giovedì 22 ottobre 2020

Il giornalino partigiano stampato nella tipografia del parroco di Realdo

Fonte: Rete Parri

L'organizzazione partigiana era ormai efficiente; i collegamenti fra i vari gruppi erano armoniosi ed efficaci. I vari attacchi ai gruppi dei nazifascisti avevano reso la zona dell'Alta Valle Argentina sufficientemente sicura. Era anche possibile, con discreta facilità, raggiungere la zona delle formazioni di Imperia. Il numero dei partigiani era aumentato e l'armamento quasi completo. Mancava un giornalino di propaganda.
Dice Vitò [Giuseppe Vittorio Guglielmo]: «Dal Comando di Divisione era venuto l'invito di trovare un mezzo per organizzare un giornalino. Non c'era possibile andare in città per cercare una tipografia accondiscendente. Eravamo troppo distanti e bisognava attraversare alcuni territori tenuti dai nazifascisti. Sapevo che a Realdo [Frazione di Triora (IM), Alta Valle Argentina] vi era un parroco che aveva macchine per stampare. Anche se il macchinario era un po' antiquato, poteva benissimo servire per stampare il nostro giornalino, che prima che nascesse l'avevamo già battezzato "Garibaldino". Ma ero veramente preoccupato sul come presentarmi a quel sacerdote. Se andavo io, un comunista, avrei potuto far fallire l'impresa. Era con noi Don Armando Micheletto (Domino nero) e fu questa una combinazione favorevole e risolutiva. Pregai lui di prendere contatti con Don Peitavino e gli raccomandai di riuscire anche mediante accordi. Fragola-Doria [Armando Izzo] si associò a Domino nero e partirono per la missione. Fu presto vinta la resistenza del parroco con argomentazioni che trovavano una base di serietà sulla richiesta che veniva a lui da un suo confratello sacerdote, che viveva in mezzo ai partigiani. Un altro fattore che contribuì a rassodare la richiesta fu la presentazione a Don Peitavino, di un suo nipote partigiano, del suo stesso paese natio, Isolabona, che avrebbe preso la direzione della redazione del giornalino».
Don Armando e Fragola-Doria comunicarono a Vitò le promesse fatte al parroco che concedeva la tipografia. Un certo aiuto economico a lui che era poverissimo tra i poveri ed il rispetto per la sua casa e per i suoi macchinari.
Accettate le condizioni, Vitò fu generoso come sempre e come con tutti, tanto da suscitare nel parroco entusiasmo per il lavoro di tipografia. Lui stesso rifornì carta, inchiostro, lavoro. Passava alcune notti a lavorare coi giovani chiamati a collaborare; insegnava l'arte della stampa.
Fragola-Doria e Peitavino (Silla) furono i primi compilatori del giornalino, dalla testata che era un programma ed una bandiera: «Il Garibaldino».
Ora Silla è preside nel liceo di Cavour in Piemonte. A lui domandate come faceva a bere il vino della S. Messa dello zio prete e come sapeva sottrarre le formaggette tenute in gran conto.
Vitò era soddisfatto della riuscita e desiderava che il giornalino si propagandasse ovunque. Anche nell'intervista a distanza di tanti anni mi confidava: «Così potemmo dimostrare che tutte le forze vive erano state chiamate all'intervento e che si davano da fare per ottenere quanto il Comando di Divisione voleva. Quel prete, nonostante le marachelle che gli combinavano i nostri partigiani, capitanati da Silla, era felice di averci aiutato e di essere aiutato da noi. Era tremendamente povero ed isolato anche dalla popolazione. Lui faceva da maestro nella stamperia. Il primo numero uscì nella prima quindicina di settembre».
Fragola-Doria era il moderatore delle marachelle dei partigiani della stamperia e quando Don Peitavino aveva qualche lamento da fare, si rivolgeva a lui. Gli si era talmente affezionato che quando seppe che era stato colpito a Pigna e lo credeva morto, aveva celebrato delle messe per lui. Ma non era morto e lo andò a trovare per confermargli la sua riconoscenza: «Mio caro, ti credevo morto, ed ho celebrato messe in suffragio per l'anima tua».
«Grazie, reverendo, le messe fanno bene anche ai vivi».
Vi era una simpatia fra i due per vicendevoli servizi resi e Don Peitavino lo stimava e lo rispettava. Per lui e per le affettuose cure avute dai partigiani della tipografia, era un convinto assertore della bontà della lotta dei partigiani contro tedeschi.
don Ermando Micheletto * La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1973, pp. 110, 111
* ... Don Micheletto per tutta la guerra si adoperò per i partigiani, generalmente in contatto con i gruppi di Vitò, che accompagnò spesso nei loro spostamenti. Esplicherà la sua attività specialmente nell'assistenza e per captare messaggi radio. Giovanni  Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia
 
Il foglio "Il Garibaldino" nasce ad opera della sezione “agitazione e propaganda” della IX^ Brigata “Felice Cascione” - poi divenuta nel luglio 1944 la II^ Divisione d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione” - con l’intento di essere la voce dei Garibaldini della provincia di Imperia.
Gli articoli affrontano vari argomenti, tra i quali si segnalano: l’andamento della situazione politica e militare; i commenti delle azioni compiute dai vari distaccamenti; gli atti di eroismo individuali; le informazioni sulla vita interna dei distaccamenti, con particolare risalto al morale e alla disciplina dei partigiani; l’incentivazione dello spirito di emulazione fra i singoli combattenti.
Detti contenuti sono indicati dall’Ispettore di Zona Carlo Farini, “Simon”, in una sua lettera circolare del 14 giugno 1944.
Gli articoli essenzialmente politici sono scritti dal Commissario politico della divisione Libero Briganti, “Giulio”, e da Agostino Bramé, “Orsini”.
I primi due numeri del 14 luglio e del 6 agosto 1944, sono tirati in 400 copie ciascuno e sono stampati presso la tipografia di Villatalla, situata nel comune di Prelà. Responsabili della stamperia sono Giovanni Acquarone, “Barba”, e Riccardo Parodi, “Ramingo”.
 

