mercoledì 5 agosto 2020

Il rastrellamento nazifascista di Besta

Diano San Pietro (IM): Monumento ai Caduti in Guerra - Fonte: Mapio.net

Nella mattinata del 5 febbraio 1945 nella zona di Diano San Pietro (IM) si svolse un rastrellamento nazifascista ai danni della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante". Le forze nemiche erano divise in 3 colonne "una partita da Pairola, via Colletto, un'altra proveniente da Diano Castello, via Diano San Pietro, che puntavano sulla frazione Besta [località nel territorio del comune di Diano San Pietro (IM)] sede della I^ squadra, mentre una terza proveniente da Chiusavecchia cercava di chiudere la via verso l'interno", come recita un documento garibaldino.
La squadra del Distaccamento "Francesco Agnese" riuscì a sganciarsi quasi al completo, tranne 5 uomini che cercarono di nascondersi in rifugi già predisposti... secondo quanto sostiene il professor F. Biga... Franco Raspin Piacentini [nato ad Alessandria il 21 novembre 1923] si suicidava per non cadere in mano ai nemici...
Due giorni dopo si seppe che i nemici durante il  rastrellamento di Diano San Pietro avevano ucciso 2 civili sessantenni, perché trovati al lavoro.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
5 febbraio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Francesco Agnese" della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" al comando  della I^ Brigata - Segnalava un rastrellamento avvenuto nella zona di insediamento del Distaccamento stesso, un rastrellamento durante il quale un garibaldino era rimasto arso vivo e 4 partigiani erano stato fatti prigionieri.
5 febbraio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Francesco Agnese" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Completava il precedente rapporto aggiungendo che i garibaldini prigionieri erano stati portati verso Chiusavecchia e che tra i fascisti che li avevano catturati erano stati riconosciuti il capitano Borro, il guardacaccia Musso ed Emanuele il ciclista, tra i tedeschi il capitano Winter.
da documenti Isrecim in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II

Franco Raspin/Raspen Piacentini - Fonte: ANPI Savona
 
Pare che a seguito all'abbaiare insistente di un cane, sia individuato il posto in cui è nascosto Piacentini il quale, dalla testimonianza dei compagni nascosti nell'altro rifugio, anziché arrendersi, spara un colpo di rivoltella contro un brigatista nero della compagnia del capitano Ferraris, ferendolo ad una mano. Dopo aver gettato nel rifugio qualche bomba a mano, i fascisti estraggono il corpo di Raspin e lo bruciano. I quattro compagni di Piacentini (Emilio <Zari o Stendal, di Milano> Zari, Luigi <Luis di Andora (SV)> Vaghi, Giorgio Parmeggiani <Joe di Bologna; sulla lapide a Chiusavecchia (IM) Parmiggiani>, Antonio <Villa> Gioffrè) sono portati a Chiusavecchia e trucidati. Nel testo Diano e Cervo nella Resistenza, l'autore, Francesco Biga, scrive che Piacentini, rifiutandosi di darsi prigioniero, si toglie la vita nel rifugio con un colpo di pistola. Piacentini Franco è decorato alla memoria con medaglia d’argento al valor militare. A Franco Piacentini è intitolato un Distaccamento della Brigata "Silvano Belgrano" - Divisione d’assalto Garibaldi "Silvio Bonfante". 
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011
 
Il giorno 3 di febbraio 1945 tre colonne di nazifascisti effettuano un grande rastrellamento a Diano San Pietro (zona di Besta): si scontrano con un gruppo di garibaldini del distaccamento “F. Agnese” e sorprendono cinque garibaldini in un rifugio antirasteallamento. Mentre Franco Piacentini (Raspin), rifiutandosi di darsi prigioniero, si toglie la vita nel rifugio con un colpo di pistola, dove i tedeschi ne bruciano il corpo, gli altri quattro, Zari E., Vaghi L., Parmeggiani G. e Gioffrè A., condotti prigionieri a Chiusavecchia, saranno fucilati il giorno dopo.
Notizie tratte da Francesco Biga, Vol. IV della “Storia della Resistenza imperiese”, pagg. 131,132,133 e da Francesco Biga,, “Dalle valli al mare. Diano e Cervo nella Resistenza”, pagg. 207,208,209,210
Sabina Giribaldi, Episodio di Chiusavecchia, 03-04.02.1945Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia
 
Giorgio Parmeggiani - Fonte
 
Parmeggiani Giorgio, «Joe», da Primo ed Ermelinda Bracci; n. il 28/3/1924 a Bologna; ivi residente nel 1943.
Licenza elementare. Ferroviere. Prestò servizio militare in marina sino all'8/9/43.
Catturato dai tedeschi dopo l'armistizio, venne deportato in Germania.
Arruolatosi in un reparto della RSI, disertò appena rientrato in Italia e militò nella 1ª brg Garibaldi Liguria della 6ª div Bonfante.
Catturato durante un combattimento a Chiusavecchia (IM), fu costretto ad assistere all'esecuzione sommaria di un compagno di lotta. Dopo essere stato a lungo torturato, venne fucilato il 4/2/1945 a Diano S. Pietro (IM).
Riconosciuto partigiano dal 14/9/44 al 4/2/45.
Gli è stata conferita la medaglia di bronzo alla memoria con la seguente motivazione: «Rientrato dalla Germania dove era stato deportato, si univa alle locali formazioni partigiane dimostrando in ogni occasione sprezzo del pericolo, ardimento e spirito combattivo. Catturato in rastrellamento, tradotto incatenato in un centro abitato della zona, costretto ad assistere all'esecuzione sommaria di altro partigiano, sottoposto ad atroci sevizie durante interminabili estenuanti interrogatori, non svelava nulla che potesse danneggiare il movimento della resistenza ed affrontava serenamente il supremo sacrificio per il bene della Patria.». Diano S. Pietro, Chiusavecchia (Imperia), 2-4 febbraio 1945.
(a cura di) Alessandro Albertazzi, Luigi Arbizzani, Nazario Sauro Onofri, Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel Bolognese (1919-1945), Vol. IV, Dizionario biografico M - Q, Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea nella provincia di Bologna "Luciano Bergonzini", Istituto per la Storia di Bologna, Comune di Bologna, Regione Emilia Romagna, 1985-2003 
 
Era il 5 febbraio 1945. Al sorgere dell'alba ci incamminammo verso Diano San Pietro. Eravamo giunti quasi nel paese quando sentimmo raffiche di mitra. Ci attirò l'attenzione una colonna di soldati tedeschi che, scendendo da Diano Castello, veniva verso di noi. Ci portammo rapidamente al passo della Erbarea, che portava verso Pairola, e ci appostammo in quel punto in quanto potevamo vedere nelle due vallate di Diano e di Cervo (Valle Steria) l'avvicinarsi di soldati nemici. Sentimmo diverse sparatorie proveniente dai luoghi ove erano ubicati i nostri rifugi nella zona di Besta e poi, silenzio totale. Preoccupati per i nostri compagni nascosti nei rifugi, ci avviammo in quella direzione. Quando giungemmo quasi sul luogo, avvertii un acre odore di carne bruciata; lo feci notare ai miei compagni di viaggio dicendo loro che, probabilmente, i tedeschi avevano bruciato qualcuno dei nostri compagni. Al che Germano e Mancen mi risposero: "Sandro, sei sempre lo stesso, vedi pericoli in ogni luogo,adesso senti anche odore di carne bruciata, piantala di fare in ogni occasione il pessimista". Dopo qualche decina di metri l'odore si fece più forte ed anche i miei compagni convenirono che qualche cosa era successo. Quando in un piccolo spiazzo, distante da noi una cinquantina di metri, notammo delle fiammelle, ci dirigemmo in quella direzione. Giunti sul posto, trovammo un corpo umano quasi completamente carbonizzato e notammo delle fiammelle ancora sopra una spalla e sopra un piede.
Attraverso alcuni brandelli di indumenti non bruciati identificammo il corpo del povero Franco Piacentini Raspen. Poi venimmo a sapere che gli altri quattro compagni (Emilio Zari, Luigi Vaghi, Giorgio Parmeggiani, Antonio Giuffrè) si erano arresi. Invece l'altro rifugio che si trovava nei pressi non venne individuato e gli occupanti (tra cui Peccenen e tre soldati russi), salvatisi, ci raccontarono che i nostri compagni erano stati quasi massacrati di botte [...] che Raspen si era rifiutato di arrendersi sparando dal rifugio un colpo di rivoltella contro il brigatista nero della compagnia Ferraris (tra le bande fasciste, la più sanguinaria), probabilmente ferendolo ad una mano. Allora i nemici avevano gettato nel rifugio qualche bomba a mano; non sentendo più alcun rumore, da sopra il rifugio avevano scavato, finchè non erano riusciti ad estrarre il corpo del povero compagno che, collocato sopra un mucchio di fascine, era stato bruciato, dando fuoco ad un liquido infiammabile.
Per il momento non ci rimase altro da fare che dare pietosa sepoltura nel cimitero di Diano San Pietro ai poveri resti (dopo la Liberazione, io, Germano e Frattini, li portammo ad Alessandria, sua città natale). I quattro che si arresero furono portati a Chiusavecchia, torturati per una notte intera e, all'alba del giorno dopo, fucilati.

