giovedì 26 novembre 2020

I partigiani se ne tornarono alla base di Ormea...

Illustrazione di Marisa Contestabile in Osvaldo Contestabile, Op. cit. infra

Ceva (CN): Stazione Ferroviaria. Fonte: Wikipedia

Alcuni giorni dopo dal Comando ci giunse l'ordine di trovarci alla stazione ferroviaria di Pievetta ben armati e con le mitragliatrici pesanti che avevamo in dotazione. L'azione da compiersi era un attacco alla città di Ceva.
Ciò ci sorprese non poco perché sapevamo che la località, essendo un centro logistico importante per il nemico, era ben presidiata. Quando giunse [20 luglio 1944] il treno da Ormea, sul quale era già la Volante, ci imbarcammo anche noi (complessivamente eravamo una ottantina di partigiani).
In questa occasione l'ilare "Raspin", il quale aveva già fatto in precedenza degli apprezzamenti sul modo di muoverci, di cui abbiamo fatto cenno, mi disse: «A Pievetta ci hanno portato con l'autocarro, a Ceva ci portano col treno, ma che partigiani siamo diventati? Speriamo che la prossima volta ci  portino in aereo».
Il discorso non poteva non essere accompagnato da una risata generale che distese la nostra tensione nervosa. Eravamo preoccupati per l'avventura cui andavamo incontro, ma non sapevamo che il nostro Comando ci mandava a Ceva in quanto informato che, da alcuni giorni, la città era sgombrata dai soldati nemici.
II treno si arrestò alla periferia di Ceva, dove fu piazzata una mitragliatrice pesante con la presenza di una decina di partigiani, pronti ad entrare in azione se fossero giunte forze nemiche da Savona o da Mondovì.
Quando il treno giunse alla stazione, scendemmo.
Un gruppo si recò in una grande caserma (che trovò vuota).
Invece alla stazione noi, più fortunati, trovammo in alcuni vagoni, riso, farina, grano ed altri generi alimentari, che provvedemmo a caricare su due camioncini, avviati poi verso la nostra zona di provenienza.
Perquisimmo i treni viaggiatori che in ore successive giunsero da Torino e da Savona, prendemmo prigionieri alcuni soldati fascisti e tedeschi, che, sbiancati in volto per lo stupore, non riuscivano a raccapezzarsi per quanto stava loro accadendo; alcuni viaggiatori, che mi sembravano "borsaneristi", approvavano la nostra azione, poiché a loro spesso veniva sottratta la merce durante questi viaggi.
Alcuni "borsaneristi" erano di Oneglia e ci riconobbero.
Chiesi a qualcuno di loro di informare i miei genitori che stavo bene.
Mia madre, credendo che io fossi di stanza a Ceva, pensò di venirmi a trovare.
La poveretta, giunta nella città alcuni giorni dopo i fatti che ho raccontato, incappò in un brutto bombardamento aereo e si salvò, col treno, perché la galleria, che serviva da rifugio, era a poca distanza dalla stazione.
Logicamente a Ceva non mi trovò e, non sapendo dove trovarmi, decise di ritornare a Oneglia delusa e amareggiata.
Ma non rinunciò mai a creare le condizioni per incontrarmi (come vedremo).
Mi fece gradite sorprese, anche se per due volte si imbattè in brutte situazioni.                                       Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998

 

Ceva (CN). Fonte: Wikipedia

La locomotiva sotto la tettoia della stazione di Ormea, lì come nuova, l'avevano già vista con tutti i comandi funzionanti; e non gli pareva giusto che non se ne servissero.
Per funzionare funzionava, niente da dire; bisognava soltanto trovare uno capace a manovrarla, per farla partire.
Uno che se ne capiva un po' di come trafficarci, lo trovarono subito più o meno disponibile e la mise in moto.
- Allora andiamo, che così ci arriviamo prima tutti insieme: non se lo credono mai più che ci arriviamo col macchinista -, risposero al Cion [Silvio Bonfante] che stava ad aspettare per la partenza.
Di ribelli sbrindellati e variopinti, ce n'erano aggrappati dappertutto su quella locomotiva in corsa, e bisognava vederli com'erano combinati; cantavano e sbandieravano come alla festa grande sulla fiera, con l'aria fresca della valle in poppa.
La sbarra di confine tra fascisti e partigiani per traverso sui binari, la trovarono dopo Bagnasco, quando il macchinista se ne accorse che ormai la vide in pezzi senza fermarsi, alé sempre avanti così: ma dalle due parti in fila lungo la ferrovia, intanto i borghesi si sbracciavano, che di là c'erano i tedeschi; perdio stessero attenti, e fermassero il treno; volevano dire di stare attenti e di fermarsi subito, perché più in là c'erano eccome, coi posti di blocco le pattuglie le mitraglie puntate e le sentinelle all'erta in postazione.
A Ceva invece, quando arrivarono nella stazione sono la pensilina con gli stantuffi ancora in moto, manco per l'antonia i tedeschi ci pensavano a una faccenda così balorda e poco militare.
Il fatto sta che se ne accorsero soltanto troppo tardi, quando sentirono le raffiche concentrate nelle saracinesche del posto di controllo per la truppa.
Sentirono anche lo stridio dei freni sulle rotaie, locomotiva in abbrivio per inerzia, gente in confusione a gridare dappertutto, chissà cosa succede.
Non era facile capire sotto la pensilina o tra i binari, cosa succedeva all'improvviso in quella gran confusione nella sparatoria garibaldina; cosa succedeva con quel treno che non c'era sul tabellone dell'orario, e quei ribelli vestiti a quel modo, tutti sbrindellati che lì non ne avevano mai visto; ma che adesso andavano svelti coi mitra tra i vagoni.
Non c'era tempo nemmeno per spiegarlo ai viaggiatori, alla gente del posto e ai trafficanti indaffarati tra sacchi di farina cereali e recipienti d'olio pei baratti.
La fucileria rompeva subito i contratti della borsa nera, ciascuno ritrovandosi così d'amblé, alla malparata; chissà come finirà con questi qui; capita poi che il treno da Savona, lì in sosta per caso, è carico soltanto di contrabbandieri; meno male pochi i tedeschi di scorta non ce la fanno a sparare subito, cosicché se ne stanno quieti tra i sedili e i malloppi di merce.
La spedizione finì poco dopo, col subitaneo svuotamento della stazione ferroviaria; ma senza risarcimenti per le confische agli accaparratori di passaggio.
I partigiani se ne tornarono alla base di Ormea con due autocarri carichi di tutto, dopo le ricerche svelte nelle case dei fascisti tra i vicoli del paese; se ne tornarono prima che sentissero dalle creste, da una parte e dall'altra, fuoco d'inferno distante tra le curve, col vento forte della valle. 
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 60, 63

