Carpenosa, Frazione di Molini di Triora (IM) - Fonte: Google |
Carpenosa: gruppo di case sparse, adagiate sulla strada che da Badalucco
e Montalto Ligure porta a Molini di Triora e Triora. Al suo fianco
scorre l'Argentina, quel torrente che dà il nome alla vallata e che
tanta parte ha avuto nel corso della lotta resistenziale.
La valle
Argentina è la zona della V^ Brigata di «Vittò» [Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo], una formazione ed un
comandante dal prestigio indiscutibili; un binomio legato ad una corona
di successi popolari, di sacrifici, di somma determinazione e di umanità
senza limiti.
L'Argentina ha conosciuto dei giovani indimenticabili,
parte dei quali passati come splendide meteore dopo avere esaurito, in
qualche mese, tulle le energie vitali di un'esistenza. Ma, molti di
essi, sono sopravvissuti ad un'epopea irripetibile, passati sull'orlo
degli abissi mortali presso cui hanno vissuto sempre, fino a quel 25
aprile conquistato con una determinazione inarrestabile.
Carpenosa è
un piccolo punto e pochi fumaioli, quasi nascosti e timidi. Ma intorno a
quelle poche case, più di una volta si intrecciano e si alternano le
raffiche delle schiere nemiche e gli attacchi partigiani che, partendo
come aquile dai punti più alti di Langan, Cima Marta, Triora, ogni tanto
lasciano il segno sulla postazione nazifascista. Oltre che dai
distaccamenti 4° e 5°, il presidio è frequentemente molestato anche
dalla formazione di Gino Napolitano (Gino) che conta una cinquantina di
uomini. Verso la metà di giugno «Gino» è pronto per uno scontro più
importante del solito. La presa della casermetta di Carpenosa gli
permetterà di dare un'adeguata sede al suo distaccamento. «Gino» già
da tempo esercita pressione sulla guarnigione di Carpenosa, affinché si
arrenda. Ma la trattativa diventa lunga, sicché, spazientito il
Comandante partigiano manda l'ultimatum al presidio: «Arrendersi entro
la domenica successiva. In caso contrario i garibaldini passeranno
all'attacco».
Domenica, diciotto giugno 1944, giornata splendida: il
distaccamento di «Gino», della IX^ Brigata, è sul campo per sostenere la
prima prova veramente dura, dopo le precedenti azioni ed i colpi di mano
di minore entità. Ore 11 e 30: ora è alto il sole della morente
primavera. Trentadue partigiani partecipano all'azione e preparano
l'attacco alla postazione tedesca di Carpenosa.
Ore 12, ecco la
notizia: sale un camion pieno zeppo di nazisti accorrenti in aiuto del
presidio. La tensione è al massimo ed i garibaldini fremono, piazzati
sul costone di un'altura donde è agevole dominare la strada ed il
nemico.
Ma il camion non è isolato: è il primo di un'intera colonna
composta di sette camion gremiti di soldati. Inoltre, ci sono due
autoblinde ed altre truppe armatissime, appoggiate dal tiro di un
cannone da 75 mm.
È proprio giunto per il distaccamento di «Gino» il battesimo del fuoco.
Anche gli uomini di «Marco» [Candido Queirolo] partecipano all'attacco e si battono bene sul campo di battaglia.
I
garibaldini si dispongono a difesa in ordine sparso dietro i cespugli,
mentre la staffetta Aldo Barbieri si reca in motocicletta verso Carmo
Langan per chiedere rinforzi al 5° distaccamento. Ma il comandante «Vittò» non è presente, essendo già partito in missione per Pigna e Passo
Muratone. Non sono rimasti all'accampamento che un centinaio di uomini.
«Erven»
[Bruno Luppi] non esita un istante ed assume il comando dei garibaldini presenti
anche perché, da tempo, sta ascoltando i colpi delle armi da fuoco di
cui non conosce la località di provenienza. Ora è avvisato ed è giunto
il momento dell'azione.
A Langan è in dotazione un mortaio da 81 mm
giunto dal Piemonte privo del congegno di puntamento e della piastra di
basamento. Ciò, nei giorni precedenti, aveva costretto «Erven» a
complicate manovre per rendere l'arma funzionante. La formazione è
dotata pure di un mortaio da 45mm, due mitragliatrici pesanti e vari
mitragliatori.