La lapide rammentata da Sandro Badellino, op. cit. infra. Fonte: pietre della memoria
 
Una lapide, ivi collocata, con i nomi dei quattro e di altri partigiani uccisi nel medesimo luogo, ricorda il loro martirio.
Sovente ripenso che, se il comandante Giuseppe Saguato ("Pippo") [n.d.r.: anche Buffalo Bill o Bill, comandante del Distaccamento "Francesco Agnese" della I^ Brigata] non mi avesse portato con sé nella casa della Tassi in località Sant'Anna, sarei rimasto nel rifugio dove era Raspen. Sulla lapide di Chiusavecchia indubbiamente oggi ci sarebbe anche il mio nome.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998
 

lunedì 3 agosto 2020

La vera azione partigiana s'iniziò dopo il fatale 8 settembre 1943

La prima pagina del qui citato manoscritto di Giuseppe Porcheddu

Nei giorni seguenti l'armistizio si ebbe, come in altre parti d'Italia, un afflusso di persone verso la montagna... la grande maggioranza cercava scampo nella fuga soltanto per sottrarsi all'immediata azione tedesca...
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Il 10 settembre 1943, dopo una prima riunione di quadri comunisti, seguita da una seconda, alla quale oltre ai comunisti parteciparono uomini politici delle altre correnti antifasciste, venne formato un triangolo militare, composto da Nino Siccardi, Felice Cascione e Carlo Aliprandi [Lungo, in seguito commissario della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati"], con l'incarico di inviare altri uomini in montagna, aiutare con viveri, armi e munizioni quelli che già vi si trovavano, ed organizzare militarmente anche gli uomini della città... Così prima dell'arrivo dei tedeschi furono recuperate cinque mitragliatrici, oltre cento fucili... Verso la fine di settembre 1943 Gian Carlo Pajetta giunse ad Imperia, inviato dal Centro di Genova per prendere contatto con l'organizzazione comunista locale. Scopo della riunione era quello di lanciare tutta l'organizzazione comunista nella lotta di liberazione, trattandosi, tra l'altro, di una rete politicamente già ben ramificata nella Provincia.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016 

Dopo l'8 settembre alcuni ufficiali si erano fermati a Triora, ma al primo bando emanato dai tedeschi per la presentazione degli ex appartenenti all'esercito si ripararono in Goina, alle spalle di Triora. Lì si radunarono intorno al maggiore Zoli Aldo, già ufficiale GAF, che spontaneamente fu riconosciuto il superiore, anche perché già facente parte del CLN di Sanremo. Però prima di Natale il maggiore Zoli si trasferiva a Sanremo ed incaricava gli ufficiali ed i sottufficiali rimasti di raccogliere armi e nasconderle e convincere gli ex militari di non presentarsi ai tedeschi. "Provvide qualche volta a mandare aiuti", dice Fragola Doria [Armando Izzo]. "Durante l'inverno scesi parecchie volte a Sanremo per incontrarmi con il maggiore, sia per conoscere le decisioni del Comitato di Liberazione, sia per ricevere aiuti. Però il Comitato si ispirò al principio che la lotta armata dovesse iniziarsi con la buona stagione e che frattanto bisognava prepararsi sia materialmente, continuando a raccogliere armi, sia moralmente, incitando le popolazioni a resistere ai nazifascisti".
Fu nell'autunno dell'anno 1943 che si accendeva una scintilla di rivolta a Loreto di Triora ...
Un sergente maggiore dei reparti GAF [Guardia alla Frontiera], Tento [Pietro Tento], si era fermato a Loreto. Era con lui la moglie, una maestra, ed un figlio in tenera età. Forse Vitò ["Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo] ritrovò la certezza di una organizzazione per l'incoraggiamento del sergente maggiore. Con lui studiò le varie occasioni e le possibilità. Radunò alcuni giovani, altri li avvicinò singolarmente...
Guido di Cetta, Guido Arnaldi... Diveniva il segretario, l'ombra di Vitò. Il fedele esecutore di ordini, il collaboratore entusiasta. Attorno a lui Vitò raduna molti giovani.
Fu il primo nucleo di quell'esercito che si distinse e meritò il ricordo perenne per le sue azioni.
Furono i giovani dell'Alta Valle Argentina i primi ad aderire al movimento. Provenivano da Cetta, da Loreto, da Bregalla, da Creppo. 

don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975 

Nell'alta zona di frontiera, sotto il gran cuneo che forma il territorio francese proiettandosi in quello italiano oltre il Roia, si raccolsero già nel settembre 1943 reparti di soldati italiani, che, poi, con l'avanzare dell'autunno si andarono progressivamente assottigliando e giovani delle stesse montagne, infiammati di avventura e anelanti alla libertà, che costituirono piccole bande o squadre: gente rotta alle fatiche ed ai disagi della montagna, armata di fucili e di qualche mitragliatore sottratto ai depositi militari, aiutata, spesse volte, da ufficiali e sottufficiali dell'esercito in sfacelo. Vittò (Ivano - Vittorio Guglielmo) fu uno degli animatori di questi primi gruppi di resistenza. Più a sud in prossimità della costa nella zona Sanremo-Ospedaletti-Bordighera, Renato Brunati [Renato Brunati, arrestato il 6 gennaio 1944, deportato a Genova e fucilato dalle SS il 19 maggio 1944 sul Turchino] organizzava, con l'attivo appoggio del dottor Pigati operante a Sanremo, nella villa di Baiardo della signora Meiffret, squadre armate, composte prima di ex militari, che presto si sbandavano per mancanza di coesione ed in seguito di giovani affluiti dalle città e arruolati sul posto... Leo (Stefano Carabalona) e poi Veloce (Ermanno Martini), Artù (Arturo Secondo), Gino Napolitano (Gino) e numerosi altri ardimentosi raccoglievano un po' ovunque minuscole squadre...
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. Alis, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Nella Val Nervia alcuni ufficiali cercarono rifugio e sicurezza a Rocchetta Nervina (IM), dove il tenente Stefano Carabalona, residente in loco, cercava di organizzare gli sbandati e di procurare il maggior numero di armi possibili. Purtroppo i soldati buttavano i loro fucili nei luoghi i più disparati e fu un lavoro faticoso cercare di recuperarli…
don Ermando Micheletto, Op. cit.

Poco dopo l'8 settembre 1943 agivano nel circondario di Imperia tre bande di patrioti: quella con Felice Cascione, che accoglieva i primi civili e militari sbandati già la sera del 10 settembre 1943; quella, formata soprattutto da giovani intellettuali, con i fratelli Serra, Nicola ed Enrico,  entrambi medaglie di bronzo al valor militare alla memoria, saliti in montagna con il chiaro incarico di organizzare i giovani alla macchia, nei pressi del Monte Faudo; quella nei pressi di Borgo d'Oneglia, Frazione di Imperia, conosciuta come gruppo dei politici, in cui militavano tra gli altri Guerrino, Luigi e Vincenzo Peruzzi, fratelli di Armando caduto in difesa della  repubblica in Spagna, Aldo Nino Risso, Walter Berio.
Rocco Fava, Op. cit.  
 
I fratelli Enrico (nato il 24 maggio 1921) e Nicola (nato il 2 luglio 1918) Serra furono arrestati il 3 dicembre 1943 dalla milizia fascista (Guardia Nazionale Repubblicana) con l'accusa di aver rubato armi ai tedeschi e di essere dei "ribelli". L'11 febbraio 1944 i due fratelli furono consegnati alle SS per essere trasferiti nel carcere di Savona e poi nel carcere Marassi di Genova. L'11 marzo 1944 entrambi furono internati nel campo di transito di Fossoli (Modena) e deportati nel campo di concentramento di Mauthausen il 21 giugno 1944 come "prigionieri politici" con il trasporto n. 53. Enrico Serra morì il 2 febbraio 1945, a causa delle torture e dell'esaurimento fisico, nel campo di sterminio di Gusen. Nicola Serra fu trasferito da Mauthausen al campo satellitare di Redl-Zipf; sottoposto a lavori forzati e a condizioni di vita disumane, morì l'11 novembre 1944 per polmonite acuta.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]

Raimondo Ricci dopo l'armistizio si diede alla macchia, con un gruppo di marinai, sulle alture di Imperia. Arrestato con la sorella alla fine di dicembre del 1943 dall'Ufficio politico investigativo della GNR, Ricci venne trattenuto nella città ligure per due mesi, mentre la sorella veniva rilasciata dopo pochi giorni. Non parlò nonostante i pesanti interrogatori. Consegnato alla Gestapo, Ricci fu imprigionato a Savona e a Genova, poi recluso nel campo di concentramento di Fossoli, e infine deportato nel giugno 1944 a Mauthausen, dove fu liberato il 5 maggio 1945.
Patria Indipendente

