giovedì 13 agosto 2020

Attacco partigiano a Baiardo con l'intervento dell'aviazione alleata

Baiardo (IM) visto da Perinaldo
 
Il 10 marzo 1945, programmata già un mese prima, avvenne l'unica azione combinata tra aerei alleati e forze garibaldine. Il luogo prescelto fu il presidio nemico di Baiardo. Il segnale di inizio, annunciato da Radio Londra, era "la neve cade sui monti".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

Bajardo era un caposaldo fascista. In paese, infatti, si trovavano i bersaglieri, comandati dal tenente Franco Buratti, che costituivano un pericolo costante per le formazioni partigiane operanti nella zona [...] Vittò [anche "Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo, comandante della II^ Divisione "Felice Cascione"] ritenne opportuno non far partecipare i suoi uomini alla battaglia di Bajardo; troppi rischi di perdere vite in proporzione alla difficoltà di riuscire a conquistare il caposaldo nemico [...] non era convinto del piano prospettatogli dal capitano inglese della missione alleata, Robert Bentley. In base a quanto dichiarato da quest'ultimo per conquistare Bajardo sarebbe dovuta intervenire l'aviazione inglese mediante l'impiego di quattro aerei, che si sarebbero limitati a iniziare la battaglia con un mitragliamento e poi se ne sarebbero andati, lasciando ai partigiani il compito di entrare in paese e assalire la fortezza dei bersaglieri.
Romano Lupi, VITTO'. Vita del comandante partigiano Vittorio Guglielmo, Quaderni sanremesi, Sanremo, 2011 

Ecco ciò che dice "Gino" (Gino Napolitano) [vice comandante della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione]: "Dopo i tremendi rastrellamenti subiti in gennaio e febbraio le nostre brigate si riformavano. [...] La stazione trasmittente sotto il controllo del capitano Robert Bentley aveva riallacciato i collegamenti con la Francia.  Venne pertanto stabilito dal comando operativo di zona un primo attacco combinato fra le nostre forze e l'aviazione nemica contro un caposaldo avversario quale esperimento. Venne fissata la segnalazione da Radio Londra per la coordinazione dell'attacco: 'la neve cade sui monti', stabilito il luogo, Baiardo, il giorno, 17 marzo [invece, l'attacco partigiano ebbe luogo il 10 marzo 1945], e l'ora, le 7 del mattino.  [...] Baiardo appollaiata sulla cima del monte a 900 metri di altezza, era difesa da oltre 150 tedeschi e bersaglieri, armati di cannoni e mortai. I nostri partirono dalla base di Ciabaudo: circa 120 uomini al comando di Gino Napolitano (Gino). Con essi erano Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria], Sumi (Lorenzo Musso) [Commissario Politico al Comando Operativo della I^ Zona Operativa Liguria]  ed il capitano Bentley, che avrebbero presenziato all'azione".
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Il comandante della II^ Divisione "Felice Cascione", "Vittò", espresse le sue perplessità circa tale azione, in quanto il mitragliamento degli aerei avrebbe portato scarsi vantaggi poiché "(1) bastava [ai nemici] essere coperti da un tetto qualunque per evitare ogni ogni danno. Di contro il comandante della II^ Divisione "Felice Cascione" aveva proposto " (2) di lanciare nei dintorni del paese quattro o cinque bombe, in modo che venisse nei bersaglieri il timore di essere attaccati dagli aerei. Si sarebbero rintanati nelle cantine e noi avremmo potuto entrare in paese senza tanti morti. Il solo mitragliamento era un avviso che noi entravamo in azione e metteva i bersaglieri nella perfetta attesa di difesa e di attacco insieme"
Rocco Fava, Op. cit.
(1) (2) don Ermando Micheletto, Op. cit. infra, pp. 263-264

Non era dello stesso parere il Curto che vedeva nell'azione una mirabile rivincita su quel distaccamento nazifascista che aveva sempre resistito agli attacchi partigiani. Gino era del parere del Curto ed anche altri comandanti di distaccamenti. Forse pensavano certa l'azione degli aerei, repressiva e sicura la paura dei bersaglieri. Continua Vitò: "Il Comandante di Zona Curto invece voleva attaccare. Prese il comando dei miei distaccamenti e partì con essi. Io non ci sono andato. Avevo il presentimento di un attacco inutile e dannoso per noi. Quella presenza degli aerei con mitragliamento impediva a noi la sorpresa dell'attacco ed avvisava i nemici di mettersi in difesa..."
don Ermando Micheletto *, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975
* ... Don Micheletto per tutta la guerra si adoperò per i partigiani, generalmente in contatto con i gruppi di Vitò, che accompagnò spesso nei loro spostamenti. Esplicherà la sua attività specialmente nell'assistenza e per captare messaggi radio. Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

"Alle 4 del mattino la marcia veloce e silenziosa ebbe inizio. I nostri erano discretamente armati, grazie specialmente ai rifornimenti giunti nelle ultime settimane in montagna via mare. Si marciava in fila indiana sotto il cielo che impallidiva, esilarati dalla sottile aria di montana che già odorava di primavera. Alle 6 il distaccamento giunse nei pressi del paese: i nostri si distesero a catena, si scalzarono perché il rumore delle scarpe ferrate non allarmasse il nemico e salirono lentamente, Gino in testa, fino al cimitero del paese. [...] Al di sopra dei nostri, a forse duemila metri di altezza, sei aeroplani volavano dritti sul paese. Immediatamente alcune pattuglie di arditi vengono staccate in direzione dell'abitato mentre tutti gli altri, sempre al coperto, si spostano sino a 200 metri dalle prime case. Alle 7,10 gli apparecchi sono sull'obiettivo. Si vedono ruotare, abbassarsi, risollevarsi. Il paese è in subbuglio: si ode la gente correre. Improvvisamente gli aeroplani si allontanano ed un lungo getto di vapore bianco si disegna dietro uno degli apparecchi. È il segnale? Ma i nostri non hanno udito alcun rumore di esplosioni, soltanto sembra loro di aver percepito, fra tanti suoni confusi, il ticchettio di un mitragliamento. [...] Si decise allora di tentare senza indugio un'azione subitanea sperando di cogliere il presidio di sorpresa. Alle 7,20 scattammo all'attacco da tutte le parti, in piccoli gruppi. La popolazione era asserragliata nelle case, ma il nemico, evidentemente avvertito, era pronto.  Le strade erano battute da un fuoco incessante che veniva dalle finestre e dai tetti e che le spazzava da un capo all'altro. I nostri avanzavano lungo i muri verso il cuore del paese: avevano però soltanto armi automatiche leggere perché si attendevano di essere appoggiate dal bombardamento aereo, e contro le mitragliatrici pesanti, protette dalle case trasformate in fortezze, l'attacco si mostrava impotente. Gino con una quindicina di uomini raggiunse il centro del paese e vi rimase per oltre mezzora fulminando le finestre degli edifici da cui partiva l'incessante fuoco nemico. I bersaglieri ed i tedeschi, il cui grosso era sulla piazza, escono improvvisamente al contrattacco, tentando di infiltrarsi tra i nostri gruppi. I nostri convergono su di essi da tutti i lati, li prendono d'infilata e li respingono costringendoli a ritirarsi precipitosamente nelle loro tane, lasciando sul terreno morti e feriti. Alle 9 le munizioni dei nostri uomini erano quasi esaurite, mentre il nemico sembrava ne possedesse una riserva inesauribile. I garibaldini erano stanchi e prolungare l'azione sarebbe stata una follia. Curto impartisce l'ordine di ritirata. Gli uomini escono lentamente dal paese sempre combattendo, mentre Gino protegge la retroguardia con un tiro continuo di sbarramento. Alle 9,30 il distaccamento in perfetta formazione marciava sulla strada del ritorno verso la base. L'azione, sebbene non avesse ottenuto il successo completo, era stata brillantissima e per la sua concezione e per i risultati ottenuti: i nostri avevano violato uno dei più forti baluardi nemici infliggendogli perdite gravissime. Da parte nostra due morti in combattimento, Vitale e Lazzari, e alcuni feriti. Il garibaldino Nino, ferito e catturato dal nemico, venne passato per le armi sul posto. Ma l'iniziativa passava nelle nostre mani e non doveva più sfuggirci".
Mario Mascia, Op. cit.

Dopo circa tre ore di attesa, e precisamente alle ore 7,55, si avvistava una squadriglia di sei apparecchi da caccia che, dopo aver descritto un ampio cerchio tra Monte Bignone e Monte Ceppo, subito dopo iniziavano un'azione di mitragliamento, senza però sganciare alcuna bomba. Dopo dieci o quindici minuti il mitragliamento cessava e la squadriglia si allontanava. Dopo un’iniziale esitazione, dovuta al mancato lancio di fumogeni da parte degli aerei, come era convenuto, sotto la direzione del vice comandante della V^ Brigata e del comandante del I° Battaglione Vincenzo Orengo (Figaro), ebbe inizio l'assalto al paese. I garibaldini raggiunsero la piazza del paese, a circa quindici metri dalla caserma dei Bersaglieri, i quali, asserragliati, rispondevano al fuoco dalle finestre. Il sopraggiungere di rinforzi provenienti da Ceriana e da Sanremo obbligò i partigiani a desistere e ritirarsi nei boschi. Nell'attacco cadevano il commissario Riccardo Vitale (Cardù), Gaetano Cervetto (Nino) e Vitaliano Lazzari (Lazzari).
Giorgio Caudano
 
