Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, Edito dall'Autore, 2020
[ n.d.r.: tra i lavori di Giorgio Caudano: a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016 ]
Pievetta. Fonte: mapio.net |
Siamo al primo mattino del 25 luglio 1944. Giunge voce che i tedeschi, scesi dal San Bernardo, si stiano dirigendo verso Garessio, mentre un altro reparto, già in sosta a Ceva, si sta avviando verso l’Alta Val Tanaro, controllata da oltre un mese da un gruppo partigiano che ha stabilito un piccolo presidio in Pievetta, frazione di Priola. Verso le ore 16:00 in paese si sentono raffiche di mitraglia provenienti dalla strada di Roccaprencisa, distante circa due Km dall’abitato di Pievetta. Si tratta di un attacco partigiano, durante il quale resta ucciso un soldato tedesco. La popolazione di Pievetta, poco più di 550 anime, in massima parte donne e anziani, è in subbuglio. Chi può scappa nei boschi, altri si rifugiano nelle cantine. Intanto la colonna tedesca munita di carri armati e mortai continua l’avanzata verso il paese e, senza un apparente motivo, inizia la terribile rappresaglia. Fuoco dei mortai e raffiche di mitra contro la Chiesa e le case circostanti, bombe a mano lanciate a casaccio nelle finestre delle case e nei cortili terrorizzano la popolazione, causando anche le prime vittime. Dopo questa prima esibizione selvaggia, segue il rastrellamento di uomini, donne, bambini. Mentre i primi vengono rinchiusi in una cappella sconsacrata, donne e bambini sono condotti in Chiesa e, nella notte, rilasciati. 26 luglio 1944. Di prima mattina viene chiesto agli uomini, ai quali si è già lasciato capire che saranno destinati a un “campo di lavoro”, se “sono pronti a partire”. Alla loro risposta affermativa, sono fatti uscire e viene formato un gruppo di nove uomini tra i 28 e 65 anni che, avviati verso un prato, a circa 50 mt. dalla chiesa, vengono trucidati a raffiche di mitra alla nuca. In concomitanza a questo terribile evento, altri sono assassinati nelle case o per le strade mentre viene appiccato il fuoco a fabbricati rustici e civili. Entrano nella Casa Canonica dove, non trovando l’Arciprete, freddano suo padre di 68 anni che stava dormendo e poi incendiano il letto. Di lui non rimane neppure il cadavere. E il massacro di innocenti continua fino al pomeriggio. Contemporaneamente squadre apposite iniziano a incendiare le case, in breve il fuoco si propaga ovunque. E’ vietato ogni tentativo di spegnimento. Colonne dense di fumo si innalzano verso il cielo e ricoprono la vallata per vari chilometri. Vecchi, donne e bambini sono obbligati a lasciare il paese, mentre l’opera di distruzione viene ripresa con più metodico accanimento. 27 luglio 1944. Le rovine delle case fumano ancora, i morti giacciono insepolti nei prati, sulla strada, nelle case. E’ terribile il bilancio di queste giornate: un villaggio di circa 550 abitanti e 80 case viene punito, senza motivo, con 18 vittime e 50 fabbricati distrutti. Le vittime assassinate il 25 luglio: Bonardo Vincenzo di anni 60 vedovo (pensionato ex ferroviere). De Matteis Domenico di anni 43 coniugato con tre figli (falegname). Facchinetti Marino di anni 35 celibe (capostazione). Guido Luciano di Berna di anni 33 coniugato con un figlio (operaio ferroviere). Roberi Natale di anni 60 coniugato con cinque figli (contadino). Bertino Pietro di anni 28 celibe (studente) . Massironi Guglielmo di anni 39 celibe. vittime correlate all'eccidio Roberi Natale di anni 61 coniugato con tre figli (contadino), ucciso la sera precedente; Roberi Vincenzo di anni 79, coniugato con due figli (contadino),oppresso dall'asma,muore colpito da una bomba a mano scagliata dalla finestra; Roberi Mario e Alfonso di anni 45 e 41 (contadini), sorpresi intorno alla salma del padre, vengono trascinati attraverso l'aia nel vicino seccatoio, sono trucidati in presenza dei famigliari; Canavese Giuseppe di anni 35 coniugato con 4 figli (contadino), tornato al paese per vedere la famiglia , viene ucciso sul pianerottolo di casa; Bruno Giuseppe di anni 57 coniugato con 2 figli (contadino), dopo essere uscito dal fienile nel quale si era nascosto, viene sbeffeggiato e in seguito ucciso Roberi Benone di anni 52 (contadino), mentre tenta di trarre in salvo il bue, viene ucciso e il suo cadavere viene rinvenuto bruciato e irriconoscibile; Civalleri Paolo di anni 68 (padre del parroco), viene ucciso nel suo letto e in seguito bruciato, lasciando di lui solo pochi resti; Francesia Carlo di anni 41 (invalido), menomato di un braccio, pensa di essere risparmiato per la sua condizione, viene ucciso spietatamente.
