domenica 11 luglio 2021

Preferisco la morte al disonore di venire con voi


Fonte: ANPI di Lavello (PZ)

Alla Memoria del Partigiano Michele Mario Miscioscia, nato a Lavello (Pz) Medaglia d'Argento al Valor Militare alla memoria
Mario si arruola volontario nelle gloriose file dei Partigiani. Assegnato alla 6/a Divisione d'assalto "Gaibaldi"- 3/a Brigata "Bacigalupo", operante nella zona di Porto Maurizio (Liguria).
E nell'indomita unità Garibaldina si distingue per sprezzo del pericolo e spirito di sacrificio. Invano i superiori lo esortano a non esporsi troppo. Lui, sordo a ogni richiamo, vuol dimostrare come sanno combatere i soldati d'Italia!!!
Fu appunto in una di queste pericolose sortite, che rimase colpito.... Impossibilitato a ricevere i primi conforti dai compagni, e di raggiungere a causa delle ferite, le sue linee; cadde nelle mani dei nazi-fascisti. Da questi gli viene fatta la proposta se voleva essere  curato .... Era un appello alla vita per il povero Mario, poteva accettare. No!!!
La vita è ben poca cosa quando la si offre per un grande ideale.
"Non voglio niente da voi - disse - finitemi qui, vicino ai miei compagni!"
E la raffica micidiale, crudele e spietata di un ignoto varamaldo lo abbatte cadavere.
Son passati settanta anni o Mario, ma il tuo ricordo non è punto svanito.
Il dolore dei tuoi è ancora acerbo, ma fiero, come fiera e stata la tua morte.
Come fieri sono anche qui, nella tua amata Lavello, i vessilli abbrunati dei Combattenti, che ti onoreranno sempre e che, additandoti quale esempio luminoso ai posteri,diranno: "Fu forte, e morì credendo".
L'olocausto delle tue ventitré primavere, non è stato vano, perché ci hai tracciato la via da seguire che è quella: del bello ed alto eroismo.
La tua morte è Vita!!! E' l'espressione più pura di questa tanto martoriata e misconosciuta gioventù Italica.
La tua tomba è un'ara, sulla quale si inchineranno riverenti le future generazioni.
A te o Mario, a noi che ti seguiremo:
FRATELLI D'ITALIA, L'ITALIA S'E' DESTA!!!
di Achille Occhionero, Lavello 3 novembre 1945
Redazione, Mario Miscioscia, Anpi Mario Miscioscia Lavello

Fonte: la Repubblica

Fotografie, documenti, attestati, riconoscimenti. Semplici carte che per le famiglie di appartenenza e per l’intera comunità diventano patrimonio storico, tesoro da custodire e memoria da tramandare. Raccontano un pezzo di storia dell’Italia del sud che si intreccia con quella personale di uomini e donne che hanno sacrificato la propria vita per la libertà. Antonio Pellegrino, Giuseppe Pace, Michele Mario Miscioscia, Luigi Tudisco, Alfredo Tucci, Domenico Traficante, Donato Pettorruso, Giovanni Pallottino, Mauro Mastrantuono, Luigi Giudice, Alfonso Cesarano, Giovanni Carretta, Mauro Carretta, Mauro Caprioli e Giuseppe Bisceglia sono i cittadini di Lavello (Potenza) che hanno dato il loro contributo alla lotta di Liberazione nazionale come partigiani nelle regioni del nord dal 1943 al 1945. A loro, l’Anpi di Lavello ha dedicato una mostra documentaria frutto di un lungo lavoro di ricerca condotto all'Archivio centrale dello Stato a Roma e visitabile fino al 30 aprile nei locali adiacenti al museo civico della sede del Comune. “Si tratta delle vicende storiche della gioventù dei nostri nonni, dell'emigrazione dalla nostra terra - spiegano gli organizzatori -  ci piacerebbe che le persone trovassero dei riscontri in modo da aiutarci a ricostruire e recuperare la memoria su quegli anni che, comunque la si pensi, hanno lasciato un segno profondo nella storia del nostro Paese”.
Anna Martino, Potenza, l’antifascismo abita a Lavello: mostra documentaria sui partigiani che persero la vita per la libertà, la Repubblica, 26 aprile 2018

Fonte: la Repubblica

Sempre il 20 gennaio veniva ucciso a Ubaghetta, Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM), il partigiano Michele Miscioscia (Mario), nato il 3 novembre 1921 a Lavello (PZ) in Basilicata. Il giorno prima era stato incaricato di portare dei viveri nella zona di Marmoreo, Frazione del comune di Casanova Lerrone (SV). Al ritorno, verso Ubaghetta, trovò il passaggio sbarrato dal nemico. Si lanciò all'attacco con una bomba a mano, sacrificandosi, ma permettendo agli uomini dell'intendenza della Divisione e del Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" di sganciarsi incolumi da Ubaghetta, dove erano stati attestati. ... il 19 gennaio era stato incaricato di portare dei viveri nella zona di Marmoreo; mentre rientrava alla base avvistò una colonna nazi-fascista che si dirigeva verso Ubaghetta: impossibilitato a sorpassare il nemico senza farsi scorgere... non esitava a lanciare una bomba a mano... I partigiani ed i civili, mercé il suo sacrificio, poterono abbandonare il paese celati al nemico... con queste parole la morte di Miscioscia veniva ricordata in una successiva comunicazione del Distaccamento "Angiolino Viani" alla I^ Brigata (che, ad ulteriore conferma del momento drammatico vissuto da quelle formazioni partigiane, aggiungeva "Il 20 gennaio 1945 si è assentato il polacco Valter senza fare più ritorno. Da ultime informazioni risulta che attualmente si trovi presso il Distaccamento di "Domatore" della III^ Brigata...").
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste,  Anno Accademico 1998 1999

A Ubaghetta c’era un deposito di viveri. Nella sera del 22 gennaio 1945 Luigi Boriello (Boriello), dopo essersi portato in Val Lerrone, tornava verso Ubaghetta e decise insieme a Mario Miscioscia e qualche altro partigiano di tentare una puntata sul deposito: se Ubaghetta fosse stata sgomberata avrebbe preso viveri per sé e per i compagni. Giunto a Ubaghetta, il gruppo di partigiani si accorse troppo tardi che il borgo era presidiato: una raffica di mitraglia da una finestra e Miscioscia venne colpito in pieno petto. I compagni cercarono di difenderlo. Boriello sparò contro la finestra da cui era provenuta la raffica, sparò con la pistola tutti i colpi del caricatore, poi non gli rimase che tornare nel bosco, abbandonando il compagno alla sua sorte, in quanto non vi era modo di portarlo in salvo. Raggiunto morente da alcuni militi che occupavano Ubaghetta, molto sofferente e conscio della sua sorte imminente, chiese egli stesso di ricevere il colpo di grazia.                                                                                                         Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021;  La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna,  IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016   ]
 
Nelle prime ore del 20 gennaio tre colonne tedesche ed alcune compagnie di “Cacciatori degli Appennini”, provenienti da Borghetto d’Arroscia, da Casanova Lerrone e da Pieve di Teco, giungono nella zona. La pattuglia garibaldina avvista il nemico e apre il fuoco.
Dal diario militare di Luigi Pantera Massabò:
Il partigiano Mario Miscioscia, di anni 23, addetto dell’Intendenza, mentre ritorna dalla zona di Marmoreo, dove aveva portato dei viveri, nei pressi di Ubaghetta avvista una delle tre colonne nazifasciste che stanno dirigendosi verso il paese. Impossibilitato a sorpassare il nemico senza farsi scorgere per andare ad avvisare in tempo i compagni, trovandosi in una posizione che gli rende difficile la fuga, viene scoperto, per cui non esita a lanciare contro la colonna una bomba a mano, ed avvicinatosi ulteriormente, la scarica contro la sua pistola, in modo da mettere in stato d’allarme i compagni che si trovano nella zona, manda così a vuoto il colpo di mano del nemico, ormai nell’ultima fase di avvicinamento. Mentre compie il valoroso atto, è colpito mortalmente da una raffica di arma automatica.
All’ufficiale fascista che li chiede di darsi prigioniero, in cambio delle cure che gli avrebbe fatto prodigare, risponde: “Preferisco la morte al disonore di venire con voi”.
Tale frase riferiva l’ufficiale stesso, ammirato, alla popolazione di Borgo di Ranzo
.
Francesco Biga 
(con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. La Resistenza nella provincia di Imperia dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005
 
Fonte: ANPI Sezione di Lavello (PZ)

Spett. Comando
Nel territorio della parrocchia di Ubaghetta comune di Borghetto d'Arroscia è stato ucciso dai Cacciatori degli Appennini il garibaldino Miscioscia Mario della provincia di Bari [?] appartenente all'intendenza della brigata (II?) il giorno 20 gennaio 1945.
Fu religiosamente seppellito nel cimitero il giorno 21.1.45.
Questo mi è noto
Sac. Igino Rebaudo, Dichiarazione relativa all'uccisione di Mario Miscioscia. Fonte: ANPI Sezione di Lavello (PZ)
 

 
 

31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", allegato n° 24, circa le perdite subite nel mese di gennaio 1945: "... il 20, a Bosco, Gino Bellato, William Bertazzini, Gospar, soldato russo, Rolando Martini e perirono in altre località Antonino Amato, Giuseppe Cognein *, Mario Miscioscia *, Attilio Obbia, Franco Riccolano *; il 22 a Pogli Giuseppe Caimarini e Settimio Vignola; il 23 Germano Cardoletti ...".
   * Proposta assegnazione medaglie d'argento alla memoria a Mario Miscioscia, caduto il 20 gennaio 1945 nel tentativo di avvertire i compagni dell'arrivo dei tedeschi, a Giuseppe Cognein e a Franco Riccolano. 
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II
 

lunedì 5 luglio 2021

Il Marinaio Rinaldo Delbecchi morì fucilato dai Tedeschi a Nava all'età di 26 anni

