lunedì 8 giugno 2020

Il nuovo recapito del comando partigiano di zona era a Case Carli

Nel territorio di Prelà (IM) - Foto: S.M.
 
L'ulteriore sviluppo della situazione militare durante il mese di dicembre [1944] impose, oltre all'attuazione pratica della circolare n° 23, altre modifiche all'organizzazione militare della Resistenza nell'Imperiese [...] Sulla base delle disposizioni generali del Comando divisioni e brigate Alta Italia, l'istituzione del Comando Zona era già stato consigliato ai primi di dicembre dal garibaldino Raffaele Pieragostini (Rossi), inviato del Comando Regionale, membro del Triangolo Insurrezionale delle brigate Garibaldi della Liguria, provvisoriamente stabilitosi presso il 10° distaccamento "Walter Berio". Il Comando Zona doveva essere composto dal comandante, dal commissario, dal capo di Stato maggiore e dai responsabili dei servizi. [...] Con una lettera del 6 dicembre 1944, inviata a "Simon" [Carlo Farini], "Curto" [Nino Siccardi] aveva intrapreso la discussione sul futuro organico del Comando Zona proponendo Lorenzo Musso (Sumi) come probabile, futuro commissario
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura Amministrazione Provinciale di Imperia e con patrocinio IsrecIm, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977


Come si può notare dall'ultima pagina di un documento del 3 agosto 1944, "Simon", Carlo Farini, in precedenza si firmava comandante della I^ e della II^ Zona Liguria - Fonte: Fondazione Gramsci
 
Attestazione della qualifica di partigiano di Lorenzo Sumi Musso. Fonte: Partigiani d'Italia

Tra il 16 ed il 17 dicembre 1944 ebbe luogo nei pressi di Villatalla, Frazione di Prelà (IM), una importante riunione dei capi della Resistenza Imperiese per fare il punto sulla situazione.
Erano, tra gli altri, presenti: Nino Siccardi, "Curto", sino a  quel momento comandante della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"; Giorgio (Giorgio) Olivero, vice comandante; Carlo De Lucis (Mario), commissario; Lorenzo Musso (Sumi), commissario politico al Comando Operativo della I^ Zona Liguria; Bianca Novaro (Rossana), addetta al Comando, Giovanni Acquarone (Barba), addetto alla tipografia.
Nella discussione emerse la nuova situazione in base alla quale le tre Brigate della Divisione si ritrovavano semi-isolate a causa del controllo quasi totale da parte del nemico sia della strada statale Il comando della II^ Divisione decise pertanto di creare due raggruppamenti garibaldini, sufficientemente autonomi, ma sotto la direzione di un Comando di Zona, uno ad est, l'altro ad ovest della SS. 28.
Il nucleo del Comando di Zona venne denominato "Comando Operativo I^ Zona Liguria". Ne diventavano comandante Nino Siccardi, "Curto", commissario Lorenzo Musso, "Sumi", ed ispettore Carlo Farini, "Simon".
Il 19 dicembre 1944 la I^ Brigata "Silvano Belgrano", separata dalla II^ Divisione "Felice Cascione", venne trasformata in Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante", intitolata al valoroso comandante, nome di battaglia "Cion", che l'aveva creata e guidata per pochi mesi, sino alla sua morte in combattimento.
La nuova formazione ebbe come territorio di competenza quello posto a levante della SS n° 28, comprensivo di parte della Val Tanaro, della Val Pennavaira, delle Valli Arroscia e Lerrone, di quelle di Andora (SV), Cervo (IM) e Diano Marina (IM). La Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante" fu costituita su 3 Brigate: la I^, "Silvano Belgrano", la II^,  "Giovanni (Nino) Berio”, la III^, "Ettore Bacigalupo”.
Nei posti di comando della Divisione vennero posti quadri, scelti tra i migliori della Divisione "Cascione". Comandante Giorgio Olivero (Giorgio), vice comandante Luigi Massabò (Pantera), commissario politico Osvaldo Contestabile, vice commissario Gustavo Berio (Boris), capo di stato maggiore Raymond Rosso (Ramon).
Giuseppe Gismondi (Mancen), già comandante della "vecchia" I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano", rifiutando un incarico di maggiore responsabilità, scelse di rimanere al suo posto e venne affiancato dal vice comandante Federico Sibilla (Federico).
Al comando della neo formata II^ Brigata, derivata dall'ex II° Battaglione della "Bonfante", venne posto Gino Fossati (Gino), con commissario Giuseppe Alberti (Gigi).
Mario Gennari (Fernandel) divenne comandante della III^ Brigata, con commissario "Calzolari".
Di conseguenza la II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione" subì alcuni cambiamenti nell'organico di comando. Divennero: comandante Giuseppe Vittorio Guglielmo (Vitò/Ivano),  vice comandante Rinaldo Risso (Tito), commissario Ivar Oddone (Kimi) e vice commissario  Beniamino Miliani  (Miliano).
Le due Brigate rimaste di competenza della II^ Divisione ebbero la seguente riorganizzazione: la IV^, "Elsio Guarrini", fu comandata da Carlo Montagna (Milan), con  vice comandante Mario Bruna (Falco), commissario Angelo Perrone (Bancarà/Vinicio), vice commissario Stefano Pastorino (Steno); la V^, "Luigi Nuvoloni", ebbe come comandante Armando Izzo (Fragola Doria).
L'organico della I^ Zona Operativa Liguria a quella data ammontava a 800 uomini per la II^ Divisione, 600 per la Divisione "Silvio Bonfante" e 600 per la Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati".
Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Le formazioni partigiane ad ovest della statale n. 28 erano collegate alla città con strade e mulattiere ubicate sulla direttrice Sant'Agata [Frazione di Imperia]-Conio; pertanto, in relazione alle disposizioni emanate dall'ispettore "Simon", in linea di massima non dovevano utilizzarsi per azioni di guerriglia per non attirare il nemico con operazioni di rastrellamento che avrebbero ostacolato ogni attività. Tramite Sant'Agata giungevano in montagna staffette che recavano notizie politiche, militari, disposizioni del C.L.N., del Comando S.A.P., del SIM di zona, Adolfo Stenca (Rino) e G. Barla ("Dino" o "S 22"), e grandi quantitativi di materiale e di rifornimenti (da una testimoninanza e da una relazione di "Simon" a "Curto" del 5-12-1944, prot. n. 225/V/20). Destinazione primaria la Segreteria di zona che, diretta da Ottavio Siri (Mario), in dicembre aveva sede sulla costa, da cui tutto veniva smistato ai competenti Comandi e all'ispettore "Simon". Attraverso la Segreteria, oltre la distribuzione della corrispondenza, si realizzavano tutti i collegamenti. Il Comando della "Felice Cascione", alcune settimane precedenti la costituzione del Comando I Zona Liguria, aveva posto invece sede provvisoria in località Grillo, presso Tavole [Frazione di Prelà (IM)]; oltre ad alcuni vicini, possedeva depositi di materiale presso Piaggia [Frazione di Briga Alta (CN), si trova alle fonti del Tanarello alle pendici del monte Saccarello (2.200 m) presso il confine con la Liguria e la parte francese della val Roia], in una casa riposta di cui il proprietario era un certo "Cesare", ed a Ormea [in provincia di Cuneo, Alta Val Tanaro] presso l'intendente "Enzo" che custodiva pure il ciclostile  [...]
In ottemperanza alle direttive impartite dal superiore Comando della divisione "Felice Cascione" il Comando S.A.P. ed il C.L.N. provinciale perfezionavano l'organizzazione di una rete di informatori nelle città di San Remo, Taggia, Porto Maurizio, Oneglia, Diano Marina, Cervo, Alassio ed Albenga.
Le informazioni, per giungere con dovuta celerità e regolarità, dovevano pervenire alla Segreteria di zona, indi essere trasmesse al responsabile SIM [Servizio Informazioni Militari] di zona, "Rino" [Adolfo Stenca], che provvedeva ad inviarle ai Comandi di divisione e di brigata. Alla fine di dicembre "Curto" informava il Comando della II divisione "F. Cascione" (lettera n. 16 di prot.) che il nuovo recapito del Comando Operativo I Zona Liguria si trovava presso l'abitazione di "Rodolfo" a Case Carli [località nel territorio del comune di Prelà (IM)], e, quindi, lì doveva avvenire il collegamento.
Francesco Biga, Op. cit.

mercoledì 3 giugno 2020

Montegrazie, la prima battaglia partigiana in provincia di Imperia

Montegrazie, Frazione di Imperia - Fonte: imperiadavedere.it
 
Nel dicembre 1943 si combatté per due giorni, il 13 ed il 14, la prima battaglia partigiana intorno a Montegrazie, Frazione di Imperia, scontro noto anche come battaglia di Colla Bassa, dal nome di un rilievo a monte del paese "... dove vi erano" si apprende leggendo Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria Savona, 1976, ristampa 2003 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia "dei partigiani non dipendenti dalla banda “Cascione”, con i quali un fascista del posto aveva avuto un alterco...".