Fonte: Rete Parri

Il primo numero è distribuito nella provincia di Imperia e parte del basso Piemonte, mentre il secondo circola prevalentemente tra i distaccamenti della brigata.
Il terzo numero esce invece il 20 settembre 1944, come primo di una nuova serie promossa dalla II^ Divisione d’Assalto “Felice Cascione”, con cadenza periodica - almeno nelle intenzioni -, in 8 facciate. 

Fonte: Rete Parri

È stampato presso la tipografia di Realdo, frazione del comune Triora in Valle Argentina. La costituzione di tipografia è stata promossa da: Armando Izzo, “Doria Fragola”, Commissario di divisione; Vittorio Guglielmo, “Vittò”; Comandante del gruppo divisionale; Ferdinando Peitavino, “Silla”, nipote del parroco Don Luigi Peitavino, il quale ha messo a disposizione i macchinari tipografici installati nella canonica del paese.
L’idea è di stampare il periodico con cadenza quindicinale, ma per varie vicissitudini “Il Garibaldino” non sarà più pubblicato se non dopo la Liberazione, con l’uscita di alcuni numeri dedicati soprattutto alla commemorazione dei caduti.
Istituto Nazionale "Ferruccio Parri"
 
Come afferma il garibaldino Gino Glorio (Magnesia) amministratore della brigata, la prima copia de Il Garibaldino fu stampata il 14.7.1944 e distribuita a San Bernardo di Garessio, nell'alta val Tanaro e nella parte orientale della Provincia, dal Comando della I brigata con sede a Lovegno. La stessa cosa si ripeté nella parte occidentale.
Il giornale era formato  da  due pagine stampate in modo primitivo; vi si parlava del rastrellamento di Stellanello (battaglia di Pizzo d'Evigno del 19.6.1944) e si citavano le azioni principali delle varie brigate. Un articolo commentava in modo ottimistico le operazioni alleate, un altro esaminava la nuova situazione creatasi in seguito all'occupazione garibaldina dell'interno (Pieve, Ormea, Garessio): raccomandava il comportamento corretto, cordiale dei partigiani con la popolazione dei grossi centri perché in essi doveva vedere i suoi figli, la propria difesa. Solo in questo modo sarebbero stati degni di liberare le città della costa. Inoltre si deplorava la leggerezza con cui alcuni  partigiani raccontavano le azioni eseguite o progettate. Concludeva ricordando che il silenzio e la sorpresa erano le migliori garanzie per il successo. Il 6 agosto 1944 fu distribuito tra i distaccamenti delle brigate il secondo numero de Il  Garibaldino. Come il precedente, conteneva un commento sulla situazione militare, le principali azioni del mese di luglio, accennava ad un distintivo che sarebbe stato consegnato a  tutti i partigiani: la stella rossa con l'effige di Garibaldi. In agosto Libero Briganti (Giulio) commissario della II^ divisione F. Cascione, non solo faceva produrre materiale vario di propaganda stampato dalla tipografia di Villa Talla, ma anche dal suo commissariato con la macchina da scrivere per cui, durante il mese, vennero lanciati i seguenti dattiloscritti intitolati come segue:
Direttive per l'insurrezione nazionale e per l'organizzazione di organi di potere popolare (7 fogli, del 6.8.1944), Sulla via dell'insurrezione (8 fogli, del 10.8.1944), La disciplina che vuole il soldato del popolo (3 fogli, del 19.8.1944), Difendiamoci dal nemico (2 fogli, del 22.8.1944), Chi siamo, cosa vogliamo (2 fogli, del 24.8.1944), Garibaldini e popolo (2 fogli, del 28.8.1944.
Il presidente del C.L.N. provinciale Gaetano Ughes (Giorgio), in una sua relazione scriveva che il servizio stampa e  propaganda del C.L.N. era stato affidato all'organizzazione comunista, la più preparata ed organizzata, che già funzionava a pieno ritmo da molti anni. Essa fu diretta da numerosi compagni e particolarmente da Ernesto Baldini (Leandro, poi Serra), segretario della Federazione comunista d'Imperia, inviato da Genova e che restò alla Federazione dalla fine di agosto 1944 al marzo 1945.
Le squadre S.A.P. della divisione G.M. Serrati alle dirette dipendenze della Delegazione Militare provvedevano all'affissione notturna e diurna ed alla distribuzione in città e nel circondario del materiale propagandistico. Altro materiale di propaganda veniva inviato dal C.L.N. di San Remo (dirigenti: Rovelli e Mascia),  che ne curava la distribuzione nei diversi piccoli e grandi centri abitati.
A proposito, Mario Mascia ci ricorda che il C.L.N. di San Remo spese circa 150.000 lire per la stampa e propaganda; organizzò il servizio stampa e propaganda nella parte occidentale della Provincia con l'aiuto del P.C.I. che mise a disposizione tutti i suoi mezzi;  pose mano alla pubblicazione di manifesti di propaganda di varie dimensioni, lanciandone circa 30 tipi per un numero complessivo di circa 25.000 copie.
Il C.L.N. provinciale provvide a far stampare 40 tipi differenti di manifestini (nella tipografia di Villa Talla) per complessive 50.000 copie e ne curò l'affissione e la distribuzione.
Altre 20.000 copie di volantini diversi giunsero da Savona e da Genova. Furono diffuse parecchie migliaia di opuscoli di propaganda; stampigliate sui muri della città varie scritte antifasciste ed antitedesche.
A metà settembre 1944 il Comando della divisione Cascione, dislocato a Piaggia, trasferì il tipografo Enrico Amoretti dalla tipografia di Villa Talla a quella di Realdo in valle Argentina, piccola tipografia parrocchiale installata nella canonica del paese, dove si stampavano foglietti a carattere religioso.
Per convincere il parroco don Peitavino a mettere a disposizione della Resistenza la tipografia, il comandante della V brigata Vittò aveva mandato don Micheletto (Domino Nero), parroco di Cetta [in effetti, prima di entrare in clandestinità, Don Micheletto era a Camporosso], a parlamentare con lui.
Il parroco di Realdo mise a disposizione il macchinario al quale s'impegnò personalmente, coadiuvando nel lavoro di stampa Ferdinando Peitavino (Silla) di San Remo [in effetti di Isolabona, in Val Nervia], Lorenzo Musso (Sumi) e l'Enrico Amoretti, il dottor Millo e un compagno di Pigna. Così il 20 di settembre, come periodico della II^ divisione Cascione, uscivano il primo numero del giornaletto Il Garibaldino  (3° della serie), su otto facciate, ed il primo quantitativo di tesserini di riconoscimento da distribuire ai garibaldini.
Il 26 ed il 27 del mese stesso i responsabili dei settori A, B, C (San Remo, Imperia, Albenga), informavano la Federazione del P.C.I. d'Imperia ed il Comando della Cascione di aver ricevuto i plichi contenenti i giornaletti Il Garibaldino, l'Unità del 19.9.1944 (edizione imperiese) e il volantino Ordine di mobilitazione volontaria con l'invito di rientro a tutti i partigiani che si erano allontanati. Gli addetti dei tre settori provvedevano subito a distribuire il materiale di propaganda.
Durante il grande rastrellamento di Pigna-Upega dell'8-22 ottobre 1944, il tipografo Enrico Amoretti, che aveva seguito il Comando della divisione garibadina, fu catturato ad Upega dai Tedeschi, ma dopo due giorni, liberato, ritornò alla tipografia di Realdo dove trovò le SS tedesche che stavano confrontando i caratteri tipografici con quelli dei giornaletti; però, siccome quelli usati per la stampa clandestina erano tenuti nascosti, non scoprirono il corpo del reato [...]
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura Amministrazione Provinciale di Imperia e con patrocinio Isrecim, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977