Redazione, in memoria degli "Altri" dal 25 al 27-07-1944 Pievetta, VB Studio Fossano
Fonte: VB Studio Fossano cit. supra |
I primi scontri a fuoco furono sul Colle San Bernardo a Garessio con i partigiani costretti a ripiegare. Con l’ingresso in città ci furono i primi morti (Piantino Dionigi freddato da un cecchino tedesco appostato sul Castello del Borgo, la tabacchina Aurelia Salvatico uccisa senza motivo davanti alla Lepetit e il cantoniere del Colle San Bernardo Luigi Giuseppe Correndo accusato di essere un partigiano).
Iniziarono così giorni di orrore anche a Nucetto, Bagnasco e Priola, che culminarono nell’eccidio di Pievetta del 25 luglio con la frazione incendiata e ben 17 vittime civili. I numeri sono impietosi: 30 fucilati, 430 ostaggi catturati, 122 partiti per la Germania di cui 54 fortunosamente riescono a fuggire durante il lungo viaggio. Saranno 68 i deportati nei campi di lavoro tedeschi, la grande maggioranza in quello di Kahla in Turingia nel complesso denominato Reimahg e di questi morirono in 17.
In due giorni (27-28 luglio) gli ex alleati cercarono in ogni casa di Garessio tutti gli uomini, ottenendo scarsi risultati; uno dei fuggitivi, il partigiano garibaldino Oreste Petacchi morì colpito da un cecchino vicino al fiume Tanaro.
L’ordine dato era perentorio: portare tutti nel salone dell’Albergo Miramonti, sede del comando tedesco ed ora rudere dopo un violento incendio. Così alle 7 del mattino del 28 luglio, due ufficiali della Gestapo entrarono nella Lepetit, storica fabbrica chimica di Garessio - il cui proprietario Roberto Lepetit era accusato di aiutare la Resistenza - dove iniziarono dei lunghi interrogatori. I dipendenti furono chiusi nel magazzino e solo gli ultracinquantenni furono liberati.
Cinque i condannati alla fucilazione, indicati come partigiani, nel cortile del Miramonti: Stefano Gazzano, Anselmo Battaglia, Domenico Salvatico, Giacomo Odello e il fortunato Giuseppe Campero che si salvò miracolosamente sotto la pioggia. Il mattino successivo, il 29 luglio, la partenza in treno verso la Germania: ai 44 garessini si unirono i 30 rastrellati delle frazioni di Piangranone e Mursecco e della vicina Priola, una quarantina di persone a Bagnasco e 12 di Nucetto.
Molti riuscirono a scappare dal treno e nei modi più diversi, a Savona furono costretti a firmare un foglio in bianco di lavoro, poi subirono il carcere di San Vittore a Milano, dove la signora Hilde Lepetit, moglie di Roberto, morto a Mauthausen nel maggio 1945, portò loro un prezioso pacco di indumenti e viveri che li aiutò durante l’internamento.
Al Brennero erano rimasti in 68, una decina di loro fu spedita nel bacino del Reno, gli altri a Kahla. Abbiamo raccolto le loro testimonianze dai libri di Renzo Amedeo, storico e partigiano, ex sindaco di Garessio, che aveva intervistato molti dei sopravvissuti e per il Giorno della Memoria 2020 sentito alcuni figli di deportati, come Giuseppe Canavero, Giovanni Chiotti e Elvio Marchetto. Nei loro ricordi quei tristi momenti in cui avevano detto addio ai loro padri e l’infinita gioia nel vederli tornare, magri, feriti nell’animo e malati, ma vivi.
