domenica 20 dicembre 2020
A Baiardo (IM) i giovani presentatisi vennero in parte fucilati ed in parte inviati in Germania
giovedì 17 dicembre 2020
Consistenza delle forze nazifasciste nel ponente ligure al 24 marzo 1945
Una vista dalla collina della Cipressa sino ad Imperia e a Capo Berta |
Pontedassio (IM): strada statale n° 28 del Col di Nava |
24 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 110, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riportava quanto già reso noto con proprio documento prot. n° 1/85 del 10 marzo 1945 per quanto riguardava le forze tedesche che presidiavano la zona. Aggiungeva:
"Oggetto: Dislocazione delle forze tedesche e fasciste.
Fascia costiera:
24° divisione tedesca “Renana” (su 3 reggimenti);
107° reggimento che presidia da Ventimiglia a Sanremo;
203° reggimento che presidia da Sanremo a Imperia;
80° reggimento che presidia da Imperia ad Albenga:
Di questo ultimo, un battaglione è schierato tra Albenga e Alassio con una forza di quattro compagnie. Altro battaglione denominato “Winter”, anch’esso su quattro compagnie, è schierato da Alassio fino a Imperia. Ciascun battaglione ha un seguito di artiglieria, flak, mortai, panzerfaust.
Brigata Nera:
I compagnia - tra Cervo (posto di blocco) e San Lorenzo;
II compagnia - tra San Lorenzo e Sanremo;
III compagnia - tra Ospedaletti e Ventimiglia.
Ogni compagnia ha un organico di circa 105 uomini ed è suddivisa in squadra e plotoni. Ogni squadra ha a disposizione un mitra, ogni plotone una mitragliatrice pesante. Armamento individuale: moschetto 91 T.S (tipo cavalleria).
Battaglione di bersaglieri:
Compagnia comando a Bordighera.
3 compagnie dislocate al fronte tra Ventimiglia-Latte ed il Grammondo.
2 compagnie in copertura (riposo) tra San Lorenzo e Riva Santo Stefano.
Armamento come quello della brigata nera. Ogni compagnia dispone di 5 mortai.
Guardia Nazionale Repubblicana:
una compagnia - tra Ventimiglia e Sanremo;
una compagnia - tra Sanremo e Imperia;
una compagnia - ad Imperia addetta all’ordine pubblico;
una compagnia - ad Imperia, come compagnia provinciale dell’esercito.
Armamento come le precedenti. Organico sui 105 uomini.
Dislocamento delle truppe nemiche nel retroterra:
- Pieve di Teco: dai 250 ai 300 tedeschi. Quartier generale nella Villa “Faravelli” a Nava
- Muzio: circa 30 tedeschi pionieri per la riattivazione del ponte di Vessalico
- Cesio: circa 40 tedeschi. Continuano i lavori per la costruzione di camminamenti e trincee nonché postazioni anticarro. Colle San Bartolomeo sorvegliato.
- Chiusanavecchia: (Chiusanavecchia, Sarola, Bestagno, Villa Viani, Villa Guardia) con presidi aventi una forza a volte fissa ed a volte variabile (circa 200 uomini).
- Pontedassio: circa 60 tedeschi adibiti ai lavori dei magazzini viveri.
- Diano Marina: OrstKommandatur lungo la via Aurelia. In località “Chiapasso” comando della 7° compagnia. In regione Cava a Poggiolo vi è una postazione di due mortai.
- [n.d.r.: fatta eccezione per Capo Berta e Cervo, le notizie che qui seguono si riferiscono a località del ponente della provincia di Savona, comunque di competenza della I^ Zona Operativa Liguria] Andora: OrstKommandatur e comando della 5° compagnia (villa del Marchese) la truppa è dislocata nelle vicinanze di Andora.
- Capo Rollo (Villa Genta): 15 tedeschi di guardia alle mine della strada.
- Capo Berta: batteria da 75/27 con organico di circa 100 uomini.
- Capo Santa Croce: batteria da 75/27 con organico di circa 100 uomini.
- Capo Mele. 25 tedeschi con 4 mitragliere da mm 20; stazione radio trasmittente e ricevente.
- Molino Nuovo: posto di blocco costituito da 5 tedeschi (1 Majerling, 1 Ta-pum automatico, 1 machinen-pistole, 4 ta-pum).
- Cervo: posto di blocco costituito da 22 italiani e 6 tedeschi (3 mitra, 17 moschetti e bombe a mano).
- Vegliasco: circa 35 tedeschi in comunicazione con Villa Chiappa ove trovasi radio-trasmittente.
- Garlenda: circa 40 tedeschi con altrettanti cavalli.
