venerdì 25 ottobre 2024

Per oltre sette mesi combatterà contro i tedeschi sul confine italiano

Copia della terza ed ultima pagina della Relazione del comando S.A.P. di Sanremo (a firma Antonio Gerbolini) e del C.L.N. circondariale (a firma Giovanni Cristel) sull'attività della V^ VI^ VII^ Brigata S.A.P. (dalla loro costituzione al 25 aprile 1945), documento in Fondo “Giorgio Gimelli”, ILSREC (ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo)

Particolarmente rimarchevoli sono le vicende attraverso alle quali passò il dott. Giovanni Cristel. Antifascista di lunga data, durante l'occupazione tedesca fu dapprima arrestato; poi rilasciato, fu costretto a nascondersi. I nazifascisti fecero un'irruzione nella sua casa in data 1° ottobre '44, ferirono una delle figlie (Giuliana), la quale venne arrestata insieme ad altra figlia (Evelina) e alla moglie. Le figlie, in seguito, vennero incarcerate, e detenute successivamente nelle prigioni di Sanremo, Oneglia, Genova (Marassi e Casa dello Studente), e nel campo di concentramento di Bolzano. Evelina Cristel, riuscita a fuggire dal campo, fu ripresa, torturata e di nuovo rinchiusa nel campo stesso. In tutto, furono detenute per sette mesi, fino al 25 aprile '45. Il dott. Giovanni Cristel, arrestato di nuovo il 1° febbraio '45, venne trattenuto in prigione a Sanremo e a Marassi, da dove potè uscire solo nei giorni della Liberazione, intorno alla fine di aprile. Rientrato allora in Sanremo, terrà la Presidenza del CLN circondariale in detta città.
Giuliana ed Evelina Cristel (nomi di battaglia rispettivamente «Marzia» e «Vera»), prima dell'arresto erano particolarmente dedite all'attività resistenziale in generale, nonché all'organizzazione dei gruppi femminili del PCI.
Oltre alle persone ricordate nelle precedenti note, altre persone, nate o residenti in Sanremo, che fino dai primi tempi si adoperarono per la guerra di Liberazione, sono:
- Silvestri Michele (Milano), il quale - anche coadiuvato dalla giovanissima figlia Dilanda - subito dopo l'8 settembre 1943 dà la sua opera per aiutare i primi gruppi in montagna, dove si reca egli stesso, e, più tardi, costituisce una propria banda a Verezzo, che verrà inclusa nelle formazioni cittadine SAP in data 1° ottobre 1944;
- Rovella Dario (Lori), che nel giugno del '44 fu per un certo tempo collegato con le formazioni del capitano Umberto (Candido Bertassi), e in seguito, nell'autunno dello stesso anno, diventerà dapprima ufficiale di collegamento e poi comandante di una brigata GAP cittadina, ma verrà arrestato in data 15 novembre dalle SS tedesche, successivamente incarcerato a Sanremo e a Genova (Marassi e Casa dello Studente), seviziato e detenuto fino al 20 marzo 1945, data in cui riuscirà a fuggire durante il viaggio per essere trasferito al campo di Bolzano, e raggiungerà la montagna, da dove tornerà in Sanremo poco prima del 25 aprile (69);
- Giovanni Buonadonna (Gianni), che fin dall'ottobre '43 lavorava in stretta collaborazione col dott. Pigati, e, arrestato per questa sua attività, venne trattenuto per vario tempo nelle prigioni di Oneglia;
- Illengo Ada (Nella), che fu in contatto con le prime brigate cittadine e, più tardi, diventerà staffetta fra il CLN circondariale e la montagna;
- Palagi Clemente (Cecco), che fu uno dei più attivi organizzatori del PCI in Sanremo, partecipò fino dall'8 settembre '43 alla lotta resistenziale, e si adoperò per la costituzione dei primi CLN e delle prime SAP e GAP, funzionando in seguito da collegamento politico e militare fra il CLN circondariale e le organizzazioni periferiche, mentre i di lui figli Oscar e Tiziano venivano inviati dal CLN circondariale e dal PCI ad arruolarsi nelle brigate nere perché facessero da informatori a favore dell'antifascismo e delle forze partigiane, azione che essi svolsero efficacemente;
- Carretta Fortunato (Tonio), che fino dai primi momenti dell'occupazione tedesca lavorò ad organizzare la Resistenza per incarico del PCI, funzionò poi da informatore per il CLN , e - a cominciare dal 1° ottobre '44 - darà la sua opera per il PCI, all'organizzazione del Fronte della Gioventù;
- Romei Aldo (Roma), che fu dapprima, per circa tre mesi, con Martinengo (Hanau Eraldo), poi col capitano Umberto (Candido Bertassi), nel giugno, luglio e agosto '44, e infine entrerà nelle SAP sanremesi;
- Baggioli Carlo (Gigi), che partecipò ai primi movimenti di liberazione fino dal settembre '43, e collaborò col fratello Baggioli Aldo, già Comandante della prima GAP cittadina, e poi ucciso dai tedeschi a San Romolo il 15-11-44 (70);
- Zunino Iolanda (Spavalda), che fu dapprima staffetta del distaccamento GAP «Zunino» (San Romolo), e poi, scioltosi questo gruppo, del distaccamento GAP «Zamboni»;
- Arturo Baccarini (Mosconi) e Levrone Domenico (Levro), che furono in montagna con le prime formazioni armate, e si aggregarono rispettivamente al gruppo di Moscone (Basilio Mosconi) e di «Nettu» o «Nettù» (7° distaccamento);
