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giovedì 26 gennaio 2023

In una trentina (di partigiani) ci recammo alla stazione ferroviaria di Andora

Andora (SV): ex stazione ferroviaria. Foto: Giorgio Stagni su Wikimedia Commons

Il 12 luglio 1944, con una magnifica azione, il Distaccamento “Volante” asporta quintali di derrate alimentari da un treno merci tedesco.
In particolare: il comandante Cion [Silvio Bonfante], informato dal capostazione di Andora della presenza in linea di un treno tedesco, fermo nella stazione perché impossibilitato a muoversi a causa della ferrovia interrotta da bombardamenti aerei, decide di impossessarsi delle derrate stivate nei vagoni.
Su consiglio del comandante [n.d.r.: della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"]“Nino Siccardi” (Curto) si decide un sopralluogo per coordinare l’azione: Cion, Mancen e Germano, con alcuni uomini, circondano la stazione ferroviaria e sequestrato il personale ed il capostazione, i partigiani si vestono da ferrovieri.
Alle ore ventidue giunge un treno passeggeri, dalla parte della linea non interrotta, da cui scendono repubblichini, Tedeschi e molta gente.
Tutto si svolge regolarmente e ritornata la calma, vengono fatti affluire alla stazione alcuni carri per asportare le derrate.
Una parte di esse è trasferita a Stellanello e poi in Cian di Bellotto; l'altra è messa a disposizione della popolazione che se ne impossessa ed in poco tempo la fa sparire.
Il giorno successivo, il comando tedesco fa prelevare il Podestà di Andora...
                 
Andora (SV)

Redazione
, La Resistenza, Andora nel tempo
 
Trascorsero alcuni giorni senza nulla di nuovo.
Ma in me, anche se il comportamento degli altri partigiani nei miei confronti era migliorato (come ho già accennato), aumentava il desiderio di trasferirmi nella vallata di Stellanello dove si trovavano i miei amici d'infanzia.
Ne parlai con "Merlo" [Bruno Nello] che dichiarò di capirmi, anche se si dimostrava dispiaciuto, perché pensava di perdere un bravo ragazzo ed un buon partigiano.
Mi autorizzò a partire insieme a "Tenni", cosa che feci il giorno dopo.
Ci incamminammo verso Lucinasco e, attraversato il torrente Impero, raggiungemmo Torria dove facemmo sosta grazie ad una signora che mi conosceva, mangiammo qualche cosa che lei ci offrì, quindi trovammo la possibilità di riposarci in una stalla.
Il mattino seguente ci mettemmo in marcia verso il Pizzo d'Evigno, dove incontrammo una pattuglia di partigiani di guardia.
Tra questi c'era l'amico "Norsa" che ci fece festa.
La pattuglia ci indicò il luogo dove era dislocato il distaccamento detto "Volantina", che era comandato da "Mancen".
Trovammo il distaccamento accampato a monte di Evigno, in località Fussai.
Ricevemmo una calorosa accoglienza da tanti amici, non perché io ero l'autore dell'azione alla caserma Siffredi (forse non ne sapevano ancora niente), ma perché ero Sandro, il loro amico fraterno di tante avventure, magari stupide, infantili, amorose o illusorie.
Quella notte dormii saporitamente tanta era la contentezza: mi sembrava di essere a casa mia. 
Alcuni giorni dopo, agli ordini di Silvio Bonfante ("Cion"), in una trentina ci recammo alla stazione ferroviaria di Andora dove, su segnalazione, venimmo a sapere che da alcuni giorni vi era un treno in sosta, con vagoni carichi di grano, avena, pasta, zucchero e generi vari.
Dopo aver preso le opportune precauzioni e poste le pattuglie di guardia, ci trasformammo in scaricatori: asportammo quintali dei generi suaccennati, li caricammo su carri e partimmo prendendo la via del ritorno, dopo averne lasciato una certa quantità alla popolazione locale.  
Un particolare: invitai i miei compagni a recuperare le tendine dei finestrini di due vetture per viaggiatori in sosta.
Di primo acchito la cosa sembrò ridicola, ma non lo fu; con le tendine facemmo confezionare dei pantaloncini corti, resistenti simili, che però sulle natiche avevano impresso le lettere maiuscole FF.SS. (Ferrovie dello Stato): così non potevamo negare di avere rubato la stoffa alle ferrovie.                
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998 
 
