Peletta" e alla squadra del primo battaglione che con loro ha combattuto a passo di Conio e al passo del Maro, per essere stati gli animatori della lotta, per decisione nel combattimento e alto spirito combattivo.
La IV ha saputo in questa circostanza mantenere alta la bandiera della divisione "F. Cascione" e la sua eroica tradizione di sacrificio e di lotta per i più alti destini della Patria.
                               Il Comandante Ispettore della I e II Zona Liguria
                                 firmato: "Simon"                                                             ..."
(n.d.r. - Angelo Perrone aveva due nomi di battaglia: "Vinicio" e " Bancarà")
5 A nulla valsero le cure. Il 7 di novembre 1944 il garibaldino Blasi colpito da setticemia cessa di vivere, murato in una nicchia rifugio di una “fascia” di Valloria, ove era stato nascosto, assistito dal dr. D'Alessio.
6 Gli ostaggi verranno rinchiusi nelle carceri d'Oneglia e sottoposti a torture per due mesi.
7 Vedi nota 8 del capitolo precedente.
8 Da relazione del Comando IV brigata "E. Guarrini" alla Delegazione militare della I Zona Liguria, prot. n. 6/Cm, 5.11.1944.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, ed. Amministrazione Provinciale di Imperia e patrocinio IsrecIm, Milanostampa, 1977, pp. 235-240

domenica 10 dicembre 2023

Il giorno dopo sette garibaldini del primo distaccamento, in missione a Pietrabruna, catturano e disarmano quattro bersaglieri repubblichini

Pietrabruna (IM): uno scorcio

A sua volta il Comando della II divisione «F. Cascione» il 18 di settembre [1944] costituisce il distaccamento mortaisti che assume il nome del garibaldino caduto Ettore Bacigalupo e il distaccamento rifornimento viveri in Fontane di Frabosa al comando di Domenico Arnera (Aldo). Assegna alla I brigata «S. Belgrano» i distaccamenti «G. Catter» al comando di Mario Gennari (Fernandel) e «G. Maccanò» al comando di Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo).
Sciolto il battaglione «Lupi» di E. Pelazza, con i suoi elementi vengono costituiti i distaccamenti «L. Fiorenza» e «I. Rainis», rispettivamente al comando di Valerio Ghirardo (Antonio) e Giacomo Ardissone (Basco).
I due distaccamenti di «Domatore» e «Battaia» assumono i nomi dei caduti Elio Castellari e Antonio Terragno.
Intanto i Tedeschi sgomberano Pieve di Teco, Nava, Ormea e altre località lungo la statale n. 28 che rimane libera, ma non sgomberano le città della costa. Non si conoscono gli scopi di tali movimenti nemici. Si decide di far saltare tutti i ponti ricostruiti dai Tedeschi sulla predetta strada per creare loro maggiori difficoltà. Con i muli viene recuperato il materiale pesante nascosto a Moano durante il grande rastrellamento svoltosi tra l'8 e il 12 agosto.
Una grande retata elimina molte spie e collaborazionisti annidati in Pieve di Teco. Però il Comando non ordina di occupare la città e gli altri paesi lasciati liberi dal nemico per timore di una trappola dato che, ormai, il fronte
francese si era stabilizzato e perciò i Tedeschi potevano manovrare molte forze rimaste disimpegnate.
Si conviene di occupare i valichi e le cime dei monti in modo da poter dominare la situazione come si era dominata il 25 di luglio, il 9 di agosto, il 4-5 di settembre, ed aspettare il successivo rastrellamento che, certamente, come l'esperienza passata aveva dimostrato, non avrebbe tardato.
Nel retrofronte il nemico doveva assolutamente avere le spalle tranquille e sicure, e così una via libera per una eventuale ritirata, come poteva essere la statale n. 28.
A ponente della I brigata operavano le formazioni della IV dalla valle Impero alla valle Argentina, e quelle della V dalla valle Argentina alla valle Roja.
Il 9 di settembre due garibaldini del 10° distaccamento «W. Berio», spintisi nel centro di Oneglia, prelevano e giustiziano un milite delle brigate nere; altre squadre recuperano tremila colpi di «Mauser» in una postazione a Santo Stefano, due fucili e bombe a mano in località Santa Brigida.
A Taggia i Tedeschi fucilano il garibaldino Antonio Martina fu Vincenzo, nato nel 1887. L'11 alcuni garibaldini puntano su Bestagno per prelevare delle spie; segue una rappresaglia nazifascista.
Il 13 di settembre, mentre i distaccamenti di «Dankò» e «Peletta» prendono posizione al passo della Follia e il distaccamento di Nino Verda al passo del Grillo, altre squadre ingaggiano combattimento con una trentina di Tedeschi in località Isolalunga, dopo di che, richiesto dal nemico l'intervento dei mortai da 81 mm. piazzati sul monte Papé a un chilometro di distanza dallo scontro, i garibaldini, sganciatisi e non accertate le perdite inflitte al nemico, ripiegano incolumi.
Cinque garibaldini del 3° battaglione «Artù» in missione, trascorsa la notte in Castellaro, all'alba del 18 di settembre mentre si avviano fuori paese sono sorpresi da un plotone di Tedeschi; una raffica colpisce al capo il volontario Antonio Boeri (Pescio) di Antonio, nato a Badalucco il 13.12.1919, che rimane ucciso all'istante.
In seguito ad un attacco garibaldino a soldati in perlustrazione a Santa Brigida (un morto ed alcuni feriti) il nemico bombarda Dolcedo con cannoni piazzati nella valle di Oneglia. In tale circostanza muore il civile Giobatta Guasco ed il paese subisce danni materiali (A.S.R.).
Nei giorni che seguono, in previsione di un rastrellamento che dovrebbe partire da Chiusavecchia e da Pontedassio, il distaccamento di «John» prende posizione ai passi di Ville e della Pistona, i distaccamenti di «Romolo» e di «Mirko»  [Angelo Setti] a Colla d'Oggia, il «Paglieri F.» in località Arzéne. Sorpreso dai partigiani in allarme il nemico desiste dalla sua azione.
Il giorno dopo sette garibaldini del primo distaccamento, in missione a Pietrabruna, catturano e disarmano quattro bersaglieri repubblichini recuperando un mitra, due fucili tedeschi e cinque bombe a mano.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, ed. Amministrazione Provinciale di Imperia e patrocinio IsrecIm, Milanostampa, 1977