- Modena Romolo (Milon), che partecipò al movimento di liberazione fino dal settembre '43, salì in montagna nell'ottobre dello stesso anno, entrò poi nelle formazioni garibaldine, e più tardi, ferito, tornerà in città e si aggregherà al distaccamento GAP di Verezzo della brigata cittadina «G. Matteotti»;
- Oldoino Maurizio (Mauro), che salì in montagna subito dopo l'8 settembre '43, entrò poi nella banda garibaldina di Tito dove rimase dal febbraio al marzo '44, entrerà quindi - ritornato in Sanremo - nelle formazioni GAP (2 agosto), ed infine, da queste inviato in Francia per tentare di mettersi in contatto con gli Alleati, resterà tagliato fuori dai tedeschi ed entrerà nel Maquis (nome di battaglia «Batté Leo»), dove sarà promosso sergente di un battaglione di volontari stranieri, con i quali, per oltre sette mesi combatterà contro i tedeschi sul confine italiano;
- Caramia Francesco (Franco), che dal primo CLN Sanremese, e per esso più precisamente da Salvatore Marchesi e da Adolfo Siffredi ebbe incarico di arruolarsi nella milizia per esperire opera di infonnatore e di disgregatore, e che lascerà tale incarico dopo circa tre mesi, per entrare direttamente alle dipendenze del CLN circondariale, per il quale, dall'ottobre '44 in poi presterà servizio di staffetta per il collegamento con Bordighera;
- Rovetta Vincenzo, già anziano (nato nel 1891, e avente nome di battaglia «lo zio»), che fu uno dei primi organizzatori del movimento comunista nel sanremese, si adoperò per la lotta di liberazione fino dall'8 settembre '43, partecipò alla formazione dei primi CLN ed entrerà infine nelle formazioni SAP, dove avrà l'incarico di Commissario e poi di Comandante della brigata cittadina «Matteotti»;
- Lavagna Arturo, che si adoperò sotto la guida di Pippo Anselmi alla formazione della prima brigata GAP cittadina, operò poi in montagna col distaccamento GAP «Zunino», e infine, scioltosi questo, nell'organizzazione SAP, dove verrà impiegato nel disimpegno di mansioni varie;
- Gea Gualandi (Lilla), del PCI, attiva collaboratrice di Luigi Nuvoloni, caduto in montagna il 26 giugno '44;
- Di Rico Camillo (Rico), che incominciò ad adoperarsi per la Resistenza subito dopo l'8 settembre '43, e dall'agosto '44 entrerà nelle SAP cittadine, tenendo il collegamento specialmente fra Coldirodi (frazione di Sanremo) e la montagna, e infine prendendo il comando di un gruppo resistenziale in Ospedaletti;
- Padre Anselmo Perrone (Fra Michele), antifascista di lunga data, che dal 1° gennaio '45 sarà Cappellano militare delle formazioni armate cittadine del CLN circondariale e organizzerà personalmente due squadre SAP.
Le note sopra riportate sono state dedotte specialmente da Relazioni del CLN circondariale di Sanremo, portanti la firma di Mario Mascia, segretario, del dott. Giovanni Cristel, presidente, e di Antonio Gerbolini, Comandante SAP; nonché da rapporti del Comando SAP, firmati da Antonio Gerbolini. Solo la Relazione sul Buonadonna, redatta su carta intestata del CLN circondariale, non porta firma.
Altre persone, non di Sanremo, ma del circondario, sono:
- Rebaudo Luciano (Pelle di Carota), di Dolceacqua, che fu in montagna fino dai primi del 1944 e, ferito nel settembre, venne catturato dai tedeschi e trasportato in Germania in campo di concentramento, dove rimase fino alla fine della guerra;
- Minasso Renato (René), che, collegato con Calvini G.B., insieme con esso nel 1944 fondò e organizzò le SAP in Riva Santo Stefano, e che, arrestato il 3 novembre 1944 dalle SS tedesche, dopo un mese di carcere venne inviato al campo di concentramento di Bolzano, dal quale riuscirà a fuggire il 15 febbraio '45, e ritornerà a Riva Santo Stefano, dove si terrà nascosto, continuando tuttavia a partecipare alla lotta (71);
- Renzo Rossi (Renzo, Stienca, Zero), già precedentemente ricordato, che operava nella zona di Bordighera e Vallecrosia, e che, dopo avere riorganizzato il CLN di Bordighera e dopo un periodo di permanenza in montagna, lavorerà per il CLN circondariale, adoperandosi, fra l'altro in viaggi via mare sul percorso da Bordighera, Vallecrosia, Ventimiglia a Nizza e viceversa, per il trasporto di prigionieri, feriti, armi e munizioni, e per stabilire rapporti tra le forze resistenziali italiane e Ufficiali americani, inglesi, francesi;
- Renzo Biancheri (Gianni), di Bordighera, che aiutò Renzo Rossi nella sua attività.
Anche le note di cui sopra furono specialmente ricavate da Relazioni del CLN circondariale a firma di Mario Mascia, G. Cristel, A. Gerbolini, e da Rapporti del Comando SAP di Sanremo a firma di A. Gerbolini.
[NOTE]
(69) Accenni anche nel volume «L'epopea dell'Esercito scalzo», pagine 285-288.
(70) «L'epopea dell'Esercito scalzo», pagine 64 e 285-288.
(71) Minasso Renato era pure in collegamento con gli avvocati Onorato e Secondo Anfossi, i quali avevano anch'essi contribuilo all'organizzazione dei gruppi. Il primo nucleo di essi era stato costituito subito dopo l'8 settembre '43, appunto da Minasso, da Calvini G.B. e dagli altri, aveva sede nelle colline situate in vicinanza del giro del Don (Valle Argentina) e ne era capo l'ing. Conio Ludovico, ufficiale rientrato dall'Africa.
Giovanni  Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 308-311