Due corriere di fascisti, provenienti da Imperia, si diressero appunto il 13 dicembre 1943 a Montegrazie per una rappresaglia. Quei partigiani, "coadiuvati dalla popolazione, si accinsero alla difesa ed accolsero a fucilate le corriere dei fascisti; alcuni di questi risalirono e fuggirono precipitosamente, altri, invece, si sparpagliarono per i casoni, dopo aver preso in ostaggio alcune persone del luogo". 
Il giorno seguente, 14 dicembre, giunsero da Sanremo circa 100 fascisti delle brigate giovanili, i quali si unirono a quelli rimasti in zona, che appartenevano alla 33^ legione fascista di stanza ad imperia e "iniziarono una perlustrazione sfondando le porte dei casoni e lanciando bombe all'interno". I fascisti in fuga presero come ostaggi due ragazze che tentarono di fare salire su una corriera, ma il fratello di una di queste, Aldo Pellegrino, incominciò a sparare. "Così ha inizio il combattimento... la sparatoria dura fino alla sera".

Il 14 dicembre 1943 arrivarono altre due corriere con diversi fascisti del presidio di Pontedassio (IM). Alcuni partigiani della banda Cascione avevano nel frattempo deciso di intervenire. Mentre si recavano a Montegrazie vari volontari si unirono a loro.

Da una relazione dell'epoca si apprendono alcuni dettagli: "Intanto alcuni uomini di Cascione, che si trovano a Magaietto, sono informati del combattimento. Sono Gustavo Berio (Boris), Rinaldo Risso (Tito), Bruno Semeria (Battaglia), Bruno Nello (Merlo), Giobatta Gustavino (Bacistrasse), Battista Michelini (Gibili), Alfredo Semeria (Clark), Calogero Madonia (Carlo Siciliano) e Alfredo Giovagnoli (Alfredo il Toscano).
Decidono di accorrere. Passando per Costa d'Oneglia reclutano nuovi uomini; giunti alla statale 28'un partigiano spara su di un camion di tedeschi, che transitavano senza accorgersi dei ribelli.
L'automezzo prosegue, senza fermarsi, e mette in allarme il vicino presidio di Pontedassio, sicchè quando Cascione, anch'esso avvertito, si sposterà dalla zona di Evigno per portarsi a Montegrazie, troverà tutti i passi occupati, e si dovrà ritirare, con grave disappunto, sulle basi di partenza. Ma il primo nucleo di uomini, quelli partiti da Magaietto, aumentato degli elementi raccolti cammin facendo, era riuscito a passare, e intorno alle ore 15 del giorno 14 giungerà sulla cresta della collina sovrastante al paese. Sono circa una ventina, armati di bombe a mano e di moschetti; hanno anche un mitragliatore. I ribelli, giunti sulle alture di Montegrazie, e visti sotto di sè i nemici, sparsi qua e là tra un “
casone” e l'altro, che a quanto pare, si divertono a sparare e a lanciare bombe a mano, sparano una prima raffica a vuoto. I fascisti, pensando di avere a che fare con "camerati" i quali abbiano per sbaglio fatto fuoco, si limitano ad innalzare le loro bustine sulle canne dei moschetti, in segno di riconoscimento, e a gridare: "Non sparate! Siamo fascisti!".
Allora i partigiani, capito l'errore, fanno cenno di salire; i fascisti incominciano ad avvicinarsi; poi si insospettiscono e si fermano; visto questo, i partigiani iniziano a sparatoria, e costrigono i fascisti a sbandarsi e a rifugiarsi in un canneto, contro il quale sparano ancora qualche raffica con il mitragliatore.
Poi il mitragliatore si inceppa, ma dai lamenti e dalle grida si capisce che qualche fascista è stato colpito; in seguito, da voci del popolo si apprenderà che alcuni di essi sono rimasti uccisi.
"

Giunsero sulla cresta della collina sovrastante il teatro della prima battaglia "alle ore 15 del giorno 14, sono circa una ventina, armati di bombe a mano e di moschetti: hanno anche un mitragliatore". Il combattimento, che si protrasse sino a tardi, sancì in questo primo scontro la prima vittoria partigiana. Il bilancio per i patrioti fu di un ferito, Bruno Nello, ferito ad una mano da una pallottola "disgraziatamente scoppiata nel suo stesso moschetto" [Bruno Nello Merlo, il futuro quadro della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione", destinato tragicamente a suicidarsi, come dovette fare in quel drammatico frangente un altro quadro della Resistenza, Vittorio Aliprandi, per non cadere vivo nelle mani del nemico, il 25 gennaio 1945 durante il rastrellamento di Tavole, Frazione di Prelà (IM): in proposito vedere anche Gino Gerini "Come morirono Dimitri e Merlo" in "L'Epopea dell'Esercito Scalzo" di Mario Mascia, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975]. Tra i fascisti si contarono alcuni morti. Lasciarono anche due prigionieri, il tenente Luciano Di Paola ed il milite Michele Dogliotti. Cessata la battaglia, i partigiani si ritirarono, "tornando alle loro case ed in parte alla banda, portando con loro i due prigionieri. Di Paola e Dogliotti "vennero trattati nel migliore dei modi; Cascione non vuole che siano uccisi" ed anzi egli che era un medico chirurgo cura "uno di essi che è leggermente ferito (Di Paola) e li lascia relativamente liberi sulla parola. In seguito... il milite Michele Dogliotti fuggirà e sarà causa della morte di Cascione e di altri partigiani".

Relazione di Giancarlo Luca Pajetta, del 25 dicembre 1943, sui fatti di Montegrazie - Fonte: Fondazione Gramsci
Appunti sulla situazione militare della zona di Imperia e di Albenga (SV) per l'Unità clandestina, stesi a fine dicembre 1943 da Giancarlo Luca Pajetta - Fonte: Fondazione Gramsci
 
Un'altra fonte riporta lo scontro in questo modo: < Il 14 dicembre 1943 parte della banda di Felice Cascione venne chiamata a partecipare, soccorrendo altri gruppi locali, al primo scontro armato di un certo rilievo, noto come la “battaglia di Colla Bassa” a monte del paese di Montegrazie nell’entroterra di Porto Maurizio Imperia per rintuzzare la minaccia di una rappresaglia nazifascista. La battaglia, che impegnò un centinaio di uomini tra tedeschi e fascisti, si risolse per questi in un pesante rovescio e diede un primo segnale dell'effettiva consistenza, anche militare, della nascente Resistenza imperiese. Nel corso dell’azione caddero tra l’altro prigionieri dei partigiani un tenente ed il milite delle brigate nere Michele Dogliotti che, condotti presso il comando della banda al Passu du Beu, evitarono la fucilazione grazie all’energico intervento di Cascione: "ho studiato tanti anni per salvare vite umane, ora non mi sento di sopprimerli. Teniamoli con noi e cerchiamo di fargli capire le nostre ragioni". Queste, più o meno le parole che adoperò e che furono riportate dai suoi compagni. Da quel momento i due seguirono gli spostamenti della formazione godendo anche di una certa libertà. La cosa si rivelò in seguito fatale per le sorti della banda e dello stesso Comandante >.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945). Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

venerdì 29 maggio 2020

Venne bruciato il fienile del patriota


Taggia (IM): la Chiesa Parrocchiale di Arma di Taggia

... la sera del 23 gennaio 1945 circa cento SS, armate anche con due mortai, circondavano casa Ghersi ad Arma di  Taggia (IM). I quattro garibaldini,  appartenenti al Distaccamento “Folgore” del Battaglione “Orazio 'Ugo' Secondo” della IV^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Elsio Guarrini” della II^ Divisione “Felice Cascione”, che si trovavano nell’abitazione, vennero immediatamente immobilizzati e torturati. Dei partigiani che si trovavano all’interno del casone il solo Luigi Franco Ghersi, incitato dal fratello Giacomo "Pino" a farlo, riuscì, pur ferito, quando i due fratelli, legati, erano ormai trascinati per strada verso l'esecuzione, a fuggire "perché un tedesco stava per sparargli al capo con una pistola. Infatti fuggì e, nonostante le raffiche di MG 42 e inseguito come una bestia selvaggia, benché ferito riuscì a mettersi in salvo". Venne bruciato il fienile del patriota Raffaele "Lello" Politi. Dopo di che, seguendo una lista fornita da qualche delatore, continuarono gli arresti. I tedeschi si portarono sulla Via Aurelia. Sulla strada si trovarono i cadaveri di tre garibaldini, Vincenzo Morto Pistone, Ermanno Biondo Gazzolo e Mario Nico Cichero, che erano già stati fucilati.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