I loro racconti erano terribili: turni di lavoro massacranti, la solidarietà tra compagni e tanta sofferenza. Freddo, fame, pidocchi ed anche una misteriosa malattia dopo un lauto pranzo. I lavoretti nelle famiglie tedesche nei paesini vicini al campo e qualche piccolo segnale di amicizia. Il 16 aprile la liberazione da parte degli Americani ed inizia un lento e difficile ritorno a casa durato anche mesi (alcuni addirittura a luglio o agosto). Molti di loro morirono di malattia in Germania o anche al ritorno in patria.
Diciassette i deportati del Reimahg scomparsi. I sei garessini: Adelmo Anfosso, lasciato nel campo di Kahla in stato di deperimento a soli 17 anni il 18 luglio morì nell’ospedale di Hummelshain; Luigi Cadenasso caduto da un’impalcatura non molto alta a 43 anni; Alfredo Giacomo Cristoforetti suo coetaneo deceduto a fine dicembre 1944 nell’infermeria dov’era ricoverato in gravissime condizioni; Germano Severino Fazio leva 1900 caduto sul lavoro ucciso dai suoi aguzzini a inizio dicembre; Antonio Reggio, 1901, trovato morto al mattino del 10 febbraio nella sua branda sfinito dalla sofferenza; e il cameriere Giovanni Rossella scomparso a 31 anni per via di un’infezione al piede nell’agosto ’45 nell’ospedale di Steintal.
Con loro due abitanti di Casario, frazione di Priola: Giulio Stellardo 42 anni e Angelo Alessandro Rosso, 43 anni morto al ritorno in Italia per via dei maltrattamenti subiti. Altri tre, nati a Garessio e rastrellati a Bagnasco, morirono a Kahla nei primi mesi del 1945: Giovanni Battista Giacomo Borgna 34 anni, Domenico Bozzolo di soli 19 anni e Giovanni Corrado 36 anni.
Della Valle Tanaro anche Luigi Ingaria, nativo di Massimino, 39 anni; i bagnaschesi Carlo Boffredo, classe 1900, morto nell’ospedale di Wilmer a fine aprile, ed Edmondo Mazza 44 anni caduto a maggio; nello stesso mese scomparve anche Carlo Parino di Nucetto, ugual sorte per Giuseppe Aschieri 40 anni e per il 19enne Giovanni Mattei.
Redazione, Garessio, Walpersberg Memorial
Elenco delle vittime decedute
1. Salvatico Aurelia. Nata Garessio (CN) 25/02/1898, residente Garessio, casalinga, uccisa Garessio 25/07/1944;.
2. Piantino Dionigi, nato Chiusa Pesio (CN) 05/07/1915, residente Garessio (CN), muratore, ucciso Garessio 25/07/1944, VI Divisione Autonoma, 13ª brigata “Val Tanaro”;
3. Correndo Luigi, nato Fossano (CN) 11/08/1897, residente Garessio (CN), cantoniere, ucciso Garessio 26/07/1944, VI Divisione Autonoma, 13ª brigata “Valle Tanaro”;
4. Battaglia Anselmo, nato Garessio (CN) 09/08/1909, residente Garessio, chimico, fucilato Garessio 28/07/1944, IV Divisione Autonoma, 13ª brigata “Valle Tanaro”;
5. Gazzano Ilario, di Celestino. Nato a Garessio (CN/I) il 11/03/1927. Ucciso il 28 luglio 1944.
6. Odello Giacomo, nato Garessio (CN) 15/01/1888, residente Garessio, macellaio, fucilato Garessio 28/07/1944, IV Divisione Autonoma, 13ª brigata “Valle Tanaro”;
7. Petacchi Oreste, nato Massa Carrara (MS) 23/09/1916, residente Garessio (CN), manovale, ucciso Garessio 28/07/1944, II Divisione Garibaldi Cascione, 1ª brigata “Belgrano”; partigiano
8. Salvatico Domenico, nato Garessio (CN) 23/03/1907, residente Garessio, operaio, fucilato Garessio 28/07/1944, IV Divisione Autonoma, 13ª brigata “Valle Tanaro”
Un esame più dettagliato del materiale processuale «provvisoriamente archiviato» dalla Procura generale militare può essere condotto attraverso lo studio a campione di quattro fascicoli rappresentativi della gran massa della documentazione occultata, relativi ad aree geografiche eterogenee e a fasi differenti della campagna militare: gli incartamenti intestati rispettivamente al maggiore Alfred Grundmann (fascicolo numero 1191 del ruolo generale), al capitano Richard Henning (n. 192), al tenente colonnello Karl Ortlieb (n. 657) e al sottufficiale Fritz Wunderle (n. 1954).