Cardù

Si mise disteso sulla paglia trita; sì, che se la sentì pungere dappertutto come le altre volte rivoltandosi di qua e di là, ma adesso con la stanchezza addosso a quel modo, gli pareva di essere più al sicuro.
Col vento che soffiava dovunque, però, non ci riuscì per niente a dormire; si sentiva maggiormente le gambe rotte, e tutti quei ricordi se li sentiva sempre di più a premergli nella testa da fargli male.
Il partigiano anziano adesso gli era venuto vicino continuando il suo discorso e lo guardava fisso come per farsi sentire meglio nel parlare; ma lui macché, non ce la faceva più a seguire quel discorso, seguitando invece a pensare per conto suo.
Così, quando il partigiano anziano finì di parlare, e uscì per guardare fuori al di là del casone, manco se ne accorse: difatti, era già da un pezzo che gli era venuto in mente di quella volta a Baiardo, quando attaccarono i bersaglieri.
Fu quella volta della sparatoria contro i bersaglieri, quando col distaccamento al completo, ci andarono proprio sotto di sorpresa: ci andarono fin sono le finestre, dentro il paese, dove erano accampati i fascisti con le sentinelle da tutte le parti da picchiarci dentro; ed eccolì, quella volta perdio, anche lui aveva visto Cardù da morto.
Ma l'aveva visto soltanto dopo il gran fracasso della sparatoria, che l'aveva ancora forte nelle orecchie: Cardù era lì sulla strada rovesciato per terra, tutto sfracellato come quelli sulla neve al di là del forte Centrale, che aveva detto il partigiano anziano.
Fu quella volta famosa dell'attacco di Baiardo, quando ci andarono tutti spensierati, e lui non se lo scordava più come successe a quel modo così in fretta: eppure, nemmeno adesso gli pareva ancora vero che quella volta se lo fosse trovato morto, proprio lì davanti, il suo compagno Cardù; dopo tutti i discorsi insieme che avevano fatto prima.
Voglio dire a quel modo comese proprio, quasi quasi, stessero ancora per finire il discorso appena incominciato; difatti, lì per terra tutto sporco di polvere e di sangue, pareva che gli fosse rimasta ancora la bocca aperta, come per parlare. Ma poi, lui gli era andato vicino a Cardù; e chissà perché, gli era venuta subito quella paura fredda della morte, vedendolo così rigido e fracassato; ecco com'è: è la paura di quando lo capisci bene che se uno è diventato rigido nella morte, è diventato un altro; ma è diventato tanto un altro, che ti mette perfino soggezione; non puoi manco più toccarlo, siccome te lo senti distante e assolutamente estraneo; così ti succede che uno, anche se ti è stato compagno, eccome, non te lo senti più propriamente compagno come prima quando ci parlavi insieme da vivo; te lo senti soltanto come un estraneo: e dentro ci senti una gran pietà un gran dolore e una gran rabbia per lui per te e per tutti quanti; mentre è così che vorresti metterti a gridare forte forte, stringendo i pugni. 
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, p. 180
 
Coloro invece, che avevano voluto l'attacco, asserivano che fu proprio l'attacco inatteso a decidere i tedeschi alla ritirata dalla zona. La conclusione la si può derivare dai fatti come si sono svolti, dalle vittime, che ci sono state, e dalla impossibilità di conquistare Baiardo. Si era in guerra e nessuna azione, secondo alcuni, si doveva tralasciare per combattere i tedeschi. Concludeva Vitò: "Il mio parere negativo sulla battaglia di Baiardo era motivato dalla mia conoscenza diretta e sperimentata dell'armamento dei bersaglieri. Era ancora vivo nella mia mente l'esperimento fatto in altra battaglia precedente".
don Ermando Micheletto, Op. cit.

12 marzo 1945 - Dal comando della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Inviava il resoconto del comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" sull'attacco partigiano effettuato a Baiardo (IM) nella notte tra il 9 ed il 10 marzo, resoconto in cui si riportava che, dopo aver predisposto gli uomini per l'attacco al presidio fascista in previsione dell'intervento di aerei alleati, tutte le vie d'accesso, anche con la collaborazione di reparti della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione", erano state bloccate; che verso le 8 del 10 marzo erano passati 6 caccia alleati, che avevano effettuato parecchie raffiche di mitra senza colpire, tuttavia, nessuno dei 45 bersaglieri repubblichini; che, al segnale, tutti i garibaldini erano usciti dal bosco attaccando i fascisti; che questi ultimi rispondevano al fuoco; che il combattimento era durato per circa 30 minuti, in quanto, arrivati rinforzi nemici da Ceriana e terminate le munizioni, i partigiani si ritiravano, dopo aver lasciato sul terreno 2 uomini caduti in combattimento ed avere perso un altro garibaldino, catturato dal nemico e subito fucilato; che si poteva giudicare che l'azione alleata era stata inefficace, perché non era stato effettuato nessun bombardamento e che, per giunta, dagli aerei non era giunto il segnale concordato, cosicché i partigiani non erano potuti intervenire in modo simultaneo agli apparecchi.
14 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della V^ Brigata al comando della I^ Zona Operativa Liguria, al comando della II^ Divisione, alla Sezione SIM della II^ Divisione ed al comando della V^ Brigata - Informazioni militari: "...  Il presidio di Baiardo dopo l'attacco effettuato il 10 c.m., è stato rinforzato da forze naziste. Durante detta azione rimanevano feriti 4 bersaglieri e l'ufficiale comandante il presidio. Quest'ultimo è stato ricoverato all'ospedale di S.Remo...."
da documenti  Isrecim in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II
 
A seguito dell'attacco a Baiardo (9-10  marzo  1945) da  parte  di  Distaccamenti  della  V^  Brigata  si scatena furiosa la reazione nemica. Vittò, Curto, Armando Fragola Doria Izzo, il capitano inglese Robert Bentley, il suo radiotelegrafista Mc Dougall, Guido Arnaldi, Felice Miroglio, Alfredo Maiano  Lupo, ed  altri  partigiani  quali  staffette o addetti al deposito Intendenza sito nelle case della borgata Gerbonte (Triora), si mettono in marcia verso una grotta pensandovi di trovare rifugio sicuro. Intanto nella notte  tra  il 10 e l'11 giungono da Sanremo truppe  tedesche  appartenenti  ai  RAP  (Raggruppamento Anti Partigiani), che riescono a prendere di sorpresa la borgata senza che fosse  dato alcun allarme. Però la tattica partigiana era quella di non rimanere molto tempo nei luoghi abitati. Questa tattica salva il gruppo di uomini menzionati. Infatti all'alba lasciano Gerbonte per raggiungere la grande grotta, che si  apre nei pressi di Loreto. Giunti alla grotta il capitano Bentley si accorge di aver dimenticato l'antenna della radio nella casa di Gerbonte. Viene incaricato del recupero la staffetta partigiana Lupo, che è preso in  rastrellamento dai  nazifascisti nella zona di Gerbonte e successivamente condotto nei  pressi di Molini di Triora ed ivi fucilato (11.03.1945). Il ritardo del ritorno di Lupo fa  insospettire il gruppo, per cui parte in missione il  garibaldino Felice Miroglio, che cade ucciso da un colpo di Mauser nei pressi di Gerbonte. Lo stesso giorno, 11 marzo  1945, nei pressi di Bregalla <Frazione di Triora (IM)> viene ucciso in combattimento dai tedeschi il partigiano Paolo Bruno Oddo.
Mons. Cav. Ferdinando Novella, Il martirio di Molini Triora (3.07.44 - 25.4.1945), edito dal Comune di Molini di Triora, 2004 


sabato 8 agosto 2020

L'uccisione a tradimento a Rocca Spina dei partigiani Gelato e Sardena e di tre disertori repubblichini

Barchi, Frazione di Ormea (CN) - Fonte: Borghi Alpini
 
Un reparto distaccato della 1^ compagnia  9^ brigata GNR in servizio presso la polveriera Martinetto di Albenga (SV), per iniziativa ed interessamento di Osvaldo Melluso, segretamente iscritto alla cellula 61 del PCI alla stazione ferroviaria di Genova Brignole, decide di passare nelle file partigiane con tutto l’equipaggiamento e le armi. 

Caprauna (CN) - Fonte: Wikipedia
 
Il sergente repubblichino della polveriera di Martinetto, che si faceva chiamare Franco Cattaneo, invece era propriamente il furiere Salvatore Abate, che aveva cambiato nome per motivi di sicurezza personale quando Martinengo [Eraldo Hanau] lo aveva mollato. Lo aveva mollato liberandolo con gli altri militi fascisti della guardia nazionale repubblicana, dopo un assalto al Forte di Nava; - o rimanere in banda o tornare in camicia nera, come volete - gli disse. Ma quella volto fu uno sbaglio che costò caro alla partigianeria ligure piemontese. Fornito di moduli per lasciapassare, con bolli autentici nascosti nello zaino da quei tempi della fureria, adesso trafficava a pagamento licenze con i subalterni. Il milite Melluso, anche lui della polveriera di Martinetto, trafficava gratise con i partigiani di Capraùna, rischiando così di grosso tutti insieme. Gira e rigira, però, non ci misero granché a combinarsi su cosa fare in tornaconto per cambiare la situazione [...] A Capraùna dove sono in banda proprio di preciso glielo dice uno di guardia lì ad aspettarli, come si erano messi d'accordo; li fa accompagnare al punto giusto dalle due staffette del distaccamento, ma con le armi scariche si capisce, e le munizioni nello zaino da consegnare sul posto per precauzione, ci mancherebbe altro [...] Ma il sergente Cattaneo non se fa niente di tutto questo andare più leggeri nell'erba fresca [...] Neanche lui, il sergente Cattaneo, lo sa bene come succede; e intanto si fa dare il Saint-Etienne, perché adesso dice che tocca a lui portarlo un po', riprendendo a camminare.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 49-54