giovedì 10 ottobre 2024

In provincia di Imperia ci fu la più alta percentuale di vittime di tutta l'Italia del Nord durante l'occupazione tedesca

Copia della prima pagina di un documento di denuncia a carico della "Donna Velata". Ricerca di Paolo Bianchi. Fonte: Archivio di Stato - Genova.

Nell'Imperiese la lotta resistenziale al nazifascismo si sviluppò intensamente e assunse un'asprezza inaudita. Lo confermano questi numeri: 582 partigiani, patrioti e renitenti alla leva caduti in battaglia o fucilati: 524 civili uccisi durante le rappresaglie nazifasciste o nei campi di stenninio: una trentina di partigiani deceduti dopo la guerra in seguito a gravi ferite; 22 stranieri di nazionalità diverse, disertori della Wehrmacht, uccisi in battaglia o fucilati dai nazifascisti.
Sicuramente fu la più alta percentuale di vittime - rispetto agli abitanti - di tutta l'Italia del Nord durante l'occupazione tedesca. Altro triste primato riguarda un numero consistente di partigiani che si sono suicidati piuttosto di cadere nelle mani dei fascisti locali.
Le cause di queste numerose perdite, a mio avviso, sono da attribuirsi ai seguenti motivi:
- la maggior parte delle località imperiesi, dove i partigiani risiedevano, erano arroccate: quando venivano attaccate e circondate dai nazifascisti, i partigiani avevano poche vie di fuga; quasi sempre combattevano sino alla morte. Ad esempio nel massiccio rastrellamento del gennaio '45 un centinaio di partigiani cadde in battaglia e chi si salvò dovette sconfinare tra mille difficoltà, a causa del freddo e della neve, in Piemonte;
- tutte le formazioni partigiane nell'Imperiese erano garibaldine: chi cadeva nelle mani del nemico difficilmente ne usciva vivo; la stessa cosa succedeva ai nazifascisti; raramente si effettuavano scambi di prigionieri;
- la provincia di Imperia, essendo sul confine francese, era considerata una zona strategica. Gli sbarchi alleati avvenuti in Normandia e in Provenza (nell'estate del '44) avevano fatto concentrare in quelle zone numerosissime truppe tedesche.
- le spie fasciste erano ovunque: la più famosa fu Maria Concetta Zucco, chiamata "La Donna Velata" o "La Francese", la quale venne infiltrata per qualche mese nelle fila della Resistenza e quando ritornò dai fascisti fece arrestare un centinaio di patrioti e loro fiancheggiatori, 33 vennero fucilati mentre gli altri furono deportati in Germania;
- operava in provincia di Imperia una formazione fascista della GNR di Ordine Pubblico (O.P.). con 152 militi, al comando del capitano Giovanni Ferraris: essi diedero una spietata caccia ai renitenti alla leva, ai partigiani e ai civili e davano loro protezione. Per la loro ferocia, questa formazione venne denominata con disprezzo dai partigiani imperiesi. la "Banda Ferraris".
Finita la guerra il capitano Giovannni Ferraris e diversi suoi militi - il 22 dicembre del 1947 - vennero condannati a morte dal Tribunale di Cuneo come criminali di guerra (in seguito furono tutti amnistiati). Dalle testimonianze al processo si venne a sapere che 137 partigiani e civili della provincia di Imperia, Savona e Cuneo, presi prigionieri, vennero fucilati o impiccati dopo atroci sevizie e altrettanti partigiani furono uccisi in battaglia durante i rastrellamenti.
Alla Provincia di Imperia venne conferita la Medaglia d'oro al valor militare.
Fulvio Sasso, ... E il sangue dei vincitori. Rappresaglie e stragi nazifasciste in Italia (1943-'45), L. Editrice, 2010, pp. 82,83

venerdì 4 ottobre 2024

La morte del comandante partigiano Menini fece scuola solo a pochi

Armo (IM). Foto: Davide Papalini. Fonte: Wikipedia

Intanto l'ufficio SIM della Divisione "Silvio Bonfante" viene informato che il rastrellamento nazifascista preannunciato è rinviato di qualche giorno, perché la Divisione fascista "Cacciatori degli Appennini", che avrebbe dovuto effettuarlo, si trova impegnata contro la II Divisione d'assalto Garibaldi "F. Cascione". La notizia è trasmessa ai Comandi delle Brigate dipendenti, che hanno il tempo, così, di mettere in esecuzione con rapidità le direttive contenute nelle circolari n. 22 e n. 23. I garibaldini meno atti sono inviati a rafforzare le squadre di riserva, passate alle dipendenze dirette del vicecomandante di Divisione Luigi Massabò (Pantera). Anche le altre disposizioni contenute nelle ricordate circolari sono messe in esecuzione.
In attesa del grande rastrellamento, i Distaccamenti della nuova [n.d.r.: la "Bonfante venne formata il 19 dicembre 1944] Divisione cercano di infliggere in qualche modo nuovi colpi al nemico: il 2 di gennaio [1945] una squadra del Distaccamento "A. Viani" smina un campo in Valle Andora: l'esplosivo è inviato a Ubaga, al Distaccamento di Giuseppe Garibaldi; il 3 un'altra squadra del "G. Catter", con il comandante Mario Gennari (Fernandel), al rientro da una missione, si scontra con una pattuglia tedesca sulla strada Albenga-Garessio: il nemico lascia sul teneno un morto e un ferito. Lo stesso nemico, che pare sia in attesa di eventi, compie micidiali puntate provocando vittime tra i civili.
Nel piccolo centro di Armo, in alta Valle Arroscia, era dislocato un nucleo partigiano dell'Intendenza Divisionale, per immagazzinare rifornimenti provenienti dal Piemonte. A fine dicembre vi si trovava ammalato pure Lionello Menini, comandante del Distaccamento Mortaisti "E. Bacigalupo". Su indicazione di una spia, il mattino presto del 31 dicembre 1944, un centinaio di Tedeschi, provenienti da Pieve di Teco, investono la zona di Armo, Trovasta e Moano. Alcuni garibaldini sfuggono al rastrellamento, altri cadono prigionieri, tra cui tre Austriaci disertori, e i civili Giuseppe Cacciò e Giovanni Ferrari.
Il Menini riesce a far fuggire altri due partigiani prima di essere catturato. Portato al Comando tedesco di Pieve di Teco, è riconosciuto come capo partigiano. Chiuso in carcere confessa di essere partigiano ma, malgrado sia sottoposto a feroci torture, non parla, mantiene il silenzio. Il 3 di gennaio è condannato a morte. Prima di morire riesce ad inviare un biglietto al suo commissario Giuseppe Cognein per informarlo che gli Austriaci avevano parlato, e che non gli dispiaceva morire per una causa giusta.
Mentre il Comando divisionale attua lo spostamento dei Distaccamenti, l'Intendenza della II Brigata si trasferisce in Val Pennavaira e quella divisionale in Valle Arroscia. Lionello Menini ed i compagni della triste sorte Lorenzo Gracco, Ezio Badano e Giovanni Valdora sono condotti in località Carrega e fucilati.
[...] Il Distaccamento "E. Bacigalupo" viene sciolto, i superstiti sono aggregati ad altri Distaccamenti. La cattura di Menini dimostrò che la nuova tattica nemica delle puntate dirette poteva essere più pericolosa dei rastrellamenti. Il nemico piombava ora in silenzio e in modo sicuro sulle basi garibaldine senza che raffiche di mitragliatrici e colpi di mortaio dessero l'allarme come era avvenuto nell'estate e nell'autunno del 1944.
Solo un perfetto servizio di guardia e di pattuglie poteva garantire i garibaldini dalle sorprese. Si era visto come esso fosse sempre stato inadeguato anche quando una catena di Distaccamenti, appoggiandosi a vicenda, limitava la possibilità di attacco da una o due direzioni al massimo.
In gennaio poi, con gli effettivi ridotti e la minaccia da ogni lato, era impossibile essere avvertiti in tempo. Solo dei buoni rifugi, come abbiamo già ricordato, usati ogni notte, potevano garantire in un certo qual modo l'incolumità. Ma la sorte di Menini fece scuola solo a pochi: la mente era sempre fissa al prossimo grande rastrellamento che si prevedeva imminente.
Infatti il Comando della "Bonfante" lascia la sede di Marmoreo per rendersi conto della situazione nelle tre Brigate, nei Distaccamenti ed informare i volontari della drammatica situazione dagli sbocchi imprevisti. Si cerca di fare funzionare bene il centro staffette di Degna ed il SIM dislocato a Poggio, sotto Casanova, ristabilendo i vccchi contatti e creandone di nuovi. Più tardi, un gruppo del Comando, formato da Osvaldo Contestabile (Osvaldo), da Luigi Massabò (Pantera) e da Lorenzo Semeria (Nenno) responsabile del SIM, partono per la valle di Diano onde ispezionare il Comando di Massimo Gismondi (Mancen), il quale è ricercato dai brigatisti neri e dalle SS tedesche con fotografia alla mano e per ristabilire i contatti con gli informatori di Pontedassio. Invece Giorgio Olivero [comandante della Divisione "Bonfante"] e Gustavo Berio partono verso altra direzione. 