L’ultima settimana del luglio 1944 due reparti della divisione Brandenburg effettuarono una manovra a tenaglia nell’alta valle Tanaro, in provincia di Cuneo, per distruggere le formazioni partigiane autonome e garibaldine che minacciavano la sicurezza della strada statale n. 28. Secondo i piani concepiti dalla Geheime Feldpolizei 751 di stanza a Savona, la 13a compagnia Panzerjàger al comando del capitano Josef Tochtrop sarebbe scesa su Garessio dal Colle San Bernardo, mentre la 6' compagnia, guidata dal capitano Richard Henning, avrebbe investito la cittadina dalla parte meridionale della vallata.’ Il 25 luglio 1944 questo secondo reparto, proveniente da Ceva, travolse le linee partigiane nei pressi della frazione Pievetta (comune di Priola), rastrellò casa per casa l’abitato e si macchiò di violenze efferate:
Uccisione di un vecchio di 80 anni da parte di un soldato tedesco.
Uccisione di un uomo di 61 anni e ferimento di un altro di 50 anni da parte di un ufficiale.
Ferimento di un uomo di 65 anni.
Uccisione di 9 uomini tra i 28 e i 65.
Uccisione di altri 2 uomini, uno di 45 e l’altro di 41, mentre si trovavano presso la salma del padre, poco prima ucciso dai tedeschi.
Uccisione e distruzione del cadavere di un uomo di 52 anni, sorpreso dai tedeschi mentre cercava di mettere in salvo le sue bestie.
Uccisione di un uomo di 36 anni, in presenza della moglie, mentre cercava di accompagnarla in un luogo sicuro.
Uccisione di un uomo di anni 57.
Uccisione di un uomo di anni 41, per giunta mutilato a un braccio.
Uccisione di un uomo di anni 46, trasportato in Bagnasco e poscia impiccato al balcone soprastante la porta d’ingresso alla farmacia di quel comune.
Inoltre due donne vennero violentate.
Le 19 uccisioni si accompagnarono a distruzioni e a ruberie di ogni genere, il paese fu dato alle fiamme (bruciarono 55 case su 80) e ai civili fu intimato di non spegnere l’incendio, a meno di incorrere nella più dura repressione.
I tedeschi mediante fosforo ed altre sostanze infiammabili incendiarono l’abitato, dopo averlo suddiviso in tre zone e vietarono ogni tentativo di spegnimento del fuoco.
Furono così distrutte moltissime case, tra cui quella parrocchiale, ed altre furono gravemente danneggiate, nonché mobili e masserizie. Infine i tedeschi saccheggiarono le abitazioni, rimaste incustodite, asportandovi tutti gli oggetti di maggior valore ed anche vini e liquori, con i quali si ubriacarono. Considerando tutto il paese preda di guerra, i tedeschi s’impossessarono anche di macchinario, di viveri e di capi di bestiame.
Ai rastrellamenti seguì una massiccia deportazione di forza-lavoro in Germania: circa quattrocento civili dell’alta valle Tanaro furono catturati e inviati nel Reich.
Il 10 maggio 1945 il comune di Priola e l’ANPI di Cuneo denunziarono al ministero della Guerra l’incendio e il massacro di Pievetta, «onde giustizia sia resa a questa popolazione». Le prime testimonianze furono raccolte dalla Commissione alleata d’indagine. L’incartamento predisposto nel 1945-46 per la Commissione delle Nazioni Unite per i delitti di guerra rimarcò la responsabilità di Henning, «tanto più che egli, quale comandante della colonna, dette ai suoi dipendenti l’ordine di essere "spietati" nei riguardi della popolazione civile della borgata Pievetta». Le imputazioni a carico del capitano concernevano la violazione degli articoli 185, 187 e 187 del Codice penale militare di guerra: violenza con omicidio contro privati nemici, saccheggio, incendio, distruzioni e gravi danneggiamenti; il caso ricadeva nella disciplina prevista dall’articolo 6 dello statuto del Tribunale militare internazionale sui crimini di guerra. [...]
Redazione, Le Stragi nascoste - Cuneo, Resistenza, 27 ottobre 2017