domenica 15 maggio 2022

E dovette essere triste morire in un mattino d'aprile, mentre nell'aria era un presagio della prossima vittoria

22 aprile 1945 - Da un partigiano dell'Intendenza a "Venko" [Angelo Balegno, amministratore presso il Comando Operativo della I^ Zona Liguria] - Comunicava che durante un rastrellamento nemico era caduto un patriota, che a Ciabaudo, Frazione di Badalucco (IM), erano stati fucilati il 20 aprile 2 civili, i fratelli Antonio e Giovanni Pastorelli, che era stato arrestato il garibaldino "Tenore" [n.d.r.: Gualtiero Zanderighi *, fucilato a Poggio, Frazione di Sanremo (IM), il 22 aprile 1945, immortalato da Italo Calvino nel suo articolo "Ricordo dei Partigiani vivi e morti"]
da documento IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Il 20 [aprile 1945] reparti nazifascisti compiono un'incursione nella zona del I° Battaglione [n.d.r.: "Mario Bini" della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione"]. Partendo da Baiardo e da Ceriana le forze nemiche agiscono su due colonne: una sulla strada carrozzabile, l'altra sulle pendici del Monte Ceppo. All'alba una pattuglia del I° Distaccamento, mentre si reca al posto di guardia, scorge sulla strada la coda della colonna nemica, la quale spara una raffica dopo la località Zerni e ciò mette in allarme il suddetto Distaccamento. Frattanto il grosso delle truppe nemiche (circa centotrenta uomini) scende dalle pendici del Monte Ceppo e si dirige verso la località Gavanelle, dove è accampato il III° Distaccamento. Una pattuglia di questo si scontra con il nemico ed è soggetto ad un fuoco violentissimo: colpito da una raffica cade il partigiano Grossi Bianchi Andrea; l'altro uomo della pattuglia riesce a raggiungere l'accampamento già in allarme. Nonostante la vicinanza del nemico il Distaccamento prende le precauzioni necessarie per mettere in salvo tutto l'equipaggiamento.
Il partigiano Gualtiero Zanderighi *, commissario, mentre rientra al Comando del I° Battaglione, è catturato dal nemico nei pressi di Ciabaudo: sarà fucilato a Poggio di Sanremo due giorni dopo.
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. La Resistenza nella provincia di Imperia dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005

* Ancora una volta i partigiani prendono la via del Piemonte, per armarsi, vestirsi, rinforzarsi questa volta: poi scenderanno e allora sarà un succedersi d'imboscate, di colpi, di sparatorie in tutte le valli e su tutte le strade contro i nazi-fascisti scoraggiati e disorientati. Ma gli eventi precipitano, siamo vicini alla meta. Fu proprio quando mancavano pochi giorni al traguardo, che ti presero e ti uccisero, ultimo dei caduti nostri, Tenore. E dovette essere triste morire in un mattino d'aprile, mentre nell'aria era un presagio della prossima vittoria.
Italo Calvino, Ricordo dei Partigiani vivi e morti, articolo apparso sul numero 13 de "La voce della democrazia", Sanremo, martedì 1° maggio 1945 


Gualtiero Zanderighi, Tenore

Anche Augusta Molinari, studiando la memorialistica del partigianato ligure, arriva a conclusioni molto simili a quelle appena esposte a proposito della duplice funzione che la scrittura diaristica può assumere. Ella analizza il testo inedito scritto da Gualtiero Zanderighi, un partigiano semplice [n.d.r.: in effetti Zanderighi era un commissario politico] attivo in Liguria, studente universitario già avvezzo allo strumento della scrittura. A proposito del suo diario, la Molinari nota: "Il diario presenta un doppio registro di scrittura: è al contempo una cronaca dei fatti, sull’esempio dei diari di brigata, e una scrittura di tipo privato, quasi un diario intimo. L’evento e la percezione individuale dell’evento coesistono e la scrittura assume una duplice funzione. Da un lato quella di fissare nello spazio e nel tempo un percorso autobiografico, dall’altro di salvaguardare una sfera privata dall’incalzare degli eventi". <79
Secondo la Molinari, il diario è utile non solo per prendere nota degli eventi vissuti: esso aiuta lo scrivente a «fissare delle coordinate spazio-temporali» <80 salde in cui può collocare la proprio persona. In particolare, i partigiani sentono questo bisogno poiché le dinamiche della guerriglia li obbligano a vivere in un contesto sempre collettivo e provvisorio, in cui si perdono i punti di riferimento spazio-temporali e affettivi. In una situazione così precaria, la scrittura diaristica serve a prendere nota degli eventi bellici, ma dà anche la possibilità di mettere la guerra “in pausa”, e recuperare il contatto con il proprio io, in uno spazio che è solo individuale.
[NOTE]
79 Augusta Molinari, La Resistenza in Liguria tra evento e racconto. Storie e memorie inedite del partigianato ligure, cit., in “Storia e memoria”, 1997, n. 1, p. 43.
80 Ibid.

Sara Lorenzetti, Ricordare e raccontare. Memorialistica e Resistenza in Val d’Ossola, Tesi di Laurea, Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea specialistica in Lingua e Cultura Italiana, Anno accademico 2008-2009

[ n.d.r.: da considerare anche la fatica di Augusta Molinari, Una storia partigiana. Il diario di Gualtiero Zanderighi, Ventesimo Secolo, Centro Ligure di Storia Sociale, Genova, n° 13, gennaio-aprile 1994, pagg. 159-188 ]

lunedì 9 maggio 2022

Ci venne fatta la proposta di arruolarci nelle forze armate repubblicane o di andare a lavorare in Germania

Pagina 3 del Notiziario GNR (9 gennaio 1944) cit. infra - Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

dalla Liguria
Imperia
Elementi dell'U.P.I. della 33^ Legione hanno proceduto al fermo di otto elementi nazionali antifascisti...
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) in data 9 gennaio 1944, p. 3, così come da pubblicazione in Fondazione Luigi Micheletti
 
Sanremo (IM)

US NARA, RG 226, Box 8, Zimmer’s Papers, Ref. No. 37, p. 41 s. La rete Zypresse viene citata anche in numerosi altri documenti, soprattutto di fonte alleata. Il Piemonte e la Liguria fecero da base alle attività dell’"Ufficio VI" nel territorio francese liberato. Il maggiore SS Helmut Gohl, ad esempio, operava da San Remo con le organizzazioni Bertram e Tosca il cui scopo era quello di raccogliere informazioni oltre le linee del fronte, inviando in Francia agenti reclutati tra collaborazionisti e i fuoriusciti francesi.
US NARA, RG 226, Box 8, Zimmer’s Papers, Ref. No. 60, p. 61. Le informazioni venivano trasmesse al comando SD di Monaco (Kommando des Meldegebiets München) tramite un centro denominato Meldekopf Zeno, situato prima a Ortisei, poi a Merano, e guidato dal sottotenente Josef von Ach. Da Milano partiva una rete di stazioni radio dislocate in parte sulla costa ligure (due a San Remo, una ad Alassio, una mobile a Moglia, due a Genova, una mobile a Chiavari), a Reggio Emilia, Torino, Serravalle, Como e Limbiate.
Carlo Gentile, I servizi segreti tedeschi in Italia (1943-1945) in FERRARI, Paolo, MASSIGNANI, Alessandro (a cura di), Conoscere il nemico. Apparati di intelligence e modelli culturali nella storia contemporanea, Milano, Franco Angeli, 2010 
 
Dopo l'8 settembre Marcianò ricostituì il suo battaglione a Vercelli, da cui il 30 marzo 1944 raggiunse Grafenwöhr per aggregarsi alla divisione San Marco. Al momento di partire per la Germania inviò un vibrante messaggio a Mussolini a cui esprimeva «la volontà di combattere e di morire per le rinnovate glorie della Patria», chiedendo che il suo gruppo venisse «lanciato contro il nemico, come i vecchi reparti d'assalto della Grande Guerra». <194 Una volta rientrato in Italia, il reparto di Marcianò, insieme ad un gruppo del 3° reggimento di artiglieria, fu posto sotto il comando della 34ª Infanterie Division, diretta dal generale Theo von Lieb. Il III gruppo esplorante, che poteva disporre di circa 700 uomini, <195 venne inviato nell'area di Imperia, con il compito di ripulire la zona dalle bande partigiane che minacciavano la sicurezza delle retrovie tedesche. Pur non essendo stricto sensu una vera e propria formazione di controbanda, tuttavia gli uomini di Marcianò applicarono brillantemente i principi della controguerriglia. Attacchi notturni con squadre non troppo numerose (venti o trenta uomini al massimo). Spostamenti continui. Incursioni a sorpresa nei paesi frequentati dai partigiani. Anche se non fu risparmiato dalle diserzioni - 79 alla data del 5 settembre 1944 <196 - il III gruppo esplorante dimostrò comunque una coesione disciplinare e uno slancio combattivo nettamente superiori al resto della divisione.
[NOTE]
194 P. Baldrati, San Marco, San Marco..... cit. vol. II, documento 35, p. 744.
195 Ivi, documento 104, allegati 2, 3 e 4, pp. 856-858. Alla data del 5 settembre, il reparto di Marcianò poteva contare su 732 uomini, così ripartiti: 32 ufficiali, 50 sottufficiali e 650 soldati di truppa.
196 Ivi, documento 104, allegato 6, p. 860. Dei 79 militari che risultavano disertori alla data del 5 settembre, quattro erano sottufficiali e 75 soldati di truppa.