La zona Ponte di Nava, nel comune di Ormea (CN) - Fonte: Mapio.net

Intanto i Tedeschi, che si preparavano a schiacciare in Piemonte la I e la V brigata, accortisi del deflusso degli uomini verso la Liguria, anticipando i piani strategici, attaccano il 12 di novembre [1944] nella valle Ellero.
Le prime forze impegnate sono i partigiani badogliani delle brigate "Mauri", a cui i garibaldini della Cascione si erano collegati.  
Furono queste le iniziali avvisaglie di un gigantesco rastrellamento che, come vedremo, doveva terminare il 20 di dicembre con la conseguente distruzione, pressoché totale, delle formazioni badogliane nel basso Piemonte.
Le formazioni avevano resistito validamente all'urto, ma il giorno successivo i nazifascisti riuscivano ad occupare parte della valle Ellero con lo scopo di ottenere il controllo della strada Mondovì-Cuneo.
I badogliani sgomberano definitivamente la valle il 12 ritirandosi in val Corsaglia (11), mentre tutte le formazioni garibaldine si pongono in stato d'allarme.
Durante la notte e il mattino seguente forze fasciste si spingono fino a Frabosa Sottana, ma un contrattacco le costringe a ripiegare sulle posizioni di partenza. Sul limite del versante ligure pattuglie tedesche, già spintesi da Garessio fino a Ponte di Nava, avevano tentato di intercettare il 10 di novembre le formazioni garibaldine in movimento.
Il distaccamento d'assalto "G. Garbagnati" con alla testa «Mancen», comandante della I brigata, lascia Fontane di Frabosa alle 7,30 del 13, ma a Pornassio il trasferimento viene funestato dallo scoppio accidentale di una bomba a mano greca custodita nello zaino del viceresponsabile S.I.M. "Rinaldo" (12) che ferisce in modo grave e uccide il garibaldino austriaco Franz Mottl (Carlo), nato a Vienna il 20-10-1917, capace armaiolo, venuto in banda da Diano quando "Cion" [Silvio Bonfante] il 10 luglio l944 aveva attaccato le caserme locali.
[NOTE]
(11) Da relazione del S.I.M. di brigata al Comando II divisione F. Cascione (prot. N 174, 12/11/1944): Informatori comunicano che formazioni nazifasciste hanno attaccato le posizioni dei patriotti di Martello (Valle Ellero). Il combattimento è proseguito per tutta la notte e sembra continui nella mattinata. Operazioni di rastrellamento sono state compiute ieri a Mondovì, dove molti sono i mezzi meccanici colà accentrati. Sembra che i nazifascisti abbiano intenzione di eseguire un rastrellamento in grande stile (nota del red.: questi attacchi furono l'inizio del grande rastrellamento di Fontane descritto da Gino Glorio (Magnesia), nel capitolo che segue).
(12) Ferito il 13 novembre 1944 a Pian Soprano (Ponti di Pornassio), Rinaldo Delbecchi (Rinaldo), viceresponsabile del S.I.M. I brigata, veniva affidato dai compagni di lotta, disperati per i continui rastrellamenti, ai contadini di Pornassio. Riportiamo qui l'episodio della sua morte tratto dal Corriere d'Imperia del 4/8/1945, organo ufficiale del C.L.N. provinciale.
" ...  Da  Oliveto arriva la sposa Maria, veramente sempre pensata e adorata, e trova Rinaldo dagli occhi senza splendore e senza speranza, e sente che non possiede più una grande riserva d'energia. Ella, la sposa di un eroe, è forte e il suo viso chiaro e biondo si china benefico sulle ferite e aiuta Rinaldo a portare per qualche giorno la sua carne dilaniata e dolorante da rifugio a rifugio. È la notte del 17 di novembre e il silenzio desolato è interrotto, tratto tratto, dal malinconico e sinistro grido di uccelli notturni. Rinaldo e  Maria sono soli col buio, con il dolore e con la morte. Improvviso e martellante si ode, incerto prima e poi distinto, un rumore di scarponi. - Rinaldo! - grida spaventata la sposa - Rinaldo, i Tedeschi! - Era vero, e mentre Rinaldo le fa coraggio i nazisti buttano giù la porta e dopo un lento girare nel buio, eccoli, e appena arrivati maltrattano la carne già maltrattata. Quando un bieco e  briaco soldato del nord picchia la sposa, Rinaldo freme, si getta disperatamente dal giaciglio per difenderla..., non regge e sviene. Lo battono e ritorna in sé; il giovane sente vicina la morte e abbraccia la sposa, le affida il dolore della mamma, parla del fratello, dei compagni patriotti e della sua casa lontana... e non curante di sé: - fatti coraggio - dice alla sposa: - ricordami come il tuo migliore compagno. Addio! - E, mentre i loro cuori si chiamano disperatamente, Rinaldo è strappato a viva forza dalle braccia della sposa e gettato su un carro; dopo un po' di strada un soldato tedesco lo fredda con alcuni colpi di rivoltella al capo. Vicino, la sposa e gli abitanti di Pornassio. Nella triste e sanguinosa aurora tremano, piangono e pregano per il giovane eroe...".

Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977, pp. 317-319                                                               

Verso il 10 novembre giunse l'ordine di ritornare in Liguria. Io partii con un gruppo formato da una decina di uomini, tra cui mio cugino "Nino", Rinaldo Delbecchi, Gustavo Berio ("Boris"), due ex sanmarchini, il maresciallo austriaco Carlo ed alcuni altri.
Giunti al passo del Bochin d'Azeo, che attraversammo durante una bellissima giornata, anche se fredda, assistemmo ad uno spettacolo per me mai visto (lo rividi nel 1989 quando per la prima volta viaggiai in aereo). Sul versante della Liguria scorgemmo una massa di nubi bianche che copriva monti e valli, e sopra un sole tinto di rosso pieno che illuminava e arrossava tutta quella distesa bianca. Era uno stupendo panorama e in quel momento pensai quanto sarebbe stato bello il mondo se non fosse continuamente insultato da uomini criminali assetati di potere e di ambizioni.
Due  giorni dopo stavamo per giungere a "Cian Survan" (Pian Soprano), situato in un bel pianoro, a monte del paese di Ponti di Pornassio. Marciavamo come sempre in fila indiana poiché non sapevamo se nel pianoro ci fossero dei nemici. Ad un tratto sentimmo una forte esplosione e immediatamente ci sparpagliammo nei dintorni, preparandoci alla difesa.
Pensavamo che il nemico ci avesse scagliato contro una bomba a mano.
Non seguirono altre esplosioni, però sentimmo dei lamenti come se qualcuno fosse rimasto ferito. Infatti Rinaldo era a terra e perdeva sangue dalla schiena: gli togliemmo lo zaino dalle spalle e constatammo che era seriamente ferito.
Invece Carlo, che durante la marcia camminava dietro Rinaldo, ricevette in pieno viso lo scoppio di una bomba di fabbricazione greca, che lo stesso Rinaldo aveva nello zaino, rimanendo ucciso sul colpo.
Alcuni rimasero feriti lievemente, tra cui un sanmarchino che perse la punta del naso.
Provvedemmo a trasportare Rinaldo nel pianoro e con acqua gli pulimmo le brutte ferite. Non gli potemmo dare niente, nemmeno un antidolorifico. In qualche modo seppellimmo Carlo. Questi era un austriaco che, quando "Mancen" l'll luglio 1944 con il distaccamento "Volantina" aveva attaccato la caserma di Diano Castello (la "Camandone"), a differenza di altri, era passato dalla parte dei partigiani; aveva sublto parecchi rastrellamenti, era rimasto sbandato più di una volta, ma era sempre rientrato nei ranghi; era un abilissimo armaiolo, prezioso quando si dovevano riparare le nostre armi.
Rimanemmo qualche giorno a Pian Soprano.
Nel frattempo era arrivato da Albenga a visitare Rinaldo un medico il quale ci disse che bisognava portare il ferito all'ospedale di Pieve di Teco per estrargli delle schegge dalla schiena e dai reni (urinava sangue).
Chiedemmo aiuto agli uomini delle SAP locali: infatti ne giunsero quattro che, in un telo da tenda, trasportarono il ferito a Ponti di Pornassio e poi, in giornata, a Pieve di Teco.
Ma le spie erano già in funzione.
Infatti il partigiano Zanazzo, che lavorava in un bar, udì alcuni soldati tedeschi che, seduti ad un tavolo, parlottando tra di loro, dicevano che all'alba del giorno successivo si sarebbero recati a Pian Soprano per sorprendere alcuni partigiani che avevano dei feriti.
Lo Zanazzo si premurò di informarci.
ln conseguenza di ciò, nel pomeriggio, io e il commissario Osvaldo Contestabile cercammo nel bosco un luogo ove nasconderci. Trovammo una grotta quasi inaccessibile che, però, stillava acqua dalla volta. Pensammo che l'umidità era meglio dei tedeschi e perciò ritornammo nella baita per cenare e dormire, ma con l'intendimento di tornare a nasconderci nella grotta.
All'alba svegliai i presenti per incamminarci verso il luogo sicuro, ma "Boris", che non so bene come fosse capitato lì, disse che c'era tempo. Probabilmente aveva un appuntamento con Carlo Carli, che operava con i badogliani e che qualche tempo prima, mentre ero di guardia, avevo visto in compagnia di un partigiano, forse accompagnato dove eravamo dalla ragazza Nelly che, sfollata a Ponti di Pornassio, collaborava con la SAP locale.
Dissi a "Boris" e agli altri che, se volevano restare, restassero pure nella baita. Io mi incamminai verso il rifugio e notai, però, che, tosto, tutti mi seguivano. Fatto sta che avevamo appena oltrepassato il pianoro quando sentimmo il vociare dei tedeschi accompagnato da spari. Erano circa una trentina e, non trovando nessuno, incendiarono la baita.
Anche questa volta salvai la pelle.
Semidisarmati come eravamo, non avremmo potuto far fronte al nemico armatissimo. In seguito due pastori, che avevano le greggi nei dintorni, ci raccontarono che i tedeschi erano giunti sul luogo con gli scarponi imbottiti di stracci per non farsi sentire e che, nell'occasione, si erano impadroniti di una dozzina di pecore.
Purtroppo Rinaldo Delbecchi venne catturato, portato a Pieve di Teco sopra un carretto, e dopo poco tempo, benché ferito, fucilato.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998, pp. 67-69
 