giovedì 19 novembre 2020

Piombano nella zona i Tedeschi che avevano pernottato a Dolcedo

Una vista da Villatalla

Tra il 16 ed il 17 dicembre 1944 è notte di convegno garibaldino. Il Comando della II^ Divisione d'assalto Garibaldi «F. Cascione», radunato nella valle appresso, in un casone ubicato tra gli uliveti a sud di Villa Talla [frazione del comune di Prelà (IM)], deve decidere in modo concreto la costituzione della nuova divisione garibaldina «Silvio Bonfante» ed il Comando della I^ Zona Liguria.
Sono presenti il comandante Nino Siccardi (Curto), il vicecomandante Giorgio Olivero (Giorgio), il commissario divisionale Carlo De Lucis (Mario), il commissario politico di zona Lorenzo Musso (Sumi), l'addetta al Comando Bianca  Novara  (Rossana), l'addetto alla tipografia del C.L.N. provinciale (già dislocata in un pollaio sotto la strada di Villa Talla) Giovanni Acquarone (Barba) e qualche altro capo partigiano.
Disgraziatamente, nell'oscurità della notte, «Mario» cade da un muro di una «fascia» alto quattro metri, si spacca il cranio e va in coma, non risponde ai richiami, è cosa ardua rintracciarlo.
Come se ciò non bastasse, il nemico investe all'alba la vallata di Villa Talla. Alcune spie gli avevano fornito vaghe indicazioni, ma fortunatamente non erano in possesso di dati precisi sulla dislocazione del Comando garibaldino  e  della tipografia.
Piombano nella zona i Tedeschi che avevano pernottato a Dolcedo: una colonna di dodici autocarri, giunta da Molini di Prelà, blocca di sorpresa il paese di Tavole, mentre altre due colonne di Tedeschi appiedati marciano per le mulattiere a monte e a valle dell'agglomerato di case; due furgoni della Croce Rossa seguono le truppe.
Rapidamente piazzano le armi pesanti nelle «fasce» sotto Tavole e mitragliano con intensità Villa Talla e tutti i casoni nei dintorni: gravemente danneggiata rimane la casa «Costa», una trentina di proiettili colpiscono la casa canonica. Quindi le colonne si mettono in movimento e una di esse, assai numerosa, sale dal fondovalle verso il paese per la mulattiera Prelà-Villa Talla.
Appena vi giunge chiude in chiesa, ove deruba i paramenti sacri, tutti i civili che cattura (uomini, donne, bambini), saccheggia le case e vi appicca il fuoco con spezzoni incendiari.
Così, già incendiata il 2 di luglio durante il rastrellamento di Triora e il 4 di settembre alla vigilia della battaglia di monte Grande, il 17 di dicembre Villa Talla brucia ancora e perciò risulteranno incendiate settantaquattro case,  compreso l'oratorio di San Giovanni.
Proseguendo il cammino, parte della colonna raggiunge il passo omonimo ove si scontra con una pattuglia del 6° distaccamento (2° battaglione, IV brigata) che, tuttavia, riesce a sganciarsi e a portarsi in postazioni sul versante destro di valle Carpasina.
La situazione del Comando partigiano, nascosto tra gli ulivi sotto il paese in fiamme, di fronte a Tavole, diventa insostenibile; i componenti, sperando di uscire dall'accerchiamento, decidono di muoversi e, disteso il commissario ferito sopra una scala, scendono guardinghi in direzione di Prelà con la speranza di trovare un dottore per curarlo.
«Mario» è esanime e ormai si dispera di salvarlo. Per caso il gruppetto scansa una colonna nemica che sale dal fondovalle. È necessario dividersi, non si può proseguire uniti.
Nascosto il moribondo in un casone con la speranza che non venga scoperto, e, fermatasi presso di lui «Rossana» per pietosamente assisterlo, il gruppetto si disperde (10).
Dopo aver arrestato alcune persone, a mezzogiorno i Tedeschi sgombrano la zona.
Una colonna composta di un centinaio di soldati proveniente da Valloria scende nel primo pomeriggio a Lecchiore sparando alcune raffiche per intimorire le persone rimaste in paese.
Altre colonne raggiungono Dolcedo all'imbrunire, ove smontano la radio campale che vi avevano installata, e proseguono verso la costa.
Vengono fucilati i civili Giovanni Revello e Carlo Oreggia di Tavole.
A Villa Talla ormai la popolazione è terrorizzata dai Tedeschi e dalla presenza della tipografia del C.L.N. celata nel gallinaio, ove funziona dall'agosto 1944 (la tipografia della II^ divisione «F. Cascione» era nella canonica di Realdo in valle Argentina). Di conseguenza, per rasserenare un po' gli animi troppo angosciati, viene smontata il 20 di dicembre, spostata per mezzo di muli a Pianavia e piazzata in una cisterna sotterranea, sita nel sottofondo dell'abitazione di Giobatta Calzamiglia (Bacì). Il 28 sarà rimessa in funzione dal tipografo «Barba» e il 4 gennaio 1945, come vedremo, smetterà per sempre di funzionare a causa di un altro pesante rastrellamento.
Come per Villa Talla, Pietrabruna e Torre Paponi, anche per Badalucco il martirio non è finito: durante la giornata del 17 la zona circostante il paese è rastrellata dai Tedeschi del Comando di Villa Cipollini di Taggia, il 18 è bombardata da apparecchi alleati che, sganciate alcune bombe, distruggono delle case e provocano, purtroppo, morti e feriti.
L'ira e lo sdegno della popolazione è al colmo (11).
Mentre Torre Paponi e Villa Talla bruciavano e da Verona giungeva a San Remo il colonnello delle S.S. Strupel, specialista in rastrellamenti, con trecento suoi accoliti, Mussolini in balia dei Tedeschi parlava a Milano, promettendo ancora una volta, perduto ormai il senso della realtà storica, giustizia e libertà al popolo italiano.

(10) «Mario» verrà portato all'ospedale partigiano di Tavole e quindi in quello di Arzéne. Guarito, riprenderà la lotta come commissario della Divisione Garibaldi «Silvio Bonfante», costituita il 19-12-1944 e dislocata nella zona d'operazioni ad est della strada statale n° 28.
(11) Da una relazione di Franco Bianchi (Brunero), agente S.I.M., al Comando della IV Brigata, del 20.12-1944, prot. n. 291.
Le vittime civili del bombardamento alleato di Badalucco furono dodici.


Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977

martedì 17 novembre 2020

Quel viaggio clandestino a Genova dell'ispettore partigiano Simon



Una vista dal centro abitato di Ceriana (IM) in direzione della vallata di Beuzi
 
10 febbraio 1945 - Foglio di viaggio di "Simon" [Carlo Farini], ispettore della I^ Zona Operativa Liguria, sotto il falso nome di Arrigo Giovanni, documento valido dal 14 al 28 febbraio 1945 a firma dell'Ortskommandatur per un viaggio da Taggia a Savona allo scopo di acquistare derrate alimentari per la [immaginaria] famiglia.
10 febbraio 1945 - Certificato n° 23 del comune di Taggia comprovante l'autenticità della fotografia di Arrigo Giovanni, fu Gio Batta, nato a Rimini il 28 febbraio 1888, di professione commerciante.
11 febbraio 1945 - Dal CLN di Sanremo a "Simon" [Carlo Farini] - Forniva ragguagli circa la copertura di identità (falso nome di Giovanni Arrigo), la motivazione (acquisto di derrate alimentari) ed altri accorgimenti cospirativi per un viaggio a Genova, dove il comandante avrebbe dovuto incontrare il CLN ligure e sottolineava che il "foglio di viaggio" risultava valido solo per il tratto Taggia-Savona, per cui "Simon" avrebbe dovuto compiere il resto del tragitto clandestinamente in autovettura.
11 febbraio 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 272, all'ispettore della I^ Zona Operativa Liguria - Ringraziava per l'accoglienza ricevuta da parte dei partigiani di montagna durante il costruttivo incontro del 9 febbraio [n.d.r.: Convegno di Beusi  - vedere infra - ], in cui si erano risolti numerosi problemi della lotta comune.
[n.d..r.: e l'ispettore non poteva non relazionare a Genova, dove si recava per assumere una carica a livello regionale, abbandonando, quindi, la I^ Zona Operativa Liguria, non poteva non relazionare degli esiti del Convegno qui di seguito citato, al quale era stato presente anche il capitano britannico Robert Bentley, ufficiale alleato di collegamento]
12 marzo 1945 - Da "Simon" a "Curto" [Nino Siccardi] - Segnalava che era giunto sano e salvo [a Genova] e che il 15 marzo attraverso "Cammeo" [Mario Mascia] avrebbe "fatto avere al movimento di liberazione della I^ Zona lire 3.000.000 per il mese di marzo". Chiedeva una descrizione dettagliata delle azioni effettuate. Comunicava che si dimostrava necessario ostacolare in ogni modo la fuga dei tedeschi dalla zona ed impedire loro di razziare materiale e di distruggere ed incendiare paesi; che da quel momento le formazioni partigiane dovevano avere obiettivi da proteggere quali, ad esempio, acquedotti, centrali elettriche, linee dell'alta tensione e le formazioni SAP e quelle vicine alle città dovevano sorvegliare i porti, le officine del gas, le industrie, le linee ferroviarie e tramviarie e tutti gli istituti pubblici; che "già da adesso occorre conoscere il numero e l'ubicazione dei guastatori fascisti e tedeschi, onde sorvegliarli e poterli contrastare al momento dell'azione"; che bisognava preparare un piano, in accordo con le SAP, per l'occupazione delle città della costa e la salvaguardia dei punti strategici, un progetto da inviare tramite lo stesso "Simon" al Comando Militare Unificato della Liguria; che per quanto riguardava i rapporti con i "cugini", vale a dire gli alleati, precisava che gli anglo-americani "fungono da collegamento e non da comando; pur nella piena collaborazione vi deve essere indipendenza e dignità nazionale".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Una vista su Taggia dalla località Beuzi. Foto: Eraldo Bigi

