domenica 8 settembre 2024

Andava in giro col biroccio a raccogliere armi per i primi partigiani imperiesi

Cervo (IM)

Ma scendiamo in alcuni particolari: come abbiamo sopraccitato, contemporaneamente al disfacimento delle formazioni militari italiane, il movimento delle forze antifasciste [n.d.r.: ad Imperia e dintorni] inizia la preparazione dei mezzi per la lotta armata. Giorno dopo giorno le sue forze crescono. Vecchi, giovani, donne si adoperano per essere di aiuto ai primi protagonisti. Si crea il momento favorevole per dare al movimento di Liberazione una direzione organizzativa. Sotto la guida del PCI e di altre forze democratiche è organizzato un servizio con Comitati di raccolta di vivere e indumenti per i militari italiani sbandati. Grazie a queste iniziative gli antifascisti si rendono conto della vastità delle forze che li sostengono. Cresce il loro entusiasmo. A Cervo organizzano una riunione in località "Bundai" e a San Bartolomeo presso l'oratorio di San Rocco su iniziativa di Giovanni Cotta (Karenzi), che va in giro col biroccio a raccogliere armi insieme a Giacomo Ciaccone (Semeria). Grazie ad Antonio Ghirardi, per le forze della Resistenza in due giorni si riesce a ricuperare un deposito di armi e munizioni, abbandonato in una baracca su Capo Berta. A San Bartolomeo viene costituito un deposito di derrate alimentari in un magazzino di Giuseppe Mantica, messo a disposizione dei soldati sbandati. Tramite un collegamento attuato da Amerigo Realino, il comandante la Stazione dei carabinieri di Diano Marina consegna al Cotta e al compagno Maraboli vari fucili.
Intanto sulle alture si costituiscono i primi gruppi partigiani armati. Alcuni giovani comunisti imperiesi, tra cui Angelo Setti, Carlo Delle Piane, Nino Berio, Carlo Trucco, Secondo Rovere, Tonino Bertelli, Orazio Parodi (Guan), dopo una serie di notizie contrastanti, pensano di affrontare i Tedeschi su Capo Berta. Ricuperate le armi in un ex caposaldo (due mitragliatrici Skoda, bombe a mano e alcuni fucili), salgono verso l'Alpicella, ma non fanno in tempo a bloccare il valico e perciò le nascondono in un soffitto di una casa di campagna. Un gruppo di militari che si aggira nella zona del Pizzo d'Evigno, formatosi il 9 settembre e comandato da un ufficiale di Albenga, si scioglierà dopo qualche giorno. Altri gruppi di non trascurabile importanza, costituiti da soldati e ufficiali del disciolto esercito, in generale elementi attendisti, al momento non decisi di passare all'azione, vagano nei dintorni. Un centinaio di questi elementi sostano per qualche giorno sulla collina tra Oneglia e Diano Castello, poi spariscono. Una trentina di giovani della valle Impero si rifugiano in alcuni casoni oltre il "Passo della Colla", nella "Vota Grande".
Come abbiamo in qualche modo già accennato, piano piano questi gruppi si scioglieranno come la neve al sole e nella neve rimarranno solamente quegli uomini di cui tratteremo ora, cioè piccole bande in lotta contro i nemici tedeschi e fascisti e contro quello più crudele: il freddo.
Il 10, o l'11 settembre, un gruppo di giovani, che già avevano pubblicamente dimostrato il loro antifascismo nelle giornate del 25 luglio, con la caduta di Mussolini, consci del pericolo che stanno correndo di venire arrestati dai nazifascisti, abbandonata Oneglia e altri luoghi del litorale, salgono in collina e dopo alcune ore di cammino, raggiungono la località detta "Cianassi" nel territorio del Comune di Diano Castello. Sono conoscitori dei luoghi e uomini che, in seguito, diventeranno famosi partigiani combattenti.
Il già citato Giuseppe Aicardi, cittadino di Diano Castello e fervente antifascista, guida questi giovani in un fienile di sua proprietà ove li invita a trascorrere la notte, mentre giunge sua moglie che porta loro un coniglio arrostito per cena. Il giorno successivo li conduce in località "Vivano", più nascosta e sicura dove, in una casupola coperta dall'edera, trascorrono la seconda notte di fuga. Poi lo spostamento riprende verso la località "Bestagno" o "Magaietto", dove questi primi, insieme a quelli che seguiranno nei giorni successivi, come vedremo più avanti, rimarranno circa un mese.
Cosa sorprendente: quando Aldo Gaggino, uno dei componenti la banda, nei pressi apre la porta di una casetta di campagna di proprietà del commendatore Giuseppe Quaglia, appare alla sua vista un uomo stanco, barbuto e accovacciato nella penombra, che subito si alza. Vedendolo alto e nel viso, il Gaggino, rimasto perplesso per alcuni istanti, dopo un poco esclama: "Io ti conosco, tu sei Cascione, u Megu". Questi vorrebbe negare la sua identità, ma viene riconosciuto anche dagli altri. Spiega il perché si trova in quel luogo: aveva dovuto fuggire in fretta per non essere acciuffato dai fascisti.
Quando i giovani presenti manifestano l'intenzione di formare una banda armata per fare la guerriglia ai nazifascisti, Cascione risponde: "Allora siamo tutti qui per la stessa causa, mettiamoci insieme. In quel momento giunge anche Nino Giacomelli, il compagno di Cascione, che era andato a compiere una ricognizione nei dintorni. In quel momento Felice Cascione viene acclamato capo della banda.
Francesco Biga, Felice Cascione e la sua canzone immortale, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 2007