"Sbrigatevi. Prendete tutto  quello che serve, il resto lasciatelo perdere". Su quel treno eravamo almeno in dieci. Il convoglio era fermo ormai da giorni e i vagoni, tutti in fila, erano sul binario lato mare, quello che dava sulla pensilina della costruzione solitamente usata per le merci. "Ragazzi, bisogna rifornirci anche di coperte... guardate nei vagoni di prima classe, là forse". Era il caos. Su quel treno c'eravamo saliti già da mezz'ora e per la maggior parte sembrava un gioco, un semplice, anche se rischioso gioco. La stazione di Andora era deserta. Eravamo scesi da Stellanello per far man bassa di chissà cosa; eravamo convinti che su quel treno fermo potessimo trovare generi di lusso. Invece... "Prendete le tendine, quelle servono". Sandro Badellino (Biundu), più dinamico e meno fracassone, cercava di accelerare. "Prendete le tendine... ho detto le tendine". Qualcuno non aveva ancora capito a cosa potevano servire quelle tende di color marrone con quella "FF.SS." stampigliata in più parte, quelle tende polverose che servivano a riparare i finestrini dal sole. Ci prendemmo due botte di "cretini" e non replicammo. In pochi minuti mettemmo insieme un gran numero di tendine e ripartimmo, con sacchi recuperati nella stazione merci, verso Stellanello. Qualcuno scherzava cercando di evitare che il comandante "Mancen", al secolo Massimo Gismondi, il più alto in grado del distaccamento, potesse accorgersene. "Ma cosa vogliono fare con queste tendine?". La domanda ottenne risposta soltanto la mattina dopo quando io e gli altri due compagni fummo incaricati da "Mancen" di portare tutte quelle tende in una casa verso Testico. Consegnammo le tende ad una donnina, una certa Luigina, che ci assicurò "tornate tra una settimana. I pantaloni saranno pronti, almeno spero. Dite ai capi che vi farò anche delle braghe corte". E così, almeno per noi, si svelò il mistero delle tendine. Dopo una settimana tornammo e la donna ci consegnò i pantaloni, confezionati alla perfezione.
un ex partigiano
Daniele La Corte, Storie di uomini e di donne. Gli anni difficili della Resistenza, Calvo Editore, 1995

[...] i partigiani Lino Viale e Nino Agnese (Marco) e il presidente del C.L.N. Dottor Renato Negri (Renato II) erano venuti a conoscenza di un treno fermo alla stazione di Andora con un carico di viveri e generi diversi, destinato ai tedeschi in Francia.
La sosta era dovuta all'interruzione della linea conseguente al bombardamento del ponte ferroviario di Cervo. Un sopralluogo era effettuato da Massimo Gismondi (Mancen), insieme a Silvio Bonfante (Cion) - allora a Cian de Bellottu con Nino Siccardi (Curto) - e al podestà Giuseppe Vattarone, che, sebbene segretario del Fascio locale non disdegnava di dare sottomano aiuto ai partigiani e agli andoresi in genere, duramente provati dalla fame e dalla penuria imperante. Dopo alcuni giorni Cion, Mancen, Germano, Marco, Sandro ed altri, affluiti con alcuni carri per trasportare il vettovagliamento, presidiavano le vicinanze mentre un commando occupava la stazione. L'ora, circa le otto di sera, di per sé era propizia, perché l'ultimo treno arrivava alle sette e mezza, ma quella sera purtroppo il convoglio aveva due ore di ritardo. Annullare l'operazione era comunque improponibile per la mobilitazione effettuata, sicchè si procedeva all'occupazione della stazione: atrio, biglietteria e stanza del manovratore e del controllore. I ribelli, indossate divise da ferrovieri, si sostituivano al capo stazione Rendone e agli altri addetti, attendendo l'arrivo del treno. Nessuno dei passeggeri scesi dai vagoni, tra cui si trovavano sia tedeschi che fascisti, dava segno di accorgersi della presenza partigiana. Allontanatisi tutti i viaggiatori, i partigiani svuotavano diversi vagoni del treno merci in sosta forzata. Per quanto rimaneva sugli altri vagoni, provvedeva il podestà ad avvisare la gente in paese, che avrebbe terminato l'opera nottetempo. L'indomani i tedeschi, accortisi del clamoroso scacco, arrestavano il podestà Vattarone e intimavano agli andoresi la restituzione della refurtiva, ma essendo il maltolto già ben lontano o ben nascosto la richiesta rimaneva inevasa e tutto finì lì.
Francesco Biga in Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria) - vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016