Francesco  Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 19-22

 

2 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante", ai comandi delle Brigate dipendenti I^, "Silvano Belgrano", II^, "Nino Berio”, e III^, "Ettore Bacigalupo" - Comunicava che "...l'Intendenza della I^ Brigata si appoggerà al C.L.N. di Albenga... Il servizio S.I.M. divisionale sarà ridotto a tre soli elementi e ad una staffetta...".
3 gennaio 1945 - Tribunale Militare tedesco - Copia della sentenza di condanna a morte per i garibaldini Lionello Menini (Menini), comandante del Distaccamento "Bacigalupo" della I^ Zona Operativa Liguria ed Ezio Badano (Zio), G.B. Valdora (Ferroviere) e Lorenzo Gracco della II^ Brigata "Sambolino" della Divisione d'Assalto Garibaldi " Gin Bevilacqua" operante nella II^ Zona Operativa Liguria.
3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sul rastrellamento effettuato ad Armo e a Pieve di Teco il 30 dicembre 1944, durante il quale era avvenuto l'arresto di Lionello Menini.
3 gennaio 1945 - Dal comando [comandante "Giorgio", Giorgio Olivero] della Divisione "Silvio Bonfante" a tutti i reparti dipendenti - Comunicava che "la zona in cui si opera è di immediato retrofronte, per cui serve gente convinta, mettendo al bando ogni forma di disfattismo. Occorre reagire agli atti di vandalismo del nemico".
3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Ettore Bacigalupo” - Direttiva: "Occorre provvedere, nei paesi in cui non vi sono garibaldini, ad inquadrare i giovani nelle squadre di riserva locali. Queste dovranno sorvegliare i passi durante la notte. Si ricorda che l'adesione ha carattere volontario. Il comando di tali squadre spetta al vice comandante di Brigata".
3 gennaio 1945 - Da Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria] a Simon [Carlo Farini, ispettore della I^ Zona Operativa Liguria] - Relazione sulla visita fatta alla Divisione Bonfante.
3 gennaio 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria a Simon - Comunicava che "qualche elemento della Divisione Bonfante si è presentato ai tedeschi, guidandoli in qualche azione di rastrellamento".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