- Cisano, Salea, Leca, Bastia: forza dislocata, circa 300 tedeschi. Batteria in postazione
- Ortovero. 60 tedeschi con carri e cavalli"
24 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. n° 358, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della II^ Divisione - Segnalava che il CLN di Sanremo comunicava che era necessario fissare una riunione tra "R.C.B." [capitano Robert Bentley], il Comando Operativo della I^ Zona Liguria, il comando della II^ Divisione, il commissario ed il responsabile SIM della V^ Brigata, gli organi militari ed il SIM del richiamato CLN, indicando come data possibile il 28 marzo.
25 marzo 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giacinto Menotti Serrati" al CLN provinciale di Imperia - Segnalava che i tedeschi stavano usando "tutti i mezzi possibili per ammassare il maggior quantitativo di olio possibile; pare, addirittura, che ne vogliano portare via 60.000 quintali, anche se non ci riusciranno. Tuttavia, anche se ne asportassero solo qualche quintale sarebbe un grave danno per la già provata economia della zona che non ha altre risorse". Comunicava che i tedeschi avevano avuto diversi allarmi navali e che durante la notte precedente avevano "applicato le micce alle mine". Riferiva che in un incontro con "Giorgio" [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] era stato preso l'accordo di interrompere per brevi tratti sia la via Aurelia sia la ferrovia, ma che per motivi sconosciuti tali azioni concertate non erano state effettuate.
39/45 MAGAZIN, Editions Heimdal, Bayeux, Normandia, n. 21, ottobre 1987
venerdì 11 dicembre 2020
Il rientro dei partigiani imperiesi da Fontane
Decisa la dislocazione della I^ Brigata ["Silvano Belgrano"] nelle valli Arroscia, Pennavaira, Lerrone, Andora, Steria e nel Dianese, a levante del torrente Impero, partono nella mattinata del 5 novembre per la Liguria l'ufficiale alle operazioni Ercole Pario (Pablo) e il commissario "Osvaldo" [Osvaldo Contestabile], onde studiare i luoghi di destinazione dei distaccamenti.
Il giorno successivo iniziano il trasferimento verso Piaggia i distaccamenti "A. Viani" (che lascia la Val Corsaglia nelle prime ore del mattino), "G. Maccanò", "F. Airaldi" e il servizio SIM con una parte del Comando I^ Brigata.
I movimenti sono facilitati dalle informazioni del SIM, il quale accerta che, oltre la statale n. 28 e la val Tanaro, i Tedeschi avevano sgomberato l'alta valle Arroscia tra San Bernardo di Mendatica e Pogli (presso Albenga).
[...] Il commissario "Osvaldo", che durante il rientro aveva avuto colloqui con le Giunte Comunali di Mendatica, Pornassio e Pieve di Teco per discutere il modo di aiutare le formazioni in arrivo, a Gazzo il comandante "Ramon" [Raymond Rosso], rimasto in Liguria, che lo mette al corrente della situazione e dei movimenti del nemico, intento a preparare un rastrellamento nella zona; inoltre incarica il comandante Firminio Ghirardo di recuperare il materiale precedentemente nascosto. Pure a Gazzo, via Pieve di Teco, giungono altri elementi del Comando I^ Brigata: cuochi, intendenti, armieri, dattiografi, ecc.
Dopo la ritirata in Piemonte erano rimasti tagliati fuori, e in gran parte dislocati nella zona C (valli di Arroscia, di Albenga, di Andora) gruppi di garibaldini che vennero sovvenzionati, nel periodo di isolamento, dal CLN di Albenga (1° Settore circondariale). Inizialmente vi erano solo i distaccamenti di "Ramon" a Gazzo e di "Domatore" a Casanola Lerrone, in totale circa settacinque uomini. Vi giunsero poi "Basco" con 45 uomini, "Firmino", "Cipriano" e "Ugo" con cinquanta uomini, "Germano" con quindici e "Marco" con molti altri sbandati. In totale circa trecento uomini.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977
Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN) |
I partigiani dislocati [dopo la drammatica ritirata strategica del precedente mese di ottobre] a Fontane [Frazione di Frabosa Soprana (CN)] divennero pessimisti circa la loro possibilità di rientro in Liguria, a causa delle informazioni che a loro giungevano circa l'occupazione tedesca delle Valli Impero e Argentina.
Il 4 di novembre era giunta alle formazioni garibaldine in Piemonte, come abbiamo già scritto, la notizia che i Tedeschi avevano sgomberato la strada statale n. 28 e molti paesi del retroterra. La manovra fu chiara invece quando non procedettero anche allo sgombero della statale: Imperia, Cesio, colle San Bartolomeo, San Bernardo di Conio, passo della Teglia, Rezzo, Triora. Su questa rotabile potevano ancora transitare, ricostruendo con un minimo sforzo qualche ponte o tratto di strada distrutto. I Tedeschi avevano abbandonato le zone dove le strade erano più gravemente danneggiate od inservibili, ripromettendosi di ricostruire gradatamente tutti i ponti, guarnirli di stabile presidio e rioccupare così tutte le zone ove le distruzioni erano state riparate. Provvisoriamente il nemico poteva giungere a Pieve di Teco attraverso San Bernardo di Conio e Rezzo; altrove i danni provocati dalle distruzioni erano troppo ingenti.