Stefano Gallerini, "Una lotta peggiore di una guerra". Storia dell'esercito della Repubblica Sociale Italiana, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2021
 
Qualche tempo dopo [n.d.r.: il rastrellamento di San Romolo] mi recai a Oneglia dove feci da interprete fra Ormea e il maggiore Gohl. Quest'ultimo chiedeva all'Ormea se era disposto a recarsi in Francia per una missione per conto dei tedeschi.
Anche questa volta la risposta fu affermativa.
Se poi l'Ormea sia stato inviato io non l'ho mai saputo.
Ernest Schifferegger (altoatesino, interprete, ex sergente SS, presente anche a Sanremo) in un verbale degli interrogatori subiti per conto di una Corte d'Assise Straordinaria (Cas) italiana, confluiti in un documento del 2 giugno 1947 redatto dall’OSS statunitense

Imperia: il Municipio

Il provvedimento della militarizzazione del partito ha provocato svariati commenti. E’ impressione generale che le squadre d’azione non saranno in grado di funzionare sia per la deficienza delle armi, sia per la mancanza di capi, sia, infine, perché in provincia di Imperia il partito non ha largo seguito. Ha destato ilarità il fatto che il commissario federale prenderà nome di “Comandante di Brigata”, quando ai suoi ordini, in provincia di Imperia, avrà sì e no una cinquantina di elementi.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) in data 16 luglio 1944, p. 6, così come da pubblicazione in Fondazione Luigi Micheletti 

Carlo Unger di Löwenberg, trentottenne lucchese di nascita a dispetto del patronimico tutto teutonico, e il suo vice Silvio Fellner, triestino cinquantatreenne, erano stati giustiziati alle una del mattino di sabato 19 agosto 1944 con una scarica di machinen pistole nel cortile della stamperia del forte San Giorgio, sede genovese del Comando germanico della Kriegsmarine. Quivi era stata allestita in tutta fretta una corte marziale presieduta dal comandante Berlinghaus e composta da soli ufficiali tedeschi compreso il difensore d’ufficio. Prima dell’esecuzione ai due condannati era stata negata l’assistenza religiosa e, a Löwenberg, un ultimo incontro con i familiari, col pretesto che “non c’era tempo”. La motivazione della sentenza giunta sino a noi recita testualmente: “per alto tradimento in tempo di guerra e di fronte al nemico”. Formalmente venne imputato ai due alti ufficiali di aver ordinato, senza averne facoltà, il ripiegamento delle forze di mare distaccate nella Liguria di ponente traducibile, in pratica, nell’imputazione appunto di “alto tradimento”. Ma la realtà consacrata da una documentazione inoppugnabile non sembra poter accreditare tale impostazione accusatoria né riconoscere alla sentenza una corretta e convincente proporzionalità tra l’esiguità della presunta colpa e l’abnormità della pena comminata e subito eseguita. Infatti la prima si fonda esclusivamente sui telegrammi inviati dal comandante Löwenberg il 14 agosto 1944 alla stazione segnali di Bordighera, al posto radio di Arma di Taggia e agli uffici di porto di Sanremo e Imperia per disporre il ripiegamento su Genova del personale (peraltro non necessario alla difesa in quanto prevalentemente civile e difatti ritirato più tardi dalle stesse autorità germaniche), mentre la seconda è in aperto evidente contrasto con quanto disposto dall’articolo 5 del regolamento, sulla posizione del personale della Marina italiana che collabora con la Marina germanica, che imponeva dover essere i due ufficiali eventualmente giudicati da un tribunale italiano.
Vittorio Civitella *, Zolesio e l’opera di intelligence di Fellner e Unger di Löwenberg in Storia e Memoria, Ilsrec, Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, anno XXV, n. 2/2016 - * Testo dell'intervento tenuto al convegno "Momenti e figure della Resistenza nel Tigullio. Una storia che non può essere travisata", organizzato dall’Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea (Chiavari, Civico auditorium San Francesco, 23 aprile 2016)

Le formazioni fasciste avevano in provincia di Imperia una composizione eterogenea. Oltre ai soldati della G.N.R., delle Brigate Nere e dei Bersaglieri, operavano reparti delle Divisioni Monte Rosa, Muti, Cacciatori degli Appennini, San Marco, "X^ Flottiglia Mas" e qualche SS italiana.
Agirono anche diversi gruppi di SS tedesche, che avevano come principale compito quello di effettuare rastrellamenti ai danni delle formazioni partigiane.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999 

Ferraris Giovanni: nato ad Alessandria il 23 dicembre 1929, squadrista della Brigata Nera “Padoan” - Interrogatorio del 26.5.45: "Appartenevo alla brigata nera di Imperia dopo essere stato prima adibito come fattorino presso la locale federazione del P.F.R. Con la costituzione delle brigate nere venni inquadrato in queste formazioni sempre con il compito di fattorino per il comando della brigata. Ricordo che il comando della brigata nera di Imperia era formato dalle seguenti persone: comandante il Federale Massina Mario, capo di stato maggiore Col. Baralis, Capitano Musso Roberto, amministratore, Ten. Cocchi, addetto al magazzino, Maggiore Densa. Sottufficiali erano il Maresciallo Del Re Antonio, Maresciallo Lorenzi, Maresciallo Nardino, Sergente Berretta Ernesto...".
[...] Maselli Pietro: nato a Bussana il 16 agosto 1923, squadrista della Brigata nera “Padoan”, distaccamento di Sanremo - Interrogatorio di Maselli Pietro del 14.7.1945: Alla data dell’8 settembre 1943 prestavo servizio a Roma nel 16° Battaglione Arditi, da dove sono scappato in seguito all’armistizio. Giunto però a Massa-Apuania, fui arrestato dai tedeschi e tradotto nel campo di concentramento di Aulla. Fuggii dal predetto campo nel novembre del 1943 e mi sono recato in famiglia a Poggio di Sanremo dove, dopo una decina di giorni, fui nuovamente arrestato dai tedeschi che mi tradussero ad Albenga costringendomi ad arruolarmi nel Servizio Avvistamento Aereo in Albenga ed in seguito trasferito all’avvistamento di Capo Berta...".
[...] Cortesia Angelo, Interrogatorio del 3.7.1945: "Il comandante della mia brigata si chiama Mario Massina, che nel Regio Esercito ricopriva il grado di caporale ma nella brigata nera era commissario federale. Il Capo di Stato Maggiore si chiama Baralis Edoardo che nel Regio Esercito rivestiva il grado di colonnello. Faceva parte della brigata pure certo Rizzitelli Gino che rivestiva il grado di Maggiore, lo stesso parlava con accento meridionale...".
[...] Bartoli Ivo: nato a Buti (Pi) il 24 agosto 1924, squadrista della Brigata nera “Padoan”, distaccamento di Sanremo. - Interrogatorio del 26.6.1945: "Nei primi di gennaio del 1944 fui rastrellato in via Vittorio di Sanremo, nel caffè Iris, da agenti di polizia e internato nel campo di concentramento di Vallecrosia. Qui ci venne fatta la proposta di arruolarci nelle forze armate repubblicane o di andare a lavorare in Germania. Decisi di arruolarmi nel Battaglione Italiani all’Estero di stanza a Taggia...".
[...] Lorenzi Giovanbattista: nato a Ventimiglia il 17 luglio 1890, maresciallo della Brigata Nera “Padoan” ad Imperia. - Interrogatorio del 17.11.1945: "Sono stato iscritto al PNF fin dall’epoca precedente alla marcia su Roma. Nell’ottobre 1944 sfollato a Torri a causa degli eventi bellici mi arruolai volontario nella brigata nera in qualità di semplice legionario".
[...] Moraschi Giovanni: nato a Torrazza (Imperia) il 7 aprile 1928, squadrista della Brigata Nera “Padoan” ad Imperia. - Interrogatorio dell’1.9.1945: "Nel gennaio del 1944, allorché frequentavo il I° istituto tecnico superiore, allettato dalle promesse di presunte preferenze, mi iscrissi alle organizzazioni giovanili del PFR. Nell’agosto dello stesso anno venni invitato a presentarmi in federazione e quivi il commissario federale Massina mi indusse ad arruolarmi nella brigata nera in formazione...".
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019 

