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venerdì 19 novembre 2021

Il comandante partigiano Libero Briganti (Giulio)

Libero Briganti - Fonte: Wikipedia

Proprio in vista dello sciopero, inteso più che mai come atto di guerra contro il fascismo, il 28 febbraio 1944 tornò a Savona Giancarlo Pajetta, il quale, stabilitosi in una casa di via Poggi insieme a Giovanni “Andrea” Gilardi (da dicembre segretario della Federazione savonese del PCI, in sostituzione di Libero Briganti aggregatosi ai partigiani imperiesi), organizzò l’agitazione inviando staffette nelle principali fabbriche cittadine.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000
 
Libero Briganti (Giulio) inizia giovanissimo la sua attività rivoluzionaria. Militare a Torino, sorpreso con libri marxisti nascosti sotto il materasso, conosce la cella d'isolamento. Arrestato nel 1934, viene condannato a cinque anni di duro carcere ove continua a maturare la sua coscienza politica. Con i segni della tortura sul viso esce nel 1938 e subito si impegna nella riorganizzazione del Partito Comunista Italiano, al quale apparteneva, ed alla diffusione della stampa clandestina.
Il 25 luglio 1943 guida le masse popolari nell'assalto alle carceri savonesi per liberare i compagni conosciuti durante la lotta antifascista e tutti gli altri prigionieri politici.
Dopo l'8 settembre 1943 prepara le prime azioni armate. Il PCI gli affida la responsabilità del lavoro militare. Milita nei GAP (Gruppi di Azione Patriottica) ma, ben presto, deve abbandonare la città di Savona dove alcuni suoi compagni sono trucidati per aver gettato bombe a mano in un ritrovo di Tedeschi.
Il 22 febbraio 1944 «Giulio» è già alla Maddalena presso Lucinasco, fra i partigiani imperiesi, con il gruppo di Rinaldo Risso (Tito). Vi è pure «Cion» [Silvio Bonfante], il futuro eroico Comandante, vincitore di cento battaglie. Presso quel gruppo, che in precedenza aveva progettato un'ardimentosa azione in regione Garbella, Libero Briganti legge uno scritto di encomio per gli uomini di Felice Cascione. Con tale lettera il gruppo è riconosciuto «Formazione garibaldina» e «Giulio» ne diventerà il Commissario.
A marzo è a Costa di Carpasio con «Curto» [Nino Siccardi], «Erven» [Bruno Luppi] e «Marco» [Candido Queirolo] per unificare le formazioni della I Zona Liguria.
Successivamente si rifugia ad Artallo (entroterra di Imperia Porto Maurizio), in casa di Nino Siccardi (Curto), e vi si ferma alcuni giorni per curarsi. «Curto» riferirà in seguito dello spirito acuto di Libero Briganti e della evidente difficoltà di esprimere i propri sentimenti per il carattere introverso. Nella sua vita esisteva solo il sacrificio per la famiglia ed il lavoro per il Partito.
A fine marzo è fra i ventidue camminatori più resistenti che si dirigono a Caprauna per ricevere un annunciato lancio degli aerei alleati. Nel maggio del 1944 lo troviamo, insieme a «Curto», lungo la strada Pontedassio-Chiusanico a nascondere sotto mucchi di pietriccio i proiettili adibiti a mine che dovevano scoppiare a comando. In tale occasione si imbatte in una pattuglia di Tedeschi, ma riesce a fuggire.
Con «Vittò», «Erven», «Argo» ed «Aldo di Cetta», raggiunge Cima Marta. Con «Curto» progetta l'attacco alla guarnigione nazifascista di Badalucco ed il 10 di giugno partecipa con «Mirko» a tale azione.
Qualche giorno dopo è nominato Commissario della IX Brigata d'Assalto Garibaldi, una formazione di 1500 uomini, composta da combattenti di prim'ordine e successivamente, come vedremo, sarà il Commissario della II^ Divisione «F. Cascione».
Il 3 luglio 1944 è a Rocchetta Nervina. Insieme ad un pugno di coraggiosi «Giulio» sostiene il primo attacco del nemico che si ritira dopo aver subito gravi perdite.
Con i piedi doloranti non cessa mai di camminare; anche nei momenti di sosta, riservati al riposo, non sottrae un minuto al lavoro di commissario. La sua presenza è esempio continuo di vita e di lotta.
Nessuno dei comandanti partigiani fu più incompreso di Libero Briganti nelle formazioni garibaldine della I^ Zona Liguria. Di carattere chiuso, alieno da parole ed atti superflui, a chi non lo conosceva profondamente egli appariva freddo e distante. Eppure, per «Giulio» la lotta della montagna non era che il semplice proseguimento di quella sommessamente eroica che aveva intrapreso dieci anni prima.
Fin dall'inizio, come si può notare dalla biografia, è nominato Commissario della prima formazione partigiana organica dell'imperiese, provincia madre di tante valorose figure di combattenti. Non a caso la scelta era caduta su «Giulio», secondo ad alcuno nel coraggio, a nessuno secondo per generosità e calore umano.
In quell'epoca travagliata, piena di tormenti e sacrifici, non sempre era facile distinguere i valori nascosti.
I partigiani combattevano, soffrivano e morivano. Però, pur nell'epopea che, forse inconsapevolmente, stavano vivendo, amavano esprimere l'esuberanza della giovinezza anche attraverso la forma della comunicazione umana, esternare i propri pensieri ai compagni e dagli stessi udire altri fatti. Molti erano ventenni, non pochi ancora imberbi, saliti alla montagna per l'innato spirito di libertà avvertito dalle coscienze oneste o per lucida, raziocinante determinazione. Nei momenti di riposo c'era posto anche per il riso e per lo scherzo; ed era giusto che fosse così. Perciò, accanto alle discussioni impegnate sull'organizzazione ed i problemi ad essa connessi, in ogni formazione regnava sovente la spensieratezza. Libero Briganti comprendeva tutto ciò e gioiva per lo spirito giovanile e sano dei partigiani, ma non sapeva esternare i moti generosi del suo animo, creando così la stereotipata immagine del comandante freddo e distaccato dai suoi uomini.
Ma, col trascorrere del tempo e l'infuriare delle bufere, il Commissario cominciò ad essere meglio conosciuto e, perciò, apprezzato.
Silenzioso sempre, sì, ma presente sempre nei rischi e nei disagi. E sempre così, fino a quando, in uno degli eventi più infausti e tempestosi per la Resistenza della I^ Zona Liguria, ai suoi compagni «Giulio» offrì la vita, con mitra in mano, nello sperduto paesello di Upega. Al suo fianco era il «Curto». Era il 17 ottobre dell'anno 1944. Lassù stava già nascendo l'inverno e con «Giulio» morivano «Cion» e tante altre primavere di giovani generosi. Che tristezza  infinita, quel giorno!
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

