domenica 3 ottobre 2021

Noi (garibaldini) in Liguria avremmo trovato una situazione difficile

Monte Mongioie - Fonte: Mapio.net

Cessata l'incertezza estenuante, i giorni passano più rapidi, l'avvenire sembra migliore. L'equipaggiamento delle bande prosegue rapido, i debiti salgono a cifre iperboliche. Le bande rimaste in Liguria riescono, non so come, a  procurarsi  munizioni per mitraglia: Mancen [Massimo Gismondi] abbraccia la staffetta che porta la notizia: «Mi ridai la vita! - gli grida -. Potremo riprendere a batterci, potremo picchiare come prima!».
Il 6 novembre [1944] partono i primi distaccamenti, il 13 partono Mancen col «Garbagnati», il «Catter», la banda di Fra' Diavolo: vanno nella zona di Capraùna ad oriente della «28».
I giorni seguenti partono il comando della Cascione, metà del comando I Brigata, a poco a poco tutte le bande lasciano la Val Corsaglia. Gli ultimi rimasti con l'intendenza e la cucina intensificano una super alimentazione a base di  bistecche di maiale, lardo, uova, castagne, pasta asciutta e pane bianco.
Il 14 partono su un mulo ed un cavallo Carlo e Scrivano ormai rimessi in forza: faranno la via più lunga per Pra e Val Casotto perché solo per lì si può passare ormai a cavallo.
Il 15 parto anch'io con gli ultimi componenti del comando I  Brigata.
A Fontane rimane Aldo con parte dell'intendenza per pagare gli ultimi debiti o conservare la speranza che li pagheremo. Rimane anche ad organizzare il trasporto di viveri ed equipaggiamento, perché le bande rimaste e tornate in Liguria avranno ancora bisogno di rifornimenti. Rimangono anche le famiglie di Cion, Mancen perché in Liguria sono troppo conosciute, rimane il Rosso e qualche altro ammalato, qualcuno che ne approfitta per passare con i badogliani, pochi perché il grande rastrellamento pare sempre più probabile e da parecchi giorni siamo in allarme perché i badogliani di Val Ellero, dopo violenti scontri, sono stati ricacciati in Val Corsaglia.
Partiamo alle otto e trenta del 15, il freddo è intenso, un leggero strato di neve caduto durante la notte copre la strada: faremo ancora una volta la via del Mongioie, la più dura ma forse anche la più breve. Rifacciamo ancora una volta il percorso ormai noto, sarà l'ultima o dovremo ancora passare in senso inverso queste montagne nevose? Probabilmente no, questa volta tornando in Liguria il clima ci spingerà verso la costa ed una seconda ritirata verso il Piemonte ci sarà preclusa dalla molta distanza e dalle gravi difficoltà. Che faremo se saremo attaccati? Terremo duro sul posto o ci disperderemo. Una cosa è sicura: l'epoca delle grandi ritirate, degli spostamenti in massa è tramontata per sempre.
Percorriamo il primo tratto di strada in lieve pendio, poi la marcia rallenta: attacchiamo la salita del Mongioie.
Torniamo in Liguria. Forse fra poco anche a Fontane ci sarà rastrellamento, gli ultimi giorni sono stati un continuo allarme, i tedeschi hanno attaccato anche Frabosa. È evidente che anche il sistema di non disturbare il nemico a lungo  andare non serve: i concentramenti di truppe nella zona Cuneo-Mondovì indicano chiaramente che l'ora della Val Corsaglia non è lontana. A meno che la minaccia non sia diretta contro Alba e le Langhe che in ottobre Mauri ha occupato in collaborazione con i garibaldini e i G.L.
Avevo letto la «Stella Tricolore», il giornale dei garibaldini, parlava della liberazione delle Langhe: il presidio fascista di Alba, la città più importante, aveva trattato la resa ed era stato lasciato libero di andarsene.  
«È stata una eccezione ai nostri metodi, affermava la «Stella Tricolore», ma abbiamo accettato in omaggio al comando unico».
Il nemico aveva contrattaccato ma era stato respinto: «Non è una delle solite puntate», affermava il nostro giornale: «Alba sarà difesa ad oltranza».
Per Mauri e per la Barbato era l'apogeo come lo era stato per noi il periodo di Garessio e forse più, perché avevano una organizzazione che a noi allora mancava, avevano lanci alleati, una dovizia di mezzi che a noi pareva irreale. Per Mauri tenere Alba era oltre che questione di prestigio, la possibilità di rimanere forte ed organizzato per tutto l'inverno, di evitare lo sbandamento che aveva semidistrutto altre formazioni. Per i tedeschi Alba era un nodo stradale  importante, i partigiani una minaccia troppo forte, le forze si ammassavano da ogni parte, l'urto era fatale, inevitabile. Noi in Liguria avremmo trovato una situazione difficile, ma anche in Piemonte l'avvenire non era sereno. In realtà l'attacco ad Alba era già cominciato e la città era caduta il 2 novembre, ma io allora lo ignoravo.
Marciavamo lentamente, in fila, in salita. Lo zaino pesante per l'equipaggiamento invernale, le due coperte che son riuscito a trovare, grava sulle spalle, la neve è alta, i piedi sprofondano ad ogni passo, intorno, da ogni parte abeti scuri, rocce grige, neve e ghiaccio abbaglianti.
La salita è dura, il fiato groso, una lunga fila di uomini serpeggia lungo il pendio: sono i comandi della I e della V Brigata, parte del Comando Divisionale, qualche banda della V Brigata.
Le recenti nevicate ed il gelo degli ultimi giorni hanno modificato radicalmente il paesaggio; abbiamo percorso l'ultima volta la vallata con i feriti sotto la pioggia, ora il tempo è sereno ma stentiamo a riconoscere la zona.
Dove prima era il sentiero fangoso ora è neve e ghiaccio, dove era il pendio erboso o ghiaione è neve bianca, dove scrosciava il torrente è ghiaccio lucente. Più volte dobbiamo lasciare il sentiero che lo stillicidio di qualche fonte ha trasformato in pendio ghiacciato; camminiamo allora di fianco, fuori strada, sprofondando fino al ginocchio, fino alle anche perché il vento ha accumulato la neve tra i massi del torrente coprendo buche e avvallamenti.
Siamo partiti alle otto e trenta, alle dodici giungiamo dove un mese prima cominciava il nevaio, lì il torrente ha formato un piazzale di ghiaccio: sostiamo, pranziamo: due pagnotte ed un po' di neve. Ci sarebbe anche del salame, ma lo  hanno quelli che sono dall'altra parte del ghiaccio, cominciamo ad essere stanchi e piuttosto che riattraversare quel tratto sdrucciolevole preferiamo fare a meno del salame.
Quante ore ci vorranno ancora per arrivare nell'altro versante? Come sarà la neve più in su? Con uno sforzo ci rimettiamo in piedi: ripartiamo, un po' più lenti. Il cammino è aspro e duro, entriamo ormai nel massiccio del Mongioie, nella zona senz'alberi né pascoli, solo cime brulle e neve. Davanti, più in alto, turbini di nevischio acciecante passano come nubi sul cielo azzurro sollevati dal vento delle cime.
Fra quante ore saremo lassù?
Proseguiamo sempre più penosamente, con soste sempre più frequenti: la zona non è più che un vasto nevaio in ripido pendio, qua e là qualche roccia affiorante, intorno fanno cornice i massicci del Pizzo d'Ormea e del Mongioie.
Sul vasto nevaio soffia a raffiche il vento invernale. I partigiani si fermano, io e qualche altro abbiamo passamontagna che ho fatto fare con la mia vecchia coperta, ho anche guanti e copriguanti; gli altri difendono il volto col braccio dalle miriadi di cristallini ghiacciati che passano col vento. Cessata la raffica proseguiamo, ci arrestiamo ancora quando il vento riprende, poi ancora avanti. Dopo un po' ci abituiamo anche al turbine, chiudiamo solo un po'  gli occhi continuando a marciare. Le barbe ed i capelli si riempiono di ghiaccioli che il calore della marcia fonde ben presto.
La colonna sale sempre sempre più lunga e più distanziata. Avanti ancora, il sentiero, la pista passa ora ai piedi di un roccione al riparo dal vento, in ombra.
È qui che in ottobre, il 24, abbiamo dovuto incidere i gradini nel ghiaccio per far passare la barella.
Ci asciughiamo il volto col fazzoletto e poi su ché a fermarsi all'ombra fa freddo. Siamo passati un mese fa in questi luoghi col buio, con i vestiti leggeri e le scarpe rotte. Che sarebbe stato se avessimo dovuto farlo ora con tanta neve, di notte? Pensiamo con sgomento ai nostri compagni rimasti in Piemonte, se il rastrellamento li spingerà in queste zone quale sarà la loro sorte?
Alle tre e trenta giungiamo sul valico: il Bocchino d'Aseo. Gli ultimni duecento metri hanno richiesto più di mezz'ora perché ormai siamo esausti. Ora però innanzi a noi è la discesa.
Sul valico al sole ci fermiamo qualche minuto: di fronte a noi è di nuovo la Liguria, le nostre montagne, il paesaggio dai nomi noti. L'aria fredda, limpida; lo sguardo abbraccia una zona vastissima, anche lì è nevicato molto, tutte le cime sino al Saccarello sono ormai bianche sino alle falde, verso ponente tutta la catena della Val Roja è coperta di neve, lo stradone Tanarello-Limone pare un sottile filo nero in tanto bianco. Come è lontano quel giorno di agosto in cui con gli uomini di Umberto vi ero passato per attaccare Limonetto!
Scendiamo, il pendio è anche qui ripido. La neve ha coperto ogni cosa. Seguiamo le orme di quelli che sono già passati perché non c'è altra pista segnata. La discesa è ripida, unica fatica è mantenere l'equilibrio chè spesso la neve manca sotto i piedi. In molti punti costeggiamo burroni a picco, i piedi costretti in uno spazio ristretto hanno scavato una specie di canale attraverso la neve alta. È necessario allora chinarsi e strisciare sulla neve frenando continuamente con le mani e col corpo; rimanendo ritti e  perdendo  l'equilibrio si  finirebbe giù nel­l'abisso dove finì lo zaino del sarto austriaco quel giorno. Nei punti più diffici scendiamo uno alla volta, distanziati perché la caduta di uno non trascini anche gli altri o il soverchio peso non provochi una valanga ché non sappiamo quanto sia alta la neve né se sotto di noi ci sia roccia o vuoto.
È evidente che il passo del Bocchino non è più transitabile coi muli e che di notte o con la nebbia anche per gli uomini non sarebbe prudente passarvi. Continuiamo a marciare mentre il sole volge al tramonto. La strada è lunga, sembra eterna, la neve a poco a poco diminuisce, il pendio è meno ripido, in basso si comincia a vedere Viozène, Pian Rosso: in giù la neve non si è fermata; fra poco saremo all'asciutto e attenderemo i compagni che, come puntini neri, vediamo muoversi lassù dove la neve è ancora illuminata dal sole.
Quando troviamo la strada sul terreno senza neve ci sediamo per riposarci ed attendere.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 28-31