Ventimiglia (IM)

24 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 110, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riportava quanto già reso noto con proprio documento prot. n° 1/85 del 10 marzo 1945 per quanto riguardava le forze tedesche che presidiavano la zona. Ribadiva il contenuto della segnalazione sulle Brigate Nere fatta con prot. n°1/91 del 13 marzo 1945. Comunicava la consistenza delle forze nemiche nella fascia costiera: i bersaglieri con una compagnia comando a Bordighera, 3 compagnie dislocate al fronte tra Latte, Frazione di Ventimiglia, ed il Grammondo, 2 compagnie di copertura tra San Lorenzo al Mare e Riva Ligure, ed ogni compagnia disponeva di 5 mortai; la G.N.R. aveva 4 compagnie: la prima stanziata tra Ventimiglia e Sanremo, la seconda tra Sanremo ed Imperia, la terza, addetta all'ordine pubblico, ad Imperia, la quarta, con un organico di circa 105 uomini, ad Imperia come compagnia provinciale dell'esercito repubblichino. Segnalava, poi, gli stanziamenti nemici sopra la fascia costiera, nella zona di competenza della Divisione, a Pieve di Teco 250-300 tedeschi, a Muzio 30 tedeschi addetti alla riattivazione del ponte di Vessalico, a Cesio 40 tedeschi, a Pontedassio 60 tedeschi con il compito di sorvegliare i magazzini viveri; a Capo Berta una batteria da 75/27 mm con un organico di 100 soldati; a Diano Marina, lungo la via Aurelia, l'Orstkommandatur, sede del comando della VII^ compagnia; a Cervo-San Bartolomeo un plotone della V^ compagnia; a Cervo un posto di blocco con 22 soldati repubblichini e 6 tedeschi con 3 mitra, 17 moschetti e varie bombe a mano; a Capo Cervo 10 tedeschi di guardia al campo minato; ad Andora (SV) il comando della V^ compagnia; a Capo Mele 25 tedeschi con 4 mitragliere ed una stazione radio ricevente e trasmittente; a Molino Nuovo un posto di blocco formato da 5 tedeschi; a Vegliasco 35 tedeschi; a Garlenda 40 tedeschi con 40 cavalli; tra Cisano sul Neva e Bastia 300 tedeschi; ad Ortovero 60 tedeschi con carri e cavalli.
25 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM del CLN circondariale di Sanremo, prot. n° 496, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed alla Sezione SIM della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Comunicava che a Baiardo, avendo messo posti di blocco e sbarramenti intorno all'accampamento, i 47 bersaglieri di guarnigione sembravano terrorizzati; che in montagna salivano spesso "Pisano" e "Rollero" [spie nemiche]; che era stata "a San Remo costituita di recente una squadra speciale composta da elementi già facenti parte delle SS tedesche in Francia: sono prevalentemente italiani e vestono con costumi da sciatori e con un fazzoletto rosso al collo. Il loro compito è quello di svolgere rastrellamenti rapidi e improvvisi: il 24 u.s. hanno arrestato ad Andagna 6 giovani e dopo averli torturati li hanno legati insieme ed uccisi con armi automatiche". 
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II

A Sanremo un ufficio SS si occupava principalmente di repressione delle bande partigiane, dei reati di natura politica e di repressione del mercato nero: ne era a capo l’Oberschführer Josef Reiter, che non mancava di inserirsi a gamba tesa anche nelle attività di altri servizi germanici. Reiter era alle dirette dipendenze del comando di Genova, retto da Friedrich Wilhelm Konrad Sigfrid Engel (Warnau am der Havel 11/2/1909 - Amburgo 4/2/2006), il quale venne condannato all’ergastolo in contumacia per le stragi del Turchino, della Benedicta, di Portofino e di Cravasco, nelle quali nel complesso furono fucilati duecentoquarantotto tra partigiani e antifascisti. Adriano Maini

Zentrale Stelle der Landesjustizverwaltungen Ludwigsburg (ZSL), 518 AR-Z 4/63, vol. 7, Verbale di interrogatorio di Josef Reiter, maresciallo SS, ex comandante del presidio Sicherheitspolizei e SD di Imperia e San Remo, Bremerhaven, 16 giugno 1964.
Carlo Gentile, art. cit. 

Circa l'attività di Reiter e compagni ben poco posso dire in quanto il mio compito era strettamente quello di autista e non mi era permesso di entrare nell'ufficio se non per il tempo necessario a ritirare i fogli di marcia per la macchina [...] Per quanto riguarda le sevizie e torture che i tedeschi solevano fare nei riguardi degli arrestati, in coscienza debbo affermare che non ho mai assistito a scene del genere. Sentivo dire che alle volte quando gli arrestati non parlavano venivano menati. Io però non ho mai visto dei detenuti seviziati o che portassero i segni di percosse [...]
Fioravante Martinoia (ex autista delle SS di Sanremo), dichiarazioni in un verbale di interrogatorio (per una Cas) confluito in un documento del 2 giugno 1947 redatto dall’OSS statunitense