Due giorni dopo lo scontro di Pizzo d'Evigno, la nostra Resistenza è colpita da un grave lutto.
Cinque partigiani sono uccisi a tradimento da Franco Cattaneo, sergente della Guardia Nazionale Repubblicana. Erano con lui sei militi: Luigi Austoni, Lazzaro Boldrini, Gaetano De Musso, Floriano Grassini, Osvaldo Melluso ed Antonio Vicini che costituivano un reparto distaccato della 1a Compagnia - 9a Brigata GNR - presso una polveriera in località Martinetto d'Albenga.
Per iniziativa ed interessamento del Melluso, segretamente iscritto alla cellula 61 del PCI presso la Stazione ferroviaria di Genova Brignole, l'intero reparto decide di passare nelle fila partigiane con tutto l'equipaggiamento e le armi.
Il 20 giugno 1944, a seguito di accordi presi con il Comando Partigiano, i militi giungono a Caprauna (CN).
Il giorno seguente, i sette uomini del reparto, guidati da due garibaldini, Giuseppe Maccanò e Angelo Viani, sono in marcia di trasferimento destinati ad una formazione di partigiani autonomi. Ma questa non è più sul luogo. Il gruppo si dirige verso un'altra banda e giunge a Rocca Spina, presso Barchi, piccola località tra Ormea (CN) e Garessio (CN). 
All'improvviso, con un pretesto, il Cattaneo (sergente della guardia nazionale repubblicana) si offre di tenere il fucile mitragliatore di un partigiano affaticato.
Questi glielo consegna: quello lo ritira e nascostamente innesta nel Saint-Etienne un caricatore. Poi s'avvicina al gruppo ed apre a bruciapelo il fuoco contro i compagni. Cadono tutti, chi gravemente ferito ed agonizzante, chi immediatamente ucciso.  Quindi, il Cattaneo s'allontana portando con sé i sopravvissuti Grassini e De Musso. I tre raggiungono, a detta del Grassini, il Comando GNR di Albenga ed il Cattaneo si presenta al suo comandante Crespi affermando di essere stato catturato con la forza dagli altri militi e di essere riuscito a fuggire portando con sé il De Musso ed il Grassini.
La versione del Melluso è diversa: un certo Chiesa, milite della GNR, in servizio presso un reparto di stanza a Leca d'Albenga, avrebbe riferito che sarebbero stati catturati ed accusati di diserzione.
Le due versioni, comunque, coincidono nella conclusione: Franco Cattaneo è fucilato per diserzione ed altri precedenti crimini, mentre il Grassini ed il De Musso sono inviati al fronte per punizione.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. II: Da giugno ad agosto 1944, volume edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, p. 103

Quando, alla fine di girare, il sergente Cattaneo si ripresentò ai fascisti di Albenga ormai non lo aspettavano più con i due militi in cattura, avendoli già dati per dispersi; eppertanto la storia finì così, che lui lo fucilarono lo stesso per diserzione siccome quella storia complicata non riuscirono a capirla, anche se girava che sì, lui era fascista; eppoi anche perché scoprirono che in verità si chiamava in un altro modo. Tanto per non sbagliarsi i due militari che erano tornati li mandarono per punizione sul fronte francese, ma in prima linea. Gliela facessero vedere là, in quegli avamposti della malora, la loro fede genuina nel fascismo come dicevano, rischiando la pelle. Invece il milite Melluso, appena guarito, sentendosi già patriota, non stette a ripensarci com'era la repubblica dove c'era stato prima; ma cominciando ad adoperare il braccio si mise a scrivere la relazione di tutto come aveva visto che era successo, dal principio alla fine. Eppoi cominciò veramente a fare il partigiano in banda da quelle parti, anche col braccio mezzo fottuto; in seguito diventò caposquadra e si guadagnò pure lui a tempo debito il nome di battaglia, come gli piaceva: se lo scelse personalmente di suo gusto, così come se l'era pensato fin da quando era ancora nella polveriera del Martinetto e cominciava a trafficare con quelli in montgan sul Colle di Capraùna.
Osvaldo Contestabile, Op. cit., pp. 57-58

Dal processo verbale di interrogatorio di Osvaldo Melluso rilasciato alla Stazione dei Carabinieri di San Fruttuoso, Genova, il 15 agosto 1964:
"Il giorno 20 giugno 1944 verso le 15, in seguito ad ordine datomi dal Comando Partigiano, condussi sei dei miei commilitoni, compreso il sergente Cattaneo Franco, a Caprauna… Il giorno successivo, durante la marcia di trasferimento da Caprauna verso i monti di Savona, accompagnati da due partigiani, Maccanò Giuseppe e Viani Angiolino, in funzione di guida, giunti in località Rocca Spina presso Barchi di Ormea, verso le 17, il sergente Cattaneo Franco… fece fuoco contro noi sei che lo precedevamo, causando il mio ferimento e la morte dei cinque compagni: Austoni, Maccanò, Viani, Boldrini e Vicini".

da una pubblicazione di A.N.P.I. Savona
 

[...] Legione territoriale dei carabinieri di Genova, Stazione di Arma di Taggia
Processo verbale di interrogatorio di Grassini Floriano fu Carlo e fu Saldani Eugenia, nato a Pisa il 3/2/1926, residente a Genova Pra - Via Sapello  N° 36 e domiciliato a Arma di Taggia Lido «Idellerj» Boghino.
L'anno 1964 addì 1° ottobre, nell'ufficio della Stazione Carabinieri di Arma di Taggia alle ore 9 - davanti a noi Vicebrigadiere Cariano Tommaso, Comandante interno della suddetta stazione, è presente Grassini Floriano, in rubrica generalizzato, il quale interrogato dichiara quanto segue: «Il 20 giugno 1944, mentre facevo parte del 9° Battaglione d'Assalto della G.N.R. unitamente ai miei compagni: V.B. Cattaneo Franco, De Musso Gaetano, Vicini Antonio, Melluso Osvaldo, Boldrini Lazzaro e Austoni Luigi, tutti noi che eravamo di servizio di guardia alla polveriera di Martinetto, di comune accordo abbandonammo il servizio per raggiungere una brigata partigiana. Preciso che nessuno di noi sapeva dove si trovava la brigata più vicina. Nonostante ciò iniziammo la nostra marcia con tutte le armi che avevamo in dotazione nella suddetta polveriera. Giunti nel territorio di Caprauna, nei pressi di Pieve di Teco, trovammo una banda armata la quale si dichiarò partigiana. Allora noi approfittammo di chiedere se potevamo rimanere con loro. A tale richiesta nostra il Comandante di detta banda ci indicò una brigata badogliana e per raggiungere detta brigata ci fece accompagnare da due partigiani armati. Dopo aver fatto circa sette chilometri di montagna sempre nella zana di Pieve di Teco, ci fermammo per riposare; ad un certo momento il V.B. Cattaneo si allontanò dicendo che doveva fare alcuni bisogni. Preciso che mentre si allontanava portava con sé il mitragliatore Sant Etienne con 25 colpi. Così dopo qualche istante dalla parte in cui si trovava il V.B. Cattaneo venne una raffica di mitragliatore al nostro indirizzo per cui, ad eccezione del De Musso Gaetano ed io, rimasero tutti feriti. Io e il De Musso non riportammo nessuna ferita. Infine puntò l'arma per ferire anche noi due e quindi abbiamo alzato le mani ed il Cattaneo ci disarmò. Così subito dopo ci obbligò a seguirlo e ci portò presso la caserma del 9° Battaglione di assalto di Albenga. Ad Albenga il Cattaneo si presentò al suo Comandante Crespi e dichiarò che noi tutti lo avevamo preso prigioniero e che con la sua abilità era riuscito ad uccidere i sei, facendo prigionieri noi due. Di tutti i fatti su esposti venne celebrato il processo militare di guerra ad Albenga il 17/7/1944. Aggiungo che eventuali chiarimenti ed equivoci possono essere riscontrati presso gli atti di Albenga. In seguito al processo risultò che il V.B. Cattaneo Franco - autore dell'eccidio - si faceva chiamare tale, ma in realtà il suo nome era Abate Salvatore. Aggiungo che detto V.B. Cattaneo Franco venne condannato alla pena di morte: immediata fucilazione alla schiena con esecuzione immediata in data 17/7/1944. Io e il De Musso Gaetano in seguito al processo fummo inviati al Fronte francese per punizione motivata di diserzione con passaggio al nemico. Non ho altro da dire ed in fede di quanto sopra, preciso lettura mi sottoscrivo».