Obiettivo precipuo degli esponenti antifascisti fu quello di tentare di coordinare, se possibile, gli sbandati, i giovani volontari e le piccole bande all'interno di una comune organizzazione...
E da un documento (Isrecim) della IV^ Brigata S.A.P. "Lorenzo Acquarone" di Porto Maurizio si evince che "la Brigata è stata costituita nei primi giorni del settembre 1944, aggregando piccoli gruppi che agivano già dal settembre 1943".
La banda Cascione, dislocata in Località Bestagni-Magaietto di Diano Castello (IM), estremo levante della provincia di Imperia, si trovò ad essere costituita da civili e militari provenienti soprattutto dalla zona di Imperia.
In Località Inimonti soprastante Pontedassio (IM) vi erano altri tre gruppi: uno, guidato da G.B. Titèn Trucco, era di orientamento comunista; un altro, formato da Eolo Castagno [nome di battaglia Garibaldi, in seguito capo servizio collegamento della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" e medaglia d'argento al valor militare per attività partigiana], Ivar Kimi Oddone [in seguito commissario politico della II^ Divisione "Felice Cascione"] ed altri; il terzo, con Carlo Venezia Carli ed altri. Il gruppo di Castagno era chiamato degli ufficiali, perché tali erano stati nel Regio Esercito Castagno, Enrico Enrico Gaiti [in seguito capo di una squadra; fucilato al Passo del  Turchino il 19 maggio 1944; medaglia di bronzo al valor militare per attività partigiana] e Bruno Bruno Amoretti [in seguito commissario di Distaccamento della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"].
In un secondo tempo la banda di G.B. Titèn Trucco, nella quale militava anche il fratello Carlo Trucco, Girasole, in seguito comandante di squadra della IV^ Brigata "Domenico Arnera" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", e quella di Eolo Castagno  si unirono per opera di Cascione.
Anche il gruppo di Carli, pur rimanendo autonomo, seguì Cascione.
Rocco Fava, Op. cit.

La vera azione partigiana s’iniziò dopo il fatale 8 settembre 1943, allorchè Brunati e la sig. Maiffret subito dopo l’occupazione tedesca organizzarono un primo nucleo di fedeli e racimolarono per le montagne, sulla frontiera franco-italiana e nei depositi, armi e materiali: armi e materiali che essi vennero via via accumulando a Bajardo in una proprietà della Maiffret, che servì poi sempre di quartier generale in altura, mentre alla costa il luogo di ritrovo e smistamento si stabiliva in casa mia ad Arziglia e proprio sulla via Aurelia. Nei giorni piovosi di settembre ed ottobre 1943 i trasporti d’armi e munizioni, furon particolarmente gravosi… Io fui nell’ottobre 1943 interessato dal dott. Ronga di Sanremo a formare in Bordighera il Comitato di liberazione e più tardi, per incarico del noto cap. Gino, iniziai i collegamenti col defunto gen. Pognisi [Comm. Gen. Emilio Pognisi, Commissario Prefettizio di Bordighera dal 31.8.1943 al 13.10.1943], con il rev. Don Pellorese ed il dott. Marchesi...  
Giuseppe Porcheddu, manoscritto (documento Isrecim) edito in Francesco Mocci (con il contributo di Dario Canavese di Ventimiglia), Il capitano Gino Punzi, alpino e partigiano, Alzani Editore, Pinerolo (TO), 2019

Un altro gruppo si era costituito a Boscomare, Frazione di Pietrabruna (IM), ma ebbe vita breve e si sciolse alla fine del 1943, come accadde per un altro gruppo di Civezza (IM), del quale facevano parte Carlo Leone dell'Azione Cattolica e Domenico Brusso.
Alcuni giovani, già facenti parte di gruppi disciolti verso la fine del 1943 rimasero in montagna ed aderirono ad altre bande, come, ad esempio, fece Giacomo Castello.
Rocco Fava, Op. cit. 

Giuseppe "Pippo" o "Camola" Daprelà, nato a Porto Maurizio il 23 maggio 1920, nel settembre del 1943 prestava servizio militare presso la Caserma Crespi ad Imperia. Dopo l'8 Settembre partecipava ad un fallito tentativo da parte di alcuni ufficiali di organizzare un battaglione del nuovo Esercito Italiano presso la caserma di Pieve di Teco. Tornato a casa a Porto Maurizio dove, già sposato, era padre di un bimbo di appena due mesi, vi restava poco perché costretto a darsi alla macchia con altri compagni nella zona del Monte Faudo. Portando con sé alcune armi della dotazione militare, formarono un embrione di banda partigiana[...]
Geromina "Mina" Garibaldi, nata a Diano Marina il 25 ottobre 1923 [cfr anche: Donatella Alfonso, Ci chiamavano libertà. Partigiane e resistenti in Liguria 1943-1945. La parola ridata alle donne, De Ferrari, Genova 2013]. Patriota, di famiglia antifascista, fin dal 1935 si era formata con i principi democratici e antifascisti grazie all'opera educativa di una insegnante ebrea, la Prof.ssa Giobia Sanjacopo. Partecipava nel luglio del 1943 alle manifestazioni antifasciste e l'8 settembre al tentativo di far fuggire dei carabinieri da un treno diretto in Germania. A partire dalla metà di ottobre, incominciava a coordinare sistematicamente un gruppo di ragazze che copertamente collaborò con la Resistenza dianese per tutto il periodo della guerra: furti di materiali e munizioni dai depositi tedeschi, organizzazione del trasporto dei medesimi verso i distaccamenti, produzione di documenti falsi per i partigiani, collegamenti fra il C.L.N. e le formazioni di montagna, produzione e diffusione di giornali e volantini clandestini  [...]
Attilio Leo Mela [..] dopo l'8 settembre, attraverso varie peripezie, raggiunse Sant'Agata, Frazione di Imperia, dove viveva la sua famiglia. Subito fu a capo della locale banda partigiana appena costituita dai giovani del paese. Il 14 dicembre 1943 partecipò con essa al primo vero scontro armato della Resistenza imperiese [...]
Giancristiano "Gian Burrasca" Pesavento,  nato ad Asiago il 20 agosto 1922. Di famiglia antifascista, aderiva dopo l'8 Settembre 43 al P.C.I. clandestino di Porto Maurizio dove viveva dal 1936. Fu subito attivo nella propaganda antifascista, attraverso l'affissione di manifesti e diffusione di volantini che avveniva durante gli allarmi aerei [...]
Rino "Rino" Poli, Ventimiglia nato a Ventimiglia il 29 agosto 1927. Patriota, di famiglia antifascista, nel luglio del 1943 studente di 16 anni, partecipava alle manifestazioni antifasciste per la caduta di Mussolini. Dopo l'8 Settembre era tra coloro che recuperarono le armi dalla caserma di Forte Annunziata abbandonata dall'esercito, che vennero distribuite ai primi partigiani [...]
Carlo "Girasole" Trucco, nato ad Imperia il 22 dicembre 1925. Di famiglia antifascista, fu militante del P.C.I. clandestino dal marzo 1943. Dopo il 25 Luglio partecipò a tutte le manifestazioni antifasciste che si svolsero a Oneglia  [...]
Francesco "Franco" Verda, nato a Pieve di Teco il 26 dicembre 1924.  Contadino, ricevette la cartolina di precetto per partire militare il 5.8.43. Convalescente nell'ospedale di Pieve, non si presentò e venne considerato disertore. Nascosto nella carbonaia dell'ospedale da una suora, sfuggì all'arresto da parte dei tedeschi e, appena rimessosi in salute, si rifugiò con altri giovani ai casoni di Tetti Parodo, sulle alture della zona. Da qui passò con altri a Viozene, dove c'era un gruppo di partigiani "badogliani", e poi in Val Pennavaira [...]    
Vittorio Detassis

A Cipressa (IM) si insediò un piccolo gruppo, di cui faceva parte, tra gli altri Giuseppe Garibaldi [Fra Diavolo/Garibaldi, alla fine della guerra comandante della IV^ Brigata "Domenico Arnera" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"]. Verso la fine di settembre del 1943 si formava nei pressi di Lucinasco (IM), in Località Cuccagna, un'altra banda, quella di Giacomo Ivan Sibilla [in seguito comandante del Distaccamento Inafferrabile, quindi, a fine 1944, comandante della II^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Nino Berio" della Divisione "Silvio Bonfante"].
Rocco Fava, Op. cit.

sabato 1 agosto 2020

Sui rastrellamenti nazifascisti di inizio 1944 in Val Casotto e nella zona di Nava