8 novembre 1944 - Il patriota ucciso ho saputo che è di Acquetico e che si chiama Luciano. I due assassini sono passati questa mattina alle 9,30 dalla Paperera ed hanno chiesto indicazioni per arrivare a Testico. L'Avv.to Bruna, giunto da Albenga stamattina, mi ha confermato che, lungo la fascia costiera, esiste effettivamente un forte movimento di tedeschi che si dirigono verso Genova. Ore 4 pomeridiane: hanno portato in Pieve uno degli autori dell'aggressione di ieri, ed è pure lui di Acquetico. Era ammanettato e l'hanno portato in Municipio, ove subì un lungo interrogatorio. Nel pomeriggio è stato pubblicato un manifesto nel quale si invita la popolazione a non fare né commenti né congetture, perché presto anche il secondo assassino sarà identificato e catturato e ambedue subiranno il castigo che meritano.
9 novembre 1944 - Questa mattina si sono svolti i funerali del patriota ucciso ieri - Oltre a molta gente del paese vi era pure un gruppo di partigiani, con il loro comandante Osvaldo Contestabile di Pornassio - Nel Cimitero hanno salutato la salma con un ricordo funebre commosso, e una salva di moschetti. L'ombrellaio di Pieve e Biga, giunti or ora da Mondovì, ove si sono recati per rifornirsi di generi alimentari, dicono che da Mondovì a Ormea si nota un movimento veramente impressionante di Alpini (Monte Rosa) e Granatieri repubblichini i quali non molestano affatto i viandanti, anzi nelle salite più di una volta li hanno aiutati a spingere il loro carretto.
10 novembre 1944 - Da ieri si verifica anche un insolito movimento di patrioti che, scendendo da Nava, s'avviano verso il mare. Anche questa notte son passate alcune bande ben armate -  Avevano pure due mortai e cinque muli.
11 novembre 1944 - È mezzogiorno e, fino a questo momento, non vi è nulla da segnalare. Il caso è assai strano, essendo giorno di sabato che, per lo più, non passa mai inosservato - I giorni di marca sono sempre stati il sabato e la domenica. Il Commissario del Comune, giunto testè da Oneglia, informa che domani o lunedì arriveranno a Pieve 200 tedeschi per la ricostruzione dei ponti Saponiera e Gadè -, lavoro che vogliono ultimare in nove giorni. Dice di rimanere tranquilli perché non molesteranno la popolazione civile - Ciò farebbe piacere se non vi fosse la paura che i partigiani non tentino qualche azione imprudente e solo apportatrice di rappresaglia verso la popolazione civile.
12 novembre 1944 - Magaglio il cementista, venuto da Ormea, racconta che i partigiani ieri hanno nuovamente fatto saltare il ponte ricostruito dai Tedeschi a Ponte di Nava, sicché tutti gli abitanti, che erano oltre il fiume (che è in piena), per potersene tornare a casa, sono stati costretti a fare il giro da Cantarana, con tutto il bestiame appresso. In Castelvecchio [di Imperia] i tedeschi hanno invaso la casa dei pompieri, asportando ogni cosa. Hanno pure preso il comandante Arnaldo Brignacca che però, giunti a Diano Marina, lasciarono andare libero. Mio figlio, passando per il colle d'Armo, è giunto ieri sera da Ormea con un carico di 26 chili di generi alimentari. I patrioti ci hanno assicurato che, durante la ricostruzione dei ponti, non avrebbero fatto veruna azione contro i tedeschi. Tale dichiarazione fu per tutti di grande sollievo.
13 novembre 1944 - Contrariamente alle assicurazioni che nessun civile sarebbe stato molestato per le riparazioni ai ponti, questa mattina all'alba, cioè alle ore 7 il «lancia grida» ci informa che: «Per ordine del comando tedesco, tutti gli uomini dai 16 ai 60 anni, alle otto e mezza di stamattina, debbono trovarsi al ponte Paperera per opportuni lavori». I tedeschi sono giunti ieri sera ed hanno pernottato a Muzio, invadendo la mia casa -  (Come al solito). Oggi però si sono trasferiti a Pieve
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994
 

lunedì 27 settembre 2021

Pupazzi tedeschi con elmetti

Una vista verso ponente dal Monte Faudo - Fonte: Mapio.net

27 febbraio 1945 - Da "Cardinale" [Roberto Cortenova] alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che il 26 febbraio erano transitati verso Diano Marina 19 soldati tedeschi in bicicletta, equipaggiati con le sole armi personali, e che alle ore 15 erano passati a piedi in direzione Andora 21 tedeschi; che il giorno 28 sarebbero rientrati a Cervo 30 soldati tedeschi della 7^ compagnia.
 
27 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 149, al comando della III^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Libero Briganti" della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] - Comunicava che in vista degli sviluppi militari era opportuno intensificare i rapporti, soprattutto per organizzare azioni comuni sulla carrozzabile Albenga Garessio. Sostenendo che forse per "poter defluire dalla Liguria" i tedeschi avrebbero imposto un coprifuoco di 72 ore insisteva a proporre azioni di sabotaggio sulla strada già menzionata, imboscate che avrebbero anche potuto essere condotte insieme, dato che il tratto di costa di competenza della I^ Zona andava dal fronte italo-francese a Ceriale (SV).

27 febbraio 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/72, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava quanto riferito da "Cardinale" [Roberto Cortenova] con lettera del 21 febbraio relativa alla situazione nella città di Imperia, confermando l'arrivo di 300 soldati della 34^ Divisione tedesca, forse di passaggio, perché diretti a Pieve di Teco.
 
28 febbraio 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" - Convocazione per una riunione che si sarebbe tenuta a Ginestro il 1° marzo  alle ore 14 per i comandanti "Mancen", "Germano", "Bill", "Russo" [Tarquinio Garattini] ed i commissari politici "Federico", "Brilla", "Billi" [Roberto Amadeo], "Verrina" [Angelo Spilla] e "Athos" [forse Pellegrino Caregnato].
 
1 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Si ufficializzava la composizione dei comandi delle Brigate dipendenti: I^ Brigata "Silvano Belgrano" comandante "Mancen" [Massimo Gismondi], vice comandante "Gordon" [Germano Belgrano], commissario "Federico" [Federico Sibilla], vice commissario "Loris" [Carlino Carli], capo di Stato Maggiore "Cis" [Giorgio Alpron]; II^ Brigata "Nino Berio" comandante "Gino" [Giovanni Fossati], vice comandante "Basco" [Giacomo Ardissone], commissario "Athos" [Pellegrino Caregnato], vice commissario "Franco" [Giovanni Trucco]; capo di Stato Maggiore "Vincenzo"; III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" comandante "Fernandel" Mario Gennari; vice comandante "Leo" Leone Basso; commissario "Gapon" Felice Scotto; vice commissario "Megu" Ugo Rosso.

1 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/73, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Si comunicava che informatori della Sezione avevano riferito notizie relative al'arrivo di nuove truppe tedesche in Pieve di Teco (IM) e circa le richieste tedesche agli olivicoltori.

1 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Si riferiva che i nazisti avevano costruito ai piedi del Monte Faudo trincee e camminamenti che erano sorvegliati da soldati, ma che erano stati anche messi dei pupazzi con elmetti; che il 28 febbraio erano transitati circa 400 tedeschi provenienti da Ventimiglia e diretti a Pontedassio, tutti giovani appartenenti alla Flak, la contraerea; che continuava la ricerca di informatori ad Alassio (SV) e a Chiusavecchia (IM).

1 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" al signor Aicardi - Faceva divieto al signor Aicardi di abbandonare l'abitazione senza aver prima ottenuto, previa istanza con specificati motivi, luoghi e durate delle uscite, il consenso del comando partigiano e di avere rapporti con tedeschi e fascisti; gli si ricordava che necessitava di autorizzazione per ogni ritiro delle propria pensione ad Alassio; lo si avvisava che in caso di inadempienze alle richiamate disposizioni sarebbe stato sottoposto ad una nuova inchiesta.

1 marzo 1945 - Circolare che trasmetteva un documento del CLNAI a tutti i CLN in cui si affermava che continuavano l'avanzata sovietica ed il "martellamento" anglo-americano ai danni dei tedeschi, "che ora comprendono cosa significa avere la guerra nelle proprie città"; che il CLNAI e tutti i partigiani "attendono l'ora della riscossa contro il predone tedesco ed il suo servo fascista che gli ha spalancato le porte: dietro ai patrioti sta tutto il popolo italiano che vuole dimostrare che esso non ha nulla a che fare con la guerra di aggressione imposta dal fascismo".

1 marzo 1945 - Dal comando del Distaccamento "Angiolino Viani" al comando I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Si comunicava che il 6 febbraio erano stati catturati ed uccisi 2 militari della San Marco provenienti da Andora per acquistare olio, ricavando un bottino consistente in 1 cavallo, 1 domatrice, 2 tapum, 1 pistola, 3 coperte e 95 kg. di olio d'oliva, e che il 18 febbraio erano stati uccisi altri 2 soldati repubblichini.

1 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM del C.L.N. di Sanremo, prot. n° 346, alla Sezione SIM della V^ Brigata - Si informava che il 27 febbraio si era verificato un rastrellamento a San Giacomo, Frazione di Sanremo, ed il 28 c'era stato un altro rastrellamento a Verezzo, altra Frazione di Sanremo; che a Bussana, sempre Frazione di Sanremo, vigeva il coprifuoco; che a Sanremo si stava intensificando l'attività spionistica dei tedeschi; che alcuni partigiani, caduti prigionieri, interrogati dal tenente Crotta, non avevano rivelato nulla; che a Bordighera i tedeschi avevano iniziato ad asportare le rotaie della ferrovia tramite una macchina speciale già sul luogo dal dicembre scorso; che era inutile l'attacco contro il "sarto Sofia".

1 marzo 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 352, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava l'invio di 150.000 lire, consegnate dal CLN provinciale, cifra alla quale si sarebbero presto aggiunte 400.000 lire.

1 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della II^ Divisione ai responsabili SIM della IV^ Brigata e della V^ Brigata - Comunicava che ai responsabili SIM di Brigata sarebbero state assegnate, una per formazione, squadre adibite al servizio di polizia e divise in 2 nuclei formati da 5 partigiani, squadre che avrebbero dovuto "procedere agli arresti di tutti gli individui segnalati dal CLN" e controllare gli arresti effettuati dalle SAP.

1 marzo 1945 - Dal comando della II^ Brigata al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Elenco delle armi in dotazione ai reparti della II^ Brigata: 16 armi pesanti o mitragliatori, 12 armi automatiche, 74 tra fucili e moschetti.