Nome: Libero Remo Cognome: Briganti Genere: M
Nascita: 02/12/1914, Savona (SV), Italia
Morte: 18/10/1944, Upega - Briga Marittima (CN), Italia
Profilo: Di mestiere faceva l'operaio meccanico. Conosciuto con il nome di battaglia "Giulio", fu un partigiano combattente attivo dal 1-10-1943 presso il Comando della II Divisione Garibaldi "Cascione", all'interno della quale ha ricoperto il ruolo di commissario.
Comunista vigilato dal 1931, schedato dal 1934, venne arrestato nell'aprile del 1934 per partecipazione ad organizzazione comunista, nuovamente arrestato l'11-5-1934 e poi rilasciato dal penitenziario di Finalborgo, presso Finale Ligure (SV) nel luglio dello stesso anno.
Nel 1934 fu operaio allo stabilimento "Scarpa & Magnano", dove era responsabile della cellula comunista per incarico del PCI clandestino (al fine di infiltrarsi nelle organizzazioni sindacali fasciste). Lavorò in diversi stabilimenti savonesi, dove, tra gli operai, cercava terreno fertile per fomentare l'associazione comunista, l'organizzazione antifascista e la propaganda sovversiva. Proprio per questo venne arrestato il 20-4-1938 e condannato dal Tribunale Speciale ad una pena detentiva di 5 anni (2 condonati), presso il carcere di Castelfranco Emilia (MO); venne rilasciato il 20-4-1940 e, a partire dal 6-5-1941, gli venne revocata la libertà vigilata. Fu segretario della Federazione savonese del PCI dal maggio del 1940 all'ottobre del 1943. Il 26 luglio 1943 guidò la popolazione savonese all'assalto del carcere di Savona, penetrando nel cortile ed ottenendo dal direttore l'impegno, in parte poi mantenuto, di liberare i detenuti politici.
Dopo l'8 settembre del 1943 iniziò ad organizzare i primi nuclei e gruppi partigiani e a condurre le prime azioni armate contro i nazifascisti occupanti; nell'ottobre del 1943, ormai braccato dalla polizia per la sua politica sovversiva durante i "quarantacinque" giorni di regime badogliano, dovette lasciare la città alla volta dell'imperiese, dove curerà l'organizzazione e la formazione politica di gruppi partigiani che là stavano nascendo, rivestendo importanti incarichi di coordinamento della Resistenza in questi luoghi. In particolare si distinse per il coraggio e per le capacità di organizzare strategicamente la lotta armata contro il nemico nel luglio del 1944, presso Rocchetta Nervina (IM), dove tenne in scacco per tre lunghi giorni le forze tedesche, dotate di artiglieria, che occupavano il paese. Cadde eroicamente il 17-10-1944, a Upega, presso Briga Marittima (CN), colpito a morte da una raffica di mitraglia mentre, insieme a Nino Siccardi (detto Curto, comandante della Divisione Cascione), tratteneva e fiaccava il nemico a colpi di artiglieria nel tentativo di dare il tempo alle proprie formazioni di evacuare la zona e di salvare alcuni compagni feriti. Dice di lui Carlo Farini "...vecchio e bravo compagno, la sua qualità maggiore che tanti non conoscevano, dato il suo carattere chiuso e l'incapacità di esteriorizzare le sue conoscenze e il suo parere, era l'indubbia cultura politica, l'orientamento giusto, l'attaccamento e la fedeltà al Partito. Egli era certamente il compagno più preparato, ideologicamente, di tutta la Divisione, e pur tanto così semplice e modesto. [...] Giulio era certo uno dei migliori nostri e la sua perdita è perdita incalcolabile..." (lettera di Carlo Farini, "Simon", del 19-11-1944 a Nino Siccardi, "Curto", comandante della Divisione Cascione).
Tra le sue memorie, molto popolare una sua riflessione dell'agosto del 1944, diffusa anche alle formazioni partigiane del savonese, in cui esorta i garibaldini quali soldati del nuovo esercito nazionale d'Italia ad un necessario spirito di disciplina partecipativa (Libero Briganti, "Giulio, riflessione del 19-8-1944, "Il commissario divisionale - La disciplina che vuole il soldato del popolo", fotocopia in "Memorie partigiane). Fu decorato alla memoria con medaglia d'argento al valor militare.
Redazione, Libero Remo Briganti, Archivi della Resistenza e del '900  

«Con profondo sentimento di cordoglio che dobbiamo comunicarvi l'avvenuta morte del commissario politico di divisione Giulio caduto eroicamente il 17 ottobre a Upega mentre si portava con pochi animosi, con supremo sprezzo della vita, ad attaccare il nemico piombato di sorpresa, onde dar tempo all'evacuazione e al salvamento dei nostri feriti colà ricoverati.
Portatosi innanzi intrepidamente cadeva colpito a morte da una raffica di mitraglia.
Con la sua eroica morte egli ha gloriosamente suggellata la sua vita di combattente, una vita coraggiosamente vissuta nella lotta per la libertà e l'indipendenza del nostro Paese, per la libertà e i diritti delle masse popolari.
Egli è stato per tutti noi un esempio di abnegazione, di spirito di sacrificio, di sicuro coraggio.
Nella espletazione dell'importante incarico che gli era stato affidato aveva dimostrato le alte doti del suo intelletto e della sua preparazione, come la saldezza della sua fede. Egli è una tipica figura di garibaldino, di combattente e di militante.
Con la sua gloriosa morte onora il suo paese, i suoi compagni di fede e di lotta.
La seconda Divisione Garibaldina della Liguria perde in lui uno dei suoi migliori, esempio luminoso e indimenticabile di devozione alla Causa comune a tutti quegli italiani che hanno imbracciato il fucile per cacciare dal suolo della Patria i barbari alemanni ed estirpare per sempre la peste nera del fascismo.
Egli era un esempio luminoso di entusiasmo, di tenacia, di coraggio e di fervida volontà di migliorarsi per assurgere alla funzione del capo, della guida sicura, del militante d'avanguardia forgiato alla scuola del sapere, del dovere e del sacrificio.
La sua memoria e il suo nome resteranno indelebili nel ricordo e nella coscienza di tutti i Garibaldini della seconda divisione, che sentono oggi quanto con lui essi hanno perduto, ma che dal suo esempio di fulgido coraggio sono animati a raddoppiare le loro energie per accentuare la lotta, anche per lui, per tutti i caduti, e avvicinare così il giorno della Liberazione.
E in quel giorno anch'egli non sarà dimenticato, anch'egli sarà in mezzo a noi e il suo nome sarà stampato a lettere d'oro nei monumenti che ricorderanno il contributo di sacrificio e di sangue che abbiamo dato alla causa della liberazione nazionale.
Vogliate, a nome di tutti i volontari, commissari e comandanti della Divisione che lo ebbero soldato e capo non comune, esprimere alla sua famiglia la loro simpatia più profonda e la loro solidarietà fraterna.»
Il Commissario Politico della II^ Divisione "Felice Cascione" Mario [Carlo De Lucis]

mercoledì 16 giugno 2021

Partigiani a Pian di Bellotto

La zona di Monte Ceresa, comprensiva di Pian di Bellotto (Cian de Belotto), al confine tra il Savonese e l'Imperiese - Fonte: giambi@wikiloc