Intanto, uniformandosi alla circolare 53/D/4 dell'11 novembre 1944, trasmessa dal Comando divisionale alle brigate, che invitava a riprendere e ad intensificare la guerriglia contro il nemico, e autorizzava gli stessi distaccamenti a procedere di propria iniziativa nell'azione, i Comandi e i garibaldini furono ben orgogliosi di riprendere i combattimenti, dopo venti giorni di stasi e di riorganizzazione, su tutta quella zona che i Tedeschi pensavano di aver ripulita dalle forze partigiane durante il rastrellamento di ottobre.
La Resistenza, con insistenti ed accaniti attacchi, faceva sentire ben viva la sua presenza e faceva comprendere al nemico, demoralizzato per le sconfitte subite sui fronti occidentale ed orientale, che nulla valevano i rastrellamenti contro la popolazione e i partigiani, decisi fino in fondo a difendere la libertà del loro paese.
Fiammetta Balestracci, RASTRELLAMENTI E DEPORTAZIONE IN KL NELL'ITALIA OCCUPATA 1943-1945 in Il libro dei deportati, Vol. 4: L'Europa sotto il tallone di ferro. Dalle biografie ai quadri generali, Ugo Mursia Editore, 2015
martedì 8 dicembre 2020
Il Contadino, 8 dicembre 1944
Fonte: Rete Parri |
Fonte: Rete Parri |
Bibliografia:
- Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III, a cura Amministrazione Provinciale di Imperia e patrocinio IsrecIm, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977
- Augusto Miroglio, Venti mesi contro venti anni (Quando la ribellione è dovere), Farigliano, Milano Stampa 1968 [II edizione completata e aggiornata]
- Francesco Biga, Ersilia Castagneto, “Mumuccio” Giacomo Castagneto, splendida figura dell’antifascismo militante imperiese e della Resistenza ligure-piemontese. Personaggio che rimarrà sempre vivo nei nostri ricordi e caro nei nostri cuori, Chiusanico, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2002.
sabato 5 dicembre 2020
Il comandante Vitò ed i suoi partigiani al ballo di Perallo, ma anche in una vana ricerca di sale
Le funzioni religiose della Messa e della processione erano fondamentali, ma dopo, nel pomeriggio, specie ad opera dei giovani, si organizzava il ballo. Ed al ballo interveniva la gioventù di tutti i paesi limitrofi ed anche da paesi distanti.
"Andremo armati?" "Certo. Tutti devono vederci in perfetto assetto di guerra". "E non ci sarà pericolo?". "Chi non risica non rosica". Tutti si prepararono ad arma a tracolla, si tennero pronti per le istruzioni. "Vi raccomando di obbedire a tutti i miei ordini. Cammineremo in fila indiana, a qualche distanza gli uni dagli altri. Non si devono usare le armi senza il mio ordine". "Le teniamo cariche le armi?" "Certo. Non vi sono guardiacaccia. Potremo però incontrare i fascisti o tedeschi. Ciascuno deve coprire con la sua arma il compagno davanti". "E in caso di ritirata come ci dobbiamo comportare?" "Dobbiamo fare una avanzata e non una ritirata. Nessuna imprudenza e nessuna spavalderia. Comportiamoci come bravi ragazzi che vanno ad una festa".
Non risposero e si fermarono tutti, perchè vedevano arrivare gli altri partigiani. Era dipinto sul loro viso un certo timore. "Non abbiate paura. Non veniamo con intenzioni aggressive. Voi andate per la vostra strada e lasciateci in pace. Siamo l'avanquardia di un battaglione di partigiani che sta dirigendosi verso queste parti". I fascisti non si mossero. Avevano davanti uomini armati tutti di mitra.
Parlai a loro: "Vedo che siete giovani, appena arruolati. Siete italiani e contro di voi non abbiamo alcun rancore; il fatto che siate fascisti non comporta ancora per noi di considerarvi nemici, a meno che... non siate voi i primi a farvi nemici. Come vedete non abbiamo intenzione aggressive. Se un giorno vi troverete a disagio, venite da noi. Vi accoglieremo come amici, se così vi dimostrerete. Una sola raccomandazione vi debbo fare: Acqua in bocca. Voi non avete visto nessuno".
A Perallo i giovani partigiani erano conosciuti e furono accolti come amici. Avevano messo al sicuro le armi con una buona scorta alternata da ciascuno di loro. Furono presentati ai tedeschi ed ai fascisti presenti come conterranei.
