mercoledì 24 giugno 2020

Un partigiano "bridge blower"



Dintorni di Ceriana (IM)
Ghepeu, al secolo Sergio Grignolio, scuote l'indice verso di me e ride di un riso franco da buon ragazzone quale egli è. Adesso esageri... dice. Protesta allegramente perchè l'ho presentato al Governatore, capitano inglese Garigue, e ad altri ufficiali come il “bridge blower”, cioè l'uomo che fa “saltare i ponti”. Protesta e ride, ma si vede che ne è compiaciuto. In verità Ghepeu è il tipico partigiano. Alto, di membra possenti, ha una bellissima testa ricciuta ed un volto da buon ragazzo, illuminato da due magnifici occhi castani. Si tiene ritto innanzi al generale Graham, venuto a Sanremo in occasione della rivista della vittoria e della pace e si dondola un po' su una gamba ed un po' sull'altra, impacciato e rosso in volto. Nessuno immaginerebbe che egli è stato, durante tutta la guerra di liberazione uno dei nostri patrioti più valorosi. Ha preso parte a combattimenti, agguati, sorprese, è stato in “galera”, ha sposato la morte decine di volte, ha subito la tortura. Ed ha soltanto diciannove anni.
 
Raccontaci come hai fatto a distruggere il ponte della Madonna della Villa.
 
Non qui... fuori mi risponde e vedo che è veramente sulle spine. E l'intervista col generale Graham ed il capitano Garigue finisce. Ghepeu ritorna al suo risotto...ahimé troppo esiguo per il suo appetito... ma finito il pranzo mantiene la promessa.
Ritto innanzi a me parla ed agisce illustrando con potenza drammatica il suo semplice racconto che ha la forza di un'epopea. Quando avvenne l'impresa? Interrogo. Ai primi di settembre 1944. Mi trovavo nuovamente fra i miei compagni, in montagna. Ritornavi in città? Ritornavo dalla prigione... ma questa è un'altra storia. Accennala, può essere interessante.
 
In poche parole, l'affare andò cosi. Dopo aver fatto saltare i Tre Ponti fui denunciato da un pseudo amico come informatore dei ribelli e costruttore di radio clandestine.
Agenti dell'U.P.I. in pieno mezzogiorno fanno irruzione in casa mia, immobilizzano i miei sotto la minaccia delle pistole e mi prelevano. Mi trasportano all'ufficio di Piazza del Mercato. Con me c'era Ciccio Corrado, che fu poi fucilato a San Martino il 12 settembre
[1944]. Breve: mi ammanettano, mi denudano il dorso e mi fanno sedere. E comincia l'interrogatorio. Per quattro ore andarono avanti a forza di schiaffi, pugni e calci. Alla fine della seconda ora mi si bruciò della polvere da sparo sulla schiena. Ed io zitto. Mi si fece stendere supino, mi si pose sullo stomaco un asse di mitragliatrice sul quale i miei torturatori sedevano a turno. Ed io zitto. Alla fine mi strapparono i capelli - e si tocca la chioma - con un coltello sdentato. Ma io non ho parlato. 

Bravo! Interrompo.

Ho fatto semplicemente il mio dovere - continua Ghepeu. Mi si porta a Villa Giulia in attesa della fucilazione. Vi resto due giorni e due notti. Il terzo giorno studio un piano di evasione, scardino le inferriate del gabinetto, mi butto nel giardino e... sono di nuovo libero. E questo è tutto.
 
Ritorniamo al ponte della Madonna della Villa.

Dunque mi trovavo nuovamente in montagna. Vi ero da pochi giorni quando Gino [Luigi Napolitano di Sanremo (IM)] con i suoi uomini attaccò il presidio di Baiardo. Ero nei boschi con due miei compagni, Angelo Massa e Nino Vigo, in perlustrazione quando udimmo in distanza il rumore del combattimento incorso. Decidemmo di portarci sulla strada per sorprendere eventuali distaccamenti tedeschi inviati a Baiardo di rinforzo e così facemmo.

Dove vi imboscaste?   
Fra un gruppo di alberi a pochi chilometri a valle di Baiardo, ad una cinquantina di metri dalla strada che conduce al Piazzale della Madonna della Villa.
Un paio d'ore di attesa che ci parvero interminabili, poi vedemmo sbucare in distanza la testa di una colonna tedesca che veniva su di rinforzo in bicicletta. Erano circa settanta uomini quasi tutti in possesso di armi automatiche. Noi si era in tre, armati di moschetto, decidemmo di rimanere sul posto ed attaccare. Non appena il grosso del nemico giunse nei pressi del piazzale, aprimmo un fuoco accelerato. Il nemico si sbandò immediatamente. Qualche colpo fu tirato a casaccio: poi credendo certamente di aver di fronte un forte distaccamento, abbandonò il campo e si ritirò disordinatamente su Ceriana, portando con sé qualche ferito. Il tiro era riuscito in pieno!

Sergio Grignolio (Ghepeú). Fonte: Annalisa Piubello, op. cit. infra

La probabilità che il nemico, specialmente dopo l'ultimo scacco subito, inviasse altri rinforzi era certa. A qualunque costo bisognava interrompere la strada. Mi offersi di far saltare il ponte della Madonna della Villa, operazione che avrebbe, se fosse riuscita, interrotto completamente il traffico tra Ceriana e Baiardo. Mi posi in contatto con altri nostri compagni della zona e, la stessa notte del combattimento, sotto una pioggia dirotta, un piccolo gruppo capitanato da me, da Edmondo e da Mario si portò sul ponte. Vi scavammo tre buche, le riempimmo di esplosivo, facemmo allontanare i compagni e io e Mario demmo fuoco alle micce. Soltanto due mine saltarono: il ponte, per quanto danneggiato, rimaneva servibile. Ritornammo sul posto, preparammo una terza carica, accendemmo e stavamo per ritirarci quando la mina scoppiò improvvisamente. Fummo avvolti in una nube di fuoco e di fumo, mentre una pioggia di pietre ci investiva in pieno. Ma evidentemente qualche santo ci proteggeva, perchè ce la cavammo senza una scalfitura.


La mattina dopo, io, Mario e Gianni Pigati ritornando verso Baiardo incontrammo un gruppo di 5 tedeschi in perlustrazione. Li attaccammo immediatamente e, dopo un breve scambio di fuoco, tre di essi restano sul terreno e gli altri due fuggirono abbandonando le armi. 

Insomma una giornata magnifica!

Certo, certo finisce Ghepeu sorridendo tristemente. L'unico disappunto fu che quando ritornammo in banda trovammo che gli amici avevano dato fondo alle provvigioni e dovemmo accontentarci di un pugno di castagne secche.

Mario Mascia, L’epopea dell’esercito scalzo, Ed. Alis, 1946, ristampa del 1975  a cura di IsrecIm
 
Il secondo racconto del trittico, "Attesa della morte in un albergo", costituisce a sua volta il secondo tempo della vicenda storica sintetizzata da Ferrua.
Il protagonista, un giovane partigiano di nome Diego, insieme al compagno Michele viene catturato dai tedeschi in una operazione di rastrellamento e portato in un albergo per essere o fucilato o lasciato libero. In queste ore di attesa si viene apparentemente a sapere che Michele sarà giustiziato, mentre invece più tardi entrambi i compagni saranno trasferiti a Marassi, il carcere di Genova.
Le poche ore di «attesa della morte in un albergo» danno occasione a Diego per una serie di riflessioni e fantasie.
Il riscontro storico-biografico lo troviamo ancora una volta in Ferrua:
[...] una spiata dirige i nazifascisti a San Giovanni nel corso di un rastrellamento in tutta la vallata che continua fino a San Romolo il 25 novembre 1944. Riescono a fuggire Pier delle Vigne e Flori, mentre vengono arrestati Santiago <60, Leone e Ghepeú [...] Italo Calvino trascorre circa tre notti fra Villa Giulia o Villa Auberg e il carcere di Santa Tecla paventando una fucilazione che lo risparmierà ma mieterà altre vittime. Durante questa breve detenzione si imbatte in Sergio Grignolio [...], in Flavio Gioffredi, e in Fulvio Goya, il quale rievoca l’angoscia di una notte insonne e di un appello all’alba di fronte al plotone di esecuzione. (FERRUA, cit.: 94)
60 «Pier delle Vigne» è Pietro Sughi, «Flori» è il diminutivo di Floriano Calvino, il fratello, all’epoca
sedicenne, di Italo, mentre, come già detto, «Santiago » è il nome di battaglia scelto dallo scrittore.

Annalisa Piubello, Calvino racconta Calvino: l'autobiografismo nella narrativa realistica del primo periodo, Tesi di dottorato, Universidad Complutense de Madrid, 2016

venerdì 19 giugno 2020

I partigiani ed i civili, mercé il suo sacrificio, poterono abbandonare il paese celati al nemico...