lunedì 12 ottobre 2020

Testaverde Alfonso alias Tullio è stato inquadrato nelle forze di questo comando sin dalla fase cospirativa




La signora Angela Maria Calvi Testaverde

La signora Angela Maria Calvi Testaverde

Una cerimonia del 90° Reggimento, cui appartenne l'allora tenente Alfonso Testaverde

[  Vengono qui pubblicati due documenti ed alcune fotografie inviate dal signor Franco Testaverde, figlio di Alfonso Testaverde, ufficiale di carriera, e di Angela Maria Calvi, nata a Sanremo il 16 gennaio 1925, di storica famiglia della Città dei Fiori, all'epoca dei fatti qui di seguito tracciati non ancora sposati, entrambi ferventi patrioti antifascisti, la signora quale staffetta partigiana. Per una migliore comprensione del contesto si aggiungono, inoltre,  alcune debite informazioni   ]

Nei primi di ottobre 1943 Bruno "Erven" Luppi dopo varie peripezie raggiunge la sua abitazione a Taggia … In quel periodo entra a far parte del Comitato di Liberazione di Sanremo, come rappresentante insieme al Farina del PCI, con l’incarico di addetto militare. Organizza pure il CLN di Taggia … Il gruppo prende pure contatto con la banda armata di Brunati, dislocata a Baiardo e con altre formatesi in Valle Argentina.                                                                                               Francesco Biga in Atti del Convegno storico LE FORZE ARMATE NELLA RESISTENZA di venerdì 14 maggio 2004, organizzato a Savona, Sala Consiliare della Provincia, dall’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona (a cura di Mario Lorenzo Paggi e Fiorentina Lertora)

[…] l’eroica Meiffret, nella cui villa di Baiardo si costituirono le prime bande armate della zona e che in seguito doveva subire la tortura e gli orrori del campo di concentramento in Germania; il giovanissimo poeta Brunati spentosi nelle prigioni di Genova [in effetti dalle carceri prelevato per essere fucilato dalle SS il 19 maggio 1944 sul Turchino] […] il pittore Porcheddu; il Maggiore Enrico Rossi […] Chi potrà enumerare gli episodi infiniti, talvolta veramente eroici, di cui questi uomini, ai quali era solo compenso la coscienza del dovere adempiuto, furono i protagonisti nei lunghi mesi del terrore nazifascista? Le riunioni segrete sotto l’incubo della delazione […]                                         Mario Mascia, L’epopea dell’esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975