Rinaldo Delbecchi - Fonte: Giorgio Caudano

Durante il ritorno in Liguria, dopo le settimane in cui gran parte della Cascione aveva trovato rifugio a Fontane, Rinaldo Delbecchi rimase seriamente ferito dallo scoppio accidentale di una bomba a mano che teneva nel proprio zaino, deflagrazione che costò la vita al disertore austriaco Franz Mottl. Delbecchi venne affidato a dei contadini di Pornassio. Nella notte del 17 novembre i tedeschi fecero irruzione nel casone dei Ponti di Pornassio, dove Delbecchi aveva trovato rifugio e, benché ancora con le ferite aperte, venne trascinato fuori e ucciso con alcuni colpi di pistola alla nuca.
Giorgio Caudano, , Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020

Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021;  La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna,  IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016 ]

Non meno marcata ed efficace è l'attività delle spie nella zona di Pieve di Teco ove operano con rapidità. Di conseguenza, la notte del 16 novembre 1944 i Tedeschi spingono una colonna di 60 uomini fino a Ponti di Pornassio. Cercano il Comando della I brigata, come primo obiettivo, ed un partigiano ferito, come secondo. Perquisiscono alcune case; poi la spia, accertato il nascondiglio di Rinaldo Delbecchi (Rinaldo) fu Carlo, nato a Castelvecchio il 19.8.1916, di cui abbiamo già descritto l'episodio, lo fa catturare e massacrare.
Francesco Biga, Op. cit., p. 347

Imperia. Nei giorni scorsi l’allieva della scuola Pantà Musicà, Salwa Amillou, ha superato brillantemente l’esame pre-accademico del corso di violino al Conservatorio Paganini di Genova. Molto spesso succede che allievi modello del corso superino brillantemente esami impegnativi come questo. Inoltre durante questa difficile prova l’allieva ha suonato un strumento di enorme prestigio: il violino che fu di Rinaldo Delbecchi, il partigiano che perse la vita durante la Resistenza. Il violino appartiene ora alla famiglia Bruzzone che lo ha gentilmente concesso alla bravissima Salwa così come a Marko Kurtinovich, un altro allievo della scuola Pantà Musicà, che ha suonato a San Bernardo di Conio (Comune di Borgomaro), lo scorso 3 settembre in occasione del 73mo Anniversario della “Battaglia di Montegrande“, una manifestazione dedicata ai caduti per la Libertà. La Storia, discreta, ci sussurra i suoi insegnamenti anche attraverso la musica e i suoi strumenti, che sopravviveranno certamente all’inevitabile decadimento della tradizione orale.
Redazione, La giovane Salwa Amillou supera l’ammissione al conservatorio Paganini suonando il violino del partigiano Rinaldo Delbecchi, Riviera24.it, 3 ottobre 2017

[...] Seguiranno quelli della Campagna di Russia: il Fante Wamoes Zaffoni, della Divisione di Fanteria ‘Sforzesca’, caduto ventenne in azione e tre Alpini del Battaglione ‘Pieve di Teco’, morti durante la ritirata (il Tenente Rodolfo Beraldi, ventisettenne, e gli Alpini Paolo Berio, ventunenne e Attilio Schivo, ventisettenne). Ultimo della lista il Marinaio Rinaldo Delbecchi, imbarcato sull'Incrociatore ‘Duca degli Abruzzi’, che dopo l'8 settembre si unì alla Resistenza e morì fucilato dai Tedeschi a Nava all'età di 26 anni [...]
Redazione, Imperia: sabato prossimo, inaugurazione della nuova lapide ai Caduti della frazione di Oliveto, Sanremo news.it, 9 dicembre 2015

mercoledì 30 giugno 2021

Il parroco porta le lettere al capitano Cristin

Molini di Triora (IM) - Fonte: Comune di Molini di Triora

Ricavo i dati da miei appunti del tempo e da una relazione del parroco di Molini di Triora (IM), in Valle Argentina, di cui segno tra virgolette le parole.
"Quando si ebbero i primi scontri armati tra le truppe nazifasciste e le bande partigiane a Carmo Langan, a Badalucco, a Carpenosa, a Santa Brigida, Molini fu subito sospettato dai tedeschi come centro di bande e ciò creò in essi quello stato d’animo di avversione verso i suoi abitanti".
Il martirio di Molini iniziò il 3 luglio 1944. Colonne di tedeschi puntavano sul paese da ogni parte. Presa dal panico, la popolazione, quasi in massa, abbandonò l’abitato e si diresse verso Corte o giù nei fondovalle. Ovunque i tedeschi passavano, sparavano a scopo intimidatorio o per paura.
"Fu durante questa sparatoria iniziale che caddero le prime vittime. Maiano Antonio, padre di famiglia, raggiunto dalla mitraglia in località Euscio. Fu ferito al ventre per il che si trascinò faticosamente, aiutato da Capponi detto Tulalua, fino a casa ove spirò la mattina seguente; Basso Pietro,vecchio di 78 anni e . . . a fianco veniva atterrato Bronda Pietro di Triora, 53 enne … Sulla strada di Perallo cadeva Moraldo Giacomo ed il 73 enne Arnaldi Francesco".
Il parroco ed il Commissario Prefettizio tentarono di parlamentare con il comando tedesco senza alcun risultato.
"Agli spari si aggiunse il saccheggio. Penetrati nelle case i nazifascisti prescelsero gli oggetti di valore, vestiti, capi di biancheria; rinchiusero il tutto in valigie, in sacchi, in ceste, e I’asportarono. Nelle case bivaccarono, ruppero oggetti, insudiciarono. Urla e canti di ubriachi si alternarono tutta la notte con violente quanto inutili raffiche di mitragliatrice".
La casa Campoverde, in Via San Bernardo, dopo uno scoppio cominciò a bruciare. La scusa fu che vi si erano trovate armi.
"… Fattosi giorno, la soldataglia usciva dalle case ed invadeva tutte le strade, convertendo la pirateria in un vero carnasciale stomachevole: ubriachi fradici, indossando vesti femminili, cantando sguaiatamente e continuando a tracannare vino, i soldati si spargevano un po’ dovunque, pronti ai richiami che indicassero case di maggior bottino . . . I capi facevano comunella con la truppa e lo stesso capitano comandante non rimaneva indietro nell’opera dei gregari".
Il parroco, che troppo si interessava alla sorte dei suoi parrocchiani, fu rinchiuso in casa sua e guardato a vista.
"ll 5 luglio si iniziò con l’incendio della casa Caldani in località Gianchette. La motivazione era che vi avevano trovato armi".
I nazifascisti si consideravano “Padroni” ed il saccheggio veniva chiamato “Premio di guerra”. In mattinata fu ritrovato il corpo di Allaria G. B. Secondo, ucciso probabilmente la sera del 4 e buttato sotto strada vicino al fossato in località Fontanelle.
"Alcuni reparti, il giorno 5 luglio 1944, si accingevano a partire. Una trentina di camion, stracarichi di masserizie, biancheria, vestiti, asportati dalle case… Purtroppo però la tragedia non era finita. La truppa ladra aveva lasciato dietro di sé il reparto guastatori e questi si erano messi subito alla loro triste opera".
Il  parroco era andato a cercare i suoi parrocchiani nascosti. Quando giunsero. presso il paese sentirono scoppi in ogni casa. Nello spazio di un’ora il paese era tutto un rogo immane.
Il giorno 6 luglio i più ardimentosi cercarono di estinguere i fuochi e salvare il salvabile.
Nel loro ritirarsi i nazisti avevano fatto un’altra vittima: Allaria G. B., novantenne, trovato sepolto sotto le macerie della propria casa.
Durante questo rastrellamento fu compiuto dai nazisti uno degli episodi più esecrandi di criminalità.
Catturarono qua e là nove persone provenienti da Gavano. Due da Sanremo, nativi di Corte, ed uno di Badalucco. Tra esse una giovinetta di 16 anni. Rinchiusi in una stalla-scantinato, torturati, furono inzuppati di liquido infiammabile e bruciati. Dopo la loro morte fu fatta crollare su di esse, mediante tritolo, la casa. Le vittime furono scoperte quando i loro corpi ormai in putrefazione, segnalarono la loro presenza.
I loro nomi sono:
Allaria Olivieri G.B. di Gavano
Faraldi Enrico di Gavano
Faraldi Livio Antonio di Gavano
Moraldo Vincenzo di Gavano
Allaria Olivieri Gerolamo di Gavano
Aliaria Olivieri Giuseppe di Ant. di Gavano
Allaria Olivieri Giacomo di Gavano
Allaria Olivieri Giuseppe fu Antonio di Gavano
Moraldo Maria Caterina di Gavano
Anfossi Virgilio di Sanremo
Pastorelli Domenico di Corte
Donzella Angelo di Corte
Boeri Antonio di Badalucco.
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di “Domino nero”  Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975 