Degna, Frazione di Casanova Lerrone (SV) - Fonte: Wikipedia
 
Il 17 gennaio 1945 iniziarono altri rastrellamenti dei nazifascisti contro i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria.
[...] Il 19 gennaio una squadra del Distaccamento "Angiolino Viani" della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante", al comando di Ti Frego o Tifrego Calogero Caramazza, già aviere della Regia Aeronautica, pose una mina anticarro sulla Statale 28 del Col di Nava, riuscendo a colpire un autocarro tedesco carico di soldati, dei quali 7 rimasero uccisi.
A tarda sera del 19 gennaio giunse al Comando della Divisione "Silvio Bonfante" la notizia di una prossima puntata nemica nella parte orientale della  I^ Zona Liguria, a cavallo tra le province di Imperia e di Savona.
Il 20 gennaio 1945 ebbero inizio duri rastrellamenti ai danni soprattutto della I^ Brigata e della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo", della Divisione "Silvio Bonfante", segnatamente nelle valli di Caprauna (CN), dell'Arroscia, di Lerrone (SV), Andora (SV) e Cervo (IM).
I nazifascisti impiegarono tre battaglioni della famigerata Divisione repubblichina Monte Rosa al comando del generale Mario Carloni e quattro compagnie tedesche.
Il preannunciato attacco a catena, con conseguente occupazione dei paesi di passaggio, iniziò alle 4. Tre colonne nemiche, una accompagnata dalla spia Carletto (Amleto De Giorgi, un ex partigiano passato alle dipendenze della Feldgendarmerie di Albenga: conosce strade e sentieri diceva un successivo documento partigiano), ciascuna di 50 uomini circa, partite rispettivamente da Cesio (IM), Villanova d'Albenga (SV) e da Leca, Frazione di Albenga (SV), conversero su Bosco, Frazione di Casanova Lerrone (SV).
A Bosco vennero catturati 16 garibaldini. Al momento di essere fucilati i patrioti tentarono la fuga e 12 di loro riuscirono a salvarsi, raggiungendo poi il loro Distaccamento.
Perirono in quel 20 gennaio 1945 i garibaldini Gino Gino Bellato, William Rosa Bertazzini, Rolando Indusco Martini, quest'ultimo di Serravalle Pistoiese (PT), ma residente a Ventimiglia (IM), tutti della III^ Brigata e tutti di 20 anni di età, ed il russo Gospar, il quale ultimo venne sentito dire qualcosa nella sua lingua prima di morire.
Vennero dal nemico fucilati, come ricordato in seguito, una volta finita la guerra, in una comunicazione ufficiale del 13 agosto 1945 da parte del comune di Casanova Lerrone (SV), due agricoltori, dediti alle loro pacifiche mansioni, Matteo Favaro e Amedeo Boli, di 41 anni.
Contro Degolla, Frazione di Ranzo (IM), alle 7 si diressero tre colonne nemiche, provenienti da Cesio, Pieve di Teco (IM) e Casanova Lerrone (SV). A Degolla era dislocata la squadra di Franco Riccolano (Franco) con 12 uomini armati di moschetti e di un M.G.: rimasero uccisi in combattimento Franco e ed il commissario politico del Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" della III^ Brigata, Giuseppe Giuseppe Cognein, circostanza riferita per iscritto al comando della I^ Zona anche da Don Giacomo Negro, arciprete di Costa Bacelega, Frazione di Ranzo (IM).
Sempre il 20 gennaio veniva ucciso a Ubaghetta, Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM), il partigiano Michele Miscioscia (Mario), nato il 3 novembre 1921 a Lavello (PZ) in Basilicata. Il giorno prima era stato incaricato di portare dei viveri nella zona di Marmoreo. Al ritorno, verso Ubaghetta, trovò il passaggio sbarrato dal nemico. Si lanciò all'attacco con una bomba a mano, sacrificandosi, ma permettendo agli uomini dell'intendenza della Divisione e del Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" di sganciarsi incolumi da Ubaghetta, dove erano stati attestati. ... il 19 gennaio era stato incaricato di portare dei viveri nella zona di Marmoreo; mentre rientrava alla base avvistò una colonna nazi-fascista che si dirigeva verso Ubaghetta: impossibilitato a sorpassare il nemico senza farsi scorgere... non esitava a lanciare una bomba a mano... I partigiani ed i civili, mercé il suo sacrificio, poterono abbandonare il paese celati al nemico... con queste parole la morte di Miscioscia veniva ricordata in una successiva comunicazione del Distaccamento "Angiolino Viani" alla I^ Brigata (che, ad ulteriore conferma del momento drammatico vissuto da quelle formazioni partigiane, aggiungeva "Il 20 gennaio 1945 si è assentato il polacco Valter senza fare più ritorno. Da ultime informazioni risulta che attualmente si trovi presso il Distaccamento di "Domatore" della III^ Brigata...").
Altre perdite umane della Divisione "Silvio Bonfante" in quell'infausto 20 gennaio furono quelle di Antonino Bagatto Amato, caduto in combattimento a Ranzo (IM), e di Attilio Tamburino Obbia, fucilato a Barbigioni nel comune di Ortovero (SV).
Ancora nella mattinata del 20 gennaio 1945 una colonna tedesca, guidata dalla spia Boll, tentava nuovamente di catturare Ramon, Raymond Rosso, capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante", già gravato dalla cattura di tutta la famiglia.
I Distaccamenti "Filippo Airaldi" della II^ Brigata "Nino Berio", "Giannino Bortolotti" della II^ Brigata, e "Giuseppe Catter" della III^ Brigata, tutte della Divisione "Silvio Bonfante", riuscivano a sganciarsi senza perdite dalla zona di Ranzo (IM), Nasino (SV), Alto CN), Aquila.
Il 21 gennaio 1945 il comandante Giorgio Giorgio Olivero ed il vice commissario Gustavo Boris Berio lasciarono la sede della Divisione "Silvio Bonfante", per provare a fare il punto della tragica situazione al comando di Zona, lasciando la formazione affidata al vicecomandante Luigi Pantera Massabò.
Il 21 gennaio la divisione repubblichina Monte Rosa occupava Casanova Lerrone (SV), Marmoreo, Frazione di Casanova Lerrone (SV), Garlenda (SV), Testico (SV), San Damiano, Frazione di Stellanello (SV), Degna, Frazione di Casanova Lerrone (SV), e Vellego, Frazione di Casanova Lerrone (SV), dopo avere già occupato il giorno prima Alto (CN), Borgo di Ranzo (sede comunale di Ranzo), Borghetto d'Arroscia (IM), Ubaga e Ubaghetta, Frazioni di Borghetto d'Arroscia (IM). A Marmoreo il nemico uccise il civile Settimio Testa.
Nei tre giorni successivi le formazioni della Divisione "Silvio Bonfante" sfuggirono ai rastrellamenti  nemici di San Damiano, Rossi, Frazione di Stellanello (SV) e Marmoreo, Frazione di Casanova Lerrone (SV).
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999
 
Solo il garibaldino Germano Cardoletti, Redaval, del Distaccamento “G. Maccanò”, di anni 21, rimane gravemente ferito da una gamba mentre tenta di fuggire. Riesce a nascondersi ma poi viene scovato; portato a Borghetto di Ranzo sopra una scala, riceve una superficiale medicazione, nonostante avesse riportato la frattura dell’osso. Adagliato su della paglia gli è data una coperta e per tre giorni è lasciato privo d’ogni altra cura. Solo un sergente maggiore della compagnia di uomini che si trovano in quel momento a Borghetto, mostra pietà di lui. Il maggiore, comandante di Battaglione, gli aveva detto che sarebbe stato portato all’ospedale di Pieve di Teco. Invece la sera del 22 giunge un tenente con i capelli grigi e dice al Cardoletti che si era riunito il Tribunale militare per decidere la sua sorte: è condannato a morte. Il parroco locale Don Casa e contadini del luogo, si offrono per portare il ferito a Pieve di Teco con la speranza di salvargli la vita. Niente da fare. Il giorno 23 il plotone di esecuzione fa fuoco sul ferito disteso a terra, sulla piazza del municipio. Con uno sforzo supremo grida al nemico: “Sparate! Questa è la fine che vi faranno fare i miei compagni”.
Al parroco è concesso il permesso dell’assistenza spirituale solo all’ultimo istante prima dell’esecuzione.
Da relazione del sacerdote E. Casa, economo spirituale, la quale termina così: “Non mi fu concesso che di poterlo vedere cinque minuti prima del l’esecuzione nonostante dalle 5,30 fossi ad attendere. Non mi fu possibile comprendere il nome di suo padre e di sua madre tanto era debole la sua voce. Appena ucciso ne ricomposi subito la salma nella cassa provvisoria di legno e fu sepolto nel nostro cimitero. Non mi fu possibile darne notizia ai parenti perché privo di qualsiasi documento avendoglieli ritirati i fascisti e già inviati a Pieve di Teco".
Francesco Biga  (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. La Resistenza nella provincia di Imperia dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005 
 