Riportiamo ancora una lunga esposizione dei fatti narrati da Osvaldo Melluso:
«Nel mese di giugno 1944 mi trovavo, quale milite della 1a Compagnia della 9a Brigata d'Assalto della G.N.R., a prestar servizio in un presidio sito in località Martinetto di Albenga (distante circa 11 chilometri da Albenga e altrettanti da Caprauna). Il presidio era composto da sei militi ed un Vice Brigadiere e avevo il compito di vigilare delle casematte adibite a polveriera. Ricordo i loro nomi: Austoni Luigi, Boldrini Lazzaro, Vicini Antonio, Grassini Floriano, Mulas o De Musso Gaetano (il suo vero nome deve essere De Musso in quanto il Grassini, che era in più stretti rapporti con lui, lo chiamava appunto De Musso nel processo verbale fatto ad Arma di Taggia a seguito della vicenda di seguito descritta) e il V.B. Cattaneo Franco (nel verbale il Grassini dice che al processo fatto a Albenga, si venne a sapere che il vero nome, anzichè Cattaneo Franco, era Abate Salvatore) infine lo scrivente Melluso Osvaldo. Per mie indagini, fatte in seguito, venni a sapere che il V.B., tempo addietro, aveva prestato servizio presso il forte di Nava, quale furiere e che svolgeva ancora tale incarico quando il forte venne occupato dai partigiani i quali fecero tutti prigionieri. Ad essi veniva data facoltà di scelta fra rimanere nelle loro fila e l'essere mandati a casa. Questo fatto, in particolare, mi fu raccontato da uno dei militi che rimase appunto volontario nelle fila partigiane: egli stesso precisò che, se anzichè tornare a casa, qualcuno di loro si fosse ripresentato nella G.N.R. e fosse stato poi di nuovo catturato dai partigiani, sarebbe stato passato per le armi. Questa circostanza spiega le ragioni che indussero il Cattaneo ad agire come dirò in seguito, venutosi giocoforza a trovare tra le fila dei partigiani. Si era dunque nel giugno del 1944; il Cattaneo possedeva una valigetta in cui custodiva alcuni documenti, dei permessi, fogli di viaggio,  fogli [...] Vidi in lontananza un campanile e mi diressi in quella direzione correndo. Lungo il sentiero incontrai un contadino vecchio e zoppo, il quale aveva inteso la raffica e ne era terrorizzato. Lo presi sottobraccio e corsi, cercando di farmi indicare la strada per il paese. Me la indicò; lo lasciai e continuai a correre. Mi accorsi che il braccio sinistro roteava per conto suo: la giacca era forata, ma non grondava sangue perchè era tutto assorbito dalla stoffa. Mi tenni il braccio e raggiunsi Barchi d'Ormea. Giunse un calesse con degli uomini armati. Un uomo isolato arrivò in moto. Raccontai l'accaduto al comandante Colombo che mandò subito degli uomini sul posto dell'eccidio e poi mi fece trasferire all'ospedale di Ormea. Dietro consiglio del dottore non mi fecero sapere della morte dei miei amici se non dopo i funerali. Il comandante Colombo si interessò di avvisare i famigliari dei morti ed anche i miei che vennero a trovarmi. Il seguito è storia partigiana. Se mi sarà richiesto darò delucidazioni. Genova 8 luglio 1975 - Melluso Osvaldo»
Una versione sostanzialmente simile del fatto descritto si trova nel volume di Renzo Amedeo (2): «Un gruppetto di fascisti fuggiti dal proprio reparto ed accompagnati da due partigiani, in viaggio per raggiungere le formazioni combattenti in Valle Tanaro, nel tardo pomeriggio del 21 giugno 1944 furono improvvisamente uccisi da uno della compagnia, appena raggiunta la località di Rocca Spina (Ormea).
"Morti per ferita di arma da fuoco alla schiena e al capo, a seguito di una raffica di mitra sparata da un sottufficiale della Guardia Repubblicana Fascista che accompagnava i suddetti e che era in fondo alla colonna" - dicono i registri dello stato civile di Ormea (3).
I cinque caduti sono Austoni Luigi, nato a Genova il 13-1-1925; Boldrini Lazzaro, nato a Santa Margherita Ligure il 16-9-1925; Maccanò Giuseppe, nato a Oneglia il 25-2-1920; Viani Angiolino, nato a Oneglia il 1°-11-1921; Vicini Antonio, nato a Mezzanego il 25-11-1926.
Ma, assieme a questi cinque, si trovavano altre quattro persone: il signor Melluso Osvaldo (4), che si era impegnato ad accompagnare questo gruppo di militi, in servizio presso la prima compagnia della IX brigata d'assalto della GNR, dalla polveriera in località Martinetto d'Albenga alla sede dei partigiani in Caprauna; il Grazzini Floriano ed il De Musso Gaetano i quali, unitisi alla compagnia forse non del tutto persuasi a fuggire dalla Repubblica, poterono ritornare alla propria Compagnia assieme all'autore materiale della strage, il vice brigadiere Abate Salvatore che aveva mutato nome in Cattaneo Franco, dopo la fuga dai Forti di Nava, per approfittare del grado di un altro milite del quale era venuto in possesso dei documenti. In realtà i due scampati furono processati in Albenga il 17 luglio 1944 e condannati a morte, pena commutata poi nell'invio al fronte, mentre fu eseguita la fucilazione a carico del Cattaneo Franco che cercava di rifarsi una verginità vantando quella sua nefanda impresa. Il gruppo dei sette fuggitivi, giunto a Caprauna, fu accompagnato verso la Val Tanaro dai due partigiani Maccanò e Viani della IX Brigata garibaldina, che rimasero uccisi con tre dei fuggitivi, mentre il Melluso se la cavò con alcune gravi ferite
».

Infine, riportiamo ancora il documento con cui il 10° distaccamento dava notizia dell'accaduto al Comando della IX Brigata:
«IX Brigata d'Assalto Garibaldi - 10° Distaccamento
9 luglio 1944
Oggetto: relazione circa il compito affidato ai Garibaldini Sardena e Gelato.
          Al Comando della IX Brigata d'Assalto Garibaldi
La sera del 20 giugno 1944 il Comandante di un distaccamento badogliano «Enzo» informava l'ex Comandante del nostro distaccamento che un suo componente sarebbe transitato nella nostra zona nelle prime ore del mattino del 21 giugno accompagnando dei fascisti della «Muti» che avevano già deciso in precedenza la resa col detto distaccamento. Infatti alle ore 3 all'intimazione di «alt» delle nostre sentinelle rispondeva la pattuglia dei sette fascisti che dichiaravano di voler essere accompagnati al distaccamento suddetto. Il sergente, comandante la pattuglia in questione, confermava all'ex Comandante che aveva già preso accordi col distaccamento badogliano per la resa. Verso le otto del mattino l'ex Comandante del distaccamento, dopo aver fatto togliere le munizioni dai fucili dei fascisti, disponeva che due staffette accompagnassero al distaccamento dei badogliani i fascisti in parola. Però lasciava le munizioni nel fucile mitragliatore S. Etienne. L'incarico di staffetta veniva assegnato ai garibaldini Sardena e Gelato (Viani Angelo e Maccanò Giuseppe). I predetti non facevano più ritorno alla base, per i fatti a voi noti. Comunque si comunica che le due staffette che abbiamo inviato a cotesto comando sono concordi nell'affermare che:
- Sardena e Gelato giunti nella zona ove alloggiava il distaccamento badogliano hanno trovato la zona deserta. Gli stessi allora hanno deciso di raggiungere il nostro distaccamento, che nel mattino aveva ripreso la marcia di trasferimento.
- Giunti sopra Caprauna, mentre il piccolo nucleo era intento a riposarsi, il sergente che aveva impugnato in quell'istante il fucile mitragliatore S. Etienne, faceva fuoco sul nucleo che era disposto a semicerchio.
- Venivano uccisi sul colpo Sardena e Gelato e quattro fascisti.
- Un fascista ferito da varie pallottole, dopo l'allontanamento del sergente e dell'altro fascista riusciva a dare l'allarme alla popolazione di Caprauna che provvedeva al ricupero delle salme.
- Il sergente appena ritornato al suo presidio è stato passato per le armi.
          Il Comandante Marco
[Candido Queirolo] - Il Commissario politico Pantera [Luigi Massabò]»

Carlo Rubaudo, Op. cit.

(2) Volume inedito Storia della XIII Brigata Val Tanaro, pag. 187. Opera depositata presso l'Archivio del Comune di Garessio.
(3) Archivio del Comune di Ormea, atti di morte, p.2^ serie B, anno 1944, atti N° 7,8,9,10,11, stesi per autorizzazione del pretore di Ceva.
(4) Melluso Osvaldo, impiegato FF.SS. Già membro della cellula N° 61 di Genova Brignole, fuggito il 20 giugno 1944 dalla GNR di Cisano, ferito a Roccaspina, rimase all'ospedale di Ormea dal 21 giugno al 16 luglio 1944. Partigiano dal 20 giugno 1944 al 30 settembre 1944, poi caposquadra fino al 31 ottobre 1944 e quindi comandante di distaccamento fino al 30 aprile 1945 nella VI Divisione «Bonfante», III Brigata, dichiarazione integrativa n. 5921.


 
 

mercoledì 5 agosto 2020

Il rastrellamento nazifascista di Besta

Diano San Pietro (IM): Monumento ai Caduti in Guerra - Fonte: Mapio.net

Nella mattinata del 5 febbraio 1945 nella zona di Diano San Pietro (IM) si svolse un rastrellamento nazifascista ai danni della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante". Le forze nemiche erano divise in 3 colonne "una partita da Pairola, via Colletto, un'altra proveniente da Diano Castello, via Diano San Pietro, che puntavano sulla frazione Besta [località nel territorio del comune di Diano San Pietro (IM)] sede della I^ squadra, mentre una terza proveniente da Chiusavecchia cercava di chiudere la via verso l'interno", come recita un documento garibaldino.
La squadra del Distaccamento "Francesco Agnese" riuscì a sganciarsi quasi al completo, tranne 5 uomini che cercarono di nascondersi in rifugi già predisposti... secondo quanto sostiene il professor F. Biga... Franco Raspin Piacentini [nato ad Alessandria il 21 novembre 1923] si suicidava per non cadere in mano ai nemici...
Due giorni dopo si seppe che i nemici durante il  rastrellamento di Diano San Pietro avevano ucciso 2 civili sessantenni, perché trovati al lavoro.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
5 febbraio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Francesco Agnese" della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" al comando  della I^ Brigata - Segnalava un rastrellamento avvenuto nella zona di insediamento del Distaccamento stesso, un rastrellamento durante il quale un garibaldino era rimasto arso vivo e 4 partigiani erano stato fatti prigionieri.
5 febbraio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Francesco Agnese" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Completava il precedente rapporto aggiungendo che i garibaldini prigionieri erano stati portati verso Chiusavecchia e che tra i fascisti che li avevano catturati erano stati riconosciuti il capitano Borro, il guardacaccia Musso ed Emanuele il ciclista, tra i tedeschi il capitano Winter.
da documenti Isrecim in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II

Franco Raspin/Raspen Piacentini - Fonte: ANPI Savona
 
Pare che a seguito all'abbaiare insistente di un cane, sia individuato il posto in cui è nascosto Piacentini il quale, dalla testimonianza dei compagni nascosti nell'altro rifugio, anziché arrendersi, spara un colpo di rivoltella contro un brigatista nero della compagnia del capitano Ferraris, ferendolo ad una mano. Dopo aver gettato nel rifugio qualche bomba a mano, i fascisti estraggono il corpo di Raspin e lo bruciano. I quattro compagni di Piacentini (Emilio <Zari o Stendal, di Milano> Zari, Luigi <Luis di Andora (SV)> Vaghi, Giorgio Parmeggiani <Joe di Bologna; sulla lapide a Chiusavecchia (IM) Parmiggiani>, Antonio <Villa> Gioffrè) sono portati a Chiusavecchia e trucidati. Nel testo Diano e Cervo nella Resistenza, l'autore, Francesco Biga, scrive che Piacentini, rifiutandosi di darsi prigioniero, si toglie la vita nel rifugio con un colpo di pistola. Piacentini Franco è decorato alla memoria con medaglia d’argento al valor militare. A Franco Piacentini è intitolato un Distaccamento della Brigata "Silvano Belgrano" - Divisione d’assalto Garibaldi "Silvio Bonfante". 
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011
 