1 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della II^ Divisione al comando della II^ Divisione - Comunicava che il garibaldino "Deri", austriaco, aveva esclamato, prima di essere fucilato, "dite al Curto che moriamo come siamo vissuti!" e che un comandante di Brigata SAP, un certo "Mercurio", dopo essere stato arrestato, girava mascherato per segnalare ai fascisti i suoi ex compagni.

1 marzo 1945 - Da "Ernesto" alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che da notizie carpite alle Brigate Nere pareva imminente un rastrellamento nella zona tra Albenga e Andora e che un imminente coprifuoco di 72 ore sembrava servisse ai tedeschi per evacuare la zona.

1 marzo 1945 - Da "K. 20" alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che il 27 febbraio erano rientrati a San Bartolomeo al Mare dalle esercitazioni tenute a Pontedassio (IM) 32 militari tedeschi muniti di armi individuali, mitraglie e mortai; che i militari di stanza a Cervo e a San Bartolomeo al Mare erano quasi tutti prussiani e di un'età compresa tra i 20 ed i 25 anni; che il morale dei tedeschi era in ribasso, anche se "una buona parte è ancora convinta di un esito a loro favorevole per la fine della guerra".

1 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava, con dicitura "Urgentissima", che pareva assodato che elementi fascisti vestiti in borghese, forse O.P., avevano eseguito un controllo nella zona Triora-Molini di Triora, individuando le postazioni della Divisione "Felice Cascione", per cui riteneva prossimo un grande rastrellamento nemico in quelle località.
 
2 marzo 1945 - Dal commissario [Mario, Carlo De Lucis] della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Nel corpo di questa relazione politica sull'attività svolta nel mese di febbraio 1945, "un mese denso di lavoro e soddisfazioni", si possono notare la lunga malattia di "Osvaldo" (Osvaldo Contestabile); la riorganizzazione, dopo i rastrellamenti di fine gennaio, ai primi di febbraio dei Distaccamenti, con il Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" il più provato; un rapporto positivo con il clero, nonostante il fatto che il parroco di Onzo si fosse per timore dei nazifascisti rifiutato di dare gli ultimi conforti religiosi ad un partigiano morente; l'invio di "Fra Diavolo" in Alta Val Tanaro per riorganizzare i gruppi garibaldini; una sorta di contenzioso con il CLN di... [timoroso di rappresaglie nemiche sui civili?].

3 marzo 1945 - Da "K. 20" della Sezione SIM "Fondo Valle" della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava la relazione di "S. 22" ricevuta il 1° marzo, in cui tra l'altro si può leggere che "in località Priola a Cervo sono giunti 2 soldati tedeschi radiotelegrafisti appartenenti all'80° Battaglione, armati di pistol-machine e di moschetto, i quali si sono sistemati in una casa di un privato da dove fanno esercitazioni".
 
4 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 161, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava che il comando di Divisione era in attesa di conoscere la data dell'aviolancio alleato nella zona di cui aveva già inviato una cartina topografica.
 
4 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/76, a "Nemo" [Aldo Galvagno] - Comunicava che "Livio" [Ugo Vitali] aveva preso il suo posto come responsabile SIM, che "Citrato" [Angelo Ghiron] era diventato vice responsabile SIM, che la Sezione SIM si era maggiormente ramificata stante l'aumento del numero di informatori a disposizione dalla montagna al mare nella zona di competenenza, che...
 
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
 
25 febbraio 1945 - È giunta da Imperia una colonna tedesca di circa 300 uomini, con relative salmerie. Da mezzogiorno alle quattro pomeridiane si verifica un ininterrotto transito di formazioni aeree. Il terribile maresciallo Grot, che se ne era andato, è ritornato a Pieve da quattro giorni e stamattina, con una cinquantina di uomini, è partito per una operazione di rastrellamento verso Mendatica.
26 febbraio 1945 - I tedeschi distendono per Pieve e giù per il borgo inferiore, fino a S. Lazzaro, nuovi fili telefonici; a quanto si dice sembra che il Comando ledesco abbia scelto Pieve come centro di depositi di vario genere, cioè di tutto il materiale che ivi portano dal litorale, per sottrarlo all'azione dei bombardamenti. Da stamattina soldati tedeschi si aggirano per tutti i vicoli in cerca di stalle o fondi di ogni sorta, per cavalli e carriaggi.
27 febbraio 1945 - Da mezzogiorno alle quattro pomeridiane si verifica un intenso passaggio di formazioni aeree. Dalle 9,30 alle 10,30 si sono sentiti in lontananza come dei boati. Venivano dalle parti del litorale.
28 febbraio 1945 - Si nota un maggior movimento di truppa tedesca dal mare al Piemonte e anche stanotte un frequente passaggio di carriaggi. Questa sera, provenienti dalla valle Argentina, sono giunte truppe tedesche in azione di rastrellamento. Avevano seco quattro borghesi giovani, due dei quali erano ammanettati; i due, che erano liberi, si dice siano di nazionalità olandese. Questa notte sono pure giunti 300 soldati tedeschi giovanissimi, cioè dai 15 ai 18 anni.
1° marzo 1945 - Nel dopopranzo sono arrivati altri 200 di questi giovanotti tedeschi e si parla di altri arrivi. Vengono da Sanremo; si dice siano tutti paracadutisti volontari.
2 marzo 1945 - I due partigiani, portati ammanettati l'altro ieri, alle ore 8 e trenta di stamattina sono stati fucilati nel solito prato. Il movimento di truppa tedesca è sempre più accentuato - il movimento è veramente insolito - Per la prima volta i giustiziati di ieri sono stati accompagnati al Cimitero dal sacerdote.
3 marzo 1945 - Sono le 7,30 e passa un gran camion carico di truppa fascista diretta al mare. La truppa tedesca e repubblichina è in continuo movimento, lasciando l'impressione della incertezza, cioè che non sappiano neanche più loro dove dirigersi.
Questa mattina si sono udite raffiche di mitraglia e colpi di fucile: con tutta probabilità si trattava di raffiche estemporanee, fatte ad arte, per tenere a bada i partigiani, affinché non scendano a molestare le truppe di passaggio.
4 marzo 1945 - I due olandesi sono stati trasportati ad Ormea, dove è il comando tedesco presidiato da un generale. La truppa tedesca presente in Pieve si può oggi calcolare sui 200 uomini, cioè: 60 giovani ultimi arrivati e gli altri tutti conducenti. Tranne però i graduati, che sono effettivamente tedeschi, la ciurma è tutta composta da prigionieri russi e croati. In Ormea, il generale con l'intero Comando occupa villa Bianchi - La gendarmeria occupa villa Pittavino. Il Comando, in un primo tempo, occupava la mia casa, ma a seguito del bombardamento che ha distrutto quasi tutti i caseggiati di Via alle Scuole, si è trasferito in villa Bianchi.
5 marzo 1945 - Un reparto di 36 pionieri mi hanno occupato la casa di Muzio. Ho potuto parlare con un sorvegliante tedesco che capiva assai bene la nostra lingua e gli feci presente che detta casa occorreva a noi per ragione di lavori agricoli e di altre necessità. Mi assicurò che avrebbe pro seguito senz'altro per Vessalico, e me ne andai.
6 marzo 1945 - Il movimento della truppa è sempre in aumento; non in grandi masse, ma con molta frequenza.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994
 
Come era stato segnalato, nelle prime ore del 2 marzo 1945, una colonna tedesca di circa seicento uomini, entra nella Valle Pennavaira attraverso il passo di Caprauna. Le pattuglie partigiane avvistano il nemico per cui mettono in stato d'allarme la zona. In breve tempo il personale dell'intendenza nasconde i viveri, ma non si può evitare che due garibaldini, il russo Andrivich e “Alpino”, siano catturati dal nemico in seguito ad un breve ma duro combattimento. Questi sfoga la sua ira contro la popolazione civile, è uccisa una donna che aveva aiutato i partigiani. I Distaccamenti riescono a sottrarsi allo scontro per la scarsissima dotazione di armi automatiche e di munizioni. Lagorio Enrico (Enrico) e Giovanni Olivo (Gianni), altri due partigiani catturati, sono condotti a Pieve di Teco ed ivi fucilati.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, p. 192 

Giovanni Olivo

Per la prima volta parlo pubblicamente di mio fratello Giovanni Olivo, eroe della Resistenza. Lo faccio con pudore, perché nessuna parola è efficace per esprimere il senso della sua grande e breve esistenza. Giovanni aveva 21 anni quando il 2 Marzo 1945, fucilato dai tedeschi a Pieve di Teco, donò la propria vita per un grande ideale. A me non fu concessa la gioia della condivisione come sorella: ci ha separato la differenza di età. Infatti avevo dieci anni quando lui, studente in medicina all’Università di Bologna, si rifugiò a Rezzo, dove aderì alla lotta partigiana, donando la propria giovinezza. Il suo nome è inciso sui Cippi che ricordano tutti i caduti: Arezzo, Pieve di Teco, Imperia e Bordighera.
La sua assenza-presenza è incisa nel mio cuore. La sua testimonianza è stata per me un faro di luce nei momenti in cui la vita mi ha dato modo di svolgere ruoli delicati, prima come insegnante ed educatrice, in seguito nel ruolo delicatissimo di pubblico amministratore, quale Sindaco della nostra amata Bordighera.
Ho accettato e affrontato situazioni impegnative, spesso laceranti, guardando a Lui, a mio fratello Giovanni, che offrì se stesso perché altri avessero la Vita. Ho voluto che da Rezzo, dove era stato tumulato dopo la sua morte, ritornasse a Bordighera, rispettando il desiderio dei nostri genitori.
E tornò in un giorno speciale: il 14 Maggio 1996, festività di S. Ampelio [...]
Renata Olivo in Paize Autu, Periodico dell’Associazione “U Risveiu Burdigotu”, Anno 7, nr. 4, Aprile 2014
 
Giovanni Olivo: Titolo di "Dottore Honoris Causa" in Scienze Agrarie firmato dal rettore Edoardo Volterra. Fonte: Storia e Memoria di Bologna cit. infra

Giovanni Olivo di Matteo ed Eleonora Magaglio; nato il 18 Novembre 1923 a Bordighera (IM). Militò nella V brigata della Divisione 'Felice Cascione' Liguria. Fucilato a Pieve di Teco (IM).
Riconosciuto partigiano dal 27 Luglio 1944 al 2 Marzo 1945.
Fu insignito del titolo di "Dottore Honoris Causa" in Scienze Agrarie dall'Università di Bologna.
E' ricordato nel Sacrario di Piazza Nettuno.
Redazione, Giovanni Olivo, Storia e Memoria di Bologna

giovedì 23 settembre 2021

Il comando tedesco, aiutato dai fascisti, a Poggio di Sanremo la rappresaglia la mise in atto

Colline alle spalle di Poggio, Frazione di Sanremo (IM)