25 gennaio 1945 - Dal C.LN. di Sanremo, prot. n° 225/SIM, al Comando [comandante Curto Nino Siccardi] della I^ Zona Operativa, al comando della II^ Divisione [comandante "Vittò", Giuseppe Vittorio Guglielmo] ed al comando della V^ Brigata [comandante "Fragola Doria", Armando Izzo] - Relazione militare: [...] ad Arma di  Taggia erano stati trucidati da SS italiane e tedesche 7 patrioti.
5 febbraio 1945 - Dall'ispettore ["Simon",  Carlo Farini] della I^ Zona Operativa Liguria al comando del III° Battaglione della IV^ Brigata della II^ Divisione - Chiedeva informazioni sui fatti di Arma di Taggia del 24 gennaio per i quali furono rinvenuti i cadaveri di 7 uomini della SAP di Arma di Taggia, tutti appartenenti al Distaccamento comandato dall'ex brigadiere Gastone Lunardi ed ordinava di svolgere un'inchiesta sull'insieme delle circostanze.
5 febbraio 1945 - Dall'ispettore della I^ Zona Operativa Liguria al comando della II^ Divisione - Invitava a processare presso il Tribunale della Divisione Gastone Lunardi, già sospettato per la sparizione di 19 quintali di farina, per appurare sue responsabilità nell'uccisione di 7 uomini della sua squadra SAP, strage avvenuta ad Arma di Taggia il 24 gennaio, e sollecitava, oltre che l'inoltro della dislocazione delle formazioni dipendenti dalla Divisione, altresì l'invio allo scrivente di notizie relative a quei caduti.
da documenti Isrecim in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II

I tragici fatti di Arma di Taggia avvenuti intorno al 23 gennaio 1945 vennero riassunti, finita la guerra, in una relazione, un documento oggi Isrecim, anche questo studiato in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II; più precisamente un rapporto del 17 maggio 1945 del comando del IX° Distaccamento "Bianchi" del III° Battaglione della IV^ Brigata della II^ Divisione, inviato al comando del III° Battaglione, che, tra l'altro, riportava: "... Alle ore 20 circa del 23 gennaio 1945 reparti delle SS tedesche e italiane provenienti da Imperia e guidati da una spia procedevano all'arresto in Arma di Taggia ed in regione Castelletti dei garibaldini Giacomo Ghersi, Mario Cichero, Vincenzo Pistone, Vincenzo De Maria, Raffaele Politi, Guglielmo Bosco, Luigi Ghersi ed Ermanno Gazzolo. Tutti i fermati appartenevano al Distaccamento 'Folgore'. Alcuni giorni prima garibaldini del Distaccamento 'Peletta' avevano, su indicazione di Pino Faustini, perquisito la casa dei Ghersi e, dopo un chiarimento, avevano capito che essi erano garibaldini sinceri, mentre Faustini era un individuo 'torbido' che aveva in odio i Ghersi stessi. La sera del 23, quindi, mentre il comandante del Distaccamento si trovava assente... reparti delle SS tedesche e italiane (circa 100 uomini) con due mortai, circondavano casa Ghersi facendovi irruzione. Erano guidati da un borghese con faccia mascherata in parte, cappello calato sugli occhi e bavero del cappotto rialzato. In quel momento si trovavano in casa Ghersi Giacomo e Luigi ed anche Guglielmo Bosco e Vincenzo De Maria. Furono bestialmente percossi, senza alcuna pietà, perché non vollero rivelare la località dove erano nascoste le loro armi con le munizioni e i nomi degli altri partigiani componenti il Distaccamento. Essi sopportarono con coraggio e fermezza la tortura senza pronunciare una sola parola che potesse essere di nocumento ai compagni. Anche i genitori dei Ghersi furono minacciati e malmenati affinché parlassero. Il nipote del Ghersi di anni 11 alle domande rivoltegli dal borghese rispondeva fieramente di nulla sapere, invitando la spia a togliersi la maschera. Altri elementi delle SS appiccavano il fuoco alla baracca di Raffaele Politi il quale, costretto dal fumo e dalle fiamme, dovette uscire all'aperto e arrendersi, fu percosso e seviziato a lungo... un gruppo di SS partì per andare ad arrestare altri i cui nomi erano in una lista in loro possesso. Dopo aver completamento depredato la casa... legati insieme i fratelli Ghersi... i nazifascisti si portarono in Arma di Taggia, sulla Via Aurelia di fronte alla Chiesa. Lungo la strada giacevano già i cadaveri dei garibaldini Vincenzo Pistone, Ermanno Gazzolo e Mario Cichero. Al garibaldino Gazzolo, perché parlasse, furono cavati i denti con le pinze da fabbro, ma nonostante la sofferenza non pronunciò una parola di delazione e si lasciò massacrare. Il Pistone subì la stessa sorte. Alla vista dei compagni morti, accortisi di essere portati nei pressi, Giacomo Ghersi, che era stato slegato dal fratello Luigi, incitava quest'ultimo a fuggire perché un tedesco stava per sparargli al capo con una pistola. Infatti fuggì e, nonostante le raffiche di MG 42 e inseguito come una bestia selvaggia, benché ferito riuscì a mettersi in salvo. Gli altri prigionieri, ormai agli estremi per i tormenti subiti, non potevano tentare la fuga e vennero barbaramente trucidati. Dei loro cadaveri fu fatto scempio". 
Adriano Maini

La sera del 23 gennaio u.s. in Arma di Taggia e regione "Castelletti" 30 militari della S.D. germanica e otto militi dell'U.P.I. effettuavano un rastrellamento per la cattura dei componenti la banda "Folgore".
Sono stati arrestati sette banditi, di cui cinque fucilati sul posto dai germanici, uno trattenuto in arresto e tale Luigi Ghersi evaso.
Venivano recuperati sei moschetti mod. 91, una pistola e sedici bombe a mano, nonché il ruolino completo della banda "Folgore".
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 20 febbraio 1945, pp. 27,28. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti     

domenica 24 maggio 2020

La morte di Felice Cascione


Alto (CN) - Fonte: Wikipedia
 
Il 30 dicembre 1943 Felice Cascione, insieme a due compagni, Giacomo Ivan Sibilla e Emiliano Taganò Mercati, si recava ad Alto (CN) per incontrare i rappresentanti della resistenza albenganese, Libero Emidio Viveri e Franco Salimbeni: venne deciso che le due bande dovevano riunirsi ad Alto (CN) per dare vita ad una manifestazione al fine di sensibilizzare la popolazione locale alla causa della Resistenza.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Il ruscello Pennavaira nasce poco lontano da Caprauna (CN), confluendo nel Centa il quale sfocia  nei pressi di Albenga (SV). 
A Nord-Ovest di Alto CN), sul pendio che da Nord scende verso il rio Pennavaira, vi è la località  denominata Madonna del Lago, distante da Alto un chilometro e  mezzo.
Nella zona si trova una cappella nei cui pressi transita una strada mulattiera in cui sorgono i due  casoni in cui erano accantonati i componenti della banda Cascione: "nella baita più grande erano  alloggiate tre squadre, più la squadra del Comando; nella baita più in alto era alloggiata una squadra  quasi  interamente  formata  con partigiani di Albenga" così ha scritto Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976.
Il 26 gennaio 1944 alla banda Cascione giunse la notizia di un imminente rastrellamento nella zona di Alto da parte dei fascisti; "un gruppo si sposta e va in cresta al passo di Ormea, mentre ad un secondo gruppo di uomini si da carico di restare in prossimità della strada che viene da Case di Nava" (Strato, Op. cit.).
Il rastrellamento venne organizzato sulla base della delazione del fascista Michele Dogliotti, che, come già accennato  nel capitolo  precedente, era stato catturato e curato dal medico partigiano Felice Cascione, riuscendo poi a  fuggire.
I tedeschi giunsero nella zona di Alto il 27 gennaio 1944 intorno alle 7 del  mattino ed occuparono  uno dei casoni.
Rocco Fava, Op. cit.