Il giorno 3 di febbraio 1945 tre colonne di nazifascisti effettuano un grande rastrellamento a Diano San Pietro (zona di Besta): si scontrano con un gruppo di garibaldini del distaccamento “F. Agnese” e sorprendono cinque garibaldini in un rifugio antirasteallamento. Mentre Franco Piacentini (Raspin), rifiutandosi di darsi prigioniero, si toglie la vita nel rifugio con un colpo di pistola, dove i tedeschi ne bruciano il corpo, gli altri quattro, Zari E., Vaghi L., Parmeggiani G. e Gioffrè A., condotti prigionieri a Chiusavecchia, saranno fucilati il giorno dopo.
Notizie tratte da Francesco Biga, Vol. IV della “Storia della Resistenza imperiese”, pagg. 131,132,133 e da Francesco Biga,, “Dalle valli al mare. Diano e Cervo nella Resistenza”, pagg. 207,208,209,210
Sabina Giribaldi, Episodio di Chiusavecchia, 03-04.02.1945Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia
 
Giorgio Parmeggiani - Fonte
 
Parmeggiani Giorgio, «Joe», da Primo ed Ermelinda Bracci; n. il 28/3/1924 a Bologna; ivi residente nel 1943.
Licenza elementare. Ferroviere. Prestò servizio militare in marina sino all'8/9/43.
Catturato dai tedeschi dopo l'armistizio, venne deportato in Germania.
Arruolatosi in un reparto della RSI, disertò appena rientrato in Italia e militò nella 1ª brg Garibaldi Liguria della 6ª div Bonfante.
Catturato durante un combattimento a Chiusavecchia (IM), fu costretto ad assistere all'esecuzione sommaria di un compagno di lotta. Dopo essere stato a lungo torturato, venne fucilato il 4/2/1945 a Diano S. Pietro (IM).
Riconosciuto partigiano dal 14/9/44 al 4/2/45.
Gli è stata conferita la medaglia di bronzo alla memoria con la seguente motivazione: «Rientrato dalla Germania dove era stato deportato, si univa alle locali formazioni partigiane dimostrando in ogni occasione sprezzo del pericolo, ardimento e spirito combattivo. Catturato in rastrellamento, tradotto incatenato in un centro abitato della zona, costretto ad assistere all'esecuzione sommaria di altro partigiano, sottoposto ad atroci sevizie durante interminabili estenuanti interrogatori, non svelava nulla che potesse danneggiare il movimento della resistenza ed affrontava serenamente il supremo sacrificio per il bene della Patria.». Diano S. Pietro, Chiusavecchia (Imperia), 2-4 febbraio 1945.
(a cura di) Alessandro Albertazzi, Luigi Arbizzani, Nazario Sauro Onofri, Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel Bolognese (1919-1945), Vol. IV, Dizionario biografico M - Q, Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea nella provincia di Bologna "Luciano Bergonzini", Istituto per la Storia di Bologna, Comune di Bologna, Regione Emilia Romagna, 1985-2003 
 
Era il 5 febbraio 1945. Al sorgere dell'alba ci incamminammo verso Diano San Pietro. Eravamo giunti quasi nel paese quando sentimmo raffiche di mitra. Ci attirò l'attenzione una colonna di soldati tedeschi che, scendendo da Diano Castello, veniva verso di noi. Ci portammo rapidamente al passo della Erbarea, che portava verso Pairola, e ci appostammo in quel punto in quanto potevamo vedere nelle due vallate di Diano e di Cervo (Valle Steria) l'avvicinarsi di soldati nemici. Sentimmo diverse sparatorie proveniente dai luoghi ove erano ubicati i nostri rifugi nella zona di Besta e poi, silenzio totale. Preoccupati per i nostri compagni nascosti nei rifugi, ci avviammo in quella direzione. Quando giungemmo quasi sul luogo, avvertii un acre odore di carne bruciata; lo feci notare ai miei compagni di viaggio dicendo loro che, probabilmente, i tedeschi avevano bruciato qualcuno dei nostri compagni. Al che Germano e Mancen mi risposero: "Sandro, sei sempre lo stesso, vedi pericoli in ogni luogo,adesso senti anche odore di carne bruciata, piantala di fare in ogni occasione il pessimista". Dopo qualche decina di metri l'odore si fece più forte ed anche i miei compagni convenirono che qualche cosa era successo. Quando in un piccolo spiazzo, distante da noi una cinquantina di metri, notammo delle fiammelle, ci dirigemmo in quella direzione. Giunti sul posto, trovammo un corpo umano quasi completamente carbonizzato e notammo delle fiammelle ancora sopra una spalla e sopra un piede.
Attraverso alcuni brandelli di indumenti non bruciati identificammo il corpo del povero Franco Piacentini Raspen. Poi venimmo a sapere che gli altri quattro compagni (Emilio Zari, Luigi Vaghi, Giorgio Parmeggiani, Antonio Giuffrè) si erano arresi. Invece l'altro rifugio che si trovava nei pressi non venne individuato e gli occupanti (tra cui Peccenen e tre soldati russi), salvatisi, ci raccontarono che i nostri compagni erano stati quasi massacrati di botte [...] che Raspen si era rifiutato di arrendersi sparando dal rifugio un colpo di rivoltella contro il brigatista nero della compagnia Ferraris (tra le bande fasciste, la più sanguinaria), probabilmente ferendolo ad una mano. Allora i nemici avevano gettato nel rifugio qualche bomba a mano; non sentendo più alcun rumore, da sopra il rifugio avevano scavato, finchè non erano riusciti ad estrarre il corpo del povero compagno che, collocato sopra un mucchio di fascine, era stato bruciato, dando fuoco ad un liquido infiammabile.
Per il momento non ci rimase altro da fare che dare pietosa sepoltura nel cimitero di Diano San Pietro ai poveri resti (dopo la Liberazione, io, Germano e Frattini, li portammo ad Alessandria, sua città natale). I quattro che si arresero furono portati a Chiusavecchia, torturati per una notte intera e, all'alba del giorno dopo, fucilati.

La lapide rammentata da Sandro Badellino, op. cit. infra. Fonte: pietre della memoria
 
Una lapide, ivi collocata, con i nomi dei quattro e di altri partigiani uccisi nel medesimo luogo, ricorda il loro martirio.
Sovente ripenso che, se il comandante Giuseppe Saguato ("Pippo") [n.d.r.: anche Buffalo Bill o Bill, comandante del Distaccamento "Francesco Agnese" della I^ Brigata] non mi avesse portato con sé nella casa della Tassi in località Sant'Anna, sarei rimasto nel rifugio dove era Raspen. Sulla lapide di Chiusavecchia indubbiamente oggi ci sarebbe anche il mio nome.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998
 

lunedì 3 agosto 2020

La vera azione partigiana s'iniziò dopo il fatale 8 settembre 1943

La prima pagina del qui citato manoscritto di Giuseppe Porcheddu

Nei giorni seguenti l'armistizio si ebbe, come in altre parti d'Italia, un afflusso di persone verso la montagna... la grande maggioranza cercava scampo nella fuga soltanto per sottrarsi all'immediata azione tedesca...
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Il 10 settembre 1943, dopo una prima riunione di quadri comunisti, seguita da una seconda, alla quale oltre ai comunisti parteciparono uomini politici delle altre correnti antifasciste, venne formato un triangolo militare, composto da Nino Siccardi, Felice Cascione e Carlo Aliprandi [Lungo, in seguito commissario della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati"], con l'incarico di inviare altri uomini in montagna, aiutare con viveri, armi e munizioni quelli che già vi si trovavano, ed organizzare militarmente anche gli uomini della città... Così prima dell'arrivo dei tedeschi furono recuperate cinque mitragliatrici, oltre cento fucili... Verso la fine di settembre 1943 Gian Carlo Pajetta giunse ad Imperia, inviato dal Centro di Genova per prendere contatto con l'organizzazione comunista locale. Scopo della riunione era quello di lanciare tutta l'organizzazione comunista nella lotta di liberazione, trattandosi, tra l'altro, di una rete politicamente già ben ramificata nella Provincia.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016 

Dopo l'8 settembre alcuni ufficiali si erano fermati a Triora, ma al primo bando emanato dai tedeschi per la presentazione degli ex appartenenti all'esercito si ripararono in Goina, alle spalle di Triora. Lì si radunarono intorno al maggiore Zoli Aldo, già ufficiale GAF, che spontaneamente fu riconosciuto il superiore, anche perché già facente parte del CLN di Sanremo. Però prima di Natale il maggiore Zoli si trasferiva a Sanremo ed incaricava gli ufficiali ed i sottufficiali rimasti di raccogliere armi e nasconderle e convincere gli ex militari di non presentarsi ai tedeschi. "Provvide qualche volta a mandare aiuti", dice Fragola Doria [Armando Izzo]. "Durante l'inverno scesi parecchie volte a Sanremo per incontrarmi con il maggiore, sia per conoscere le decisioni del Comitato di Liberazione, sia per ricevere aiuti. Però il Comitato si ispirò al principio che la lotta armata dovesse iniziarsi con la buona stagione e che frattanto bisognava prepararsi sia materialmente, continuando a raccogliere armi, sia moralmente, incitando le popolazioni a resistere ai nazifascisti".
Fu nell'autunno dell'anno 1943 che si accendeva una scintilla di rivolta a Loreto di Triora ...
Un sergente maggiore dei reparti GAF [Guardia alla Frontiera], Tento [Pietro Tento], si era fermato a Loreto. Era con lui la moglie, una maestra, ed un figlio in tenera età. Forse Vitò ["Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo] ritrovò la certezza di una organizzazione per l'incoraggiamento del sergente maggiore. Con lui studiò le varie occasioni e le possibilità. Radunò alcuni giovani, altri li avvicinò singolarmente...
Guido di Cetta, Guido Arnaldi... Diveniva il segretario, l'ombra di Vitò. Il fedele esecutore di ordini, il collaboratore entusiasta. Attorno a lui Vitò raduna molti giovani.
Fu il primo nucleo di quell'esercito che si distinse e meritò il ricordo perenne per le sue azioni.
Furono i giovani dell'Alta Valle Argentina i primi ad aderire al movimento. Provenivano da Cetta, da Loreto, da Bregalla, da Creppo. 