sabato 28 settembre 2024

Ai primi di dicembre 1944 i partigiani imperiesi si riorganizzarono

Marmoreo, frazione di Casanova Lerrone (SV). Fonte: mapcarta.com

Il giorno dopo [30 novembre 1944], verso sera, lasciammo Casanova diretti a Marmoreo: Sandro, il dattilografo, aveva trovato una casa tra gli ulivi a qualche chilometro dal paese, forse sarà adatta per noi. Mentre seguivamo il mulo con i materassi, pareva che lassù non vi fosse fieno, una voce mi chiamò tra gli alberi. Mi voltai e vidi un giovane con la vanga: «Livorno, come mai sei qui?» gli chiesi. Mi fermai con lui per qualche minuto. Livorno, un ex S. Marco, ai tempi di Piaggia era conducente di muli. Quando il clima era peggiorato mi aveva chiesto più volte come avrebbe potuto raggiungere la Toscana per passare le linee. Lo avevo consigliato di accompagnare Citrato che andava periodicamente di staffetta alla Divisione di Savona. Di banda in banda avrebbe potuto arrivare fino a La Spezia e forse più oltre, ma il coraggio del primo passo gli era mancato. Nello sbandamento di Piaggia era scomparso. Ora lo rivedevo contadino a Casanova: era riuscito a salvarsi ed ora lavorava da una famiglia che lo nutriva e gli aveva fornito un vestito borghese. Non lo vedrò più nè saprò nulla di certo di lui. Qualche tempo dopo il Comando denuncerà il tradimento di un partigiano di nome Livorno.
Dopo qualche giorno di permanenza nelia nuova base presso Marmoreo il Comando si accorse di non aver raggiunto la sicurezza cercata. Per la necessità di rifornirsi di viveri al vicino distaccamento di Domatore [Domenico Trincheri], per l'atteggiamento di Mancen [Massimo Gismondi] che conduceva in sede partigiani in ogni occasione, fu in breve noto a partigiani e borghesi che il Comando Brigata era nei dintorni di Marmoreo.
Trovare una nuova sistemazione non era semplice, sperammo così che la voce si diffondesse con una certa lentezza, che il nemico non ne venisse presto informato. Continuammo a lavorare nella stessa sede, solo verso l'alba, l'ora più pericolosa, vedevo che spesso Gigi si svegliava ed usciva: tra noi ed il nemico non c'era nessuna banda né alcuna sentinella. Gigi che, più anziano, aveva il sonno più leggero di noi e forse anche più giudizio, montava spontaneamente la guardia per i compagni che dormivano.
La nuova situazione venne esaminata a fondo da Giorgio, vicecomandante della Cascione [n.d.r.: a quella data la I^ Zona Operativa Liguria coincideva con la menzionata Divisione; la I^ Brigata "Silvano Belgrano", alla quale appartenevano molti dei partigiani qui citati dall'autore del diario - ed egli stesso - si sarebbe trasformata il 19 dicembre 1944 nella Divisione "Silvio Bonfante" con comandante Giorgio, Giorgio Olivero], che giunse a Casanova in quei giorni portando la circolare 23 del 24 novembre. Le disposizioni dei Comandi superiori erano precise: la meta non era più l'occupazione imminente della costa, con l'appoggio degli alleati avanzanti, bensì la sopravvivenza come movimento organizzato. Non più quindi aumentare il numero, l'armamento, la coesione dei reparti, ma conservare fino alla primavera un minimo di effettivi, di armni, di quadri intorno a cui ricostruire rapidamente le bande onde esser pronti quando, tornato il buon tempo, i giovani sarebbero riaccorsi sui monti. Era necessario superare i rastrellamenti, i disagi, resistere alla stanchezza, alla demoralizzazione. Era urgente adottare una nuova tattica, l'esperienza del passato inverno era stata tragica: le bande badogliane che avevano mantenuto fino a marzo l'organizzazione autunnale erano state disfatte: solo adottando nuovi metodi di guerriglia potevamo sperare di salvarci.
Il Comando doveva limitare ulteriormente gli effettivi e suddividersi in gruppi. Un gruppo: comandante e vicecomandante, commissario e vicecommissario doveva stabilirsi in una sede segreta appoggiandosi ad una famiglia sicura. Venivano eliminati cuoco e dattilografo. Due componenti del comando a turno avrebbero dovuto restare in sede, gli altri due avrebbero ispezionato i distaccamenti. In caso di rastrellamento ci si sarebbe uniti alla banda più vicina o ci si sarebbe organizzati in precedenza scavando un rifugio sotterraneo.
Altro gruppo sarebbe stato il S.I.M., che avrebbe dovuto spingersi il più possibile verso la costa. I due gruppi sarebbero stati collegali fra loro e con le bande per mezzo del recapito staffetta. L'amministratore [n.d.r.: nel caso della Brigata Belgrano l'autore del diario, "Magnesia"] sarebbe stato autonomo girando per i pagamenti per i paesi ed i distaccamenti, e fissando la sua base dove gli sarebbe parso meglio l'arrivo dei fondi e i contatti col C.L.N. sarebbero stati curali dal S.I.M.
Disposizioni analoghe erano state adottate dal Comando divisionale e dal comando zona, si riteneva quindi che fossero possibili.
Per quanto riguardava le bande era necessario ridurre gli effettivi. Tutti coloro che per la stanchezza e la demoralizzazione erano ormai un elemento disgregatore per le bande venissero pure congedati; era però opportuno non perdere definitivameme i contatti con questi elementi. Le disposizioni del Comando ci parvero poco chiare su questo punto. Si parlava di costituire squadre di riserva agli ordini di un comandante di valle, persona di valore, posata, già facente parte del movimento. Il garibaldino che lasciava la banda avrebbe consegnato l'arma al comandante di valle che ne avrebbe curato la custodia, indi avrebbe potuto tornare al proprio paese o impiegarsi presso qualche famiglia locale per il raccolto delle olive.
I commissari avrebbero dovuto mettersi in contatto con le giunte comunali, che si andavano organizzando, per sapere quanta mano d'opera avrebbe potuto assorbire ogni paese. Lo scopo di tutto ciò era che i partigiani che chiedevano il congedo non si sentissero abbandonati alla loro sorte e si trattenessero nella zona da noi controllata. In caso di bisogno un capobanda in transito avrebbe potuto rivolgersi al comandante di valle per ottenere la collaborazione degli ex partigiani presenti per un servizio di guardia o un appoggio armato. Per essere in grado di appoggiare i compagni che continuavano la lotta armata il garibaldino delle squadre di riserva, con l'eventuale collaborazione delle S.A.P. locali, avrebbe dovuto scavare un rifugio per sè e per i compagni delle bande armate, impratichirsi dei sentieri e del terreno onde poter guidare in caso di bisogno i compagni in missione.
Per coloro che restavano nelle bande a continuare la lotta armata era necessario ad ogni costo rialzare il tenore di vita, fornire vitto abbondante, vestiario e tabacco. Le bande armate avrebbero avuto il distintivo di reparti d'assalto mentre, per quelli passati alla riserva, i mesi di licenza sarebbero stati calcolati come mesi di appartenenza al movimento. Come si vede il progetto era ben studiato e la collaborazione dei partigiani di riserva nei paesi avrebbe potuto riuscirci preziosa come lo era stato l'appoggio che ci avevano fornito a Carnino Rico e gli altri ex partigiani di Umberto quando avevamo recuperato i feriti da Upega.
Se un difetto si può trovare a questo progetto era che difficilmente sarebbe stato possibile applicarlo integralmente. Vi sarebbe stata una inevitabile dispersione di coloro che lasciavano le bande armate e l'autonomia riacquistata li avrebbe portati a subire influenze diverse e maggiori dell'autorità del comandante di valle. La maggior parte dei congedati sarebbe stata inevitabilmente sottratta all'ambiente partigiano. Era poi necessario un tempo abbastanza lungo per prendere contatto con le giunte, scegliere i comandanti di valle, scavare i rifugi, provvedimenti che, quasi tutti, avrebbero dovuto precedere il congedo degli uomini.
In base alle notizie recate da Giorgio questo tempo pareva mancare: il concentramento di sempre nuove forze nemiche faceva prevedere l'inizio di un nuovo rastrellamento prima di Natale.
Dopo il rastrellamento, che avrebbe coinvlto tutta la nostra zona, il nemico avrebbe tentato di riaprire al traffico la Albenga-Pieve interrotta da noi in più di nove punti. I tedeschi avrebbero posto presidi in quasi tutti i paesi per requisire tutto il raccolto dell'olio, poiché la Liguria era ormai l'ultima regione occupata dalla Germania che producesse olio d'oliva.
Per evitare che il nemico conoscesse le nostre basi avremmo dovuto attaccarlo solo a distanza da esse ed occultarci evitando la lotta, se colonne nemiche fossero passate a breve distanza dalle nostre sedi. Nei giorni immediatamente prima del rastrellamento tutte le azioni avrebbero dovuto esser sospese.
C'era il pericolo che tali misure, interpretate oltre il loro significato letterale, inducessero ad astenersi comunque dalla lotta con conseguenze morali imprevedibili.
All'inizio del rastrellainento era previsto un ripiegamento generale oltre la carrozzabile Albenga-Garessio nel territorio della divisione di Savona.
Sarebbe stata una manovra molto difficile perché tutte le carrozzabili erano perpendicolari alla direzione di marcia, pure tornare oltre il Mongioie non sarebbe staro possibile per la neve ormai alta, né ritornare nella zona di Piaggia priva di risorse alimentari.
Era necessario che la riduzione degli effettivi e l'applicazione della organizzazione invernale precedessero l'attacco nemico.
Appena partito Giorgio le conseguenze delle nuove disposizioni furono chiare quasi subito. Mancen rifiutò in pratica di adottare la tattica cospirativa e comparve al Comando solo saltuariamente; non c'era quindi la possibilità di alternarsi. Il S.I.M. si trasferì a Poggio, a fondo valle sotto Casanova, sottraendosi così alla diretta influenza del comando. Abbandonati a loro stessi, i vari uffici, invece di riorganizzarsi, entrarono in una specie di letargo. Appena giunta la circolare i capibanda invitarono chi voleva ad andarsene immnediatamente.
A metà dicembre, giunse un contrordine: un supplemento alla circolare 23, ma in parte era tardi.
La circolare nuova rettificava ed in gran parte modificava radicalmente le disposizioni precedenti. Dallo stile e dallo spirito che l'animava era chiaramente opera di Simon.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 62-65