"[...] 24 novembre 1944. Altra mattinata di sole. Io sto giocando all’aperto, sul selciato della piazzetta del Dopolavoro, svogliatamente, perché, a differenza delle altre mattine, sono solo. Sento il rumore di un motore avvicinarsi. Mi affaccio dal parapetto e vedo arrivare un camion che arranca lentamente. L’automezzo entra nella stretta via che conduce alla piazza di Poggio ed sparisce al mio sguardo.
Dopo alcuni minuti rompe il silenzio un interminabile crepitio di mitraglia. Non faccio a tempo ad arrivare da mia mamma che si vede poco distante una spessa nube di fumo. In giro si sente un coro di urla e pianti. Si saprà poco dopo che i tedeschi hanno voluto, con quel gesto, vendicare l’uccisione di un loro commilitone, freddato pochi giorni prima non da un partigiano, ma da uno sbandato ubriaco. Questi, entrato nell’osteria della piazza, aveva compiuto la tragica bravata di sparare alle spalle del militare che stava giocando a carte o a bere. L’ucciso non apparteneva alle SS: era un graduato che non aveva mai mostrato crudeltà alcuna, addirittura ben voluto da tutti. La popolazione organizzò subito un funerale solenne, sperando di scongiurare la rappresaglia. Ma il comando tedesco, aiutato dai fascisti, prelevati dei prigionieri da Villa Oberg o dal Castello Devachan, la rappresaglia la mise in atto. Gli assassini, dopo avere ucciso i dieci giovani prigionieri, diedero fuoco all’osteria dove tutto aveva avuto inizio; poi, entrati nell’alloggio dal cui balcone una donna aveva gridato qualche parola ad uno dei condannati, chiamandolo per nome, distrussero e incendiarono tutto quanto trovarono, senza dimenticarsi, prima di risalire sul camion e ripartire, di ordinare che nessun abitante di Poggio si azzardasse a toccare i cadaveri sanguinanti.
Gli incendi vennero domati, la piazza rimase devastata per un bel pezzo, con i buchi lasciati dalle pallottole ben visibili su una saracinesca e un muro. I corpi, dopo un giorno o due, vennero furtivamente non sepolti, ma interrati provvisoriamente in un terreno vicino, ciascuno con attaccato a un piede un cartellino con le generalità. Tutto ciò fu organizzato dalle donne, guidate dal necroforo del paese.
[...] Mi sembra giusto ricordare, nome per nome, quei giovani torturati e uccisi dai nazi-fascisti, nostri ideali figli e nipoti:
Domenico Basso (Vincenzo) di Rocchetta Nervina (Imperia)
Giuseppe Castiglione ( Beppe) di Centuripe (Enna )
Pietro Catalano - Ventimiglia (Imperia)
Giovanni Ceriolo (Dino) - Bussana - Sanremo (Imperia)
Pietro Famiano (Piero) - Sant’Agata (Imperia)
Michele Ferrara (Magnin) - Pigna ( Imperia)
Aldo Limon - Olivetta San Michele ( Imperia)
Giobatta Littardi (Giovanni) - Pigna ( Imperia)
Paolo Selmi ( Biancon) - Genova
Ignoto
 
San Giacomo, Frazione di Sanremo (IM): Chiesa Parrocchiale

Al ritorno dall’avere trucidato a Poggio quei dieci giovani, i nazifascisti si fermarono in località San Giacomo e ne assassinarono davanti alla chiesa altri tre:
Marco Carabalona
Filippo Basso
Stefano Boero
Tutti e tre erano contadini di Rocchetta Nervina.
Poco prima della Liberazione, il 22 aprile 1945, veniva fucilato il patriota milanese Gualtiero Zanderighi (Tenore). Poggio di Sanremo ha avuto un’altra giovane vittima, Andrea Grossi Bianchi".
Chiara Salvini, Franco D’Imporzano commemora a nome dell'ANPI il 17 Novembre 2017 i martiri di Poggio uccisi dai nazisti nell'autunno del 1944, neldeliriononeromaisola, 29 novembre 2017

Poggio, Frazione di Sanremo (IM): un caruggio

Il 17 novembre al termine di un  rastrellamento condotto nel centro storico della Pigna e in Frazione Poggio, sempre di Sanremo, venivano fucilati 3 civili. A Poggio vennero anche bruciate alcune case.
Il 24 novembre i nazifascisti uccisero in Sanremo altre 10 persone su 24 prelevate in alcuni paesi.
Da Pigna vennero condotti a Poggio di Sanremo per essere fucilati i partigiani Giuseppe Castiglione, Pietro Famiano, Michele Ferrara, Giobatta Littardi, Angiolino Bianconi Selmi.
Da Rocchetta Nervina a San Giacomo di Sanremo, dove vennero trucidati, Domenico Basso, Filippo Basso, Stefano Boero e Marco Carabalona.
Sempre in Sanremo venne fucilato quel giorno il sapista Giovanni Dino Ceriolo.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 1999
 
Giovanni Ceriolo. Giovane bussanese ventitreenne partecipò alla Resistenza ligure nella 'prima zona" con il nome "Dino" (cfr. G. Gimelli, La resistenza in Liguria, Carocci Ed. 2005, p. 528).
L'estremo Ponente ligure era «di vitale importanza per le truppe germaniche che operarono sul confine e sulla costa... Secondo un calcolo aritmetico le brigate della prima zona risulterebbero tra quelle che hanno subito il maggior numero di rastrellamenti rispetto alle altre regioni operative della regione» (La resistenza in Liguria, cit., p. 517).
Bussana viveva in quell'epoca in una atmosfera da incubo: vi era dislocato un Comando tedesco e postazioni antisbarco erano collocate tra Bussana Vecchia e la nuova.
In quel torno di tempo il Parroco, Mons. Francesco Buffaria, fu minacciato di arresto per il rifiuto di rivelare i nomi di eventuali partigiani della parrocchia: generosamente si offerse in suo luogo Don Francesco Moro, allora vice parroco, che fu carcerato con il confratello di Arma di Taggia Don Angelo Nanni. Essi «assumono nel carcere "pur col pianto nel cuore" atteggiamenti di serenità o di allegria per tener viva la speranza negli altri prigionieri ed impedire che siano sopraffatti dal panico e dalla disperazione» (G. Strato, C. Rubaudo, F. Biga, Storia della resistenza imperiese I Zona Liguria, Sabatelli Ed. 1992, Vol. 2, p. 71).
Il Ceriolo fu arrestato a seguito di una irruzione nella sua casa e dopo dieci giorni, il 24 novembre 1944, fu sottoposto a fucilazione a Poggio di San Remo insieme ad altri nove compagni. A loro fu dedicata la piazza del triste evento col titolo "Piazza Martiri" e una lapide con la seguente scritta: Qui / la rabbia teutonica spegneva la giovinezza / di undici Martiri. / Perché il loro ricordo non muoia / e sia di esempio alle generazioni future / Poggio / incise sul marmo i loro nomi (cfr. M. Bottero, Memorie nella pietra, monumenti alla resistenza ligure, 1945‑1996, Ist. Storico della Resistenza Ligure, 1996, p. 219).
Si narra un triste episodio collegato a questa esecuzione: una conoscente di Giovanni, Maria Ceriolo, che si rivolse a lui da una finestra pronunciando il suo nome, fu punita con l'incendio della sua casa.
Redazione, Toponomastica bussanese, Sacro Cuore Bussana [Sanremo], ottobre 2015

Poggio, Frazione di Sanremo (IM): un vicolo

Elenco delle vittime decedute
Basso Domenico (nome di battaglia “Vincenzo”) di Marcellino nato a Rocchetta Nervina il 17.11.1901, anni 43, contadino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 11.05.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3209, fucilato a Poggio di Sanremo
Basso Filippo (nome di battaglia “Piccolo”) fu Stefano nato a Rocchetta Nervina il 25.11.1900, anni 43, contadino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 6.06.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3208, fucilato a San Giacomo di Sanremo
Boero Stefano (nome di battaglia “Stefano”) di Stefano nato a Rocchetta Nervina il 5.12.1905, anni 38, contadino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 4.06.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3215, fucilato a San Giacomo di Sanremo
Carabalona Marco (nome di battaglia “Marco”) fu Gio Batta nato a Rocchetta Nervina il 25.04.1900, anni 44, contadino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 2.06.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3226, fucilato a San Giacomo di Sanremo
Castiglione Giuseppe (nome di battaglia “Giuseppe”) fu Antonio nato a Centuripe (Enna) l' 1.06.1903, anni 41, contadino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 29.08.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 10514, fucilato a Poggio di Sanremo
Catalano Pietro, civile, fucilato a Poggio di Sanremo
Ceriolo Giovanni (nome di battaglia “Dino”) di Attilio nato a Bussana Sanremo il 23.02.1921, anni 23, partigiano (Divis. SAP, V Brig.) dal 10.10.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 15242, fucilato a Poggio di Sanremo
Famiano Pietro (nome di battaglia “Piero”) di Paolo nato a Santa Agata Militello (Messina) il 25.04.1913, anni 31, sott.ufficiale di carriera in S.P.E., partigiano (II Divis. V Brig.) dal 25.08.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3238, fucilato a Poggio di Sanremo
Ferrara Michele (nome di battaglia “Magnin”) di Isidoro nato a Pigna il 9.06.1897, anni 47, contadino e magnino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 15.08.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3242, fucilato a Poggio di Sanremo
Limon Aldo, civile, fucilato a Poggio di Sanremo
Littardi G.B. (nome di battaglia “Giovanni”) di Giovanni nato a Pigna il 13.01.1914, anni 30, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 18.06.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 61105, fucilato a Poggio di Sanremo
Selmi Angelo o Angiolino (nome di battaglia “Biancon”) di Sabatino nato a Genova il 13.10.1914, anni 30, operaio, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 12.06.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 12312 fucilato a Poggio di Sanremo
Ignoto
[...]
Monumenti/Cippi/Lapidi:
Lapide in marmo - riferita a rastrellamento e fucilazione del 24.11.1944 a Poggio - iscrizione “qui la rabbia teutonica spegneva la giovinezza di undici martiri perché il loro ricordo... ..” (vengono citati 11 martiri invece di 10 perché è stato inserito anche il nominativo di Zanderighi Gualtiero caduto a Poggio il 22.04.1945) - sita in frazione Poggio Comune di Sanremo.
Edicola in pietra e cemento: lapide in marmo riferita a rastrellamento e fucilazione (fraz. San Giacomo 24.11.1944 - n° 3 caduti) - iscrizione: “colpiti da crudele piombo nazista qui caddero per un Italia libera i Patrioti.... - sita in fraz. San Giacomo - Comune di Sanremo.
Sabina Giribaldi, Episodio di Poggio e San Giacomo, Sanremo, 24.11.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

Poggio, Frazione di Sanremo (IM): Chiesa Parrocchiale di Santa Margherita d'Antiochia