lunedì 2 maggio 2022

Buon segno che i partigiani anelassero di nuovo ad incontrarsi col nemico

Alto (CN) - Fonte: Mapio.net

L'aspetto di Alto il 16 marzo [1945] era normale, nulla indicava che un lancio avesse luogo nelle vicinanze o che vi fossero concentramenti inconsueti di partigiani.
Che differenza con Garessio in luglio o Piaggia in ottobre. Allora una decina di partigiani riempiva un paese. Parevano migliaia e dopo un po' ti accorgevi cbe erano sempre le stesse facce. Ora invece pare che abbiano l'arte di scomparire.
Trovai Germano sulla piazza del paese; mi indicò la casa di Turbine, uno degli incaricati del lancio. «Sta con la moglie» mi disse. Infatti anche Turbine nei mesi scorsi si era sposato. Entrai: Basco [Carlo Giordano], Turbine, Trentadue [Angelo Antonini] e qualche altro [n.d.r.: tutti - sembra di capire dal racconto, della II^ Brigata "Nino Berio" della Divisione "Silvio Bonfante"] erano intorno a piatti di castagne e di latte.
«Sempre la solita cagnara - diceva Basco - chi si alza prima comanda. Nessuno di noi conosce il messaggio speciale, né i comandanti di brigata, né i capibanda ed è giusto. Poi ti trovi tra i piedi uno del S.I.M. [Servizio Informazioni Militare] che ascolta la radio con te e si mette a gridare: - Ecco il messaggio, stasera c'è di nuovo il lancio! - e tu ci fai la figura dello scemo. Il Comando ti garantisce che di lancio ne fanno uno solo perché la zona è pericolosa e così li fa perdere il secondo. Ma  perdere è poco, ti fa scannare a correre nel buio e tutto per niente. Poi ti fa aspettare tre giorni i signori della I Brigata ["Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"] che vengano con comodo a ritirare la loro parte. Adesso la zona non è più rischiosa secondo il Comando...».
Ricordavo il Basco dello scorso luglio caposquadra della Matteotti: «Questa volta ci hanno fregato: siamo al buio in una zona che non conosciamo, ma domani non ci stiamo più».
Il capobanda del distaccamento «I. Rainis» aveva conservato lo spirito ribelle di allora. «Ci fanno i lanci adesso i signori inglesi. Sperano che diamo loro una mano quando verranno avanti. Quando avevamo bisogno di armi per difenderci,  per vivere, allora niente.
A Mauri [Enrico Martini] i lanci; noi che siamo comunisti, più moriamo meglio è. Ma i primi inglesi che vedo... ma siamo in pochi e finirebbe come in Grecia. Però sarebbe bello, fatti fuori i tedeschi, mandar via anche gli inglesi... Naturalmente i signori del Comando non la penseranno così. L'anno scorso quando speravano di scendere avevano abolito le stelle rosse, i fazzoletti, le bandiere, tutto quello che c'era di rosso, come se gli inglesi non ci conoscessero. Quei del  Comando stavano al centro a decidere e noi sui passi intorno a far la guardia, a difendere quelli che decidevano. Quando abbiamo capito che la nostra vita valeva la loro e abbiamo cercato un posto meno rischioso, il Comando è sparito, è diventato clandestino. Adesso che viene il buon tempo verranno di nuovo fuori, pianteranno gli uffici in un paese e diranno a noi delle bande di schierarci a difenderli, ma stavolta non ci riusciranno».
«Guardate Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione "Silvio Bonfante"]: non ha preso mai un rastrellamento. Che furbo! Prima era al S.I.M. e quando le notizie eran brutte cambiava aria. Adesso è commissario e fa i comodi suoi. A Nasino ha un rifugio che è impossibile trovarlo. I poveri   diavoli siamo noi che dobbiamo salvare gli uomini, il materiale e poi noi se avanza il tempo».
«L'altro giorno trova un contadino che ha un permesso del Comando tedesco sotto il nastro del cappello, lo interroga e poi ci dà l'ordine di fucilarlo. Come se la vita degli altri non contasse niente! Noi abbiamo detto di sì e poi lo abbiamo lasciato andare. È difficile giudicare uno ed è terribile condannarlo se non confessa. E' capitato a me con un S. Marco. Lo abbiamo interrogato per un giorno intero, ha sempre negato. Pure eravamo sicuri che era una spia. Dovevo essere io a giudicarlo e vi assicuro che non ho chiuso occhio quella notte. Il giorno dopo era scappato. L'abbiamo ripreso per un miracolo ed allora ha confessato: era venuto su per tradirci. Ma se non avesse parlato non avrei avuto forse il coraggio di ucciderlo, neanche dopo la fuga».
Il tempo passava intorno alla stufa, qualcuno entrava, altri uscivano. Lungo il muro i sacchi del lancio erano comodi sedili, nella stanza più interna Trentadue aveva dormito immerso nei paracadute. Basco raccontava del tempo in cui era  in Croazia come paracadutista: un giorno aveva aiutato i contadini a spegnere un incendio appiccato dagli alpini. Avevano avuto come compenso chili di miele. Un'altra volta avevano appostato una staffetta partigiana che passava di solito in uno stesso punto. L'avevano attesa a lungo, poi, appena avvistatala una raffica e la staffetta era caduta: «Ci avvicinammo cautamente, quando fummo a pochi metri lo slavo fece scoppiare una bomba a mano. Si uccise ma distrusse i  documenti che portava».
Episodi ed episodi, raccontati con naturalezza ed indifferenza. Ora si combatte da una parte, allora dall'altra. Ora si è rastrellati, allora si rastrellava. Si era mai chiesto Basco se vi era contraddizione fra le due guerre, se allora o ora si era nel giusto? Allora il governo comandava di fare quello ed era naturale farlo, nessuno pensava a disubbidire apertamente. Ora i tedeschi non sono più sulle ali della vittoria, l'opinione pubblica è contro di loro e così è naturale esser partigiani. Cosa ha sostenuto questi giovani nel duro inverno? Il gusto dell'avventura? Il rancore per gli anni di guerra passati e subiti? Chissà...!
Molti erano come Basco, tutti anzi vivevano giorno per giorno senza chiedersi più se quello che facevano era bene o male o perché lo facevano. Avevano deciso una volta, quando erano venuti sui monti. Avevano meditato ancora sul da farsi quando la situazione era mutata, seguendo un impulso interno dettato più dai sentimenti che da ragionamento. Continuavano la lotta perché era ormai una seconda natura. Quali erano i sentimenti inespressi che covavano nell'inconscio di  quei giovani che li avevano sostenuti, nei momenti di scoramento, quando l'abitudine non bastava più? Alcuni avevano sentito la necessità di riscattare il passato dell'Italia, di riconquistarle la libertà dall'oppressione con la forza  non attendendola come un dono del più forte. Per i comunisti era la speranza di fondare un mondo nuovo, di gettare le basi per una società più giusta. E per gli altri? E' difficile dirlo perché ne parlavamo poco. Forse erano stati sufficienti i sentimenti che covavano in tutti: l'astio per il nemico, il desiderio di vendicare i compagni morti, i paesi bruciati, gli ostaggi fucilati, anche a costo di nuovi lutti; la speranza di prendersi una sanguinosa rivincita  per tutto quello che avevamo sofferto; l'orgoglio di non piegarsi, di poter scendere alla costa a testa alta, il desiderio di non confondersi con la massa dei deboli, di quelli che sono vissuti nel terrore del nemico; la coscienza magari indistinta di essere tra gli attori del grande dramma, di una pagina di storia, di aver afferrato da forti una occasione unica che basterà a riempire di ricordi o di orgoglio tutta una vita per aver sfidato il nemico temuto da tutti e per non aver piegato quando i più l'avevano fatto.
[...] Il discorso fu interrotto dall'entrata di un partigiano: «C'è gente in cresta dalla parte di Aquila». Uscimmo in due o tre: sulla mulattiera che scendeva dalla cappella di S. Cosimo scendeva una ventina di armati. «Forse son quelli della I che vengono per le armi. Fra poco li vedremo meglio».
Era Stalin [Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"] con i suoi e quando giunsero il paese si animò d'improvviso.
Pranzammo e poi dividemmo le armi. C'era anche Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] con Boris, c'era un capobanda della Divisione di Savona cacciato in Val Pennavaira da un attacco tedesco. Anche sopra Savona avevano avuto un lancio, ci promise munizioni per mitraglie che avevano ricevuto in abbondanza mentre a noi mancavano ancora.
«Da oggi ha inizio la campagna di primavera», disse Giorgio mentre gli uomini riempivano i caricatori dei mitra con i colpi per gli Sten. «Si riprendono gli attacchi, si abbandona la tattica cospirativa: piena libertà di azione per ogni banda, attaccate come e quando volete, non occorre più l'autorizzazione del Comando. Ragazzi, distruggete le scatole delle munizioni, in paese non deve restare traccia del lancio...».
L'armamento della Divisione era finalmente aumentato, venne esaminata la situazione di ogni banda sotto l'aspetto delle armi automatiche in dotazione: col nuovo materiale era possibile creare un maggiore equilibrio. L'esplosivo, la miccia, tutto il materiale da sabotaggio che ci era piovuto dal cielo venne consegnato direttamente ai comandi brigata: sarebbe finalmente finita la ricerca snervante nei campi minati. In quelle ore giunse notizia che una colonna nemica  scendeva su Caprauna, l'annuncio sollevò l'entusiasmo: finalmente avremmo affrontato il nemico ad anni pari. La notizia era errata e l'eccitazione si spense, era però buon segno che i partigiani anelassero di nuovo ad incontrarsi col  nemico.
La banda di Stalin col Comando divisionale lasciò la valle di Alto, lo schieramento protettivo venne sciolto, la situazione tornò normale. L'operazione L 1 si era conclusa con un successo.

Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980

17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Svolgeva una lunga relazione soprattutto sul tema degli aviolanci alleati, di cui si riportano qui di seguito significativi stralci: "... il giorno 13 u.s. si è effettuata l'operazione lancio nella località convenuta [Piano dell'Armetta nei pressi di Alto (CN)]; sono stati lanciati 33 colli di cui 28 recuperati nella serata ed i restanti 5 nella successiva mattinata. Non è stato possibile per il disturbo alle stazioni radio ricevere il messaggio per il lancio del giorno successivo. Tutte le tracce del lancio sono state cancellate anche grazie alla popolazione, di modo che i tedeschi non hanno trovato nulla. Data l'esperienza si consiglia di potenziare l'ascolto messaggi mediante l'aumento delle apparecchiature sulle 3 linee, visto che si è ordinata la revisione dell'impianto di Nasino. È da evitare inoltre il lancio in giorni consecutivi, poiché vi è un'unica via di deflusso rappresentata da una mulattiera ed è, quindi, impossibile creare una colonna eccessivamente grande di muli, perché desterebbe sospetti ed in quanto l'occultamento del materiale va eseguito a spalla. Il luogo si è mostrato idoneo allo scopo, per cui per il prossimo lancio si richiedono 150-180 colli. Non servono fucili, ma armi automatiche, mortati leggeri, bombe anti-carro. Il collo indirizzato a 'Roberta' [capitano del SOE britannico Robert Bentley, ufficiale di collegamento degli alleati con il comando della I^ Zona Operativa Liguria] contiene 2 R.T. [radiotrasmittenti]: si prega di inviare degli uomini a prelevarle. Il giorno 11 u.s. è stata bombardata Ormea ed è stata colpita la sede del generale. Alcuni garibaldini hanno requisito in detto comando vario materiale, tra cui una lettera di cui si invia traduzione circa gli spostamenti delle truppe tedesche. Sopra Ormea i tedeschi accendono fuochi per ingannare gli aerei alleati".

17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Sottolineava l'importanza del documento ritrovato ad Ormea che meritava una corretta traduzione perché "potrebbe trattarsi di una richiesta di rimpatrio per le truppe tedesche". Chiedeva altro materiale bellico attraverso gli avio-lanci alleati "per poter incalzare ancora di più il nemico", in particolare uno nel periodo compreso tra il 23 ed il 27 successivi "verso le ore 21,30 in quanto sarà un periodo favorito dalla posizione della luna". Aggiungeva che continuava l'affluenza di di volontari nelle fila partigiane, per quel periodo limitata a uomini conosciuti o già appartenenti a bande locali.