"Ed eccola, nutrita, improvvisa eppur prevista, la scarica dell'imboscata, proveniente dai terrazzi degli ulivi. Il sergente Bolla rotola a destra della strada che ci riporta a San Lorenzo: io, colpito ed immobilizzato all'anca destra, mentre sto facendo una piroetta, con perfetta manovra di "a terra" come nelle esercitazioni lungo la Bormida.
Finisco in una scanalatura del terreno e una miriade di proiettili arriva a dieci centimentri di distanza dal mio corpo, oramai al sicuro, e scalfiggono il suolo. Ma sento anche, benedetta ed assai violenta, la reazione degli altri bersaglieri col fuoco di copertura, un poco più dietro, che muta a nostro favore le sorti dell'imboscata.
[...] A tarda notte (io su un carretto) si giunge a S. Lorenzo al Mare. Vengo raccattato da un furgoncino, mandatoci incontro dal Comando e guidato dal bersagliere Carlo Bioni di Montichiari, con il bersagliere Lucio Questa di Brescia, a protezione, sul parafango anteriore destro.
Amici cari, benvenuti.
Sono portato a notte fonda all'Ospedale da campo di Taggia.
Vengo a sapere che anche il sergente Bolla, avanti a me, è salvo, pure se con una pallottola in un polpaccio.
[...] Avevamo lasciato Pietrabruna e ci dirigevamo verso le nostre postazioni a valle.
Mancavano all'appello il sergente maggiore Quartero, il caporal maggiore Rosier, il caporale Azzi, il bersagliere Bonadei che sapevamo essere stati catturati dai partigiani".
Queste - sullo scontro di Pietrabruna - le parole di un ex bersagliere di Salò, nostalgico, così come riportate nel libello di Umberto Maria Bottino, I nostri giorni cremisi. 1943-1995 <Attilio Negri srl, Rozzano (MI), 1995>, parole che in ogni caso confermano la portata dell'evento, risolto con successo dai garibaldini.
Adriano Maini

lunedì 4 dicembre 2023

Era Stalin con i suoi partigiani e quando giunsero il paese si animò d'improvviso