In epoca che il soggetto dice di non saper precisare, in una osteria di Poggio di S. Remo fu ucciso un militare tedesco appartenente alle 34^ divisione di fanteria.
Fu subito avvisato l'ufficio del RAITER, che si recò sul posto unitamente al soggetto e SCHMITD.
Il soggetto sostiene che in detta occasione essi si limitarono a chiedere al proprietario dell'osteria come si erano svolti i fatti.
Questi infatti disse che conosceva da diverso tempo il detto militare in quanto era già stato dislocato proprio a Poggio.
Fu poi trasferito nei pressi di Ventimiglia. Siccome aveva contratto rapporti di amicizia col proprietario, alla domenica era solito venirlo a trovare.
Anche quel giorno, come aveva fatto altre volte, il militare tedesco si era intrattenuto nell'osteria ed era vicino al banco intento a bere un bicchiere di vino, quando tre persone sedute ad un tavolo si alzarono e dopo averlo disarmato lo uccisero con un colpo di pistola.
Fatto ciò i tre, che il proprietario disse di non avere mai visto, fuggirono.
Dopo avere poi preso i connotati ed i documenti del militare il RAITER avvisò la Felgendarmeria e si pose quindi in contatto col generale LIEB comandante della 34^ divisione.
I^ FUCILAZIONE DI SEI O SETTE OSTAGGI
Ritornati al comando, il maresciallo Raiter telefonò al generale Lieb per riferire circa l'uccisione del militare.
Il soggetto sostiene di non essere stato presente quando il RAITER telefonava, né di essersi ulteriormente interessato dell'uccisione.
Solo due giorni dopo seppe che la 34^ divisione aveva fucilato sei o sette italiani quali ostaggi per l'uccisione del soldato tedesco.
Il soggetto insiste nel negare di conoscere particolari circa l'esecuzione sommaria degli italiani né di conoscere dove essi furono prelevati e sepolti.
Neanche dell'oste, che naturalmente avrebbe dovuto avere serie noie per l'uccisione avvenuta nel suo locale, il soggetto dice di saperne nulla.
Sa soltanto, o per meglio dire, ammette solo di aver saputo che a Poggio furono fucilati gli italiani per rappresaglia. 
Sintesi di un verbale di interrogatorio (Cas) a carico di Ernest Schifferegger (altoatesino, interprete, ex sergente SS, presente anche a Sanremo), verbale confluito in un rapporto del 2 giugno 1947 redatto dall’OSS statunitense

[ n.d.r.: Ernest Schifferegger, come si apprende dall'atto sopra citato, era un italiano altoatesino che, in occasione del referendum del 1939 aveva optato, come tutti i membri della sua numerosa famiglia, per la nazionalità tedesca. Entrato nelle SS, operò - a suo dire - solo nella logistica, su diversi punti del fronte occidentale. Era, tuttavia, a Roma come interprete, quando partecipò al prelievo di un gruppo 25 prigionieri politici italiani condotti a morte nella strage delle Fosse Ardeatine. Fece in seguito l’interprete per i nazisti anche a Sanremo. La relazione dell’OSS riporta che alla data del 2 giugno 1947 Schifferegger era ancora in custodia alla Corte d’Assise Straordinaria di Sanremo ]

venerdì 17 settembre 2021

Ferito gravemente alla gamba destra un partigiano che poi risultò essere Modena Antonio

Pagina 10 (qui citata) del Diario del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan - cit. infra

Operazione antiribelle del 5 dicembre 1944/XXIII
A iniziativa del comando G.N.R. (Capitano Sainas) con 36 uomini della Provinciale (al comando del S. Ten. Greppia) e 15 uomini della Brg. Nera al Comando del V. Comte Ravina, si rastrella la zona della Cava di Verezzo (Verezzo Ponte e Rodi).
Comandano e dirigono l'azione il Capitano Sainas ed il Comandante Ten. Mangano.
Partenza dalla caserma ore 5,1/4
[...] Verso le 6,3/4 la pattuglia di destra (Pelucchini) svolge azione di fuoco e ferisce un ribelle che poi risultò essere un certo Modena Antonio il quale al momento del fermo tentò corrompere i legionari Pelucchini e Bartoli offrendo lire cinquecento (£. 500) cadauno per riscattare la propria libertà. Avuto un netto e reciso rifiuto pensò bene darsi alla fuga, e fu allora che Bartoli gli sparò e lo ferì gravemente alla gamba destra.
Bilancio generale dell'Azione: due fermi di renitenti alla leva ed un ribelle ferito.
[...] Visto/Il Comandante Mangano [...]
Diario del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan. Documento in Archivio di Stato di Genova, copia di Paolo Bianchi di Sanremo

BARTOLI IVO: nato a Buti (Pi) il 24 agosto 1924, squadrista della Brigata nera “Padoan”, distaccamento di Sanremo.
Interrogatorio del 26.6.1945:
Nei primi di gennaio del 1944 fui rastrellato in via Vittorio di Sanremo, nel caffè Iris, da agenti di polizia e internato nel campo di concentramento di Vallecrosia. Qui ci venne fatta la proposta di arruolarci nelle forze armate repubblicane o di andare a lavorare in Germania.
Decisi di arruolarmi nel Battaglione Italiani all’Estero di stanza a Taggia. Dopo alcuni giorni venni trasferito a Genova ed incorporato nel Comando Marina dove rimasi fino al mese di luglio quando disertai tornandomene a casa. Andai quindi in montagna, a Carmo Langan, con i patrioti. Qui sono rimasto 10 o 15 giorni dopo di che sono tornato a casa perché il Comandante Vittò [n.d.r.: Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo] ci disse che chi voleva rimanere sarebbe rimasto a proprio rischio e pericolo e chi voleva andarsene era libero di farlo.
Sono quindi tornato a Sanremo dove mi nascosi a casa di un mio amico. Dopo circa tre mesi tornai a casa mia e dove, dopo alcuni giorni, fui arrestato dai militi della brigata nera, i quali volevano consegnarmi alle SS tedesche.
Io per evitare ciò mi arruolai nelle brigate nere in data 11 novembre 1944.
Dopo 15 giorni, il comandante del distaccamento, Mangano, mi ordinò di andare a fare un rastrellamento a Verezzo con altri della brigata nera.
Giunti nei pressi di Verezzo venne catturato un certo Modena, che fu assegnato a me perché lo guardassi.
Dopo un po' il Modena mi chiese di accompagnarlo al comandante della pattuglia, Pelucchini Dario, perché doveva parlargli. Ci avviammo ma mentre io mi girai per chiamare il Pelucchini, il Modena se la diede a gambe. Allora io sparai un colpo in aria per intimorirlo ma, visto che non si fermava, io e gli altri miei compagni gli abbiamo sparato contro ed il Modena cadde per terra e rimase dietro un muro di una casa. Andammo a vedere ma il Modena non c’era più e cercatolo non lo abbiamo più trovato. Dopo poco sopraggiunse il Capitano Sainas della GNR, il quale con i suoi militi si recò a cercare il Modena che fu rintracciato dopo circa una mezz’ora e subito udimmo degli spari. Quando i militi vennero sul posto dove eravamo noi, portarono il Modena ferito ad una gamba. Non posso dire se il Modena venne ferito da noi o dai militi della GNR. Rimasi nella brigata nera fino al 13 dicembre 1944, giorno in cui venni cacciato via perché toglievo i detonatori alle bombe a mano e tradotto alla caserma Crespi di Imperia, insieme ai rastrellati
[...]
CURTI WALTER: nato a Sanremo il 1° agosto 1929, squadrista della Brigata nera “Padoan”, distaccamento di Sanremo.
Interrogatorio del 28.5.1945:
Mi arruolai volontariamente nella brigata nera di Imperia nel novembre del 1944 e assegnato al distaccamento di Sanremo dove sono rimasto fino al giorno 24 aprile, giorno in cui siamo partiti per Imperia per incolonnarci col comando di brigata e con il comando della GNR diretti a Milano. Ho partecipato ad un rastrellamento verso la fine di novembre unitamente a reparti tedeschi, bersaglieri, marina tedesca e truppe del comando provinciale nella zona di Ceriana. In tale occasione non venne operato nessun arresto però il reparto della marina tedesca diede alle fiamme alcune case a ridosso del paese.
Una seconda operazione a cui ho partecipato venne fatta presso le cave di Verezzo insieme a reparti della provinciale (GNR). Per ciò che riguarda il nostro settore posso affermare che venne fermato un certo Modena e poiché questo tentò di fuggire fu fatto segno a colpi di moschetto. Venne raggiunto da un colpo sparatogli del milite della brigata nera Ivo Bartoli e ferito ad un ginocchio, indi fu fatto prigioniero.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione. Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019

Personaggi: un capitano tedesco, un tenente dell’Upi e un capitano della Gnr; per essere più precisi, il capitano Sainas. Ancora una volta la barbara legge tedesca delle rappresaglie sta per essere messa in atto: il capitano tedesco chiede al tenente dell’UPI dodici ostaggi da fucilare. Ma il numero dei prigionieri a disposizione del tenente è solo di otto.
Il tedesco s’intestardisce: “Ho detto dodici, Se no ci rimetto”. Il tenente non sa come fare. Il tedesco minaccia di far arrestare e fucilare le prime persone che incontra per la strada. Alla fine consultando le liste e le pratiche il tenente riesce a trovare altri tre candidati alla morte. Ne manca ancora uno, ma il tedesco è irremovibile. Si fa avanti il cap. Sainas e dice al tenente: “Se vuoi te ne presto uno io, ma poi tu me lo restituisci”.
Italo Calvino, articolo pubblicato senza firma sul numero 5 di “La nostra lotta”, giovedì 9 maggio 1945

Esemplare a riguardo quanto accade nella notte tra il 24 e il 25 aprile 1944 a Monte Castelluccio di Norcia: qui un un reparto della Gnr di Perugia utilizzato per la controguerriglia, denominato significativamente compagnia della morte e comandato dal capitano Sainas e dai tenenti Facioni e Vannucci, dopo un breve scontro a fuoco catturò il partigiano spoletino Paolo Schiavetti Arcangeli e due prigionieri di guerra di nazionalità sudafricana, tutti furono uccisi a sangue freddo dopo la cattura. La stessa compagnia, particolarmente attiva nella primavera 1944 nei rastrellamenti condotti in collaborazione con reparti tedeschi nella zona di Nocera Umbra e Cascia, fu protagonista a Marsciano, della fucilazione dei fratelli Ceci, fornendo i volontari per costituire il plotone di esecuzione e assicurando il servizio d’ordine.
Angelo Bitti, La guerra ai civili in Umbria (1943-1944). Per un Atlante delle stragi naziste, ISUC, 2007
  