don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975 

Nell'alta zona di frontiera, sotto il gran cuneo che forma il territorio francese proiettandosi in quello italiano oltre il Roia, si raccolsero già nel settembre 1943 reparti di soldati italiani, che, poi, con l'avanzare dell'autunno si andarono progressivamente assottigliando e giovani delle stesse montagne, infiammati di avventura e anelanti alla libertà, che costituirono piccole bande o squadre: gente rotta alle fatiche ed ai disagi della montagna, armata di fucili e di qualche mitragliatore sottratto ai depositi militari, aiutata, spesse volte, da ufficiali e sottufficiali dell'esercito in sfacelo. Vittò (Ivano - Vittorio Guglielmo) fu uno degli animatori di questi primi gruppi di resistenza. Più a sud in prossimità della costa nella zona Sanremo-Ospedaletti-Bordighera, Renato Brunati [Renato Brunati, arrestato il 6 gennaio 1944, deportato a Genova e fucilato dalle SS il 19 maggio 1944 sul Turchino] organizzava, con l'attivo appoggio del dottor Pigati operante a Sanremo, nella villa di Baiardo della signora Meiffret, squadre armate, composte prima di ex militari, che presto si sbandavano per mancanza di coesione ed in seguito di giovani affluiti dalle città e arruolati sul posto... Leo (Stefano Carabalona) e poi Veloce (Ermanno Martini), Artù (Arturo Secondo), Gino Napolitano (Gino) e numerosi altri ardimentosi raccoglievano un po' ovunque minuscole squadre...
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. Alis, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Nella Val Nervia alcuni ufficiali cercarono rifugio e sicurezza a Rocchetta Nervina (IM), dove il tenente Stefano Carabalona, residente in loco, cercava di organizzare gli sbandati e di procurare il maggior numero di armi possibili. Purtroppo i soldati buttavano i loro fucili nei luoghi i più disparati e fu un lavoro faticoso cercare di recuperarli…
don Ermando Micheletto, Op. cit.

Poco dopo l'8 settembre 1943 agivano nel circondario di Imperia tre bande di patrioti: quella con Felice Cascione, che accoglieva i primi civili e militari sbandati già la sera del 10 settembre 1943; quella, formata soprattutto da giovani intellettuali, con i fratelli Serra, Nicola ed Enrico,  entrambi medaglie di bronzo al valor militare alla memoria, saliti in montagna con il chiaro incarico di organizzare i giovani alla macchia, nei pressi del Monte Faudo; quella nei pressi di Borgo d'Oneglia, Frazione di Imperia, conosciuta come gruppo dei politici, in cui militavano tra gli altri Guerrino, Luigi e Vincenzo Peruzzi, fratelli di Armando caduto in difesa della  repubblica in Spagna, Aldo Nino Risso, Walter Berio.
Rocco Fava, Op. cit.  
 
I fratelli Enrico (nato il 24 maggio 1921) e Nicola (nato il 2 luglio 1918) Serra furono arrestati il 3 dicembre 1943 dalla milizia fascista (Guardia Nazionale Repubblicana) con l'accusa di aver rubato armi ai tedeschi e di essere dei "ribelli". L'11 febbraio 1944 i due fratelli furono consegnati alle SS per essere trasferiti nel carcere di Savona e poi nel carcere Marassi di Genova. L'11 marzo 1944 entrambi furono internati nel campo di transito di Fossoli (Modena) e deportati nel campo di concentramento di Mauthausen il 21 giugno 1944 come "prigionieri politici" con il trasporto n. 53. Enrico Serra morì il 2 febbraio 1945, a causa delle torture e dell'esaurimento fisico, nel campo di sterminio di Gusen. Nicola Serra fu trasferito da Mauthausen al campo satellitare di Redl-Zipf; sottoposto a lavori forzati e a condizioni di vita disumane, morì l'11 novembre 1944 per polmonite acuta.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]

Raimondo Ricci dopo l'armistizio si diede alla macchia, con un gruppo di marinai, sulle alture di Imperia. Arrestato con la sorella alla fine di dicembre del 1943 dall'Ufficio politico investigativo della GNR, Ricci venne trattenuto nella città ligure per due mesi, mentre la sorella veniva rilasciata dopo pochi giorni. Non parlò nonostante i pesanti interrogatori. Consegnato alla Gestapo, Ricci fu imprigionato a Savona e a Genova, poi recluso nel campo di concentramento di Fossoli, e infine deportato nel giugno 1944 a Mauthausen, dove fu liberato il 5 maggio 1945.
Patria Indipendente

Obiettivo precipuo degli esponenti antifascisti fu quello di tentare di coordinare, se possibile, gli sbandati, i giovani volontari e le piccole bande all'interno di una comune organizzazione...
E da un documento (Isrecim) della IV^ Brigata S.A.P. "Lorenzo Acquarone" di Porto Maurizio si evince che "la Brigata è stata costituita nei primi giorni del settembre 1944, aggregando piccoli gruppi che agivano già dal settembre 1943".
La banda Cascione, dislocata in Località Bestagni-Magaietto di Diano Castello (IM), estremo levante della provincia di Imperia, si trovò ad essere costituita da civili e militari provenienti soprattutto dalla zona di Imperia.
In Località Inimonti soprastante Pontedassio (IM) vi erano altri tre gruppi: uno, guidato da G.B. Titèn Trucco, era di orientamento comunista; un altro, formato da Eolo Castagno [nome di battaglia Garibaldi, in seguito capo servizio collegamento della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" e medaglia d'argento al valor militare per attività partigiana], Ivar Kimi Oddone [in seguito commissario politico della II^ Divisione "Felice Cascione"] ed altri; il terzo, con Carlo Venezia Carli ed altri. Il gruppo di Castagno era chiamato degli ufficiali, perché tali erano stati nel Regio Esercito Castagno, Enrico Enrico Gaiti [in seguito capo di una squadra; fucilato al Passo del  Turchino il 19 maggio 1944; medaglia di bronzo al valor militare per attività partigiana] e Bruno Bruno Amoretti [in seguito commissario di Distaccamento della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"].
In un secondo tempo la banda di G.B. Titèn Trucco, nella quale militava anche il fratello Carlo Trucco, Girasole, in seguito comandante di squadra della IV^ Brigata "Domenico Arnera" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", e quella di Eolo Castagno  si unirono per opera di Cascione.
Anche il gruppo di Carli, pur rimanendo autonomo, seguì Cascione.
Rocco Fava, Op. cit.

La vera azione partigiana s’iniziò dopo il fatale 8 settembre 1943, allorchè Brunati e la sig. Maiffret subito dopo l’occupazione tedesca organizzarono un primo nucleo di fedeli e racimolarono per le montagne, sulla frontiera franco-italiana e nei depositi, armi e materiali: armi e materiali che essi vennero via via accumulando a Bajardo in una proprietà della Maiffret, che servì poi sempre di quartier generale in altura, mentre alla costa il luogo di ritrovo e smistamento si stabiliva in casa mia ad Arziglia e proprio sulla via Aurelia. Nei giorni piovosi di settembre ed ottobre 1943 i trasporti d’armi e munizioni, furon particolarmente gravosi… Io fui nell’ottobre 1943 interessato dal dott. Ronga di Sanremo a formare in Bordighera il Comitato di liberazione e più tardi, per incarico del noto cap. Gino, iniziai i collegamenti col defunto gen. Pognisi [Comm. Gen. Emilio Pognisi, Commissario Prefettizio di Bordighera dal 31.8.1943 al 13.10.1943], con il rev. Don Pellorese ed il dott. Marchesi...  
Giuseppe Porcheddu, manoscritto (documento Isrecim) edito in Francesco Mocci (con il contributo di Dario Canavese di Ventimiglia), Il capitano Gino Punzi, alpino e partigiano, Alzani Editore, Pinerolo (TO), 2019

Un altro gruppo si era costituito a Boscomare, Frazione di Pietrabruna (IM), ma ebbe vita breve e si sciolse alla fine del 1943, come accadde per un altro gruppo di Civezza (IM), del quale facevano parte Carlo Leone dell'Azione Cattolica e Domenico Brusso.
Alcuni giovani, già facenti parte di gruppi disciolti verso la fine del 1943 rimasero in montagna ed aderirono ad altre bande, come, ad esempio, fece Giacomo Castello.
Rocco Fava, Op. cit. 