18 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 205, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Presentava il quadro delle operazioni compiute dalla Divisione nel mese di febbraio 1945: "il 1° febbraio la I^ Brigata ed i suoi Distaccamenti si trovavano nelle valli di Diano, Andora e Lerrone, la II^ nelle valli Arroscia e Pennavaira, la III^ nelle valli Pennavaira, Pieve di Teco ed Arroscia mentre il Distaccamento divisionale "M. Longhi" era dislocato in Val Tanaro. Il girno 3 il capo di Stato Maggiore 'Ramon' con un garibaldino mitraglia 2 carri tedeschi uccidendo ed in parte ferendo i nemici. Il 6 'Russo' comandante del Distaccamento "Viani" uccideva 2 uomini della San Marco. Il 18 una squadra del Distaccamento "E. Castellari" sminava un campo ad Ortovero. Il 25 'Ramon' con un garibaldino uccideva nei pressi di Pieve di Teco 2 tedeschi ed il 28 distruggeva il ponte di Pogli appena ricostruito dai tedeschi".

18 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 207, al comando della II^ Brigata ed al capo di Stato Maggiore della Divisione - Scriveva che "si consiglia di ultimare al più presto i preparativi per il lancio del giorno x: lo schieramento militare dovrà essere uguale a quello del primo lancio. Poche ore prima dovrà essere requisito il maggior numero possibile di muli. Al mattino del giorno prescelto occorre minare le zone di accesso al campo. Le mine devono essere preparate con tubetto di plastica con detonatore unito. Chiunque abbandonerà il proprio posto o non eseguirà gli ordini ricevuti, dopo un processo, se riconosciuto colpevole, sarà fucilato".

18 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 208, al comando della III^ Brigata - Prescriveva che "durante il secondo lancio la Brigata manterrà un Distaccamento in postazione come per il lancio precedente, mentre gli altri due Distaccamenti saranno adibiti al servizio recupero. Appena raccolti, i colli del lancio dovranno essere distribuiti in parte tra i garibaldini ed in parte nascosti in luogo sicuro. Per quanto riguarda il reclutamento dei muli, questo dovrà essere concoradto con il comando di Brigata. I documenti con prot. n° 207 e n° 208 devono essere conosciuti da pochi elementi tutti fidati che, fino al momento del lancio, affermeranno che lo stesso avverrà in luogo diverso da quello indicato".

18 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 209, segreto, al comando della I^ Brigata, al capo di Stato Maggiore della Divisione ed al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava che "per l'operazione II° lancio la I^ Brigata dovrà inviare un contingente di 50 uomini. Dovranno essere portati muli in quantità sufficiente per il trasporto del materiale. Si conta di ricevere tra i 30 ed i 40 q.li di armamento bellico".

18 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 210, al comando del Distaccamento "Longhi", al comando della II^ Brigata "Nino Berio" ed al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Scriveva che "si ribadisce che il Distaccamento "Longhi" è un Distaccamento divisionale e dipende, quindi, direttamente dal comando di Divisione. Il Distaccamento opera nell'alta Val Tanaro e per il finanziamento e la corrispondenza farà riferimento al comando di Divisione tramite la II^ Brigata".

22 marzo 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" [comandante "Gino" Giovanni Fossati] della Divisione "Silvio Bonfante" al capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che, visto il documento del comando di Divisione prot. n° 207, concernte gli aviolanci alleati, "Gigi" [Giuseppe Alberti, commissario della Brigata] era stato "incaricato di stilare l'elenco dei muli ad Aquila d'Arroscia"; che per la preparazione delle mine si erano incaricati i Distaccamenti dipendenti e la III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"; che si stava per predisporre l'uso di una radio ad Aquila da dove il comandante "Gino" [Giovanni Fossati], appena udito il messaggio, si sarebbe recato ad Alto dove si sarebbe trovato un altro punto di ascolto; che per i fuochi di segnalazione per i mentovati lanci la legna era pronta mentre, essendo introvabile il combustibile, si sarebbe sopperito con abbondante paglia.

22 marzo 1945 - Da "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva che... per i lanci si era in attesa dell'ascolto dell'ora x;...

24 marzo 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Informava che il Distaccamento "Igino Rainis" era stato avvertito dalla popolazione di Caprauna circa la presenza di un paracadute ad oltre 2.000 metri dal campo di lancio e che il paracadute recuperato aveva portato munizioni e divise.

25 marzo 1945 - Da "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione "Silvio Bonfante"] a "Mario" [Carlo De Lucis, commissario della Divisione "Silvio Bonfante"] ed a "Giorgio" [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] - Comunicava che rispetto a quando "Giorgio" era stato in visita in Val Pennavaira il morale della popolazione era mutato perché il rastrellamento del 3 marzo, nonostante la buona notizia del riuscito primo aviolancio alleato, l'aveva gettata nello sconforto; che dal citato lancio i partigiani si aspettavano almeno uno Sten...

25 marzo 1945 - Dal comando della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Comunicava che erano 15 i rifugi segreti in cui erano stati celati i materiali ricevuti a Pian Rosso [Località di Viozene, Frazione di Ormea (CN)] con l'aviolancio alleato del giorno prima.

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945). Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste,  Anno Accademico 1998-1999

lunedì 25 aprile 2022

Presso a poco è il luogo dove domenica è stato ucciso il bandito Tripodi

 

Pagina 70 del Diario del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan - cit. infra
 
17 gennaio 1945 [...] D'ordine del comandante invio quattro legionari con un soldato tedesco in Via Catalani dove questi precisa trovarsi dei fuori-legge.
Presso a poco è il luogo dove domenica è stato ucciso il bandito Tripodi.
All'ultimo momento il Caposquadra Bossolasco porta con sè Ravinale e Rubaudo affermando che gli altri li troverà in galleria per passarli al milite germanico. La scelta degli uomini avveniva durante l'allarme e il bombardamento aereo della città [n.d.r.: Sanremo (IM)].
Rientro della pattuglia ore 18 circa.
Novità n.n.
Sono state perquisite varie case.  
Il Vice Comandante, Aldo Ravina - Visto, il Comandante Angelo Mangano 
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan. Documento in Archivio di Stato di Genova, copia di Paolo Bianchi di Sanremo

Una vista sulle colline alle spalle del centro urbano di Sanremo (IM)

RAVINALE ATHOS: nato a Dogliani (Cn) il 13 luglio 1927, squadrista della Brigata Nera “Padoan”, distaccamento di Sanremo.
Rapporto della polizia giudiziaria di Sanremo dell’8.11.1945: Verso le ore 17 del 14 gennaio 1945, un gruppo di una decina di militi della brigata nera, armati di mitra, si scontrò nella via Duca degli Abruzzi, nei pressi del numero civico 100, con i partigiani Siccardi Gildo, Foti Domenico e Tripodi Antonio che percorrevano la strada in senso inverso, diretti verso Sanremo per missione. Il gruppo delle brigate nere, evidentemente informati, aprì il fuoco contro questi riuscendo a catturare il Tripodi, il quale mentre veniva accompagnato verso Sanremo tentò di porsi in salvo dandosi alla fuga ma venne raggiunto da colpi d’arma da fuoco e subito finito con il lancio di una bomba a mano. Facevano parte del gruppo di brigatisti il Ravinale Athos, il quale venne riconosciuto dalla signorina Furlan che affermò che il Ravinale fu il primo ad aprire il fuoco, Bianchi Bruno, irreperibile, Siri Mauro, Nicò Ambrogio, irreperibile, Carlevaris Salvatore, il quale venne ferito ad una gamba, Rossi Ernesto, irreperibile.
Interrogatorio di Ravinale Athos dell’8.4.1946: Mi sono arruolato volontariamente nella brigata nera sanremese il 10 novembre 1944. Fui subito incorporato ed assegnato a fare servizi di guardia alla caserma e pattuglie in città. Ho partecipato assieme ai miei compagni a diversi rastrellamenti contro i partigiani a Sanremo e dintorni. Il primo di detti rastrellamenti l’ho eseguito nel novembre 1944 in regione San Michele, nella quale vennero fermati due renitenti che vennero poi rilasciati.
[...] Il 13 gennaio ho partecipato ad un rastrellamento in regione San Bartolomeo - Gozzo - Borello, nella cui azione venne arrestato il partigiano Zunino Giobatta, detto Kim, che in seguito venne incorporato nella brigata nera. In località Borello venne effettuata una sparatoria a distanza contro due partigiani i quali non vennero colpiti. Detti rastrellamenti li ho eseguiti perché comandato dal comandante del distaccamento Mangano e dal capo squadra Bossolasco. Posso dire che durante tali azioni non feci mai male alcuno. Mi sono arruolato nella brigata nera perché disoccupato e bisognoso di guadagnare per aiutare la mia famiglia. [...]
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9, StreetLib, Milano, 2019 
 

Il 14 gennaio 1945 alcuni uomini della Cascione sono sorpresi a Sanremo dalla Brigata Nera. Alle 17.30, tra la via Duca degli Abruzzi e la via Franco Norero, viene ucciso Antonio Tripodi detto "Lupo" di Pietro e di Maria Crea, nato a Montebello Jonico il 10 dicembre 1918. È in compagnia del cognato Domenico Foti, detto "Vento", anche lui di Montebello, e di Salvatore Fazio di Bordonaro (ME). Lupo era residente a Sanremo e, dopo l'8 settembre, aveva disertato il servizio a Livorno, dove era marinaio scelto, per aggregarsi alla brigata partigiana che operava in città.
Pino Ippolito Armino, Storia della Calabria Partigiana, Pellegrini, 2020 
 
[n.d.r.: Foti e Fazio risultano - da una consultazione della banca dati Ilsrec - sopravvissuti alla guerra; il richiamato Istituto, poi, riporta, al pari di altri testi sulla Resistenza, la notizia della morte di Antonio Tripodi come avvenuta a Taggia] 
 

sabato 16 aprile 2022

Morti da partigiani nella zona di Vasia alla fine di luglio '44 un ragazzo della Carnia, due giovani calabresi, un ferroviere di Rivarolo...