Uno scorcio di Località Beuzi. Foto: Eraldo Bigi

Il 9 febbraio 1945 il segretario del C.L.N. di Sanremo partecipava ad un convegno in montagna coi rappresentanti del Corpo Volontari della Libertà, del Comando Alleato e del C.L.N. Provinciale di Imperia, nel quale veniva stabilito di concedere al C.L.N. comunale di Sanremo l'autonomia assoluta e la giurisdizione su tutto il circondario, giurisdizione che il C.L.N. stesso aveva già virtualmente ottenuto fin dalla sua costituzione, in quanto il C.L.N.P., date le difficoltà del collegamento con la zona occidentale della Provincia, non era in grado di esercitarvi un'attività completa ed un'azione efficace.
Il C.L.N. di Sanremo, che nel frattempo aveva provveduto direttamente alla costituzione o al riconoscimento ufficiale dei C.L.N. comunali della sua zona, si trasformava in tal modo in C.L.N. circondariale.
L'attività svolta dal comitato circondariale di Sanremo fu multiforme e di grande ausilio per lo sviluppo della lotta di 1iberazione, tanto da ricevere gli elogi degli enti superiori e degli stessi ufficiali di collegamento alleati.
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia
 
Il 9 febbraio 1945 a Beusi [n.d.r.: la dizione più corrente, a quanto pare, è, tuttavia, oggi Beuzi, località, in ogni caso, appartenente in parte anche al comune di Taggia] nei pressi di Ceriana (IM) in Valle Armea si tenne una riunione tra le organizzazioni cittadine e le formazioni di montagna della Resistenza imperiese e la delegazione della missione alleata.
Lo scopo del convegno era quello di "definire gli accordi importantissimi che investono la condotta generale della lotta in provincia, in relazione agli sviluppi della guerra generale che si avvia alla conclusione...".
Furono presenti Cammeo [Mario Mascia] del C.L.N. circondariale di Sanremo, ma anch'egli, al pari di Leandro e Gustavo, nell'occasione rappresentante del CLN della provincia di Imperia, Bob (capitano Robert Bentley), Simon, Sumi [Lorenzo Musso, commissario politico della I^ Zona Operativa Liguria], Gori [Domenico Simi, comandante del III° Battaglione "Candido Queirolo" della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione"], Tito [Rinaldo Risso, vice comandante della II^ Divisione], Diogene [Ermes Madini], Brunero [Franco Bianchi, responsabile del S.I.M. della V^ Brigata] e Terremoto.
Unico assente di rilievo fu Curto, Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria, in quanto ammalato.
Durante la riunione di Beusi si affrontarono i problemi "relativi alla collaborazione tra città e montagna, risolvendoli con spirito di fraterna collaborazione", così riferiva Luigi Massabò Pantera in Cronistoria militare della VI^ Divisione “Silvio Bonfante” [n.d.r.: diario inedito nel 1999, conservato presso l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia].
"Simon, con la sua parola incisiva e l'ampia visione dei problemi essenziali della guerra, tratteggiò, sottolineando con il suo gesto misurato il quadro della situazione presente e futura. Bentley, matita alla mano, esaminò le questioni relative alla situazione dei partiti, all'amministrazione pubblica all'atto della Liberazione, alle necessità richieste per il mantenimento dell'ordine e dei servizi collettivi. Si discusse a lungo sull'assegnazione delle cariche e alla fine si giunse all'accordo completo", così scriveva Mario Mascia [ Op. cit. ].
Segni evidenti del buon esito dell'incontro di Beusi furono le due lettere inviate dal C.L.N. circondariale di Sanremo a tutte le formazioni di montagna "per l'accoglienza ricevuta durante il costruttivo incontro del giorno 9 u.s., in cui si sono risolti numerosi problemi della lotta comune" tramite l'ispettore Simon, missiva dell'11 febbraio 1945 prot. n° 272, ed al capitano Robert Bentley, sempre l'11 febbraio 1945 con prot. n° 273.
[...] Il 29 marzo 1945 giunse presso il comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" "Giulio" [anche "Mario", Carlo Paoletti], il nuovo ispettore della I^ Zona Operativa Liguria dopo che "Simon" era stato spostato a ricoprire incarichi di maggiore responsabilità.
Rocco Fava, Op. cit., Tomo I
 
29 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. n° 364, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava l'arrivo di "Giulio" [anche "Mario", Raffaello Paoletti, nuovo ispettore di zona] accompagnato da una staffetta, giunto lo stesso giorno presso il comando della V^ Brigata con le credenziali per il Comando Operativo della I^ Zona.
da documento IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II

Da Genova giunge a Imperia Raffaello Paoletti (Nello), inviato nella I^ Zona Operativa Llguria come ispettore, dal Comando Regionale, in sostituzione di Carlo Farini (Simon, Manes) che, come già innanzi si è detto, aveva raggiunto la capitale ligure per sostituire, nello stesso Comando, Raffaele Pieragostini (Rossi), catturato dal nemico. Riportiamo, in termini descrittivi, la brutta avventura capitata al Paoletti a Diano Marina, durante il suo viaggio, che in questo contesto, colorisce la parte del capitolo che segue, e dà il senso della precarietà di quei giorni, per tutti coloro che avevano intrapreso, nelle città, iniziative resistenziali. Ciò lo possiamo constatare da una memoria del Paoletti:
"... Il Comando Regionale del CLN aveva perduto ogni contatto con la I^ Zona, per cui era necessario ristabilire i collegamenti col Comando Piazza di Oneglia e col Comando I^ Zona in montagna. Inoltre mi si incaricava di far pervenire  un consistente finanziamento, illustrare e fare applicare le direttive politiche e militari del CLN, tra cui il "Piano A" per bloccare le forze nemiche in ritirata, in vista della insurrezione generale (2). Sommariamente mi si informò della situazione. Da alcune settimane si era senza notizie della I^ Zona imperiese. Si sapeva soltanto, confusamente che, a seguito di massicci rastrellamenti e di delazioni, la Resistenza Imperiese aveva subito dei durissimi colpi e molte erano state le perdite. Molti dirigenti locali avevano dovuto entrare nella più ferrea clandestinità..." [...]
(2) Piano A, vedasi il capitolo XVI del presente volume.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005
 
Fonte: Partigiani d'Italia

Nel marzo 1944 il Colonnello Carlo Farini (Simon), Ispettore della I e II Zona, Vincenzo Mistrangelo (Marcello), Commissario di Zona e Angelo Aime (Giorgio), al fine di sostenere più estesamente le formazioni partigiane, procedono alla costituzione dell'Intendenza di Zona [n.d.r.: la II Zona]
[...] I primi due depositi dell'intendenza sono stabiliti l'uno in Via Buscaglia [n.d.r.: a Savona], l'altro nel Comune di Quiliano, frazione di Valleggia; altri verranno in seguito costituiti in vari rioni della città.
Rodolfo Badarello - Enrico De Vincenzi, Savona insorge, Savona, Ars Graphica, ristampa 1978
 
Da una analisi dei dati riportati evince il concetto strategico più volte manifestato dall’allora ispettore delle Zone Operative I e II, Carlo Farini (Simon), il quale insisteva che le formazioni partigiane dovevano costituirsi con un ordinamento militare quale poteva avere un esercito nazionale. Gli organizzatori di tali formazioni fecero buon uso di tali consigli, utilizzando le esperienze messe a disposizione dagli ufficiali e dai soldati che avevano per mesi o per anni partecipato ad operazioni di guerra, col risultato di creare “formazioni” esperte e combattive che diedero veramente risultati positivi e che, quasi sempre, conclusero molte azioni, condotte contro il nemico, in modo risolutivo. E ciò è stato il bene più importante per la Resistenza Imperiese. Dunque, possiamo dire che tra una parte molto importante dell’ex Regio Esercito e della Resistenza non c’è stata soluzione di continuità, ed è per questo motivo se la Resistenza non è stata, ad un certo momento, considerata un Corpo a sé, ma un Corpo della Nazione: il Corpo Volontari della Libertà, la cui bandiera, insignita di medaglia d’oro al valor militare per attività partigiana, è conservata a Roma, al Vittoriano, insieme alle bandiere di tanti altri gloriosi Corpo dell’Esercito Italiano.
Dunque, la nostra disamina ci ha svelato un nuovo rapporto tra ex Esercito Italiano e Resistenza che fino ad ora, nel Ponente Ligure, per quanto ci riguarda, ci era rimasto sconosciuto e, grazie a questo Convegno, che ci ha indotto a varie ricerche, se si sono aperti in noi nuovi orizzonti che ci aiutano a capire nuove cose delle nostra Storia Contemporanea, sulle quali si era sempre sorvolato, non considerandole influenti.
Francesco Biga, Ufficiali e soldati del Regio Esercito nella Resistenza imperiese, Atti del Convegno storico LE FORZE ARMATE NELLA RESISTENZA (a cura di Mario Lorenzo Paggi e Fiorentina Lertora), venerdì 14 maggio 2004, Savona, Sala Consiliare della Provincia, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona 
 