  
Interrogatorio di Ravinale Athos dell’8.4.1946: Mi sono arruolato volontariamente nella brigata nera sanremese il 10 novembre 1944. Fui subito incorporato ed assegnato a fare servizi di guardia alla caserma e pattuglie in città. Ho partecipato assieme ai miei compagni a diversi rastrellamenti contro i partigiani a Sanremo e dintorni. Il primo di detti rastrellamenti, l’ho eseguito nel novembre 1944 in regione San Michele, nella quale vennero fermati due renitenti che vennero poi rilasciati. Nella notte dal 2 al 3 dicembre 1944, in unione a militari tedeschi, a militi della GNR e militari repubblicani, ho partecipato con 18 miei compagni ad un rastrellamento nella zona di Ceriana - Taggia - Poggio. In detta azione non venne ucciso né ferito nessun partigiano né venne effettuato alcun fermo [...] Il 5 dicembre dello stesso anno ho partecipato ad un rastrellamento contro partigiani nella zona di Cave di Verezzo. In detta azione venne ferito gravemente alla gamba destra, ad opera del milite della brigata nera Bartoli, un partigiano che poi risultò essere Modena Antonio. Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione.Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019  

[n.d.r.: allo stato attuale non è stato possibile reperire altre informazioni sulla figura e sulla sorte del partigiano Antonio Modena, se non in una missiva del CLN di Sanremo in data 13 aprile 1945, n° prot. 500, indirizzata al comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", da cui si stralcia la seguente frase "informeremo la famiglia di Modena che lo stesso sta bene e scriverà": ammesso e non concesso che si trattasse della stessa persona]

domenica 12 settembre 2021

Prigionieri di guerra jugoslavi a Garessio

Alto (CN) - Fonte: Mapio.net

Uno dei primi alassini a salire ad Alto [provincia di Cuneo, alta Val Pennavaira], veramente agli albori e cioé verso fine di settembre 1943 era Giuseppe Arimondo (Pippo o Elio o Mingo o D 33), ex ufficiale di artiglieria reduce da Trieste dopo il fatidico 8 settembre. Aveva trovato rifugio nella cascina Quan, in località Costabella ad Alto, mentre l'altro alassino Giovanni Sibelli (Sergio), anch'egli fuggito da Trieste dal 34° Reggimento artiglieri "Sassari", era nella cascina di Ettore in località Ferraia. Sibelli ritornerà dopo qualche tempo ad Alassio per aggregarsi al CLN e per dare il suo notevole contributo al locale PCI clandestino. Ad Alto, Sergio collaborava con Giorgio Alpron (Giorgio I o Cis)... Emozionante era stato per Pippo l'incontro con Felice Cascione (U Megu) e Vittorio Acquarone nella trattoria di Adelina, quando i due imperiesi tentavano di stabilire i primi collegamenti con gli albenganesi animati dalla comune fede comunista. Un episodio significativo era stata la ricerca di tre ufficiali jugoslavi prigionieri, evasi dal campo di concentramento di Garessio e rifugiatisi sul Monte Galero, saltuariamente soccorsi da Rina Bianchi di Nasino [in provincia di Savona, Val Pennavaira]. Pippo Arimondo con alcuni albenganesi... coronavano la ricerca, aggregando i tre slavi Milan R. Milutinovic (Mille), Obren L. Savic (Vincenzo) e Mihajlo Kavagenic (Michele o Dabo) al distaccamento ribelle. I tre jugoslavi combatteranno con i partigiani fino alla fine del conflitto. Arimondo (Pippo) nel gennaio 1944 scendeva ad Alassio per organizzare, come detto, il trasporto di armi e di munizioni. Nella sosta di alcuni giorni in Riviera incontrava in una casa privata di via Diaz, assieme a Virgilio Stalla, Angelo Martino e Giovanni Sibelli, il dirigente comunista Giancarlo Pajetta (Nullo o Mare), ispettore militare in viaggio lungo la costa ligure per coordinare le prime squadre partigiane comuniste, le Stelle Rosse. Avuto l'assenso per la disponibilità degli armamenti, Pippo ritornava ad Alto per riferire l'esito della missione. A quel punto Viveri (Umberto) e il comando partigiano rimandavano Pippo ad Alassio... Nel frattempo da Alto arrivava la tragica notizia della morte di Felice Cascione e la conseguente dispersione dei garibaldini verso il Piemonte.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016 

In altra occasione nel luglio 1942 il rifiuto dei prigionieri di rientrare nelle baracche dopo le ore 21 era stato represso a colpi di arma da fuoco con un bilancio di un morto ed un ferito. <79
Appena un mese dopo la quasi totalità dei prigionieri ex jugoslavi veniva trasferita in Piemonte nel campo di Garessio dove avrebbero goduto di un trattamento più umano. <80
Nelle sue memorie il prigioniero di guerra alleato J. Verney descrive l’uccisione di un soldato jugoslavo alla stazione di Sulmona nella concitata fase di trasferimento da Fonte d’Amore il 30 settembre <81.
Il territorio aquilano sarebbe stato tuttavia nuovamente frequentato da soldati e civili slavi rastrellati quando il Ministero della Guerra, per lenire le conseguenze di un’economia di guerra in gravi difficoltà, decise di pianificare l’utilizzo di manodopera a favore delle aziende private mediante l’utilizzo di prigionieri, pratica poi estesa anche agli internati civili. <82
79 Dal diario di Radovanović in R. Amedeo, Gli ufficiali … cit. p.123.
80 In provincia di Cuneo, a Garessio, entrava in funzione dall’ottobre 1942 il campo 43, riservato a prigionieri di guerra del disciolto Esercito jugoslavo. Ben migliore il trattamento ricevuto a Garessio rispetto a Sulmona: «Non occorre descrivere tutto, basti pensare alla comodità e, posso dire, che ci sentivamo quasi tutti villeggianti venuti qui a riposare.» Il diario di Radovanović è riportato in: R. Amedeo, Gli ufficiali … cit.
81 J. Verney, Un pranzo di erbe cit. p.48.
82 La competenza della gestione dei campi di lavoro, dapprima del Ministero della Guerra che provvedeva a regolamentarla con C.M. n.6 .721/C del 13 maggio 1942, veniva poi trasferita, l’anno successivo, al Ministero degli Interni.

Riccardo Lolli, La presenza degli internati slavi nell'Appennino aquilano. 1942-1944, Ricerca effettuata per l’Istituto Abruzzese per lo studio della Storia della Resistenza e dell’Età contemporanea, versione aggiornata al 30 aprile 2018, www.partigianijugoslavi.it  

L'Hotel Miramonti di Garessio (CN) - Fonte: VBStudio.net

Dopo l'8 settembre anche molti degli ufficiali slavi che erano prigionieri al Miramonti si rifugiarono in montagna, la popolazione li aiutò molto e lo stesso cav. Lepetit, che poi trovò la morte in un campo di concentramento tedesco, si diede molto da fare per gli ufficiali slavi e per gli stessi partigiani.
Testimonianza di Lucia Canova in Sergio Dalmasso, Lucia Canova, donna e comunista, CIPEC, Quaderno n° 1, Cuneo, 1995 
 
Quelli che qua o là sulle montagne rimasero ancora in armi all'avventura nei reparti, si accorsero col tempo brutto di avere la divisa tutta frusta e sbrindellata. Ma il grigioverde non se lo tolsero macché, dormendoci dentro; si arrangiarono come poterono portandoselo ancora in giro tutti arzilli e abborracciati.
Nei dintorni la gente, guatando, diceva sottovoce per non farsi sentire dalle spie, di averli visti di sicuro; lo dicevano con la faccia scura: pareva di sì che qualcuno li avesse proprio visti, e chissà come facevano a resistere, vacci a capire.
- Ma fanno bene, porca la miseria; fanno così perché essendo che lo fanno contro il fascio sono dei ribelli: è così che si fa, se non c'è nient'altro da fare -, diceva la gente.
Poi ad un certo punto, dai oggi dai domani, anche la gente imparò a conoscerli come trafficavano; e così a poco a poco, anche loro si organizzarono meglio dove si sentivano più tranquilli fuori mano, con la gente che li aiutava più che poteva. A Garessio, dove c'erano ancora le caserme in efficienza, cominciarono ripulendo un deposito di armi nuove tutte bene impilate; fecero così presto che quasi nessuno se ne accorse.
Successe d'amblé, senza tanti perché e percome, dopo che gli ufficiali jugoslavi prigionieri nel Miramonti erano scappati oltre il Colle di San Bernardo, e si nascosero nelle cascine da quelle parti verso il mare.
Quando questi partigiani senza tanti tiremmolla ripulirono il deposito delle armi col munizionamento, barbe lunghe e mantelline tese nel freschetto della sera, presero in più scarpe e coperte, non si sa mai cosa succederà dopo.
Poi sparirono come erano arrivati facendo come il vento, inutile cercarli nei dintorni, e anche più in là.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, p. 17
 