Giuseppe "Pippo" o "Camola" Daprelà, nato a Porto Maurizio il 23 maggio 1920, nel settembre del 1943 prestava servizio militare presso la Caserma Crespi ad Imperia. Dopo l'8 Settembre partecipava ad un fallito tentativo da parte di alcuni ufficiali di organizzare un battaglione del nuovo Esercito Italiano presso la caserma di Pieve di Teco. Tornato a casa a Porto Maurizio dove, già sposato, era padre di un bimbo di appena due mesi, vi restava poco perché costretto a darsi alla macchia con altri compagni nella zona del Monte Faudo. Portando con sé alcune armi della dotazione militare, formarono un embrione di banda partigiana[...]
Geromina "Mina" Garibaldi, nata a Diano Marina il 25 ottobre 1923 [cfr anche: Donatella Alfonso, Ci chiamavano libertà. Partigiane e resistenti in Liguria 1943-1945. La parola ridata alle donne, De Ferrari, Genova 2013]. Patriota, di famiglia antifascista, fin dal 1935 si era formata con i principi democratici e antifascisti grazie all'opera educativa di una insegnante ebrea, la Prof.ssa Giobia Sanjacopo. Partecipava nel luglio del 1943 alle manifestazioni antifasciste e l'8 settembre al tentativo di far fuggire dei carabinieri da un treno diretto in Germania. A partire dalla metà di ottobre, incominciava a coordinare sistematicamente un gruppo di ragazze che copertamente collaborò con la Resistenza dianese per tutto il periodo della guerra: furti di materiali e munizioni dai depositi tedeschi, organizzazione del trasporto dei medesimi verso i distaccamenti, produzione di documenti falsi per i partigiani, collegamenti fra il C.L.N. e le formazioni di montagna, produzione e diffusione di giornali e volantini clandestini  [...]
Attilio Leo Mela [..] dopo l'8 settembre, attraverso varie peripezie, raggiunse Sant'Agata, Frazione di Imperia, dove viveva la sua famiglia. Subito fu a capo della locale banda partigiana appena costituita dai giovani del paese. Il 14 dicembre 1943 partecipò con essa al primo vero scontro armato della Resistenza imperiese [...]
Giancristiano "Gian Burrasca" Pesavento,  nato ad Asiago il 20 agosto 1922. Di famiglia antifascista, aderiva dopo l'8 Settembre 43 al P.C.I. clandestino di Porto Maurizio dove viveva dal 1936. Fu subito attivo nella propaganda antifascista, attraverso l'affissione di manifesti e diffusione di volantini che avveniva durante gli allarmi aerei [...]
Rino "Rino" Poli, Ventimiglia nato a Ventimiglia il 29 agosto 1927. Patriota, di famiglia antifascista, nel luglio del 1943 studente di 16 anni, partecipava alle manifestazioni antifasciste per la caduta di Mussolini. Dopo l'8 Settembre era tra coloro che recuperarono le armi dalla caserma di Forte Annunziata abbandonata dall'esercito, che vennero distribuite ai primi partigiani [...]
Carlo "Girasole" Trucco, nato ad Imperia il 22 dicembre 1925. Di famiglia antifascista, fu militante del P.C.I. clandestino dal marzo 1943. Dopo il 25 Luglio partecipò a tutte le manifestazioni antifasciste che si svolsero a Oneglia  [...]
Francesco "Franco" Verda, nato a Pieve di Teco il 26 dicembre 1924.  Contadino, ricevette la cartolina di precetto per partire militare il 5.8.43. Convalescente nell'ospedale di Pieve, non si presentò e venne considerato disertore. Nascosto nella carbonaia dell'ospedale da una suora, sfuggì all'arresto da parte dei tedeschi e, appena rimessosi in salute, si rifugiò con altri giovani ai casoni di Tetti Parodo, sulle alture della zona. Da qui passò con altri a Viozene, dove c'era un gruppo di partigiani "badogliani", e poi in Val Pennavaira [...]    
Vittorio Detassis

A Cipressa (IM) si insediò un piccolo gruppo, di cui faceva parte, tra gli altri Giuseppe Garibaldi [Fra Diavolo/Garibaldi, alla fine della guerra comandante della IV^ Brigata "Domenico Arnera" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"]. Verso la fine di settembre del 1943 si formava nei pressi di Lucinasco (IM), in Località Cuccagna, un'altra banda, quella di Giacomo Ivan Sibilla [in seguito comandante del Distaccamento Inafferrabile, quindi, a fine 1944, comandante della II^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Nino Berio" della Divisione "Silvio Bonfante"].
Rocco Fava, Op. cit.

sabato 1 agosto 2020

Sui rastrellamenti nazifascisti di inizio 1944 in Val Casotto e nella zona di Nava


Lastra commemorativa dell’eccidio in data 14 gennaio 1944 di 11 partigiani ed un civile perpetrato in Pellone di Miroglio, Frazione di Frabosa Sottana (CN) - Fonte: Pietre della memoria
 
La cappella di San Marco al Pellone [...] Nella zona, vicinissima a Miroglio [Frazione di Frabosa Sottana, in provincia di Cuneo], sede delle milizie fasciste, operavano i partigiani, anche ospitati dalla famiglia Tassone, che viveva nella piccola borgata a pochi passi dalla cappella. Un giorno di fine gennaio 1944, forse per una delazione, un gruppo di fascisti della zona sorprese i partigiani intenti a mangiare davanti alla cappella: ne uccisero undici, lasciandoli quasi a galleggiare nel loro sangue. Il massacro continuò anche all’interno: dalla porta colavano rivoli di sangue. Nelle gavette, ancora il cibo consumato a metà. Gli abitanti dei dintorni poco dopo portarono tutti i morti nella cappella e poi don Beppe Bruno il “prete dei ribelli” provvide alle sepolture. Per quest’opera pietosa alcuni valligiani furono portati dai fascisti a Ceva e interrogati per giorni. 
Itinerari partigiani in valle Ellero, Viaggio nel Monte Regale  

Fonte: Viaggio nel Monte Regale

Fonte: Viaggio nel Monte Regale
 
I partigiani locali, allora al  comando di Enzo Marchesi (col. Musso)  catturano alcune autorità fasciste  il 20 dicembre  1943 in  valle  Corsaglia  (CN).  Il  26  dicembre  giunge  a  comandare  il  gruppo il  maggiore  Enrico  Martini “Mauri”. Il 13 gennaio 1944 i tedeschi, con un ultimatum, chiesero la restituzione di “Sarasino, il criminale capo dell’OVRA. In caso di mancata restituzione i tedeschi minacciavano rappresaglie per il giorno dopo”. Mauri disse che i tedeschi bluffavano e non volle provvedere ad una maggiore difesa. Verso mezzogiorno i tedeschi  attaccarono  in  forze  quasi  tuttii partigiani dell’avamposto del Pellone, con alcuni abitanti, caddero nelle loro mani e furono trucidati .
Italo Cordero, Ribelle: Esperienze di vita partigiana dalla Val Casotto alle Langhe, dalla Liguria alle colline torinesi, tipografia Fracchia, Mondovì, 1991, pp. 56-57

[ n.d.r.: Giorgio <Giorgio I, poi Cis> Alpron a dicembre 1943 fu presente ad Alto (CN), in quanto attivo nei collegamenti con Mauri e con il servizio Lanci dell'Organizzazione "Otto". Passò, poi, a militare  nelle formazioni garibaldine della I^ Zona Operativa Liguria nelle quali diventò in seguito capo di Stato maggiore della  I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio  Bonfante ]

 

I tedeschi avevano nel frattempo posto un loro importante quartiere generale nell'Albergo Miramonti di Garessio (CN).
Da questo centro i nazisti organizzarono un forte rastrellamento contro le bande badogliane di Val Casotto, nelle quali militava anche un noto attore, Folco Lulli *.
I nazisti furono, tuttavia, attaccati proprio nell'Albergo dai "ribelli", badogliani, ma non solo.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
* Folco Lulli, nato a Firenze il 3 luglio 1912, deceduto a Roma il 24 maggio 1970, attore cinematografico. Durante la guerra fascista in Etiopia, Lulli ebbe il comando di una banda di abissini, che affiancava le truppe regolari italiane. Dopo l'8 settembre 1943, trovandosi nel Cuneese, prese parte alla Resistenza con gli "Autonomi" di Enrico Martini Mauri, prima al comando di una "volante" in Val Maudagna, poi come capo di stato maggiore delle formazioni di Mauri in valle Casotto. Catturato dai tedeschi, Lulli fu deportato in Germania. Riuscì a fuggire e a riparare nell'allora Unione Sovietica. Tornato in Italia, divenne nel dopoguerra un noto attore cinematografico, rivelando la pienezza dei suoi mezzi espressivi in film quali "Vite vendute", "Il bandito", "Senza pietà", "Non c'è pace tra gli ulivi", "Fuga in Francia". Ha partecipato ad una trentina di film di vario genere.
ANPI Cuneo


Verso la fine del febbraio '44 (nei giorni dal 25 al 27) vi era stata la battaglia di Garessio, con l'attacco dei partigiani al Miramonti, albergo nel quale si erano asserragliati i i tedeschi. Questi, con lo scopo di compiere una vasta opera di rastrellamento specialmente contro i partigiani di Val Casotto, avevano occupato Garessio (25 febbraio), incominciando subito a commettere uccisioni e devastazioni, e avevano posta la loro sede nell'albergo Miramonti.  Attaccati dai partigiani di Mauri, convenuti da varie parti, la battaglia aveva assunto ampie proporzioni, svolgendosi contemporaneamente in diverse località. Infine i tedeschi, dopo aver compiuto numerosi massacri con la cooperazione di militi fascisti del battaglione San Marco, avevano lasciato il paese (27 febbraio); ma vi erano stati strascichi dolorosi anche nei giorni seguenti. Durante questi fatti il 26 febbraio '44 era stato ripetutamente ferito in combattimento e dai militi fascisti catturato, torturato e ucciso Sergio Sabatini.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Fonte: Pietre della memoria
 
Nella battaglia di Garessio (CN) [il 26 febbraio 1944] venne ucciso il partigiano Sergio Sabatini * di Imperia.
Rocco Fava, Op. cit.
* Sergio Sabatini. Medaglia d'oro al valor militare con la seguente motivazione: "Giovane partigiano di eccezionale coraggio, rinunciava alla licenza per partecipare con i propri compagni ad un’azione di particolare importanza contro un presidio tedesco. Ferito due volte durante l’epica lotta e costretto dietro ordine del comando a ritirarsi per esaurimento delle munizioni, si offriva volontario per portare ordini ad un reparto impegnato su altro tratto di fronte. Ferito una terza volta nell’attraversare una zona scoperta e battuta tentava ancora con le ultime forze di assolvere il suo compito, finché, colpito una quarta volta al petto, cadeva nelle mani del nemico, che dopo avere tentato invano di estorcergli notizie sull’organizzazione partigiana, lo seviziava barbaramente. Condotto a morte, l’affrontava con sprezzo gridando al nemico: «Mio padre mi ha insegnato a vivere, io vi insegno a morire». Fulgido esempio di valore e di fermezza". Garessio, 25-26 febbraio 1944