Antonio Fedor Simonti, Tonino, come lo conoscevano tutti, fu il primo ad avvistare le truppe nazifasciste mentre cercavano di attaccare la Banda di Cascione nei pressi di Alto (CN) e a dare l’allarme ai propri compagni. Molti di essi si salvarono dall’agguato proprio grazie alla sua prontezza e al suo coraggio.
ANPI Imperia

Le bande, malgrado le defezioni, si erano andate rafforzando: dalla città e dai paesi vicini, la reazione nemica costringeva i giovani a fuggire e molti di essi si univano ai nostri.
Il tedesco tentò allora un colpo grosso: il  27 gennaio  500 o  600  uomini salgono parte dalla costa e parte scendono dal Piemonte per circondare e  schiacciare  i  nostri gruppi.
I garibaldini si apprestano alla difesa: pattuglie rinforzate vengono scaglionate intorno ad Ormea; si occupano e si presidiano le creste principali e gli incroci stradali con le scarse armi automatiche disponibili. Il nemico attaccò frontalmente le nostre formazioni a difesa della zona e il combattimento infuriò dalle 8 del mattino alle 2 del pomeriggio. Il numero e l'armamento dei nazi-fascisti era enormemente superiore a quello delle bande e la lotta impari fu ostinatamente condotta per oltre sei ore dai nostri, sorretti soltanto dalla volontà di resistere ad ogni costo.
Alle 8,30 Felice Cascione cade ferito mentre attacca furiosamente insieme a Tito e Gianni di Bestagno. Il suo stato è gravissimo ed occorre portarlo fuori della mischia e curarlo senza indugio. Si tenta di trasportarlo, ma il fuoco nemico batte da tutte le parti e le condizioni del ferito non consentono un'azione disperata. I nostri si lanciano in tutte le  direzioni cercando di aggirare il nemico e respingerlo: ma la massa di fuoco che li investe è impossibile a  sostenere.
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia
 
Cascione, insieme a Rinaldo Risso e Gianni Mamberti, tentò di riappropriarsi della baita. Aprirono il fuoco al quale immediatamente risposero i tedeschi. I tre partigiani, dislocati nel prato attiguo al casone, "cercano di saltare al di là del muro che divide lo stesso prato, ma Felice Cascione rimane ferito ad una gamba" (Strato, Op. cit.).
Nel frattempo, i tedeschi catturarono l'ex carabiniere Giuseppe Cortellucci e "afferrarono Cascione,  lo trascinarono  al  margine del  prato e qui con una raffica di fucile mitragliatore lo uccisero".
Lo scontro del 27 gennaio 1944 rappresenta, per la lotta di resistenza nell'imperiese, una data   importante "poichè dal sangue di Cascione sembrò germogliare, come una pianta meravigliosa,   l'esercito garibaldino che, nel suo nome, corse le nostre montagne" (Mario Mascia, Op. cit.).
Rocco Fava, Op. cit.
 
Il 15 settembre arriva a Imperia Gian Carlo Pajetta ‘Nullo’, per organizzare in zona le future brigate garibaldine, insieme alla moglie Letizia. Anni dopo ricorderà quell’incontro: "Anch’io e Letizia salimmo a trovare i partigiani. Era una formazione tipo quella di Barge. La comandava il dottore Cascione, un giovane intelligente che parlava in maniera pacata, aveva una faccia chiara con la barba un po’ risorgimentale e ispirava subito fiducia a chi lo conosceva, come la ispirava ai suoi uomini".
Oltre a guidare i suoi partigiani, a far loro leggere il Manifesto del partito comunista, ad addestrarli alle armi e a tenere puliti i mitra, Felice cura chiunque in zona abbia bisogno di un medico, e tiene gli uomini pronti a intervenire appena si presenti l’occasione. A metà dicembre avviene il battesimo del fuoco della banda. La legione fascista di Oneglia decide di punire il paese di Montegrazie perché un milite sorpreso a rubare è stato picchiato. All’arrivo delle cinque corriere che costituiscono la spedizione punitiva, parte una raffica di fucilate: un fascista viene ucciso, gli altri rientrano in caserma in cerca di aiuto. Il giorno dopo inizia un rastrellamento, e i partigiani accettano la battaglia; sebbene assai più numerosi, i miliziani sono disorganizzati e vengono colpiti a ripetizione da un mitragliatore ben piazzato in cima a una collina. Una ventina di fascisti rimangono sul terreno, gli altri vanno a chiedere aiuto al comando tedesco. Due di loro sono presi prigionieri e Cascione si ripromette di educarli e conquistarli alla causa della libertà, non a processarli e giustiziarli come capita di frequente in occasioni simili.
Nelle settimane di preparazione alla lotta la banda, riunita di sera attorno al fuoco attendendo che giunga l’ora dell’azione nel casone della Valle di Andora dove è rifugiata, canta e cerca sulle note e arie più celebri di trovare le parole per una ‘sua’ canzone. La scelta cade sulla musica di Katjuša, una melodia russa diventata famosa proprio durante la guerra, che Felice Cascione adatta con parole italiane aiutato dallo studente Silvano Alterisio, nome di battaglia ‘Vassili’. Il brano - che inizia con il verso ‘Soffia il vento, urla la bufera’ - viene cantato la prima volta la vigilia di Natale, nella chiesa di Curenna. C’è ancora tempo per qualche aggiustamento, e infine per accogliere le piccole correzioni fatte dalla maestra Maria, la madre di Felice che cambia la prima parola “soffia” con “fischia”. Il giorno dell’Epifania, sulla piazza della chiesa di Alto, la ballata viene cantata solennemente da tutta la banda. Il testo finale suona così:
Fischia il vento, urla la bufera
Scarpe rotte eppur bisogna ardir
A conquistar la rossa primavera
In cui sorge il sol dell’avvenir
Ogni contrada è patria dei ribelli
Ogni donna a noi dona un sospir
Nella notte ci guidano le stelle
Forte il cuore e il braccio nel colpir
Se ci coglie la crudele morte
Dura vendetta sarà del partigian
Ormai sicura è la bella sorte
Contro il vile che ognun cerchiam
Cessa il vento calma la bufera
Torna a casa il fiero partigian
Sventolando la rossa sua bandiera
Vittoriosi alfin liberi siam

I tedeschi sono da settimane alla ricerca della banda, ma non riescono a districarsi tra i viottoli, le stradine, i villaggi che si succedono e si intersecano in un paesaggio a loro sconosciuto. Intanto i partigiani, a piccoli gruppi, compiono sortite e azioni veloci che raggiungono le caserme dove sono acquartierati i tedeschi e i fascisti, ferendone e uccidendone diversi. Verso la fine di gennaio alla caserma di Albenga capita un evento carico di conseguenze: uno dei due prigionieri dei partigiani fugge e raggiunge i suoi ex commilitoni, descrivendo luoghi, armi, uomini che compongono la banda. Viene subito allestito un rastrellamento e il 27 circa 200 tedeschi accompagnati da fascisti individuano i partigiani. Inizia la battaglia e ‘u Megu’ vuole raggiungere il comando dove ha lo zaino con le attrezzature mediche ma una pallottola lo colpisce alla tibia, spezzandola. I suoi compagni corrono per aiutarlo sotto il fuoco, ma Felice li invita a spostarsi più in alto per combattere meglio e a fuggire.
I partigiani sono tutti oltre le rocce, dove c’è più neve ma si può scappare, i tedeschi non sparano più: hanno preso Cascione, la preda che volevano. E che è solo. È mezzogiorno. I tedeschi hanno iniziato a scendere di nuovo lungo il sentiero. Un gruppetto di camicie nere si avvicina a Felice. Lo trascinano a bordo del prato, sempre lungo il muretto. Uno lo schernisce, gli toglie l’orologio. E un altro gli punta la pistola alla fronte. Un solo colpo. Addio.
Marcello Flores - Mimmo Franzinelli, Storia della Resistenza, Editori Laterza, 2020
 
Fonte: Partigiani d'Italia

Leo ha serbato per oltre settant’anni la borsa medica in cuoio di Felice Cascione (U Megu), dove il comandante partigiano conservava i ferri per la sua professione e che aveva portato con sé anche ad Alto (CN), durante la precoce organizzazione e il comando delle prime bande resistenziali nell’Imperiese e nell’Albenganese.
Dopo la morte dell’eroe Felice Cascione il 27 gennaio 1944 a Case Fontane, la borsa veniva recapitata alla madre Maria Baiardo, che la conservava anche durante il suo segreto occultamento a Villa Faraldi, ospitata, in quanto ricercata dal regime fascista, sotto falso nome in casa della famiglia antifascista Elena. Quando il rifugio, per ovvii motivi era diventato pericoloso, la mamma di Felice aveva traslocato in luoghi più sicuri; la borsa era stata consegnata a Leo che la nascondeva presso uno zio, Pietro Fassio.
Ora la preziosa borsa sarà messa in mostra nel prossimo Museo, dove cercheremo di recuperare per esporla anche una giacca del valoroso comandante, medaglia d’oro della Resistenza.
Ferruccio Iebole, Leopoldo Fassio “Leo” un partigiano, I resistenti, anno XII n° 1 - aprile 2019, ANPI Savona, 31 ottobre 2017
 