Già dall'8 settembre 1943, Silvio BonfanteCion»] è pronto e presente alla lotta e, fin dall'inizio, rivela spiccate qualità di uomo destinato a diventare una guida trascinatrice. Il curriculum di combattente della montagna è più che garante della sua validità.
Nel mese di giugno del 1944 ha ormai percorso in lungo ed in largo i nostri monti e le nostre valli. Quante azioni portate a termine! Con ogni mezzo, tritolo o mitra, ha già inferto gravi colpi ai nazifascisti. Ma, ciò che più conta, ha messo a disposizione le sue doti d'organizzatore con cui ha contribuito, in uno sforzo comune con gli altri combattenti maggiormente dotati, a creare l'ossatura di un esercito che, pur affamato e scalzo, infliggerà a Tedeschi ed a fascisti perdite ingenti (4).
Mese di giugno 1944: «Cion» è capobanda della «Volante». Progetta le azioni più rischiose con pochi coraggiosi che, di volta in volta, si sceglie. Gli esiti sono sempre positivi e soddisfacenti. Egli possiede, innate, le doti del comando.
Alto ed atletico, colorito bruno, capelli nerissimi ondulati, baffetti sottili, occhi neri e vivissimi, ispira una fiducia illimitata in tutti i suoi uomini che lo seguono in ogni azione, consapevoli d'essere ben guidati da un uomo che sa valutare perfettamente l'eventualità di ogni insidia ed avvertire la necessità di non rischiare in modo temerario oltre il lecito.
«Cion» sa farsi amare ed ammirare, anche se i rapporti tra comandante e semplici volontari non sfociano mai nell'eccesso di confidenza che spesso rappresenta, nella lotta partigiana, un fattore negativo poiché intacca quei principi di obbedienza e disciplina necessari quando si agisce nei pericoli.
Progettata l'azione, non ne rivela ad alcuno i particolari onde evitare che la leggerezza, od eventuali delatori, procurino informazioni al nemico, pregiudicandone l'esito e determinando perdite nelle fila partigiane. Tale prudenza è segno di maturità e di saggezza, se si considera che consistente e continuo è l'afflusso alle formazioni garibaldine di uomini, a volte sconosciuti e dei quali s'ignorano identità e, non raramente, gli stessi nomi. All'arrivo, ognuno è interrogato sulle proprie intenzioni e, alla risposta di voler far parte delle bande partigiane, è accettato ed entra in formazione.
«Cion» sa che il modo più idoneo per creare buoni combattenti è il battesimo del fuoco; perciò, via via, alterna i giovani nelle azioni affinchè prendano gradualmente confidenza col pericolo.
All'inizio gli uomini della «Volante» sono una ventina, forse meno; garibaldini reduci dalla prima gloriosa formazione di Cascione e qualche badogliano uscito vivo dalla tragedia di Val Casotto (5). E' gente avvezza ai pericoli e provata dalla dura lotta. Alcuni sono reduci dai campi di battaglia d'Albania, d'Africa, o di Russia.
La «Volante» di «Cion» pare l'elemento apposito per creare altissimo l'entusiasmo; è diventata ormai la formazione perfettamente organizzata e guidata da un capo meraviglioso, in quella zona verdeggiante, irradiata dal sole d'una splendida primavera, a due passi dal mare d'Oneglia e d'Albenga.
Un senso di profondo cameratismo regna nella banda. La democrazia più autentica, quella non condizionata da alcun fattore, è l'elemento predominante. Il rispetto ed il senso umanitario reciproco hanno trovato il loro regno. Esempi a non finire di generosità e rinunce, d'amicizia autentica tra Comandante, Commissario ed i garibaldini. E' il luogo ideale per chi sogna la fraternità.
Un partigiano deve recarsi a Stellanello e chiede il permesso al Commissario che glielo concede. Ma non è ancora soddisfatto e dice: «Federico, ho i pantaloni rotti, mi secca andare così in paese». - Federico [Federico Sibilla]: «Tieni i miei, ma fa' presto che io ne resto senza!». E, nell'attesa del ritorno, si avvolge in una coperta (6).
Le notizie provenienti dai fronti di guerra con i Tedeschi in ritirata, il pensiero dell'imminente fine del conflitto e le sistematiche azioni partigiane a catena, sempre vittoriose sui nazifascisti, le gesta di «Cion» ingigantiscono la figura del condottiero garibaldino, e creano un senso di invulnerabilità e d'invincibilità della «Volante». L'ammirazione cresce e si diffonde ovunque nelle valli e, in tutti i paesi e città, il nome di «Cion» esalta e crea altissimo il morale sia tra i suoi uomini che nella popolazione. Scrive «Magnesia» [Gino Glorio]: "...  «Cion» fu il più noto, il migliore dei capobanda garibaldini. Con coraggio freddo progettava le imprese più spinte e le portava a termine con un pugno di ardimentosi. Aveva tutte le qualità del capobanda, sapeva ispirare fiducia negli uomini che andavano con lui sereni anche verso l'ignoto, consci di essere ben guidati, che il capo sarebbe andato innanzi a loro esponendosi di persona. Sapeva trascinare i combattenti con l'esempio ma valutava esattamente le situazioni e non arrischiava oltre il necessario ...".
Noi esitiamo a sottoscrivere in assoluto il concetto espresso all'inizio del passo citato perchè, nel proseguimento della lotta, altri fior di combattenti sorsero nelle fila; anzi, già c'erano, ma è certo che «Cion» fu nella ristretta cerchia dei migliori. Non c'è dubbio che Silvio Bonfante sia stato un riconosciuto e naturale erede di Cascione: infatti, la I^ Brigata, dopo la sua morte, diventerà nel dicembre 1944 la Divisione d'Assalto Garibaldi ed assumerà il suo glorioso nome.
I Tedeschi e tanto meno i fascisti non osano avventurarsi, da lunga data ormai, per uno scontro armato in montagna da quando un gruppo della Ettore Muti, inoltratosi fino alla località Rossi, era stato annientato interamente e  seppellito sotto i castagni.
Morale alle stelle, dunque, e cameratismo profondo tra i partigiani della «Volante» ed afflusso continuo, in primavera ed estate, di giovani dalle città e dai paesi alle bande armate. È vanto d'ognuno far parte della formazione di «Cion», partecipare alla lotta contro i nazifascisti, contribuire alla rinascita del paese.
Inoltre, tra le fila partigiane non si corre il rischio d'incorrere nei crudeli rastrellamenti che i Tedeschi operano tra i civili nelle città e di essere imprigionati o spediti in Germania, o essere costretti ad indossare la divisa della Repubblica di Salò, o inquadrati nell'organizzazione Todt con tutti i rischi e le conseguenze future.
L'afflusso dei nuovi venuti alle bande tocca il ritmo medio di cinque­dieci unità al giorno; cifra notevole se si considera, come già ricordato, che i partigiani non possiedono caserme, magazzini, grosse scorte, armi e, tanto meno, munizioni per poter far fronte a necessità che, col tempo, diventano sproporzionate rispetto alle obiettive possibilità (7).
Le imboscate partigiane alle colonne nemiche, l'assalto ai presidii, la distruzione di ponti e vie di comunicazione, i colpi di mano per procurare viveri e munizioni, l'eliminazione delle spie, sono all'ordine del giorno nel mese di giugno. «Cion» per ogni azione da compiere alterna gli uomini per formare nuovi combattenti, ed imparare a conoscere d'ognuno le qualità, i pregi, i difetti; quasi per selezione naturale, ognuno scopre in sé le attitudini per lo svolgimento delle mansioni adatte alle proprie possibilità.
La certezza regna sovrana: nessuna sorveglianza intorno all'accampamento, nessun turno di guardia neppure durante la notte. In definitiva, è convinzione radicata nei partigiani di essere assistiti dalla fortuna; non resta che la battaglia finale e la discesa per liberare definitivamente le Città.
Nella prima decade di giugno, la Volante ha tanti effettivi che Cion decide di scinderla e di creare un nuovo distaccamento. Nasce così la «Volantina», come figlia e sorella della «Volante», il cui comando è affidato a Massimo Gismondi (Mancen). Questi, di «Cion», è l'amico fraterno che sempre affiancherà in ogni luogo ed in ogni rischio.
«Mancen», per coraggio, a nessuno è secondo, neppure a Cion, tanto che il suo nome sarà altrettanto temuto ed odiato nel campo nazifascita. I due Comandanti si diversificano nel carattere, perché «Mancen» è, come si suol dire, più alla mano, più pronto alla battuta popolaresca, al vociare robusto, allo scherzo entusiasticamente infantile. Ma è un generoso. Un giorno si presenta in ritardo al Comando e si scusa spiegando di aver dovuto fare il percorso a piedi nudi perché ha dato in prestito le scarpe ad un suo partigiano partito in missione!
Che «Mancen» abbia un Santo protettore in cielo lo possono dimostrare decine di fatti di vita partigiana; ma li riassume tutti quello del 25 luglio 1944 che accadrà nel corso della battaglia di Pievetta: quando, all'improvviso, un tiro violento ed incrociato di armi automatiche tedesche si abbatte tempestoso sulla colonna partigiana e tutti, anche i più coraggiosi, sono inchiodati a terra nell'attesa di momenti... migliori, «Mancen», in piedi, osserva i movimenti del nemico! (8)
Non a caso, d'altronde, questo giovane venuto alla montagna dalla sua Oneglia nel mese di marzo del 1944, come «Cion», Nino Berio (altro valoroso combattente e martire) e tanta altra gioventù, sarà uno dei protagonisti di quella «Squadra d'Assalto» che sorprenderà i nazifascisti e li sgominerà, il 5 di settembre, nella fatidica battaglia di Montegrande, divenuta celebre anche fuori dell'ambito regionale.
Mancen, in seguito, ricoprirà l'incarico di Comandante della I^ Brigata Garibaldi «S. Belgrano».
Nel mese di giugno, con la costituzione della «Volantina», la «Volante» che nel maggio era a Stellanello si trasferisce a Pian di Bellotto (9). L'accampamento è composto da tre stanze con funzioni di dormitori, deposito armi e cambusa-viveri. Ci sono, inoltre, la tenda per il Comando, qualche altra tenda-dormitorio, ed una radio sempre tenuta ad alto volume ed udibile a lunga distanza, in segno di sicurezza e di sfida al nemico. Pian Bellotto è alle falde del ripido pendio del monte Ceresa ed è circondato, ai suoi fianchi, da boschi e rocce. Su una di queste è piazzata una mitragliatrice. La «Volante» possiede un discreto armamento; ma le sempre nuove esigenze ne rivelano l'insufficienza anche se attraverso le quotidiane azioni i garibaldini, via via, si procurano le armi sottraendole al nemico. Citiamo un fatto narrato da «Magnesia»: «Mi disse un partigiano: "Vedi quel fucile «Mauser» con cannocchiale? Il Calabrese ne desiderava uno; poi ha saputo che un Tedesco di Andora lo possedeva ed allora, l'altro giorno, è partito da solo. È ritornato con questo"».
Il vitto, per quanto i rifornimenti lo permettano, è cucinato all'aperto: poche pietre disposte a focolare protette da qualche ramo. Il cuoco non può mai conoscere in tempo il numero dei presenti essendovi sempre nella formazione un via vai di partigiani, di passaggio o in arrivo. Comunque, la quantità di cibo è sufficiente all'alimentazione degli uomini.
Il numero dei componenti la «Volante», a seguito della creazione del distaccamento affidato a «Mancen», è ridotto ad una quarantina; ma nuovi giovani continuano ad affluirvi.
Verso passo San Giacomo ha sede una banda di badogliani e sovente, la sera, s'odono degli spari d'esercitazione.
La «Volantina» di «Mancen» prende posizione alla base del monte Torre ma dalla parte opposta a quella della «Volante», cioè sul lato sud. La zona è quella già citata di «Fussai» ed è soprastante ad Evigno, nel comune di Diano Arentino. «Mancen» controlla, perciò, la zona dello Steria e dell'Impero. In caso d'attacco nemico, compito della «Volantina» è l'occupazione di Pizzo d'Evigno a protezione della postazione «Volante», sul monte Ceresa. Il piano prevede, dunque, il dominio delle alture da parte dei garibaldini.
Aggiungiamo ora qualche particolare sullo svolgimento dello scontro così ben sintetizzato, come abbiamo visto, dal bollettino di «Cion».
Alle 7 circa del mattino è dato l'allarme, con una lunga raffica di mitragliatrice, mentre parte dei partigiani, già svegli, sta facendo colazione. Tutti afferrano le armi e si raggruppano intorno al casone principale dell'accampamento per prendere ordini. A quanto è dato supporre dalle raffiche che si susseguono, i nemici si spingono verso Stellanello. Non è ancora possibile conoscere la consistenza delle forze nemiche, sia riguardo al numero, sia all'armamento, sia anche alla direzione in cui agiranno. Contrariamente al solito, però, si intuisce che stavolta la cosa si presenta seria; ma la fiducia nella loro forza e la coscienza dell'andamento favorevole degli avvenimenti fino a quel giorno, preparano i garibaldini ad una lotta da cui, come sempre, i nazifascisti usciranno sconfitti.
«Cion», con gli uomini armati, parte incontro al nemico, mentre i nuovi arrivati, in maggioranza ancora privi di armamento e, conseguentemente ancora inutili sul fronte dello scontro a fuoco, si disperdono nei boschi vicini con l'intenzione di svolgere funzioni di staffetta e di collegamento fra le varie postazioni partigiane combattenti, e di avvistamento del nemico. Un gruppo di essi raggiunge la vetta del monte Ceresa. Le notizie si fanno sempre più precise: un'imponente forza di circa milleduecento nazifascisti, disposta su varie colonne, si avvia all'assalto delle due bande partigiane partendo dalle varie direzioni di San Damiano, Testico, Stellanello, Chiusanico, Pairola.
La situazione dei garibaldini diventa rapidamente molto difficile poiché è esclusa ogni possibilità d'aiuto da altre formazioni.
«Cion» stima la vetta del Ceresa la posizione più opportuna per la difesa: lassù, il nemico concentrerà i suoi attacchi che potranno essere contenuti poiché «Mancen» occuperà la vetta del Pizzo d'Evigno, come previsto nei precedenti piani, e proteggerà di lassù il fianco sinistro della «Volante».
Ma, come abbiamo già riferito, la «Volantina» è impossibilitata all'appuntamento. Sicchè quando il gruppo dei partigiani di monte Ceresa è fatto segno di raffiche di mitragliatrice dalla vetta di Pizzo d'Evigno, si comprende allora che, in quel luogo ci sono i Tedeschi.
(4) Molta parte dell'azione di «Cion», nel periodo fino al giugno 1944, è riportata nel 1° volume della presente opera, di G. Strato.
(5) La tragedia di Val Casotto è avvenuta nel marzo l944.
(6) Dal diario di Gino Glorio.
(7) Per dare un'idea sull'afflusso di nuove reclute alle bande partigiane, riportiamo il breve rapporto inviato dalla Volante al Comando della IX Brigata:
"Comando della IX Brigata d'Assalto Garibaldi, Distaccamento N° 1 (Volante)
         lì, 18/6/44
Impossibile preparare servizio giornaliero.
Continuamente affluiscono uomini di tutte le classi.  
Distaccamenti al completo, possibilmente formarne altri da queste parti (attendiamo
ordini). Formato tre bande locali a nostra disposizione.
Totale uomini 20 a Pairola, Riva Faraldi, Testico.
Attualmente presenti a questo distaccamento 80 uomini.
Azione Santa Croce rimandata perché rinforzata. Facilmente lunedì o martedì.
F.to Commissario politico Federico"
(8) Testimonianza di partigiani presenti allo scontro.

Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

In quel periodo si cominciava a parlare della Volante, che era una banda in attività permanente, e del Cion che la comandava: questa banda la comandava a modo suo con tutti che gli ubbidivano: era un modo tutto speciale che bisognava vedere.
Il Cion capobanda era un giovanotto di fegato, che di risposte ai fascisti dopo quei bandi di chiamata ne aveva già date parecchie, ma tutte precise, diventando famoso per la sveltezza che aveva.
Tanto per spiegare come facevano, eccoli: a Capo Berta, proprio in mezzo alle pattuglie e ai reticolari, una volta aveva mandato il Brilla caposquadra, che intanto andasse per un lavoretto veloce; siccome il Brilla sapeva tirare di boxe, per non fare rumore fece a pugni con la sentinella tedesca prepotente, che non voleva capirla prima degli spari; e così quando spararono, lui aveva già sgombrato il passaggio per conto suo.
Ai Rossi la Volante tutta insieme, che non li fermavano nessuno, se la prese con quelli della Muti, che si credevano i padroni del vapore su e giù per la vallata; questi qui della Muti saccheggiavano intorno nei paesi da prepotenti, cantando all'armi all'armi siam fascisti; e non cantarono più.
Col Mancen che era il vice Cion, a Casanova ne catturarono tredici di un reparto di camicie nere in un colpo solo di passaggio; e anche quelli non ci passeggiarono più su e giù per la vallata, facendo i bulli.
Poi, dopo tutti questi colpi che facevano, il Cion e i suoi uomini tornavano alla base che avevano nei casoni di Pian di Bellotto; e lì da strafottenti aprivano la radio a tutta birra, che la sentissero dappertutto.
Lo facevano apposta per farsi sentire che c'erano nei loro posti, e che se ne strafregavano, e che ci rimanevano eccome; venissero pure.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, p. 44