Lastra commemorativa dell’eccidio in data 14 gennaio 1944 di 11 partigiani ed un civile perpetrato in Pellone di Miroglio, Frazione di Frabosa Sottana (CN) - Fonte: Pietre della memoria
 
La cappella di San Marco al Pellone [...] Nella zona, vicinissima a Miroglio [Frazione di Frabosa Sottana, in provincia di Cuneo], sede delle milizie fasciste, operavano i partigiani, anche ospitati dalla famiglia Tassone, che viveva nella piccola borgata a pochi passi dalla cappella. Un giorno di fine gennaio 1944, forse per una delazione, un gruppo di fascisti della zona sorprese i partigiani intenti a mangiare davanti alla cappella: ne uccisero undici, lasciandoli quasi a galleggiare nel loro sangue. Il massacro continuò anche all’interno: dalla porta colavano rivoli di sangue. Nelle gavette, ancora il cibo consumato a metà. Gli abitanti dei dintorni poco dopo portarono tutti i morti nella cappella e poi don Beppe Bruno il “prete dei ribelli” provvide alle sepolture. Per quest’opera pietosa alcuni valligiani furono portati dai fascisti a Ceva e interrogati per giorni. 
Itinerari partigiani in valle Ellero, Viaggio nel Monte Regale  

Fonte: Viaggio nel Monte Regale

Fonte: Viaggio nel Monte Regale
 
I partigiani locali, allora al  comando di Enzo Marchesi (col. Musso)  catturano alcune autorità fasciste  il 20 dicembre  1943 in  valle  Corsaglia  (CN).  Il  26  dicembre  giunge  a  comandare  il  gruppo il  maggiore  Enrico  Martini “Mauri”. Il 13 gennaio 1944 i tedeschi, con un ultimatum, chiesero la restituzione di “Sarasino, il criminale capo dell’OVRA. In caso di mancata restituzione i tedeschi minacciavano rappresaglie per il giorno dopo”. Mauri disse che i tedeschi bluffavano e non volle provvedere ad una maggiore difesa. Verso mezzogiorno i tedeschi  attaccarono  in  forze  quasi  tuttii partigiani dell’avamposto del Pellone, con alcuni abitanti, caddero nelle loro mani e furono trucidati .
Italo Cordero, Ribelle: Esperienze di vita partigiana dalla Val Casotto alle Langhe, dalla Liguria alle colline torinesi, tipografia Fracchia, Mondovì, 1991, pp. 56-57

[ n.d.r.: Giorgio <Giorgio I, poi Cis> Alpron a dicembre 1943 fu presente ad Alto (CN), in quanto attivo nei collegamenti con Mauri e con il servizio Lanci dell'Organizzazione "Otto". Passò, poi, a militare  nelle formazioni garibaldine della I^ Zona Operativa Liguria nelle quali diventò in seguito capo di Stato maggiore della  I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio  Bonfante ]

 

I tedeschi avevano nel frattempo posto un loro importante quartiere generale nell'Albergo Miramonti di Garessio (CN).
Da questo centro i nazisti organizzarono un forte rastrellamento contro le bande badogliane di Val Casotto, nelle quali militava anche un noto attore, Folco Lulli *.
I nazisti furono, tuttavia, attaccati proprio nell'Albergo dai "ribelli", badogliani, ma non solo.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
* Folco Lulli, nato a Firenze il 3 luglio 1912, deceduto a Roma il 24 maggio 1970, attore cinematografico. Durante la guerra fascista in Etiopia, Lulli ebbe il comando di una banda di abissini, che affiancava le truppe regolari italiane. Dopo l'8 settembre 1943, trovandosi nel Cuneese, prese parte alla Resistenza con gli "Autonomi" di Enrico Martini Mauri, prima al comando di una "volante" in Val Maudagna, poi come capo di stato maggiore delle formazioni di Mauri in valle Casotto. Catturato dai tedeschi, Lulli fu deportato in Germania. Riuscì a fuggire e a riparare nell'allora Unione Sovietica. Tornato in Italia, divenne nel dopoguerra un noto attore cinematografico, rivelando la pienezza dei suoi mezzi espressivi in film quali "Vite vendute", "Il bandito", "Senza pietà", "Non c'è pace tra gli ulivi", "Fuga in Francia". Ha partecipato ad una trentina di film di vario genere.
ANPI Cuneo


Verso la fine del febbraio '44 (nei giorni dal 25 al 27) vi era stata la battaglia di Garessio, con l'attacco dei partigiani al Miramonti, albergo nel quale si erano asserragliati i i tedeschi. Questi, con lo scopo di compiere una vasta opera di rastrellamento specialmente contro i partigiani di Val Casotto, avevano occupato Garessio (25 febbraio), incominciando subito a commettere uccisioni e devastazioni, e avevano posta la loro sede nell'albergo Miramonti.  Attaccati dai partigiani di Mauri, convenuti da varie parti, la battaglia aveva assunto ampie proporzioni, svolgendosi contemporaneamente in diverse località. Infine i tedeschi, dopo aver compiuto numerosi massacri con la cooperazione di militi fascisti del battaglione San Marco, avevano lasciato il paese (27 febbraio); ma vi erano stati strascichi dolorosi anche nei giorni seguenti. Durante questi fatti il 26 febbraio '44 era stato ripetutamente ferito in combattimento e dai militi fascisti catturato, torturato e ucciso Sergio Sabatini.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Fonte: Pietre della memoria
 
Nella battaglia di Garessio (CN) [il 26 febbraio 1944] venne ucciso il partigiano Sergio Sabatini di Imperia.
Rocco Fava, Op. cit.

Nella squadra di Martinengo [Eraldo Hanau] a tenere una posizione importante sopra il paese c'era anche lo studente onegliese Sergio Sabatini. I suoi compagni sapevano che sparava bene alla mitraglia: allora gliela diedero in consegna con tutto l'occorrente per la postazione; ma più tardi i tedeschi lo catturarono ferito, perché si era fidato troppo andando allo scoperto quando partì volontario per portare un ordine urgente ai mortaisti. Anche i nazifascisti capirono che era un ragazzo in gamba molto deciso, che non dava segno di dolore manco quando provarono a picchiarlo per farlo parlare. Cosicché prima di ricominciare cercarono di convincerlo con le buone; ma lui continuava a dire di no, che lì c'era per conto suo e basta; poi lo torturarono con accanimento avendo perso la pazienza, per fargli dire del comando e dei comandanti.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 23-24

Sergio Sabatini organizzò a Mendatica (IM) un gruppo di giovani antifascisti del luogo, poi passò nel Cuneese, dove entrò a far parte di una banda armata operante nei dintorni di Garessio. Ferito due volte durante l'attacco ad un presidio germanico e rimasto senza munizioni, Sergio Sabatini si offrì volontario per portare ordini ad un altro gruppo di partigiani operante nella zona. Nell'attraversare un tratto scoperto e battuto dal fuoco nemico, il ragazzo fu colpito una terza volta. Non desistette, e fu ferito ancora dai tedeschi che lo catturarono e che, dopo averlo seviziato, lo condannarono a morte.  Medaglia d'oro al valor militare con la seguente motivazione: "Giovane partigiano di eccezionale coraggio, rinunciava alla licenza per partecipare con i propri compagni ad un’azione di particolare importanza contro un presidio tedesco. Ferito due volte durante l’epica lotta e costretto dietro ordine del comando a ritirarsi per esaurimento delle munizioni, si offriva volontario per portare ordini ad un reparto impegnato su altro tratto di fronte. Ferito una terza volta nell’attraversare una zona scoperta e battuta tentava ancora con le ultime forze di assolvere il suo compito, finché, colpito una quarta volta al petto, cadeva nelle mani del nemico, che dopo avere tentato invano di estorcergli notizie sull’organizzazione partigiana, lo seviziava barbaramente. Condotto a morte, l’affrontava con sprezzo gridando al nemico: «Mio padre mi ha insegnato a vivere, io vi insegno a morire». Fulgido esempio di valore e di fermezza. Garessio, 25-26 febbraio 1944"
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020

Ruderi di un casone utilizzato dai partigiani in Val Casotto. Foto: Claudio Galli

Ruderi di un casone utilizzato dai partigiani in Val Casotto. Foto: Claudio Galli
 
Fonte: Giampaolo De Luca, Op. cit. infra
 

Ruderi di un casone utilizzato dai partigiani in Val Casotto. Foto: Claudio Galli