Il fatto della apparizione partigiana si divulgò vicino e lontano. La gente diceva: "I partigiani ci sono. Li hanno veduti festaioli a Perallo". "Erano armati e non avevano paura, ma ne hanno messo ai tedeschi e ai fascisti". "Pare che sui monti siano a centinaia, forse migliaia". "Erano alla festa coi tedeschi e coi fascisti e non è successo nulla". "Presto prenderanno il comando della zona".
E quelle parole corsero nelle vallate, ingrandendosi e moltiplicandosi e da Arma corsero fino a Ventimiglia e tutti le udirono, le commentavano e le moltiplicarono ancora.
Anche i partigiani lassù alla Goletta fremevano di gioia di soddisfazione e guardavano Vitò come un comandante naturale e naturalmente riconosciuto da tutti, perchè sapeva parlare e sapeva agire. Aveva dichiarato ai fascisti gli scopi dei partigiani. Se quelli avessero capito, a frotte, avrebbero dovuto lasciare le armi dell'esercito ed arruolarsi con Vitò. Non ci fu nessun rastrellamento, né i nazisti osarono avanzare verso la terra da cui doveva venire il Battaglione partigiano.
* ... Don Micheletto per tutta la guerra si adoperò per i partigiani, generalmente in contatto con i gruppi di Vitò, che accompagnò spesso nei loro spostamenti. Esplicherà la sua attività specialmente nell'assistenza e per captare messaggi radio. Giovanni Strato, Storia della Resistenza imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976
Ero dislocato con la mia banda nella zona di Cima Marta.
Si viveva come si poteva prelevando qua e là scarso cibo che i contadini ci offrivano fraternamente: ma le provviste erano sempre insufficienti e la fame era spesso l'indivisibile compagna dei nostri giorni.
Più di tutto sentivamo la mancanza del sale: mangiar erbe scondite o fagioli semi-crudi non è certamente piacevole, ma doverlo fare senza nemmeno un pizzico di sale era al di là delle possibilità del nostro stomaco. Eravamo affamati di sale, divenuto in quegli ultimi tempi quasi introvabile, tanto più che esso era usato come un prodotto di scambio e sostituiva spesso la moneta.
Decisi di procurarmene a qualunque costo.
Ero stato informato che avrei potuto ottenerne in Francia: si trattava di un viaggio di qualche giorno in una zona impervia fra boschi e burroni, in un territorio occupato dal nemico che controllava sentieri e passi.
Partimmo: un piccolo gruppo di uomini decisi, con tutte le armi migliori che ci era stato possibile racimolare.
Una marcia lunga e faticosa ci portò sul Col D'Anan.
Qui fermai il distaccamento, lo alloggiai in due casoni abbandonati in una posizione che stimai fortissima e con sette elementi scelti proseguii per il paese.
Lungo la strada m'informai se vi fossero tedeschi nella zona, ma si rispose che nessun nemico vi si trovava.
Eravamo allegri, si cantava e si rideva, come al solito, incuranti del pericolo che incombeva tutto intorno a noi.
Ed infatti nel superare una curva proprio all'entrata nel paese scorgemmo una postazione nemica. Essa era stata piazzata presso una chiesetta di montagna, trasformata in fortilizio: intorno si stendevano fitti reticolati, alcune mitragliere allungavano le loro canne verso la strada ed una sentinella repubblicana, fucile in spalla, passeggiava sullo spiazzo antistante la chiesa [...]
Noi scavalcammo il filo di ferro spinato, stracciandoci gli abiti e la pelle e ci buttammo sulle mitragliere voltandole verso il fortino.
Il nemico non tentò nemmeno una resistenza seria [...]
Il posto era ben fornito: armi, munizioni, viveri e indumenti... ma sale nulla.
I repubblicani si erano riformati sulla cresta delle colline e tiravano su di noi di quando in quando. Colpi sprecati ai quali non si faceva caso. D'altra parte rimanere sul posto era pericoloso: il nemico avrebbe potuto ricevere rinforzi, aggirarci e distruggerci. Pazienza... saremmo ritornati senza sale [...] Passava in quel momento un contadino con una mula [...] Lo bloccammo, requisimmo la mula, vi caricammo le armi e riprendemmo la strada del ritorno [...] per molto tempo ancora fummo costretti a mangiare minestre insipide...
domenica 29 novembre 2020
È nostra intenzione costituire una Brigata d'Assalto per la guerriglia
Carpasio - Foto: Eraldo Bigi |
Il giorno immediatamente dopo l'incontro, lunedì, Erven avrebbe dovuto riferire a Curto [Nino Siccardi], in un colloquio da tenersi in Carpasio [oggi nel comune di Montalto Carpasio (IM)], circa quanto concluso con Vittò [Giuseppe Vittorio Guglielmo] e con [Pietro] Tento. Curto [Nino Siccardi] ed Erven si sarebbero incontrati all'arrivo della corriera, sulla quale Erven avrebbe viaggiato per andare a Carpasio. Ma quel giorno la corriera non partì. Erven si recò a Carpasio in bicicletta; anche Curto vi era giunto da un'altra parte, con eguale mezzo; ma Erven arrivò quando Curto era già andato via.