“Insieme con noi, braccio sotto braccio, scapparono il comandante, ufficiali, sottufficiali e sentinelle, tutti uniti verso lo stesso destino. Eravamo veri fratelli, come se fossimo vissuti sempre insieme, e nessuno più pensava a quello che eravamo considerati sino al 10 settembre 1943. A questo punto comincia l’opera umana della popolazione di Garessio, che correva dappertutto per incontrarci, per offrirci quello di cui disponeva”.
Spasoje Radovanović, nato in Montenegro nel 1916, sottotenente dell’esercito del regno di Jugoslavia e in procinto di diventare partigiano in Italia, descrive così nel proprio diario i convulsi eventi attorno all'8 settembre 1943. Due giorni dopo l’annuncio dell’armistizio di Badoglio, Radovanović e altri circa 400 connazionali prigionieri di guerra riuscirono finalmente a fuggire dal Campo 43 di Garessio, nell’alta valle Tanaro in basso Piemonte, cercando rifugio tra i boschi.
[...] Campo 43. Internamento, solidarietà, resistenza civile
Spasoje Radovanović e compagni si trovavano a Garessio dall’ottobre 1942, quando le autorità fasciste misero in funzione il Campo Prigionieri di Guerra 43, collocato presso un albergo abbandonato, il Miramonti. Furono trasferiti lì dal Campo 78 di Sulmona, e molti di loro provenivano dalla prigionia in Germania. Il Miramonti diventava così uno dei circa 60 campi di prigionia per militari in territorio italiano nei quali, nel marzo 1943, si trovavano internati circa 80.000 combattenti stranieri catturati dall’inizio della guerra (secondo i dati riportati da LavoroForzato.org e CampiFascisti.it).
I reclusi a Garessio (480 secondo la lista ufficiale, di cui circa 80 furono trasferiti o liberati prima dell’8 settembre) erano originari di diverse parti del regno jugoslavo: i più rappresentati erano serbi e sloveni (poco più di un centinaio ciascuno), poi montenegrini (circa ottanta) e alcune decine di croati, bosniaci e altri. Diversi di loro diventeranno in seguito figure pubbliche nella Jugoslavia socialista. In casi come quelli del compositore Pavel Šivic e dei pittori Marij Pregelj  e Ivan Miklavec tracce dell’esperienza di internamento saranno espresse nella produzione artistica. Già allora iniziarono i primi gesti di sostegno da parte della popolazione che, racconta Radovanović nel diario, li aiutava nel mantenere le corrispondenze con i familiari in Jugoslavia raccogliendo di nascosto i messaggi lanciati dal carcere.
Secondo le testimonianze di diversi prigionieri, nei giorni attorno all’8 settembre l’atteggiamento delle autorità del campo verso di loro oscillava tra prime manifestazioni di complicità e gesti di ostilità, in un clima di caos e indecisione. I reclusi si offrirono per organizzare subito una resistenza armata unita, ma vennero liberati quando le truppe naziste erano ormai in arrivo a pochi chilometri da Garessio e l’esercito italiano era ormai sfaldato. Non restava che la fuga per i boschi, sul versante rivolto verso la Liguria. A Valsorda, la prima borgata che si incontra su quel frangente, gli evasi furono assistiti dagli abitanti locali con viveri, indumenti e rifugi in cascine, capanne, seccatoi.
Nei mesi successivi gli ormai ex-prigionieri si sparsero nella val Tanaro e nelle vicine valli Mongia, Bormida, Casotto. Anche a Ormea, Lisio, Pamparato e altri paesi si diffuse la solidarietà spontanea degli abitanti, che avrebbero fornito a lungo - in alcuni casi fino alla fine della guerra - collaborazione sotto forma di alloggio e viveri, sostegno economico, guide per trasferimenti, cure e medicinali, esponendosi a gravissimi rischi se scoperti dai nazifascisti tedeschi e italiani. Nei documenti e nelle testimonianze affiorano decine di nomi e cognomi dall’estrazione diversa, tra famiglie contadine e operaie, impiegati e professionisti, montagna e urbanità valligiana, uomini e donne.
Gli aiuti delle signore Osvalda Ascheri, Emilia Bisio, Rosa Delfino e tante altre sono la prova di un contributo femminile alla resistenza civile tuttora poco riconosciuto, nella narrazione sull’Italia del 1943-45. Come ha scritto Anna Bravo, anche il “farsi carico di qualcuna delle innumerevoli vite messe a rischio dalla guerra” rientra nei vari comportamenti di resistenza civile, che nel periodo di sbandamento post-8 settembre assume i contorni di un “maternage di massa”. È un momento in cui, scrive Bravo, la donna emerge come figura forte e protettrice verso uomini in condizione di vulnerabilità, “rafforzata e mediata dalla carica simbolica connessa alla figura femminile”. Cruciale fu anche il ruolo dei parroci locali, che spesso si occuparono di coordinare aiuti e movimenti dei prigionieri. Alcuni mostrarono un atteggiamento caritatevole ed equidistante rispetto alla situazione di guerra, altri un coinvolgimento più attivo, che prefigurava un’aperta collaborazione con le forze partigiane.
Spiccano atti di autentico coraggio civile, come l’intuizione di Flora Corradi, la titolare dell’albergo Paradiso di Garessio in cui erano nascosti sette jugoslavi. Quando una squadra di SS irruppe nell’albergo in cerca degli evasi puntandole i fucili nella schiena, Corradi riuscì a inventarsi degli espedienti con cui li distraeva, permettendo agli evasi di scappare. C’è poi la vicenda tragica di Luigi Odda, il tipografo che stampava i documenti falsi con cui decine di ex-prigionieri jugoslavi ripararono in Svizzera: fu scoperto dai nazifascisti a causa di un delatore, incarcerato e poi deportato a Mauthausen, dove morì il 28 aprile 1945. È un’antologia di dignità umana che suscita molte riflessioni, in particolare se le si guarda con gli occhi del presente, in cui la solidarietà per soggetti vulnerabili e per chi attraversa le frontiere viene osteggiata, quando non criminalizzata.
Ai prigionieri del Campo 43 in fuga si presentarono quattro possibilità: tentare la via del ritorno in Jugoslavia; riparare in Svizzera con i canali dei servizi di assistenza per prigionieri alleati; rimanere alla macchia; unirsi alla Resistenza locale. Incrociando l’elenco degli internati e le banche dati degli istituti della resistenza piemontese e ligure, risulta che circa quaranta abbiano fatto quest’ultima scelta: cinque in Liguria, principalmente con formazioni garibaldine, e gli altri in Piemonte, tutti nelle formazioni autonome della IV Divisione Alpi.
Le motivazioni e modalità della scelta appaiono, come sempre in questi casi, molto diverse. Ci fu chi, soprattutto tra i militari di carriera, seguì valutazioni razionali oltre che ideali. Nel suo diario il sottotenente Tamindžić annota, il 26 settembre 1943, che si prevedeva uno sbarco (poi però mai avvenuto) degli Alleati presso le vicine coste di Liguria e Costa Azzurra, circostanza che avrebbe offerto “l’occasione […] di partecipare onorevolmente alle lotte contro il nostro nemico” in un’area che avrebbe assunto grande importanza strategica.
Altri furono presumibilmente mossi da impulsi esistenziali e imperativi morali, soprattutto tra chi era già consapevole dei terribili crimini contro i civili compiuti dai nazifascisti nelle loro terre d’origine, e allo stesso tempo vedeva difficile un ritorno immediato in patria. C’era chi si muoveva in gruppo o in piccoli nuclei e chi, per la spinta degli eventi o forse per scelta, rimase da solo.
Nel novembre 1943 una dozzina di ex-prigionieri jugoslavi, capitanati dall’ufficiale Ilija Radović, si aggregò alla Brigata Valcasotto: lavoravano con le squadre di guastatori e logistici e nell’ambiente partigiano vennero presto denominati “legione straniera”. “Sono gentiluomini e godono, come i partigiani, della simpatia della popolazione”, scrisse nelle sue memorie don Emidio Ferraris, parroco di Pamparato. Della “legione straniera” si perdono poi le tracce nella documentazione, probabilmente a seguito dello sbandamento della brigata dopo la tragica battaglia della Valcasotto del marzo 1944. Il gruppo riappare però in scena nove mesi dopo, nel corso di un rastrellamento dei nazisti nella vicina Val Corsaglia.
Ma nelle valli di basso Piemonte e ponente ligure, i nomi di partigiani provenienti da oltre Adriatico e passati per Garessio affiorano un po’ ovunque, spesso a fianco di altri nomi francesi, polacchi, tedeschi, sovietici. Da ricordare in particolare i contributi di Spasoje Radovanović, nome di battaglia Jugos, di Podgorica - già membro della Divisione Langhe e poi del CLN di Savona, il 25 aprile 1945 partecipò alla liberazione della città con la Div. Fumagalli -, di Milan Milutinović “Mille” di Belgrado - che operò in diverse formazioni tra le valli Pennavaire e Bormida - e soprattutto di Krešimir Stojanović di Slavonski Brod, il leggendario partigiano Cresci.
Il partigiano Cresci
Nato nel 1924, Krešimir Stojanović era uno tra i più giovani reclusi del Campo 43, in cui si trovava insieme al papà, il capitano Aleksandar. Aveva tentato di evadere ancora prima di giungere al Miramonti, sul treno prigionieri che lo stava trasportando il 6 ottobre 1942, ma fu subito catturato. Dopo l’8 settembre gli Stojanović furono ospitati per alcuni mesi dalla famiglia Bernasconi, finché avvenne la decisione lacerante: il padre riparò per la Svizzera, Krešimir scelse di restare in Piemonte. I due non si vedranno mai più. Da qui inizia il peregrinare alpino e partigiano di Cresci.
Nell’aprile 1944 passò in val Pesio dove partecipò da capo tiratore alla Battaglia di Pasqua, con cui i partigiani sfuggirono all’accerchiamento della Wermacht. Poi tornò in val Tanaro, entrando nella squadra d’assalto della XIII Brigata, quella che conduceva le azioni di guerriglia più rischiose e improvvise. Dalla presa della caserma dei Forti di Nava, strappata ai repubblichini nel giugno 1944, alle innumerevoli imboscate contro contingenti, mezzi e basi operative dei reparti nazisti, alle manovre di retroguardia nel terribile inverno 1944-45 attraverso passi di oltre 2000 metri, ogni azione cruciale nella zona vide la squadra d’assalto e Cresci in prima linea, sempre insieme al suo inseparabile amico Eugenio Bologna, il comandante Genio.
In mezzo a tanta epica di guerra, e a fianco di un carattere che dalle testimonianze emerge intriso di fermezza e severità, Cresci è anche ricordato per un gesto genuinamente istintivo, goliardico, umano. La notte del 13 marzo 1945 lui, Genio e altri due partigiani operarono una clamorosa beffa ai danni del comandante tedesco della zona di Garessio, un uomo che era solito circolare per la valle in stato di ebbrezza su un calesse trainato da cavalli purosangue. Inorriditi da quel tronfio sfoggio di potere, i quattro si travestirono da nazisti, si introdussero nella scuderia e portarono via i cavalli, costringendo le pattuglie tedesche a compiere un’umiliante perlustrazione lungo tutta la valle. Fu un impulso genuino di ribellione contro gli oppressori, che alimentò il morale dei partigiani e della popolazione [...]
Alfredo Sasso, Lo stesso destino: resistenza internazionale, civile e partigiana tra Val Tanaro e Jugoslavia, OBCT, 24 aprile 2020 