Leo è nato ad Andora (SV) il 4.6.1925. Alla fine del 1943 saliva al Casone du Beu, nel comune di Testico, dove sostavano nascosti i primi partigiani comunisti comandati da Felice Cascione. Leo aveva raccolto poche cose di vestiario e qualche provvista alimentare in uno zaino tedesco, che lo zio Quinto reduce dalla Russia aveva portato a casa, e si era incamminato verso i monti, fiducioso di trovare i ribelli. Giunto con fatica all’accampamento era interrogato in modo stringente, sulla sua identità e sulla parentela, specie da parte del partigiano Felice Spalla (Felì) futuro caduto in battaglia e da un altro ribelle. Leo non capiva la brusca inquisizione, non aveva riflettuto sul messaggio comunicato dal suo sospettoso zaino. Chiarita la provenienza e la famiglia, conosciuta proprio da Felì, anch’esso reduce con lo zio di Leo dalla guerra russa, dopo due giorni di permanenza nel Casone du Beu era comunque invitato a tornare a casa. La breve esperienza a contatto con il gruppo Cascione aveva infiammato Leo che tornerà per vivere con Silvio Bonfante (Cion), l’erede di Felice Cascione, l’epopea di Cian de Bellottu, le prime battaglie contro i nazifascisti e dopo la presenza nella Volante; infine l’adesione al distaccamento di Nino Agnese (Marco) fino alla Liberazione.
Ferruccio Iebole, Leopoldo Fassio “Leo”, un partigiano, I Resistenti, ANPI Savona, n° 1 - Aprile 2019 

Bonfante, Silvio, (Cion)
Arruolato, nel luglio 1941, nella Regia marina per obbligo di leva, viene destinato al deposito Crem di La Spezia e in seguito al distaccamento Marinai di Roma. Dopo l'armistizio rifiuta l'arruolamento nell’ esercito della Rsi e ad ottobre, rientrato in Liguria, si unisce ai primi partigiani dell'imperiese. Dopo aver operato nelle formazioni cittadine, nel febbraio 1944 entra a far parte del gruppo Cascione, ricostituitosi dopo la morte del suo comandate. E’ nominato comandante del 1° e poi del 3° distaccamento, entrambi dislocati al bosco di Rezzo. Nel giugno 1944 gli viene affidato il comando del 1° distaccamento Volante della 9ª brigata d'assalto Garibaldi, dislocato prima a Testico e poi a Rossi. Nel combattimento di Pizzo d'Evigno del 19 giugno, sostenuto interamente dal suo distaccamento, respinge l'assalto di una colonna tedesca, infliggendo al nemico pesanti perdite. A luglio, alla costituzione della divisione Cascione, ottiene il comando della 1ª brigata Silvano Belgrano. Guida numerosi attacchi contro presidi germanici e di Brigate nere a Ceva, Cesio, Pogli, Case di Nava e contro convogli della Wehrmacth sulla strada di Diano Marina e a Ponti di Nava. Comanda un attacco contro quattro postazioni della divisione San Marco che porta alla cattura di numerosi militari nella zona di Chiappa (val Steria), Roccà e Pairolo. Nella battaglia di monte Grande del 5 settembre guida l'assalto contro il reparto germanico che tiene la vetta, costringendolo a ritirarsi. Il 12 settembre gli viene affidato l'incarico di vicecomandante della Cascione. L'8 ottobre tenta, con un piccolo gruppo di uomini, l'impresa di catturare il contingente tedesco di stanza nel presidio di Vessalico. Rimasto ferito, viene ricoverato in un ospedale partigiano in località Valcona (Piaggia). Il 15 ottobre, nel corso di un grande rastrellamento della Wehrmacht, viene trasferito in barella, insieme ai feriti radunati a Vessalico e a quelli di Pigna, nell'ospedale da campo allestito a Upega. Due giorni dopo l'ospedale viene circondato dai tedeschi che, dopo aver attaccato San Bernardo di Mendatica, avevano puntato su Upega. Cion, per non cadere vivo nelle loro mani, si uccide sparandosi al petto. Nel dicembre 1944 gli viene intitolata la 6ª divisione d'assalto Garibaldi. Medaglia d'oro al valor militare.
(a cura di) F. Gimelli e P. Battifora, Dizionario della Resistenza in Liguria, De Ferrari, Genova, 2008 

martedì 17 novembre 2020

Quel viaggio clandestino a Genova dell'ispettore partigiano Simon



Una vista dal centro abitato di Ceriana (IM) in direzione della vallata di Beuzi
 
10 febbraio 1945 - Foglio di viaggio di "Simon" [Carlo Farini], ispettore della I^ Zona Operativa Liguria, sotto il falso nome di Arrigo Giovanni, documento valido dal 14 al 28 febbraio 1945 a firma dell'Ortskommandatur per un viaggio da Taggia a Savona allo scopo di acquistare derrate alimentari per la [immaginaria] famiglia.
10 febbraio 1945 - Certificato n° 23 del comune di Taggia comprovante l'autenticità della fotografia di Arrigo Giovanni, fu Gio Batta, nato a Rimini il 28 febbraio 1888, di professione commerciante.
11 febbraio 1945 - Dal CLN di Sanremo a "Simon" [Carlo Farini] - Forniva ragguagli circa la copertura di identità (falso nome di Giovanni Arrigo), la motivazione (acquisto di derrate alimentari) ed altri accorgimenti cospirativi per un viaggio a Genova, dove il comandante avrebbe dovuto incontrare il CLN ligure e sottolineava che il "foglio di viaggio" risultava valido solo per il tratto Taggia-Savona, per cui "Simon" avrebbe dovuto compiere il resto del tragitto clandestinamente in autovettura.
11 febbraio 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 272, all'ispettore della I^ Zona Operativa Liguria - Ringraziava per l'accoglienza ricevuta da parte dei partigiani di montagna durante il costruttivo incontro del 9 febbraio [n.d.r.: Convegno di Beusi  - vedere infra - ], in cui si erano risolti numerosi problemi della lotta comune.
[n.d..r.: e l'ispettore non poteva non relazionare a Genova, dove si recava per assumere una carica a livello regionale, abbandonando, quindi, la I^ Zona Operativa Liguria, non poteva non relazionare degli esiti del Convegno qui di seguito citato, al quale era stato presente anche il capitano britannico Robert Bentley, ufficiale alleato di collegamento]
12 marzo 1945 - Da "Simon" a "Curto" [Nino Siccardi] - Segnalava che era giunto sano e salvo [a Genova] e che il 15 marzo attraverso "Cammeo" [Mario Mascia] avrebbe "fatto avere al movimento di liberazione della I^ Zona lire 3.000.000 per il mese di marzo". Chiedeva una descrizione dettagliata delle azioni effettuate. Comunicava che si dimostrava necessario ostacolare in ogni modo la fuga dei tedeschi dalla zona ed impedire loro di razziare materiale e di distruggere ed incendiare paesi; che da quel momento le formazioni partigiane dovevano avere obiettivi da proteggere quali, ad esempio, acquedotti, centrali elettriche, linee dell'alta tensione e le formazioni SAP e quelle vicine alle città dovevano sorvegliare i porti, le officine del gas, le industrie, le linee ferroviarie e tramviarie e tutti gli istituti pubblici; che "già da adesso occorre conoscere il numero e l'ubicazione dei guastatori fascisti e tedeschi, onde sorvegliarli e poterli contrastare al momento dell'azione"; che bisognava preparare un piano, in accordo con le SAP, per l'occupazione delle città della costa e la salvaguardia dei punti strategici, un progetto da inviare tramite lo stesso "Simon" al Comando Militare Unificato della Liguria; che per quanto riguardava i rapporti con i "cugini", vale a dire gli alleati, precisava che gli anglo-americani "fungono da collegamento e non da comando; pur nella piena collaborazione vi deve essere indipendenza e dignità nazionale".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Una vista su Taggia dalla località Beuzi. Foto: Eraldo Bigi

Uno scorcio di Località Beuzi. Foto: Eraldo Bigi

Il 9 febbraio 1945 il segretario del C.L.N. di Sanremo partecipava ad un convegno in montagna coi rappresentanti del Corpo Volontari della Libertà, del Comando Alleato e del C.L.N. Provinciale di Imperia, nel quale veniva stabilito di concedere al C.L.N. comunale di Sanremo l'autonomia assoluta e la giurisdizione su tutto il circondario, giurisdizione che il C.L.N. stesso aveva già virtualmente ottenuto fin dalla sua costituzione, in quanto il C.L.N.P., date le difficoltà del collegamento con la zona occidentale della Provincia, non era in grado di esercitarvi un'attività completa ed un'azione efficace.
Il C.L.N. di Sanremo, che nel frattempo aveva provveduto direttamente alla costituzione o al riconoscimento ufficiale dei C.L.N. comunali della sua zona, si trasformava in tal modo in C.L.N. circondariale.
L'attività svolta dal comitato circondariale di Sanremo fu multiforme e di grande ausilio per lo sviluppo della lotta di 1iberazione, tanto da ricevere gli elogi degli enti superiori e degli stessi ufficiali di collegamento alleati.
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia
 