[...] il giovane Felice Cascione, uno studente di medicina nato a Imperia nel 1918 e venuto a Bologna per coltivare la sua passione per l’arte medica, per lo sport e per quella politica che poi l’assorbì fino alla morte.
Attivo antifascista sin dal 1940, Cascione, l’anno dopo la laurea conseguita nel 1943, si affianca alla madre nella guida delle manifestazioni popolari a Imperia per la caduta del fascismo. Una marcia per le strade che presto diventa lotta armata: dopo l’8 settembre, Cascione raccoglie infatti un piccolo numero di giovani e nella località di Magaietto Diano Castello anima la prima banda partigiana dell’Imperiese. Guida i suoi ad azioni vittoriose, ma lui, definito da Alessandro Natta "bello e vigoroso come un greco antico", non tralascia mai di prestare soccorso ai montanari delle valli da Albenga ad Ormea.
Una fedeltà alla professione così assoluta da condurlo all’errore. Durante la battaglia di Monterenzio i partigiani catturano un tenente e un milite della Brigate nere (M. Dogliotti). Un impaccio di cui la squadra si vorrebbe eliminare, ma che "U megu" - il dottore - vuole salvare, vedendo l’uomo sotto la divisa: "Ho studiato venti anni per salvare la vita di un uomo - dice Cascione - e ora voi volete che io permetta di uccidere? Teniamoli con noi e cerchiamo di fargli capire". Così i due fascisti seguono la banda in tutti i suoi spostamenti e Cascione divide con Dogliotti, il più malandato, le coperte, il rancio, le sigarette. C’è chi diffida, ma il medico replica a tutti che "non è colpa di Dogliotti, se non ha avuto una madre che l’abbia saputo educare alla libertà".
Passa circa un mese e il brigatista nero fugge. Pochi giorni dopo, Dogliotti guida alcune centinaia di nazifascisti verso le alture intorno ad Ormea, che sa occupate da unità garibaldine. All’alba la battaglia divampa dal versante di Nasino di Albenga. "U megu", con i suoi, tenta un colpo di mano per rifornirsi di munizioni. Il tentativo fallisce. Cascione, gravemente ferito, rifiuta ogni soccorso e tenta di coprire il ripiegamento dei suoi uomini. Ma due di loro non se la sentono di abbandonarlo e tornano indietro: Emiliano Mercati e Giuseppe Castellucci incappano nei fascisti. Mercati sfugge alla cattura, ma Castellucci, ferito, è selvaggiamente torturato perché dica dov’è il comandante. Cascione, quasi agonizzante, sente i lamenti del suo uomo seviziato, si solleva da terra e urla: "Il capo sono io!". Viene crivellato di colpi.
Per il coraggio dimostrato, a Felice Cascione fu conferita la medaglia d’oro alla memoria.
Redazione, Cascione, il partigiano che fece fischiare il vento, UniBo Magazine, 21 aprile 2005
 

venerdì 22 maggio 2020

Gli aerei alleati hanno centrato il ponte di Nava


Il Pizzo d'Ormea (2476 m.) visto da Nava (IM) - Foto: Michela Biancheri
 
4 febbraio 1945 - Giornata di relativa calma. Solo nel pomeriggio si è sparsa la voce che ieri verso le tre pomeridiane una formazione di aerei hanno mitragliato la strada tra Ponte di Nava ed Ormea, ove erano in transito molte salmerie di tedeschi e repubblichini.
5 febbraio 1945 - Stamane i tedesci hanno fatto operazioni di rastrellamento e di controllo nella Alta Arroscia [...] Un fatto indubbiamente serio è stato il bombardamento della Cartiera di Ormea che ha subito danni assai gravi. Uno degli apparecchi si è incendiato ed è caduto verso il Castello di Ardea. Il pilota si è lanciato col paracadute ed è caduto in regione Castelletto [comune di Ormea (CN)]. Nel bombardamento di sabato è rimasta uccisa una donna che transitava sulla Nazionale.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994

13 febbraio 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 287/SIM, alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Chiedeva di comunicare al capitano Roberta [capitano dello SOE britannico Robert Bentley, ufficiale di collegamento degli alleati con il comando della I^ Zona Operativa Liguria] il bombardamento alleato di Sanremo, avvenuto il giorno prima.
15 febbraio  1945 - Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria [comandante Curto Nino Siccardi] al comando della Divisione “Silvio Bonfante” ["Giorgio" Giorgio Olivero, comandante] - Trasmetteva i ringraziamenti del capitano Roberta [capitano Robert Bentley] per la prontezza con cui era stato realizzato il collegamento con il colonnello Stevens e assicurava che il medesimo avrebbe preso in considerazione l’ipotesi di fare bombardare Ormea (CN), come suggerito dal comando in parola.
25 febbraio 1945 - Dal comando della V^ Brigata [comandante Fragola Doria Armando Izzo] al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Avvisava che "nei giorni scorsi salivano da Pigna, provenienti da Isolabona, 17 soldati della RSI, di cui 6 tra tedeschi e russi, per rinforzare il presidio di Molini; inoltre, giunsero altri 15 militari della RSI provenienti da San Bernardo di Conio. A Pigna il presidio è di 40 uomini; a Isolabona vi sono 3 batterie antiaeree che sono bersaglio dei bombardamenti alleati... Dal fronte a Savona le truppe tedesche ammontano a circa 4000 uomini, tutti appartenenti alla 34^ Divisione".
25 febbraio 1945 - Da "Corrado" al comando della Divisione “Silvio Bonfante” - Informava che "200 tedeschi provenienti da San Remo e zone limitrofe hanno avuto l'ordine, a causa dei bombardamenti alleati, di spostarsi a Pieve di Teco, dove è giunto il maresciallo Grot, già responsabile del massacro avvenuto in quella località...".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

A margine del documento stilato in occasione del suo interrogatorio i partigiani scrivevano: "risultano le seguenti informazioni di carattere generale sull'esercito tedesco: la 34ª divisione […] é un organismo militare dislocato nella Liguria e di esse fanno parte delle più svariate nazionalità in proporzione del 20/100 di Tedeschi e tutto il resto ossia l'80/100 di polacchi, russi, francesi, cecoslovacchi ecc. Riguardo al resto nessuna informazione si è potuta sapere data la loro condizione speciale che li faceva considerare da parte dei tedeschi quasi come prigionieri di guerra senza possibilità di venire a contatto con la popolazione civile e di essere al corrente della situazione politica e militare dell'Europa" (488).
Francesco Corniani, "Sarete accolti con il massimo rispetto": disertori dell'esercito tedesco in Italia (1943-1945), XXX° CICLO DEL DOTTORATO DI RICERCA IN Storia delle società, delle istituzioni e del pensiero. Dal medioevo all'età contemporanea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2016-2017
(488) Verbale dell'interrogatorio fatto il sabato 28 ottobre 1944 a due prigionieri catturati a Beinette, ivi.

25 febbraio 1945 - È giunta da Imperia una colonna tedesca di circa 300 uomini, con relative salmerie. Da mezzogiorno alle quattro pomeridiane si verifica un ininterrotto transito di formazioni aeree. Il terribile maresciallo Grot, che se ne era andato, è ritornato a Pieve da quattro giorni e stamattina con una cinquantina di uomini è partito per un'operazione di rastrellamento verso Mendatica.
10 marzo 1945 - Sono le 9 e quattro ricognitori provenienti dal mare hanno sorvolato la zona di Pieve scendendo a quota bassissima e avendo come apparente obbiettivo i ponti. Si crede abbiano preso fotografie. La popolazione si è spaventata anche perché è stata la prima volta che si udiva il segnale di allarme dato dalle campane suonate a martello.
15 marzo 1945 - Ore 9 due aerei scendono dal vallone di Armo e si precipitano in picchiata sulla Pieve, emettendo un acutissimo sibilo. Lo sorvolano fino all'Ammazzatoio, ove deviano a bassissima quota verso Muzio e si disperdono nella valle. Intanto le campane suonano a martello in segno d'allarme e la gente spaventata si raccoglie dove si crede meglio protetta. Passano parecchi minuti e la scena si ripete sempre con maggiore fragore. Gli operai e i tedeschi, che lavorano al ponte nuovo, fuggono e si accovacciano negli uliveti circostanti. È stata una mattinata piena di emozione e di spavento.
Nino Barli, Op. cit. 
 