Viene arrestato il Brunati, che era specialmente in rapporti di amicizia con Calvini G.B. e con la sig.na Meiffret. Vi sono degli arresti anche fra i membri del già citato Comitato interpartitico che teneva le sue riunioni nel palazzo della sig.na Meiffret, e di cui faceva parte Erven [...] ...] Renato Brunati … sig.na Meiffret (che risiedeva in Sanremo, ma lavorava per l’antifascismo particolarmente in collegamento con Renato Brunati) [...]                                                                                                         Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia 

 

Pagina del Notiziario GNR cit. infra - Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

Imperia - Giunge ora notizia che il 5 corrente la G.N.R. dopo lunghe e laboriose indagini ha arrestato il maggiore Enrico ROSSI, il tenente Alfonso TESTAVERDE e il tenente Angelo BELLABARBA *. I tre ufficiali, provenienti dal servizio permanente dell'ex esercito regio, avevano tenuti contatti con la professoressa Emanuela MAIFRETT e con l'amante di lei, Renato BRUNATI, già arrestati dalla G.N.R. il primo marzo c.a. e consegnati alle S.S. di Genova, perché responsabili di attività sovversiva [...] i tre arrestati distribuivano stampati di licenza illimitata ad ex militari non in regola, arruolavano persone per un costituendo battaglione "Principe di Piemonte", sovvenzionavano ex militari, facevano parte del comitato direttivo di liberazione nazionale. I tre ufficiali sono stati consegnati alle S.S. germaniche di Imperia. Le indagini proseguono per scoprire eventualmente altri correi.                                                                                                                                              Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del giorno 11-06-1944, p. 27, Fondazione Luigi Micheletti    
 
[ n.d.r.: * Angelo Bellabarba, nato a Montegiorgio (AP) l'11 ottobre 1913, domiciliato in  Vallecrosia, deportato per motivi di sicurezza, giunse a Flossenbürg il 07/09/1944, fu trasferito a Hersbruck e Dachau, fu liberato dagli americani, morì a Monaco di Baviera il 26 luglio 1945 per malattia contratta durante la detenzione. Il padre di Bellabarba, Carlo, in un documento (analizzato di recente presso l'Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia da Giorgio Caudano) inviato da Roma in data 28 agosto 1947 all'ANPI  provinciale di Imperia per il riconoscimeto dei meriti patriottici del figlio scomparso, fornì ulteriori importanti informazioni:"... Bellabarba Angelo faceva parte del Movimento Clandestino con le mansioni di rilevare i piani delle fortificazioni costiere nella zona di Ventimiglia-S.Remo. Fu arrestato nei primi giorni di aprile 1944 dalle forze di polizia nazifasciste in Vallecrosia e trasportato nelle carceri di Marassi Genova...". Tra le persone indicate come possibili testimoni a favore della sua istanza il signor Carlo Bellabarba indicava Emilio Biancheri di Bordighera, Tommaso Frontero, barbiere di Bordighera, arrestato nel corso della grande retata di maggio 1944 nella zona di confine, tornato miracolosamente incolume dalla detenzione in Germania, Pietro Marcenaro di Vallecrosia, uno dei protagonisti del Gruppo Sbarchi, la vedova di Ettore Renacci, fucilato a Fossoli, dopo essere stato catturato nel corso della richiamata operazione repubblichina ] 


[...] Oggetto: Magg. ftr.spe.TESTAVERDE Alfonso - classe 1915 - In relazione alla nota sopra distinta, si comunica che risulta quanto segue: "Testaverde Alfonso di Ettore e di Virginia Romano, nato a Napoli il 29-5-1885 [data errata: l'anno di nascita era, come scritto poco sopra, il 1915], domiciliato in Sanremo, di professione Capitano Esercito, arrestato il 6-5-944 in S.Remo per ordine del Comando Provinciale. Introdotto in questo carcere il 7-5-944 proveniente da S.Remo e consegnato dall'Arma dei carabinieri per rimanere a disposizione del C.P.G.N.R. [Comando Provinciale della Guardia Nazionale Repubblicana], anzi SS Tedesca, per misure di pubblica sicurezza. Rilasciato il 28-7-944 a seguito di ordine della SS Tedesca. IL DIRETTORE SUPERIORE (Dr. G. Puggioni) [...]                                                                                                                                                      Direzione Carceri di Imperia, 23 marzo 1960

COMITATO DI LIBERAZIONE NAZIONALE   Corpo Volontari della Libertà   Comando Brigate Cittadine "Giustizia e Libertà"  SANREMO  Si certifica che Testaverde Alfonso alias Tullio è stato inquadrato nelle forze di questo comando sin dalla fase cospirativa e cioé dal febbraio del 1944 quale organizzatore. Ha preso anche parte come sapista alla insurrezione iniziatasi il 24 aprile 1945 [...] IL COMANDO BRIGATE CITTADINE G. L. (Lanero Gerolamo) (Garbarino Francesco Maria) [...]