Il 9 febbraio 1945 a Beusi [n.d.r.: la dizione più corrente, a quanto pare, è, tuttavia, oggi Beuzi, località, in ogni caso, appartenente in parte anche al comune di Taggia] nei pressi di Ceriana (IM) in Valle Armea si tenne una riunione tra le organizzazioni cittadine e le formazioni di montagna della Resistenza imperiese e la delegazione della missione alleata.
Lo scopo del convegno era quello di "definire gli accordi importantissimi che investono la condotta generale della lotta in provincia, in relazione agli sviluppi della guerra generale che si avvia alla conclusione...".
Furono presenti Cammeo [Mario Mascia] del C.L.N. circondariale di Sanremo, ma anch'egli, al pari di Leandro e Gustavo, nell'occasione rappresentante del CLN della provincia di Imperia, Bob (capitano Robert Bentley), Simon, Sumi [Lorenzo Musso, commissario politico della I^ Zona Operativa Liguria], Gori [Domenico Simi, comandante del III° Battaglione "Candido Queirolo" della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione"], Tito [Rinaldo Risso, vice comandante della II^ Divisione], Diogene [Ermes Madini], Brunero [Franco Bianchi, responsabile del S.I.M. della V^ Brigata] e Terremoto.
Unico assente di rilievo fu Curto, Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria, in quanto ammalato.
Durante la riunione di Beusi si affrontarono i problemi "relativi alla collaborazione tra città e montagna, risolvendoli con spirito di fraterna collaborazione", così riferiva Luigi Massabò Pantera in Cronistoria militare della VI^ Divisione “Silvio Bonfante” [n.d.r.: diario inedito nel 1999, conservato presso l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia].
"Simon, con la sua parola incisiva e l'ampia visione dei problemi essenziali della guerra, tratteggiò, sottolineando con il suo gesto misurato il quadro della situazione presente e futura. Bentley, matita alla mano, esaminò le questioni relative alla situazione dei partiti, all'amministrazione pubblica all'atto della Liberazione, alle necessità richieste per il mantenimento dell'ordine e dei servizi collettivi. Si discusse a lungo sull'assegnazione delle cariche e alla fine si giunse all'accordo completo", così scriveva Mario Mascia [ Op. cit. ].
Segni evidenti del buon esito dell'incontro di Beusi furono le due lettere inviate dal C.L.N. circondariale di Sanremo a tutte le formazioni di montagna "per l'accoglienza ricevuta durante il costruttivo incontro del giorno 9 u.s., in cui si sono risolti numerosi problemi della lotta comune" tramite l'ispettore Simon, missiva dell'11 febbraio 1945 prot. n° 272, ed al capitano Robert Bentley, sempre l'11 febbraio 1945 con prot. n° 273.
[...] Il 29 marzo 1945 giunse presso il comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" "Giulio" [anche "Mario", Carlo Paoletti], il nuovo ispettore della I^ Zona Operativa Liguria dopo che "Simon" era stato spostato a ricoprire incarichi di maggiore responsabilità.
Rocco Fava, Op. cit., Tomo I
 
29 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. n° 364, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava l'arrivo di "Giulio" [anche "Mario", Raffaello Paoletti, nuovo ispettore di zona] accompagnato da una staffetta, giunto lo stesso giorno presso il comando della V^ Brigata con le credenziali per il Comando Operativo della I^ Zona.
da documento IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II

Da Genova giunge a Imperia Raffaello Paoletti (Nello), inviato nella I^ Zona Operativa Llguria come ispettore, dal Comando Regionale, in sostituzione di Carlo Farini (Simon, Manes) che, come già innanzi si è detto, aveva raggiunto la capitale ligure per sostituire, nello stesso Comando, Raffaele Pieragostini (Rossi), catturato dal nemico. Riportiamo, in termini descrittivi, la brutta avventura capitata al Paoletti a Diano Marina, durante il suo viaggio, che in questo contesto, colorisce la parte del capitolo che segue, e dà il senso della precarietà di quei giorni, per tutti coloro che avevano intrapreso, nelle città, iniziative resistenziali. Ciò lo possiamo constatare da una memoria del Paoletti:
"... Il Comando Regionale del CLN aveva perduto ogni contatto con la I^ Zona, per cui era necessario ristabilire i collegamenti col Comando Piazza di Oneglia e col Comando I^ Zona in montagna. Inoltre mi si incaricava di far pervenire  un consistente finanziamento, illustrare e fare applicare le direttive politiche e militari del CLN, tra cui il "Piano A" per bloccare le forze nemiche in ritirata, in vista della insurrezione generale (2). Sommariamente mi si informò della situazione. Da alcune settimane si era senza notizie della I^ Zona imperiese. Si sapeva soltanto, confusamente che, a seguito di massicci rastrellamenti e di delazioni, la Resistenza Imperiese aveva subito dei durissimi colpi e molte erano state le perdite. Molti dirigenti locali avevano dovuto entrare nella più ferrea clandestinità..." [...]
(2) Piano A, vedasi il capitolo XVI del presente volume.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005
 
Fonte: Partigiani d'Italia

Nel marzo 1944 il Colonnello Carlo Farini (Simon), Ispettore della I e II Zona, Vincenzo Mistrangelo (Marcello), Commissario di Zona e Angelo Aime (Giorgio), al fine di sostenere più estesamente le formazioni partigiane, procedono alla costituzione dell'Intendenza di Zona [n.d.r.: la II Zona]
[...] I primi due depositi dell'intendenza sono stabiliti l'uno in Via Buscaglia [n.d.r.: a Savona], l'altro nel Comune di Quiliano, frazione di Valleggia; altri verranno in seguito costituiti in vari rioni della città.
Rodolfo Badarello - Enrico De Vincenzi, Savona insorge, Savona, Ars Graphica, ristampa 1978
 
Da una analisi dei dati riportati evince il concetto strategico più volte manifestato dall’allora ispettore delle Zone Operative I e II, Carlo Farini (Simon), il quale insisteva che le formazioni partigiane dovevano costituirsi con un ordinamento militare quale poteva avere un esercito nazionale. Gli organizzatori di tali formazioni fecero buon uso di tali consigli, utilizzando le esperienze messe a disposizione dagli ufficiali e dai soldati che avevano per mesi o per anni partecipato ad operazioni di guerra, col risultato di creare “formazioni” esperte e combattive che diedero veramente risultati positivi e che, quasi sempre, conclusero molte azioni, condotte contro il nemico, in modo risolutivo. E ciò è stato il bene più importante per la Resistenza Imperiese. Dunque, possiamo dire che tra una parte molto importante dell’ex Regio Esercito e della Resistenza non c’è stata soluzione di continuità, ed è per questo motivo se la Resistenza non è stata, ad un certo momento, considerata un Corpo a sé, ma un Corpo della Nazione: il Corpo Volontari della Libertà, la cui bandiera, insignita di medaglia d’oro al valor militare per attività partigiana, è conservata a Roma, al Vittoriano, insieme alle bandiere di tanti altri gloriosi Corpo dell’Esercito Italiano.
Dunque, la nostra disamina ci ha svelato un nuovo rapporto tra ex Esercito Italiano e Resistenza che fino ad ora, nel Ponente Ligure, per quanto ci riguarda, ci era rimasto sconosciuto e, grazie a questo Convegno, che ci ha indotto a varie ricerche, se si sono aperti in noi nuovi orizzonti che ci aiutano a capire nuove cose delle nostra Storia Contemporanea, sulle quali si era sempre sorvolato, non considerandole influenti.
Francesco Biga, Ufficiali e soldati del Regio Esercito nella Resistenza imperiese, Atti del Convegno storico LE FORZE ARMATE NELLA RESISTENZA (a cura di Mario Lorenzo Paggi e Fiorentina Lertora), venerdì 14 maggio 2004, Savona, Sala Consiliare della Provincia, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona 
 