Tutte le armi ed un certo numero di garibaldini sono
ora sul camion che «Vittò» aveva sottratto ai Tedeschi in Val Gavano il 9
di giugno. L'automezzo si avvia veloce verso il luogo dello scontro.
Agli altri, «Erven» dà l'ordine di raggiungerlo a piedi, il più
rapidamente possibile.
Nel frattempo, la posizione dei partigiani impegnati nella battaglia si aggrava.
Attesa:
i nazisti avanzano, piazzano il cannone e le autoblinde. Iniziano il
fuoco con fracasso enorme. Bombardano anche case e casoni, né
risparmiano San Faustino.
Il silenzio secolare di quei luoghi è
interrotto dallo schianto delle bombe che, come sempre, incute terrore e
causa distruzione e morte, mentre l'eco lugubre rimbalza tra le valli.
Agostino
Moraldo, meglio conosciuto come «Luigi» o «Petrin di Creppo», giace sul
campo di battaglia, ferito gravemente al ventre da una scheggia di
mortaio.
Trascorre lento il tempo: un po' di tregua, un po' di quella
musica dei cannoni. I reparti tedeschi avanzano lentamente e giungono
vicini: ora le armi automatiche partigiane sono efficaci. Fuoco nutrito
ed i Tedeschi arretrano, per poi avvicinarsi ancora. I partigiani
riaprono il fuoco, ed i Tedeschi arretrano nuovamente. Poi, come
un'altalena, ancora per varie volte.
Nel campo garibaldino c'è
entusiasmo e decisione anche se la superiorità numerica e di mezzi dei
nazisti è notevole, aggirandosi approssimativamente sulle quattrocento
unità.
Il pomeriggio è già inoltrato. Il tempo passa lento. Le
munizioni incominciano a mancare. Le armi automatiche dei garibaldini
ora tacciono. Solamente la mitragliatrice di Nuvoloni e dei suoi
aiutanti risponde ancora al nemico come il canto dell'ultima cicala.
Un'ultima raffica ferma alcuni nazisti. Poi tace.
Ad un certo momento
gli uomini di «Marco» e di «Gino» si trovano semiaccerchiati dai
Tedeschi, i quali attendono l'occasione per schiacciarli. Sui partigiani
incombe il pericolo della strage e della morte.
All'improvviso si
scorge, ancora molto lontana, una fila di uomini armati. Interminabili
momenti di incertezza. Poi giunge il camion con i rinforzi partigiani.
Non tutti gli stati d'animo si possono descrivere. Certi fatti restano
soltanto impressi negli occhi per tutta una vita e nella gola par quasi
s'incrocino groppi che impediscono pianto, riso, pazzia di gioia e
d'amore nel contempo. Tale è il momento dell'incontro. «Erven» rincuora
«Marco» già stanco e demoralizzato. «Moscone» [Basilio Mosconi] e «Guido di Cetta» appena
scesi dal camion si portano avanti e mettono in funzione le
mitragliatrici ed i mitragliatori. È fermata l'avanzata dei Tedeschi,
sorpresi dalla ripresa della lotta. Le perdite naziste aumentano.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) Vol. II: Da giugno ad agosto 1944, volume edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, pp. 80-82
Agaggio Inferiore, Frazione di Molini di Triora (IM) - Fonte: Mapio.net |
Episodio raccontato da «Gino» (Gino Napolitano):
Il nostro morale era altissimo. Balzavamo di riparo in riparo come dannati, noncuranti dello scoppio dei proiettili avversari e freschi malgrado l’azione continuasse per ore ed ore. Nel tardo pomeriggio vedemmo spuntare su una cresta al di sopra di noi un gruppo di uomini: erano i rinforzi di Vittò che giungevano. E giungevano portandoci un aiuto prezioso: un mortaio da 81!
Credo ballassi dalla gioia! Ero esultante. Ponemmo il mortaio in postazione ed iniziammo un tiro accelerato. Nello stesso tempo mandai avanti gruppi di garibaldini per impegnare il nemico in combattimento ravvicinato. Scendevo con loro allo scoperto, tra le palle che sibilavano: l’ebbrezza della lotta ci aveva fatto perdere il senso della realtà. Si andava incontro alla morte con passo franco e cuor leggero e la vita, pur sotto la minaccia fatale, ci sembrava una bella e magnifica avventura. Il nemico non ci attese. Lo vedemmo sbandarsi, abbandonare le sue posizioni, correre disordinatamente verso le macchine ferme, montarvi sopra, abbandonando il cannone che recuperammo, sebbene inservibile, e fuggire a tutta velocità inseguito dai nostri colpi. Alle 9 occupammo Carpenosa completamente abbandonata. Il nemico ebbe numerose perdite: trovammo tutto l’equipaggio del primo camion ucciso sulla strada. I resti del camion stesso sono ancora abbandonati sulla scarpata. Nel complesso i tedeschi perdettero oltre 80 uomini fra morti e feriti: un quarto almeno delle forze impegnate nel combattimento.