Germano Cardoletti (Redaval). Fonte: Anpi Voghera

Cardoletti Germano “Redaval”, operaio, partigiano della 60a Brigata “Bonfante”; nato a Redavalle il 16 novembre 1924 e residente a Gallarate (Varese); ferito e catturato in combattimento dai nazifascisti il 21 gennaio 1945, veniva fucilato due giorni dopo a Borghetto d’Arroscia (Imperia).
Ugo Scagni, "La Resistenza e i suoi caduti tra il Lesima e il Po", ed. Guardamagna, Varzi, 1995


18 gennaio 1945 - Da 'Dario' [Ottavio Cepollini] alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante" - Informava che "da parte dei tedeschi continua l'interrogatorio di 'Giulio' e 'Dek', 'Boll' collabora con i tedeschi, viene messo spesso con gli arrestati e con il pretesto di essere caduto anche lui in trappola cerca di carpire notizie utili da riferire ai tedeschi. Si cercherà di fare eliminare 'Boll' proprio dai tedeschi. I tedeschi a Pieve di Teco stanno ricostruendo il ponte crollato".
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione sui rastrellamenti subiti il 10 ed il 20 gennaio 1945 "... Il giorno 20 gennaio avveniva il temuto rastrellamento a catena ad opera di forze della RSI e di alcuni reparti tedeschi. Furono attaccate formazioni della II^ e della III^ Brigata; a Bosco il nostro presidio venne dopo una battaglia catturato quasi al completo. Dei 16 garibaldini arrestati, 12 riuscivano a fuggire, evitando la fucilazione. Contemporaneo a questo attacco vi fu quello di Degolla, in cui i garibaldini ebbero 3 morti, 1 ferito e 8 uomini presi prigionieri. A Gazzo un'altra colonna, guidata dall'ex garibaldino 'Boll', catturò l'intera famiglia di 'Ramon', non riuscendo a sorprendere il nostro capo di Stato Maggiore. A Nasino il Distaccamento "Giannino Bortolotti" infliggeva alcune perdite al nemico e poteva ritirarsi..."
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", allegato n° 24, circa le perdite subite nel mese di gennaio 1945: "... il 20, a Bosco, Gino Bellato, William Bertazzini, Gospar, soldato russo, Rolando Martini e perirono in altre località Antonino Amato, Giuseppe Cognein *, Mario Miscioscia *, Attilio Obbia, Franco Riccolano *; il 22 a Pogli Giuseppe Caimarini e Settimio Vignola; il 23 Germano Cardoletti ...".
   * Proposta assegnazione medaglie d'argento alla memoria a Mario Miscioscia, caduto il 20 gennaio 1945 nel tentativo di avvertire i compagni dell'arrivo dei tedeschi, a Giuseppe Cognein e a Franco Riccolano.
2 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sui fatti di Ginestro e di Testico del 27 gennaio 1945, quando vennero attaccate 2 squadre del Distaccamento "Garbagnati" e rimasero uccisi "Brescia" [Mario Longhi] e "Romano" [Silvio Paloni].
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II

lunedì 15 giugno 2020

A maggio 1944 i distaccamenti partigiani dipendenti dal Curto ammontavano a sei


Bevera, Frazione di Ventimiglia (IM)
 
In questi giorni questa Questura sta svolgendo alacri indagini per addivenire alla scoperta di una vasta organizzazione del Comitato di Liberazione Nazionale operante in questa provincia, con diramazione nelle province limitrofe. Si è già sulla buona via per il favorevole esito delle indagini stesse e per l'identificazione dei responsabili.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Al Capo della Polizia - Maderno, 22 maggio 1944 - XXII. Documento <MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4> dell'Archivio Centrale dello Stato di Roma 
 
Nel maggio 1944 furono arrestati tutti i componenti del C.L.N. di Bordighera, tra cui Tommaso Frontero, il capitano Silvio Tomasi [che a Ventimiglia (IM) aveva costituito il gruppo Giovine Italia], il tenente Stefano [in effetti, Nino Giovanni Garibaldi] Garibaldi, dapprima deportati nel campo di concentramento di Fossoli e poi in quello di Mauthausen in Germania, da cui Tomasi e Garibaldi non fecero ritorno…  Ettore Renacci  
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975

[19 maggio 1945 - Strage del Turchino - Vittime: ... Renato Brunati (Venezia, 8/2/1903... Edoardo Ferrari (Olivetta San Michele, 4/4/1922)... Gio Battista Ferrero (Camporosso, 3/9/1924)... Pietro Gibelli (Camporosso, 4/5/1924)... Rinaldo Sozo (Camporosso, 15/10/1922)...]

Anche nella decorsa settimana l'attività dei ribelli nel territorio di questa Provincia è stata notevole.
Frequenti sono stati gli spostamenti di nuclei e le apparizioni di essi negli abitati.
Il 16 corrente, sulla strada regionale Colle di Nava, ad 1 km circa dal Comune di Cervo, alcuni ribelli in abito civile, armati di pistole, aggredivano il soldato Cipollini Enrico rientrante dal servizio al posto di blocco "Ponte Minato" e toltogli il moschetto lo conducevano per circa 500 metri e quindi lo rilascivano, allontanandosi in direzione di Cervo S. Bartolomeo.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Al Capo della Polizia - Maderno, 22 maggio 1944 - XXII. Documento <MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4> dell'Archivio Centrale dello Stato di Roma 
 
[...] giovani che opposero diniego all'ultimatum fascista [che scadeva] il 25 maggio 1944 [...]
A maggio 1944 i distaccamenti partigiani dipendenti da Nino Curto Siccardi ammontavano a sei, considerando anche il gruppo di Mirko [Angelo Setti, in seguito vice comandante della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione"].
Nel medesimo periodo i tedeschi emanarono un ultimatum diretto ai "ribelli" che agivano in montagna. Un titolo eloquente: "Si tratta dell'ultima occasione". Pervenne ai patrioti sotto forma di volantini lanciati da alcuni aerei.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
Nel Comune di Carpasio dei ribelli si recavano nell'abitazione del Commissario Prefettizio, che è anche capo dell'Ufficio Accertamenti Agricoli del luogo, obbligandolo a sottoscrivere una dichiarazione nella quale egli si impegnava a non requisire il bestiame, a non ricercare i renitenti di leva, a non segnalare nominativi di persone da avviare al lavoro in Germania ed a segnalare al capo della banda ribelli l'arrivo in quel comune di tedeschi, carabinieri e militi, minacciandolo di passarlo per le armi qualora non avesse ottemperato all'ordine.
Il capo della banda si firmava nell'occasione: "Ivan l'inafferrabile".
Una banda di ribelli armati, di circa duecento elementi, avrebbe preso alloggio in una villetta sulla strada Colle d'Oggia-Rezzo, in territorio di Carpasio.
[...] Un gruppo di ribelli si recava in località Santa Brigida del comune di Molini di Triora ove catturavano due militari tedeschi e cinque militari italiani ivi di serizio di guardaia alla postazione delle armi automatiche, asportando due mitragliatrici, cinquanta bombe a mano e l'armamento individuale dei militari stessi.
Successivamente i soli due militari germanici venivano rilasciati.
La notte del medesimo giorno i ribelli suddetti penetravano nell'abitato del comune di Molini di Triora, asportando dal municipio un apparecchio radioricevente, seicentoquarantré tessere annonarie di generi diversi ed altri oggetti di ufficio, nonché dai negozi di commestibili circa quattrocentoquaranta chilogrammi di farina e di generi alimentari.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Al Capo della Polizia - Maderno, 22 maggio 1944 - XXII. Documento <MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4> dell'Archivio Centrale dello Stato di Roma