Molini di Triora, poco distante dal confine francese, era importante per i nazifascisti per la sua posizione strategica e l'aiuto elargito ai partigiani. Per tutti questi motivi, in occasione di un forte rastrellamento organizzato dai Tedeschi ai primi di luglio del 1944 per annientare le forze partigiane della provincia di Imperia, Molini di Triora era incluso nell'elenco dei paesi da punire e terrorizzare.
Il 3 luglio 1944 intorno a mezzogiorno si sparge la voce dell'imminente arrivo di truppe tedesche e la popolazione impaurita abbandona il paese, fuggendo precipitosamente. Gli abitanti si sparpagliano nelle zone limitrofe all'abitato, mentre il nemico investe il paese con due colonne convergenti da due direzioni (una scendendo dal Pizzo attraversando la frazione di Andagna e l'altra partita da Carmo Langan).
Verso le 17.30 le due colonne stringono il paese in una morsa. Cadono le prime vittime (Maiano, Basso, Bronda, Moraldo Giacomo).
Il parroco Don Ferdinando Novella e il Commissario prefettizio Carlo Viale cercano, a loro rischio, di trattare con il Comandante tedesco per indurlo alla clemenza sottolineando che non sono presenti formazioni partigiane e la popolazione è costituita da soli pacifici agricoltori. Malgrado le assicurazioni dell'ufficiale la sparatoria non cessa, anzi aumenta di intensità.
Occupato Molini di Triora, iniziano i saccheggi, le ruberie, le distruzioni e le gozzoviglie.
Il 4 luglio 1944 il parroco, dopo aver ottenuto il permesso dal comandante tedesco di uscire dall'abitato per andare a dar conforto agli abitanti fuggiti, per tre volte viene sempre bloccato dalle sentinelle.
Don Novella passando per il paese osserva inorridito gli effetti del saccheggio effettuato il giorno prima che non è ancora cessato, anzi inizia la distruzione e l'incendio di numerose case con la scusa di ritrovamento di armi da guerra da parte dei tedeschi.
Gravissimo il fatto avvenuto presso la Casa Campoverde in via San Bernardo (attualmente Via Nuova) - dal racconto del parroco Don Novella -: risulta che i nazifascisti avevano rastrellato dalle frazioni limitrofe 13 persone quasi tutti padri di famiglia, apolitici, laboriosi, tra i quali una ragazza di 16 anni (Moraldo Maria Caterina) rastrellata mentre portava le mucche al pascolo. Gli ostaggi furono rinchiusi in uno scantinato usato come stalla e dopo immancabili vessazioni si ipotizza che, dopo essere stati inzuppati di liquido infiammabile, furono bruciati vivi e quindi per occultare l'orribile delitto fu fatta crollare su di essi, con il tritolo, la casa. Furono ritrovati dopo quindici giorni dagli abitanti e dai parenti attirati dall'odore di cadaveri in decomposizione. Le salme furono sepolte nel Camposanto del paese.
Il 6 luglio 1944: non s'odono più scoppi e si placano gli incendi. La gente scende dalle alture e s'avvicina al paese. Molini di Triora si presenta in tutta la sua disperata desolazione: 104 case su 150 sono sinistrate ed interi gruppi di abitazioni sono crollati in blocco. La casa canonica è bruciata e con esso il suo archivio parrocchiale, il municipio è crollato sotto l'opera del tritolo, l'archivio municipale bruciato, distrutti l'oleificio, il mulino,l'ufficio postale, i due alberghi e la rimessa automobilistica Lantrua.
In questi orrendi primi giorni di luglio, gli altri piccoli centri non vivono molto più tranquilli del martoriato paese di Molini di Triora. Brucia Bregalla, spari su Andagna, su Creppo, alla Goletta, invasi Loreto, Corte, Cetta.
Ferro e fuoco anche nel Comune di Triora e le sue frazioni (2-5 luglio 1944). Reseconto finale dell'incendio: distrutte o rese inabitabili una settantina di case; cinquantadue famiglie restano senza tetto in un paese come Triora già spopolato dall'esodo. Alcune si sistemano presso i parenti; altre, che non possiedono nulla a Triora, s'allontanano per sempre.
Da “Storia della Resistenza imperiese” vol. II di Carlo Rubaudo (da pag. 177 a pag. 184 e pag. 193) e da “Il Martirio di Molini di Triora (3 luglio 1944 - 25 aprile 1945)” di Mons. Cav. Ferdinando Novella
Redazione, Episodio di Molini di Triora, 01-05.07.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia 
 
La popolazione di Molini fu aiutata dai paesi vicini con invio di viveri e vestiario. In settembre 1944 la calma ritorna perché un presidio partigiano veglia sul paese e sulla Alta Valle Argentina. Quando però i partigiani si devono ritirare in Piemonte, le truppe nazifasciste si insediano in paese.
"In novembre la permanenza dei reparti fascisti si fa quasi ininterrotta. Essi si insediano nelle poche case disponibili, facendone sloggiare i paesani: si fanno consegnare letti, materassi, stoviglie e viveri. … obbligano gli uomini a lavori pesanti… organizzano balli, obbligando, a mano armata, le fanciulle del paese ad intervenirvi ed inscenano il 2 novembre, giorno dedicato al ricardo dei morti, un vero carnasciale con schiamazzi, spari, ubriacature, a beffa degli affamati e terrorizzati abitanti".
Il prelievo di ostaggi è continuo e vessatorio. [...] Verso la metà di dicembre 1944 i nazisti vengono sostituiti da Granatieri Repubblichini, comandati dal capitano Cristin che colloca il suo comando in casa Daneri.
È lui, il presuntuoso, che la vigilia di Natale manda la circolare ai parroci, esigendo la lettura in chiesa, come è citato da me in un’altra parte. Ma fu anche autore di atti veramente criminali.
Tre giovani rastrellati dagli Alpini, i quali, incuranti della guarnigione di Molini [Molini di Triora (IM)], agivano per proprio conto, furono condannati a morte dal Cristin. La scena dell’esecuzione con i suoi preparativi crudeli e disumani fu vista da una buona parte della popolazione. […] "Allora il parroco si presenta al Cristin per chiedere la commutazione della pena, essendo i tre a lui noti come persone per bene. Il capitano risponde che ciò è impossibile e se vuole fare qualche cosa per essi può solamente annunziare ai condannati la sentenza irrevocabile e prepararli alla morte. Quantunque non ci sia nulla da sperare, il sacerdote tenta una seconda volta ed una terza, ma il capitano Cristin gli fa dire che attenda al suo ufficio di parroco e basta. I giovani accolgono la sentenza con pianti, si abbracciano tra di loro, protestano la loro innocenza, esibiscono la loro giovane età. Ma, confortati dal sacerdote, a poco a poco si calmano e si preparono da forti alla tragica fine. Si confessano, ricevono l’Eucarestia, quindi scrivono una lettera alle proprie famiglie. In esse, ognuno, per conto proprio, indipendentemente l’uno dall’altro, scrivono di andare verso la morte innocenti. Consegnano i documenti personali al parroco perchè li rimetta ai rispettivi parenti. Benché veda la situazione assolutamente disperata, il parroco porta le lettere al capitano Cristin e fa a lui notare la frase comune a tutti e tre “vado alla morte innocente”. Nel leggerla, il giustiziere sosta alquanto, poi, restituite le lettere dice di consegnarle ai rispettivi famigliari. Al parroco non rimane che accompagnare i tre giovani al luogo dell’esecuzione. D’altronde erano gli stessi a pregarlo di volerli assistere: “Venga almeno lei con noi”. Sono legate le loro mani, col filo di ferro, sul dorso e incolonnati tra due file di Cacciatori, quelli stessi che avevano eseguito il rastrellamento, il tragico corteo attraversa il paese per la via Grance e si porta nei pressi del cimitero in una fascia di proprietà di Adelina Sasso. Qui giunti sono disposti con la faccia rivolta verso il mare, prima però di alliniarsi, salutano ancora una volta il parroco. Un cacciatore interviene, li stacca dal parroco e li distanzia uno dall’altro, dieci centimetri circa. Quindi, dato da un sottotenente dei cacciatori l’ordine dell’esecuzione, una raffica di mitraglia li abbatte tutti e tre. Gli spari echeggiano giù fino al paese e si propagano lugubremente per tutta la valle. In ogni casa la gente, che era in attesa degli spari, rompe in singhiozzi. Le salme raccolte, dietro istanza del parroco, sono collocate in apposite casse e, poiché i caduti avevano espresso il desiderio di essere tumulati nel camposanto del proprio paese, ciò viene eseguito". Da una testimonianza di Don Ferdinando Novella, arciprete della Parrocchia di San Lorenzo Martire in Molini di Triora [ndr: dopo la pubblicazione di Don Micheletto, Op. cit. venne edito Cav. Ferdinando Novella, Il martirio di Molini Triora (3.07.44 - 25.4.1945), Comune di Molini di Triora, 2004]. Era il 16 gennaio 1945. Erano: Alberti Antonio, Verrando Domenico Quinto, Bova Giovanni, tutt’e tre di Agaggio Superiore. “Alcuni giorni dopo la suddetta esecuzione, il comandante Cristin, sfacciatamente, affiggeva un manifesto per il reclutamento dei giovani appartenenti alle classi dal 1914 al 1926, residenti a Molini di Triora. Redatto in forma altisonante e minacciosa, il manifesto ricordava i tre morti e terminava con le parole: Non avrete più pace”. Gli successe il ten. Renzo Barbieri delle Guardie Repubblichine, dominato da una paura indicibile."Fece costruire trincee stendere reticolati, alzare palizzate un po' ovunque, riducendo Molini una gabbia per le estese, quanto ridicole fortificazioni".  Il 17 febbraio 1945 per l’azione partigiana contro i guardiafili, in cui furono presi 10 repubblichini e tre tedeschi, furono rastrellati 20 ostaggi. ll comando tedesco ordinò il raduno dei parroci del Vicariato annunciando: se i tre tedeschi catturati non fossero stati restituiti, il comando si sarebbe sentito obbligato a far fucilare 14 banditi.  
Don Micheletto, Op. cit.

Barbieri Renzo nato a Golese (Pr) il 22 maggio 1916, Tenente e comandante di compagnia nel Raggruppamento Cacciatori degli Appennini
Interrogatorio del 4.9.1945: L’8 settembre mi trovavo quale S. Tenente di complemento nell’isola di Corfù presso il 41° Reggimento di Fanteria [...]
Verso la fine di novembre sono rientrato con la mia compagnia a Ceva ove sono rimasto sino ai primi di gennaio epoca in cui tutto il battaglione fu trasferito in Liguria ed io assegnato con la mia compagnia a Borgomaro, dove venne istituito un presidio da me comandato. Dopo circa dieci giorni di permanenza a Borgomaro sono passato con la mia compagnia a Molini di Triora. Effettivamente il Reggimento Cacciatori degli Appennini aveva il compito di effettuare rastrellamenti ma io non vi presi parte perché la mia compagnia aveva compiti di servizi interni. Alle mie dipendenze a Borgomaro avevo il Sottotenente Sacchetti, fervente fascista ed accanito antipartigiano il quale, di sua iniziativa, raccoglieva notizie ed effettuava fermi. Egli da solo si era arrogato il compito di certe operazioni di polizia né io potevo impedirglielo poiché il predetto era appoggiato dai comandi superiori. Una notte siamo partiti da Molini di Triora con l’intenzione di renderci conto della sicurezza del nostro presidio in relazione alla presenza di eventuali bande nei dintorni. A tale scopo pensammo di camuffarci da partigiani per attingere notizie. Faceva parte della spedizione anche il Sottotenente medico Corretti Francesco, accanito antipartigiani. Giunti in località S. Faustino, notammo una casa isolata e bussammo.
Ci trovammo in presenza di un signore che dichiarava essere un generale a riposo e di chiamarsi Mario Ferraroli. Il sottotenente medico Corretti gli disse che eravamo partigiani e gli chiese notizie su eventuali bande presenti in zona alle quali volevamo aggregarci. Il generale immediatamente spifferò che era sempre stato antifascista e genericamente disse che verso un determinato versante della montagna agiva una banda partigiana. Non avendo ottenuto altre informazioni ci allontanammo ma lungo la strada il Sottotenente Corretti mi fece osservare che bisognava provvedere al fermo del Ferraroli che si era dichiarato antifascista. Ritenni opportuno seguire il suo consiglio per evitare critiche al mio riguardo e mandai due militi a fermare il predetto generale. Il predetto venne trattenuto per due giorni in mia presenza da un tenente ed un maresciallo tedeschi e poi rilasciato. Ricordo che nell’aprile us, il Tenente Lazzari, alle mie dipendenze, si recò nella zona di Verdeggia per praticare accertamenti relativi al prelevamento di una pattuglia di militi. Il Lazzari ritornò portando circa dieci giovani che rastrellò nella zona ed accompagnò inoltre una certa Lanteri Maria e la figlia di lei, Rosa, perché il rispettivo marito e padre era stato indicato come partigiano. La Lanteri fu effettivamente interrogata in mia presenza dal tenente tedesco e dal Tenente Lazzari e fu picchiata con un frustino e minacciata con una pistola ma nego di averla io stesso minacciata o di averla malmenata. La Lanteri Maria fu poi rimessa in libertà mentre la di lei figlia Rosa fu trattenuta a lavorare presso il nostro presidio. Sono estraneo all’eccidio consumato dai tedeschi di cinque partigiani in Carpenosa. Escludo che miei uomini abbiano partecipato alla cattura ed all’uccisione dei cinque.
Nego di aver dato fra il 7 ed il 9 aprile us, ordini ad alcuni miei militi, mentre sostavo sulla piazza di Molini, di recarsi a prendere quattro individui a Carmo Langan e di metterli al muro. Non sono mai stato iscritto al PFR né al PNF.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019 