Vasia (IM) - Fonte: Mapio.net

Alla fine di giugno un rapporto redatto dall’U.P.I (Ufficio Politico Investigativo) segnalava la presenza di 50 ribelli armati che trovavano rifugio nei casolari sparsi nei pressi di Pianavia. Poco prima della fine di luglio la Compagnia O.P. di Imperia programmava un rastrellamento nel comune di Vasia e a Montegrazie, Frazione di Imperia. Prima di giungere a Vasia il Capitano Ferraris divideva la compagnia in varie squadre. Durante il rastrellamento venivano catturati due partigiani da una delle squadre: erano in seguito fucilati per ordine del Ferraris (da dichiarazione resa in data 7 maggio 1946 da Carlo Valfrè, componente della Compagnia OP che partecipò al rastrellamento). Non è dato sapere chi dei cinque appartenenti al distaccamento "Antonio Terragno" della I° Brigata erano i due fucilati e chi era caduto in battaglia. Testimoni dei fatti riferirono che Igino Rainis era rimasto ferito ad un ginocchio e che, per non cadere prigioniero del nemico, si era tolto la vita.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, Edito dall'Autore, 2020
[ Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016 ]

Valfrè Carlo: nato a Ventimiglia il 7 luglio 1921, milite della Compagnia OP di Imperia.
Interrogatorio di Valfrè Carlo del 7.5.1946: Dopo l’8 settembre rimasi per un po’ di tempo sbandato ma in seguito tornai a casa mia. Il 2 novembre 1943 entrai a far parte della GNR e assegnato alla Compagnia OP, comandata dal Tenente Ferraris [...] Negli ultimi giorni di giugno o nei primi di luglio 1944, unitamente alla compagnia, partimmo per un'azione di rastrellamento nei comuni di Vasia e Montegrazie. Prima di giungere a Vasia il Capitano Ferraris divise la compagnia in varie squadre. Durante il rastrellamento vennero catturati due partigiani da una delle squadre che vennero in seguito fucilati per ordine del Ferraris ma non posso precisare da chi in quanto la mia squadra si trovava più avanti [...]
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019

Igino Rainis "Lupo". Nato a Treppo Carnico (UD) il 19 giugno 1926, operaio; appartenente al Distaccamento “Antonio Terragno” della I^ Brigata [n.d.r.: Brigata "Silvano Belgrano" a quella data appena costituita ed ancora incorporata nella II^ Divisione "Felice Cascione"]. Il 25 luglio 1944 i garibaldini Stefano Danini [n.d.r.: nato a Genova Rivarolo, già ferroviere] ed Igino Rainis con i compagni Salvatore Filippone, Vincenzo Raho e Carmine Saffiotti sono diretti ad Imperia con il difficile compito di penetrare nei locali della Questura per impossessarsi di armi automatiche. Incappano in un rastrellamento nella zona di Vasia; “Lupo” è ferito ad un ginocchio e, per non cadere prigioniero del nemico, preferisce darsi la morte. Ad Igino Rainis è intitolato un Distaccamento della Brigata “Nino Berio” - Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011   


La zona di Imperia assume nella primavera/estate del '44 un particolare rilievo strategico. Qui si sono concentrati numerosi gruppi partigiani, decisi a ostacolare le forze naziste in prevedibile ritirata attraverso i valichi alpini. Nonostante la complicità di due soldati austriaci nella notte fra il 23 e il 24 luglio '44 a Imperia in regione Garbella fallisce il tentativo di un gruppo di partigiani della II Divisione Garibaldi "F. Cascione" di far saltare un tratto di strada precedentemente minato dai tedeschi. I sette soldati di gaurdia vengono comunque disarmati e quattro di loro passano con i partigiani.
La reazione tedesca non si fa attendere. Il 25 i nazisti risalgono la Valle del Prino e raggiungono Vasia, un piccolo centro dell'entroterra.
"Alle 17 stavo tormando a casa da Porto Maurizio. Prima di entrare in paese mi sono accorto che erano arrivati i tedeschi e mi sono nascosto dietro una siepe, dove ho trascorso la notte e da dove ho potuto distintamente udire le invocazioni e i lamenti delle donne. Circa trecento tedeschi, con l'ausilio dei fascisti, avevano occupato Vasia, che sapevano nascondiglio di partigiani, salendo dalla carrozzabile di Porto Maurizio e dalla mulattiera che viene da Molini Prelà. L'avevano chiusa in una morsa ed avevano ucciso alcuni uomini dietro la chiesa all'ingresso del paese. Gli altri erano riusciti a fuggire e i nazisti avevano occupato le loro case usando i loro letti e le loro donne. Al mattino vennero anche da Pontedassio e colsero di sorpresa alcuni partigiani che si erano appostati sul Monte Treppia. Morirono in tre, uno venne finito dopo essere stato colpito a una gamba. Quando andarono via raccogliemmo le salme e le tumulammo in una fossa comune sulla montagna. Nei giorni successivi i partigiani vennero per recuperare quei corpi". <1
Così nella drammatica testimonianza di un ragazzo dell'epoca la rievocazione dei fatti che hanno portato alla morte di due civili e di cinque partigiani impegnati, pare, a mettere a segno l'assalto alla Questura di Imperia per impossessarsi di armi automatiche.
I partigiani caduti sono Salvatore Filippone, nome di battaglia "Mariella", nato a Palmi (RC) il 24 giugno 1920, Carmine Saffioti, nome di battaglia "Carmé", nato a Palmi il primo aprile 1925, Stefano Danini di Rivarolo (GE), Igino Rainis di Treppo Carnico (UD) e Vincenzo Raho di Ruffano (LE).
Le fonti sono pressoché concordi nel collocare "Mariella", colpito alla testa e al braccio, nel gruppo dei tre che ha trovato iniziale rifugio sul Monte Treppia, mentre vi è incertezza per quanto riguarda "Carmé", che potrebbe essere tra i caduti della sera prima.
"Mariella" è un contadino con la quinta elementare, divenuto soldato dell'82° Reggimento fanteria "Torino", all'8 settembre di stanza a Gorizia. Si è sposato qualche anno prima, il 5 luglio '41, con Teresa Barbera dalla quale ha avuto un figlio, Vincenzo, nato a Palmi il 5 aprile '42. Sembra aver avuto un peso nella scelta di restare in armi al Nord la notizia, giunta dalla Calabria, che la moglie lo ha abbandonato per un altro uomo. <2
"Carmè", orfano di padre è emigrato a Imperia nel '43 insieme alla madre, Maria Squadriti, che è passata in seconde nozze con Rosario Barbera, forse fratello di Teresa. Ha la terza elemenatare e contribuisce alla magra economia familiare come giornaliero in campagna. In casa ci sono altri due figli dal secondo matrimonio di Maria, Angela di dodici anni e Maurizio di tre, e il quindicenne Pietro Oliva. "Carmé" era partigiano da pochi giorni; forse ha seguito in montagna il cognato del patrigno, che è cinque anni più vecchio di lui e milita nella 4a Brigata "E. Guarrini".
Filippone e Saffioti sono ricordati nel sacrario partigiano del cimitero di Oneglia, realizzato in occasione del venticinquesimo anniversario della Liberazione. Niente, invece, li ricorda nella nativa Palmi.
[NOTE]
1 Emilio Giuseppe Badano, classe 1928, all'autore, Vasia 5 aprile 2018.
2 Vincenzo Filippone, classe 1928, nipote di Salvatore (figlio del fratello Giuseppe) all'autore, Palmi 26 aprile 2018
Pino Ippolito Armino, Storia della Calabria Partigiana, Pellegrini, 2020