Al centro del gruppo (partigiani della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"), ripreso nella fotografia ad Albenga (SV) a Liberazione appena avvenuta, appare il comandante Simon in giacca chiara - Fonte: ANPI  Leca (SV)

Fonte: Rete Parri

Fonte: Rete Parri

Carlo Farini nasce a Ferrara il 27 febbraio 1895. Pubblicista. Comunista. Discende da una famiglia romagnola che ha dato al Risorgimento e al movimento repubblicano esponenti di rilievo. Nel 1903 segue la famiglia nel trasferimento a Terni, dove il padre Pietro - esponente socialista - è chiamato a dirigere una farmacia cooperativa e il giornale «La Turbina». Nel 1907 inizia la sua militanza all'interno delle organizzazioni del movimento operaio, con l'iscrizione al Partito socialista, concessa - nonostante la giovane età – a seguito dell'attività svolta nella mobilitazione operaia in risposta alla lunga serrata messa in atto dalla Società Terni. Con la fondazione della Federazione giovanile socialista (Fgs) la sua attività politica si svolge soprattutto all'interno di questa organizzazione. Nel 1914, trovandosi in Romagna, partecipa attivamente alle agitazioni della «settimana rossa». A seguito di ciò è condannato a due anni di carcere; la condanna viene però estinta in seguito ad amnistia. A Terni, nel periodo che precede l'intervento italiano nel primo conflitto mondiale, è uno dei protagonisti della mobilitazione contro la guerra. È, tuttavia, chiamato alle armi, e deve partecipare al conflitto. Nel dopoguerra, tornato a Terni, è nominato segretario della Fgs umbra. Nel 1920 aderisce alla frazione comunista ed è presente al Convegno della frazione, tenutosi a Imola. Al Congresso socialista di Livorno, nel 1921, è tra gli scissionisti e partecipa alla fondazione del Partito comunista d'Italia (Pcd’I). Contro la violenza del nascente fascismo diviene, a Terni e in Umbria, uno dei promotori degli Arditi del popolo. Al Convegno nazionale del movimento, tenuto a Roma nel luglio 1921, viene nominato comandante regionale per l'Umbria. È però costretto a lasciare tale carica in seguito alla diffida pronunciata dall'esecutivo del partito comunista contro i militanti che partecipano alle formazioni degli Arditi del popolo. Per sfuggire alle persecuzioni fasciste si trasferisce a Roma, dove il Partito lo incarica di organizzare e dirigere i numerosi profughi comunisti che arrivano nella capitale dalle varie regioni italiane. A ridosso della marcia su Roma partecipa al tentativo di organizzare una mobilitazione di massa contro il fascismo. Nominato membro del Comitato esecutivo della Federazione comunista romana, nel 1923 dirige, insieme ad Antonio Gigante, il grande sciopero degli edili svoltosi nella capitale. Successivamente, nel periodo dell'Aventino, organizza manifestazioni popolari contro il fascismo. Nel 1924 è delegato della Federazione romana alla Conferenza nazionale del Pcd’I, tenutasi a Como, dove sottoscrive la mozione di minoranza, firmata da molti esponenti della cosiddetta destra del partito. In tale periodo si fa promotore della stampa e diffusione clandestina di diversi numeri del foglio «Il Comunista». Nel febbraio 1925 viene arrestato insieme ad altri dirigenti comunisti; è rilasciato ad agosto in seguito ad amnistia. Ripresa l'attività politica, gli viene affidata la responsabilità della Sezione agraria dell'organizzazione comunista. Nel 1926 la direzione del Partito decide di farlo espatriare clandestinamente insieme ad Armando Fedeli. Dopo aver frequentato a Mosca la Scuola leninista internazionale, nel 1928 è inviato in Francia, dove dirige il Soccorso rosso italiano. A causa di contrasti avuti con dirigenti del partito, è rimosso dall'incarico e mandato a svolgere attività di agitazione e propaganda a Nizza. In questo periodo viene nominato membro della segreteria dei gruppi comunisti delle Alpi marittime e chiamato a far parte del Comitato regionale del partito comunista francese. Nel 1933 torna a Mosca, dove - essendo sottoposto ad inchiesta da parte dell'organizzazione comunista italiana - è inviato a lavorare in una fabbrica di automobili a Gorki: dapprima è impegnato nella direzione politica del «Club degli stranieri della fabbrica» e successivamente - permanendo la sua situazione di difficoltà all'interno del Partito - viene destinato a svolgere il lavoro di semplice operaio. Nel 1936, andando a soluzione i suoi problemi di carattere politico con l'organizzazione, è richiamato a Mosca, dove viene impiegato nella Sezione biblioteca dell'Istituto Marx-Engels-Lenin-Stalin e poi nella Biblioteca dell'Accademia delle Scienze. Nell'aprile 1937 è chiusa favorevolmente l'inchiesta nei suoi confronti. Pertanto, nel maggio successivo, viene accolta la sua richiesta di raggiungere la Spagna per combattere a difesa della repubblica. Invece di essere inviato, secondo la sua volontà, al fronte, viene destinato a dirigere - prima a Valencia, poi a Barcellona - le trasmissioni in lingua italiana di Radio Libertà. Nel luglio 1938 gravi motivi di salute lo costringono a tornare in Francia. Arrestato nel 1940, è internato nel campo di concentramento di Vernet. Nel gennaio 1942 è tradotto in Italia e condannato a cinque anni di confino da scontare nell'isola di Ventotene. Liberato nell'agosto 1943, si reca a Genova presso il fratello Ferruccio. Sorpreso dagli avvenimenti successivi all'8 settembre nella città ligure, partecipa attivamente all'organizzazione dei primi nuclei di partigiani. In seguito è nominato comandante regionale delle Brigate Garibaldi della Liguria e, dopo l'unificazione del movimento partigiano nel Corpo volontari della libertà, fa parte del Comando militare unificato della Liguria, in qualità di vicecomandante. Nel marzo 1945 è uno dei membri del Triumvirato insurrezionale ligure (per l'attività svolta nel corso della lotta di liberazione verrà decorato di medaglia d'argento al valor militare). Liberato anche il Nord-Italia, la direzione del partito comunista lo chiama a Roma per fargli dirigere l'Unione Editrice Sindacale Italiana. Deputato all'Assemblea costituente, viene di nuovo eletto in Parlamento nel 1948 e nel 1953. A Terni, oltre ad essere eletto consigliere comunale nel 1946, ricopre l'incarico di segretario della Federazione provinciale comunista. È membro del Consiglio nazionale dell'Associazione nazionale partigiani d'Italia (Anpi), dell'Associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna (Aicvas), della Presidenza onoraria dell'Associazione italiana perseguitati politici italiani antifascisti (Anppia), e presidente dell'Istituto storico della Resistenza di Imperia. Muore a Roma il 30 gennaio 1974.
Fonti e bibl.: Acs, Cpc, b. 1962, ad nomen; Asisuc, Anpi Terni, Resistenza/Liberazione, b. 10, fasc. 6; Archivio Raffaele Rossi, Autobiografia di Carlo Farini; Aicvas, Scheda biografica; Francesco Andreucci – Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, vol. II, Editori Riuniti, Roma 1976, ad indicem; Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza, a cura di Pietro Secchia, vol. II, La Pietra, Milano1971, ad vocem; Raffaele Rossi, Armando Fedeli Carlo Farini: dal socialismo umbro al «partito nuovo», Quaderni della Regione dell'Umbria, Perugia 1979; Patrizia Salvetti, Farini Carlo, in Dizionario Biografico degli italiani, vol. 45, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma 1995; Maria Selina Ametrano e Arnaldo Perrino, Costituenti dall'Umbria. Un contributo alla nascita della democrazia, Perugia, Isuc; Foligno, Editoriale Umbra, 2008, p. 148
Luciana Brunelli, Gianfranco Canali, Carlo Farini, Dizionario biografico umbro dell'Antifascismo e della Resistenza, Istituto per la Storia dell'Umbria contemporanea
 