Aquila d'Arroscia (IM). Fonte: Wikipedia

Molti erano come Basco [n.d.r.: Giacomo Ardissone, vice comandante della II^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Nino Berio" della Divisione "Silvio Bonfante"], tutti anzi vivevano giorno per giorno senza chiedersi più se quello che facevano era bene o male o perché lo facevano. Avevano deciso una volta, quando erano venuti sui monti. Avevano meditato ancora sul da farsi quando la situazione era mutata, seguendo un impulso interno dettato più dai sentimenti che da ragionamento. Continuavano la lotta perché era ormai una seconda natura. Quali erano i sentimenti inespressi che covavano nell'inconscio di quei giovani che li avevano sostenuti, nei momenti di scoramento, quando l'abitudine non bastava più? Alcuni avevano sentito la necessità di riscattare il passato dell'Italia, di riconquistarle la libertà dall'oppressione con la forza non intendendola come un dono del più forte. Per i comunisti era la speranza di fondare un mondo nuovo, di gettare le basi per una società più giusta. E per gli altri? E' difficile dirlo perché ne parlavamo poco. Forse erano stati sufficienti i sentimenti che covavano in tutti: l'astio per il nemico, il desiderio di vendicare i compagni morti, i paesi bruciati, gli ostaggi fucilati, anche a costo di nuovi lutti; la speranza di prendersi una sanguinosa rivincita per tutto quello che avevamo sofferto; l'orgoglio di non piegarsi, di poter scendere alla costa a testa alta, il desiderio di non confondersi con la massa dei deboli, di quelli che sono vissuti nel terrore del nemico; la coscienza magari indistinta di essere tra gli attori del grande dramma, di una pagina di storia, di aver afferrato da forti una occasione unica che basterà a riempire di ricordi o di orgoglio tutta una vita per aver sfidato il nemico temuto da tutti e per non aver piegato quando i più l'avevano fatto.
"Una volta in Croazia" - raccontava Basco - " ero in postazione fuori paese quando avvistammo su una collina di fronte degli uomini in pantaloncini bianchi che scendevano con cautela. Era inverno e ci pareva strana una divisa di quel genere. Venivano verso di noi e non erano armati. Quando furono vicini ci accorgemmo che erano scalzi ed in mutande. Il nostro capitano uscì dalle linee, uno di loro scattò sull'attenti e si presentò, diede il nome del reparto e poi concluse: 'Catturati dai ribelli e poi liberati'. Il capitano esaminò il tenente da capo a piedi: 'Andate giù in paese a rivestirvi!'. Mentre scendevano per la mulattiera vedemmo che sul retro delle mutande avevano scritto con pittura rossa e azzurra VINCERE. Come erano stati presi? Lo seppi il giorno dopo da uno di loro che trovai in paese. Erano andati in perlustrazione fin quando avevano avvistato una sentinella partigiana; si erano buttati al riparo delle rocce, poi il tenente impugnando la pistola: 'Ragazzi, si attacca! Savoia!'. Gli altri risposero: 'Savoia!' ma poiché il tenente restava con la testa dietro al sasso, nessuno si mosse. Qualche minuto di attesa, poi di nuovo 'Savoia!' e di nuovo tutti fermi. Infine dopo aver gridato Savoia cinque o sei volte vennero i ribelli e li catturarono".
Il discorso fu interrotto dall'entrata di un partigiano: "C'è gente in cresta dalla parte di Aquila [Aquila d'Arroscia]". Uscimmo in due o tre: sulla mulattiera che scendeva dalla cappella di S. Cosimo scendeva una ventina di armati. "Forse son quelli della I che vengono per le armi. Fra poco li vedremo meglio". Era Stalin [Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"] con i suoi e quando giunsero il paese si animò d'improvviso.
Pranzammo e poi dividemmo le armi. C'era anche Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] con Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione Bonfante], c'era un capobanda della Divisione di Savona cacciato in Val Pennavaira da un attacco tedesco. Anche sopra Savona avevano avuto un lancio: ci promise munizioni per mitraglie che avevano ricevuto in abbondanza mentre a noi mancavano ancora.
"Da oggi ha inizio la campagna di primavera", disse Giorgio, mentre gli uomini riempivano i caricatori dei mitra con i colpi per gli Sten. "Si riprendono gli attacchi, si abbandona la tattica cospirativa: piena libertà di azione per ogni banda, attaccate come e quando volete, non occorre più l'autorizzazione del Comando. Ragazzi, distruggete la scatola delle munizioni, in paese non deve restare traccia del lancio".
L'armamento della Divisione era finalmente aumentato, venne esaminata la situazione di ogni banda sotto l'aspetto delle armi automatiche in dotazione: col nuovo materiale era possibile creare un maggiore equilibrio. L'esplosivo, la miccia, tutto il materiale da sabotaggio che ci era piovuto dal cielo venne consegnato direttamente ai comandi brigata: sarebbe finalmente finita la ricerca snervante nei campi minati.
In quelle ore giunse notizia che una colonna nemica scendeva su Caprauna, l'annuncio sollevò l'entusiasmo: finalmente avremmo affrontato il nemico ad armi pari. La notizia era errata e l'eccitazione si spense, era però buon segno che i partigiani anelassero di nuovo ad incontrarsi col nemico.
La banda di Stalin col Comando divisionale lasciò la valle di Alto, lo schieramento protettivo venne sciolto, la situazione tornò normale. L'operazione L 1 si era conclusa con un successo.
La campagna di primavera
L'inizio della campagna di primavera annunciata da Giorgio al distaccamento «G. Garbagnati» e ripetuto lo stesso giorno [16 marzo 1945] agli uomini di Cimitero coincise con una forte ripresa offensiva solo nella zona costiera.
La I Brigata preparava in collaborazione col S.I.M. la distruzione del posto di blocco fascista di Cervo progettando di far saltare la casa dove era trincerato con esplosivo collocato nella cantina. Al progetto si oppose il C.L.N. di Cervo del quale faceva parte Semeria che, salvatosi in ottobre dal disastro di Upega, collaborava ora con Batè (Cotta) nelle S.A.P. e nel C.L.N. Semeria era entrato in contatto coi fascisti del posto di blocco avendone la garanzia che, oltre a non molestare nessuno, avrebbero dato informazioni sul traffico di persone e reparti. Il posto di blocco era messo in posizione errata, poiché controllava solo la Via Aurelia e chi non voleva farsi notare poteva evitarlo passando per il paese. Gli argomenti erano buoni ed i partigiani rinunciarono consolandosi con l'intensificazione delle imboscate. Nelle zone più interne l'iniziativa rimaneva ai tedeschi che intensificavano le puntate.
Era a conoscenza il nemico del lancio avvenuto? Taluni indizi ce lo facevano supporre; era però poco probabile che fosse al corrente del punto preciso.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 209-211

19 marzo 1945 - Dal CLN mandamentale di Diano Marina al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Chiedeva di desistere da un'azione prevista contro il posto di blocco nemico di Cervo, del resto pericolosa perché sussisteva già allarme tra i soldati e la popolazione stessa, anche per evitare una rappresaglia contro i civili, e sottolineava che questo assunto era stato già sollevato in un incontro, alla presenza di un delegato del CLN provinciale, con il commissario "Federico" [della I^ Brigata "Silvano Belgrano", Federico Sibilla] e con il comandante "Mancen" [della I^ Brigata "Silvano Belgrano", Massimo Gismondi]
da documento IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999 

lunedì 20 novembre 2023

Però sarebbe bello, fatti fuori i tedeschi, mandar via anche gli inglesi...