[...] Ed ora la seconda parte del libro il cui titolo è: Igino Rainis "Lupo" (1926-1944).
Di queste 30 pagine, le prime 20 sono dedicate alla famiglia Rainis ed in particolare al padre Gilberto la cui vita di emigrante (Africa orientale, Francia, Germania) ricalca esattamente quella di altre centinaia di emigranti carnici, divenendone quasi un perfetto paradigma, tratteggiato dall'autore con inimitabile sintesi. Gilberto morirà a Udine nel 1940 a seguito di malattia (non specificata) contratta in Africa, lasciando moglie e 4 figli. Le successive 4 pagine sono dedicate alla madre Teresa Morocutti che l'autore delinea esattamente come perfetto paradigma della donna carnica, anche se egli si lascia coinvolgere e indulge in nominalismi radicaleggianti ("...una storia di genere": pag 152). Entrambe queste figure rientrano perfettamente nell'economia del libro in quanto bene rappresentano e caratterizzano l'uomo e la donna carnici nel Ventennio fascista, con le loro angosce e la loro faticosa quotidianità.
Ed eccoci finalmente all'ultimo capitoletto ("In Liguria, la breve storia di un piccolo maestro") che presenta la figura sfumata di Igino Rainis in maniera (a mio sommesso avviso) un po' romanzata per quei troppi: ...è plausibile... non si conoscono i tempi precisi... non avendo trovato traccia... non poteva non... La storia appare davvero brevissima: Igino Rainis ha 14 anni quando muore il padre; diventa capofamiglia, come usava allora; nel 1942 la sorella Maria si sposa e va ad abitare in Liguria ad Aurigo; lì la raggiunge il fratello Igino sedicenne che trova lavoro come meccanico a Pontedassio. In questi mesi, diciassettenne, viene a contatto con i partigiani liguri che sono assai politicizzati ed attivi in zona e impegnano spesso i nazifascisti in scontri di guerriglia; si aggrega a loro presumibilmente "nel maggio 1944 entrando a far parte del distaccamento garibaldino 'Antonio Terragno'" (pag. 16); il 26 luglio 1944, assieme ad altri 4 compagni, si dirige verso Imperia per "tentare di penetrare nei locali della Questura per impossessarsi di armi automatiche" (pag. 164); il gruppo viene però intercettato dai nazifascisti a Treppia di Vasia e nello scontro muoiono subito i 4 compagni mentre Igino, "ferito al ginocchio e alla testa, non accettò di essere catturato e, presa la pistola, si tolse la vita" (pag 165). Fu sepolto nel cimitero di Oneglia nè fu mai poi traslato a Treppo Carnico dove tuttavia, di recente, gli è stata dedicata una piazzetta con targa celebrativa a Tausia.
Ancora alcune considerazioni:
- Igino Rainis non fu mai maestro non solo perchè non frequentò l'Istituto Magistrale di Tolmezzo, ma non concluse neppure (verosimilmente a causa della improvvisa morte del padre) la Scuola di Avviamento Professionale di Paluzza, tant'è che trovò occupazione come meccanico. Con questa dicitura, verosimilmente ci si vuole riferire, per assonanza letteraria [ha fatto la stessa cosa Igino Piutti con "Il partigiano Gianni"], al romanzo autobiografico di Luigi Meneghello, pubblicato nel 1964, "I piccoli maestri", che è un racconto diretto ed in prima persona dell'esperienza partigiana dell'autore, che ricorda con lucidità e semplicità gli avvenimenti senza volontà celebrative o retoriche. Ma questa singolare interpretazione non è di certo percepibile presso la stragrande maggioranza dei lettori più semplici.
[...] pertanto la vicenda del diciottenne Rainis non può assolutamente essere elevata a paradigma della lotta partigiana a Treppo (che non subì mai alcuna rappresaglia nazifascista), ma deve essere ricondotta più semplicemente a quella che è stata una storia personale di entusiasmo e impegno giovanile, certamente eroico, condizionata da tutta una serie di circostanze, spesso fortuite, peraltro ben evidenziate nelle pagine finali del libro. [...]
Redazione, Storia di un paese e di un piccolo maestro, I libri di Cjargne Online

Storia di un paese e di un «piccolo maestro». Treppo Carnico tra le due guerre attraverso la vicenda del partigiano Igino Rainis «Lupo»: Il periodo tra le due guerre mondiali e le vicende della Resistenza sono raccontati in questo volume attraverso la storia di un giovane partigiano, Igino Rainis, la cui esperienza di vita s'intreccia con quella del suo paese di origine, Treppo Carnico, e della sua gente, lasciando emergere un quadro dettagliato sulla società, l'economia e la politica di un piccolo paese che diventa emblema di un'intera epoca storica. Il saggio offre la chiave per comprendere le vicende della Carnia, e con essa di tutta l'Italia, nella transizione dal mondo liberale al totalitarismo fascista, fino agli anni della seconda guerra mondiale. In questo lungo periodo si dipanano i fili della storia del 'piccolo maestro' Igino Rainis e della sua famiglia, vero e proprio exemplum delle vite di uomini e donne della montagna friulana del ventennio.
Redazione, Storia di un paese e di un «piccolo maestro». Treppo Carnico tra le due guerre attraverso la vicenda del partigiano Igino Rainis «Lupo» di Denis Baron, edito da Forum Edizioni, 2012, unilibro

domenica 10 aprile 2022

Natale a casa per due partigiani di Imperia

Imperia (Oneglia): Via Amendola

Riportando in breve una statistica, possiamo dire che, mentre nel periodo estivo la consistenza numerica della I^ brigata ammontava a circa settecento partigiani, essa si ridusse ad un centinaio nell'inverno; gli uomini rimasti erano suddivisi in una dozzina per ogni distaccamento. Ecco perché i tedeschi si limitavano a fare delle puntate: sapevano che i partigiani potevano opporre poca resistenza.
Fu in quel periodo, durante questa pericolosa situazione, che decisi di farmi tagliare i capelli in modo normale; se mi avessero catturato con quei capelli lunghi, sarei stato immediatamente fucilato; non  mi avrebbero nemmeno chiesto: «Tu partigiano?». Invece con i capelli normali forse (dato che fin che c'è vita c'è speranza) non mi avrebbero fucilato subito, probabilmente più tardi. Aggiungo ancora che possibilmente non mi sarei lasciato catturare vivo.
A metà dicembre 1944, su ordine del comando [n.d.r.: della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"], ci trasferimmo a monte dell'abitato di Diano San Pietro, in una località denominata "Besta" e anche lì ci trovammo bene: solidarietà da parte della popolazione, la quale ci forniva viveri e tutto quanto ci poteva servire.
Fu in quei giorni che io e Germano Belgrano pensammo di trascorrere il Natale con le nostre famiglie. Però Germano aveva i genitori sfollati che non avrebbero potuto ospitarci, mentre la mia casa era più grande. Con le staffette stabilimmo che alcuni giovani della SAP di Oneglia ci avrebbero fatto strada e dalla cima di Santa Lucia ci avrebbero accompagnato e scortato con discrezione sino alla mia casa sita nell'attuale via Amendola.
Alla cima di Santa Lucia incontrammo Vittorio Aliprandi che, per ragioni di salute, era ritornato a casa ma si dava da fare. Ci disse di stare attenti alle caserme di Santa Lucia perché sulla strada c'era un commissariato di polizia, e all'inizio di via Roma, nell'ex caserma dei carabinieri, c'erano dei tedeschi. Dunque, avevamo un sapista davanti e uno dietro che ci scortavano; essendo pratici del luogo avrebbero notato subito degli sconosciuti e ci avrebbero messo in guardia. Ad ogni modo io e Germano avevamo la pistola e, all'occorrenza, ci saremmo difesi.
Quando le cose debbono andare bene, vanno bene, però si possono prendere anche delle paure: infatti, giunti davanti al commissariato di polizia, il caso volle che dei ragazzini, giocando a palla, rompessero un vetro alla porta del commissariato stesso, dal quale uscirono immediatamente due agenti in borghese chiedendo ad alta voce chi fosse stato il colpevole. Io misi la mano sulla pistola pronto ad usarla, ma Germano se ne accorse e, più freddo di me, mi disse di stare fermo, di far finta di niente e di proseguire. Per fortuna si fece avanti un ragazzino il quale, parlando con i poliziotti, ammise di essere stato l'autore del misfatto. Nel frattempo noi ci eravamo allontanati.
Ma quando giungemmo davanti alla caserma dove erano alloggiati i tedeschi, all'inizio di via Roma, scorgemmo un soldato di guardia; quando ci vide, ci guardò intensamente come se scorgesse in noi qualche cosa di strano. Anche in questa occasione misi mano alla pislola senza estrarla trovando sospetto quello sguardo insistente. Anche in questo caso Germano mi invitò ad essere normale non facendo caso alla sentinella.
Quando giungemmo in vico Santa Elisabetta (a cinquanta metri dopo la caserma) infilammo di corsa la scala che conduceva a casa mia. Ivi trovai i miei genitori, mia nonna, una zia, una cuginetta e la mia sorellina di otto anni; seguirono molti abbracci festosi per me e per Germano.
Dopo i convenevoli non potevamo non parlare della nostra situazione, della guerra, di coloro che erano morti sia in montagna che sotto i bombardamenti, dei partigiani fucilati in città e di altri argomenti simili. Intanto ci preparammo  a cenare e la cosa ci allettò alquanto perché mia madre ci aveva preparato delle cose buone, compreso un buon risotto alla seppia, cose che oramai noi avevamo dimenticato.
Ad un certo momento, mentre stavamo per iniziare a mangiare, sentimmo bussare alla porta; siccome non doveva arrivare più nessuno, rimanemmo perplessi. Allora io e Germano, guardandoci in faccia con apprensione, passammo nella stanza accanto mentre mia zia chiedeva, senza aprire la porta, chi avesse bussato. Rispose una voce gutturale, inequivocabilmente tedesca: «Sono Hans, signora, sono venuto a vedere se mi ha aggiustato la giacca della divisa». Io e Germano questa volta avevamo messo veramente mano alle pistole, ma a quella voce ci sedemmo tranquillizzati in attesa che il tedesco se ne andasse. Infatti, ritirata la giacca, si scusò per il disturbo recato nell'ora di cena; forse si sarebbe fermato volentieri a fare quattro chiacchiere, come se fosse stato con i suoi familiari, ma mia madre e mia zia gli fecero presente che a tavola vi erano due piatti in più perché dovevano giungere altri due parenti, per cui il tedesco se ne andò e noi potemmo ritornare a mangiare. Salimmo poi a dormire in un lettone e sprofondammo in morbidi materassi di lana ai quali da molto tempo avevamo rinunciato. Il giorno successivo giunse il padre di Germano a trovarci, stette un paio d'ore con noi, ci ricordò piangendo l'altro suo figlio, Silvano, caduto il 19 giugno 1944 durante il rastrellamento di Pizzo d'Evigno. Aveva paura per Germano, ma questi lo rassicurò raccontandogli qualche storia, facendo presente che la guerra sarebbe finita presto.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998