Alcune sere dopo viene fissato pertanto un nuovo appuntamento Erven-Curto.
L'incontro ha luogo in Costa di Carpasio, in una casa di montagna della famiglia Pastorelli. Erven è insieme con Marco (Candido Queirolo), salito con lui in montagna in quell'occasione; prima trovano Giulio (Libero Briganti); poi viene Curto. Erven [Bruno Luppi] e Marco, scesi dalla corriera in Carpasio, per un poco avevano seguita a distanza una donna, che faceva da guida; poi la avevano raggiunta, e insieme con essa erano arrivati alla casa di Pastorelli, una specie di «casone», in Costa di Carpasio. Come si è detto, appena entrati vedono Giulio; e poi viene Curto.
Curto, in quel periodo, agisce ancora come esponente del suo Partito (PCI).
Si riassumono, qui appresso, le parole pronunciate da Curto, il quale parla a nome del PCI, da cui ha avuto l'incarico del comando in montagna.
Curto dice: «Nell'alta valle dell'Impero, sotto il nostro controllo esistono già tre bande organizzate, che sono quelle derivate dalla banda Cascione».
Fa presente che in quel momento le bande sono presso Borgo d'Oneglia, presso Sant'Agata e al Passo della Pistona; ma ad arte, per i soliti motivi precauzionali, possono essere state date indicazioni non precise circa l'ubicazione dei gruppi. Aggiunge: «La banda, che è nella Valle Argentina, è ancora autonoma; ma può essere assorbita, essendo, a contatto col PCI». Aggiunge ancora: «È nostra intenzione costituire una Brigata d'Assalto per la guerriglia organizzata in tutta la provincia di Imperia; essa comprenderà le tre bande citate e quella dell'alta Valle Argentina, e assorbirà tutte le altre che immancabilmente verranno a costituirsi intorno a quelle esistenti». Curto espone il programma dell'azione che le bande condurranno per la lotta di liberazione [...]
Terminato il colloquio, viene consumata una magra cena a base di latte e castagne; e poco dopo, intorno alla mezzanotte, giunge una pattuglia, segnalata dal «Chi va là» della sentinella. Anche la pattuglia consuma un pasto frugale; ed Erven entra in colloquio col capo di essa, che, come viene a sapere, è Vittorio Acquarone.
Fu in questa circostanza che Erven e Marco si trasferirono dalla città alla montagna.
Il giorno successivo a quello del suddetto incontro, Erven e Marco partono da Costa di Carpasio; prendono la corriera per Badalucco un po' a valle di Carpasio; da Badalucco, Marco prende la corriera per Triora, e va subito a «La Goletta», a raggiungere il gruppo di Vittò e di Tento; Erven prosegue, dopo avere dato a Marco, per prudenza, le L. 80.000, e scende a Taggia. II giorno dopo va anch'egli a «La Goletta», per la definitiva adesione del gruppo di Vittò e Tento alla costituenda Brigata; e consegna le L. 80.000.
Vittò e Tento aderiscono subito. Vittò era già d'accordo, in via di massima; ancora non si era deciso Tento, non comunista; però, considerate le difficoltà del gruppo, anch'egli accetta, quando sa che vi saranno concreti aiuti alla banda.
Quando avvengono i fatti sopra esposti, Vittò era già rientrato in banda, dopo la ferita riportata nello scontro di Gavano; e, sebbene non ancora uscito del tutto dalla convalescenza, già si disponeva a prendere di nuovo parte alle azioni.
In un primo tempo, come già accennato, Erven e Marco restano con Vittò e Tento, tutti in un medesimo gruppo.
Nel periodo testé trattato vi era stato qualche altro fatto, di cui non è possibile non fare menzione.
Verso la fine del febbraio '44, o nei primi giorni del marzo, era stato fatto saltare un deposito di mine tedesco, situato in Arma di Taggia, nel cosiddetto «Giro del Don», fra il ponte sul torrente Argentina e la ferrovia.
Le persone, alle quali il fatto deve attribuirsi, restarono ignote.
Ancora in marzo [in effetti ad aprile: vedere infra] tre partigiani del gruppo di Vittò sono catturati in Baiardo dai militi fascisti: un polacco e due italiani (di cognome Repetto e Faraldi). Un ex segretario del fascio, mediante una sua camionetta, porta i tre prigionieri da Baiardo a Pigna, dove vengono rinchiusi nella prigione della caserma.