Il 15 luglio 1944 la XXa Brigata Garibaldi aveva cambiato denominazione diventando la Seconda Brigata. Al di là del cambio di nome, l’unità subì una riorganizzazione generale dopo la crisi che l’aveva attanagliata nei giorni precedenti. I distaccamenti “Astengo” e “Calcagno” rimandarono a casa i volontari più scossi dagli ultimi rastrellamenti con la piena approvazione del comandante “Enrico”, mentre “Simon” accusava i commissari politici di non aver fatto abbastanza per preparare gli animi alla lotta <85. Quanto ai comandi, non risulta che vi siano stati avvicendamenti di rilievo. In definitiva, anche se per qualche tempo la Seconda Brigata ebbe meno uomini di quelli di cui disponeva in precedenza (il 30 luglio erano 227, un mese prima 240 <86), si trattava di una crisi di crescita del movimento garibaldino, più che mai bisognoso di allargare i contatti ed il reclutamento ma anche di oliare la macchina dei servizi, ancora carente sotto vari punti di vista. In questo senso l’istituzione del Comando di sottozona per Savona, decisa dal Comitato Militare Unificato di Genova a fine luglio, ebbe un effetto positivo e servì tra l’altro a migliorare le relazioni tra le varie anime dello schieramento antifascista, oltre che a coordinare i gruppi e le organizzazioni impegnati nella lotta di liberazione. A Carlo Farini “Simon”, primo comandante fino al suo passaggio in Prima zona a fine agosto, succedette poi una trojka formata da “Marcello” (Vincenzo Mistrangelo), “Fioretto” (Pietro Carzana) e il colonnello “Carlo Testa” (Rosario Zinnari), un uomo che si distinse per l’impegno profuso nel dirimere le controversie tra garibaldini ed autonomi e nella redazione dei piani insurrezionali <87.
[NOTE]
83 G. Gimelli, op. cit.,  vol. II, p. 226.
84 M. Calvo, op.cit., pp. 61-63.
85 Ibidem, p. 61.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000
 
Nel mese di luglio 1944, mese cruciale per la riorganizzazione delle nostre unità combattenti, giunse ad Imperia l'ispettore Simon.
Egli veniva a noi inviato dal Comando regionale per la coordinazione dei servizi militari, in fase di assestamento con la creazione della II^ Divisione d'assalto garibaldina Felice Cascione.
I nostri comandanti già conoscevano le magnifiche qualità di Simon: organizzatore di classe, combattente di Spagna, intelligenza superiore, spirito vivo, attività instancabile e, oltre tutto, una fede profonda ed operante che aveva  resistito a tutte le prove, anche le più terribili.
E fra noi, in questa difficilissima zona della guerra partigiana, le doti di Simon rifulsero ben presto e ne fecero, durante i lunghi mesi della sua permanenza in Provincia, uno degli artefici della resistenza.
Piccolo, il volto aperto e giovanile dominato dalla vasta fronte e sormontato dalla massa dei capelli argentei, l'Ispettore Simon era da per tutto: ovunque fosse necessario dare un ultimo tocco all'organizzazione; ovunque la battaglia
infuriasse; ovunque occorresse un consiglio, un giudizio o una parola incitatrice.
Lo si vedeva giungere improvvisamente di notte o di giorno, con la neve o sotto il sole scotta nte, sempre vigile e agile, malgrado gli anni, le fatiche e, spesso, le infermità.
Le formazioni garibaldine ebbero in lui il più valido sostenitore: quando sorsero incomprensioni e diffidenze, egli ne perorò la causa presso i Comandi superiori e quelli alleati, affrontando viaggi lunghi, sfibranti e pericolosi.
Fu per noi tutti, insomma, come un padre: un padre affettuoso e  vigile, e, talvolta, anche severo, di quella severità che è frutto di amore.
Quando ci lasciò, chiamato ad altro incarico, nel  marzo del 1945, sentimmo di aver perduto uno dei nostri migliori ed un compagno di lotta col quale avevamo diviso pericoli e cibo e sonno.
Ma l'opera sua rimase: rimase nella struttura del nostro esercito e nel suo spirito: e la vittoria garibaldina fu anche una sua vittoria.
Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, Edizioni ALIS, Sanremo, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia
 
 




[n.d.r.: si pubblica qui sopra un documento firmato ai primi di agosto del 1944 da Carlo Simon Farini, documento conservato nell'Archivio dell'Istituto Grasmsci]
 
Al Comando Delegazione Liguria [...] Attendiamo con interesse il risultato del viaggio di Renato a Torino perché la situazione che si è venuta a creare con il maggiore Mauri ha bisogno di una soluzione. Fintanto che ciò non avverrà la nostra situazione resterà sempre difficile, poiché difficile sarà evitare attriti e pericolo di conflitti [...] La situazione della Divisione è caratterizzata dai tentativi di rastrellamento  che si susseguono con una certa continuità. In questa contingenza sono venuti in maggiore evidenza alcuni difetti di carattere organizzativo che si impongono alla soluzione degli stessi Comandanti e Commissari della Divisione stessa. [...] Tuttavia bisogna dire che la Divisione ha sopportato abbastanza bene, sia dal punto di vista militare che morale, il tentativo del nemico e la pressione militare a cui è sottoposta [...] 
Simon [Carlo Farini], documento citato, 3 agosto 1944

Il territorio che viene liberato è posto sul confine occidentale delle Alpi marittime, fra Imperia e Ventimiglia, al confine francese. Comprendeva il paese di Pigna, che ne fu la capitale, e poi Badalucco, Triora, Montalto, Carpasio, Molini di Triora e altri. In totale 22 comuni per circa 30.000 abitanti. Nella zona agivano le formazioni partigiane della II Divisione Garibaldi Cascione… Nella battaglia cadono molti partigiani e la V^ Brigata garibaldina si riduce a poco più di 200 uomini. Nel giro di un mese si arruolano 600 volontari, molti dei quali sono militi del battaglione San Marco che disertano la formazione fascista e si uniscono ai garibaldini, rivelandosi “ottimi combattenti partigiani”, come afferma la relazione del 5 di ottobre dell’ispettore della zona (Sul documento non c’è traccia del nome) <si trattava di Simon, detto anche Manes, Carlo Farini, ispettore, per l’appunto, della I^ e della II^ Zona Operativa Liguria> … Ma sul piano politico l’azione di formazione dei CLN e delle Giunte comunali non è facile. “Molte sono le difficoltà… per l’arretratezza politica delle popolazioni rurali, l’inesistenza dei partiti organizzati”. In molti paesi si riescono a costituire comunque i CLN, ma mancano i collegamenti con il CLN provinciale di Imperia. Il comando garibaldino cerca di supplire elaborando in data 15 settembre una circolare di istruzioni “sulla organizzazione dei CLN, delle Giunte comunali e sulla funzione di questi organismi nel momento attuale della lotta contro i nazifascisti”. Nelle Giunte, afferma sbrigativamente il commissario della Divisione Garibaldi Cascione, “la maggioranza deve essere assicurata alle classi meno abbienti, che sono la maggioranza nel paese”. Un criterio che forse non risponde rigorosamente ai principi della democrazia formale parlamentare, ma che ha il vantaggio di ridurre la questione a termini immediatamente chiari. Conclude peraltro la relazione delle formazioni garibaldine: “Il movimento del CLN e delle Giunte incontra grande favore in mezzo alle popolazioni… Tuttavia in molte località persiste ancora uno spirito di passività lamentevole”. E’ il mondo chiuso dei piccoli contadini che istintivamente diffidano di ogni sollecitazione di ordine politico; ma vi contribuisce anche la propaganda anticomunista svolta dagli autonomi di Mauri. In queste condizioni, il funzionamento delle Giunte - laddove si riesce a costituirle - è estremamente problematico, e perfino delle questioni dell’approvvigionamento dei viveri si deve occupare direttamente il comando partigiano. Una relazione afferma infatti che “non esiste un vero e proprio territorio occupato, ma esiste invece un territorio controllato”, che lascia totalmente fuori la fascia costiera.
Redazione, L'Imperiese, Le Repubbliche Partigiane

domenica 15 novembre 2020

... 200 tedeschi in tutta la zona di Ormea

Diano Arentino (IM) - Fonte: Wikipedia
 
Il 10 gennaio 1945 una colonna numerosa di tedeschi rastrella le campagne alla ricerca del comando della I^ Brigata della Divisione "Silvio Bonfante". Non trovando partigiani i tedeschi sfogano la loro frustrazione per la mancanza di risultati raggiunti contro alcuni renitenti alla leva rastrellati in località Frassino di Diano Borganzo [Frazione del comune di Diano San Pietro (IM)]. Vengono passati per le armi, senza nessun processo (normalmente i tedeschi erano soliti fucilare seduta stante solamente coloro sorpresi con le armi, mentre gli altri venivano catturati e processati con verdetti che poteva andare dalla fucilazione alla deportazione in Germania oppure inviati ai lavori obbligatori presso la Todt) Ilario Risso (carabiniere fuggito dal proprio reparto), Ernani Ardissone, Giobatta Ardissone e il sessantaduenne Giobatta Risso. L’episodio viene raccontato da fratello di Ilario Risso, Ardito, che si salvò in modo rocambolesco. Secondo il suo racconto durante il rastrellamento furono uccisi anche due partigiani appartenenti alla banda di Stalin [Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano"], Giobatta Alampi  e Giuseppe Vebero.
Giorgio Caudano
[   Pubblicazioni di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016   ]
 
12 gennaio 1945 - Dal comando della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni", Sez. S.I.M. [Servizio Informazioni Militari], prot. n°261, al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Veniva  comunicato che tra Imperia e Sanremo vi erano 500 tedeschi pronti per un rastrellamento.