giovedì 26 novembre 2020

I partigiani se ne tornarono alla base di Ormea...

Illustrazione di Marisa Contestabile in Osvaldo Contestabile, Op. cit. infra

Ceva (CN): Stazione Ferroviaria. Fonte: Wikipedia

Alcuni giorni dopo dal Comando ci giunse l'ordine di trovarci alla stazione ferroviaria di Pievetta ben armati e con le mitragliatrici pesanti che avevamo in dotazione. L'azione da compiersi era un attacco alla città di Ceva.
Ciò ci sorprese non poco perché sapevamo che la località, essendo un centro logistico importante per il nemico, era ben presidiata. Quando giunse [20 luglio 1944] il treno da Ormea, sul quale era già la Volante, ci imbarcammo anche noi (complessivamente eravamo una ottantina di partigiani).
In questa occasione l'ilare "Raspin", il quale aveva già fatto in precedenza degli apprezzamenti sul modo di muoverci, di cui abbiamo fatto cenno, mi disse: «A Pievetta ci hanno portato con l'autocarro, a Ceva ci portano col treno, ma che partigiani siamo diventati? Speriamo che la prossima volta ci  portino in aereo».
Il discorso non poteva non essere accompagnato da una risata generale che distese la nostra tensione nervosa. Eravamo preoccupati per l'avventura cui andavamo incontro, ma non sapevamo che il nostro Comando ci mandava a Ceva in quanto informato che, da alcuni giorni, la città era sgombrata dai soldati nemici.
II treno si arrestò alla periferia di Ceva, dove fu piazzata una mitragliatrice pesante con la presenza di una decina di partigiani, pronti ad entrare in azione se fossero giunte forze nemiche da Savona o da Mondovì.
Quando il treno giunse alla stazione, scendemmo.
Un gruppo si recò in una grande caserma (che trovò vuota).
Invece alla stazione noi, più fortunati, trovammo in alcuni vagoni, riso, farina, grano ed altri generi alimentari, che provvedemmo a caricare su due camioncini, avviati poi verso la nostra zona di provenienza.
Perquisimmo i treni viaggiatori che in ore successive giunsero da Torino e da Savona, prendemmo prigionieri alcuni soldati fascisti e tedeschi, che, sbiancati in volto per lo stupore, non riuscivano a raccapezzarsi per quanto stava loro accadendo; alcuni viaggiatori, che mi sembravano "borsaneristi", approvavano la nostra azione, poiché a loro spesso veniva sottratta la merce durante questi viaggi.
Alcuni "borsaneristi" erano di Oneglia e ci riconobbero.
Chiesi a qualcuno di loro di informare i miei genitori che stavo bene.
Mia madre, credendo che io fossi di stanza a Ceva, pensò di venirmi a trovare.
La poveretta, giunta nella città alcuni giorni dopo i fatti che ho raccontato, incappò in un brutto bombardamento aereo e si salvò, col treno, perché la galleria, che serviva da rifugio, era a poca distanza dalla stazione.
Logicamente a Ceva non mi trovò e, non sapendo dove trovarmi, decise di ritornare a Oneglia delusa e amareggiata.
Ma non rinunciò mai a creare le condizioni per incontrarmi (come vedremo).
Mi fece gradite sorprese, anche se per due volte si imbattè in brutte situazioni.                                       Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998