Bevera, Frazione di Ventimiglia (IM): la centrale elettrica

Vittò
[Ivano/Vitò, Giuseppe Vittorio Guglielmo], Erven [Bruno Luppi], Tento [Francesco Tento, già sergente maggiore dei reparti repubblichini G.A.F. (Guardia Armata alla Frontiera)] e Marco [Candido Queirolo] fanno affiggere alcuni esemplari del manifesto [quello dell'ultimatum fascista] nei pressi delle baite che servono da alloggiamento, perchè tutti i partigiani possano liberamente scegliere se andare o stare. Nessuno va; anzi, ogni giorno arrivano nuove reclute.
... quando si avvicina il 25 maggio 1945 gli uomini di Vittò, di Tento, di Erven [Bruno Luppi] e di Marco [Candido Queirolo] ritengono prudente abbandonare "La Goletta" e stabiliscono che il 5° Distaccamento (Vittò e Erven) si recherà in territorio francese, mentre il 4° (Tento e Marco) si recherà ai forti di Marta...
... istruzioni di Curto sull'azione da farsi, distruzione della centrale [elettrica] di Bevera [Frazione di Ventimiglia (IM)], la notte tra il 24 e il 25 maggio 1944. Con Erven [Bruno Luppi] vi sono Aldo di Cetta (Aldo Lanteri) e Argo [Altorino Iezzoni, morto nella battaglia di Sella Carpe a fine giugno] .... non trovando il 5° distaccamento a Cima Marta, dove Vittò non aveva avuta la possibilità di fermarsi... decidono di agire da soli...  Il giorno dopo, 25 maggio '44, al mattino presto, fanno saltare [adattando un obice recuperato sul momento tra le giacenze abbandonate dal disciolto Regio Esercito in una galleria dei forti di Marta] un traliccio dell'alta tensione che portava la luce da Bevera a San Dalmazzo [di Tenda, Val Roia francese, dipartimento delle Alpi Marittime] e alimentava la ferrovia e altri servizi. Il traliccio era molto più in basso dei forti e per raggiungerlo devono scendere. In seguito a tale azione la corrente viene interrotta.
Saltato il traliccio, Erven e i suoi due compagni risalgono a Cima Marta a prendere gli zaini... partono alla volta de "La Goletta" il giorno stesso (25 maggio 1944). Lungo la strada fra la nebbia ancora vicino a Cima Marta incontrano un capitano iugoslavo, di nome Jasic, liberato da un campo di concentramento, proveniente da Oxilia (provincia di Savona) e diretto in Francia... Jasic va provvisoriamente con Erven, Aldo e Argo, anche perché qualche giorno dopo essi avrebbero dovuto raggiungere in Francia Vittò...  Il 26 maggio Vittò, che non si era potuto fermare a Cima Marta a causa della zona inadatta, ritorna in Cetta, mentre il suo distaccamento si trova già in Francia; da altra parte arriva Giulio (Libero Briganti); e si incontrano Vittò, Giulio, Erven. Giulio dice che desidera andare con loro a Cima Marta, dove intanto si era stabilito il 4° Distaccamento (Tento e Marco). Partono per Cima Marta Giulio, Vittò, Erven, Argo e Aldo di Cetta, mentre il capitano Jasic resta in Creppo presso Petrin, che gli insegni la strada più breve per la Francia... A Cima Marta trovano il 4° distaccamento di Tento [Pietro Tento] e di "Marco" [Candido Queirolo] in grande entusiasmo per un'azione fatta poco prima (26 maggio 1944) a Briga Marittima...
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Come risposta il comando partigiano predispose per il 25 maggio 1944, giorno di scadenza del bando, un'offensiva diretta su tre punti importanti, Garbella [località di ponente di Imperia], Cesio (IM) e Capo Berta [tra Imperia e Diano Marina (IM)]. Gli ultimi due tentativi andarono a buon fine, fornendo, inoltre, nuovi armamenti. L'azione diretta da Silvio Bonfante (Cion), comandante del Distaccamento "Volante", riuscì a boicottare un tratto di Via Aurelia all'altezza di Capo Berta con l'esplosione di alcune mine precedentemente piazzate addirittura dai tedeschi.
Verso la fine di maggio 1944 ebbe luogo una prima battaglia di Badalucco (IM) [in Valle Argentina], cui parteciparono anche altri distaccamenti che operavano in modo autonomo, tra cui quello di Domenico Gori [Domenico Simi, in seguito comandante del III° Battaglione "Candido Queirolo" della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni"] e quello di Artù [Arturo Secondo, in seguito capo di Stato Maggiore della IV^ Brigata "Elsio Guarrini"]. E proprio Artù fu determinante per la buona riuscita della missione indirizzata all'appropriazione delle armi che i tedeschi avevano nascosto in una chiesa.
... nuovi volontari... alla notizia che il 4 giugno 1944 era stata liberata Roma...
Nei giorni successivi la banda di Ivan [Giacomo Sibilla, poi comandante del Distaccamento Inafferrabile, dopo ancora comandante della II^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Nino Berio" della Divisione "Silvio Bonfante"] intraprese azioni di guerriglia a Carpenosa [nel comune di Molini di Triora (IM)] e a Borgomaro [in Valle Impero] con la conquista di materiale bellico e la cattura di alcuni militi della Repubblica di Salò.
Con queste azioni si poterono armare circa 100 uomini, tra cui i giovani nel frattempo giunti in montagna.
Il gruppo di Ivan, forte di nuove reclute e di un accresciuto potenziale di armi, potè suddividersi in tre distaccamenti: uno, al suo diretto comando, attestato a Costa di Carpasio [oggi comune di Montalto Carpasio (IM)]; un secondo, quello di Macallé [G.B. Scarella, fucilato a Carpasio il 17 marzo 1945] presso il monte Faudo; l'altro, quello, di Nettù [Netu/Nettu, Ernesto Corradi], andò verso il confine francese per formare il Distaccamento Grammondo...
Rocco Fava, Op. cit.
 
Un'altra banda, meno numerosa, pure tutti armati, si sarebbe concentrata nella zona fra i comuni di Bestagno e Montegrazie, e precisamente nei casolari sparsi sul pendio della quota 559, capitanata da certo Mamberti Giovanni, soprannominato "Gianni", accompagnato da certo Semeria Elio di Vittorio, nativo di Oneglia, maestro.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Al Capo della Polizia - Maderno, 22 maggio 1944 - XXII. Documento <MI DGPS DAGR RSI 1943-45 busta n° 4> dell'Archivio Centrale dello Stato di Roma

lunedì 8 giugno 2020

Il nuovo recapito del comando partigiano di zona era a Case Carli

Nel territorio di Prelà (IM) - Foto: S.M.
 
L'ulteriore sviluppo della situazione militare durante il mese di dicembre [1944] impose, oltre all'attuazione pratica della circolare n° 23, altre modifiche all'organizzazione militare della Resistenza nell'Imperiese [...] Sulla base delle disposizioni generali del Comando divisioni e brigate Alta Italia, l'istituzione del Comando Zona era già stato consigliato ai primi di dicembre dal garibaldino Raffaele Pieragostini (Rossi), inviato del Comando Regionale, membro del Triangolo Insurrezionale delle brigate Garibaldi della Liguria, provvisoriamente stabilitosi presso il 10° distaccamento "Walter Berio". Il Comando Zona doveva essere composto dal comandante, dal commissario, dal capo di Stato maggiore e dai responsabili dei servizi. [...] Con una lettera del 6 dicembre 1944, inviata a "Simon" [Carlo Farini], "Curto" [Nino Siccardi] aveva intrapreso la discussione sul futuro organico del Comando Zona proponendo Lorenzo Musso (Sumi) come probabile, futuro commissario
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura Amministrazione Provinciale di Imperia e con patrocinio IsrecIm, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977


Come si può notare dall'ultima pagina di un documento del 3 agosto 1944, "Simon", Carlo Farini, in precedenza si firmava comandante della I^ e della II^ Zona Liguria - Fonte: Fondazione Gramsci
 
Attestazione della qualifica di partigiano di Lorenzo Sumi Musso. Fonte: Partigiani d'Italia