Giorgio Carrara, nato a Garessio il marzo 1925, allievo meccanico. Partigiano del distaccamento del Colle di Casotto, il 27 febbraio 1944 scende in Garessio accompagnato da un partigiano del luogo con l’intento di recuperare armi abbandonate ed assumere notizie sulle intenzioni dei nazifascisti. Compiuto il recupero, i partigiani si avvicinano al piazzale dell’albergo Miramonti, (sede del comando tedesco), fanno fuoco sui tedeschi, quindi risalgono la "costa della battagliera" verso regione Campi. I tedeschi allertati li inseguono: Carrara è colpito all’addome da una raffica, mentre il suo compagno riesce a fuggire. Catturato da due soldati, è condotto prima al comando del Miramonti, poi verso la strada di Valsorda sino all’incrocio con quella delle Fonti. In tale località gli sparano in fronte con il mitra. Mostrando il tricolore che gli orna il risvolto della giacca, pronuncia le sue ultime parole: "Viva l’Italia!".
È insignito di Croce di guerra alla memoria: "Partigiano ardito e coraggioso, già ripetutamente distintosi in precedenti circostanze, durante un aspro combattimento per la conquista di un importante centro abitato, trovava morte gloriosa alla testa dei suoi compagni". Garessio 1° febbraio - 26 febbraio 1944
A Giorgio Carrara venne intitolato un distaccamento della Brigata "Domenico Arnera" della Divisione d’assalto Garibaldi "Silvio Bonfante".
Redazione, Arrivano i Partigiani. Inserto 2. "Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I Resistenti, ANPI Savona, numero speciale, 2011  

La primavera del 1944 portò con sé anche una nuova consapevolezza da parte nemica: la ribellione andava stroncata sul nascere con un’offensiva a vasto raggio, caratterizzata dal contemporaneo sfondamento frontale e dall’aggiramento sulle ali, al fine di non lasciare scampo all’avversario. Al 7 marzo l’operazione investì le valli di Lanzo, al 13 si spostò in Val Casotto, successivamente in Val Varaita. Nella Val Casotto, dove era stata adottata la tattica della difesa rigida frontale, i volontari subirono un rovescio senza precedenti, perdendo i due terzi degli uomini, e solo una esigua schiera di superstiti al comando del capitano Enrico Martini Mauri riuscì a rompere l’accerchiamento e a riparare nelle Langhe. In Val Varaita e in Val di Lanzo le perdite furono minori, ma le bande uscirono dagli scontri disarticolate e scosse.
Lodovico Como, Dall'Italia all'Europa. Biografia politica di Edoardo Martino (1910-1999), Tesi di Dottorato, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Anno Accademico 2009-2010

Dei quasi mille uomini che “Mauri” aveva in val Casotto e in val Tanaro, solo un centinaio ne rimangono ai primi di aprile del 1944. <392 Il numero di patrioti, che andrà a ingrossare le file maurine, sarà diverso per provenienza e per cultura militare dagli uomini che il maggiore aveva a disposizione durante il primo inverno. La maggior parte dei «coadiutori [di “Mauri”] ha lasciato la vita sul campo o dinnanzi al plotone di esecuzione tedesco». <393
[NOTE]
392 “Relazione sui fatti d’arme dal 13 al 17 marzo nelle valli Casotto, Mongia e Tanaro”, Langhe, 9.4.44 - in Luciano Boccalatte (a cura di), Il primo gruppo di divisioni alpine in Piemonte, in Gianni Perona (a cura di), Formazioni autonome nella Resistenza. Documenti, FrancoAngeli, Milano 1996, p. 342
393 Ibidem

Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013

Sono passati molti anni dallo scontro tra partigiani e truppe tedesche che mise a ferro e fuoco l’intera vallata, eppure il numeroso pubblico accorso sabato 16 marzo nella sala comunale di Pamparato testimonia quanto sia viva la volontà di ricordare la storia di allora e i suoi protagonisti. In luoghi oggi così lontani dal clamore mediatico, nei giorni a cavallo tra il 13 e il 17 marzo del 1944 si scrisse una delle pagine più importanti della storia resistenziale piemontese, con i partigiani del comandante Mauri assaliti dai tedeschi.
I relatori: «Conoscere la storia è l’unico “vaccino” efficace al male e all’ignoranza»
A ricordarlo Michele Calandri, già direttore dell’Istituto storico della Resistenza di Cuneo, che ha definito questa battaglia come uno spartiacque nella lotta al nazifascismo: «Nonostante la pesante sconfitta subita dagli uomini al seguito di Enrico Martini detto “Mauri” si può affermare che tra queste montagne nacque quella Resistenza capace di contribuire al definitivo tracollo della Wehrmacht, basata fino ad allora su azioni isolate e figlie dell’improvvisazione». Nella trattoria “Croce Rossa” di Valcasotto si riunirono i capi partigiani provenienti dal basso Piemonte e della vicina Liguria tra cui anche il celebre Duccio Galimberti. In quel freddo inverno, tra la neve come sempre copiosa, erano presenti in Valle Casotto quasi 1.500 uomini di cui solo la metà armata e ritenuta idonea allo scontro. La Wehrmacht, preannunciata dalla “cicogna”, nome con cui i tedeschi chiamavano gli aerei da ricognizione, poteva invece contare su circa 3.000 soldati e mezzi blindati che, dopo quattro giorni di duri scontri, ebbero la meglio: «Tra le fila tedesche i caduti furono solamente 10, mentre tra i partigiani ben 118 - ha concluso Calandri -. A pagare a caro prezzo fu anche la popolazione civile con 33 morti e numerose borgate date alle fiamme». La gente comune non fece mai mancare sostegno e ospitalità alle truppe di liberazione: «Uno spirito di solidarietà che oggi sembra essersi appannato - ha commentato Ughetta Biancotto, presidente ANPI provinciale -. La Resistenza rappresenta una della pagine più belle del Novecento, che ci ha permesso di consolidare valori come la libertà, la democrazia, la pace e la giustizia sociale. Oggi tutti noi abbiamo il dovere di difendere quelle conquiste ottenute con il sacrificio di tante giovani vite». Resistenza come valore attuale da tutelare contro le incertezze del presente: «Gli episodi di intolleranza sono ormai all’ordine del giorno - ha affermato con preoccupazione il prof. Stefano Casarino, presidente ANPI Mondovì -. Già Primo Levi diceva che ciò che era stato poteva ritornare a essere. L’unico “vaccino” efficace è lo studio della storia. I ragazzi di oggi sono curiosi e hanno voglia di imparare. Dobbiamo sentirci tutti coinvolti nel processo di educazione avvicinandoli con passione e trasporto a queste tematiche».
Le testimonianze di chi ha vissuto in prima persona quei momenti
Il convegno è stato arricchito dalle testimonianze di coloro che erano poco più che ragazzini ma vissero sulla loro pelle quella immane tragedia. Su tutti il novantenne Ugo Robaldo, residente a Valcasotto, che con sorprendente minuzia di particolari ha saputo rievocare i momenti che precedettero l’arrivo delle truppe tedesche. Spesso i partigiani si affidarono a lui per il trasporto di viveri e messaggi da una postazione all’altra o per semplici suggerimenti sulla geografia del territorio. Prezioso l’intervento di Giacinto Baldracco, allora residente nel Castello di Valcasotto, sulla cui famiglia pendeva un mandato d’arresto perché considerata collaborazionista dei partigiani: a 7 anni fu costretto a rifugiarsi a Torino, mentre il Castello veniva distrutto dai tedeschi. Molto commosso l’intervento del figlio di Rita Borgna, all’epoca titolare dell’ufficio postale di Serra Pamparato, che aveva avuto un fondamentale ruolo di collegamento con i combattenti di stanza a Mondovì. Presente in sala anche Franco Luigi Motta, classe 1924, uno degli ultimi partigiani monregalesi che combatté al fianco del capitano Piero Cosa e del tenente Giuseppe Milano sul Pian della Tura. A moderare l’incontro il giornalista Marco Giraudo che, dopo aver riportato il ricordo di Giuseppe Robaldo e Carlo Dalmasso, ha chiuso il convegno asserendo l’importanza dell’arte nella trasmissione di questi valori: «I giovani possono essere coinvolti attraverso il messaggio universale della musica». Gran parte del merito della riuscita di questa iniziativa va attribuito alla passione di Mauro Uberti e Ivana Mussano: «È davvero toccante vedere una sala così gremita - ha dichiarato la direttrice della Biblioteca comunale di Pamparato -. Il tempo intercorso da quegli eventi non ha intaccato la voglia di ricordare».
Alessandro Briatore, Pamparato ha ricordato i giorni della Battaglia della Val Casotto, Unione Monregalese, 24 marzo 2019

lunedì 27 luglio 2020

Il comandante partigiano Curto a febbraio 1944...