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 119-121
La cava di Carpenosa. Foto: Eraldo Bigi |
Ormai è chiaro: la Resistenza non sarà battuta malgrado la sua solita inferiorità in numero e mezzi.
Ora i garibaldini sviluppano un fuoco nutrito che provoca scompiglio tra le fila naziste. «Erven», intanto, non perde tempo e piazza da posizione arretrata il suo mortaio da 81. È vicino alla Fereira. Pepin Lantrua, da un rifugio del sottostrada, lo avvisa che c'è un gruppo di partigiani circondati. Il Lantrua, padre di due garibaldini, indica anche ad «Erven» la posizione in cui si trovano i Tedeschi (che, a loro volta, tentano di colpire il mortaio con colpi di cannone) e lo invita a puntare l'arma in direzione di un olmo distante circa trecento metri.
Inizia il tiro dei mortai ed una vedetta segnala ad «Erven» di allungare la traiettoria di una cinquantina di metri. Il colpo successivo centra un camion di truppa. È il primo sostanzioso successo.
Ma i colpi del cannone nemico si avvicinano ed il mortaio è continuamente spostato per non essere colpito.
Quello che accade poco dopo ha dell'incredibile. Un altro colpo e poi si ode un fragore immenso e dal luogo dove sono i Tedeschi si leva una grande colonna di fumo. La granata ha colpito il capannone in cui era situato il dispositivo per il brillamento del campo presso la casermetta di Carpenosa, precedentemente minato dai nazifascisti. Gli effetti sono terribili. Salta pure un tratto di strada.
Intanto, dopo un altro paio di colpi sparati con bombe a grande capacità, il mortaio perde la sua stabilità e diventa inservibile. In mezzo all'immane scoppio, incalzati dal fuoco delle mitraglie, ai Tedeschi non resta che abbandonare il campo dopo aver caricato sugli automezzi tutto il possibile. «Erven» scende verso il basso, con «Marco» attraversa la passerella sull'Argentina e sale a San Faustino per avere una visione del campo di battaglia. I due, affamati, chiedono del pane di cui sentono un fragrante profumo. Un vecchio gliene offre uno grosso, invitandoli a desistere dalla lotta per il timore che i Tedeschi li uccidano tutti. Poi, da una posizione elevata si recano ad osservare la zona. Ai loro occhi si presenta un vero e proprio paesaggio bellico: sul terreno, sconvolto dalle bombe di mortaio, giacciono sparsi corpi umani. I Tedeschi in quel giorno non nuocera nno alle popolazioni dei nostri paesi. Sono fuggiti tutti precipitosamente con il ricordo di una sconfitta vera e propria.
Ore 21: la Resistenza entra in Carpenosa tra l'incredulità degli abitanti dei paeselli all'intorno che temevano veramente per la vita di quei giovani. Ma il miracolo è accaduto e c'è il ritorno agli accampamenti, nella notte, accompagnati dalle canzoni dei «ribelli». (5)
Il 20 di giugno nell'ospedale di Triora cessa di vivere Agostino Moraldo, rimasto gravemente ferito nella battaglia. Il democratico e libero Comune di Triora sostiene le spese del funerale in segno di perenne riconoscenza verso colui che, vittima di una nobile scelta di vita, onorando i suoi concittacUni, tutto ha dato senza nulla chiedere per la causa della libertà. Quando la salma esce dalla chiesa rintoccano le campane e portano tanta tristezza nel cuore di tutti.
Il distaccamento di «Gino» si trasferisce a Carpenosa.
Un altro importante punto strategico dell'Argentina è liberato in quell'esaltante mese di giugno per le forze della Resistenza.