Tra il 16 ed il 17 dicembre 1944 ebbe luogo nei pressi di Villatalla, Frazione di Prelà (IM), una importante riunione dei capi della Resistenza Imperiese per fare il punto sulla situazione.
Erano, tra gli altri, presenti: Nino Siccardi, "Curto", sino a  quel momento comandante della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"; Giorgio (Giorgio) Olivero, vice comandante; Carlo De Lucis (Mario), commissario; Lorenzo Musso (Sumi), commissario politico al Comando Operativo della I^ Zona Liguria; Bianca Novaro (Rossana), addetta al Comando, Giovanni Acquarone (Barba), addetto alla tipografia.
Nella discussione emerse la nuova situazione in base alla quale le tre Brigate della Divisione si ritrovavano semi-isolate a causa del controllo quasi totale da parte del nemico sia della strada statale Il comando della II^ Divisione decise pertanto di creare due raggruppamenti garibaldini, sufficientemente autonomi, ma sotto la direzione di un Comando di Zona, uno ad est, l'altro ad ovest della SS. 28.
Il nucleo del Comando di Zona venne denominato "Comando Operativo I^ Zona Liguria". Ne diventavano comandante Nino Siccardi, "Curto", commissario Lorenzo Musso, "Sumi", ed ispettore Carlo Farini, "Simon".
Il 19 dicembre 1944 la I^ Brigata "Silvano Belgrano", separata dalla II^ Divisione "Felice Cascione", venne trasformata in Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante", intitolata al valoroso comandante, nome di battaglia "Cion", che l'aveva creata e guidata per pochi mesi, sino alla sua morte in combattimento.
La nuova formazione ebbe come territorio di competenza quello posto a levante della SS n° 28, comprensivo di parte della Val Tanaro, della Val Pennavaira, delle Valli Arroscia e Lerrone, di quelle di Andora (SV), Cervo (IM) e Diano Marina (IM). La Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante" fu costituita su 3 Brigate: la I^, "Silvano Belgrano", la II^,  "Giovanni (Nino) Berio”, la III^, "Ettore Bacigalupo”.
Nei posti di comando della Divisione vennero posti quadri, scelti tra i migliori della Divisione "Cascione". Comandante Giorgio Olivero (Giorgio), vice comandante Luigi Massabò (Pantera), commissario politico Osvaldo Contestabile, vice commissario Gustavo Berio (Boris), capo di stato maggiore Raymond Rosso (Ramon).
Giuseppe Gismondi (Mancen), già comandante della "vecchia" I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano", rifiutando un incarico di maggiore responsabilità, scelse di rimanere al suo posto e venne affiancato dal vice comandante Federico Sibilla (Federico).
Al comando della neo formata II^ Brigata, derivata dall'ex II° Battaglione della "Bonfante", venne posto Gino Fossati (Gino), con commissario Giuseppe Alberti (Gigi).
Mario Gennari (Fernandel) divenne comandante della III^ Brigata, con commissario "Calzolari".
Di conseguenza la II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione" subì alcuni cambiamenti nell'organico di comando. Divennero: comandante Giuseppe Vittorio Guglielmo (Vitò/Ivano),  vice comandante Rinaldo Risso (Tito), commissario Ivar Oddone (Kimi) e vice commissario  Beniamino Miliani  (Miliano).
Le due Brigate rimaste di competenza della II^ Divisione ebbero la seguente riorganizzazione: la IV^, "Elsio Guarrini", fu comandata da Carlo Montagna (Milan), con  vice comandante Mario Bruna (Falco), commissario Angelo Perrone (Bancarà/Vinicio), vice commissario Stefano Pastorino (Steno); la V^, "Luigi Nuvoloni", ebbe come comandante Armando Izzo (Fragola Doria).
L'organico della I^ Zona Operativa Liguria a quella data ammontava a 800 uomini per la II^ Divisione, 600 per la Divisione "Silvio Bonfante" e 600 per la Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati".
Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Le formazioni partigiane ad ovest della statale n. 28 erano collegate alla città con strade e mulattiere ubicate sulla direttrice Sant'Agata [Frazione di Imperia]-Conio; pertanto, in relazione alle disposizioni emanate dall'ispettore "Simon", in linea di massima non dovevano utilizzarsi per azioni di guerriglia per non attirare il nemico con operazioni di rastrellamento che avrebbero ostacolato ogni attività. Tramite Sant'Agata giungevano in montagna staffette che recavano notizie politiche, militari, disposizioni del C.L.N., del Comando S.A.P., del SIM di zona, Adolfo Stenca (Rino) e G. Barla ("Dino" o "S 22"), e grandi quantitativi di materiale e di rifornimenti (da una testimoninanza e da una relazione di "Simon" a "Curto" del 5-12-1944, prot. n. 225/V/20). Destinazione primaria la Segreteria di zona che, diretta da Ottavio Siri (Mario), in dicembre aveva sede sulla costa, da cui tutto veniva smistato ai competenti Comandi e all'ispettore "Simon". Attraverso la Segreteria, oltre la distribuzione della corrispondenza, si realizzavano tutti i collegamenti. Il Comando della "Felice Cascione", alcune settimane precedenti la costituzione del Comando I Zona Liguria, aveva posto invece sede provvisoria in località Grillo, presso Tavole [Frazione di Prelà (IM)]; oltre ad alcuni vicini, possedeva depositi di materiale presso Piaggia [Frazione di Briga Alta (CN), si trova alle fonti del Tanarello alle pendici del monte Saccarello (2.200 m) presso il confine con la Liguria e la parte francese della val Roia], in una casa riposta di cui il proprietario era un certo "Cesare", ed a Ormea [in provincia di Cuneo, Alta Val Tanaro] presso l'intendente "Enzo" che custodiva pure il ciclostile  [...]
In ottemperanza alle direttive impartite dal superiore Comando della divisione "Felice Cascione" il Comando S.A.P. ed il C.L.N. provinciale perfezionavano l'organizzazione di una rete di informatori nelle città di San Remo, Taggia, Porto Maurizio, Oneglia, Diano Marina, Cervo, Alassio ed Albenga.
Le informazioni, per giungere con dovuta celerità e regolarità, dovevano pervenire alla Segreteria di zona, indi essere trasmesse al responsabile SIM [Servizio Informazioni Militari] di zona, "Rino" [Adolfo Stenca], che provvedeva ad inviarle ai Comandi di divisione e di brigata. Alla fine di dicembre "Curto" informava il Comando della II divisione "F. Cascione" (lettera n. 16 di prot.) che il nuovo recapito del Comando Operativo I Zona Liguria si trovava presso l'abitazione di "Rodolfo" a Case Carli [località nel territorio del comune di Prelà (IM)], e, quindi, lì doveva avvenire il collegamento.
Francesco Biga, Op. cit.

mercoledì 3 giugno 2020

Montegrazie, la prima battaglia partigiana in provincia di Imperia

Montegrazie, Frazione di Imperia - Fonte: imperiadavedere.it
 
Nel dicembre 1943 si combatté per due giorni, il 13 ed il 14, la prima battaglia partigiana intorno a Montegrazie, Frazione di Imperia, scontro noto anche come battaglia di Colla Bassa, dal nome di un rilievo a monte del paese "... dove vi erano" si apprende leggendo Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria Savona, 1976, ristampa 2003 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia "dei partigiani non dipendenti dalla banda “Cascione”, con i quali un fascista del posto aveva avuto un alterco...".

Due corriere di fascisti, provenienti da Imperia, si diressero appunto il 13 dicembre 1943 a Montegrazie per una rappresaglia. Quei partigiani, "coadiuvati dalla popolazione, si accinsero alla difesa ed accolsero a fucilate le corriere dei fascisti; alcuni di questi risalirono e fuggirono precipitosamente, altri, invece, si sparpagliarono per i casoni, dopo aver preso in ostaggio alcune persone del luogo". 
Il giorno seguente, 14 dicembre, giunsero da Sanremo circa 100 fascisti delle brigate giovanili, i quali si unirono a quelli rimasti in zona, che appartenevano alla 33^ legione fascista di stanza ad imperia e "iniziarono una perlustrazione sfondando le porte dei casoni e lanciando bombe all'interno". I fascisti in fuga presero come ostaggi due ragazze che tentarono di fare salire su una corriera, ma il fratello di una di queste, Aldo Pellegrino, incominciò a sparare. "Così ha inizio il combattimento... la sparatoria dura fino alla sera".

Il 14 dicembre 1943 arrivarono altre due corriere con diversi fascisti del presidio di Pontedassio (IM). Alcuni partigiani della banda Cascione avevano nel frattempo deciso di intervenire. Mentre si recavano a Montegrazie vari volontari si unirono a loro.