12 gennaio 1945 - Risposta del C.L.N. provinciale al manifesto del 10 gennaio del comando di piazza tedesco di Imperia: "... con quale diritto voi potete reclamare la disciplina, l'ordine ed il rispetto quando proprio voi avete ordinato ai vostri soldati di invadere abitazioni private... di distruggere ogni cosa?"

12 gennaio 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Si richiedevano fondi per i Distaccamenti che ne erano privi, comunicando che quanto a viveri la Brigata aveva in tutto solo 250 q.li di patate e 150 di castagne.

12 gennaio 1945 - In questo documento del comando della  Divisione "Silvio Bonfante" si fornivano ragguagli per un appuntamento alla Cappella di Sant'Antonino [probabilmente quella nel comune di Diano Arentino (IM)] per Pantera [Luigi Massabò, vice comandante della  Divisione "Silvio Bonfante"], Osvaldo [Osvaldo Contestabile, commissario mesi dopo della IV^ Brigata "Domenico Arnera"], Mancen [Massimo Gismondi, comandante della I^ Brigata "Silvano Belgrano"] e Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"]. Parola d'ordine: "Si va di qua ad Ortovero?". Risposta: "Si va a Campochiesa".

12 gennaio 1945 - Dal commissario della Divisione "Silvio Bonfante" Mario [Carlo De Lucis] al commissario Osvaldo - Invito, dati gli accordi presi con Simon [Carlo Farini, Ispettore Generale della I^ Zona Liguria], a stipendiare la vedova del garibaldino Polacco, morto nel 1944.

12 gennaio 1945 - Dal comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Relazione sulle azioni svolte a dicembre 1944.

13 gennaio 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Si richiedevano informazioni sulla missione anglo-americana catturata a Frabosa (CN).

14 gennaio 1945 - Da questo documento interno alla Divisione "Silvio Bonfante" si apprende che a Pieve di Teco (IM) il numero dei nemici variava da 180 a 200 unità; che in tutta la zona di Ormea (CN) vi erano 200 tedeschi; che erano segnalati i nomi di 3 presunte spie; che veniva comunicato il decesso del povero Mario Ponzoni [ Mario, appartenente alla III^ Brigata "Ettore Bacigalupo", fucilato l'11 gennaio 1945 a Pieve di Teco // Mario Ponzoni, in qualità di impiegato comunale, viene accusato dai tedeschi di stanza a Pieve di Teco di fornire carte annonarie e di identità ai partigiani. Dopo sommario processo, viene fucilato in località Prato Sartorio l'11 gennaio... Giorgio Caudano ]. 
 
16 gennaio 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/50, al comando della Divisione - Trasmetteva le informazioni avute da "Dario" [Ottavio Cepollini]  circa l'arresto dei fratelli "Giulio" e "Dek" e di altre 2 persone e segnalava che a Rezzo e a Mendatica si trovavano molti repubblichini. 

17 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" ai comandi delle Brigate dipendenti - Invito a mantenere i collegamenti. Comunicazione che a primavera sarebbero stati richiamati i garibaldini della riserva.
 
17 gennaio 1945 - Dal Comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Capo di Stato Maggiore Divisionale [Ramon, Raimondo Rosso] - Veniva richiesto il pattugliamento notturno delle strade di Vessalico (IM) ed Ortovero (SV).

17 gennaio 1945 - Dal Comando Operativo di sottozona a Simon [anche Manes, Carlo Farini, Ispettore Generale al Comando Operativo della I^ Zona Liguria, da febbraio 1945 vice comandante del Comando militare unificato ligure] - Disposizioni sul trasferimento alla II^ Divisione del comandante Antonio.

da documenti Isrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999
 
Cadono altri partigiani: "Una notte, dopo la prima decade di gennaio 1945" - ci racconta il garibaldino Sergio Ravizza - "come caposquadra, unitamente a quattro miei compagni, feci un turno di guardia presso una piccola cappelletta sita sulla mulattiera che, partendo da Badalucco, costeggiando la Madonna della Neve, portava a Ciabaudo (Valle Oxentina). Eravamo dotati di un mitra e di fucili. Nostro compito era quello di avvertire tempestivamente, in caso di rastrellamento, il nostro Distaccamento, distante da noi una ventina di minuti. La nostra posizione era buona in quanto la mulattiera, con buona visibilità, era controllabile per oltre duecento  metri. La notte trascorse tranquilla. Si era sentito qualche sporadico colpo verso Badalucco, niente di più. Il giorno dopo toccò a Marco Bianchi (Beretta) che, pur comandante, faceva normali turni di guardia come tutti noi, insieme a Enzo Magro, ex allievo ufficiale all'Accademia di Modena, ed a altri quattro compagni. Anche per loro la notte era trascorsa tranquilla, nonostante una nebbiolina che non permetteva buona visibilità. Mentre le stelle sbiadivano e nasceva un nuovo giorno, era terminato l'ultimo turno di guardia. I miei compagni riuniti tutti all'interno della cappelletta, stavano arrotolando le coperte per il rientro al Distaccamento. Ad un tratto udimmo un grido agghiacciante: "uscite fuori, arrendetevi". Il Bianchi, pur sorpreso, non perse la calma. Ordinò ai suoi uomini di buttarsi giù per il sentiero che portava al Distaccamento. Uscimmo tutti dall'angusta porta e venimmo a trovarci sotto un notevole volume di fuoco. "Beretta" uscì per ultimo per proteggere la ritirata con la sua arma automatica. Ad un tratto Enzo Magro, che lo precedeva, sentì che gridava: "Enzo, aiutami, mi hanno colpito". Questi, vincendo la paura (i nazifascisti erano a meno di cinquanta metri) un poco sulle spalle, un poco sorreggendolo, lo portò fino al Distaccamento. Grande confusione tra di noi. Quasi senza munizioni, ci rifugiammo lungo le faxe di ulivi o dietro qualche scheletrico cespuglio, con le nostre misere armi, in attesa del peggio. Il nemico non avanzò. Mi dissero poi che era proseguito per Ciabaudo, Vignai, verso Baiardo. "Beretta" era stato colpito da una pallottola che gli aveva attraversato il ventre. Forse un tempestivo intervento chirurgico gli avrebbe salvato la vita. Non fu possibile perché eravamo circondati da tutte le parti. "Beretta" morì il 14 gennaio a San Bernardo di Badalucco, dopo atroci sofferenze. Rimasi così scosso per quella impossibilità di salvare una vita che, quando fu seppellito, un nodo mi chiuse la gola e non fui capace di pronunciare una sola parola di cordoglio".
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Grafiche Amadeo, 2005, pp. 116,117
 

martedì 10 novembre 2020

Agguato garibaldino in Località Sgorreto

Ponti sul torrente Impero all'altezza di Castelvecchio di Imperia

Non è molto ridente la località che porta il nome, acquisito dall'omonimo rio che la percorre, di Sgorreto [nel comune di Imperia]. È posta sulla strada statale n. 28, fra Pontedassio e Castelvecchio, un pò più vicina a questo che a quello.
A sinistra di chi procede per Pontedassio, la strada è limitata dal torrente Impero, non ben delineato per il greto irregolare in cui s'alternano, o si fanno compagnia, zone di ghiaia, canneti, tratti sassosi, ciuffi erbosi e, tra essi, con percorso a zig-zag, scende l'acqua cupa, color marrone, indice della presenza di frantoi più a nord.
Lo stesso torrente, che nel suo percorso verso il mare poco prima è decisamente rivolto a sud-ovest, improvvisamente, per una delle sue bizzarrie, come di chi muta sovente parere, s'impenna a sinistra e ci mostra, slargato, quel letto descritto. Quindi, sarà un'altra ansa, e così via fino al mare.
D'intorno i colli, a catena o solitari, simulano il gioco del rimpiattino, disposti come sono e quasi divertiti d'interrompersi l'un l'altro. Sullo sfondo, a nord, si staglia, per breve tratto, la salita del colle San Bartolomeo.
Qualche casa sparsa, piccola e modesta, e basta. Ormai, la zona è stata ritoccata da lavori e costruzioni che hanno mutato l'aspetto primitivo.
Al lato destro, una parete strapiomba sulla strada; è alta quattro o cinque metri, tutta sassi, sterpi, pianticelle selvatiche ed arse, salvo una ridente macchia di mandorli, e, tra il tutto, qualche punto in cui poter poggiare il piede di chi intenda scalarla, ma più adatto alle zampe delle capre che al piede dell'uomo. La parete accompagna la strada a rettilineo per un buon tratto.