Il 12 marzo 1945 Ormea fu bombardata da un feroce mitragliamento. Il municipio, le case furono crivellate di proiettili, e per un caso del tutto straordinario le ville Pittavino e Bianchi, sedi del comando tedesco, colpite in pieno; non si potè mai sapere il numero delle vittime perchè asportate nottetempo; tra queste risultava un ufficiale [...] Il 15 marzo alcuni apparecchi in picchiata lanciano centinaia di manifestini sulla cartiera in lingua tedesca. Intanto continuano gli spari di molestia da parte dei partigiani.
Guida di Ormea, a cura delle "Campane di San Martino", 1986

17 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione “Silvio Bonfante” ["Livio", Ugo Vitali, responsabile], prot. n° 1/96, al comando della Divisione - Riportava le notizie ricevute il 12 marzo da un informatore ed aggiungeva che il maresciallo Grot, addetto al controspionaggio tedesco, era stato trasferito da Pieve di Teco a Pontedassio e, ancora, che sempre il 12 marzo il comando della II^ Brigata "Nino Berio" aveva condannato e fatto giustiziare il commissario di P.S. Santo Miglietta e l'agente Attilio Sorbara, che erano stati catturati armati di mitra nella zona di Diano Marina.
17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione “Silvio Bonfante”, prot. n° 204, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Informava che era stato in visita il commissario della I^ Zona Operativa Liguria "Sumi" [Lorenzo Musso], che doveva poi fermarsi a Viozene [Frazione del comune di Ormea, Alta Val Tanaro, provincia di Cuneo] per discutere di alcune questioni con "Martinengo" [Eraldo Hanau, comandante di una delle formazioni badogliane]...
17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione “Silvio Bonfante” al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Sottolineava l'importanza di un documento ritrovato ad Ormea (CN), che meritava una corretta traduzione perché "potrebbe trattarsi di una richiesta di rimpatrio per le truppe tedesche". Chiedeva altro materiale bellico attraverso gli avio-lanci alleati "per poter incalzare ancora di più il nemico", in particolare un lancio nel periodo compreso tra il 23 ed il 27 marzo "verso le ore 21,30, in quanto sarà un periodo favorito dalla posizione della luna". Aggiungeva che continuava l'affluenza di volontari nelle fila partigiane, ma che venivano accolti solo uomini conosciuti o già appartenenti a bande locali.
17 marzo 1945 - Dal comando della Divisione “Silvio Bonfante” al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Svolgeva una lunga relazione soprattutto sul tema degli aviolanci alleati, di cui si riportano qui di seguito significativi stralci: "... il giorno 13 u.s. si è effettuata l'operazione lancio nella località convenuta [Piano dell'Armetta nei pressi di Alto (CN)]; sono stati lanciati 33 colli di cui 28 recuperati nella serata ed i restanti 5 nella successiva mattinata. Non è stato possibile per il disturbo alle stazioni radio ricevere il messaggio per il lancio del giorno successivo. Tutte le tracce del lancio sono state cancellate anche grazie alla popolazione, di modo che i tedeschi non hanno trovato nulla. Data l'esperienza si consiglia di potenziare l'ascolto messaggi mediante l'aumento delle apparecchiature sulle 3 linee, visto che si è ordinata la revisione dell'impianto di Nasino. È da evitare inoltre il lancio in giorni consecutivi, poiché vi è un'unica via di deflusso rappresentata da una mulattiera ed è, quindi, impossibile creare una colonna eccessivamente grande di muli, perché desterebbe sospetti ed in quanto l'occultamento del materiale va eseguito a spalla. Il luogo si è mostrato idoneo allo scopo, per cui per il prossimo lancio si richiedono 150-180 colli. Non servono fucili, ma armi automatiche, mortati leggeri, bombe anti-carro. Il collo indirizzato a 'Roberta' [capitano Robert Bentley] contiene 2 R.T. [radiotrasmittenti]: si prega di inviare degli uomini a prelevarle. Il giorno 11 u.s. è stata bombardata Ormea ed è stata colpita la sede del generale. Alcuni garibaldini hanno requisito in detto comando vario materiale, tra cui una lettera, di cui si invia la traduzione, circa gli spostamenti delle truppe tedesche. Sopra Ormea i tedeschi accendono fuochi per ingannare gli aerei alleati".
30 marzo 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione “Silvio Bonfante”] al SIM della VI^ Divisione - Avvertiva che "... Ad Ormea si trovano 20 tedeschi. Gli aerei alleati hanno centrato il ponte di Nava..."
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit.
 

martedì 19 maggio 2020

I nazifascisti erano già in allarme


Un antico ponte sul torrente Pennavaira nei pressi di Nasino (SV) - Fonte: Wikipedia
 
...  a Magaietto... verso la metà di novembre [1943] venne stabilito il primo nucleo di comando [della banda di Felice Cascione]. Gli armati - circa una sessantina - furono divisi in piccole squadre, "Libertà", Matteotti", Prometeo", e vennero costituite le prime staffette per sorvegliare gli scarsi rifornimenti che giungevano da Imperia ed espletare il servizio informazioni. I nazifascisti erano già in allarme: puntate di pattuglie tedesche venivano eseguite di continuo ed il servizio di spionaggio nemico cominciava a funzionare. D'altra parte l'invasore aveva ancora scarsi effettivi sul posto e non si arrischiava in azioni decisive non conoscendo la vera forza delle bande, forza che la voce pubblica esagerava enormemente, talvolta ad arte.  
Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

In conseguenze della numerosa presenza di bande e di gruppi di partigiani, si fece pressante la richiesta di una maggiore coordinazione tra i patrioti combattenti in montagna.
Erano già presenti nell'autunno del 1943 diversi comitati locali nei principali centri, ma ancora troppo deboli sul piano politico-militare. Nella zona di Imperia esisteva già un Comitato di Unione, cui aderivano i tre principali partiti, il Partito Comunista, il Partito Socialista, la Democrazia Cristiana. Altri minori comitati furono quello di Sanremo, quello di Taggia, quello di Bordighera.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

Nei primi di ottobre 1943 (Bruno Erven Luppi) dopo varie peripezie raggiunge la sua abitazione a Taggia per prendere contatto con i vecchi compagni e con i quali organizza a monte della città, in località Beusi [Beuzi], una prima banda armata composta da una ventina di giovani, in gran parte militari sbandati. Ma la banda ha vita breve poiché si scioglie nel novembre successivo. In quel periodo entra a far parte del Comitato di Liberazione di Sanremo, come rappresentante insieme al Farina del PCI, con l’incarico di addetto militare. Organizza pure il CLN di Taggia e una cellula del PCI ad Arma, coadiuvato dai compagni Mario Cichero, Candido Queirolo, Mario Guerzoni e Mario Siri. Con i Sanremesi dà vita ad un giornale  clandestino quindicinale dal titolo “Il Comunista Ligure”, ciclostilato nel retro del negozio del Cichero stesso. Il gruppo prende pure contatto con la banda armata di Brunati [Renato Brunati, arrestato il 6 gennaio 1944, deportato a Genova e fucilato dalle SS il 19 maggio 1944 sul Turchino], dislocata a Baiardo e con altre formatesi in Valle Argentina. 
Prof. Francesco Biga in Atti del Convegno storico LE FORZE ARMATE NELLA RESISTENZA di venerdì 14 maggio 2004, organizzato a Savona, Sala Consiliare della Provincia, dall'Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona (a cura di Mario Lorenzo Paggi e Fiorentina Lertora)]

In una frazione di Vendone (SV) in una casupola si era fermato dopo l'8 settembre Luigi Peruzzi, ex combattente in Spagna, che alimentava e manteneva i primi rudimentali collegamenti con la banda Cascione ed i contadini della zona. Da lui fu avviato quando dovette lasciare la città mio fratello Sergio Alpron [Capitano Gabbia] e vi fu accompagnato da Pippo Mazzotti di Albenga. Tempo dopo, a seguito di una riunione avuta fra lui, io e Cascione ed altri, Sergio passò in Piemonte facendo tappa prima a Garessio e recandosi poi presso le formazioni di Mondovì e a Frabosa dove fu anche raggiunto da mio padre. Anche io vi feci alcune puntate per essere ragguagliato appunto sulle attività locali. Fra l'altro, sotto il comando del col. Rossi... A mio fratello fu affidato il comando della zona di Garessio...
Giorgio Cis Alpron, già capo di Stato maggiore della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante

Secondo Erven il C.L.N. provinciale era già sorto, come conseguenza della visita di Pajetta, a novembre 1943. Secondo Strato [Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia] e Mascia [Mario Mascia, Op. cit.] il primo febbraio 1944.
In ogni caso l'unione effettiva delle forze partigiane, come si vedrà in seguito, avverrà soltanto nella tarda primavera del 1944.
Non ritenendo più sicura la posizione di Bestagni-Magaietto, la formazione di Cascione si spostò poi al Casone di Votagrande, in Località  Passu du Beu sulle alture di Andora (SV).
Rocco Fava, Op. cit.