Al centro del gruppo (partigiani della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"), ripreso nella fotografia ad Albenga (SV) a Liberazione appena avvenuta, appare il comandante Simon in giacca chiara - Fonte: ANPI  Leca (SV)

Fonte: Rete Parri

Fonte: Rete Parri

Carlo Farini nasce a Ferrara il 27 febbraio 1895. Pubblicista. Comunista. Discende da una famiglia romagnola che ha dato al Risorgimento e al movimento repubblicano esponenti di rilievo. Nel 1903 segue la famiglia nel trasferimento a Terni, dove il padre Pietro - esponente socialista - è chiamato a dirigere una farmacia cooperativa e il giornale «La Turbina». Nel 1907 inizia la sua militanza all'interno delle organizzazioni del movimento operaio, con l'iscrizione al Partito socialista, concessa - nonostante la giovane età – a seguito dell'attività svolta nella mobilitazione operaia in risposta alla lunga serrata messa in atto dalla Società Terni. Con la fondazione della Federazione giovanile socialista (Fgs) la sua attività politica si svolge soprattutto all'interno di questa organizzazione. Nel 1914, trovandosi in Romagna, partecipa attivamente alle agitazioni della «settimana rossa». A seguito di ciò è condannato a due anni di carcere; la condanna viene però estinta in seguito ad amnistia. A Terni, nel periodo che precede l'intervento italiano nel primo conflitto mondiale, è uno dei protagonisti della mobilitazione contro la guerra. È, tuttavia, chiamato alle armi, e deve partecipare al conflitto. Nel dopoguerra, tornato a Terni, è nominato segretario della Fgs umbra. Nel 1920 aderisce alla frazione comunista ed è presente al Convegno della frazione, tenutosi a Imola. Al Congresso socialista di Livorno, nel 1921, è tra gli scissionisti e partecipa alla fondazione del Partito comunista d'Italia (Pcd’I). Contro la violenza del nascente fascismo diviene, a Terni e in Umbria, uno dei promotori degli Arditi del popolo. Al Convegno nazionale del movimento, tenuto a Roma nel luglio 1921, viene nominato comandante regionale per l'Umbria. È però costretto a lasciare tale carica in seguito alla diffida pronunciata dall'esecutivo del partito comunista contro i militanti che partecipano alle formazioni degli Arditi del popolo. Per sfuggire alle persecuzioni fasciste si trasferisce a Roma, dove il Partito lo incarica di organizzare e dirigere i numerosi profughi comunisti che arrivano nella capitale dalle varie regioni italiane. A ridosso della marcia su Roma partecipa al tentativo di organizzare una mobilitazione di massa contro il fascismo. Nominato membro del Comitato esecutivo della Federazione comunista romana, nel 1923 dirige, insieme ad Antonio Gigante, il grande sciopero degli edili svoltosi nella capitale. Successivamente, nel periodo dell'Aventino, organizza manifestazioni popolari contro il fascismo. Nel 1924 è delegato della Federazione romana alla Conferenza nazionale del Pcd’I, tenutasi a Como, dove sottoscrive la mozione di minoranza, firmata da molti esponenti della cosiddetta destra del partito. In tale periodo si fa promotore della stampa e diffusione clandestina di diversi numeri del foglio «Il Comunista». Nel febbraio 1925 viene arrestato insieme ad altri dirigenti comunisti; è rilasciato ad agosto in seguito ad amnistia. Ripresa l'attività politica, gli viene affidata la responsabilità della Sezione agraria dell'organizzazione comunista. Nel 1926 la direzione del Partito decide di farlo espatriare clandestinamente insieme ad Armando Fedeli. Dopo aver frequentato a Mosca la Scuola leninista internazionale, nel 1928 è inviato in Francia, dove dirige il Soccorso rosso italiano. A causa di contrasti avuti con dirigenti del partito, è rimosso dall'incarico e mandato a svolgere attività di agitazione e propaganda a Nizza. In questo periodo viene nominato membro della segreteria dei gruppi comunisti delle Alpi marittime e chiamato a far parte del Comitato regionale del partito comunista francese. Nel 1933 torna a Mosca, dove - essendo sottoposto ad inchiesta da parte dell'organizzazione comunista italiana - è inviato a lavorare in una fabbrica di automobili a Gorki: dapprima è impegnato nella direzione politica del «Club degli stranieri della fabbrica» e successivamente - permanendo la sua situazione di difficoltà all'interno del Partito - viene destinato a svolgere il lavoro di semplice operaio. Nel 1936, andando a soluzione i suoi problemi di carattere politico con l'organizzazione, è richiamato a Mosca, dove viene impiegato nella Sezione biblioteca dell'Istituto Marx-Engels-Lenin-Stalin e poi nella Biblioteca dell'Accademia delle Scienze. Nell'aprile 1937 è chiusa favorevolmente l'inchiesta nei suoi confronti. Pertanto, nel maggio successivo, viene accolta la sua richiesta di raggiungere la Spagna per combattere a difesa della repubblica. Invece di essere inviato, secondo la sua volontà, al fronte, viene destinato a dirigere - prima a Valencia, poi a Barcellona - le trasmissioni in lingua italiana di Radio Libertà. Nel luglio 1938 gravi motivi di salute lo costringono a tornare in Francia. Arrestato nel 1940, è internato nel campo di concentramento di Vernet. Nel gennaio 1942 è tradotto in Italia e condannato a cinque anni di confino da scontare nell'isola di Ventotene. Liberato nell'agosto 1943, si reca a Genova presso il fratello Ferruccio. Sorpreso dagli avvenimenti successivi all'8 settembre nella città ligure, partecipa attivamente all'organizzazione dei primi nuclei di partigiani. In seguito è nominato comandante regionale delle Brigate Garibaldi della Liguria e, dopo l'unificazione del movimento partigiano nel Corpo volontari della libertà, fa parte del Comando militare unificato della Liguria, in qualità di vicecomandante. Nel marzo 1945 è uno dei membri del Triumvirato insurrezionale ligure (per l'attività svolta nel corso della lotta di liberazione verrà decorato di medaglia d'argento al valor militare). Liberato anche il Nord-Italia, la direzione del partito comunista lo chiama a Roma per fargli dirigere l'Unione Editrice Sindacale Italiana. Deputato all'Assemblea costituente, viene di nuovo eletto in Parlamento nel 1948 e nel 1953. A Terni, oltre ad essere eletto consigliere comunale nel 1946, ricopre l'incarico di segretario della Federazione provinciale comunista. È membro del Consiglio nazionale dell'Associazione nazionale partigiani d'Italia (Anpi), dell'Associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna (Aicvas), della Presidenza onoraria dell'Associazione italiana perseguitati politici italiani antifascisti (Anppia), e presidente dell'Istituto storico della Resistenza di Imperia. Muore a Roma il 30 gennaio 1974.
Fonti e bibl.: Acs, Cpc, b. 1962, ad nomen; Asisuc, Anpi Terni, Resistenza/Liberazione, b. 10, fasc. 6; Archivio Raffaele Rossi, Autobiografia di Carlo Farini; Aicvas, Scheda biografica; Francesco Andreucci – Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, vol. II, Editori Riuniti, Roma 1976, ad indicem; Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza, a cura di Pietro Secchia, vol. II, La Pietra, Milano1971, ad vocem; Raffaele Rossi, Armando Fedeli Carlo Farini: dal socialismo umbro al «partito nuovo», Quaderni della Regione dell'Umbria, Perugia 1979; Patrizia Salvetti, Farini Carlo, in Dizionario Biografico degli italiani, vol. 45, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma 1995; Maria Selina Ametrano e Arnaldo Perrino, Costituenti dall'Umbria. Un contributo alla nascita della democrazia, Perugia, Isuc; Foligno, Editoriale Umbra, 2008, p. 148
Luciana Brunelli, Gianfranco Canali, Carlo Farini, Dizionario biografico umbro dell'Antifascismo e della Resistenza, Istituto per la Storia dell'Umbria contemporanea
 