lunedì 4 aprile 2022

I partigiani procedono immediatamente alla raccolta delle armi

Caramagna, Frazione di Imperia

Interessante e degna di rilievo è l'azione compiuta brillantemente dal 2° distaccamento della IX Brigata [n.d.r.: la IX Brigata "Felice Cascione", in effetti formalizzata come tale il giorno dopo l'evento qui narrato e destinata a trasformarsi a breve, il 4 luglio (o il 7, a seconda delle fonti) in II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"] comandato da Risso Rinaldo (Tito), di stanza  a Villatalla.
19 giugno 1944. Ore due: partenza da Villatalla di quasi tutti i componenti la formazione. Obiettivo: la postazione di artiglieria tedesca dotata di quattro cannoni, presidiata da circa cinquanta uomini della GNR e da una aliquota di Tedeschi. Località: Caramagna, frazione di Imperia, nell'entroterra di Porto Maurizio.
L'azione è studiata nei minimi particolari e preordinata secondo la tecnica della sorpresa con l'aiuto di qualche informatore locale che si è prestato a fornire tutte le preziose e necessarie notizie, sia sulla disposizione delle forze, che sull'entità dell'armamento e sul morale della guarnigione nemica.
Alle tre, a Molini di Prelà, le macchine requisite forniscono un celere mezzo di trasporto verso la meta. Una motocicletta in perlustrazione batte la strada. Prima dell'alba, arrivo a Cima Bastera, lungo la strada che da Caramagna svolta verso Dolcedo. Alle quattro e trenta circa, i garibaldini sono in Caramagna, quivi, secondo il piano prestabilito, gli uomini sono suddivisi in tre colonne: la prima, in posizione centrale, deve percorrere il tratto di via più breve ed appostarsi in agguato nel torrente; la seconda procede sul lato destro lungo la strada per Cantalupo; l'altra, infine, percorre la via di Caramagnetta.
Alle cinque, un fischio: il segnale dell'azione. La squadra nascosta nel torrente si muove rapidamente e aggredisce di sorpresa la sentinella, che non può dare l'allarme, mentre le due formazioni operanti sui lati invadono il campo e colgono nel sonno i soldati di guarnigione. Sono fatti prigionieri anche i due marescialli tedeschi e gli ufficiali italiani che dormivano a parte, in una casetta presso l'entrata del campo.
I partigiani procedono immediatamente alla raccolta delle armi ed al sabotaggio dei pezzi d'artiglieria non trasportabili, cui vengono tolti gli otturatori.
Mentre nuclei di mitraglieri fanno buona guardia, sorvegliando le strade provenienti da Piani e da Porto Maurizio, si procede all'ispezione del magazzino. Sono caricate su di un carro, cui sono attaccati un mulo ed un cavallo rinvenuti nelle stalle presso la postazione, tutte le cose che possono tornare di utilità alla brigata. Un altro mulo viene condotto via dagli uomini.
Intanto, i repubblichini chiedono di poter seguire i partigiani sui monti; nella confusione, qualcuno, d'idea diversa, sgattaiola e fugge via.
Sulla corriera, condotta sul posto dai partigiani, sono caricati altri oggetti in dotazione, tra cui una radio, una macchina da scrivere e vestiario. Poi, ritorno verso la base di partenza.
Un nucleo, armato di mitragliatore, si presta volontariamente per proteggere la ritirata del distaccamento ed apre il fuoco su tre camion nazifascisti sopraggiunti poco dopo.
Intimoriti dal fuoco del mitragliatore, gli autisti dei camion virano di bordo senza neppure arrivare nei pressi dell'abitato del paese.
I protagonisti, che vengono citati all'ordine del giorno, quale esempio di coraggio ed intelligente iniziativa, sono l'austriaco «Erik» e l'ex repubblichino «Umberto».
l garibaldini, trasportati da automezzi, rientrano a Villatalla verso mezzogiorno. Manca solo Giuseppe Corradi che, rimasto gravemente ferito, morirà il giorno successivo.
Bilancio dell'azione: due casse di bombe a mano tedesche fumogene, sette casse di caricatori da 6,5, sei casse di caricatori per fucile mitragliatore S. Etienne, quaranta moschetti da 6,5, due mitragliatori francesi S. Etienne, cinquantasette coperte, tre sacchi di vestiario vario, quaranta zaini e tre rivoltelle che sono consegnate a coloro che più si sono distinti nell'azione.
I repubblichini, che spontaneamente hanno seguito i partigiani, sono trentadue, tra i quali due ufficiali ed un Austriaco. Uno degli ufficiali è stato ferito per errore nel corso dell'azione: essendosi affacciato alla finestra, i partigiani, pensando che volesse reagire con lancio di bombe a mano, gli hanno sparato colpendolo alla spalla sinistra. Ma la cosa non riveste carattere di gravità non essendo stato leso alcun organo vitale.
Nella stessa giornata della brillante azione, due garibaldini partiti in missione due giorni prima, rientrano all'accampamento con ventiquattro repubblichini venuti volontariamente in banda quasi totalmente armati.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

Il 19 giugno 1944 il 2° distaccamento della IX Brigata comandato da Tito (Rinaldo Risso) di stanza a Villatalla decide di scendere a valle per rifornirsi di armi e munizioni. L’obiettivo prescelto è un postazione di artiglieria costiera tedesca a Caramagna, presidiata da una cinquantina di militi della G.N.R. e alcuni tedeschi. Giunti in prossimità della postazione, i garibaldini con un’azione fulminea riescono a disarmare le guardie e fare irruzione all’interno della palazzina che funge da dormitorio. La sorpresa e la rapidità con cui si muovono gli uomini di Tito non lascia scampo ai difensori. Inizia quindi la razzia di armi e munizioni che vengono caricati su un carro trainato da due muli, requisito in loco. Oltre alle armi i partigiani portano con sé una trentina di militi della GNR che, volontariamente decidono di unirsi alla lotta in montagna. Ben presto arrivano alcuni camion nemici carichi di uomini che cercano di ostacolare la ritirata verso i monti dei partigiani. Giuseppe Corradi viene colpito mentre trasporta sulle spalle una cassetta di munizioni. Gravemente ferito morirà il giorno seguente.        Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, Edito dall'Autore, 2020
 

[ n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano:  Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016   ]

Pagina 23 del Notiziario GNR cit. infra - Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

Il 19 corrente, alle ore 16,15, in Caramagna di Imperia, numerosi banditi armati assalirono una batteria contraerea, prelevando oltre 70 militari italiani e due germanici, sostendendo soltanto con questi ultimi un breve conflitto a fuoco.
I malviventi, dopo aver arrecato danni a pezzi d'artiglieria, asportarono tre cavalli, due muli e materiali vari dell'Organizzazione TODT, allontandosi quindi in direzione di Dolcedo.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del giorno 26 giugno 1944, p. 23, Fondazione Luigi Micheletti