Li chiamano casoni, sono ricoveri per il bestiame, per gli attrezzi agricoli o per una breve sosta dei contadini quando sono al lavoro. Sono un posto adatto per nascondere i partigiani, sulle colline sempre più aspre dove gli ulivi lasciano il posto ai castagni, prima che sui prati scoscesi ci siano soltanto rocce e arbusti. Il casone dei Crovi, cioé dei corvi, ha un tetto spiovente dal lato a monte, a coprire il fienile, e un muretto davanti alla porticina sulla facciata della casa vera e propria. Te lo trovi di fronte oltre un prato verdissimo, uscendo dall'ombra degli alberi lungo il sentiero che poi continua verso la cima del monte. Castell'Ermo, si chiama quel monte. Unisce o divide due vallate, l'Arroscia e la Pennavaire, alle spalle di Albenga. Una montagna sacra, per le antiche popolazioni ingaune: quassù c'erano dei dolmen, vi si praticavano riti propiziatori. Ma i ragazzi della banda di Megu [Felice Cascione] non lo sanno, o comunque non stanno cercando suggestioni antiche; lì sono arrivati salendo di fretta, due giorni e due notti attraversando il costone del Pizzo d'Evigno. C'è stato lo scontro a Montegrazie, ci sono i due fascisti prigionieri da sorvegliare, c'è il rischio che le Brigate Nere, adesso, vadano a cercare le loro famiglie giù a casa. Allora l'ordine del comando cospirativo è stato quello di cambiare aria. Si svuota in fretta il casone della Vota Grande al Passo du Beu - il passo del bove - le coperte, gli zaini e le armi sulle spalle, quasi sessanta chili a testa per ogni ragazzo; e ci sono Pampurio e Gina, i due muli, carichi che di più non potrebbero neanche fare un passo. Tonino, che guida Pampurio a conclusione della colonna, sa bene quanta fatica comporti tenere il mulo sul sentiero per i due giorni dello spostamento, e soprattutto controllare che non cada nulla, perché c'è poco di tutto e tutto è prezioso.
Donatella Alfonso, Fischia il vento. Felice Cascione e il canto dei ribelli, Castelvecchi editore, 2015

Uno dei primi alassini a salire ad Alto [provincia di Cuneo, alta Val Pennavaira], veramente agli albori e cioé verso fine di settembre 1943 era Giuseppe Arimondo (Pippo o Elio o Mingo o D 33), ex ufficiale di artiglieria reduce da Trieste dopo il fatidico 8 settembre. Aveva trovato rifugio nella cascina Quan, in località Costabella ad Alto, mentre l'altro alassino Giovanni Sibelli (Sergio), anch'egli fuggito da Trieste dal 34° Reggimento artiglieri "Sassari", era nella cascina di Ettore in località Ferraia. Sibelli ritornerà dopo qualche tempo ad Alassio per aggregarsi al CLN e per dare il suo notevole contributo al locale PCI clandestino. Ad Alto, Sergio collaborava con Giorgio Alpron (Giorgio I o Cis)... Emozionante era stato per Pippo l'incontro con Felice Cascione (U Megu) e Vittorio Acquarone nella trattoria di Adelina, quando i due imperiesi tentavano di stabilire i primi collegamenti con gli albenganesi animati dalla comune fede comunista. Un episodio significativo era stata la ricerca di tre ufficiali jugoslavi prigionieri, evasi dal campo di concentramento di Garessio e rifugiatisi sul Monte Galero, saltuariamente soccorsi da Rina Bianchi di Nasino [in provincia di Savona, Val Pennavaira]. Pippo Arimondo con alcuni albenganesi... coronavano la ricerca, aggregando i tre slavi Milan R. Milutinovic (Mille), Obren L. Savic (Vincenzo) e Mihajlo Kavagenic (Michele o Dabo) al distaccamento ribelle. I tre jugoslavi combatteranno con i partigiani fino alla fine del conflitto. Arimondo (Pippo) nel gennaio 1944 scendeva ad Alassio per organizzare, come detto, il trasporto di armi e di munizioni. Nella sosta di alcuni giorni in Riviera incontrava in una casa privata di via Diaz, assieme a Virgilio Stalla, Angelo Martino e Giovanni Sibelli, il dirigente comunista Giancarlo Pajetta (Nullo o Mare), ispettore militare in viaggio lungo la costa ligure per coordinare le prime squadre partigiane comuniste, le Stelle Rosse. Avuto l'assenso per la disponibilità degli armamenti, Pippo ritornava ad Alto per riferire l'esito della missione. A quel punto Viveri (Umberto) e il comando partigiano rimandavano Pippo ad Alassio... Nel frattempo da Alto arrivava la tragica notizia della morte di Felice Cascione e la conseguente dispersione dei garibaldini verso il Piemonte.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016

venerdì 15 maggio 2020

Altri sette partigiani cadono vivi in mano al nemico


Ubaghetta Costa - Fonte: Google
 
18 gennaio 1945 - Ore 10 passaggio in formazione di grandi quadrimotori - Il secondo gruppo, giunto all'altezza di Pieve [di Teco], esegue un fittissimo lancio di manifestini, incitanti alla resistenza e a non rispondere alle chiamate dei tedeschi e dei repubblichini.
19 gennaio 1945 - Questa mattina un centinaio di tedeschi, verso le 5, sono partiti per operazioni di rastrellamento per Moano e Colla Domenica [rispettivamente una Frazione ed una località del comune di Pieve di Teco (IM)]; sono scesi a Gazzo [nel comune di Borghetto d'Arroscia (IM)], ove hanno rastrellato 60 civili, fra i quali il Tenente Cassia e il Tenente Renzo Merlino. Li hanno portati tutti in Pieve e rinchiusi nel teatro Civico. Ivi hanno trascorso tutto il pomeriggio e la notte, al freddo e alla fame.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994
 
19 gennaio 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione "Silvio Bonfante"  - Relazionava su una spedizione tedesca ad Ubaghetta, Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM), Valle Arroscia, che aveva cercato di individuare la sede del Comando della I^ Zona Operativa Liguria e sulla spia Boll "che si è messo a lavorare per i tedeschi in un modo vergognoso e vile", aggiungendo che si apprendeva da fonte attendibile che "ieri verso le 10 ad Alassio sono state sciolte per ordine del comando tedesco le Bande Nere. Risulta che gli ex appartenenti a questi reparti siano stati disarmati ed obbligati a svestirsi della divisa" a causa delle malversazioni fatte patire alla popolazione.

20 gennaio 1945 - Dalla Sezione S.I.M. della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Veniva comunicato che i tedeschi di stanza a Badalucco (IM) si erano diretti a Carpasio [oggi comune di Montalto Carpasio (IM), Alta Valle Argentina] e che a Taggia (IM) erano giunti 20 agenti di P.S. che avrebbero dovuto tentare di infiltrarsi tra i partigiani. A Sanremo era arrivato un Battaglione [repubblichino] della San Marco adibito ai rastrellamenti.

20 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" ai comandi delle Brigate, I^, "Silvano Belgrano", II^, "Nino Berio", III^, "Ettore Bacigalupo" - Venivano inviate due circolari. Una recante il modello per le rendicontazioni finanziarie. L'altra afferente l'obbligo di comunicare al comando di Divisione ogni prelievo in denaro effettuato.

20 gennaio 1945 - Da C.11 al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che una colonna tedesca proveniente da Mondovì (CN) aveva fatto sosta a Garessio (CN) e che sembrava confermata la voce secondo cui le autovetture tedesche della Croce Rossa trasportassero armi.