Da una relazione dell'epoca si apprendono alcuni dettagli: "Intanto alcuni uomini di Cascione, che si trovano a Magaietto, sono informati del combattimento. Sono Gustavo Berio (Boris), Rinaldo Risso (Tito), Bruno Semeria (Battaglia), Bruno Nello (Merlo), Giobatta Gustavino (Bacistrasse), Battista Michelini (Gibili), Alfredo Semeria (Clark), Calogero Madonia (Carlo Siciliano) e Alfredo Giovagnoli (Alfredo il Toscano).
Decidono di accorrere. Passando per Costa d'Oneglia reclutano nuovi uomini; giunti alla statale 28'un partigiano spara su di un camion di tedeschi, che transitavano senza accorgersi dei ribelli.
L'automezzo prosegue, senza fermarsi, e mette in allarme il vicino presidio di Pontedassio, sicchè quando Cascione, anch'esso avvertito, si sposterà dalla zona di Evigno per portarsi a Montegrazie, troverà tutti i passi occupati, e si dovrà ritirare, con grave disappunto, sulle basi di partenza. Ma il primo nucleo di uomini, quelli partiti da Magaietto, aumentato degli elementi raccolti cammin facendo, era riuscito a passare, e intorno alle ore 15 del giorno 14 giungerà sulla cresta della collina sovrastante al paese. Sono circa una ventina, armati di bombe a mano e di moschetti; hanno anche un mitragliatore. I ribelli, giunti sulle alture di Montegrazie, e visti sotto di sè i nemici, sparsi qua e là tra un “
casone” e l'altro, che a quanto pare, si divertono a sparare e a lanciare bombe a mano, sparano una prima raffica a vuoto. I fascisti, pensando di avere a che fare con "camerati" i quali abbiano per sbaglio fatto fuoco, si limitano ad innalzare le loro bustine sulle canne dei moschetti, in segno di riconoscimento, e a gridare: "Non sparate! Siamo fascisti!".
Allora i partigiani, capito l'errore, fanno cenno di salire; i fascisti incominciano ad avvicinarsi; poi si insospettiscono e si fermano; visto questo, i partigiani iniziano a sparatoria, e costrigono i fascisti a sbandarsi e a rifugiarsi in un canneto, contro il quale sparano ancora qualche raffica con il mitragliatore.
Poi il mitragliatore si inceppa, ma dai lamenti e dalle grida si capisce che qualche fascista è stato colpito; in seguito, da voci del popolo si apprenderà che alcuni di essi sono rimasti uccisi.
"

Giunsero sulla cresta della collina sovrastante il teatro della prima battaglia "alle ore 15 del giorno 14, sono circa una ventina, armati di bombe a mano e di moschetti: hanno anche un mitragliatore". Il combattimento, che si protrasse sino a tardi, sancì in questo primo scontro la prima vittoria partigiana. Il bilancio per i patrioti fu di un ferito, Bruno Nello, ferito ad una mano da una pallottola "disgraziatamente scoppiata nel suo stesso moschetto" [Bruno Nello Merlo, il futuro quadro della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione", destinato tragicamente a suicidarsi, come dovette fare in quel drammatico frangente un altro quadro della Resistenza, Vittorio Aliprandi, per non cadere vivo nelle mani del nemico, il 25 gennaio 1945 durante il rastrellamento di Tavole, Frazione di Prelà (IM): in proposito vedere anche Gino Gerini "Come morirono Dimitri e Merlo" in "L'Epopea dell'Esercito Scalzo" di Mario Mascia, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975]. Tra i fascisti si contarono alcuni morti. Lasciarono anche due prigionieri, il tenente Luciano Di Paola ed il milite Michele Dogliotti. Cessata la battaglia, i partigiani si ritirarono, "tornando alle loro case ed in parte alla banda, portando con loro i due prigionieri. Di Paola e Dogliotti "vennero trattati nel migliore dei modi; Cascione non vuole che siano uccisi" ed anzi egli che era un medico chirurgo cura "uno di essi che è leggermente ferito (Di Paola) e li lascia relativamente liberi sulla parola. In seguito... il milite Michele Dogliotti fuggirà e sarà causa della morte di Cascione e di altri partigiani".

Relazione di Giancarlo Luca Pajetta, del 25 dicembre 1943, sui fatti di Montegrazie - Fonte: Fondazione Gramsci
Appunti sulla situazione militare della zona di Imperia e di Albenga (SV) per l'Unità clandestina, stesi a fine dicembre 1943 da Giancarlo Luca Pajetta - Fonte: Fondazione Gramsci
 
Un'altra fonte riporta lo scontro in questo modo: < Il 14 dicembre 1943 parte della banda di Felice Cascione venne chiamata a partecipare, soccorrendo altri gruppi locali, al primo scontro armato di un certo rilievo, noto come la “battaglia di Colla Bassa” a monte del paese di Montegrazie nell’entroterra di Porto Maurizio Imperia per rintuzzare la minaccia di una rappresaglia nazifascista. La battaglia, che impegnò un centinaio di uomini tra tedeschi e fascisti, si risolse per questi in un pesante rovescio e diede un primo segnale dell'effettiva consistenza, anche militare, della nascente Resistenza imperiese. Nel corso dell’azione caddero tra l’altro prigionieri dei partigiani un tenente ed il milite delle brigate nere Michele Dogliotti che, condotti presso il comando della banda al Passu du Beu, evitarono la fucilazione grazie all’energico intervento di Cascione: "ho studiato tanti anni per salvare vite umane, ora non mi sento di sopprimerli. Teniamoli con noi e cerchiamo di fargli capire le nostre ragioni". Queste, più o meno le parole che adoperò e che furono riportate dai suoi compagni. Da quel momento i due seguirono gli spostamenti della formazione godendo anche di una certa libertà. La cosa si rivelò in seguito fatale per le sorti della banda e dello stesso Comandante >.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945). Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

venerdì 29 maggio 2020

Venne bruciato il fienile del patriota


Taggia (IM): la Chiesa Parrocchiale di Arma di Taggia

... la sera del 23 gennaio 1945 circa cento SS, armate anche con due mortai, circondavano casa Ghersi ad Arma di  Taggia (IM). I quattro garibaldini,  appartenenti al Distaccamento “Folgore” del Battaglione “Orazio 'Ugo' Secondo” della IV^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Elsio Guarrini” della II^ Divisione “Felice Cascione”, che si trovavano nell’abitazione, vennero immediatamente immobilizzati e torturati. Dei partigiani che si trovavano all’interno del casone il solo Luigi Franco Ghersi, incitato dal fratello Giacomo "Pino" a farlo, riuscì, pur ferito, quando i due fratelli, legati, erano ormai trascinati per strada verso l'esecuzione, a fuggire "perché un tedesco stava per sparargli al capo con una pistola. Infatti fuggì e, nonostante le raffiche di MG 42 e inseguito come una bestia selvaggia, benché ferito riuscì a mettersi in salvo". Venne bruciato il fienile del patriota Raffaele "Lello" Politi. Dopo di che, seguendo una lista fornita da qualche delatore, continuarono gli arresti. I tedeschi si portarono sulla Via Aurelia. Sulla strada si trovarono i cadaveri di tre garibaldini, Vincenzo Morto Pistone, Ermanno Biondo Gazzolo e Mario Nico Cichero, che erano già stati fucilati.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

25 gennaio 1945 - Dal C.LN. di Sanremo, prot. n° 225/SIM, al Comando [comandante Curto Nino Siccardi] della I^ Zona Operativa, al comando della II^ Divisione [comandante "Vittò", Giuseppe Vittorio Guglielmo] ed al comando della V^ Brigata [comandante "Fragola Doria", Armando Izzo] - Relazione militare: [...] ad Arma di  Taggia erano stati trucidati da SS italiane e tedesche 7 patrioti.
5 febbraio 1945 - Dall'ispettore ["Simon",  Carlo Farini] della I^ Zona Operativa Liguria al comando del III° Battaglione della IV^ Brigata della II^ Divisione - Chiedeva informazioni sui fatti di Arma di Taggia del 24 gennaio per i quali furono rinvenuti i cadaveri di 7 uomini della SAP di Arma di Taggia, tutti appartenenti al Distaccamento comandato dall'ex brigadiere Gastone Lunardi ed ordinava di svolgere un'inchiesta sull'insieme delle circostanze.
5 febbraio 1945 - Dall'ispettore della I^ Zona Operativa Liguria al comando della II^ Divisione - Invitava a processare presso il Tribunale della Divisione Gastone Lunardi, già sospettato per la sparizione di 19 quintali di farina, per appurare sue responsabilità nell'uccisione di 7 uomini della sua squadra SAP, strage avvenuta ad Arma di Taggia il 24 gennaio, e sollecitava, oltre che l'inoltro della dislocazione delle formazioni dipendenti dalla Divisione, altresì l'invio allo scrivente di notizie relative a quei caduti.
da documenti Isrecim in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II