Alto (CN). Fonte: Wikimedia

Il giorno 16 giunsi ad Alto. Là terminava la carrozzabile che saliva da Albenga per Castelbianco e Nasino. Inerpicato su un ripido pendio il paesino di Alto in quel marzo 1945 assomigliava stranamnente a Fontane in novembre. Castani spogli, cielo grigio piombo, viuzze fangose, cime e creste brulle ed a pascolo chiudevano a semicerchio la valle mascherando il varco che lasciava passare la mulattiera per Capraùna.
Alto; strano che Cascione avesse scelto per culla del movimento un luogo così cupo che, pur essendo ancora in Liguria, aveva già l'aspetto dei paesini d'alta montagna, dove la neve si fermava più a lungo, il clima era più freddo. Inesperienza? Motivi di sicurezza? Chi sa! Il fatto che la carrozzabile finisse ad Alto e quindi gli automezzi nemici potessero attaccare da una sola direzione e dopo una dura salita, la lontananza da altri paesi, quindi un maggiore controllo sugli abitanti e sullo spionaggio nemico possono aver fatto cadere la scelta su Alto. Ne dedussi anche che la banda di Cascione, dopo lo scontro di Montegrazie, dovette avere un atteggiamento difensivo analogo più o meno a quello adottato da noi nel periodo di stasi e depressione che ci colpì all'inizio del secondo inverno.
L'aspetto di Alto il 16 marzo era normale, nulla indicava che un lancio avesse luogo nelle vicinanze o che vi fossero concentramenti inconsueti di partigiani.
Che differenza con Garessio in luglio o Piaggia in ottobre. Allora una decina di partigiani riempiva un paese. Parevano migliaia e dopo un po' ti accorgevi che erano sempre le stesse facce. Ora invece pare che abbiano l'arte di scomparire.
Trovai Germano sulla piazza del paese; mi indicò la casa di Turbine [n.d.r.: Alfredo Coppola, capo squadra in seno alla II^ Brigata "Nino Berio" della Divisione Garibaldi "Silvio Bonfante"], uno degli incaricati del lancio. "Sta con la moglie" mi disse. Infatti anche Turbine nei giorni si scorsi si era sposato. Entrai: Basco [Giacomo Ardissone, vice comandante della II^ Brigata], Turbine, Trentadue e qualche altro erano intorno a piatti di castagne e di latte.
"Sempre la solita cagnara" -  diceva Basco - "chi si alza prima comanda. Nessuno di noi conosce il messaggio speciale, né i comandanti di brigata, né i capibanda ed è giusto. Poi ti trovi tra i piedi uno del S.I.M. che ascolta la radio con te e si mette a gridare: «Ecco il messaggio, stasera c'è di nuovo il lancio!» - e tu ci fai la figura dello scemo. Il Comando ti garantisce che di lancio ne fanno uno solo perché la zona è pericolosa e così ti fa perdere il secondo. Ma perdere è poco, ti fa scannare a correre nel buio e tutto per niente. Poi ti fa aspettare tre giorni i signori della I Brigata ["Silvano Belgrano"] che vengano con comodo a ritirare la loro parte. Adesso la zona non è più rischiosa secondo il Comando...".
Ricordavo il Basco dello scorso luglio caposquadra della Matteotti: "Questa volta ci hanno fregato: siamo al buio in una zona che non conosciamo, ma domani non ci stiamo più".
Il capobanda del distaccamento "I. Rainis" aveva conservato lo spirito ribelle di allora. "Ci fanno i lanci adesso i signori inglesi. Sperano che diamo loro una mano quando verranno avanti. Quando avevamo bisogno di armi per difenderci, per vivere, allora niente".
"A Mauri i lanci; noi, che siamo comunisti, più moriamo meglio è. Ma i primi inglesi che vedo... Ma siamo in pochi e finirebbe come in Grecia. Però sarebbe bello, fatti fuori i tedeschi, mandar via anche gli inglesi... Naturalmente i signori del Comando non la penseranno così. L'anno scorso quando speravamo di scendere avevano abolito le stelle rosse, i fazzoletti, le bandiere, tutto quello che c'era di rosso, come se gli inglesi non ci conoscessero. Quelli del Comando stavano al centro a decidere e noi sui passi intorno a far la guardia, a difendere quelli che decidevano. Quando abbiamo capito che la nostra vita valeva la loro e abbiamo cercato un posto meno rischioso, il Comando è sparito, è diventato clandestino. Adesso che viene il buon tempo verranno di nuovo fuori, pianteranno gli uffici in un paese e diranno a noi delle bande di schierarci a difenderli, ma stavolta non ci riusciranno".
"Guardate Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione Bonfante]: non ha preso mai un rastrellamento. Che furbo! Prima era al S.I.M. e quando le notizie eran brutte cambiava aria. Adesso è commissario e fa i comodi suoi. A Nasino ha un rifugio che è impossibile trovarlo. I poveri diavoli siamo noi che dobbiamo salvare gli uomini, il materiale e poi noi, se avanza il tempo".
"L'altro giorno trova un contadino che ha un permesso del Comando tedesco sotto il nastro del cappello, lo interroga e poi ci dà ordine di fucilarlo. Come se la vita degli altri non contasse niente! Noi abbiamo detto di sì e poi lo abbiamo lasciato andare. E' difficile giudicare uno ed è terribile condannarlo se non confessa. E' capitato a me con un S. Marco. Lo abbiamo interrogato per un giorno intero, ha sempre negato. Pure eravamo sicuri che era una spia.
Dovevo essere io a giudicarlo e vi assicuro che non ho chiuso occhio quella notte. Il giorno dopo era scappato. L'abbiamo ripreso per un miracolo ed allora ha confessato: era venuto su per tradirci. Ma se non avesse parlato non avrei avuto forse il coraggio di ucciderlo, neanche dopo la fuga".
Il tempo passava intorno alla stufa, qualcuno entrava, altri uscivano. Lungo il muro i sacchi del lancio erano comodi sedili, nella stanza più interna Trentadue aveva dormito immerso nei paracadute. Basco raccontava del tempo in cui era in Croazia come paracadutista: un giorno aveva aiutato i contadini a spegnere un incendio appiccato dagli alpini. Avevano avuto come compenso chili di miele. Un'altra volta avevano appostato una staffetta partigiana che passava di solito in uno stesso punto. L'avevano attesa a lungo, poi, appena avvistatala: una raffica e la staffetta era caduta: "Ci avvicinammo cautamente, quando fummo a pochi metri lo slavo fece scoppiare una bomba a mano. Si uccise ma distrusse i documenti che portava".
Episodi ed episodi, raccontati con naturalezza ed indifferenza. Ora si combatte da una parte, allora dall'altra. Ora si è rastrellati, allora si rastrellava. Si era mai chiesto Basco se vi era contraddizione fra le due guerre, se allora o ora si era nel giusto?
Allora il governo comandava di fare quello ed era naturale farlo, nessuno pensava a disubbidire apertamente. Ora i tedeschi non sono più sulle ali della vittoria, l'opinione pubblica è contro di loro e così è naturale esser partigiani. Cosa ha sostenuto questi giovani nel duro inverno? Il gusto dell'avventura? Il rancore per gli anni di guerra passati e subiti? Chissà...!
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 206-209