La vita al campo PW 43
I prigionieri che arrivano a Garessio nell’ottobre del 1942 provengono dal campo di prigionia di Sulmona. Questo è un campo di “punizione”, composto da baracche che erano riservate ai cavalli austriaci durante la prima guerra mondiale. Il campo è controllato dai tedeschi, con il comando a Sulmona, diretto da un generale. Nel diario di Spasoje M. Radovanovich (pag. 118 vita) si legge a tal proposito”….Insomma, a Sulmona non erano proprio giorni belli”, per sopravvivere in quei tre mesi di stenti “…abbiamo mangiato le bucce delle arance, dei limoni, delle mele, per poter introdurre qualche vitamina nel corpo”. Dopo questa pesante esperienza, l’arrivo a Garessio viene vissuto positivamente. Dal diario di Spasoje M. Radovanovich: Ottobre 1942 “…Garessio, bella, splendida e rinfrescante. Anche per quelli che non la conoscono, parla da sola e dice tutto. Là in alto, la Madonna della Pietra Ardena benevolmente volge il suo sguardo su tutti quelli che frequentano questa bella cittadina … Poi, guardando dalla stazione ferroviaria verso il colle del San Bernardo, spuntava un edificio bellissimo tra il manto verde vivo che rallegrava i muri giganti del grande albergo “Miramonti”….. In fila, circondati dalle sentinelle, lasciammo la stazione … sentimmo che quel grande albergo sarebbe stato la nostra casa ….  A nessuno sembrava vero che potesse davvero ospitarci … Non occorre descrivere tutto, basti pensare alla comodità e, posso dire, che ci sentivamo quasi tutti villeggianti venuti qui a riposare“ dopo quasi due anni si sofferenze e isolamento. Dal diario di Aleksandar Tamindzic 6 ottobre 1942 ….Attraversando le vie di Garessio in colonna, abbiamo guardato in tutte le direzioni e siamo stati contenti di quello che abbiamo visto intorno a noi. Il luogo è montagnoso, fresco, pulito. E’ pittoresco; l’aria è pura e sana. Ci sono tre piccole borgate che quasi si toccano e molti campanili.” Nel campo del “Miramonti” sono oltre trecento gli ufficiali iugoslavi  più qualche soldato. La maggior parte è costituita da serbi, di religione ortodossa, gli altri sono sloveni, di religione cattolica, inviati in Italia dalla Germania perché la Slovenia è occupata dagli italiani. Nella Relazione datata “Belgrado, 2 luglio 1964” e inviata al sindaco di Garessio da Lazar Jovancic e Milan Milutinovic in occasione del XX della Liberazione si può leggere: “….La vita tra il filo spinato non può naturalmente essere tanto felice …, ma per noi, in Italia, era pur sopportabile …. Non soffrivamo la  fame, (anzi) le autorità facevano tutti gli sforzi possibili per fornirci in quantità maggiore i generi alimentari …  negli ultimi mesi mangiavamo con piacere ogni giorno dei fagioli cotti alla nostra maniera nazionale … godevamo di ottima salute, anzi molti di noi cominciavano ad ingrassare! I giornali venivano distribuiti regolarmente, italiani e tedeschi, ma anche della Svizzera … … Molte notizie ci portava un prete italiano (don Divina) che veniva al campo ogni domenica …(erano notizie) nuovissime e sicurissime che ci trasmetteva senza alcun timore. Noi eravamo sicuri che il Comando del campo sapeva bene dell’atteggiamento amichevole del prete verso i prigionieri. Altra testimonianza sulla vita nel campo:
Dal diario di Spasoje M. Radovanovich: … Non è stato difficile conquistare l’amicizia della popolazione di Garessio … gente affabile, buona, comprensiva. … . .. le mamme, le sorelle, le giovani spose.. seguivano la nostra vita nel campo dei prigionieri .. (sperando) … .. .che i loro cari lontani vivessero come noi quella vita stessa che ci offriva  il “Miramonti”. … La nostra vita interna era sopportabile …. Mensa, spaccio, sala di lettura, sala da cinema, rappresentazioni teatrali, notizie dal fronte, notizie dalle famiglie, pacchi di viveri … Insomma, si viveva una vita, si potrebbe quasi dire, di lusso, dato che eravamo in guerra. … I nuovi padroni del campo erano vicini a noi, dialogavano con noi e poi ci sentivamo circondati da gente amica … … Della disciplina non occorre parlare.  Se anche qualche volta avveniva qualche rappresaglia da parte del comandante Radaelli, non si sentiva poi una vera difficoltà nel sopportarlo, dopo tutto quello che avevamo passato in precedenza con i tedeschi. . .la sentinella e il leggendario cappellano don Giuseppe Divina si recavano in città e ad ognuno portavano quanto veniva loro ordinato. …  Un gesto umano veniva anche dalla popolazione e, tramite loro, siamo persino riusciti a collegarci con i nostri familiari a mezzo corrispondenza. .. e il Comando nella persona di Mario Alimonti “non sapeva mai nulla” (anche se in realtà sapeva benissimo cosa succedeva all’interno del campo) (quindi non ostacolava queste azioni)
Redazione, Il Miramonti racconta..., La vita nel campo, VBStudio.net 

Luigi Odda - Fonte: IDEAWEBTV.IT, art. cit. infra

Con la consulenza del ricercatore storico Alfredo Sasso, l’indagine di archivio di Pierandrea Camelia e le riprese in filmato di Luca Locci, un documentario chiarisce quelle vicende ed evidenzia gli encomiabili atti di solidarietà operati dalla cittadinanza e il ruolo decisivo apportato da molte figure femminili e di intere famiglie per garantire l’incolumità dei militari, favorire la fuga verso l’estero o il ricorso alla macchia o l’adesione alle brigate partigiane della Val Tanaro, del Monregalese e del versante ligure.
La ricerca documentale sugli episodi di quel periodo bellico ha consentito di evidenziare la figura di una vittima del regime, Luigi Odda, nato nel 1900, titolare del laboratorio tipografico nella borgata Poggiolo. Durante la Resistenza Luigi riprodusse decine di documenti contraffatti su richiesta di Roberto Lepetit, industriale antifascista titolare dell’impresa farmaceutica di Garessio poi catturato, deportato e morto nel campo di sterminio a Ebensee in Austria nel maggio 1945: quei salvacondotti servirono anche per sottrarre alla cattura alcuni dipendenti che aveva ospitato in fabbrica provenienti da Milano. Stampò anche i visti per gli ex prigionieri jugoslavi che poterono così riparare in Svizzera. Fu scoperto dai nazifascisti a causa di un delatore, incarcerato e deportato nel lager di Mauthausen dove trovò la morte il 28 aprile 1945.
Redazione, 25 aprile: Garessio commemora la prigionia di 400 militari jugoslavi all’Hotel Miramonti, IDEAWEBTV.IT, 20 aprile 2021 


Dal Diario del Can. Don Candido Bava:
“8 settembre 1943 Giornata tragica per la nostra patria. Armistizio. Sbandamento dell’esercito italiano. Fuga disordinata di poveri soldati disarmati e dispersi ovunque per la campagna e sulle montagne in cerca di rifugio o in viaggio per raggiungere le loro case.”
Dopo lo sfacelo dell’esercito italiano a seguito dell’8 settembre 1943 e le drammatiche vicende belliche della Seconda Guerra Mondiale, il campo PW 43 viene aperto e i prigionieri “invitati” a fuggire. Sempre dal Diario del Can. Don Candido Bava:
“10 settembre 1943: Arrivo delle truppe tedesche Truppe tedesche avanzano da Ceva nella Val Tanaro. Giungono a Garessio senza incontrare resistenza. Da Garessio una colonna prosegue su Ormea dove incontra resistenza organizzata e sottopone il paese al tiro del cannone per parecchie ore. … Intanto il presidio militare di Garessio al sopraggiungere dei tedeschi, s’è eclissato abbandonando a se stessi il campo di concentramento prigionieri, i quali si danno a precipitosa fuga … rifugiandosi nei casolari dispersi sui colli circostanti al Santuario … Degno di lode il comportamento della popolazione nei riguardi dei soldati e dei prigionieri. … Tutta la popolazione si prodigò in ogni modo per alleviare la triste condizione dei militari dispersi. Per alcuni mesi questi (in prevalenza prigionieri Jugoslavi) ebbero vitto, indumenti e cordiale ospitalità ….”
I prigionieri scappano sulle montagne di Val Casotto, sempre braccati dai tedeschi, ma nascosti e nutriti dalla popolazione locale. Qualcuno di loro riesce a rifugiarsi in Svizzera, altri ritornano con molte difficoltà in Jugoslavia, ma molti di loro si uniscono ai gruppi partigiani e insieme conducono una stremante lotta per la Liberazione.
Dal diario di don Emilio Ferraris veniamo a conoscenza che la prima infermeria del “Gruppo partigiano di Val Casotto” è stata possibile grazie a questi ufficiali.
“Vengono ad aggregarsi a questo Gruppo di partigiani alcuni ufficiali serbi, già prigionieri all’”Hotel Miramonti” di Garessio e lasciati liberi dopo l’8 settembre 1943; sono gentiluomini e godono come i partigiani la simpatia della popolazione. Ne riportiamo i nomi: Elia U. Radonik, capitano di 1a classe, comandante Petko Mari Janovic Demitrizr Ceratlic Mihailo Rovacevic Cvetkovnic Deginür, capitano di 2a classe  Bozo Kenjic, tenente  Bozo Vakicevic, tenente Branislav Milanovic, s. tenente Movac Viceliic, tenente Dragutin J. Lasic, capit. 1a classe, aiutante maggiore. Tra di essi è un medico, Dottor Constantinovic Nicolaiev, che adibì la casa canonica, dove era ospitato, a prima infermeria del Gruppo partigiano”
L’aiuto della popolazione garessina a questi ufficiali non è indolore: è doveroso ricordare almeno la morte a Mauthausen del tipografo Luigi Odda (nato il 24 gennaio 1900 - morto in prigionia il 28 aprile 1945) arrestato il 18 gennaio 1944 e deportato per aver rilasciato agli slavi documenti falsi di riconoscimento.
Così anche diversi ufficiali slavi pagano con la vita la decisione di rimanere a combattere per la libertà. Tra questi Dioko Radovanovich, morto in prigionia il 10 gennaio 1944; Banasevich Liubo, caduto in data imprecisata a Macerata durante uno scontro con i tedeschi; Nicolic Milas ucciso dal fuoco nemico in Liguria nell’ottobre 1944.
La lettura dei “diari” scritti da alcuni di questi ufficiali consente di conoscere meglio la loro situazione dopo l’8 settembre 1943.
Dal diario di Spasoje M. Radovanovich 8 settembre 1943
“Fu un giorno storico per gli italiani ed anche per i prigionieri. Si attendeva l’uscita …. La nostra insistenza presso il comandante Ardù era continua, perché ci aprisse il cancello per scappare, per non rimanere nuovamente nelle mani dei tedeschi. Il comandante Ardù … ci assicurò  l’apertura del cancello prima che arrivassero i tedeschi. Finalmente il 10 settembre diede ordine di aprire i cancelli … ed ognuno di noi si avviò al suo destino. La maggior parte prese la via del Santuario di Valsorda e poi si disperse nei boschi. … Insieme con noi scapparono il comandante Ardù, ufficiali, sottoufficiali, sentinelle … Eravamo veri  fratelli, come se fossimo sempre vissuti insieme … A questo punto comincia l’opera umana della popolazione di Garessio …  Vi fu una vera gara tra la popolazione a chi avrebbe dimostrato maggior generosità ….  Come si può dimenticare la cordialità di tanti generosi, offertaci in tempi difficili, nel tempo che si rischiava di “essere, o non essere”. Come si possono dimenticare i nomi: Carrara, Alimonti, Elvira, Flora, Giulia, Vittorina, Sasso e centinaia di altri?
Redazione, Il Miramonti racconta..., I prigionieri dopo l'8 settembre '43, VBStudio.net  

Tra il 13 marzo 1944 e il 5 aprile 1944 si consumò tutto il terribile rastrellamento contro i partigiani di “Mauri” in valle Casotto e dintorni (Bagnasco, Frabosa Soprana, Garessio, Lisio, Montaldo Mondovì, Ormea, Pamparato, Viola, Ceva, Roburent, Torre Mondovì, Battifollo, Monasterolo Casotto, Priola) che causò la morte di 26 civili e 98 partigiani, di cui molti catturati e fucilati a Ceva. Nella “battaglia di Pasqua”, rastrellamento contro le formazioni autonome “R” di valle Pesio protrattosi dal 7 al 12 aprile 1944, caddero nei comuni di Peveragno, Chiusa Pesio, Roccaforte, Briga Alta, Limone, Pianfei, 6 civili e 13 partigiani.
(a cura di) Aa.Vv., Il Piemonte nella guerra e nella Resistenza: la società civile (1942-1945), Consiglio Regionale del Piemonte, 2015