I tragici fatti di Arma di Taggia avvenuti intorno al 23 gennaio 1945 vennero riassunti, finita la guerra, in una relazione, un documento oggi Isrecim, anche questo studiato in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II; più precisamente un rapporto del 17 maggio 1945 del comando del IX° Distaccamento "Bianchi" del III° Battaglione della IV^ Brigata della II^ Divisione, inviato al comando del III° Battaglione, che, tra l'altro, riportava: "... Alle ore 20 circa del 23 gennaio 1945 reparti delle SS tedesche e italiane provenienti da Imperia e guidati da una spia procedevano all'arresto in Arma di Taggia ed in regione Castelletti dei garibaldini Giacomo Ghersi, Mario Cichero, Vincenzo Pistone, Vincenzo De Maria, Raffaele Politi, Guglielmo Bosco, Luigi Ghersi ed Ermanno Gazzolo. Tutti i fermati appartenevano al Distaccamento 'Folgore'. Alcuni giorni prima garibaldini del Distaccamento 'Peletta' avevano, su indicazione di Pino Faustini, perquisito la casa dei Ghersi e, dopo un chiarimento, avevano capito che essi erano garibaldini sinceri, mentre Faustini era un individuo 'torbido' che aveva in odio i Ghersi stessi. La sera del 23, quindi, mentre il comandante del Distaccamento si trovava assente... reparti delle SS tedesche e italiane (circa 100 uomini) con due mortai, circondavano casa Ghersi facendovi irruzione. Erano guidati da un borghese con faccia mascherata in parte, cappello calato sugli occhi e bavero del cappotto rialzato. In quel momento si trovavano in casa Ghersi Giacomo e Luigi ed anche Guglielmo Bosco e Vincenzo De Maria. Furono bestialmente percossi, senza alcuna pietà, perché non vollero rivelare la località dove erano nascoste le loro armi con le munizioni e i nomi degli altri partigiani componenti il Distaccamento. Essi sopportarono con coraggio e fermezza la tortura senza pronunciare una sola parola che potesse essere di nocumento ai compagni. Anche i genitori dei Ghersi furono minacciati e malmenati affinché parlassero. Il nipote del Ghersi di anni 11 alle domande rivoltegli dal borghese rispondeva fieramente di nulla sapere, invitando la spia a togliersi la maschera. Altri elementi delle SS appiccavano il fuoco alla baracca di Raffaele Politi il quale, costretto dal fumo e dalle fiamme, dovette uscire all'aperto e arrendersi, fu percosso e seviziato a lungo... un gruppo di SS partì per andare ad arrestare altri i cui nomi erano in una lista in loro possesso. Dopo aver completamento depredato la casa... legati insieme i fratelli Ghersi... i nazifascisti si portarono in Arma di Taggia, sulla Via Aurelia di fronte alla Chiesa. Lungo la strada giacevano già i cadaveri dei garibaldini Vincenzo Pistone, Ermanno Gazzolo e Mario Cichero. Al garibaldino Gazzolo, perché parlasse, furono cavati i denti con le pinze da fabbro, ma nonostante la sofferenza non pronunciò una parola di delazione e si lasciò massacrare. Il Pistone subì la stessa sorte. Alla vista dei compagni morti, accortisi di essere portati nei pressi, Giacomo Ghersi, che era stato slegato dal fratello Luigi, incitava quest'ultimo a fuggire perché un tedesco stava per sparargli al capo con una pistola. Infatti fuggì e, nonostante le raffiche di MG 42 e inseguito come una bestia selvaggia, benché ferito riuscì a mettersi in salvo. Gli altri prigionieri, ormai agli estremi per i tormenti subiti, non potevano tentare la fuga e vennero barbaramente trucidati. Dei loro cadaveri fu fatto scempio". 
Adriano Maini

La sera del 23 gennaio u.s. in Arma di Taggia e regione "Castelletti" 30 militari della S.D. germanica e otto militi dell'U.P.I. effettuavano un rastrellamento per la cattura dei componenti la banda "Folgore".
Sono stati arrestati sette banditi, di cui cinque fucilati sul posto dai germanici, uno trattenuto in arresto e tale Luigi Ghersi evaso.
Venivano recuperati sei moschetti mod. 91, una pistola e sedici bombe a mano, nonché il ruolino completo della banda "Folgore".
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 20 febbraio 1945, pp. 27,28. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti     

domenica 24 maggio 2020

La morte di Felice Cascione


Alto (CN) - Fonte: Wikipedia
 
Il 30 dicembre 1943 Felice Cascione, insieme a due compagni, Giacomo Ivan Sibilla e Emiliano Taganò Mercati, si recava ad Alto (CN) per incontrare i rappresentanti della resistenza albenganese, Libero Emidio Viveri e Franco Salimbeni: venne deciso che le due bande dovevano riunirsi ad Alto (CN) per dare vita ad una manifestazione al fine di sensibilizzare la popolazione locale alla causa della Resistenza.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Il ruscello Pennavaira nasce poco lontano da Caprauna (CN), confluendo nel Centa il quale sfocia  nei pressi di Albenga (SV). 
A Nord-Ovest di Alto CN), sul pendio che da Nord scende verso il rio Pennavaira, vi è la località  denominata Madonna del Lago, distante da Alto un chilometro e  mezzo.
Nella zona si trova una cappella nei cui pressi transita una strada mulattiera in cui sorgono i due  casoni in cui erano accantonati i componenti della banda Cascione: "nella baita più grande erano  alloggiate tre squadre, più la squadra del Comando; nella baita più in alto era alloggiata una squadra  quasi  interamente  formata  con partigiani di Albenga" così ha scritto Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976.
Il 26 gennaio 1944 alla banda Cascione giunse la notizia di un imminente rastrellamento nella zona di Alto da parte dei fascisti; "un gruppo si sposta e va in cresta al passo di Ormea, mentre ad un secondo gruppo di uomini si da carico di restare in prossimità della strada che viene da Case di Nava" (Strato, Op. cit.).
Il rastrellamento venne organizzato sulla base della delazione del fascista Michele Dogliotti, che, come già accennato  nel capitolo  precedente, era stato catturato e curato dal medico partigiano Felice Cascione, riuscendo poi a  fuggire.
I tedeschi giunsero nella zona di Alto il 27 gennaio 1944 intorno alle 7 del  mattino ed occuparono  uno dei casoni.
Rocco Fava, Op. cit.

Antonio Fedor Simonti, Tonino, come lo conoscevano tutti, fu il primo ad avvistare le truppe nazifasciste mentre cercavano di attaccare la Banda di Cascione nei pressi di Alto (CN) e a dare l’allarme ai propri compagni. Molti di essi si salvarono dall’agguato proprio grazie alla sua prontezza e al suo coraggio.
ANPI Imperia

Le bande, malgrado le defezioni, si erano andate rafforzando: dalla città e dai paesi vicini, la reazione nemica costringeva i giovani a fuggire e molti di essi si univano ai nostri.
Il tedesco tentò allora un colpo grosso: il  27 gennaio  500 o  600  uomini salgono parte dalla costa e parte scendono dal Piemonte per circondare e  schiacciare  i  nostri gruppi.
I garibaldini si apprestano alla difesa: pattuglie rinforzate vengono scaglionate intorno ad Ormea; si occupano e si presidiano le creste principali e gli incroci stradali con le scarse armi automatiche disponibili. Il nemico attaccò frontalmente le nostre formazioni a difesa della zona e il combattimento infuriò dalle 8 del mattino alle 2 del pomeriggio. Il numero e l'armamento dei nazi-fascisti era enormemente superiore a quello delle bande e la lotta impari fu ostinatamente condotta per oltre sei ore dai nostri, sorretti soltanto dalla volontà di resistere ad ogni costo.
Alle 8,30 Felice Cascione cade ferito mentre attacca furiosamente insieme a Tito e Gianni di Bestagno. Il suo stato è gravissimo ed occorre portarlo fuori della mischia e curarlo senza indugio. Si tenta di trasportarlo, ma il fuoco nemico batte da tutte le parti e le condizioni del ferito non consentono un'azione disperata. I nostri si lanciano in tutte le  direzioni cercando di aggirare il nemico e respingerlo: ma la massa di fuoco che li investe è impossibile a  sostenere.
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia
 
Cascione, insieme a Rinaldo Risso e Gianni Mamberti, tentò di riappropriarsi della baita. Aprirono il fuoco al quale immediatamente risposero i tedeschi. I tre partigiani, dislocati nel prato attiguo al casone, "cercano di saltare al di là del muro che divide lo stesso prato, ma Felice Cascione rimane ferito ad una gamba" (Strato, Op. cit.).
Nel frattempo, i tedeschi catturarono l'ex carabiniere Giuseppe Cortellucci e "afferrarono Cascione,  lo trascinarono  al  margine del  prato e qui con una raffica di fucile mitragliatore lo uccisero".
Lo scontro del 27 gennaio 1944 rappresenta, per la lotta di resistenza nell'imperiese, una data   importante "poichè dal sangue di Cascione sembrò germogliare, come una pianta meravigliosa,   l'esercito garibaldino che, nel suo nome, corse le nostre montagne" (Mario Mascia, Op. cit.).
Rocco Fava, Op. cit.
 