 

Ceva (CN). Fonte: Wikipedia

La locomotiva sotto la tettoia della stazione di Ormea, lì come nuova, l'avevano già vista con tutti i comandi funzionanti; e non gli pareva giusto che non se ne servissero.
Per funzionare funzionava, niente da dire; bisognava soltanto trovare uno capace a manovrarla, per farla partire.
Uno che se ne capiva un po' di come trafficarci, lo trovarono subito più o meno disponibile e la mise in moto.
- Allora andiamo, che così ci arriviamo prima tutti insieme: non se lo credono mai più che ci arriviamo col macchinista -, risposero al Cion [Silvio Bonfante] che stava ad aspettare per la partenza.
Di ribelli sbrindellati e variopinti, ce n'erano aggrappati dappertutto su quella locomotiva in corsa, e bisognava vederli com'erano combinati; cantavano e sbandieravano come alla festa grande sulla fiera, con l'aria fresca della valle in poppa.
La sbarra di confine tra fascisti e partigiani per traverso sui binari, la trovarono dopo Bagnasco, quando il macchinista se ne accorse che ormai la vide in pezzi senza fermarsi, alé sempre avanti così: ma dalle due parti in fila lungo la ferrovia, intanto i borghesi si sbracciavano, che di là c'erano i tedeschi; perdio stessero attenti, e fermassero il treno; volevano dire di stare attenti e di fermarsi subito, perché più in là c'erano eccome, coi posti di blocco le pattuglie le mitraglie puntate e le sentinelle all'erta in postazione.
A Ceva invece, quando arrivarono nella stazione sono la pensilina con gli stantuffi ancora in moto, manco per l'antonia i tedeschi ci pensavano a una faccenda così balorda e poco militare.
Il fatto sta che se ne accorsero soltanto troppo tardi, quando sentirono le raffiche concentrate nelle saracinesche del posto di controllo per la truppa.
Sentirono anche lo stridio dei freni sulle rotaie, locomotiva in abbrivio per inerzia, gente in confusione a gridare dappertutto, chissà cosa succede.
Non era facile capire sotto la pensilina o tra i binari, cosa succedeva all'improvviso in quella gran confusione nella sparatoria garibaldina; cosa succedeva con quel treno che non c'era sul tabellone dell'orario, e quei ribelli vestiti a quel modo, tutti sbrindellati che lì non ne avevano mai visto; ma che adesso andavano svelti coi mitra tra i vagoni.
Non c'era tempo nemmeno per spiegarlo ai viaggiatori, alla gente del posto e ai trafficanti indaffarati tra sacchi di farina cereali e recipienti d'olio pei baratti.
La fucileria rompeva subito i contratti della borsa nera, ciascuno ritrovandosi così d'amblé, alla malparata; chissà come finirà con questi qui; capita poi che il treno da Savona, lì in sosta per caso, è carico soltanto di contrabbandieri; meno male pochi i tedeschi di scorta non ce la fanno a sparare subito, cosicché se ne stanno quieti tra i sedili e i malloppi di merce.
La spedizione finì poco dopo, col subitaneo svuotamento della stazione ferroviaria; ma senza risarcimenti per le confische agli accaparratori di passaggio.
I partigiani se ne tornarono alla base di Ormea con due autocarri carichi di tutto, dopo le ricerche svelte nelle case dei fascisti tra i vicoli del paese; se ne tornarono prima che sentissero dalle creste, da una parte e dall'altra, fuoco d'inferno distante tra le curve, col vento forte della valle. 
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 60, 63