Prelà (IM). Fonte: Mapio.net

Oltre ai gruppi di cui si è or ora parlato, molti altri ve ne furono, più o meno isolati, e sparsi un poco dovunque. Per quanto è possibile, essi si tennero tutti in collegamento con gli organizzatori antifascisti rimasti in città.
Il gruppo dei fratelli Serra e di Ricci Raimondo era stato collegato per qualche tempo anche con un altro gruppo di circa quindici uomini, pur esso sistemato a monte di Tavole [n.d.r.: Frazione del comune di Prelà (IM)], e del quale uno degli esponenti principali era Demossi Pietro, direttamente collegato con lo scrivente. Il Demossi, rientrato dalla Francia - dove era militare - il 19 settembre 1943, era salito in montagna con alcuni amici intorno ai giorni 23-24 settembre 1943. [...] Per l'adesione ad una formazione unitaria, che si cercava di costituire, il Demossi era stato interpellato una prima volta da Amoretti Filippo di Tommaso, della corrente comunista, il quale dapprima era in un gruppo presso Moltedo [Frazione del comune di Imperia] e poi si era per qualche tempo fermato nel gruppo dei Sella; poi, da Ricci Raimondo era stato invitato per uno scambio di vedute nella villa di Carlo Carli alle Cascine [n.d.r.: zona di Oneglia ad Imperia], dove era presente il Carli e dove il Demossi si recò insieme col Ricci, il quale sostenne appunto l'idea dell'adesione; infine aveva avuto un colloquio con Cascione in un occasionale incontro nelle vicinanze del Monte Acquarone; ma il gruppo si sciolse nel dicembre 1943 o agli inizi del gennaio 1944, quando non si era ancora giunti ad una conclusione definitiva. Gli uomini del gruppo tornarono in città. Il Demossi andò nuovamente in Francia. In seguito qualcheduno degli uomini ritornò in montagna nella primavera del 1944: fra essi il Demossi, il quale, avviatosi con un altro giovane, Bruno Francesco, per raggiungere le formazioni di Martinengo [Eraldo Hanau], dapprima si ferma in Tavole, dove si incontra con Sebastiano o Nino Verda e con Carlo Carli; poi, atteso invano Sicardi Vincenzo, che avrebbe dovuto percorrere la strada insieme con loro, prosegue - sempre col Bruno Francesco - fino alla Mezzaluna [n.d.r.: Passo nel comune di Rezzo (IM)]. Qui i due incontrano Curto [Nino Siccardi], che li invita a fermarsi nelle sue formazioni; essi accettano e si fermano pertanto in un distaccamento garibaldino dislocato alla Mezzaluna, dal quale il Demossi, poi, passerà alla "Fenice". Nel primitivo gruppo del Demossi vi era anche Deri Ernesto [...] ucciso il 15 febbraio [1945] nel camposanto di Oneglia [...]
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia 
 
I primi mesi della resistenza imperiese furono caratterizzati da un lato da un’opera di organizzazione dei vari gruppi clandestini sorti nei maggiori centri rivieraschi e dall’altro dalla creazione delle prime bande che presero vita in montagna e nelle alture poste in vicinanza delle città. Il fenomeno della nascita del movimento resistenziale aveva incontrato una certa difficoltà, che in sostanza si riscontrava un poco dovunque. Fra i giovani fuggiti in montagna subito dopo l'armistizio alcuni erano tornati in città dopo una breve permanenza alla macchia, altri si limitavano a tenersi nascosti, ma non erano disposti a formare gruppi di combattimento. Le prime bande che si formarono furono quella di Cascione, alle spalle di Imperia, e quella di "Tento", Pietro Tento, e di "Vittò", Giuseppe Vittorio Guglielmo, le quali ultimo agivano nella parte occidentale della provincia di Imperia in Alta Valle Argentina con base alla Goletta di Triora (IM). Dalla banda Cascione, dopo la morte di "U megu", si erano originati altri nuclei combattenti, i quali erano stati riuniti sotto un unico comando che aveva come scopo quello di coordinare le azioni fino ad allora estemporanee e isolate. Quel comando fu affidato a Nino Siccardi, "Curto". Oltre alle bande di Tento e di Vittò, erano operanti il gruppo di "Tito" (Rinaldo Risso), che era dislocato nei pressi di Rezzo (IM); quello di "Cion" (Silvio Bonfante) in valle Arroscia, il gruppo di "Ivan" (Giacomo Sibilla), che si spostò nei pressi di Caprauna (CN). Tra Val Nervia e Valle Argentina andavano formandosi altre bande: da quella di "Erven" (Bruno Luppi) a quella di "Marco" (Candido Queirolo). Altri distaccamenti operavano senza essere ancora ancora inquadrati regolarmente: "Gori" (Domenico Simi), "Gino" (Luigi Napolitano), "Artù" (Arturo Secondo), "Peletta" (Giovanni Alessio), "Fragola" (Armando Izzo), "Leo" (Stefano Carabalona). Nei primi giorni di aprile 1944 Erven si incontra con Curto a Costa di Oneglia, presenti il savonese Libero Briganti (Giulio), Giacomo Sibilla (Ivan), Vittorio Acquarone (Marino) e Candido Queirolo (Marco); si decise di raccogliere tutte assieme una ventina di bande sparse sul territorio per costituire la IX Brigata d’assalto Garibaldi “F. Cascione”, che nel luglio si trasformava in divisione, la Divisione "Felice Cascione", articolata su due brigate.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020 
 
[ n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]

Intanto si andavano formando molte altre bande anche nella parte occidentale della provincia, tra cui una sorta nell'Alta Valle Argentina, quella costituita da Ivano [altro nome di battaglia Vitò, o Vittò, Giuseppe Vittorio Guglielmo], già combattente repubblicano in Spagna, che radunò nei pressi di Loreto di Triora (IM) molti giovani ed ex militari, i quali ultimi recavano le armi che avevano celato dopo la disfatta dell'esercito.
Vitò fu coadiuvato nell'organizzazione della banda da un sergente maggiore dei reparti G.A.F. (Guardia Armata alla Frontiera), Francesco Tento.
I primi ad accorrere all'invito di Vitò furono i giovani dell'Alta Valle Argentina.
Fu merito di Vitò e di molti altri comandanti partigiani essere riusciti ad incanalare nella guerriglia anche molti ex militari di carriera, stimolati a mettere con l'esempio a disposizione dei giovani la loro esperienza bellica precedente.
La banda di Vitò si stabilì in una zona sopra Cetta, Frazione di Triora (IM), La Goletta, situata in un punto strategico per la guerriglia.
 [...] Curto [Nino Siccardi] assunse in seguito alla morte [27 gennaio 1944] di Felice Cascione, primo capo partigiano, il comando degli uomini della banda, che poi si dividerà in due gruppi, uno comandato da Vittorio Acquarone (Marino), l'altro - stabilito nella zona di Magaietto, in Diano Castello (IM) - da Tito [o Tito R., Rinaldo Risso].
[...]  A febbraio 1944 le autorità fasciste procedettero in provincia di Imperia ad alcuni arresti di patrioti.
Per facilitarsi la cattura di partigiani i repubblichini avevano ordinato di affiggere all'interno delle porte d'ingresso delle singole case fogli riportanti i nomi degli abitanti.
Il 22 febbraio 1944 i partigiani dei raggruppamenti di "Tito" [Rinaldo Risso] e di Acquarone [Vittorio Marino Acquarone] vennero riuniti, insieme ai volontari nel frattempo giunti in montagna, in un unico Distaccamento di cui era comandante "Tito" [Rinaldo Risso] e di cui era  commissario politico "Giulio" (Libero Briganti).
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

In dicembre [1943] andai a casa, dove arrivai prima di Natale [...] ero venuto a conoscenza di uno scontro di ribelli imperiesi a Montegrazie; a Rezzo erano stati disarmati i carabinieri [...] a febbraio [1944] decisi di recarmi in provincia di Cuneo con l'obiettivo di arruolarmi nelle formazioni di G.L. [Giustizia e Libertà]. Messomi in cammino al mattino presto mi trovavo già nei pressi di San Bernardo di Conio [Frazione  di Borgomaro (IM)], quando incontrai un uomo che salutai con il buongiorno senza fermarmi. Era il Curto [Nino Siccardi], che io ancora non conoscevo [...] Si qualificò come comunista, responsabile delle formazioni partigiane che agivano nella zona. Io gli raccontai le mie brevi esperienze di ribelle e la mia intenzione di raggiungere le formazioni G.L. nel cuneese [...] Gli dissi che mi sarei fermato a Carpasio [n.d.r.: oggi nel comune di Montalto Carpasio (IM)] presso un conoscente (Paolo Gallo detto Paulò) e lì avrei aspettato sue notizie. Ritornammo a San Bernardo di Conio insieme; l'uomo mi piaceva [...]
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994

mercoledì 22 luglio 2020

Dal bando appariva chiara l'intenzione nemica di rastrellare in grande stile e di terrorizzare i civili