Nella squadra di Martinengo [Eraldo Hanau] a tenere una posizione importante sopra il paese c'era anche lo studente onegliese Sergio Sabatini. I suoi compagni sapevano che sparava bene alla mitraglia: allora gliela diedero in consegna con tutto l'occorrente per la postazione; ma più tardi i tedeschi lo catturarono ferito, perché si era fidato troppo andando allo scoperto quando partì volontario per portare un ordine urgente ai mortaisti. Anche i nazifascisti capirono che era un ragazzo in gamba molto deciso, che non dava segno di dolore manco quando provarono a picchiarlo per farlo parlare. Cosicché prima di ricominciare cercarono di convincerlo con le buone; ma lui continuava a dire di no, che lì c'era per conto suo e basta; poi lo torturarono con accanimento avendo perso la pazienza, per fargli dire del comando e dei comandanti.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 23-24

Ruderi di un casone utilizzato dai partigiani in Val Casotto. Foto: Claudio Galli

Ruderi di un casone utilizzato dai partigiani in Val Casotto. Foto: Claudio Galli
 
Fonte: Giampaolo De Luca, Op. cit. infra
 

Ruderi di un casone utilizzato dai partigiani in Val Casotto. Foto: Claudio Galli

Giorgio Carrara, nato a Garessio il marzo 1925, allievo meccanico. Partigiano del distaccamento del Colle di Casotto, il 27 febbraio 1944 scende in Garessio accompagnato da un partigiano del luogo con l’intento di recuperare armi abbandonate ed assumere notizie sulle intenzioni dei nazifascisti. Compiuto il recupero, i partigiani si avvicinano al piazzale dell’albergo Miramonti, (sede del comando tedesco), fanno fuoco sui tedeschi, quindi risalgono la "costa della battagliera" verso regione Campi. I tedeschi allertati li inseguono: Carrara è colpito all’addome da una raffica, mentre il suo compagno riesce a fuggire. Catturato da due soldati, è condotto prima al comando del Miramonti, poi verso la strada di Valsorda sino all’incrocio con quella delle Fonti. In tale località gli sparano in fronte con il mitra. Mostrando il tricolore che gli orna il risvolto della giacca, pronuncia le sue ultime parole: "Viva l’Italia!".
È insignito di Croce di guerra alla memoria: "Partigiano ardito e coraggioso, già ripetutamente distintosi in precedenti circostanze, durante un aspro combattimento per la conquista di un importante centro abitato, trovava morte gloriosa alla testa dei suoi compagni". Garessio 1° febbraio - 26 febbraio 1944
A Giorgio Carrara venne intitolato un distaccamento della Brigata "Domenico Arnera" della Divisione d’assalto Garibaldi "Silvio Bonfante".
Redazione, Arrivano i Partigiani. Inserto 2. "Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I Resistenti, ANPI Savona, numero speciale, 2011  

La primavera del 1944 portò con sé anche una nuova consapevolezza da parte nemica: la ribellione andava stroncata sul nascere con un’offensiva a vasto raggio, caratterizzata dal contemporaneo sfondamento frontale e dall’aggiramento sulle ali, al fine di non lasciare scampo all’avversario. Al 7 marzo l’operazione investì le valli di Lanzo, al 13 si spostò in Val Casotto, successivamente in Val Varaita. Nella Val Casotto, dove era stata adottata la tattica della difesa rigida frontale, i volontari subirono un rovescio senza precedenti, perdendo i due terzi degli uomini, e solo una esigua schiera di superstiti al comando del capitano Enrico Martini Mauri riuscì a rompere l’accerchiamento e a riparare nelle Langhe. In Val Varaita e in Val di Lanzo le perdite furono minori, ma le bande uscirono dagli scontri disarticolate e scosse.
Lodovico Como, Dall'Italia all'Europa. Biografia politica di Edoardo Martino (1910-1999), Tesi di Dottorato, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Anno Accademico 2009-2010

Dei quasi mille uomini che “Mauri” aveva in val Casotto e in val Tanaro, solo un centinaio ne rimangono ai primi di aprile del 1944. <392 Il numero di patrioti, che andrà a ingrossare le file maurine, sarà diverso per provenienza e per cultura militare dagli uomini che il maggiore aveva a disposizione durante il primo inverno. La maggior parte dei «coadiutori [di “Mauri”] ha lasciato la vita sul campo o dinnanzi al plotone di esecuzione tedesco». <393
[NOTE]
392 “Relazione sui fatti d’arme dal 13 al 17 marzo nelle valli Casotto, Mongia e Tanaro”, Langhe, 9.4.44 - in Luciano Boccalatte (a cura di), Il primo gruppo di divisioni alpine in Piemonte, in Gianni Perona (a cura di), Formazioni autonome nella Resistenza. Documenti, FrancoAngeli, Milano 1996, p. 342
393 Ibidem

Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013

Sono passati molti anni dallo scontro tra partigiani e truppe tedesche che mise a ferro e fuoco l’intera vallata, eppure il numeroso pubblico accorso sabato 16 marzo nella sala comunale di Pamparato testimonia quanto sia viva la volontà di ricordare la storia di allora e i suoi protagonisti. In luoghi oggi così lontani dal clamore mediatico, nei giorni a cavallo tra il 13 e il 17 marzo del 1944 si scrisse una delle pagine più importanti della storia resistenziale piemontese, con i partigiani del comandante Mauri assaliti dai tedeschi.
I relatori: «Conoscere la storia è l’unico “vaccino” efficace al male e all’ignoranza»
A ricordarlo Michele Calandri, già direttore dell’Istituto storico della Resistenza di Cuneo, che ha definito questa battaglia come uno spartiacque nella lotta al nazifascismo: «Nonostante la pesante sconfitta subita dagli uomini al seguito di Enrico Martini detto “Mauri” si può affermare che tra queste montagne nacque quella Resistenza capace di contribuire al definitivo tracollo della Wehrmacht, basata fino ad allora su azioni isolate e figlie dell’improvvisazione». Nella trattoria “Croce Rossa” di Valcasotto si riunirono i capi partigiani provenienti dal basso Piemonte e della vicina Liguria tra cui anche il celebre Duccio Galimberti. In quel freddo inverno, tra la neve come sempre copiosa, erano presenti in Valle Casotto quasi 1.500 uomini di cui solo la metà armata e ritenuta idonea allo scontro. La Wehrmacht, preannunciata dalla “cicogna”, nome con cui i tedeschi chiamavano gli aerei da ricognizione, poteva invece contare su circa 3.000 soldati e mezzi blindati che, dopo quattro giorni di duri scontri, ebbero la meglio: «Tra le fila tedesche i caduti furono solamente 10, mentre tra i partigiani ben 118 - ha concluso Calandri -. A pagare a caro prezzo fu anche la popolazione civile con 33 morti e numerose borgate date alle fiamme». La gente comune non fece mai mancare sostegno e ospitalità alle truppe di liberazione: «Uno spirito di solidarietà che oggi sembra essersi appannato - ha commentato Ughetta Biancotto, presidente ANPI provinciale -. La Resistenza rappresenta una della pagine più belle del Novecento, che ci ha permesso di consolidare valori come la libertà, la democrazia, la pace e la giustizia sociale. Oggi tutti noi abbiamo il dovere di difendere quelle conquiste ottenute con il sacrificio di tante giovani vite». Resistenza come valore attuale da tutelare contro le incertezze del presente: «Gli episodi di intolleranza sono ormai all’ordine del giorno - ha affermato con preoccupazione il prof. Stefano Casarino, presidente ANPI Mondovì -. Già Primo Levi diceva che ciò che era stato poteva ritornare a essere. L’unico “vaccino” efficace è lo studio della storia. I ragazzi di oggi sono curiosi e hanno voglia di imparare. Dobbiamo sentirci tutti coinvolti nel processo di educazione avvicinandoli con passione e trasporto a queste tematiche».
Le testimonianze di chi ha vissuto in prima persona quei momenti
Il convegno è stato arricchito dalle testimonianze di coloro che erano poco più che ragazzini ma vissero sulla loro pelle quella immane tragedia. Su tutti il novantenne Ugo Robaldo, residente a Valcasotto, che con sorprendente minuzia di particolari ha saputo rievocare i momenti che precedettero l’arrivo delle truppe tedesche. Spesso i partigiani si affidarono a lui per il trasporto di viveri e messaggi da una postazione all’altra o per semplici suggerimenti sulla geografia del territorio. Prezioso l’intervento di Giacinto Baldracco, allora residente nel Castello di Valcasotto, sulla cui famiglia pendeva un mandato d’arresto perché considerata collaborazionista dei partigiani: a 7 anni fu costretto a rifugiarsi a Torino, mentre il Castello veniva distrutto dai tedeschi. Molto commosso l’intervento del figlio di Rita Borgna, all’epoca titolare dell’ufficio postale di Serra Pamparato, che aveva avuto un fondamentale ruolo di collegamento con i combattenti di stanza a Mondovì. Presente in sala anche Franco Luigi Motta, classe 1924, uno degli ultimi partigiani monregalesi che combatté al fianco del capitano Piero Cosa e del tenente Giuseppe Milano sul Pian della Tura. A moderare l’incontro il giornalista Marco Giraudo che, dopo aver riportato il ricordo di Giuseppe Robaldo e Carlo Dalmasso, ha chiuso il convegno asserendo l’importanza dell’arte nella trasmissione di questi valori: «I giovani possono essere coinvolti attraverso il messaggio universale della musica». Gran parte del merito della riuscita di questa iniziativa va attribuito alla passione di Mauro Uberti e Ivana Mussano: «È davvero toccante vedere una sala così gremita - ha dichiarato la direttrice della Biblioteca comunale di Pamparato -. Il tempo intercorso da quegli eventi non ha intaccato la voglia di ricordare».
Alessandro Briatore, Pamparato ha ricordato i giorni della Battaglia della Val Casotto, Unione Monregalese, 24 marzo 2019