Il 3 marzo 1945 a Grattino, frazione di Molini di Triora, minuscolo borgo della Valle Argentina, furono catturati, perché in possesso di armi, Quinto Verrando e Livio Maggi. I due partigiani furono rinchiusi a Molini di Triora in un scantinato, insieme al parroco di Molini Don Rodini e al ragioniere Zappa, accusato di risorse economiche alle bande che però viene presto liberato. I due partigiani vennero presumibilmente torturati. Dopo otto giorni i due giovani con le mani legate sul dorso furono condotti ad Agaggio Superiore, dove i Tedeschi pensavano fossero i partigiani, perché ne indicassero l'ubicazione precisa. Rifiutatisi di parlare, giunti in Pian Carré furono freddamente giustiziati con un colpo di pistola alla nuca.
Verrando morirà subito, mentre Maggi verrà lasciato agonizzante sul terreno. Soccorso da alcuni contadini, morirà dopo due settimane.  Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021;  La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna,  IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]

Nel mese di marzo gli ostaggi di turno subivano torture negli scantinati di casa Daneri e di casa Fognini.
Il 10 marzo 1945 il parroco veniva arrestato perché era salito sul campanile “per dar la corda all’orologio”,  scusa per fare segnalazioni ai banditi. Inoltre il diverso colore dei paramenti della messa, cambiato ogni giorno, era un messaggio ai partigiani. Venne rinchiuso nella cantina di casa sua. Fu liberato dopo molti giorni. Nella stessa prigione vennero rinchiusi due giovani partigiani: Verando Quinto di Agaggio e Maggi Lino di Genova, fucilati poi l’11 marzo presso Agaggio Superiore.
Il 18 marzo una ventina di ostaggi, prelevati dallo scantinato di casa Fognini, vennero condotti verso Taggia. Dodici venivano poi liberati e 6 fucilati o meglio mitragliati in una grotta sotto Carpenosa. Questi ultimi erano:
Lanteri Pierino di Verdeggia
Lombardo Calogero di Ravanusa (Sicilia)
Oliva Giovanni di Badalucco
Gamboni Pietro di Montello (Avellino)
Verrando Vincenzo di Agaggio
Cassini Vincenzo di Apricale
Il Verrando era il terzo morto della famiglia per cause belliche.
"Il Cassini era un vecchio cadente di oltre 72 anni dalla lunga barba bianca, mostrava numerose e profonde cicatrici dovute a sevizie e a torture. Fu accusato di rifornire olio alle bande partigiane. Niente di vero".
Il 14 aprile 1945 vengono rastrellati cinque uomini e mandati ai Ponti di Nava per lavori.
Il 19 aprile, dopo lo scoppio delle rocche di Drego, quasi tutti gli uomini validi vengono costretti, spinti come bestiame da lavoro, fin nei pressi di Drego per ripararvi una strada fatta saltare da bande partigiane.
Gli ultimi due giorni, il 24 e il 25 aprile 1945, sono giorni di inferno. La soldataglia, in ritirata, entra nottetempo nelle case; obbliga ammalati e poveri vecchi a cedere il letto; vi consuma pasti e porta via il rubabile.”
"Improvvisamente il presidio locale dei repubblichini, la sera del 25, lascia il paese. La poco gloriosa truppa, fedele e coerente fino all’ultimo all’insegna del ladro, cerca di improvvisare un mercato di tutta la mercanzia rubata; ma non trovando avventori, ammucchia il tutto e la da alle fiamme. Appiccano il fuoco anche ai rimanenti stabili delle caserme ancora intatti".
Ognuno lascia l’orma del suo operato. I nazifascisti lasciarono impronte infamanti, che non si cancelleranno più nel tempo e verranno perpetuate nella memoria storica.
Don Micheletto, Op. cit.

[...] Il giorno 18 marzo 1945, dalla prigione di casa Fognini strapiena di innocenti detenuti sul far della sera vengono fatti uscire una decina di giovani legati, al solito, con le mani sul dorso e incolonnati tra due file di tedeschi e vengono diretti, lungo la strada provinciale, verso Taggia.
Guai ai paesani che facessero solo cenno di riconoscerli e tanto peggio se osassero indirizzare una parola agli stessi! Il fucile sarebbe stato sempre pronto con lo sparo! Lungo la strada però uno o due dei prigionieri furono rilasciati. Quando il gruppo fu nei pressi della frazione Glori, si fece una seconda scelta, sicché non rimasero che sei. Questi, legati l'uno all'altro furono sospinti, nei pressi , alla imboccatura di una caverna. Venne piazzata una mitragliatrice e senza alcuna formalità falciati. Da lontano i pochi abitanti di Carpenosa (Molini di Triora) potettero assistere all'eccidio. Nei giorni appresso si poté avvicinare i corpi delle vittime e procedere al loro riconoscimento.
Econe il triste elenco:
Lanteri Pierino di Verdeggia (Triora)
Lombardo Calogero di Revenusa (Sicilia)
Oliva Giovanni di Badalucco
Gambone Pietro di Montello (Avellino)
Verrando Vincenzo di Agaggio (Molini di Triora)
Cassini Vincenzo di Apricale
Il Verrando, fratello di Quinto, era già stato fucilato il giorno 11 Marzo 1945; con i due fucilati i morti della loro famiglia raggiungevano la terna, poiché un terzo fratello era già morto soldato.
Il “Cassini” era un vecchio cadente, di oltre 72 anni dalla lunga bianca barba, mostrava numerose e profonde cicatrici dovute a sevizie e a torture. Fu accusato di rifornire olio alle bande Partigiane. Niente di vero.
Da “I Testimoni raccontano” a cura di Don Nino Allaria Olivieri (archivista Curia) pagg. 118 e 119 [...].
Roberto Moriani, Episodio di Carpenosa, Molini di Triora, 18.03.1945, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia 

mercoledì 16 giugno 2021

Partigiani a Pian di Bellotto

La zona di Monte Ceresa, comprensiva di Pian di Bellotto (Cian de Belotto), al confine tra il Savonese e l'Imperiese - Fonte: giambi@wikiloc