Pieve di Teco (IM) - Fonte: Wikipedia
 
Nella notte tra il 19 e il 20 gennaio 1945 i tedeschi, partendo da Cesio (IM) cercarono di portare un duro colpo alla Divisione Bonfante, iniziando un rastrellamento che interessò soprattutto le località di Bosco, Degolla, Ubaghetta, Alto, Nasino, Casanova. A Bosco [n.d.r.: Frazione del Comune di Casanova Lerrone (SV)] riuscirono a circondare un casone che ospitava un gruppo di partigiani. Dopo un aspro combattimento i dodici uomini che si trovavano dentro il casone ruppero l'accerchiamento. Qualcuno evitò la cattura, ma caddero sul campo il sovietico Gospar, Rolando Martini (Indusco), William Bertazzini (Rosa), Gino Bellato (Gino). Bartolomeo Vio (Tron) della banda locale di Vendone che, in servizio notturno, mentre stava controllando attentamente le strade, veniva ferito ad una caviglia, riuscì a salvarsi con una fuga a perdifiato. Vennero catturati e fucilati i civili Amedeo Bolla, di anni 41, e Matteo Favaro di anni 23. A Marmoreo venne ucciso il civile Settimio Testa.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, edit. in pr., 2020
 
[ Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016  ]

La notte tra il 19 e il 20 gennaio 1945 sembra tranquilla, ma lo è solo in apparenza, perchè il nemico è già in movimento.
I tedeschi dislocati a Cesio (IM) partono, raggiungono il Passo del Ginestro e quindi puntano sul paese di Vellego [Frazione di Casanova Lerrone (SV)], che raggiungono rapidamente.
Avvisati dalle sentinelle borghesi, i giovani si mettono in salvo, a Degna, il paese successivo sulla carrozzabile [n.d.r.: anche Degna è Frazione del Comune di Casanova Lerrone in provincia di Savona], non giunge subito la grave notizia.
Dopo un'ora è anch'esso investito, ma i nazifascisti non sembrano avere idee bellicose, cercando solo una guida per farsi condurre in Valle Arroscia.
I giovani del paese, chiusi in casa, sentono il rumore delle armi, degli zoccoli dei muli e delle scarpe chiodate; non possono uscire, non possono andare ad avvisare gli uomini del Comando della “Bonfante”, mentre la colonna nemica passa a circa duecento metri di distanza dallo stesso.
Sapranno del passaggio del nemico nella tarda mattinata, quando ritornerà indietro la guida borghese che aveva accompagnato la colonna sulla cresta della montagna.
La colonna [nazifascista] diretta a Bosco [Frazione di Casanova Lerrone (SV)] è accompagnata dalla ormai spia famosa “Carletto”.
Il Comando della “Bonfante” non ha alcuna possibilità di avvisare i garibaldini dislocati a Bosco.
Ormai è tardi.
Sperano che le sentinelle del luogo abbiano potuto avvistare il nemico che stava avvicinandosi.
Si spera che anche questa azione sia una puntata isolata e non faccia parte di un momento del grande rastrellamento previsto.
Il comando della Divisione si sposta a Degna per esaminare la situazione più da vicino.
Quanti erano gli armati, con muli o senza, perchè la guardia borghese non ha funzionato?
In Val Lerrone la situazione si mantiene calma, ma che avviene di là?
Se il nemico, come probabile, tornerà alla base per la carrozzabile della Valle Arroscia, sarà possibile agganciarlo?
Sembra che al di là della cresta gli avvenimenti siano più gravi di quanto si temesse.
Un borghese, che si è spinto in cresta, riferisce che le colonne di fumo si levano da Degolla [Frazione di Ranzo (IM)] e da Costa Bacelega [Frazione di Ranzo (IM)], segno che il nemico non si è limitato alla puntata su Bosco.
Lunghe raffiche di mitraglia indicano che la lotta è ancora in corso. Le ore passano lente, uguali. Verso mezzogiorno giunge a Segna uno sbandato da Bosco. Aveva i pantaloni strappati e lo sguardo inquieto dell'animale braccato. Racconta che con i suoi era sveglio da qualche minuto, aveva rimesso al fuoco le castagne e si preparava a lavarsi, quando vede a breve distanza i Tedeschi che scendono tra gli ulivi. Urla “I tedeschi!”, e via senza voltarsi. Quelli sparano ma il fuggiasco non vede più niente, e non sa cosa sia successo agli altri. Erano quasi circondati e la resistenza si presentava impossibile. Dopo una corsa selvaggia tra i rovi e gli ulivi, si era trovato fuori tiro senza armi ma con l'asciugamano in mano.
Da mezzogiorno fino a sera nessuna novità. A sera una colonna tedesca scende dalla cresta verso Degna. 
L'allarme è portato in paese dalla figlia di Bartolomeo Barbero (Bertumelin) contadino del luogo che aiutava molto i garibaldini. 
In pochi istanti borghesi e partigiani spariscono tra gli alberi, mentre i tedeschi, preannunciati da una raffica di mitragliatrice, entrano in paese. 
Dopo mezzora Degna è di nuovo libera. Il nemico ha proseguito per Cesio (IM).
Si spera sia tutto finito.
Il giorno 21 niente di nuovo in Val Lerrone.
Il comandante Giorgio Olivero (Giorgio) e Gustavo Berio (Boris) lasciano la Divisione, vanno oltre la strada statale 28 in cerca del Comando I^ Zona Operativa Liguria, per appellarsi alla sua autorità, poiché non riescono più a controllare la situazione.
La Divisione rimane così affidata al commissario Osvaldo Contestabile e al vicecomandante Luigi Massabò (Pantera).
Cosa era avvenuto a Bosco? A Bosco, per la scarsità di munizioni, ai partigiani era stato dato l'ordine di adoperare le armi automatiche soltanto nelle situazioni più critiche. Si accendono combattimenti violentissimi a Bosco, a Degolla [borgata di Ranzo (IM)], a Ubaghetta [Borghetto d'Arroscia (IM)], ad Alto (CN), a Nasino (SV), a Casanova ed in altre località.
Tre colonne nemiche di circa cinquanta uomini ciascuna, partite rispettivamente da Cesio (IM), da Villanova di Albenga (SV) e da Leca [Frazione di Albenga (SV)], si dirigono sul piccolo centro abitato di Bosco. I garibaldini non riescono a sganciarsi. Impugnano le armi e si dispongono alla difesa. Oramai sono circondati perchè il nemico ha individuato il casone dove erano accampati.
Dopo aspro combattimento i dodici uomini riescono a rompere il cerchio di fuoco e qualcuno evita la cattura.
Cadono sul campo il sovietico Gospar, che si sente rantolare, dire qualche cosa nella sua lingua prima di morire; Rolando Martini (Indusco), di anni 20; William Bertazzini (Rosa) di anni 20; Gino Bellato (Gino) di anni 20.
Sono catturati e fucilati sul posto i civili Amedeo Boli, di anni 41, e Matteo Favaro di anni 23. A Marmoreo [Frazione di Casanova Lerrone (SV)] è ucciso il civile Settimio Testa. I garibaldini che sono riusciti a sottrarsi alla cattura, raggiungono le altre squadre del distaccamento. Tremenda l'avventura del garibaldino “Umegu” che, catturato due volte, e due volte messo davanti al plotone di esecuzione, riesce a fuggire incolume, benchè soggetto a raffiche di armi automatiche.
Le case di Bosco sono date alle fiamme.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005

22 gennaio 1945 - [...] Sono le 2 e dalla Valle Arroscia giunge un forte gruppo di repubblichini recando seco 8 partigiani catturati a Bosco in un'azione militare. Di essi, due sono feriti e vengono trasportati all'ospedale, gli altri 6 sono rinchiusi in un fondo della caserma S. Manfredi.
23 gennaio 1945 - Giungono altri repubblichini, tutti venuti con un buon numero di rastrellati in Vessalico. Ve ne sono di tutte le età. Si tratta di operazioni fatte un po' a casaccio perché questi individui che, per i tempi che corrono, sono tutti muniti di documenti, e cioé della carta di identità, non appena passano al controllo del Comando tedesco, finiscono poi col ritornare quasi sempre alle loro case. Si presume, però, che tali operazioni siano fatte per secondi fini, come quello di terrorizzare le popolazioni e renderle così succubi della loro volontà.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994
 