martedì 17 settembre 2024

Due capi banda si suicidarono per non cadere nelle nostre mani

Villatalla, frazione di Prelà (IM). Fonte: ErmaAnna/Flickr

Il 25 gennaio, il partigiano Ferrero (Tom o Staffetta Gambadilegno), del X° Distaccamento "Walter Berio", catturato dal nemico il giorno 17 (come abbiamo già ricordato) e rimasto ferito, viene medicato, sottoposto a  duri interrogatori, tradisce i compagni poiché conduce i fascisti nella tana che nascondeva il Distaccamento e che lui stesso aveva aiutato a costruire. Così cadono in mano al nemico ben undici garibaldini, tra cui il comandante Vittorio Aliprandi (Dimitri) e il commissario Nello Bruno (Merlo), i quali preferiscono togliersi la vita piuttosto di arrendersi. Sette di loro saranno fucilati ad Oneglia e due a Torretta di Vasia.
[...] Ma vediamo nei dettagli il triste episodio dalla relazione del vice commissario della IV° Brigata Gino Gerini.
“La Brigata è in stato di sfacello, in un solo mese ha avuto quasi un centinaio di caduti, più di un terzo dei suoi effettivi, già ridotti dalle gravi perdite precedenti e da alcuni defezioni. Tutto intorno ai superstiti, il nemico aveva posto un cordone di sicurezza; li aveva tagliati in tronconi, senza possibilità di ricongiungersi o mantenere i collegamenti. Si era infiltrato dappertutto presidiando i centri vitali. Fu il momento più terribile della lotta. I partigiani prevedevano l'annientamento definitivo poiché non avevano quasi più munizioni, nè viveri, nè indumenti. Non erano più una formazione, ma una massa di poveri esseri laceri e sfiniti in cui soltanto lo spirito continuava a vivere indomabile. Si erano divisi in gruppi per sfuggire alla continua sorveglianza nemica. Gruppi di cinque o sei uomini, dieci o dodici al massimo, che si aggiravano senza meta fra i boschi, rupi e burroni, come fantasmi. Il X Distaccamento “Walter Berio” era stato decimato come tutti gli altri. Un piccolo gruppo del Distaccamento stesso, undici uomini in tutto, con a capo “Dimitri” e “Merlo” (quest'ultimo uno dei più vecchi garibaldini), si era portato in una località tra Pantasina e Villatalla [frazione del comune di Prelà (IM)], in un fondovalle presso un ruscello incassato tra pendii scoscesi, rivestiti di boschi, dove era stata adattata una caverna a rifugio. Il luogo sembrava sicuro, un muro a secco era stato eretto all'entrata della tana, ove la vita trascorreva orribile per il fango e l'umidità. Ma gli uomini resistevano nella speranza di poter ricongiungersi ai compagni e riprendere la lotta interrotta. Il famigerato capitano Giovanni Ferraris, con i suoi uomini della compagnia “Senza Patria”, rastrellatori di Imperia, battevano la campagna. Era un feroce masnadiero ed i suoi sgherri formavano la più spietata banda di aguzzini. Derubavano i contadini, terrorizzavano, seviziavano ed uccidevano con un sadismo inumano.Naturalmente le spie e i traditori non mancavano. Erano in ogni luogo: gente che si vendeva per denaro sempre, tavolta per odio. Il giorno 25 gennaio 1945, Ferraris va su a Villatalla con le squadre. Le notizie che egli ha sono sicure, perché circonda il vallone dove stavano i partigiani ed incomincia a batterlo. Il Distaccamento si rifugia nella caverna: pensare di resistere è impossibile, non vi sono armi automatiche, i fucili sono scarichi, le sole rivoltelle, alcune delle quali inservibili, hanno qualche pallottola. I giovani si uniscono e attendono nella speranza di non venire scoperti. Sentono i passi dei fascisti che vanno avanti e indietro e ne seguono con ansia tutti i movimenti. Poi odono il rumore delle pietre smosse e vedono filtrare nella tana la luce del giorno: è la fine! Impugnano le armi e tirano, dal di fuori si risponde con il lancio di bombe a mano che feriscono quasi tutti i partigiani. Le munizioni sono esaurite. “Dimitri” e “Merlo” sono per una sortita in massa, ma gli altri non si reggono in piedi, alcuni non possono più muoversi. Il nemico, che fuori schiamazza e insulta, ma non osa entrare, esulta perché sa di aver vinto. I due capi compiono il gesto eroico: salutano i compagni uno ad uno, poi, addossatisi alla parete della caverna, si sopprimono con i due ultimi colpi rimastigli. Il nemico sente i colpi. Intuisce quello che sta avvenendo. Dopo aver esitato ancora e quindi scaricate le armi all'interno della caverna senza avere ottenuto risposta, irrompe fulmineamente nel rifugio. Vi trova due partigiani morti e altri nove feriti. Ma né  l'eroismo né la maestà della morte valgono a mitigare la loro ferocia. I garibaldini, vivi o morti, sono spogliati, insultati e percossi. I superstiti vengono legati e, tra gli scherni della soldataglia, avviati verso il paese. Due giorni dopo un gruppo di partigiani, informati dell'accaduto, si recano a recuperare le salme dei due compagni caduti. “Dimitri” e “Merlo” giacevano ove si erano uccisi, quasi nudi e senza scarpe. Sul corpo di “Dimitri” c'era un pezzo di carta con scritte poche e turpi parole che dicevano: “Questa è la sorte che toccherà a tutti i banditi”. E più sotto il nome di un partigiano con la postilla: “Anche tu farai la stessa fine”. Le salme furono poste sopra due barelle fabbricate con rami intrecciati e portati nel cimitero di Villatalla dove vennero seppellite. Gli accompagnatori andavano su per un sentiero alpestre, muti e commossi. A metà strada un vecchio andò loro incontro, fu riconosciuto, era il padre di “Dimitri”. Si fermò,i suoi occhi erano fissi, sbarrati, sulle rozze portantine. Intuì che suo figlio era lì, esanime. Senza un grido, senza una lacrima, come se il dolore lo avesse impietrito, con un balzo si gettò sul corpo del figlio e lo abbracciò. Poi cadde svenuto. I nove prigionieri furono trasportati ad Imperia, torturati e in seguito fucilati...".
Tra questi ricordiamo: Carletti Doriano (Misar), Giuseppe De Lauro (Venezia), Luigi Guareschi (Camillo), Vincenzo Faralli (Camogli), il russo Nicolay Gabrielovic Poronof (Tenente Nicolay). Di essi daremo altri ragguagli in seguito.
Il 27 il tempo si guasta, piovaschi e nebbia. Si sente una sparatoria, il nemnico rastrella Pietrabruna e dintorni. Partigiani del primo Battaglione, che si trovano nella zona, si portano in cresta dove preparano una postazione per la mitragliatrice che hanno in dotazione.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 89-92