Mario Cichéro si presenta a Erven con la dolorosa e preoccupante notizia.
In Pigna, per ischerno, agli arrestati, ancora vivi, i nazifascisti celebrano il funerale, con rito religioso; poi li portano nel cimitero, e li uccidono. Gli italiani vengono fucilati dai fascisti; il giorno dopo, i tedeschi fucileranno il polacco.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) -
Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà
giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a
cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di
Imperia, pp. 272-275
Tommaso Faraldi |
(1) Per maggiori dettagli si veda l'opuscolo di don Nino Allaria Olivieri, Sangue a Castelvittorio, Editrice Sordomuti, 1977
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020
[ n.d.r.: altre pubblicazioni di Giorgio Caudano: a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020: Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea… memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016 ]
Quasi all’inizio di questo nostro saggio abbiamo scritto che avremo preso in considerazione la biografia dell’ufficiale Bruno Luppi, Erven, poiché noi Imperiesi lo consideriamo un eroe ed uno dei più importanti artefici della nostra Resistenza. Cittadino di Savona e insegnante di storia all’Istituto Tecnico Commerciale “Paolo Boselli” della Città, per molti anni, ora riposa nel cimitero del Comune di Carpasio (IM), nelle cui vallate ha combattuto per la libertà e dove, durante la giovinezza, ha conosciuto la compagna della sua vita.
Ecco l’avventurosa ma affascinante biografia di Bruno Luppi, la quale recita: Bruno Luppi fu Paolo e fu Ponzoni Iside, nasce a Novi di Modena l’8 maggio 1916. Da giovane, organizzato in un gruppo giovanile comunista nell’aprile del 1935 a Modena, è arrestato ed imprigionato con altri antifascisti nelle carceri di Sant’Eufemia. Resistendo ai maltrattamenti e nulla confessando, dopo una ventina di giorni riesce a farsi scarcerare.
Negli anni 1935-1936, sempre a Modena, entrato nuovamente a far parte del gruppo giovanile comunista, continua l’attività cospirativa diffondendo manifestini antifascisti e scritti vari tra i giovani dei corsi premilitari, raccogliendo fondi per soccorsi alle famiglie degli antifascisti in carcere.
Dopo l’occupazione di Roma da parte dei Tedeschi, dal giorno 12 al 20, insieme al sottotenente di Fanteria Enrico Contardi, ad alcuni soldati sbandati e ad alcuni popolani di Trastevere, prende parte alla raccolta di armi, abbandonate negli ex accantonamenti militari (fucili, armi automatiche, munizioni), che vengono consegnate agli antifascisti di Trastevere. Negli stessi giorni col Contardi e quattro soldati riesce a sottrarre ai Tedeschi due automobili nuove di cui una era in uso a un console della milizia. Grazie ad un permesso di circolazione, inoltratosi nel Ministero della Difesa riesce ad asportare una grossa radioricetrasmittente che, con una delle macchine riesce a trasferire ai Colli Albani ove la consegna ad un gruppo di antifascisti che si stanno organizzando per combattere i nazifascisti. Nei giorni successivi spara a gruppi di soldati tedeschi ma, rimasto intrappolato, per fortuito caso riesce a sfuggire alla cattura e a raggiungere la stazione ferroviaria dove è tenuto nascosto da due ferrovieri.
Nei primi di ottobre, dopo varie peripezie, raggiunge la sua abitazione a Taggia per prendere contatto con i vecchi compagni e con i quali organizza a monte della Città, in località Beusi, una prima banda armata composta da una ventina di giovani, in gran parte militari sbandati. Ma la banda ha vita breve poiché si scioglie nel novembre successivo.
In quel periodo entra a far parte del Comitato di Liberazione di Sanremo, come rappresentante insieme al Farina del PCI, con l’incarico di addetto militare. Organizza pure il CLN di Taggia e una cellula del PCI ad Arma, coadiuvato dai compagni Mario Cichero, Candido Queirolo, Mario Guerzoni e Mario Siri. Con i Sanremesi dà vita ad un giornale clandestino quindicinale dal titolo “Il Comunista Ligure”, ciclostilato nel retro del negozio del Cichero stesso. Il gruppo prende pure contatto con la banda armata di Brunati dislocata a Baiardo e con altre formatesi in Valle Argentina.
Dopo la morte del dottore Felice Cascione, capobanda ucciso in combattimento dai Tedeschi il 27 gennaio 1944, la Federazione Comunista di Imperia costituisce il Triangolo Insurrezionale e il Luppi è designato a farne parte per la zona della Valle Argentina - Sanremo.
Con queste mansioni prende contatto con il comandante partigiano Nino Siccardi (Curto), in previsione dell’organizzazione di bande partigiane in altre zone della Provincia di Imperia. Contemporaneamente organizza a Molini di Triora un presunto Comitato con a capo il farmacista Alfonso Vallini (Teia), tramite il quale fa giungere ai partigiani riuniti intorno al comandante Guglielmo Vittorio (Vitò), viveri, armi, e munizioni.