17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - "... il giorno 13 u.s. si è effettuata l'operazione lancio nella località convenuta [Piano dell'Armetta nei pressi di Alto (CN)]; sono stati lanciati 33 colli di cui 28 recuperati nella serata ed i restanti 5 nella successiva mattinata. Non è stato possibile per il disturbo alle stazioni radio ricevere il messaggio per il lancio del giorno successivo. Tutte le tracce del lancio sono state cancellate anche grazie alla popolazione, di modo che i tedeschi non hanno trovato nulla. Data l'esperienza si consiglia di potenziare l'ascolto messaggi mediante l'aumento delle apparecchiature sulle tre linee, visto che si è ordinata la revisione dell'impianto di Nasino. È da evitare inoltre il lancio in giorni consecutivi, poiché vi è un'unica via di deflusso rappresentata da una mulattiera ed è, quindi, impossibile creare una colonna eccessivamente grande di muli, perché desterebbe sospetti ed in quanto l'occultamento del materiale va eseguito a spalla. Il luogo si è mostrato idoneo allo scopo, per cui per il prossimo lancio si richiedono 150-180 colli. Non servono fucili, ma armi automatiche, mortati leggeri, bombe anti-carro. Il collo indirizzato a 'Roberta' [capitano del SOE britannico Robert Bentley, ufficiale di collegamento degli alleati con il comando della I^ Zona Operativa Liguria] contiene 2 R.T. [radiotrasmittenti]: si prega di inviare degli uomini a prelevarle. Il giorno 11 u.s. è stata bombardata Ormea ed è stata colpita la sede del generale. Alcuni garibaldini hanno requisito in detto comando vario materiale, tra cui una lettera di cui si invia traduzione circa gli spostamenti delle truppe tedesche. Sopra Ormea i tedeschi accendono fuochi per ingannare gli aerei alleati".
17 marzo 1945 - Da "Dario" [Ottavio Cepollini] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che "... il quartier generale tedesco si è trasferito nella palazzina Faravelli a Nava. I tedeschi, portandosi dietro il russo catturato ad Alto, hanno fatto una puntata a Gazzo e a Gavenola per arrestare 'Ramon' [Raymond Rosso, capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante"] e gli altri, ma, fortunatamente, il russo si è dimostrato leale e ha reso vana la puntata".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999  

giovedì 9 novembre 2023

Aumentano i distaccamenti partigiani imperiesi ad aprile 1944

 