Sulla mia supposta "amicizia" con Italo Calvino sono circolate a Sanremo molte innecessarie dicerie. Alcuni trovavano incredibile che, dato lo scarto di età, un’amicizia fra di noi fosse possibile. L’argomento, di per sé, non è affatto probante, perché ero un ragazzo precoce i cui amici furono quasi sempre maggiori di età, con differenze che andavano dall’uno ai cinque anni, rispettivamente con Mario Mignone, Renato Zaccari, Giuliano Martini, Guido Giorgi (il fratello Giorgio era invece uno dei pochi ad essere piú giovane di me), Carlo Mager (che frequentavo piú del fratello Paolo, pur mio coetaneo), Franco Martini, Franco Giordano, Libereso Guglielmi), con punte sino ai sette anni (Gerolamo Lanero) o addirittura ai sedici anni di scarto che mi separavano da Luciano Sceriffo [...] Quando, il Primo Maggio 1986, chiacchierai per parecchie ore con la vedova Calvino nel suo appartamento romano, Le spiegai che non ero mai stato un "amico intimo" di suo marito, anzi, dissi un po' in tono di celia, piuttosto un "nemico intimo". Prima che le potessi raccontare come l'inimicizia (del tutto circostanziale e provvisoria) derivava da un opposta concezione della Rivoluzione di Ottobre, m'interruppe dicendomi che Italo le aveva rivelato l'esistenza di un "nemico", che sarebbe stato anche l'uomo piú colto di Sanremo. La rassicurai, non si trattava di me, bensí di Gerolamo Lanero e le spiegai chi fosse stato. Nei miei articoli precedenti o nel mio libro su Calvino mi limitai ad accennare ad episodi che fossero avallati da testimonianze di persone ancor vive e che potessero accomunarci nei loro ricordi: Libereso Guglielmi, Angelo Nurra, Tito Barbé, Gildo Carrugati (il quale, come me, frequentava Lanero e la ristretta cerchia degli appassionati del jazz che si riuniva periodicamente nella sua casa di San Martino, e che conosceva tutti i retroscena del suo dissidio con Calvino, risalente agli anni liceali) e qualche altro. Pietro Ferrua, Incontri e scontri con Italo Calvino, 25 aprile 2012 in Ra.forum

Luigi Asquasciati riassunse la direzione della Biblioteca nel 1949 o poco dopo, succedendo a Gerolamo Lanero. Associazione Italiana Biblioteche

[n.d.r.: la storiografia non si è mai dilungata sulle formazioni  Giustizia e Libertà nell'imperiese]          

domenica 11 ottobre 2020

Radio Londra e le reclute partigiane

Torrazza, Frazione di Imperia - Foto:
 
Cresceva l'odio verso i nazisti, a causa dei quali la situazione diventava sempre più insostenibile; si sentiva parlare di attentati contro i tedeschi, ma pochi di noi conoscevano come avvenivano.
Il 14 dicembre 1943 per la prima volta da Torrazza
[Frazione di Imperia] sento le raffiche dei mitragliatori nello scontro di Montegrazie fra partigiani e militari fascisti.
Entusiasta di quella battaglia non valutavo il pericolo che si stava creando con la guerra partigiana, e dentro di me sentivo un gran desiderio di essere uno di loro, ma non ancora chiamato alle armi continuavo il mio lavoro, esposto ai bombardamenti.
La guerra si aggravava sempre di più, mentre ogni giorno le bande partigiane crescevano di numero .
Migliaia di persone venivano deportate nei campi di concentramento e i fascisti appoggiavano i nazisti in tutte le loro azioni più criminose.
L'otto giugno 1944 appare sui muri il bando fascista che recluta la mia classe. Quel manifesto cui ero già preparato, non mi aveva sorpreso e quasi ne provai  piacere.
Molti amici mi avevano già preceduto sui monti, non mi rimaneva che seguirli.
Lasciato il lavoro, il 9 di giugno mi nascondo nella mia casa isolata di campagna.
Disapprovato dai miei genitori, mi preparavo per l'imminente partenza.
Il giorno 11 successivo ci raduniamo nell'unica osteria del paese di Torrazza; con me sono Giuseppe Baria e Raffaele, la sala è vuota, vociferando stabiliamo il giorno della partenza in modo da avvertire tutti i compagni che vogliono seguirci e, mentre continua il nostro colloquio, accendiamo la radio per sentire le ultime notizie che possono riguardarci.
Con il volume appena udibile, ci sintonizziamo su radio Londra.
L'indimenticabile "tamtam", seguito dal bollettino di guerra, annunciava le notizie del fronte, proseguendo poi con le notizie della guerra partigiana e con una serie di bollettini in codice a noi incomprensibili.

Torre antibarbaresca di Torrazza - Foto:

11/6/44
Sono alla vigilia di quella indimenticabile partenza; seduto attorno al tavolo vicino a mio padre e a mia madre, ho appena finito di cenare. In casa mia c'è silenzio, sono preoccupato, nel mio entusiasmo nascondo un po' di paura; nello sguardo dei miei genitori c'è tanta malinconia. La mamma mi volta le spalle per nascondere le lacrime; sebbene mio padre capisca che quella é l'unica via che mi rimane, nel suo sguardo leggo disapprovazione. Per alcuni minuti mi trattengo con loro, provo una voglia matta di rimanere, ma non trovo più parole per tergiversare ancora. Mi alzo di scatto, inforco lo zaino sulle spalle e senza voltarmi saluto con un nodo alla gola uscendo quasi di fretta, allontanandomi nel buio.
Mentre proseguo su di una scaletta in mezzo al vigneto, guardo ancora una volta la mia casa; attraverso l'uscio le ombre dei miei genitori sono proiettate fuori dalla luce di un lume a petrolio. Come assalito da un rimorso, mi volto verso la strada per non pensarci, mi avvio sulla mulattiera verso Torrazza, proseguo oltre il paese e raggiungo la vecchia torre, dove avevamo fissato il luogo dell'appuntamento.
Quell'antica costruzione ancora una volta serviva, se pur brevemente, per sfuggire a un nuovo invasore.
Pochi scalini pericolanti mi conducono all'entrata, resto solo nel buio per mezz'ora, dopodiché mi raggiunge Ernesto Corradi detto "Nettu", promotore dell'appuntamento. Trascorriamo quasi tutta la notte al buio nel silenzio della torre, in attesa degli altri compagni. Prima dell'alba il rumore di svariate persone ci fa capire che i nostri amici stanno arrivando; un po' guardinghi ascoltiamo le voci che si approssimano. Con loro ci sono altri compagni del vicino paese di Piani [Frazione di Imperia]. Ci salutiamo nel buio con qualche battuta scherzosa e proseguiamo subito verso i monti.
12/6/44
Siamo in diciotto, senza una meta precisa camminiamo verso un destino che ci riserverà giorni spaventosi. Fra lo scalpitio dei nostri passi, seguo i vari discorsi di quei compagni, penso alle nostre famiglie e al nostro paese che, dopo il nostro gesto, sarebbero diventati motivo di rappresaglia delle milizie fasciste. Preoccupato del nuovo giorno cui andavo incontro, mi tormentavo inutilmente per una realtà che ancora non conoscevo. Raggiunta la chiesetta di Santa Brigida, è quasi l'alba; il cielo si è tinto di rosa e lontano si scorgono nitide le cime dei monti. Proseguiamo inoltrandoci nel bosco che fiancheggia monte Faudo. Ormai si è fatto giorno, finito il bosco siamo nei prati, la visibilità è buona, camminiamo osservando lontano con la speranza di incontrare i partigiani. In prossimità di monte Moro scorgiamo in basso verso Villa Talla [Villatalla, Frazione del comune di Prelà (IM)], fra le piante, qualcosa che luccica sotto i raggi del sole: è un gruppo di uomini armati che sale verso di noi. Seduti sul prato attendiamo l'avvicinarsi di quegli uomini che, senza dubbio, dovevano essere partigiani. Dopo venti minuti il gruppo è vicino sotto di noi. Riconosco subito due compagni che mi avevano preceduto su quelle montagne. Sono Luciano Sciorato e Nardetto. Ci dicono di far parte della banda "Ivan" (Giacomo Sibilla) e che sono di ritorno da una missione. Ci aggreghiamo a quel gruppo e con loro raggiungiamo il comando della banda a Costa di Carpasio [località di Montalto Carpasio (IM)]. La presenza di tanti partigiani che mai avevo visto prima, mi faceva quasi paura. Uomini equipaggiati con poche armi, tutte di tipo diverso, sdraiati qua e là sotto le piante, vestiti con abiti civili, molti con la barba lunga, alcuni feriti. Solo al cinema avevo vi­ sto quello che in quel momento vedevo e ciò mi impressionava molto. Seduto sotto i castagni in mezzo a quegli uomini, provati da una vita impossibile, mi sentivo a disagio. La presenza di tanti partigiani che mai avevo visto prima, mi faceva quasi paura. Uomini equipaggiati con poche armi, tutte di tipo diverso, sdraiati qua e là sotto le piante, vestiti con abiti civili, molti con la barba lunga, alcuni feriti. Solo al cinema avevo visto quello che in quel momento vedevo e ciò mi impressionava molto. Seduto sotto i castagni in mezzo a quegli uomini, provati da una vita impossibile, mi sentivo a disagio. In quella banda c'era pure una giovane donna detta "Candacca" (Pierina Boeri), che il giorno prima si era battuta contro i nazifascisti nella battaglia di Badalucco. Cominciavo a capire quale era la vita e il pericolo cui andavo incontro. Sentivo parlare di guerra, di attentati e torture; discorsi che mi facevano paura, ma per nessun motivo sarei tornato indietro, e col passare delle ore mi sentivo già dei loro. Ero giunto cosi al termine di una giornata in cui mi ero fatto un'idea di quello che stavo per affrontare. Prima del tramonto la banda si trasferisce; una parte delle attrezzature è caricata sui muli e col sopraggiungere della notte partiamo verso una destinazione sconosciuta. Accodati a quella colonna in marcia, imbocchiamo al buio la strada di Carpasio; appena nel paese ci viene distribuito pane e formaggio e verso mezzanotte giungiamo a Prati Piani. La sosta per quella notte sembrava definitiva; eravamo molto stanchi, alcuni, coricati sul margine della strada, dormivano già [...] 
Giorgio Lavagna (Tigre), Dall'Arroscia alla Provenza, Fazzoletti Garibaldini nella Resistenza, Isrecim - ed. Cav. A. Dominici - Oneglia - Imperia, 1982
 