La Val di Diano è ancora sgombera, la I^ Brigata ["Silvano Belgrano"] chiede cosa debba fare. Non possiamo dare ordini perché Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] e Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione Bonfante] sono al di là della «28», di Pantera [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] ignoriamo la sorte, il S.I.M. è ormai isolato e disperso, siamo senza notizie  delle altre due Brigate. Se la staffetta riuscirà a tornare indietro potrà solo riferire la situazione portando le esortazioni di Osvaldo [Osvaldo Contestabile] per la I^ Brigata: che si tenga pronta perché il nemico può irrompere nella Valle di Diano da un momento all'altro.
A noi che conviene fare? Attendere Pantera può essere inutile e diventare pericoloso. Rimanendo potremmo ancora servirci deirifugi, ma se la situazione si aggravasse  ancora potremmo sempre contare che i borghesi possano rifornirci?  
A Degna poi molti credono che qui ci sia l'intero Comando divisionale, se un civile tradisse, e dopo le recenti esperienze non possiamo escluderlo, il nemico può piombarci sopra con forze ingenti.
Attendere così passivamente la sorte mentre il nemico scorazza impunemente nella zona crea in noi una situazione morale sempre più penosa che avrebbe potuto prolungarsi per chi sa quanto tempo: l'esempio della Cascione e del rastrellamento di Fontane ci indicava che i rastrellamenti invernali erano assai lunghi. La Val di Diano è ancora libera, forse anche parte della valle di Cervo. Se fossimo partiti ieri anche la via sarebbe stata aperta, ora invece...  Però la staffetta era riuscita a passare; a stento, ma era passata.
Sì, ma al ritorno?... Al ritorno forse il nemico avrà aumentata la sorveglianza e chissà se si potrà ancora?... Con la neve che nei versanti in ombra è ancora alta c'è il rischio di essere scoperti da lontano dovendo percorrere lunghi tratti allo scoperto. Il dubbio è assillante, qui penso che il nostro compito sia ormai finito: bisogna provvedere alla nostra salvezza e solo quando il rastrellamento sarà finito ognuno riprenderà i suoi compiti se il movimento riuscirà a sopravvivere.
Il giomo 24 il nucleo del Comando di Segua [n.d.r.: Segua è Frazione del Comune di Casanova Lerrone in provincia di Savona] si scioglie: in Val Lerrone il Comando italo-tedesco ha pubblicato un bando invitando tutti coloro che, obbedendo alla falsa propaganda nemica, hanno cercato rifugio sui monti, a presentarsi entro le quarantotto ore. «A coloro che si presenteranno si fa garanzia della vita, gli altri saranno passati per le armi; uguale sorte avranno i borghesi che presteranno loro aiuto o che verranno trovati in possesso di roba  militare,  anche vestiario o coperte. Le loro case verranno incendiate».
Dal bando appariva chiara l'intenzione nemica di rastrellare in grande stile e di terrorizzare i civili.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, p. 140 
 
26 gennaio 1945 - Sono le 8,30 e nel solito prato [di Pieve di Teco] gli otto sanmarchini già passati ai partigiani e catturati l'altro giorno nell'azione militare a Bosco vengono fucilati. Il paese terrorizzato è deserto - i pochi che vi si incontrano passano frettolosi per raggiungere le loro case -. Non una parola viene pronunciata da nessuno; si direbbero tutti ammutoliti dallo sgomento.
27 gennaio 1945 - Uno dei sanmarchini superstiti, ferito al ventre, è morto alle 10,30 di stamane all'ospedale [n.d.r.: Barli pensava a Dante Rossi, che, invece, riuscì a salvarsi con l'aiuto di un infermiere tedesco, sacerdote cattolico, che fece passare per Rossi il cadavere di una persona anziana deceduta di morte naturale]. Sono le 11,30: i due patrioti rastellati in Rezzo, trasportati in Pieve e condannati a morte, non sono ancora stati fucilati.
28 gennaio 1945 - Stamattina alle 9,30 ho parlato col Commissario Provinciale della Croce Rossa, Dott. Amoretti, dentista di Oneglia, e col rappresentante della Federazione di Imperia, affinché si interessino per ottenere un trattamento meno disumano in Pieve. Mi hanno dato assicurazione in merito.
29 gennaio 1945 - Sono partiti gli alpini repubblichini (Monte Rosa) ma, da Triora son giunti i granatieri repubblichini già inviati colà per operazioni di rastrellamento.
Nino Barli, Op. cit.

27 gennaio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Relazione sull'attacco subito nelle vicinanze di Ginestro dalla II^ e III^ squadra, attacco condotto da reparti della Divisione Monterosa e dalla Divisione Muti.
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sui rastrellamenti subiti il 10 ed il 20 gennaio 1945 "nelle valli di Caprauna, Arroscia, Lerrone e Andora. Dopo l'arresto del comandante Menini ebbe inizio l'atteso rastrellamento nelle valli suddette. Il 10 gennaio una colonna di tedeschi, partita da Pieve di Teco, circonda Gavenola e rastrella il paese, catturando il garibaldino 'Carletto', il quale ha tradito i propri compagni facendo giungere i tedeschi presso la sede del capo di Stato Maggiore ma con esito per loro sfavorevole. Il giorno 20 gennaio avveniva il temuto rastrellamento a catena ad opera di forze della RSI e di alcuni reparti tedeschi. Furono attaccate formazioni della II^ e della III^ Brigata; a Bosco il nostro presidio venne dopo una battaglia catturato quasi al completo. Dei 16 garibaldini arrestati, 12 riuscivano a fuggire, evitando la fucilazione. Contemporaneo a questo attacco vi fu quello di Degolla, in cui i garibaldini ebbero 3 morti, 1 ferito e 8 uomini presi prigionieri. A Gazzo un'altra colonna, guidata dall'ex garibaldino 'Boll', catturò l'intera famiglia di 'Ramon' [Raymond Rosso], non riuscendo a sorprendere il nostro capo di Stato Maggiore. A Nasino il Distaccamento "Giannino Bortolotti" infliggeva alcune perdite al nemico e poteva ritirarsi. Il 26 gennaio il commissario di Brigata [III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] 'Gapon' [Felice Scotto] veniva attaccato dai soldati della RSI, ma infliggeva loro la perdita di 6 uomini. I soldati repubblicani occupavano Alto, Nasino, Borgo Ranzo, Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta; il 21 gennaio occupavano altresì Casanova Lerrone, Marmoreo, Garlenda, Testico, San Damiano, Degna e Vellego. Il 22 gennaio il nemico abbandonava Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta. Il 27 gennaio le forze avversarie attaccavano una squadra la quale riportava la perdita di 2 garibaldini. Durante il rastrellamento il capo di Stato Maggiore della Divisione insieme ai comandanti 'Cimitero' [Bruno Schivo] e 'Meazza' [Pietro Maggio] con 2 Distaccamenti attaccavano in più punti il nemico infliggendo la perdita di 13 uomini e subendo l'uccisione di un solo partigiano".
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" allegato n° 24 circa le perdite subite nel mese di gennaio 1945: "il giorno 1 perirono Badano Ezio, Menini Lionello e Valduna Giovanni ad Armo; il 2 Emilio Zamboni, nativo di Dernis (Jugoslavia); il 3 Lorenzo Gracco; il 15 Italo Menicucci; il 20, a Bosco, Gino Bellato, William Bertazzini, Gospar, soldato russo, Rolando Martini e perirono in altre località Antonino Amato, Giuseppe Cognein *, Mario Miscioscia, Attilio Obbia, Franco Riccolano *; il 22 a Pogli Giuseppe Caimarini e Settimio Vignola; il 23 Germano Cardoletti (1); il 26 Ettore Talluri, Bruno Cavalli, Walter Del Carpio, Giuseppe Lobba, Oreste Medica, Ugo Moschi, Luciano Mantovani, Fausto Romano, tutti deceduti a Degolla [n.d.r.: in effetti, Renato Luciano Mantovani, Balilla, un sedicenne nato a Treviso, residente a Venezia, risulta - da fonti successive, quindi, non da questo dispaccio scritto in guerra sotto l'incalzare degli eventi - fucilato a Pieve di Teco]; e a Cappella Soprana Renzo Orbotti; il 27 a Ginestro Mario Longhi (Brescia) e Silvio Paloni (Romano)
   * Proposte assegnazione medaglia d'argento alla memoria a Giuseppe Cognein e a Franco Riccolano * morti il 20 gennaio 1945. * Descritti anche da Don Giacomo Negro, arciprete di Bacelega al C.O. I^ Zona.
   (1) 'Redaval' Germano Cardoletti ex San Marco - IV^ Brigata "Domenico Arnera" - ucciso il 23 gennaio 1945 ai Piani di Ubaghetta dai Cacciatori degli Appennnini
2 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sui fatti di Ginestro e di Testico del 27 gennaio 1945, quando vennero attaccate 2 squadre del Distaccamento "Garbagnati" e rimasero uccisi "Brescia" [Mario Longhi] e "Romano" [Silvio Paloni].
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

Mario Longhi. Fonte: ANPI Savona cit. infra

Mario Longhi, Brescia. Sorpreso a Ginestro durante un rastrellamento, sprezzante del pericolo non ascolta l’invito a ripararsi: una prima raffica gli frantuma l’arma; una seconda lo colpisce al ventre. E’ il 27 gennaio 1945.
A Mario Longhi è intitolato un Distaccamento della Brigata “Arnera” - Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011   




Immagini del funerale del partigiano Mario Longhi. Fonte: vedere art. cit. infra

Mario Longhi partigiano della brigata Garibaldi nato a S. Eufemia nel 1924 e ucciso dai tedeschi in provincia di Savona nel gennaio del 1945 (insignito della croce al valor militare alla memoria)
Redazione, Funerale Mario Longhi 13/04/1947, era sant'eufemia della fonte