Il torrente Arroscia nei pressi di Ranzo (IM). Fonte: Wikipedia

Il distaccamento imperiese - comandante TITO (Rizzo Renato) [Rinaldo Rizzo, detto Tito] commissario GIULIO (Libero Briganti) - aveva dovuto impegnarsi in una lunga marcia forzata dalla Casa Rosa, sopra Diano Roncagli nel comune di Diano S. Pietro, dove era dislocato, sino a Caprauna (in provincia di Cuneo) per raccogliere un lancio che - secondo le notizie pervenute - gli Alleati avrebbero dovuto effettuare nei giorni dal 4 al 6 aprile [1944].
Il reparto <1 non giunse nel tempo prestabilito e si trovò ad affrontare la via del ritorno senza alcuna scorta di viveri e senza possibilità di rifornimenti <2; ciò rese particolarmente dura la marcia sino a Guardiabella (a occidente del Colle di S. Bartolomeo), da dove una pattuglia guidata da MIRKO (Angelo Setti) scese al comune di Aurigo e nella frazione di Poggialto alla ricerca di aiuti.
L'assistenza generosa di quelle popolazioni aiutò la piccola formazione a rimettersi in sesto; successivamente furono anche compiute azioni particolarmente rischiose allo scopo di prelevare vettovaglie in territorio presidiato dalle truppe germaniche, <3 ma l'esperienza aveva ormai confermato che anche il problema dei rifornimenti doveva avere una sua più organica soluzione.
Tanto più che - in meno di 20 giorni - vi fu un notevole afflusso di volontari, tale da trasformare in altrettanti distaccamenti (con circa 30 effettivi ciascuno) le tre squadre di cui inizialmente era composto il reparto.
Ai primi di maggio - comandati da CURTO [Nino Siccardi] e e dal commissario GIULIO - i distaccamenti avevano assunto le seguenti posizioni <4:
1°) comandante Tito, commissario Boris (Gustavo Berio) - dislocato presso i Tecci di Parodi sopra Pontedassio;
2°) comandante Ivan, commissario Dimitri (Bruno Nello) - dislocato al Passo della Mezzaluna;
3°) comandante Cion [Silvio Bonfante], commissario Federico (Federico Sibilla) - dislocato nel bosco di Rezzo.
Metodo piuttosto efficace ci sembra quello seguito dal comando partigiano imperiese - in modo abbastanza frequente in questo periodo - di designare per le azioni di guerra più importanti uomini scelti in egual numero da tutti e 3 i distaccamenti; tale criterio venne adottato - ad esempio - nell'attacco effettuato al posto di blocco del ponte di Ranzo; in questa occasione 6 partigiani (scelti 2 per distaccamento) volsero in fuga il presidio nemico - uccidendo un soldato germanico e catturando due G.N.R. - e si impossessarono di 2 mitragliatori, di due fucili tedeschi e di molte munizioni.
Si può anche rilevare in proposito - considerando l'armamento messo a disposizione del gruppo attaccante (su 6 effettivi, 4 fucili mitragliatori e 2 mitra) - che molto opportunamente il comando partigiano non aveva esitato ad affidare agli uomini prescelti per l'azione quasi tutte (molto probabilmente tutte, date le condizioni di allora) le armi automatiche in possesso della formazione, pur di ottenere un gruppo che unisse alla particolare agilità numerica una grande potenza di fuoco <5.
Nello stesso periodo si ebbe un ulteriore spostamento dello schieramento partigiano; il distaccamento di Tito venne stanziato a Bosco Nero, quello di Cion a Tecci di Parodi e quello di Ivan a Piani di Corte, nel comune di Triora.
Un nuovo distaccamento - anch'esso forte di circa 30 effettivi - venne costituito nella prima metà di maggio e dislocato, al comando di Mirko, in regione Castagna presso Bregalla, una località di particolare importanza strategica attraverso la quale il dispositivo partigiano della zona a levante di Imperia venne ad essere direttamente collegato con quello della zona a ponente, tramite un gruppo formatosi ai primi di marzo e comandato da MARCO (Candido Queirolo) e da TENTO.
Sempre a metà di maggio vi fu l'inquadramento definitivo del distaccamento operante nella zona di Cima Marta agli ordini di IVANO (Vittorio Guglielmo), commissario ERVEN (Mario Luppi) [invero Bruno Luppi]; questo reparto disponeva di circa 40 effettivi <6.
Anche nell'imperiese si era venuta intanto sviluppando l'azione intimidatoria delle Autorità fasciste e germaniche a seguito del bando Mussolini; dal primo al 20 maggio gli aerei avevano sorvolato le campagne lasciandovi cadere a migliaia i volantini dell'ULTIMA OCCASIONE:
"Coloro che all'Italia hanno offerto gli anni più belli della giovinezza per compiere il loro dovere di soldati e che oggi, fuorviati da una malvagia propaganda, rinnegano il loro valoroso passato di combattenti per rimanere tra le bande dei ribelli dove altro non sono che strumenti di ignobili sfruttatori che giocano sulla loro vita per guadagnarsi lo sporco denaro con cui il nemico paga i traditori, ricordino che la Patria li ha chiamati ancora a sé pronta a perdonare il loro traviamento e ad aiutarli a ritrovare la via del dovere e dell'onore.
Per volere del Duce, il Governo della Repubblica ha stabilito che chi si presenterà spontaneamente entro il 25 maggio p.v. andrà esente da qualsiasi pena e procedimento penale. È L'ULTIMA OCCASIONE. Non deve essere perduta. Dopo, per chi sarà rimasto sordo a quest'ultimo appello avverrà l'inesorabile.
Presentatevi al più presto a qualsiasi autorità civile o militare più vicina".
[NOTE]
1 Suddiviso in tre squadre: la prima comandata da IVAN (Giacomo Sibilla), la seconda da CION (Silvio Bonfante), la terza da MIRKO (Angelo Setti), per un totale di circa 30 effettivi. (Documentazione Biga).
2 Alcune testimonianze attribuiscono la perdita del lancio ad un non precisato sabotaggio.
3  La sera del 10 aprile, ad esempio, una decina di partigiani - tra i quali Cion, Mirko, Mancen (Massimo Gismondi), Carlo Siciliano - scesero, guidati da Curto, dal Colle di S. Bartolomeo sino alla prossimità di Pontedassio, celati sotto il tendone di un camion al volante del quale stava il partigiano Zò. Da lì, mentre il camion con a bordo il solo Curto compiva il percorso di fondovalle, essi raggiunsero Borgo d'Oneglia, passando per la collina, sino ad un deposito di viveri accaparrati da un grosso incettatore collaborazionista. Nella notte il camion veniva caricato dei viveri sequestrati e ripartì per la zona partigiana - con gli uomini armati occultati sotto il tendone - attraversando in pieno giorno i blocchi germanici e fascisti (ai quali Curto esibì dei falsi documenti tedeschi) posti sulla statale n. 28 di Pontedassio, Chiusavecchia, Ponte dei Grassi, Tesio, fino al Bosco di Rezzo. (Documentazione Biga).
4 Cfr. volume I° pag. 181
5 Invero l'armamento del piccolo reparto, potenziato dal considerevole bottino, impressionò favorevolmente alcuni ufficiali delle formazioni Mauri - incontrati sulla via di ritorno - i quali inutilmente proposero ai sei di entrare a far parte del nascente schieramento "Autonomi".
6 Ci viene segnalato - tra le prime azioni di questo distaccamento - il disarmo compiuto da un solo partigiano (FOLGORE) di una postazione della R.S.I. a Santa Brigida (Andagna) e la cattura di 10 soldati di presidio. (Doc. Biga, testimonianza di Angelo Setti).