Annibale Agostini, nato a Genova il 13 maggio 1911, agente in servizio presso la Squadra Antiribelli della Questura di Imperia
Interrogatorio del 10.10.1945:
"[...] Ammetto di aver preso parte al rastrellamento avvenuto a gennaio u.s. in Villatalla ove furono catturati 9 partigiani e due capi banda si suicidarono per non cadere nelle nostre mani. Tale rastrellamento venne effettuato su indicazioni fornite da un partigiano a nome Ferrero, il quale ci accompagnò sul posto. I 9 partigiani catturati nella predetta azione erano 7 italiani e due russi. Gli italiani furono consegnati alla Questura e nei verbali vennero indicati come prigionieri dei partigiani da noi liberati, in quanto appartenenti all’esercito repubblicano. Seppi in seguito che cinque dei fermati vennero uccisi dai tedeschi per rappresaglia come da manifesti affissi sui muri della città [Imperia]. Non sapevo che anche i due russi vennero fucilati dai tedeschi. Dall’esame degli atti della questura sarà possibile accertare che cercai di salvare i predetti facendoli figurare come elementi prelevati e tenuti prigionieri dai partigiani.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia,  StreetLib, Milano, 2019

... un reparto della Brigata Nera con elementi della polizia dipendenti dalla Questura eseguiva azione di rastrellamento in territorio di Vasia, Pantasina, Arborei, riuscendo a catturare nove partigiani, fra cui due di nazionalità russa. Un capo banda ed un commissario politico per evitare l'arresto si suicidavano, sparandosi un colpo di pistola alla tempia.
Sergiacomi, Questore di Imperia, Al capo della Polizia - Sede di campagna (visto di arrivo del Ministero dell'Interno della RSI in data 7 marzo 1945), Relazione mensile sulla situazione politica, militare ed economica della Provincia di Imperia, 1 febbraio 1945  - XXIII°

domenica 8 settembre 2024

Andava in giro col biroccio a raccogliere armi per i primi partigiani imperiesi

Cervo (IM)

Ma scendiamo in alcuni particolari: come abbiamo sopraccitato, contemporaneamente al disfacimento delle formazioni militari italiane, il movimento delle forze antifasciste [n.d.r.: ad Imperia e dintorni] inizia la preparazione dei mezzi per la lotta armata. Giorno dopo giorno le sue forze crescono. Vecchi, giovani, donne si adoperano per essere di aiuto ai primi protagonisti. Si crea il momento favorevole per dare al movimento di Liberazione una direzione organizzativa. Sotto la guida del PCI e di altre forze democratiche è organizzato un servizio con Comitati di raccolta di vivere e indumenti per i militari italiani sbandati. Grazie a queste iniziative gli antifascisti si rendono conto della vastità delle forze che li sostengono. Cresce il loro entusiasmo. A Cervo organizzano una riunione in località "Bundai" e a San Bartolomeo presso l'oratorio di San Rocco su iniziativa di Giovanni Cotta (Karenzi), che va in giro col biroccio a raccogliere armi insieme a Giacomo Ciaccone (Semeria). Grazie ad Antonio Ghirardi, per le forze della Resistenza in due giorni si riesce a ricuperare un deposito di armi e munizioni, abbandonato in una baracca su Capo Berta. A San Bartolomeo viene costituito un deposito di derrate alimentari in un magazzino di Giuseppe Mantica, messo a disposizione dei soldati sbandati. Tramite un collegamento attuato da Amerigo Realino, il comandante la Stazione dei carabinieri di Diano Marina consegna al Cotta e al compagno Maraboli vari fucili.
Intanto sulle alture si costituiscono i primi gruppi partigiani armati. Alcuni giovani comunisti imperiesi, tra cui Angelo Setti, Carlo Delle Piane, Nino Berio, Carlo Trucco, Secondo Rovere, Tonino Bertelli, Orazio Parodi (Guan), dopo una serie di notizie contrastanti, pensano di affrontare i Tedeschi su Capo Berta. Ricuperate le armi in un ex caposaldo (due mitragliatrici Skoda, bombe a mano e alcuni fucili), salgono verso l'Alpicella, ma non fanno in tempo a bloccare il valico e perciò le nascondono in un soffitto di una casa di campagna. Un gruppo di militari che si aggira nella zona del Pizzo d'Evigno, formatosi il 9 settembre e comandato da un ufficiale di Albenga, si scioglierà dopo qualche giorno. Altri gruppi di non trascurabile importanza, costituiti da soldati e ufficiali del disciolto esercito, in generale elementi attendisti, al momento non decisi di passare all'azione, vagano nei dintorni. Un centinaio di questi elementi sostano per qualche giorno sulla collina tra Oneglia e Diano Castello, poi spariscono. Una trentina di giovani della valle Impero si rifugiano in alcuni casoni oltre il "Passo della Colla", nella "Vota Grande".
Come abbiamo in qualche modo già accennato, piano piano questi gruppi si scioglieranno come la neve al sole e nella neve rimarranno solamente quegli uomini di cui tratteremo ora, cioè piccole bande in lotta contro i nemici tedeschi e fascisti e contro quello più crudele: il freddo.
Il 10, o l'11 settembre, un gruppo di giovani, che già avevano pubblicamente dimostrato il loro antifascismo nelle giornate del 25 luglio, con la caduta di Mussolini, consci del pericolo che stanno correndo di venire arrestati dai nazifascisti, abbandonata Oneglia e altri luoghi del litorale, salgono in collina e dopo alcune ore di cammino, raggiungono la località detta "Cianassi" nel territorio del Comune di Diano Castello. Sono conoscitori dei luoghi e uomini che, in seguito, diventeranno famosi partigiani combattenti.
Il già citato Giuseppe Aicardi, cittadino di Diano Castello e fervente antifascista, guida questi giovani in un fienile di sua proprietà ove li invita a trascorrere la notte, mentre giunge sua moglie che porta loro un coniglio arrostito per cena. Il giorno successivo li conduce in località "Vivano", più nascosta e sicura dove, in una casupola coperta dall'edera, trascorrono la seconda notte di fuga. Poi lo spostamento riprende verso la località "Bestagno" o "Magaietto", dove questi primi, insieme a quelli che seguiranno nei giorni successivi, come vedremo più avanti, rimarranno circa un mese.
Cosa sorprendente: quando Aldo Gaggino, uno dei componenti la banda, nei pressi apre la porta di una casetta di campagna di proprietà del commendatore Giuseppe Quaglia, appare alla sua vista un uomo stanco, barbuto e accovacciato nella penombra, che subito si alza. Vedendolo alto e nel viso, il Gaggino, rimasto perplesso per alcuni istanti, dopo un poco esclama: "Io ti conosco, tu sei Cascione, u Megu". Questi vorrebbe negare la sua identità, ma viene riconosciuto anche dagli altri. Spiega il perché si trova in quel luogo: aveva dovuto fuggire in fretta per non essere acciuffato dai fascisti.
Quando i giovani presenti manifestano l'intenzione di formare una banda armata per fare la guerriglia ai nazifascisti, Cascione risponde: "Allora siamo tutti qui per la stessa causa, mettiamoci insieme. In quel momento giunge anche Nino Giacomelli, il compagno di Cascione, che era andato a compiere una ricognizione nei dintorni. In quel momento Felice Cascione viene acclamato capo della banda.
Francesco Biga, Felice Cascione e la sua canzone immortale, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 2007