Già dall'8 settembre 1943, Silvio BonfanteCion»] è pronto e presente alla lotta e, fin dall'inizio, rivela spiccate qualità di uomo destinato a diventare una guida trascinatrice. Il curriculum di combattente della montagna è più che garante della sua validità.
Nel mese di giugno del 1944 ha ormai percorso in lungo ed in largo i nostri monti e le nostre valli. Quante azioni portate a termine! Con ogni mezzo, tritolo o mitra, ha già inferto gravi colpi ai nazifascisti. Ma, ciò che più conta, ha messo a disposizione le sue doti d'organizzatore con cui ha contribuito, in uno sforzo comune con gli altri combattenti maggiormente dotati, a creare l'ossatura di un esercito che, pur affamato e scalzo, infliggerà a Tedeschi ed a fascisti perdite ingenti (4).
Mese di giugno 1944: «Cion» è capobanda della «Volante». Progetta le azioni più rischiose con pochi coraggiosi che, di volta in volta, si sceglie. Gli esiti sono sempre positivi e soddisfacenti. Egli possiede, innate, le doti del comando.
Alto ed atletico, colorito bruno, capelli nerissimi ondulati, baffetti sottili, occhi neri e vivissimi, ispira una fiducia illimitata in tutti i suoi uomini che lo seguono in ogni azione, consapevoli d'essere ben guidati da un uomo che sa valutare perfettamente l'eventualità di ogni insidia ed avvertire la necessità di non rischiare in modo temerario oltre il lecito.
«Cion» sa farsi amare ed ammirare, anche se i rapporti tra comandante e semplici volontari non sfociano mai nell'eccesso di confidenza che spesso rappresenta, nella lotta partigiana, un fattore negativo poiché intacca quei principi di obbedienza e disciplina necessari quando si agisce nei pericoli.
Progettata l'azione, non ne rivela ad alcuno i particolari onde evitare che la leggerezza, od eventuali delatori, procurino informazioni al nemico, pregiudicandone l'esito e determinando perdite nelle fila partigiane. Tale prudenza è segno di maturità e di saggezza, se si considera che consistente e continuo è l'afflusso alle formazioni garibaldine di uomini, a volte sconosciuti e dei quali s'ignorano identità e, non raramente, gli stessi nomi. All'arrivo, ognuno è interrogato sulle proprie intenzioni e, alla risposta di voler far parte delle bande partigiane, è accettato ed entra in formazione.
«Cion» sa che il modo più idoneo per creare buoni combattenti è il battesimo del fuoco; perciò, via via, alterna i giovani nelle azioni affinchè prendano gradualmente confidenza col pericolo.
All'inizio gli uomini della «Volante» sono una ventina, forse meno; garibaldini reduci dalla prima gloriosa formazione di Cascione e qualche badogliano uscito vivo dalla tragedia di Val Casotto (5). E' gente avvezza ai pericoli e provata dalla dura lotta. Alcuni sono reduci dai campi di battaglia d'Albania, d'Africa, o di Russia.
La «Volante» di «Cion» pare l'elemento apposito per creare altissimo l'entusiasmo; è diventata ormai la formazione perfettamente organizzata e guidata da un capo meraviglioso, in quella zona verdeggiante, irradiata dal sole d'una splendida primavera, a due passi dal mare d'Oneglia e d'Albenga.
Un senso di profondo cameratismo regna nella banda. La democrazia più autentica, quella non condizionata da alcun fattore, è l'elemento predominante. Il rispetto ed il senso umanitario reciproco hanno trovato il loro regno. Esempi a non finire di generosità e rinunce, d'amicizia autentica tra Comandante, Commissario ed i garibaldini. E' il luogo ideale per chi sogna la fraternità.
Un partigiano deve recarsi a Stellanello e chiede il permesso al Commissario che glielo concede. Ma non è ancora soddisfatto e dice: «Federico, ho i pantaloni rotti, mi secca andare così in paese». - Federico [Federico Sibilla]: «Tieni i miei, ma fa' presto che io ne resto senza!». E, nell'attesa del ritorno, si avvolge in una coperta (6).
Le notizie provenienti dai fronti di guerra con i Tedeschi in ritirata, il pensiero dell'imminente fine del conflitto e le sistematiche azioni partigiane a catena, sempre vittoriose sui nazifascisti, le gesta di «Cion» ingigantiscono la figura del condottiero garibaldino, e creano un senso di invulnerabilità e d'invincibilità della «Volante». L'ammirazione cresce e si diffonde ovunque nelle valli e, in tutti i paesi e città, il nome di «Cion» esalta e crea altissimo il morale sia tra i suoi uomini che nella popolazione. Scrive «Magnesia» [Gino Glorio]: "...  «Cion» fu il più noto, il migliore dei capobanda garibaldini. Con coraggio freddo progettava le imprese più spinte e le portava a termine con un pugno di ardimentosi. Aveva tutte le qualità del capobanda, sapeva ispirare fiducia negli uomini che andavano con lui sereni anche verso l'ignoto, consci di essere ben guidati, che il capo sarebbe andato innanzi a loro esponendosi di persona. Sapeva trascinare i combattenti con l'esempio ma valutava esattamente le situazioni e non arrischiava oltre il necessario ...".
Noi esitiamo a sottoscrivere in assoluto il concetto espresso all'inizio del passo citato perchè, nel proseguimento della lotta, altri fior di combattenti sorsero nelle fila; anzi, già c'erano, ma è certo che «Cion» fu nella ristretta cerchia dei migliori. Non c'è dubbio che Silvio Bonfante sia stato un riconosciuto e naturale erede di Cascione: infatti, la I^ Brigata, dopo la sua morte, diventerà nel dicembre 1944 la Divisione d'Assalto Garibaldi ed assumerà il suo glorioso nome.
I Tedeschi e tanto meno i fascisti non osano avventurarsi, da lunga data ormai, per uno scontro armato in montagna da quando un gruppo della Ettore Muti, inoltratosi fino alla località Rossi, era stato annientato interamente e  seppellito sotto i castagni.
Morale alle stelle, dunque, e cameratismo profondo tra i partigiani della «Volante» ed afflusso continuo, in primavera ed estate, di giovani dalle città e dai paesi alle bande armate. È vanto d'ognuno far parte della formazione di «Cion», partecipare alla lotta contro i nazifascisti, contribuire alla rinascita del paese.
Inoltre, tra le fila partigiane non si corre il rischio d'incorrere nei crudeli rastrellamenti che i Tedeschi operano tra i civili nelle città e di essere imprigionati o spediti in Germania, o essere costretti ad indossare la divisa della Repubblica di Salò, o inquadrati nell'organizzazione Todt con tutti i rischi e le conseguenze future.
L'afflusso dei nuovi venuti alle bande tocca il ritmo medio di cinque­dieci unità al giorno; cifra notevole se si considera, come già ricordato, che i partigiani non possiedono caserme, magazzini, grosse scorte, armi e, tanto meno, munizioni per poter far fronte a necessità che, col tempo, diventano sproporzionate rispetto alle obiettive possibilità (7).
Le imboscate partigiane alle colonne nemiche, l'assalto ai presidii, la distruzione di ponti e vie di comunicazione, i colpi di mano per procurare viveri e munizioni, l'eliminazione delle spie, sono all'ordine del giorno nel mese di giugno. «Cion» per ogni azione da compiere alterna gli uomini per formare nuovi combattenti, ed imparare a conoscere d'ognuno le qualità, i pregi, i difetti; quasi per selezione naturale, ognuno scopre in sé le attitudini per lo svolgimento delle mansioni adatte alle proprie possibilità.
La certezza regna sovrana: nessuna sorveglianza intorno all'accampamento, nessun turno di guardia neppure durante la notte. In definitiva, è convinzione radicata nei partigiani di essere assistiti dalla fortuna; non resta che la battaglia finale e la discesa per liberare definitivamente le Città.
Nella prima decade di giugno, la Volante ha tanti effettivi che Cion decide di scinderla e di creare un nuovo distaccamento. Nasce così la «Volantina», come figlia e sorella della «Volante», il cui comando è affidato a Massimo Gismondi (Mancen). Questi, di «Cion», è l'amico fraterno che sempre affiancherà in ogni luogo ed in ogni rischio.
«Mancen», per coraggio, a nessuno è secondo, neppure a Cion, tanto che il suo nome sarà altrettanto temuto ed odiato nel campo nazifascita. I due Comandanti si diversificano nel carattere, perché «Mancen» è, come si suol dire, più alla mano, più pronto alla battuta popolaresca, al vociare robusto, allo scherzo entusiasticamente infantile. Ma è un generoso. Un giorno si presenta in ritardo al Comando e si scusa spiegando di aver dovuto fare il percorso a piedi nudi perché ha dato in prestito le scarpe ad un suo partigiano partito in missione!
Che «Mancen» abbia un Santo protettore in cielo lo possono dimostrare decine di fatti di vita partigiana; ma li riassume tutti quello del 25 luglio 1944 che accadrà nel corso della battaglia di Pievetta: quando, all'improvviso, un tiro violento ed incrociato di armi automatiche tedesche si abbatte tempestoso sulla colonna partigiana e tutti, anche i più coraggiosi, sono inchiodati a terra nell'attesa di momenti... migliori, «Mancen», in piedi, osserva i movimenti del nemico! (8)
Non a caso, d'altronde, questo giovane venuto alla montagna dalla sua Oneglia nel mese di marzo del 1944, come «Cion», Nino Berio (altro valoroso combattente e martire) e tanta altra gioventù, sarà uno dei protagonisti di quella «Squadra d'Assalto» che sorprenderà i nazifascisti e li sgominerà, il 5 di settembre, nella fatidica battaglia di Montegrande, divenuta celebre anche fuori dell'ambito regionale.
Mancen, in seguito, ricoprirà l'incarico di Comandante della I^ Brigata Garibaldi «S. Belgrano».
Nel mese di giugno, con la costituzione della «Volantina», la «Volante» che nel maggio era a Stellanello si trasferisce a Pian di Bellotto (9). L'accampamento è composto da tre stanze con funzioni di dormitori, deposito armi e cambusa-viveri. Ci sono, inoltre, la tenda per il Comando, qualche altra tenda-dormitorio, ed una radio sempre tenuta ad alto volume ed udibile a lunga distanza, in segno di sicurezza e di sfida al nemico. Pian Bellotto è alle falde del ripido pendio del monte Ceresa ed è circondato, ai suoi fianchi, da boschi e rocce. Su una di queste è piazzata una mitragliatrice. La «Volante» possiede un discreto armamento; ma le sempre nuove esigenze ne rivelano l'insufficienza anche se attraverso le quotidiane azioni i garibaldini, via via, si procurano le armi sottraendole al nemico. Citiamo un fatto narrato da «Magnesia»: «Mi disse un partigiano: "Vedi quel fucile «Mauser» con cannocchiale? Il Calabrese ne desiderava uno; poi ha saputo che un Tedesco di Andora lo possedeva ed allora, l'altro giorno, è partito da solo. È ritornato con questo"».
Il vitto, per quanto i rifornimenti lo permettano, è cucinato all'aperto: poche pietre disposte a focolare protette da qualche ramo. Il cuoco non può mai conoscere in tempo il numero dei presenti essendovi sempre nella formazione un via vai di partigiani, di passaggio o in arrivo. Comunque, la quantità di cibo è sufficiente all'alimentazione degli uomini.
Il numero dei componenti la «Volante», a seguito della creazione del distaccamento affidato a «Mancen», è ridotto ad una quarantina; ma nuovi giovani continuano ad affluirvi.
Verso passo San Giacomo ha sede una banda di badogliani e sovente, la sera, s'odono degli spari d'esercitazione.
La «Volantina» di «Mancen» prende posizione alla base del monte Torre ma dalla parte opposta a quella della «Volante», cioè sul lato sud. La zona è quella già citata di «Fussai» ed è soprastante ad Evigno, nel comune di Diano Arentino. «Mancen» controlla, perciò, la zona dello Steria e dell'Impero. In caso d'attacco nemico, compito della «Volantina» è l'occupazione di Pizzo d'Evigno a protezione della postazione «Volante», sul monte Ceresa. Il piano prevede, dunque, il dominio delle alture da parte dei garibaldini.
Aggiungiamo ora qualche particolare sullo svolgimento dello scontro così ben sintetizzato, come abbiamo visto, dal bollettino di «Cion».
Alle 7 circa del mattino è dato l'allarme, con una lunga raffica di mitragliatrice, mentre parte dei partigiani, già svegli, sta facendo colazione. Tutti afferrano le armi e si raggruppano intorno al casone principale dell'accampamento per prendere ordini. A quanto è dato supporre dalle raffiche che si susseguono, i nemici si spingono verso Stellanello. Non è ancora possibile conoscere la consistenza delle forze nemiche, sia riguardo al numero, sia all'armamento, sia anche alla direzione in cui agiranno. Contrariamente al solito, però, si intuisce che stavolta la cosa si presenta seria; ma la fiducia nella loro forza e la coscienza dell'andamento favorevole degli avvenimenti fino a quel giorno, preparano i garibaldini ad una lotta da cui, come sempre, i nazifascisti usciranno sconfitti.
«Cion», con gli uomini armati, parte incontro al nemico, mentre i nuovi arrivati, in maggioranza ancora privi di armamento e, conseguentemente ancora inutili sul fronte dello scontro a fuoco, si disperdono nei boschi vicini con l'intenzione di svolgere funzioni di staffetta e di collegamento fra le varie postazioni partigiane combattenti, e di avvistamento del nemico. Un gruppo di essi raggiunge la vetta del monte Ceresa. Le notizie si fanno sempre più precise: un'imponente forza di circa milleduecento nazifascisti, disposta su varie colonne, si avvia all'assalto delle due bande partigiane partendo dalle varie direzioni di San Damiano, Testico, Stellanello, Chiusanico, Pairola.
La situazione dei garibaldini diventa rapidamente molto difficile poiché è esclusa ogni possibilità d'aiuto da altre formazioni.
«Cion» stima la vetta del Ceresa la posizione più opportuna per la difesa: lassù, il nemico concentrerà i suoi attacchi che potranno essere contenuti poiché «Mancen» occuperà la vetta del Pizzo d'Evigno, come previsto nei precedenti piani, e proteggerà di lassù il fianco sinistro della «Volante».
Ma, come abbiamo già riferito, la «Volantina» è impossibilitata all'appuntamento. Sicchè quando il gruppo dei partigiani di monte Ceresa è fatto segno di raffiche di mitragliatrice dalla vetta di Pizzo d'Evigno, si comprende allora che, in quel luogo ci sono i Tedeschi.
(4) Molta parte dell'azione di «Cion», nel periodo fino al giugno 1944, è riportata nel 1° volume della presente opera, di G. Strato.
(5) La tragedia di Val Casotto è avvenuta nel marzo l944.
(6) Dal diario di Gino Glorio.
(7) Per dare un'idea sull'afflusso di nuove reclute alle bande partigiane, riportiamo il breve rapporto inviato dalla Volante al Comando della IX Brigata:
"Comando della IX Brigata d'Assalto Garibaldi, Distaccamento N° 1 (Volante)
         lì, 18/6/44
Impossibile preparare servizio giornaliero.
Continuamente affluiscono uomini di tutte le classi.  
Distaccamenti al completo, possibilmente formarne altri da queste parti (attendiamo
ordini). Formato tre bande locali a nostra disposizione.
Totale uomini 20 a Pairola, Riva Faraldi, Testico.
Attualmente presenti a questo distaccamento 80 uomini.
Azione Santa Croce rimandata perché rinforzata. Facilmente lunedì o martedì.
F.to Commissario politico Federico"
(8) Testimonianza di partigiani presenti allo scontro.

Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

In quel periodo si cominciava a parlare della Volante, che era una banda in attività permanente, e del Cion che la comandava: questa banda la comandava a modo suo con tutti che gli ubbidivano: era un modo tutto speciale che bisognava vedere.
Il Cion capobanda era un giovanotto di fegato, che di risposte ai fascisti dopo quei bandi di chiamata ne aveva già date parecchie, ma tutte precise, diventando famoso per la sveltezza che aveva.
Tanto per spiegare come facevano, eccoli: a Capo Berta, proprio in mezzo alle pattuglie e ai reticolari, una volta aveva mandato il Brilla caposquadra, che intanto andasse per un lavoretto veloce; siccome il Brilla sapeva tirare di boxe, per non fare rumore fece a pugni con la sentinella tedesca prepotente, che non voleva capirla prima degli spari; e così quando spararono, lui aveva già sgombrato il passaggio per conto suo.
Ai Rossi la Volante tutta insieme, che non li fermavano nessuno, se la prese con quelli della Muti, che si credevano i padroni del vapore su e giù per la vallata; questi qui della Muti saccheggiavano intorno nei paesi da prepotenti, cantando all'armi all'armi siam fascisti; e non cantarono più.
Col Mancen che era il vice Cion, a Casanova ne catturarono tredici di un reparto di camicie nere in un colpo solo di passaggio; e anche quelli non ci passeggiarono più su e giù per la vallata, facendo i bulli.
Poi, dopo tutti questi colpi che facevano, il Cion e i suoi uomini tornavano alla base che avevano nei casoni di Pian di Bellotto; e lì da strafottenti aprivano la radio a tutta birra, che la sentissero dappertutto.
Lo facevano apposta per farsi sentire che c'erano nei loro posti, e che se ne strafregavano, e che ci rimanevano eccome; venissero pure.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, p. 44

Leo è nato ad Andora (SV) il 4.6.1925. Alla fine del 1943 saliva al Casone du Beu, nel comune di Testico, dove sostavano nascosti i primi partigiani comunisti comandati da Felice Cascione. Leo aveva raccolto poche cose di vestiario e qualche provvista alimentare in uno zaino tedesco, che lo zio Quinto reduce dalla Russia aveva portato a casa, e si era incamminato verso i monti, fiducioso di trovare i ribelli. Giunto con fatica all’accampamento era interrogato in modo stringente, sulla sua identità e sulla parentela, specie da parte del partigiano Felice Spalla (Felì) futuro caduto in battaglia e da un altro ribelle. Leo non capiva la brusca inquisizione, non aveva riflettuto sul messaggio comunicato dal suo sospettoso zaino. Chiarita la provenienza e la famiglia, conosciuta proprio da Felì, anch’esso reduce con lo zio di Leo dalla guerra russa, dopo due giorni di permanenza nel Casone du Beu era comunque invitato a tornare a casa. La breve esperienza a contatto con il gruppo Cascione aveva infiammato Leo che tornerà per vivere con Silvio Bonfante (Cion), l’erede di Felice Cascione, l’epopea di Cian de Bellottu, le prime battaglie contro i nazifascisti e dopo la presenza nella Volante; infine l’adesione al distaccamento di Nino Agnese (Marco) fino alla Liberazione.
Ferruccio Iebole, Leopoldo Fassio “Leo”, un partigiano, I Resistenti, ANPI Savona, n° 1 - Aprile 2019 

Bonfante, Silvio, (Cion)
Arruolato, nel luglio 1941, nella Regia marina per obbligo di leva, viene destinato al deposito Crem di La Spezia e in seguito al distaccamento Marinai di Roma. Dopo l'armistizio rifiuta l'arruolamento nell’ esercito della Rsi e ad ottobre, rientrato in Liguria, si unisce ai primi partigiani dell'imperiese. Dopo aver operato nelle formazioni cittadine, nel febbraio 1944 entra a far parte del gruppo Cascione, ricostituitosi dopo la morte del suo comandate. E’ nominato comandante del 1° e poi del 3° distaccamento, entrambi dislocati al bosco di Rezzo. Nel giugno 1944 gli viene affidato il comando del 1° distaccamento Volante della 9ª brigata d'assalto Garibaldi, dislocato prima a Testico e poi a Rossi. Nel combattimento di Pizzo d'Evigno del 19 giugno, sostenuto interamente dal suo distaccamento, respinge l'assalto di una colonna tedesca, infliggendo al nemico pesanti perdite. A luglio, alla costituzione della divisione Cascione, ottiene il comando della 1ª brigata Silvano Belgrano. Guida numerosi attacchi contro presidi germanici e di Brigate nere a Ceva, Cesio, Pogli, Case di Nava e contro convogli della Wehrmacth sulla strada di Diano Marina e a Ponti di Nava. Comanda un attacco contro quattro postazioni della divisione San Marco che porta alla cattura di numerosi militari nella zona di Chiappa (val Steria), Roccà e Pairolo. Nella battaglia di monte Grande del 5 settembre guida l'assalto contro il reparto germanico che tiene la vetta, costringendolo a ritirarsi. Il 12 settembre gli viene affidato l'incarico di vicecomandante della Cascione. L'8 ottobre tenta, con un piccolo gruppo di uomini, l'impresa di catturare il contingente tedesco di stanza nel presidio di Vessalico. Rimasto ferito, viene ricoverato in un ospedale partigiano in località Valcona (Piaggia). Il 15 ottobre, nel corso di un grande rastrellamento della Wehrmacht, viene trasferito in barella, insieme ai feriti radunati a Vessalico e a quelli di Pigna, nell'ospedale da campo allestito a Upega. Due giorni dopo l'ospedale viene circondato dai tedeschi che, dopo aver attaccato San Bernardo di Mendatica, avevano puntato su Upega. Cion, per non cadere vivo nelle loro mani, si uccide sparandosi al petto. Nel dicembre 1944 gli viene intitolata la 6ª divisione d'assalto Garibaldi. Medaglia d'oro al valor militare.
(a cura di) F. Gimelli e P. Battifora, Dizionario della Resistenza in Liguria, De Ferrari, Genova, 2008 

domenica 13 giugno 2021

Era il 31 gennaio 1945

Capo Berta, Diano Marina (e San Bartolomeo al Mare) visti da Cervo (IM)