venerdì 9 ottobre 2020

... avvistava nei pressi di Drego una colonna di nazifascisti

Drego - Fonte: Andagna

Il 13 [aprile 1945] nei pressi di Passo Drego, sulla strada che porta a Rezzo, una pattuglia garibaldina investe con raffiche di mitra un gruppo di Tedeschi conducenti carriaggi, i quali si danno alla fuga, e sono recuperati alcuni quintali di viveri. Nella notte tra il 14 e il 15 una squadra dell'VIII° Distaccamento in missione a Taggia, appostatasi sulla Via Aurelia, raffica un camion tedesco, causando la morte di due soldati e il ferimento grave di un terzo. Ancora sulla Via Aurelia, nei pressi di San Lorenzo al Mare, una squadra partigiana della IV^ Brigata ["Elsio Guarrini", della II^ Divisione "Felice Cascione"] a distanza ravvicinata attacca con armi automatiche e bombe a mano carriaggi tedeschi in transito: il nemico lascia sul terreno due soldati morti e altri quattro gravemente feriti; anche due cavalli muoiono, colpiti dalle raffiche. Un'altra squadra, munita di lanciagranate, in agguato sulla Via Aurelia attacca un automezzo tedesco, il quale sbanda: due soldati rimangono sul terreno, nessuna perdita partigiana. Ancora il 15 alcuni combattenti del III° Battaglione ["Orazio 'Ugo' Secondo" - comandante "Veloce", Ermanno Sebastiano Martini] della IV^ Brigata in missione ad Arma di Taggia nella zona del Giro del Don investono con raffiche di armi leggere una macchina con ufficiali tedeschi a bordo: due di essi sono colpiti a morte. 
Importanti notizie sui movimenti del nemico sono fornite ai Comandi partigiani dal dottor Denza, maggiore medico della Brigata Nera, il quale collabora con la Resistenza: per lui viene emesso un salvacondotto con ordine di non molestarlo in caso di arresto. 
Il 15 aprile guastatori del comando della IV^ Brigata minano e distruggono un ponte di fortuna ricostruito dal nemico in Valle Argentina.
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Grafiche Amadeo, 2005, pp. 287-288 


Il 17 aprile 1945 garibaldini del IV° Distaccamento "Semeria" del II° Battaglione "G.B. Rodi" della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" collocarono sulla strada di Castelvecchio di Imperia una mina anticarro che alle 21 veniva urtata da un camion tedesco: il conducente del mezzo riportava gravi ferite ed il traffico rimaneva bloccato per circa 7 ore.
Lo stesso giorno una squadra del I° Distaccamento "Riccardo 'Cardù' Vitali" del I° Battaglione "Mario Bini" della V^ Brigata
"Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", appostata sulla strada Apricale-Baiardo verso le 22 apriva il fuoco contro 4 tedeschi che si dirigevano a cavallo verso Baiardo: venivano uccisi 3 soldati nemici, mentre il quarto, pur ferito, riusciva a fuggire.
Una squadra, sempre della V^ Brigata
, al comando di "Tritolo" (Pier Luigi Daniele), attaccava il presidio di Carmo Langan nel comune di Castelvittorio (IM), esplodendo 5 colpi di mortaio che costrinsero i nemici ad andare allo scoperto e subire i colpi di mitraglia dei garibaldini appostati nei pressi dell'accampamento nemico.
Sulla strada Ceriana-Baiardo altri garibaldini della V^ Brigata attaccarono quel giorno un'automobile tedesca, causando il ferimento di un capitano.
Il 18 aprile il V° Distaccamento "Silvio Lodi" del I° Battaglione "Marco Dino Rossi" della V^ Brigata verso le ore 12 "avvistava nei pressi di Drego una colonna di nazifascisti provenienti da Molini [di Triora (IM)]-Rezzo. Immediatamente un uomo avvertiva il comandante, il quale partiva con 8 uomini armati di armi automatiche e prendevano posizione nei pressi di Monte Grande. Verso le ore 13 il comandante ordinò il fuoco sulla colonna che marciava, occultandosi per non avere sorprese da parte nostra, infliggevano gravi perdite all'avversario, costringendola alla fuga disordinata. La battaglia è durate 4 ore. La perdita nemica ammonta a 6 morti, diversi feriti ed un mulo morto": così riportava un rapporto in data 23 aprile del comando della V^ brigata al comando della II^ Divisione "Felice Cascione".

Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999
 
13 aprile 1945 - Dal comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. n° 186, ai comandi del I° Battaglione "Mario Bini", del II° Battaglione "Marco Dino Rossi" e del III° Battaglione "Candido Queirolo" - Comunicava quali zone da controllare continuamente, con posti di blocco fissi con almeno 5 uomini ed 1 mitragliatore, le rocche di Drego [nel comune di Molini di Triora (IM)], la strada Molini-Langan, la strada sovrastante Molini di Triora, la strada Taggia- Badalucco, i paesi di Baiardo e di Ceriana, che occorreva attaccare i presidii nemici e, qualora non possibile, almeno disturbare i movimenti dei nazifascisti, che "si provveda allo stato di assedio per Molini e Langan [località in altura del comune di Castelvittorio (IM)], possibilmente anche per Baiardo".
22 aprile 1945 Dal Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione al comando della V^ Brigata - Riferiva che il giorno 20 reparti nemici avevano compiuto un'azione nella zona del I° Battaglione "Marco Dino Rossi": divisi in due colonne, una aveva colpito la strada carrozzabile, l'altra le pendici del Monte Ceppo [nel comune di Baiardo (IM)], dove si era scontrata con il III° Distaccamento; che nello scontro era morto l'ausiliario San Remo [Andrea Grossi Bianchi, nato a Sanremo il 22 maggio 1922]; che il Distaccamento era riuscito a sganciarsi portando via tutto il materiale, tranne i viveri che erano stati depositati nel magazzino della Brigata.
22 aprile 1945 - Dal comando della II^ Divisione, Sezione Propaganda - Bollettino n° 2 delle azioni partigiane: il 17 aprile il II° Battaglione "G.B. Rodi" della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" aveva collocato una mina anticarro a Castelvecchio di Imperia; nella notte tra il 14 ed il 15 una squadra dell'VIII° Distaccamento ["G.B. Boeri"] della IV^ Brigata, dopo aver sequestrato nell'abitazione di un maresciallo a Taggia (IM) un quintale di farina, al ritorno sulla Via Aurelia aveva attaccato un carro tedesco, causando la morte di 2 soldati; in un'azione su Pietrabruna (IM) del 15 era morto il garibaldino Casto [Antonio Castello] del VII° Distaccamento ["Romolo"] del III° Battaglione ["Artù"]; non era pervenuto l'elenco delle operazioni effettuate dalla V^ Brigata.
22 aprile 1945 - Dal comando della II^ Divisione, prot. n° 75, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava: il 13 aprile l'arrivo di 19 soldati della X^ MAS [già di stanza a Sanremo] presso la V^ Brigata; l'operazione contro le Rocche di Drego [comune di Molini di Triora (IM)]; l'azione su Pietrabruna (IM) del 15; l'attacco del Distaccamento "Angelo Perrone" sulla Via Aurelia il 16; le azioni già segnalate dai comandi della IV^ "Elsio Guarrini" e della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" alla II^ Divisione.
da documenti Isrecim in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II
 