Il giorno 28 giugno 1944, cinque garibaldini del 10° distaccamento della IX Brigata, guidati dal comandante Umberto Cremonini (Folgore) (1) e dal commissario Fernando Bergonzo (Nando), sono appostati presso il rio Sgorreto. Hanno avuto notizia che il Generale tedesco, comandante del presidio, passa giornalmente in macchina. È intenzione dei partigiani di catturarlo. Da cinque ore attendono, l'attesa è snervante. Hanno fucili e bombe a mano preparate a grappolo in modo da scoppia temporaneamente dopo il disinnesco di una sola sicurezza.
Finalmente è in vista un camion: «Nando» scruta col binocolo; sono Tedeschi e fascisti. Tutti pronti. Il camion, che non è però quello del Generale, avanza finchè giunge nei pressi: i partigiani ordinano l'alt, ma l'autista accelera ed accosta l'automezzo ancora più a destra della stra da per ostacolare la visuale dall'alto e rendere impossibile il tiro.
Ma le bombe precipitano e, con incredibile precisione, centrano il veicolo. Uno spianto! All'intorno morti e moribondi. I superstiti fuggono all'impazzata e i garibaldini, svelti come le capre, scendono lungo la parete.
«Folgore» spara con la pistola a due Tedeschi che corrono a saltelloni nel greto dell'Impero; «Nando» afferra una machinen-pistole abbandonata a terra da un nemico e raffica quelli che fuggono, sempre nel greto verso sud.
I garibaldini raccolgono le armi e si ritirano per il sopraggiungere della macchina del Generale il quale, alla presenza di quello spettacolo, s'infuria ed intende vendicare i suoi soldati morti. Mobilita ingenti forze che, in breve, giungono con autoblinde e mortai, e sparano in direzione dei garibaldini ormai in marcia verso le zone dell'interno.

Contemporaneamente, i nazisti bruciano tutte le case all'intorno e catturano una ventina d'ostaggi, terrorizzando la gente del luogo.
I partigiani, intanto, giungono in salvo a Pian Bellotto, nella zona di Pizzo d'Evigno, presso il distaccamento «Volante» di «Cion» [Silvio Bonfante]; poi raggiungono la loro formazione.
Notiamo: la coraggiosa azione è stata compiuta da cinque uomini a quattro chilometri dal mare! (2).

(1) Quel «Folgore» che, nel precedente mese di maggio, militando nelle fila del distaccamento del comandante Vittorio Guglielmo (Ivano o Vittò) e del commissario Bruno Luppi (Erven) aveva da solo disarmato una postazione della RSI a Santa Brigida (Andagna) e catturato dieci soldati del presidio (G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, vol. 2°, pag. 240).
(2) Testimonianza orale di Fernando Bergonzo, commissario di distaccamento

Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

 

giovedì 5 novembre 2020

La morte dei fratelli partigiani Arena

Francesco e Raffaele Arena - Fonte: L'Alba della Piana

L'8 febbraio 1945 l'ispettore di zona Carlo Simon Farini sollecitò il comando della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione" ad effettuare azioni concordate su Molini di Triora (IM) e San Bernardo di Conio, Frazione di Borgomaro (IM). Qualche giorno dopo giunse la risposta con la quale veniva chiarito che i motivi dell'inazione erano da ricercarsi nella penuria di colpi da mortaio e nel mancato aiuto da parte dei nostri amici (gli alleati), come recitava il documento. 
Il 16 febbraio il Comando della I^ Zona Operativa Liguria rassicurò la II^ Divisione sulla assoluta affidabilità degli alleati e sulla loro sincera volontà di cooperazione.
Durante la notte del 9 febbraio una colonna formata da soldati tedeschi, bersaglieri e militi delle Brigate Nere, guidati dietro informazioni e con la presenza di un ragazzo quattordicenne [Dino] precedentemente catturato dai bersaglieri di Bajardo, circondarono Argallo, Frazione di Badalucco (IM), sorprendendo nel sonno 5 garibaldini, Martinetto (Martino Blancardi, di Bordighera, capo squadra), Chimica, Biondo, Ba e Lucia, quest'ultima, staffetta, del I° Battaglione "Carlo Montagna" della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione. Solo Martinetto riusciva, pur essendo ferito, a salvarsi, fuggendo. Gli altri partigiani, catturati, vennero in seguito fucilati. Un altro garibaldino, Masiero, era già stato ucciso mentre si stava allontanando da una casa privata.
Il 10 febbraio ci furono altri rastrellamenti, nel corso dei quali un reparto fascista, avvistati 2 fratelli garibaldini intenti ad aiutare il padre nei campi in Località San Faustino di Molini di Triora (IM), li raggiunsero e li uccisero sul posto. Si trattava dei fratelli Arena, Francesco (Fuoco) di 24 anni e Raffaele (Fulmine), di 22 anni.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999
 
Nella notte del 9 febbraio 1945 elementi appartenenti a reparti della Brigata Nera, Tedeschi e bersaglieri, circa centosessanta uomini, partiti da Baiardo la sera precedente verso le ore 22, effettuano un rastrellamento nella zona di Vignai-Argallo; rimane ucciso Mario Bini (Cufagna) del II Battaglione, e quattro altri partigiani vengono catturati: Chimica, Biondo, Bà, e Martinetto [Martino Blancardi di Bordighera] del I° Battaglione, compresa la staffetta Lucia.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020
 
Francesco Arena - Fonte: L'Alba della Piana
 
Francesco e Raffaele Arena. Figli di Antonio Arena e di Maria Giuseppa Franco, nacquero entrambi a Melicucco (RC) nella casa posta all’inizio della via Provinciale, ai n. 2 e 4. Francesco venne alla luce il 13 ottobre 19211 mentre il fratello Raffaele il 17 agosto 1923. Pressoché nulle sono le notizie sui loro genitori negli archivi dei comuni di Melicucco e Polistena da noi consultati e nei quali, per motivi diversi, non si trova alcuna documentazione.
Ci vengono incontro i documenti custoditi dagli archivi del Comune di Taggia (Imperia) e dall’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea per la Provincia di Imperia grazie ai quali cercheremo di ricostruire la vicenda umana della famiglia Arena.
Il padre, agricoltore, era nato nel comune di Polistena il 5 gennaio 1895 da Giuseppe e Caterina Fonti, e si era trasferito in Liguria a Taggia (Imperia) il 16 agosto 1931. Il 5 aprile 1935, lo raggiunsero a Taggia la moglie ed i tre figli Francesco, Raffaele e Giuseppe. Il nucleo familiare si stabilì nella casa in Piazza San Benedetto al n. 10.
La famiglia versava in precarie condizioni economiche. Dopo pochi mesi, il 26 giugno 1935, all’età di 34 anni, moriva Maria Giuseppa Franco ed il marito si ritrovò da solo a crescere i tre ragazzi orfani di madre.
Gli Arena, come tutti gli Italiani, dovettero, loro malgrado, fare i conti con la guerra che aggiunse ulteriori disagi.
Francesco aveva conseguito la 3a elementare e svolgeva il mestiere di segantino mentre Raffaele, che aveva conseguito la 5a elementare, lavorava da panettiere.
Il fratello maggiore Francesco venne chiamato alle armi nella Regia Marina e al momento dell’armistizio era impegnato nelle operazioni in Jugoslavia. Raffaele invece era un civile.
I due giovani emigrati calabresi, evidentemente mal sopportavano i soprusi e le angherie del Regime fascista e, in momenti diversi, decisero di entrare a far parte delle Divisioni Partigiane “Garibaldi”.
Raffaele vi aderì il 5 maggio 1944 ed assunse il nome di battaglia di “Fulmine”, raggiungendo il grado di Capo squadra.
Il 9 agosto successivo venne raggiunto dal fratello Francesco, il quale assunse il nome di battaglia di “Fuoco” o “Sputafuoco” come semplice Garibaldino. Entrambi facevano parte del II Distaccamento del I Battaglione “Mario Bini”, inquadrato nella 5a Brigata “Luigi Nuvoloni” della 2a Divisione d’Assalto “Felice Cascione”.
Giovanni Quaranta, L'Alba della Piana