Federico [Federico Sibilla], che intanto era diventato commissario di brigata [n.d.r.: la I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"], ci fece notare che eravamo in troppi per rifugiarci nella casa della Tassi, e mi invitò a ritornare in uno dei rifugi di Besta [n.d.r.: località nel territorio del comune di Diano San Pietro (IM)]. Pensai di ritornare sui miei passi insieme al garibaldino Franco Piacentini ("Raspen"), che era sceso dalla montagna per procurare a lui ed agli altri dei viveri.
Questo invito di Federico non mi sembrava giusto poiché io facevo parte, a tutti gli effetti, del Comando della brigata e avrei preferito rimanere insieme ai miei abituali compagni. Comunque non feci discussioni e, insieme a "Raspen", racimolato un poco di pane, un poco di tabacco e qualche altra cosa da mangiare, incominciai ad avviarmi verso i rifugi. Sennonché, mentre scendevamo la scaletta della baita, incontrammo Giuseppe Saguato ("Pippo"), comandante del distaccamento "Francesco Agnese", il quale mi chiese dove stavo andando. Ascoltate le mie ragioni, mi invitò ad andare con lui, anche se Federico mi aveva suggerito di raggiungere i rifugi di Besta. Mi fece presente che nella casetta a Sant'Anna c'era posto anche per me.
Fu in quel momento che mi separai da Raspen e seguii Pippo. Ci accompagnava il sapista Gaetano.
Su suggerimento di "Moschin", altro compagno di lotta, per abbreviare la strada ci azzardammo a passare nei pressi della batteria tedesca dislocata in località "Ciapasso".
Probabilmente i soldati udirono il nostro scarpinare nella notte perché spararono alcune raffiche col mayerling, ma tutto finì bene.
Ci fermammo nella casa della Tassi tre giorni e due notti; fummo trattati da quella signora con ogni gentilezza; riuscii a fare conoscere a mia madre dove mi trovavo, per cui essa mi raggiunse con molti viveri, ma insieme ai viveri ci recò una grave notizia.
Rimasi stupito di vederla pallidissima in volto mentre parlava; ci informò che, mentre stava passando per Capo Berta per raggiungermi, aveva visto fucilare da tedeschi e fascisti il caro compagno Adolfo Stenca, capo dell'ufficio informazioni, partigiano, insieme ad una decina di altri nostri combattenti, prelevati dalle carceri di Oneglia.
Nella sua disperazione ci fece presente quanta paura aveva per la nostra vita.
Non ci rimaneva che farle coraggio dicendole che presto la guerra sarebbe finita e noi saremmo ritornati, tutti, alle nostre case.
Era il 31 gennaio 1945.
Andò via un poco più sollevata di animo, ma non del tutto convinta.
Nella notte fummo svegliati dal solito aereo solitario, soprannominavamo "Pippetto", il quale sganciò una bomba (forse per colpire i tedeschi del "Ciapasso") molto vicino a noi. Ci venne da pensare che non solo avevamo contro i nazifascisti, ma anche gli alleati angloamericani.
Il giorno successivo sentimmo dei colpi di mortaio che i tedeschi sparavano dal "Ciapasso"; un colpo finì davanti alla Chiesa di Diano Marina uccidendo tre bambini e ferendo alcune persone.
La terza sera - dopo che Massimo Gismondi ("Mancen"), comandante della brigata, aveva preso contatto con Giancamillo Negro, ufficiale della brigata nera, il quale si dichiarava amico della Resistenza e diceva che per noi non ci sarebbero stati rastrellamenti e dopo aver consegnato a "Mancen" stesso il suo armamento - partimmo per rientrare nella nostra zona.
Dormimmo in un'altra casetta, in località "Biascine", di proprietà dello Sgarbi, perché non ci fidavamo per niente dell'ufficiale fascista.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998 
 
Anche il garibaldino Guglielmo Bosco, catturato, verrà fucilato su Capo Berta di Imperia il 31 gennaio 1945... Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, 2005, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia  

31 gennaio 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava che "a Villatalla sono stati uccisi 30 partigiani dalle SS tedesche; a Capo Berta sono stati uccisi 11 partigiani prigionieri, Stenca, De Marchi, Manodi, Ansaldo, Garelli, Bosco, Bertelli, Agliata, Ardigò, Noschese, Delle Piane, arrestati il 9 gennaio su indicazione della donna velata, che era stata con loro in montagna...".
31 gennaio 1945 - Dalla Sezione SIM Fondo Valle della II^ Divisione "Felice Cascione" all'Ufficio informazioni e spionaggio della I^ Zona Operativa Liguria - Segnalava che "da una relazione fornita al commissario federale [fascista] di Imperia si desume che nella mattinata in corso un camion tedesco e 5 militari delle bande nere hanno circondato un casone in cui si trovavano diversi garibaldini e ne uccidevano 30. Sempre nella giornata in corso sono stati fucilati 10 garibaldini prigionieri lungo la salita di Capo Berta come rappresaglia all'uccisione di 2 tedeschi. Il mio cuore sanguina troppo per commentare. La causa di tutto è la famosa donna che ben conoscete... il morale delle truppe tedesche è bassissimo: moltissimi quelli che si spacciano per austriaci. Molti i polacchi che piangono, pensando che avendo servito il nemico non potranno più ritornare in patria".
31 gennaio 1945 - Relazione sul rastrellamento di Tavole - Villatalla - Nicuni, avvenuto il 31 gennaio 1945: tra i partigiani ci furono 6 morti e 3 prigionieri, "Insalata", "Oscar" e "Testa Bianca".
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" allegato n° 24 circa le perdite subite nel mese di gennaio 1945: "il giorno 1 perirono Badano Ezio, Menini Lionello e Valduna Giovanni ad Armo; il 2 Emilio Zamboni, nativo di Dernis (Jugoslavia); il 3 Lorenzo Gracco; il 15 Italo Menicucci; il 20, a Bosco, Gino Bellato, William Bertazzini, Gospar, soldato russo, Rolando Martini e perirono in altre località Antonino Amato, Giuseppe Cognein *, Mario Miscioscia, Attilio Obbia, Franco Riccolano *; il 22 a Pogli Giuseppe Caimarini e Settimio Vignola; il 23 Germano Cardoletti; il 26 Ettore Talluri, Bruno Cavalli, Walter Del Carpio, Giuseppe Lobba, Oreste Medica, Ugo Moschi, Luciano Mantovani, Fausto Romano, tutti deceduti a Degolla e a Cappella Soprana Renzo Orbotti; il 27 a Ginestro Mario Longhi (Brescia) e Silvio Paloni (Romano). * Proposte assegnazione medaglia d'argento alla memoria a Giuseppe Cognein e a Franco Riccolano morti il 20 gennaio 1945.
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione sui rastrellamenti subiti il 10 ed il 20 gennaio 1945 "nelle valli di Caprauna, Arroscia, Lerrone e Andora. Dopo l'arresto del comandante Menini ebbe inizio l'atteso rastrellamento nelle valli suddette. Il 10 gennaio una colonna di tedeschi, partita da Pieve di Teco, circonda Gavenola e rastrella il paese, catturando il garibaldino 'Carletto', il quale ha tradito i propri compagni facendo giungere i tedeschi presso la sede del capo di Stato Maggiore ma con esito per loro sfavorevole. Il giorno 20 gennaio avveniva il temuto rastrellamento a catena ad opera di forze della RSI e di alcuni reparti tedeschi. Furono attaccate formazioni della II^ e della III^ Brigata; a Bosco il nostro presidio venne dopo una battaglia catturato quasi al completo. Dei 16 garibaldini arrestati, 12 riuscivano a fuggire, evitando la fucilazione. Contemporaneo a questo attacco vi fu quello di Degolla, in cui i garibaldini ebbero 3 morti, 1 ferito e 8 uomini presi prigionieri. A Gazzo un'altra colonna, guidata dall'ex garibaldino 'Boll', catturò l'intera famiglia di 'Ramon', non riuscendo a sorprendere il nostro capo di Stato Maggiore. A Nasino il Distaccamento "Giannino Bortolotti" infliggeva alcune perdite al nemico e poteva ritirarsi. Il 26 gennaio il commissario di Brigata [III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] 'Gapon' [Felice Scotto] veniva attaccato dai soldati della RSI, ma infliggeva loro la perdita di 6 uomini. I soldati repubblicani occupavano Alto, Nasino, Borgo Ranzo, Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta; il 21 gennaio occupavano altresì Casanova Lerrone, Marmoreo, Garlenda, Testico, San Damiano, Degna e Vellego. Il 22 gennaio il nemico abbandonava Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta. Il 27 gennaio le forze avversarie attaccavano una squadra la quale riportava la perdita di 2 garibaldini. Durante il rastrellamento il capo di Stato Maggiore della Divisione insieme ai comandanti 'Cimitero' [Bruno Schivo] e 'Meazza' [Pietro Maggio] con 2 Distaccamenti attaccavano in più punti il nemico infiggendo la perdita di 13 uomini e subendo l'uccisione di 1 solo partigiano.
31 gennaio 1945 - Da "Elio" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva che "la Divisione [fascista] Monterosa prenderà il posto della San Marco" e che si stava provvedendo ad inviare ai partigiani in montagna viveri e medicinali mandati dal CLN.
31 gennaio 1945 - Dal commissario prefettizio e dal comando militare tedesco di Albenga (SV) alla popolazione - Il manifesto avvertiva che i permessi in scadenza il 31 gennaio sarebbero stati rinnovati solo in pochi casi e che l'oscuramento era obbligatorio dalle ore 18 alle ore 7.15 del giorno successivo; infine, compariva il monito a segnalare alle autorità i nominativi e ubicazioni dei "banditi".
1 febbraio 1945 - Dal Triumvirato insurrezionale del P.C.I. per la Liguria ai Comitati Federali del P.C.I. ed alle formazioni partigiane - Nel documento, si rendeva, tra l'altro, nota l'avanzata dell'Armata Rossa in Polonia, nella Prussia Orientale, nella Slesia e nel Brandeburgo; si sottolineava la necessità di preparare la liberazione di località e territori, nonché di approntare l'insurrezione dei grandi centri industriali; si rimarcava l'esigenza di discutere nei CLN il problema dello scatenamento al momento opportuno dell'insurrezione nazionale inglobando i lavoratori desiderosi di farne parte; si faceva un appello affinché ogni compagno fosse pronto a dare prova di spirito di unità ed a collaborare con i patrioti di ogni tendenza politica; si dava l'indicazione di costituire in ogni villaggio occupato dai partigiani una sezione di partito che fosse di ausilio a tutti i patrioti e della promozione da parte delle SAP di scioperi generali per il pane, per i viveri, per gli indumenti e per la fine dell'oppressione nazifascista.
1 febbraio 1945 - Da "Citrato" [Angelo Ghiron] alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava la cifra da chiedere "per l'affare Faravelli"; gli arresti di alcuni esponenti della Resistenza e del PCI di Imperia, avvenuti dietro intervento di una spia detta "La Francese" o "Primula Rossa", una donna italiana, che era stata tra i partigiani e che parlava bene il francese; la prossima diminuzione della consistenza dei presidi tedeschi nella valle di Cervo.
3 febbraio 1945 - Dal commissario prefettizio di Albenga ai podestà di Ortovero, Villanova d'Albenga, Casanova Lerrone, Vendone, Nasino, Castelbianco, Castelvecchio, Zuccarello, Cisano sul Neva e Garlenda - Trasmetteva l'ordine della Feldgendarmerie di fare rientrare nella Brigata Nera di Albenga le giovani reclute che, appena arrivate all'arruolamento, si erano allontanate dalla caserma, perché passibili di fucilazione come "banditi".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999