Le perdite dei Tedeschi nello scacco subito a Carpenosa sono state variamente segnalate: Gino Napolitano afferma che il nemico ha lasciato sul terreno oltre 80 uomini tra morti e feriti. Da un racconto di Italo Calvino i morti risultano 72. Da una relazione scritta e non firmata le perdite naziste ammontano a 173 uomini, un camion, cinquanta litri di benzina e materiale vario. Gino Glorio (Magnesia) nel suo diario fa risalire ad alcune decine il numero dei Tedeschi messi fuori combattimento. A noi, sinceramente, alcune cifre appaiono un po' gonfiate. Ma diciamo che le perdite tedesche a Carpenosa non furono poche.
(5) A detta di Ernesto Corradi (Nettù) *, anche il 7° distaccamento ha preso parte alla battaglia, in forma autonoma dalle altre formazioni partigiane.
Riviviamone le vicende attraverso una relazione scritta dal Comandante stesso: "Due giorni prima la banda «Nettù» era partita da Carmo Langan per una missione a Baiardo. Il giorno dopo, sulla via del ritorno, a causa di un violento temporale, gli uomini, inzuppati e fradici per l'acquazzone sopravvenuto, sono costretti a pernottare in un casone semidistrutto. All'alba, confortati dal tempo rimesso al bello, si rimettono in marcia. Arrivati all'accampamento chi ha la possibilità di farlo si cambia gli abiti. All'improvviso giunge una staffetta per chiedere urgenti rinforzi. «Nettù» raduna i partigiani disponibili, i quali, alla svelta, si incammminano per una destinazione non ancora ben precisata a sud di Molini di Triora. «Nettù» si presenta a «Erven» ed a «Marco» e riceve l'ordine di portarsi su San Faustino con l'aiuto di una guida. Questa conduce i garibaldini nei pressi del luogo destinato e si allontana. Il Comandante si inoltra nella borgata e vede alcuni Tedeschi scendere precipitosamente verso il fondovalle. Con i suoi uomini cerca di inseguirli. Ad un tratto scorge, sull'altra riva del torrente, dei nazisti che stavano sparando da un bosco di castagni. Il distaccamento «Nettù» apre il fuoco con la mitragliatrice ed avanza verso i nemici. Mentre attraversa il ponticello vicino alla caserma di Carpenosa s'ode uno spaventoso fragore di esplosione. Un lungo tratto di strada è distrutto. Gli uomini entrano poi nel boschetto e trovano un gran disordine, zaini, elmetti forati, chiazze di sangue. Sulla carrozzabile, dietro la curva, un camion inservibile ma con un serbatoio di scorta pieno di benzina (che in seguito si recupererà). La sera la banda «Nettù» è invitata dalla popolazione a Molini di Triora ed il mattino seguente ritorna a Carmo Langan..."
Carlo Rubaudo, Op. cit., pp. 82-84
* [Sulla controversa figura di Ernesto Netu/Netù Corradi si possono leggere alcuni significativi passi in La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020]
Dintorni di Carpenosa, Frazione di Molini di Triora (IM) - Fonte: Google |
Fu allora che cadde, ferito dalle scheggie, il garibaldino Petrin di Creppo. Le sorti della battaglia arridono ai nazisti […]. Alle nostre mitraglie non resta che ritirarsi. Solo una, la più avanzata, […] tra i cespugli rimane isolata: era la mitragliatrice del futuro eroe garibaldino Luigi Nuvoloni [Grosso] […] i tedeschi riguadagnano i camions e stanno per prendere la via del ritorno, quando, a un dato momento, il mortaio tace.
Cosa era successo?
Facciamo un passo indietro e torniamo ad Erven […].
Che cosa è successo? […] Una fila di uomini stracciati, vestiti delle divise più disparate, i partigiani insomma che scendono verso Carpenosa. Marco e Erven si precipitano per unirsi a loro e avanzare insieme. Sulla strada si imbattono in un camion sfasciato in mezzo a pozze di sangue, brandelli di carne umana, scheggie di mortai, mitragliatori, elmetti, fucili […] La grande esplosione era dovuta alla strada saltata in aria […]
La sera vede il trionfo dei garibaldini vincitori tributato loro dalla popolazione d’Agaggio. Suggestivo è il ritorno: nella notte la fila dei partigiani si snoda verso gli accampamenti al canto dei loro inni.
Fu questa una delle più cruenti sconfitte tedesche nella nostra zona. Settantadue morti ed un numero imprecisato di feriti ne segnano il sanguinoso bilancio.
Mario Mascia, Op. cit., pp. 236-238