La compagnia di Cacciatori degli Appennini al completo effettuò un rastrellamento nella zona del Govo (San Faustino di Triora). Nell’entrare in paese, avendo visto due borghesi fuggire, il Ten.Cazzardo diede ordine di far fuoco su di loro. Uno dei due riuscì a dileguarsi, inseguito però da una squadra di militi, mentre l’altro, si fermò alzando le mani, ma al sopraggiungere dei miei compagni, riprese la fuga ed i militi, sparatogli addosso, lo uccisero sul colpo. Al rientro dell’altra squadra che era andata alla ricerca dell’altro fuggiasco, riferirono che lo avevano anche ucciso perché riconosciutolo come partigiano. (dichiarazione rilasciata da Tofanari Luciano, milite del Raggruppamento Cacciatori degli Appennini). Il partigiano Natale Massai (Mompracem) così ricorda quel giorno [...]
Giorgio Caudano [ Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016  ]
 
Il 9 febbraio 1945, i fratelli Francesco e Raffaele Arena trovarono insieme la morte in seguito a un rastrellamento da parte di una formazione di Cacciatori degli Appennini: i due vennero catturati e fucilati sul posto dopo essere stati sottoposti a torture.
Per conoscere meglio i particolari sulla morte dei due giovani ci affidiamo a due memorie compilate dal partigiano Natale Massai (Monpracen): 
Eravamo arrivati al mese di febbraio 1945, ed i Nazifascisti che perdevano su tutti i fronti di guerra, si accanivano sempre di più sui civili che uccidevano senza pietà, mentre contro noi partigiani facevano continui rastrellamenti, sfogando pure la loro rabbia contro quei bravi contadini dei luoghi, che, a rischio della propria vita, ci hanno aiutato in qualsiasi situazione, combattendo anche al nostro fianco. Il 9 febbraio 1945, sembrava una giornata tranquilla, senza rastrellamenti in vista. I due fratelli partigiani [Arena] che avevano il padre nella borgata di San Faustino, dove coltivava un po' di verdura in un piccolo appezzamento di terra, decisero di scendere in paese a dargli una mano nel lavoro. Quel giorno un gruppo di fascisti impegnati in un’azione di rastrellamento si era spinto nei dintorni del paese raggiungendo un’altura nella località detta “Gumbe” da dove si poteva dominare dall’alto il paese e le campagne sottostanti, piazzandovi una mitraglia.
Un altro gruppetto di tre o quattro fascisti, intanto, si addentrava in avanguardia nel paese sotto la guida dei colleghi dall’alto.
Avvistata la pattuglia, qualcuno del luogo si affrettò subito ad avvisare del pericolo imminente i due partigiani intenti a coltivare la terra e questi, nella vana speranza di trovare salvezza, pen-sarono di scappare verso due direzioni opposte: Raffaele verso la località “Naculetta” e Francesco verso la località “Murghetta”.
Maria Bianco (Fiora), testimone di quella giornata funesta, raccontò che appena i fascisti si accorsero della presenza di Francesco, lo puntarono con la mitraglia e gli spararono alcune raffiche.
Il fuggitivo, ogni volta che sentiva le sventagliate di proiettili fischiargli vicino, si fermava alzando le braccia in segno di resa. Ma appena i colpi cessavano, tentava nuovamente di sottrarsi al fuoco nemico riprendendo la corsa. Dopo alcuni tentativi di fuga, una raffica lo colpì al ventre e si accasciò al suolo. Raggiunto immediatamente dal gruppo di fascisti fu finito con un colpo alla testa.
Fu spogliato delle scarpe e dell’orologio. Gli presero il portafogli con i documenti. Giunti in paese li mostrarono alla gente del posto chiedendo loro se lo conoscevano. Naturalmente, nonostante lo conoscessero bene, tutti negarono.
 
Fonte: L'Alba della Piana
Fonte: L'Alba della Piana
Fonte: L'Alba della Piana
 
Nel frattempo, l’altro fratello Raffaele, raggiunta la località “Naculetta”, cercava riparo in un incavo di una roccia semi nascosta da un roveto. Il gruppo dei fascisti posizionato sull’altura scorse il malcapitato e, non potendolo colpire con la mitraglia perché lontano, indirizzò a voce la pattuglia che era entrata in paese all’inseguimento del fuggitivo fino a farlo catturare.
Il sergente che comandava la pattuglia chiese a gran voce a quelli in alto se il prigioniero doveva essere ucciso subito. La risposta fu negativa. Si diedero appuntamento tutti insieme in paese dove erano attesi dal loro tenente [...] Giunti in paese con il prigioniero, i fascisti si congiunsero con il grosso del gruppo.
Ma ormai anche per Raffaele la sorte era segnata.
I fascisti chiesero ancora una volta alla gente del posto se lo conoscevano e, mentre il prigioniero faceva segno col capo di dire
No, tutti risposero negativamente.
I fascisti sempre più imbestialiti, uccisero subito il giovane Raffaele con tre colpi: uno alla nuca facendogli saltare un pezzo, un altro ad un braccio e l’ultimo al cuore".
Così morirono i fratelli Francesco e Raffele Arena di Melicucco, trucidati dai fascisti, caduti per l’ideale di Libertà [...]
Giovanni Quaranta, L'Alba della Piana
 
Tofanari Luciano: nato a Carrara il 12 aprile 1924, milite del Raggruppamento Cacciatori degli Appennini - Interrogatorio del 10.11.45: [...] Quindi ci trasferimmo a Montalto Ligure (IM). Colà la mia compagnia al completo effettuò un rastrellamento nella zona di Aigovo (San Faustino). Nell’entrare in paese, avendo visto due borghesi fuggire, il Ten. Cazzardo diede ordine di far fuoco su di loro. Uno dei due riuscì a dileguarsi, inseguito però da una squadra di militi, mentre l’altro, colpito dalla nostra sparatoria, si fermò alzando le mani, ma al sopraggiungere dei miei compagni, riprese la fuga ed i militi, sparatogli addosso, lo uccisero subito. Al rientro dell’altra squadra che era andata alla ricerca dell’altro fuggiasco, riferirono che lo avevano anche ucciso perché riconosciutolo come partigiano. I due uccisi credo si chiamassero Arena [...] Deposizione di Lanza Ernestina:
«Il giorno 9 febbraio 1945 mi trovavo nella mia abitazione di Aigovo quando sentii piangere per la strada. Guardai dalla finestra e vidi passare Arena Raffaello che passava con alcuni soldati repubblicani dei Cacciatori degli Appennini, fra i quali notai un graduato che non sono in grado di indicare quale grado rivestisse. In quel mentre notai che i soldati picchiavano l’Arena col calcio del moschetto, chi con pugni e spintoni in modo da farlo cadere a terra e sentii che disse “Mamma mia”. Inoltre ho sentito che diceva “non statemi ad uccidere per rispetto a mio papà”. A seguito di tali parole ho sentito che il graduato gli rispose con la bestemmia "Porca Madonna, non farmi arrabbiare". Non sentii altro perché gli stessi proseguirono ed io non ebbi il coraggio di uscire sulla strada per vedere cosa succedeva. Dopo circa un quarto d’ora sentii quattro colpi d’arma da fuoco sparati a circa 300 metri da casa mia su una collina chiamata Carmo. Non vidi più ritornare i soldati perché passarono da un’altra strada. Appena questi si erano allontanati vennero in casa mia altri soldati a farsi dare da bere e rivoltisi a me dissero: “Signorina, andate a vedere vostro fratello che lo abbiamo ucciso sulla collina”. Io risposi che fratelli non ne avevo. Mi domandarono allora di dove era quello che avevano ammazzato e risposi che non lo avevo mai visto. Dopo di che uscirono e si allontanarono. Appena i soldati si allontanarono da Aigovo, assieme a mia mamma, ci recammo sulla collina sopradetta dove trovammo l’Arena Raffaele ucciso a terra bocconi e notai che dalla testa gli uscivano le cervella. Rimase sul posto fino al 12 febbraio. Avvisati i parenti questi poi ottennero il permesso di rimozione. Dalla finestra vidi anche Arena Francesco che scappava in direzione della mia casa oltrepassandola. I soldati lo inseguivano sparando con il mitra ed un soldato gli gridava dietro “Fermati porco che ti uccido”. So che appena allontanatisi i soldati anche l’Arena Francesco è stato trovato ucciso a circa mezzo chilometro da casa mia. Non sono in grado di indicare il nome di nessuno dei soldati che erano ad Aigovo, se mi fosse presentato sarei forse in grado di riconoscere quello che mi disse che aveva ucciso mio fratello».
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9,  StreetLib, Milano, 2019