Il 15 luglio 1944 la XXa Brigata Garibaldi aveva cambiato denominazione diventando la Seconda Brigata. Al di là del cambio di nome, l’unità subì una riorganizzazione generale dopo la crisi che l’aveva attanagliata nei giorni precedenti. I distaccamenti “Astengo” e “Calcagno” rimandarono a casa i volontari più scossi dagli ultimi rastrellamenti con la piena approvazione del comandante “Enrico”, mentre “Simon” accusava i commissari politici di non aver fatto abbastanza per preparare gli animi alla lotta <85. Quanto ai comandi, non risulta che vi siano stati avvicendamenti di rilievo. In definitiva, anche se per qualche tempo la Seconda Brigata ebbe meno uomini di quelli di cui disponeva in precedenza (il 30 luglio erano 227, un mese prima 240 <86), si trattava di una crisi di crescita del movimento garibaldino, più che mai bisognoso di allargare i contatti ed il reclutamento ma anche di oliare la macchina dei servizi, ancora carente sotto vari punti di vista. In questo senso l’istituzione del Comando di sottozona per Savona, decisa dal Comitato Militare Unificato di Genova a fine luglio, ebbe un effetto positivo e servì tra l’altro a migliorare le relazioni tra le varie anime dello schieramento antifascista, oltre che a coordinare i gruppi e le organizzazioni impegnati nella lotta di liberazione. A Carlo Farini “Simon”, primo comandante fino al suo passaggio in Prima zona a fine agosto, succedette poi una trojka formata da “Marcello” (Vincenzo Mistrangelo), “Fioretto” (Pietro Carzana) e il colonnello “Carlo Testa” (Rosario Zinnari), un uomo che si distinse per l’impegno profuso nel dirimere le controversie tra garibaldini ed autonomi e nella redazione dei piani insurrezionali <87.
[NOTE]
83 G. Gimelli, op. cit.,  vol. II, p. 226.
84 M. Calvo, op.cit., pp. 61-63.
85 Ibidem, p. 61.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000
 
Nel mese di luglio 1944, mese cruciale per la riorganizzazione delle nostre unità combattenti, giunse ad Imperia l'ispettore Simon.
Egli veniva a noi inviato dal Comando regionale per la coordinazione dei servizi militari, in fase di assestamento con la creazione della II^ Divisione d'assalto garibaldina Felice Cascione.
I nostri comandanti già conoscevano le magnifiche qualità di Simon: organizzatore di classe, combattente di Spagna, intelligenza superiore, spirito vivo, attività instancabile e, oltre tutto, una fede profonda ed operante che aveva  resistito a tutte le prove, anche le più terribili.
E fra noi, in questa difficilissima zona della guerra partigiana, le doti di Simon rifulsero ben presto e ne fecero, durante i lunghi mesi della sua permanenza in Provincia, uno degli artefici della resistenza.
Piccolo, il volto aperto e giovanile dominato dalla vasta fronte e sormontato dalla massa dei capelli argentei, l'Ispettore Simon era da per tutto: ovunque fosse necessario dare un ultimo tocco all'organizzazione; ovunque la battaglia
infuriasse; ovunque occorresse un consiglio, un giudizio o una parola incitatrice.
Lo si vedeva giungere improvvisamente di notte o di giorno, con la neve o sotto il sole scotta nte, sempre vigile e agile, malgrado gli anni, le fatiche e, spesso, le infermità.
Le formazioni garibaldine ebbero in lui il più valido sostenitore: quando sorsero incomprensioni e diffidenze, egli ne perorò la causa presso i Comandi superiori e quelli alleati, affrontando viaggi lunghi, sfibranti e pericolosi.
Fu per noi tutti, insomma, come un padre: un padre affettuoso e  vigile, e, talvolta, anche severo, di quella severità che è frutto di amore.
Quando ci lasciò, chiamato ad altro incarico, nel  marzo del 1945, sentimmo di aver perduto uno dei nostri migliori ed un compagno di lotta col quale avevamo diviso pericoli e cibo e sonno.
Ma l'opera sua rimase: rimase nella struttura del nostro esercito e nel suo spirito: e la vittoria garibaldina fu anche una sua vittoria.
Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, Edizioni ALIS, Sanremo, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia
 
 




[n.d.r.: si pubblica qui sopra un documento firmato ai primi di agosto del 1944 da Carlo Simon Farini, documento conservato nell'Archivio dell'Istituto Grasmsci]
 
Al Comando Delegazione Liguria [...] Attendiamo con interesse il risultato del viaggio di Renato a Torino perché la situazione che si è venuta a creare con il maggiore Mauri ha bisogno di una soluzione. Fintanto che ciò non avverrà la nostra situazione resterà sempre difficile, poiché difficile sarà evitare attriti e pericolo di conflitti [...] La situazione della Divisione è caratterizzata dai tentativi di rastrellamento  che si susseguono con una certa continuità. In questa contingenza sono venuti in maggiore evidenza alcuni difetti di carattere organizzativo che si impongono alla soluzione degli stessi Comandanti e Commissari della Divisione stessa. [...] Tuttavia bisogna dire che la Divisione ha sopportato abbastanza bene, sia dal punto di vista militare che morale, il tentativo del nemico e la pressione militare a cui è sottoposta [...] 
Simon [Carlo Farini], documento citato, 3 agosto 1944

Il territorio che viene liberato è posto sul confine occidentale delle Alpi marittime, fra Imperia e Ventimiglia, al confine francese. Comprendeva il paese di Pigna, che ne fu la capitale, e poi Badalucco, Triora, Montalto, Carpasio, Molini di Triora e altri. In totale 22 comuni per circa 30.000 abitanti. Nella zona agivano le formazioni partigiane della II Divisione Garibaldi Cascione… Nella battaglia cadono molti partigiani e la V^ Brigata garibaldina si riduce a poco più di 200 uomini. Nel giro di un mese si arruolano 600 volontari, molti dei quali sono militi del battaglione San Marco che disertano la formazione fascista e si uniscono ai garibaldini, rivelandosi “ottimi combattenti partigiani”, come afferma la relazione del 5 di ottobre dell’ispettore della zona (Sul documento non c’è traccia del nome) <si trattava di Simon, detto anche Manes, Carlo Farini, ispettore, per l’appunto, della I^ e della II^ Zona Operativa Liguria> … Ma sul piano politico l’azione di formazione dei CLN e delle Giunte comunali non è facile. “Molte sono le difficoltà… per l’arretratezza politica delle popolazioni rurali, l’inesistenza dei partiti organizzati”. In molti paesi si riescono a costituire comunque i CLN, ma mancano i collegamenti con il CLN provinciale di Imperia. Il comando garibaldino cerca di supplire elaborando in data 15 settembre una circolare di istruzioni “sulla organizzazione dei CLN, delle Giunte comunali e sulla funzione di questi organismi nel momento attuale della lotta contro i nazifascisti”. Nelle Giunte, afferma sbrigativamente il commissario della Divisione Garibaldi Cascione, “la maggioranza deve essere assicurata alle classi meno abbienti, che sono la maggioranza nel paese”. Un criterio che forse non risponde rigorosamente ai principi della democrazia formale parlamentare, ma che ha il vantaggio di ridurre la questione a termini immediatamente chiari. Conclude peraltro la relazione delle formazioni garibaldine: “Il movimento del CLN e delle Giunte incontra grande favore in mezzo alle popolazioni… Tuttavia in molte località persiste ancora uno spirito di passività lamentevole”. E’ il mondo chiuso dei piccoli contadini che istintivamente diffidano di ogni sollecitazione di ordine politico; ma vi contribuisce anche la propaganda anticomunista svolta dagli autonomi di Mauri. In queste condizioni, il funzionamento delle Giunte - laddove si riesce a costituirle - è estremamente problematico, e perfino delle questioni dell’approvvigionamento dei viveri si deve occupare direttamente il comando partigiano. Una relazione afferma infatti che “non esiste un vero e proprio territorio occupato, ma esiste invece un territorio controllato”, che lascia totalmente fuori la fascia costiera.
Redazione, L'Imperiese, Le Repubbliche Partigiane