Giorgio Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria - Volume II, Istituto Storico della Resistenza in Liguria, 1969, pp. 237-240

La popolazione tutta, specie quella dei paesi non sulla costa, è loro [ai partigiani] favorevole, li ospita, li nasconde e li rifornisce, nonostante che in parecchi casi si siano impossessati di bestiame e di derrate alimentari.   
La loro attività è sempre quella di scendere dai monti nei paesi, rifornirsi di viveri e tabacco, incitare i renitenti a non presentarsi e a cercare di impossessarsi di armi e munizioni assalendo caserme dei distaccamenti della G.N.R. (carabinieri), nonchè di molestare persone ritenute simpatizzanti per il Regime Fascista Repubblicano.   
A volte hanno prelevato ostaggi, fra cui qualche sottufficiale dei carabinieri, che sono stati poi rilasciati.   
Le località della Provincia più battute sono quelle confinanti con la provincia di Cuneo, in quanto tali bande si spostano dall'una all'altra provincia. Campi di azione delle bande di ribelli sono più frequentemente la vallata di Cervo, Diano Arentino, Diano Marina, Diano Roncagli, Chiusavecchia, Bestagno, Molini di Triora, Nava e Case di Nava.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione quindicinale sulla situazione..., 16 aprile 1944, Documento in Archivio Centrale dello Stato - Roma

In questi giorni, per ben due volte, nell'abitato di Diano Marina sono stati sparati da ribelli colpi di pistola contro ufficiali dell'esercito repubblicano in divisa, che transitavano isolatamente in bicicletta, senza conseguenze.  Il reparto antiribelli della Questura di Imperia frequentemente si porta nelle località ove viene segnalata la presenza di ribelli, che sistematicamente riescono a sfuggire alle ricerche. In tali operazioni viene però proceduto al fermo di renitenti, disertori e sfaccendati, i quali ultimi vengono proposti per il lavoro in Germania.
Non infrequentemente si addiviene ad uno scontro di colpi di arma da fuoco.   
E' stata sottoposta, con provvedimento dell'apposita commissione, all'ammonizione, per un biennio, una suora del locale Istituto Nostra Signora della Misericordia, la quale, sull'insegnamento che impartiva ai bambini ed alle bambine, teneva contegno niente affatto consono al momento attuale e nettamente contrario all'opera ricostruttiva del Governo Fascista Repubblicano e del suo Capo. Difatti, detta suora, fra l'altro, nella lettura del libro di testo, faceva saltare tutte le pagine riferentisi al Duce ed al Fascismo, proibiva ai bambini di portare emblemi fascisti e di salutare romanamente.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione..., 24 aprile 1944, N. di Prot. 01384, Documento in Archivio Centrale dello Stato - Roma 

giovedì 26 ottobre 2023

Il Vescovo di Albenga conosceva bene e approvava la collaborazione dei suoi sacerdoti a favore delle formazioni partigiane