Nei primi giorni di aprile 1944 il Luppi si incontra nuovamente con il Siccardi a Costa di Carpasio, presenti il savonese Libero Briganti (Giulio), Giacomo Sibilla (Ivan), Vittorio Acquarone (Marino) e Candido Queirolo (Marco); si decide di raccogliere tutte assieme una ventina di bande sparse sul territorio per costituire la IX Brigata d’assalto Garibaldi “F. Cascione”.
Il che avviene. Anche “Vitò” si aggrega alla Brigata con i suoi uomini accampati in località “Goletta” (Valle Argentina). Questi vengono suddivisi in due Distaccamenti denominati IV e V, quest’ultimo ha per comandante “Vitò” e per commissario il Luppi, con nome di battaglia “Erven”. Il Luppi, come commissario, nei mesi di maggio e giugno prende parte a tutte le azioni che hanno consentito di ripulire i territori delle alte valli Argentina, Nervia e Roja da presidi e postazioni tedesche e fasciste, che sarebbe troppo cosa lunga a enumerare.
Ma veniamo all’azione nella quale “Erven” dimostrò tutto il suo coraggio e il suo eroismo: La battaglia di Sella Carpe: 27 giugno 1944, Sella Carpe, località a 1300 metri di altezza, nel territorio del Comune di Baiardo.
[...] Dopo il ferimento, il Luppi rimane tra i boschi e sui monti per undici mesi, senza cure, spesso braccato per la caccia che gli danno i nazifascisti, ma sempre a contatto con il Comando I Zona, assumendo, nei momenti di calma, incarichi per produrre stampa partigiana.
Dopo la Liberazione veniva portato, finalmente, in ospedale per essere curato, ma undici mesi di disagi e di non adeguate cure avevano causato un tale peggioramento dell’arto colpito che non poté più essere riassestato nonostante una delicata operazione.
[...] Gli fu conferita la medaglia d’argento al valor militare il 13 dicembre 1952, n. d’ordine 1571 con la seguente motivazione: “Bruno Luppi fu Paolo, animatore tra i primi della Lotta di Liberazione nella Valle Argentina, rganizzatore di valore e comandante capace e deciso, si distinse particolarmente nel contrattaccare con ardita iniziativa superiori forze tedesche risalenti la rotabile militare Baiardo Badalucco. Gravemente ferito alla gamba destra, rifiutava ogni soccorso e teneva imperterrito il suo posto di comando, respingendo il nemico ed infliggendogli gravi perdite”. Sella Carpe - Baiardo (Imperia), 27 giugno 1944.
Francesco Biga, Ufficiali e soldati del Regio Esercito nella Resistenza imperiese
in Atti del Convegno storico "Le Forze Armate nella Resistenza" (a cura di
Mario Lorenzo Paggi e Fiorentina Lertora), venerdì 14 maggio 2004,
Savona, Sala Consiliare della Provincia, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona
giovedì 26 novembre 2020
I partigiani se ne tornarono alla base di Ormea...
Ceva (CN): Stazione Ferroviaria. Fonte: Wikipedia |
Alcuni giorni dopo dal Comando ci giunse l'ordine di trovarci alla stazione ferroviaria di Pievetta ben armati e con le mitragliatrici pesanti che avevamo in dotazione. L'azione da compiersi era un attacco alla città di Ceva.
Ciò ci sorprese non poco perché sapevamo che la località, essendo un centro logistico importante per il nemico, era ben presidiata. Quando giunse [20 luglio 1944] il treno da Ormea, sul quale era già la Volante, ci imbarcammo anche noi (complessivamente eravamo una ottantina di partigiani).
In questa occasione l'ilare "Raspin", il quale aveva già fatto in precedenza degli apprezzamenti sul modo di muoverci, di cui abbiamo fatto cenno, mi disse: «A Pievetta ci hanno portato con l'autocarro, a Ceva ci portano col treno, ma che partigiani siamo diventati? Speriamo che la prossima volta ci portino in aereo».
Il discorso non poteva non essere accompagnato da una risata generale che distese la nostra tensione nervosa. Eravamo preoccupati per l'avventura cui andavamo incontro, ma non sapevamo che il nostro Comando ci mandava a Ceva in quanto informato che, da alcuni giorni, la città era sgombrata dai soldati nemici.
II treno si arrestò alla periferia di Ceva, dove fu piazzata una mitragliatrice pesante con la presenza di una decina di partigiani, pronti ad entrare in azione se fossero giunte forze nemiche da Savona o da Mondovì.
Quando il treno giunse alla stazione, scendemmo.