lunedì 26 agosto 2024

Con l'arrivo del capitano Bentley tra i partigiani imperiesi...


 
Si pubblicano qui le copie di due comunicazioni inviate a gennaio 1945 da ufficiali statunitensi all'antenna OSS di Nizza. Questi documenti furono a suo tempo rinvenuti a cura di Giuseppe Mac Fiorucci in preparazione del suo Gruppo Sbarchi Vallecrosia (IsrecIm, 2007).
Adriano Maini 
 
 
S E G R E T O
Ref : OB/I/19
13 gennaio 1945

Al Capitano: G.M.T. Jones,
Collegamento delle Forze di Informazione
NIZZA

Da: Distaccamento 20
N°1 Forze Speciali

Come richiesto, per le informazioni del 6° Gruppo d'Armata dell'Esercito [statunitense], segue un resoconto delle nostre attività fino a ora.

La prima fase del nostro lavoro, ora quasi completata, fu di stabilire un contatto con le bande partigiane nell'area, e di approntare un piccolo invio di rifornimenti per soddisfare le richieste immediate.

Nella seconda fase abbiamo inaugurato il contatto radio e per corriere coi partigiani più prossimi e abbiamo inviato rifornimenti via terra su piccola scala. Un Ufficiale di Collegamento Britannico [n.d.r.: Robert Bentley] con operatore W/T è stato infiltrato via mare con il compito di organizzare il ricevimento e il successivo trasporto via terra dei rifornimenti inviati via mare.

Ci si aspetta che questi mezzi siano i più fruttiferi, sebbene la loro messa in opera sia stata ritardata dalla necessaria preparazione e dalle avverse condizioni meteorologiche.

Terremo informato il vostro ufficio circa ogni importante progresso che otterremo nella realizzazione di questi piani o di ogni altro nuovo progetto iniziato da noi.

(firmato) Betts

S/Ldr.
20° Dist. N° 1 SF




S E G R E T O
Rif: OP/I/19
30 Gennaio 1945

Capt. G.M.T. Jones,
Distaccamento OSS,
NIZZA


In riferimento al nostro OB/I/19 del 13 gennaio scorso, facciamo seguire un
ulteriore resoconto:

Due pattuglie di corrieri e una pattuglia per rifornimenti sono state inviate via terra oltre frontiera sin dal 13 gennaio; uno dei corrieri ha preso contatto con organizzazioni partigiane più remote di quelle contattate in precedenza, e ha riportato informazioni riguardo le centrali idro-elettriche e i centri di distribuzione in VAL MAIRA e in VAL VARAITA.

È nostra intenzione organizzare una squadra anti-sabotaggio con riferimento speciale per queste strutture. Il contatto radio con la nostra missione nell'area settentrionale è eccellente.

Il nostro Ufficiale di Collegamento Britannico nella Liguria Occidentale è stato disturbato dalla pressione Tedesca sulla Divisione a cui è stato inviato.

Il contatto radio è stato interrotto a causa dei suoi spostamenti, comunque un certo ammontare di informazioni tattiche ci è stato trasmesso da lui e successivamente passato a voi.

Il clima ha impedito l'arrivo clandestino a lui di rifornimenti in questo mese, ma in quello di febbraio è previsto un certo numero di operazioni al riguardo.

Firmato: M.P. Lam Capitano

per S/Ldr,
Distaccamento OC 20
N° 1 Forze Speciali
 
 
Negi, Frazione di Perinaldo (IM): uno scorcio

Bentley nella sua lunga intervista rilasciata a Mario Mascia per L’epopea dell’esercito scalzo (A.L.I.S., 1946, ristampa del 1975 a cura di IsrecIm) parlò anche della preparazione della sua missione tra i partigiani: nel fare questo si riferì, inoltre, alla Missione Kahnemann; aggiunse che per la sua aveva preso preventivo contatto con il comandante Stefano Leo Carabalona, il quale a metà dicembre 1944 era già in Costa Azzurra; dettagliò, poi, il suo arrivo via mare del 6 gennaio 1945 a Vallecrosia, dove era atteso da uomini del Gruppo Sbarchi (S.A.P.) di questa città: di questi fa solo i nomi, anche perché erano stati di ausilio nella fase preparatoria, di Nino, Mimmo, Tonino, aggiungendo, di quest'ultimo, che lo aspettò a Negi, Frazione di Perinaldo, dove dovevano poi arrivare, per scortarlo sino al Comando Operativo della I^ Zona Liguria, i garibaldini del battaglione di Gino Napolitano Gino. In effetti, in base alle disposizioni operative del comandante Holdsworth del 6 dicembre 1944, Bentley aveva già tentato con il radiotelegrafista caporale Millington di passare le linee ed entrare in Liguria attraverso i passi alpini: recavano con loro 500.000 lire per il compimento della missione e per aiutare i patrioti. Il maltempo e l’accresciuta sorveglianza tedesca avevano impedito il successo di questa manovra. Riprovando via mare, in una missione rinominata “Chimpanzee”, veniva accompagnato invece dal radiotelegrafista caporale MacDougall.
Adriano Maini