Albenga (SV): Cattedrale di San Michele. Foto: Eleonora Maini

Ricorderò sempre con rimpianto le lunghe notti di novembre-dicembre del '44, le lunghe chiacchierate sul proclama degli Alleati che ci invitava a sospendere la lotta per il periodo invernale, come se la cosa fosse di estrema facilità. Per loro quella decisione era considerata come scegliere di cambiarsi d'abito: faceva freddo, e allora semplicemente si cambiavano i vestiti estivi con quelli invernali. Questi ordini assurdi anzichè demoralizzare gli uomini, cementarono fra noi la vera amicizia, e sopratutto la volontà comune di continuare la lotta. Quando poi sistemai i meno validi presso le famiglie dei dintorni, non fu cosa facile far loro capire che quello era un provvedimento temporaneo e che dopo sarebbero ritornati a far parte delle varie formazioni in primavera, ma che comunque sarebbero stati ritenuti sempre in servizio, come se si fossero trovati ancora nei Distaccamenti.
Dovevo ridurre gli effettivi nei Distaccamenti stessi per renderli più agili e manovrieri. C'erano con noi due fratelli gemelli sanmarchini, di cognome Baroni, nativi dei dintorni di Milano: uno era ammalato di polmoni e il medico (Dr. Lai) ne consigliava l'allontanamento dalle formazioni, perchè poteva essere infettivo. Non potevo sistemarlo presso qualche famiglia sapendo che poteva essere contagioso; allora li fornimmo tutti e due di carte d'identità rilasciate da un Comune della valle e, con gli abiti avuti da alcuni giovani del paese e qualche chilogrammo d'olio donato loro dai contadini, partirono per la Lombardia dalla stazione di Albenga e riuscirono ad arrivare a casa (quello ammalato morì di t.b.c. alcuni anni dopo la fine della guerra, senza purtroppo aver potuto ottenere il riconoscimento e la relativa pensione).
Il loro ritorno fu fortunato, ma noi non potevamo saperlo e allora, nelle interminabili sere davanti al fuoco dei casoni, ci soffermavamo a parlare delle probabilità che avrebbero avuto di riuscire ad arrivare a casa. Lì iniziò il gioco dei perché: perché erano partiti? Perché uno dei due era ammalato? Perché uno dei due era di costituzione delicata? Perché era stato arruolato nel sanmarco? e a forza di perché, si arrivava al perché della guerra, al perchè del fascismo, fino a che, vicino al fuoco, non rimaneva più nessuno.
Altre volte si parlava di calcio e i più preparati in materia iniziavano a ricordare i componenti delle squadre di serie A, e i loro ruoli; finita la serie A, iniziavano con la serie B. Fino a che non riuscivano a ricordare gli undici uomini titolari e le riserve, non passavano ad un'altra squadra. Da diverse sere cercavano di ricordare il nome di un terzino senza riuscirci; i più ostinati nella ricerca erano Lello [Raffaele Nante] e un ragazzo dei dintorni di Milano, il cui nome di battaglia «Disdot» (diciotto) derivava da una partita di calcio della squadra del suo paese, in cui questa aveva subito ben diciotto goal.
Una sera, vicino al fuoco, erano rimasti Lello e Disdot, che non riuscivano a ricordare il nome di un terzino. Andarono a coricarsi senza averlo trovato. Durante la notte, uno dei due, rannicchiato nella sua cuccia, pronuncia un nome e l'altro, situato all'estremità della baita, gli risponde: «Hai ragione, è proprio lui il tertino che ci mancava!» Chissà se erano rimasti svegli tutti e due a pensare, oppure se nel sogno avevano ricordato quel nome.
In uno di quei giorni di novembre ero andato con l'intendente Bergamini a Ortovero per cercare di convincere il nostro fornitore di tabacco a praticare un prezzo a noi più favorevole; ma il commerciante riuscì a convincerci che il prezzo da lui praticato era giusto e che, per causa di quello, avrebbe lavorato in perdita. Io approfittai dell'occasione per fare avere notizie alla mia ragazza e il risultato fu che un bel giorno ella arrivò a Ubaghetta dopo aver peregrinato chissà come e chiedemmo a Don Rembado di sposarci. Don Rembado chiese l'autorizzazione al Vescovo di Albenga, che allora non la concesse per motivi certamente validi (il Vescovo di Albenga che conosceva bene e approvava la collaborazione dei suoi sacerdoti a favore delle formazioni partigiane, temeva che se i nazifascisti fossero venuti a conoscenza del matrimonio, avrebbero infierito più di quanto stavano facendo sul clero in generale).
Decidemmo così di sposarci solo civilmente, ci avrebbe sposato il nuovo Commissario di brigata [la IV^ della Divisione "Silvio Bonfante"] (nel frattempo ero stato nominato Comandante di brigata) e Federico [Federico Sibilla], il commissario, era passato alla I brigata ["Silvano Belgrano"], sostituito da Calzolari (un ragazzo di Bergamo) ex sanmarchino. Riporto copia conforme dell'atto di matrimonio: l'originale è ancora in possesso di Fanin uno dei testimoni.
Era stato un ben triste dicembre; i tedeschi a Pieve di Teco, con l'ausilio di delatori, riuscivano spesso a sorprendere i partigiani nei loro rifugi. Le prigioni del piccolo centro erano colme di ragazzi che, in grosso numero, vennero prima torturati e poi fucilati.
Al servizio dei tedeschi erano purtroppo anche due uomini del mio vecchio distaccamento «C. Maccanò», Walter e Bol, anche loro provenienti dalla liberazione dei prigionieri delle carceri di Oneglia come il prof. Come lui facevano le spie, non avendo però la capacità e tanto meno la libertà della quale godeva il prof. (non mi ero mai fidato infatti di loro completamente).
Erano poi riusciti a sganciarsi durante quel combattimento nella nebbia avvenuto a Cosio, ed erano ritornati a collaborare col nemico riferendo quanto erano riusciti a sapere nel periodo che restarono con noi.
Per Natale Bergamini era riuscito a procurarsi della carne di maiale, senza danno per i contadini. Era riuscito infatti a sapere che i maiali esistenti nei paesi della Val d'Arroscia erano per la maggior parte di un commerciante che li aveva dati ai contadini con l'accordo che, quando fossero stati ingrassati, li avrebbe divisi in parti uguali fra loro.
Bergamini ne fece uccidere uno per il Distaccamento, lasciando ai contadini la loro metà e pagando il resto a prezzo di mercato. Tutti i Distaccamenti per Natale ebbero così mezzo maiale e ne venne fuori un pranzo natalizio davvero sontuoso.
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994, pp. 151-153