Un gruppo si recò in una grande caserma (che trovò vuota).
Invece alla stazione noi, più fortunati, trovammo in alcuni vagoni, riso, farina, grano ed altri generi alimentari, che provvedemmo a caricare su due camioncini, avviati poi verso la nostra zona di provenienza.
Perquisimmo i treni viaggiatori che in ore successive giunsero da Torino e da Savona, prendemmo prigionieri alcuni soldati fascisti e tedeschi, che, sbiancati in volto per lo stupore, non riuscivano a raccapezzarsi per quanto stava loro accadendo; alcuni viaggiatori, che mi sembravano "borsaneristi", approvavano la nostra azione, poiché a loro spesso veniva sottratta la merce durante questi viaggi.
Alcuni "borsaneristi" erano di Oneglia e ci riconobbero.
Chiesi a qualcuno di loro di informare i miei genitori che stavo bene.
Mia madre, credendo che io fossi di stanza a Ceva, pensò di venirmi a trovare.
La poveretta, giunta nella città alcuni giorni dopo i fatti che ho raccontato, incappò in un brutto bombardamento aereo e si salvò, col treno, perché la galleria, che serviva da rifugio, era a poca distanza dalla stazione.
Logicamente a Ceva non mi trovò e, non sapendo dove trovarmi, decise di ritornare a Oneglia delusa e amareggiata.
Ma non rinunciò mai a creare le condizioni per incontrarmi (come vedremo).
Mi fece gradite sorprese, anche se per due volte si imbattè in brutte situazioni. Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998
Ceva (CN). Fonte: Wikipedia |
Per funzionare funzionava, niente da dire; bisognava soltanto trovare uno capace a manovrarla, per farla partire.
Uno che se ne capiva un po' di come trafficarci, lo trovarono subito più o meno disponibile e la mise in moto.
- Allora andiamo, che così ci arriviamo prima tutti insieme: non se lo credono mai più che ci arriviamo col macchinista -, risposero al Cion [Silvio Bonfante] che stava ad aspettare per la partenza.
Di ribelli sbrindellati e variopinti, ce n'erano aggrappati dappertutto su quella locomotiva in corsa, e bisognava vederli com'erano combinati; cantavano e sbandieravano come alla festa grande sulla fiera, con l'aria fresca della valle in poppa.
La sbarra di confine tra fascisti e partigiani per traverso sui binari, la trovarono dopo Bagnasco, quando il macchinista se ne accorse che ormai la vide in pezzi senza fermarsi, alé sempre avanti così: ma dalle due parti in fila lungo la ferrovia, intanto i borghesi si sbracciavano, che di là c'erano i tedeschi; perdio stessero attenti, e fermassero il treno; volevano dire di stare attenti e di fermarsi subito, perché più in là c'erano eccome, coi posti di blocco le pattuglie le mitraglie puntate e le sentinelle all'erta in postazione.
A Ceva invece, quando arrivarono nella stazione sono la pensilina con gli stantuffi ancora in moto, manco per l'antonia i tedeschi ci pensavano a una faccenda così balorda e poco militare.
Il fatto sta che se ne accorsero soltanto troppo tardi, quando sentirono le raffiche concentrate nelle saracinesche del posto di controllo per la truppa.
Sentirono anche lo stridio dei freni sulle rotaie, locomotiva in abbrivio per inerzia, gente in confusione a gridare dappertutto, chissà cosa succede.
Non era facile capire sotto la pensilina o tra i binari, cosa succedeva all'improvviso in quella gran confusione nella sparatoria garibaldina; cosa succedeva con quel treno che non c'era sul tabellone dell'orario, e quei ribelli vestiti a quel modo, tutti sbrindellati che lì non ne avevano mai visto; ma che adesso andavano svelti coi mitra tra i vagoni.
Non c'era tempo nemmeno per spiegarlo ai viaggiatori, alla gente del posto e ai trafficanti indaffarati tra sacchi di farina cereali e recipienti d'olio pei baratti.
La fucileria rompeva subito i contratti della borsa nera, ciascuno ritrovandosi così d'amblé, alla malparata; chissà come finirà con questi qui; capita poi che il treno da Savona, lì in sosta per caso, è carico soltanto di contrabbandieri; meno male pochi i tedeschi di scorta non ce la fanno a sparare subito, cosicché se ne stanno quieti tra i sedili e i malloppi di merce.
La spedizione finì poco dopo, col subitaneo svuotamento della stazione ferroviaria; ma senza risarcimenti per le confische agli accaparratori di passaggio.
I partigiani se ne tornarono alla base di Ormea con due autocarri carichi di tutto, dopo le ricerche svelte nelle case dei fascisti tra i vicoli del paese; se ne tornarono prima che sentissero dalle creste, da una parte e dall'altra, fuoco d'inferno distante tra le curve, col vento forte della valle.