Il 15 settembre arriva a Imperia Gian Carlo Pajetta ‘Nullo’, per organizzare in zona le future brigate garibaldine, insieme alla moglie Letizia. Anni dopo ricorderà quell’incontro: "Anch’io e Letizia salimmo a trovare i partigiani. Era una formazione tipo quella di Barge. La comandava il dottore Cascione, un giovane intelligente che parlava in maniera pacata, aveva una faccia chiara con la barba un po’ risorgimentale e ispirava subito fiducia a chi lo conosceva, come la ispirava ai suoi uomini".
Oltre a guidare i suoi partigiani, a far loro leggere il Manifesto del partito comunista, ad addestrarli alle armi e a tenere puliti i mitra, Felice cura chiunque in zona abbia bisogno di un medico, e tiene gli uomini pronti a intervenire appena si presenti l’occasione. A metà dicembre avviene il battesimo del fuoco della banda. La legione fascista di Oneglia decide di punire il paese di Montegrazie perché un milite sorpreso a rubare è stato picchiato. All’arrivo delle cinque corriere che costituiscono la spedizione punitiva, parte una raffica di fucilate: un fascista viene ucciso, gli altri rientrano in caserma in cerca di aiuto. Il giorno dopo inizia un rastrellamento, e i partigiani accettano la battaglia; sebbene assai più numerosi, i miliziani sono disorganizzati e vengono colpiti a ripetizione da un mitragliatore ben piazzato in cima a una collina. Una ventina di fascisti rimangono sul terreno, gli altri vanno a chiedere aiuto al comando tedesco. Due di loro sono presi prigionieri e Cascione si ripromette di educarli e conquistarli alla causa della libertà, non a processarli e giustiziarli come capita di frequente in occasioni simili.
Nelle settimane di preparazione alla lotta la banda, riunita di sera attorno al fuoco attendendo che giunga l’ora dell’azione nel casone della Valle di Andora dove è rifugiata, canta e cerca sulle note e arie più celebri di trovare le parole per una ‘sua’ canzone. La scelta cade sulla musica di Katjuša, una melodia russa diventata famosa proprio durante la guerra, che Felice Cascione adatta con parole italiane aiutato dallo studente Silvano Alterisio, nome di battaglia ‘Vassili’. Il brano - che inizia con il verso ‘Soffia il vento, urla la bufera’ - viene cantato la prima volta la vigilia di Natale, nella chiesa di Curenna. C’è ancora tempo per qualche aggiustamento, e infine per accogliere le piccole correzioni fatte dalla maestra Maria, la madre di Felice che cambia la prima parola “soffia” con “fischia”. Il giorno dell’Epifania, sulla piazza della chiesa di Alto, la ballata viene cantata solennemente da tutta la banda. Il testo finale suona così:
Fischia il vento, urla la bufera
Scarpe rotte eppur bisogna ardir
A conquistar la rossa primavera
In cui sorge il sol dell’avvenir
Ogni contrada è patria dei ribelli
Ogni donna a noi dona un sospir
Nella notte ci guidano le stelle
Forte il cuore e il braccio nel colpir
Se ci coglie la crudele morte
Dura vendetta sarà del partigian
Ormai sicura è la bella sorte
Contro il vile che ognun cerchiam
Cessa il vento calma la bufera
Torna a casa il fiero partigian
Sventolando la rossa sua bandiera
Vittoriosi alfin liberi siam

I tedeschi sono da settimane alla ricerca della banda, ma non riescono a districarsi tra i viottoli, le stradine, i villaggi che si succedono e si intersecano in un paesaggio a loro sconosciuto. Intanto i partigiani, a piccoli gruppi, compiono sortite e azioni veloci che raggiungono le caserme dove sono acquartierati i tedeschi e i fascisti, ferendone e uccidendone diversi. Verso la fine di gennaio alla caserma di Albenga capita un evento carico di conseguenze: uno dei due prigionieri dei partigiani fugge e raggiunge i suoi ex commilitoni, descrivendo luoghi, armi, uomini che compongono la banda. Viene subito allestito un rastrellamento e il 27 circa 200 tedeschi accompagnati da fascisti individuano i partigiani. Inizia la battaglia e ‘u Megu’ vuole raggiungere il comando dove ha lo zaino con le attrezzature mediche ma una pallottola lo colpisce alla tibia, spezzandola. I suoi compagni corrono per aiutarlo sotto il fuoco, ma Felice li invita a spostarsi più in alto per combattere meglio e a fuggire.
I partigiani sono tutti oltre le rocce, dove c’è più neve ma si può scappare, i tedeschi non sparano più: hanno preso Cascione, la preda che volevano. E che è solo. È mezzogiorno. I tedeschi hanno iniziato a scendere di nuovo lungo il sentiero. Un gruppetto di camicie nere si avvicina a Felice. Lo trascinano a bordo del prato, sempre lungo il muretto. Uno lo schernisce, gli toglie l’orologio. E un altro gli punta la pistola alla fronte. Un solo colpo. Addio.
Marcello Flores - Mimmo Franzinelli, Storia della Resistenza, Editori Laterza, 2020
 
Fonte: Partigiani d'Italia

Leo ha serbato per oltre settant’anni la borsa medica in cuoio di Felice Cascione (U Megu), dove il comandante partigiano conservava i ferri per la sua professione e che aveva portato con sé anche ad Alto (CN), durante la precoce organizzazione e il comando delle prime bande resistenziali nell’Imperiese e nell’Albenganese.
Dopo la morte dell’eroe Felice Cascione il 27 gennaio 1944 a Case Fontane, la borsa veniva recapitata alla madre Maria Baiardo, che la conservava anche durante il suo segreto occultamento a Villa Faraldi, ospitata, in quanto ricercata dal regime fascista, sotto falso nome in casa della famiglia antifascista Elena. Quando il rifugio, per ovvii motivi era diventato pericoloso, la mamma di Felice aveva traslocato in luoghi più sicuri; la borsa era stata consegnata a Leo che la nascondeva presso uno zio, Pietro Fassio.
Ora la preziosa borsa sarà messa in mostra nel prossimo Museo, dove cercheremo di recuperare per esporla anche una giacca del valoroso comandante, medaglia d’oro della Resistenza.
Ferruccio Iebole, Leopoldo Fassio “Leo” un partigiano, I resistenti, anno XII n° 1 - aprile 2019, ANPI Savona, 31 ottobre 2017
 
[...] il giovane Felice Cascione, uno studente di medicina nato a Imperia nel 1918 e venuto a Bologna per coltivare la sua passione per l’arte medica, per lo sport e per quella politica che poi l’assorbì fino alla morte.
Attivo antifascista sin dal 1940, Cascione, l’anno dopo la laurea conseguita nel 1943, si affianca alla madre nella guida delle manifestazioni popolari a Imperia per la caduta del fascismo. Una marcia per le strade che presto diventa lotta armata: dopo l’8 settembre, Cascione raccoglie infatti un piccolo numero di giovani e nella località di Magaietto Diano Castello anima la prima banda partigiana dell’Imperiese. Guida i suoi ad azioni vittoriose, ma lui, definito da Alessandro Natta "bello e vigoroso come un greco antico", non tralascia mai di prestare soccorso ai montanari delle valli da Albenga ad Ormea.
Una fedeltà alla professione così assoluta da condurlo all’errore. Durante la battaglia di Monterenzio i partigiani catturano un tenente e un milite della Brigate nere (M. Dogliotti). Un impaccio di cui la squadra si vorrebbe eliminare, ma che "U megu" - il dottore - vuole salvare, vedendo l’uomo sotto la divisa: "Ho studiato venti anni per salvare la vita di un uomo - dice Cascione - e ora voi volete che io permetta di uccidere? Teniamoli con noi e cerchiamo di fargli capire". Così i due fascisti seguono la banda in tutti i suoi spostamenti e Cascione divide con Dogliotti, il più malandato, le coperte, il rancio, le sigarette. C’è chi diffida, ma il medico replica a tutti che "non è colpa di Dogliotti, se non ha avuto una madre che l’abbia saputo educare alla libertà".
Passa circa un mese e il brigatista nero fugge. Pochi giorni dopo, Dogliotti guida alcune centinaia di nazifascisti verso le alture intorno ad Ormea, che sa occupate da unità garibaldine. All’alba la battaglia divampa dal versante di Nasino di Albenga. "U megu", con i suoi, tenta un colpo di mano per rifornirsi di munizioni. Il tentativo fallisce. Cascione, gravemente ferito, rifiuta ogni soccorso e tenta di coprire il ripiegamento dei suoi uomini. Ma due di loro non se la sentono di abbandonarlo e tornano indietro: Emiliano Mercati e Giuseppe Castellucci incappano nei fascisti. Mercati sfugge alla cattura, ma Castellucci, ferito, è selvaggiamente torturato perché dica dov’è il comandante. Cascione, quasi agonizzante, sente i lamenti del suo uomo seviziato, si solleva da terra e urla: "Il capo sono io!". Viene crivellato di colpi.
Per il coraggio dimostrato, a Felice Cascione fu conferita la medaglia d’oro alla memoria.
Redazione, Cascione, il partigiano che fece fischiare il vento, UniBo Magazine, 21 aprile 2005