20 gennaio 1945 - Da Elio [Giuseppe Arimondo] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Inviava i nominativi di 3 spie di Cisano sul Neva (SV) e di Campochiesa (SV), di cui 2 donne ed 1 uomo. Tornava sullo scioglimento della Brigata Nera ad Alassio (SV) scrivendo che "gli ex appartenenti alla San Marco, che avevano precedentemente disertato e che ora si sono presentati, saranno, per ordine del comando tedesco, fucilati perché, avendo prestato giuramento a Hitler, sono appartenenti alla giurisdizione tedesca".

20 gennaio 1945 - Dal comando della I^ Brigata al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che una squadra del Distaccamento "Francesco Agnese" al comando di Moschin [Carlo Mosca] il 9 gennaio aveva attaccato ed ucciso 3 tedeschi sulla strada statale 28 nel tratto Pontedassio-Frantoio Biscialla.

21 gennaio 1945 - Da Gianni del P.C.I. [dovrebbe essere stato Giuseppe Viani, capo di Stato Maggiore della I^ Zona Operativa Liguria] a Mancen [Massimo Gismondi, quadro della Divisione "Silvio Bonfante"] e Federico [Federico Sibilla, quadro della Divisione "Silvio Bonfante"] - Informava che un uomo a Deglio voleva uccidere il segretario comunale in nome dei partigiani ed aggiunbìngeva: "Vi ordino di fermare quel tizio dal commettere delitti. Noi patrioti non siamo assassini, ma vogliamo la liberazione dell'Italia".

21 gennaio 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona al comando della II^ Divisione ed al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Ordinava di rendere difficoltoso il transito ai nemici sia per strada che per ferrovia. Veniva espressa perplessità sulla circostanza della ripresa di rastrellamenti tedeschi dopo che i nazisti avevano già fatto preparativi per l'evacuazione.

21 gennaio 1945 - Da Simon [Carlo Farini, ispettore della I^ Zona] al vicecommissario della II^ Divisione, Miliani [Beniamino Miliani, fucilato dal nemico a Sanremo il 25 marzo 1945] - Ricordava la sua circolare circa i rapporti tra cattolici e garibaldini, di cui occorreva, pertanto, prendere visione e sollecitava ad inviare relazioni sulle questioni importanti.

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999
 
 
Il 20 gennaio un grande rastrellamento investe il piccolo paesino di Degolla. Sul paese si dirigono tre colonne nemiche, provenienti da Cesio, da Pieve di Teco e da Casanova Lerrone. Il nemico giunge nella zona alle sette del mattino. Nei pressi del paese è dislocata la squadra di Riccobono Calcedonio Assassino, composta da dodici garibaldini, armata con un MG. La squadra rimane circondata ed i suoi componenti sparano fino all'ultimo colpo. Il caposquadra Riccobono cade dilaniato da una bomba a mano. Anche Giuseppe Cognein (Giuseppe) di anni 20, commissario del Distaccamento "Gian Francesco De Marchi", viene ucciso da una raffica mentre scaglia la sua arma scarica contro il nemico. Altri sette garibaldini, Ettore Talluri, Giuseppe Loba, Luciano Mantovani, Oreste Medina, Ugo Moschi, Valter Del Carpio, cadono vivi in mano al nemico. Dante Rossi rimane gravemente ferito, ma, catturato e portato all'ospedale di Pieve di Teco, riesce a salvarsi utilizzando il cadavere di un anziano deceduto per morte naturale e con la complicità di un infermiere tedesco, sacerdote cattolico: fuggito dopo che è stato dichiarato deceduto.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, edit. in pr.
 
[ Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016  ]
 
25 gennaio 1945 - Giornata terribile - il professor Giurco, interprete dei tedeschi, qui piovuto non si sa come e per me molto sospetto perché è mia convinzione che faccia il doppio gioco, viene alle 3 pomeridiane per annunciarmi che Renzo [Merlino] è stato stamattina condannato a morte.
26 gennaio 1945 - Sono le 8,30 e nel solito prato gli otto sanmarchini, già passati ai partigiani e catturati l'altro giorno nell'azione militare a Bosco, vengono fucilati.
27 gennaio 1945 - Uno dei sanmarchini superstititi, ferito al ventre è morto alle 10,30 di stamane all'ospedale. Sono le 11,30: i due patrioti rastrellati in Rezzo, trasportati in Pieve e condannati a morte, non sono ancora stati fucilati.
Nino Barli, Op. cit.
 
I prigionieri, dopo varie tristi vicissitudini, sono condotti a Pieve di Teco (IM) e rinchiusi nella caserma "S. Siffredi".  
Saranno fucilati in Prato Sertorio [Pieve di Teco (IM) ] il 26 gennaio 1945.
Dante Rossi, invece, come era in lugubre uso, fu consegnato dai tedeschi all'ospedale di Pieve di Teco (IM) per farlo guarire e poi fucilarlo: la stessa cosa fu fatta in effetti ai suoi compagni. 
I medici e gli infermieri tentarono in tutti i modi di salvare questo ragazzo, prolungandone la guarigione. 
Ogni giorno un infermiere tedesco, che era anche sacerdote cattolico, veniva a prendere notizie del partigiano Dante Rossi di Parma.
Un giorno pensò di farlo sparire. La cosa avvenne in questo modo: morì un vecchio del ricovero e, mentre si componeva la salma nella bara, venne sparsa la notizia che era morto invece il partigiano. L'infermiere tedesco portò tale notizia al comando nazista e il ragazzo venne nascosto dal personale dell'ospedale nella corsia dei borghesi. Dopo tre mesi, il giorno della Liberazione, fu salutato come morto e risuscitato dai compagni increduli e poté tornare sano e salvo dalla propria famiglia. 
Le infermiere che salvarono la vita al giovane erano: Arrobbio Maria, Suor Emma - classe 1893 Viarigi (Asti); Zunino Maria, Suor Bianca - classe 1890 Varazze; Rossetti Adele, Suor Gemma - classe 1920 Marnate (Varese); Ferrari Benedetta, Suor Domitilla - classe 1892 Riva Ligure (IM).
Rocco Fava di Sanremo (IM), Op.cit., Tomo I

29 gennaio 1945 - ... Fino a questo momento Renzo [Merlino] è ancora in vita...
30 gennaio 1945 - Questa mattina alle ore 8 Renzo dal carcere è stato condotto ammanettato in Municipio e dopo pochi minuti è uscito a mani libere colla mantella sulle spalle. Era però scortato da 8 tedeschi armati ed è stato condotto ad Ormea...
31 gennaio 1945 - Renzo è sempre ad Ormea e la sua situazione continua ad essere un mistero. Oggi alle 2 è venuto da me il Capitano Bovolo, di ritorno dal Piemonte... in forma concitata mi narra che egli non aveva mai detto al comando tedesco di essere stato aggredito con la rivoltella in pugno da Renzo Merlino, capo banda, e cioé nel Maggio scorso. Tale accusa, egli mi dice, gli venne fatta in Ormea, dove tale notizia è di dominio pubblico...
Nino Barli, Op. cit.
 
[...] la situazione andò leggermente migliorando, finchè si giunse al marzo 1944. Ai primi di questo mese il comando tedesco di Imperia ordinava un vasto rastrellamento in tutta la zona, da Imperia ad Ormea. I partigiani provvedevano a contrastare l'avanzata del nemico, ma nonostante questi sforzi, nei quali cadeva il partigiano Roberto Sasso, e rifulse l'esempio del Ten. Renzo Merlino, i tedeschi riuscirono ad entrare in Ormea e ad occuparla saldamente. [...] Il 9 aprile viene rinvenuto il cadavere del Ten. Merlino, in un campo presso Rio Chiappino, di cui il giorno dopo viene celebrata affrettatamente la sepoltura.
Redazione, Guida di Ormea, a cura delle "Campane di San Martino", 1986 

6 febbraio 1945 - Questa mattina mi comunicano la morte di Renzo [Merlino] per fucilazione che, a quanto si sospetta, pare avvenuta in modo straziante e barbaro.
7 febbraio 1945 - [...] oggi mi si riferisce che Renzo non sarebbe stato ucciso, ma incorporato negli SS tedeschi. Come si vede, anche nelle cose più serie e delicate, le notizie non tralasciano d'essere incerte e spesso inesatte [...]
12 febbraio 1945 - [...] sorprendente il mistero di Renzo. Trasportato ad Ormea, ove giunse ammanettato e sotto scorta di otto tedeschi armati, dopo tre o quattro giorni è scomparso di nuovo [...] L'unica supposizione che ancora rimane è quella di immaginare che il poveretto sia stato destinato a qualche servizio segreto che, per sua natura, richieda il massimo riserbo. Ma è certo che le buone speranze si affievoliscono ogni giorno di più.
Nino Barli, Op. cit.