domenica 4 ottobre 2020

Stragi alla foce del Centa fra il 1944 e il ’45

Il bunker alla foce del torrente Centa in Albenga (SV) - Fonte: Wikipedia
 
Albenga era la sede del comando dell’80° Reggimento della 34a Infanterie-Division della Wehrmacht e sempre ad Albenga erano presenti sia il tribunale militare del reggimento sia il plotone della Feldgendarmerie del reggimento. Molti dei partigiani che venivano catturati nel campo operativo del reggimento venivano trasferiti nella caserma di Albenga, dove subivano un processo sommario per  poi, nella grande maggioranza dei casi, essere condannati a morte: sentenze che venivano eseguite entro pochi giorni dalla pronuncia. Alcuni nomi si resero protagonisti di processi istruiti nel dopoguerra: il comandante del reggimento e presidente del Tribunale Militare, maggiore Gerhard Dosse; il maresciallo Friedrich Strupp, spesso Pubblico Ministero durante i dibattimenti, accusato di torture e sevizie nei confronti degli arrestat; gli italiani, ufficialmente interpreti, ma autori di feroci delitti, Luciano Luberti e il suo vice Romeo Zambianchi, questi l’unico che venne condannato a morte dalla Corte d’Assise di Savona con una condanna capitale effettivamente eseguita. Ad Albenga, quasi sempre alle foci del torrente Centa, tra partigiani, collaboratori, fiancheggiatori e civili vennero giustiziati più di cento persone [...] Bruno Mantero, poliziotto ferroviario, fratello di Agostino, patriota della SAP di Albenga, arrestò a Ventimiglia nel 1946 Luberti, che tentava di espatriare in Francia [...] Durante una perlustrazione mirata nel borgo di Lusignano vennero catturati il 6 dicembre 1944 due partigiani, Francesco Baracca De Pascale e Giovanni Giletta Gugliotta. I due furono subito uccisi con due colpi alla nuca. Gugliotta freddato dal tristemente conosciuto maresciallo Friedrich Strupp della feldgendarmerie di Albenga, De Pascale dall’ancor più feroce Luciano Luberti [...]
[...] In Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9,  StreetLib, Milano, 2019, si apprende: [...]
Rapporto dei carabinieri di Albenga del 24.6.45: Il dottor Russo Pierluigi giunse ad Albenga verso la metà del febbraio 1945 in servizio presso la locale brigata nera. Dimostrò subito particolare zelo nel coadiuvare la Feldgendarmerie di Albenga che in quel periodo spiegava una feroce attività di intimidazione attraverso l’uccisione di numerosi ostaggi. Il dottor Russo era coadiuvato dalla sua amante Andreis Anna, la quale esercitava la sua deleteria influenza sul maresciallo della Feldgendarmeria Strupp, di cui contemporaneamente ne era l’amante. Il dottor Russo vantava la sua appartenenza alla brigata nera e si dichiarava fervente nazifascista. Portava sulla manica destra della giubba la scritta “Per l’onore d’Italia”.
Interrogatorio di Russo Pierluigi del 30.7.1945: Sono iscritto dal 1927 al Pnf fino al 1934 quando venni
espulso per morosità, non sono mai stato iscritto al PFR [...] Andai quindi a Genova a consigliarmi con degli amici che mi dissero che solo le brigate nere erano il rifugio sicuro degli sbandati e come medico avrei potuto avere un impiego adeguato. Il 15 febbraio mi presentai al comando della brigata nera di Savona dove venni incorporato ed inviato subito ad Albenga per compiere un’inchiesta amministrativa a carico del comandante del distaccamento, Ten. Scippa, arrestato sotto l’imputazione di ammanco per circa mezzo milione. Le indagini da me condotte riuscirono positive e rimasero implicati oltre al tenente anche cero Cesare Lampasoma, sottufficiale della brigata nera, Raineri, direttore della mensa e magazziniere della brigata ed indirettamente anche il pretore di Albenga, Avv. Tacconi. Questo risultato portò ad una serie di denunce contro di me ed il 10 marzo 1945 fui fatto rientrare a Savona sotto inchiesta, esentato da qualsiasi servizio e con l’obbligo di vestire in borghese. A fine mese venni alla fine smobilitato e cessò ogni mio rapporto con le brigate nere. Con la Feldgendarmeria tedesca ebbi soltanto rapporti superficiali di pratiche d’ufficio. Non conosco l’attività politica e spionistica esercitata da Andreis Anna, detta Zola, in favore della Feldgendarmeria tedesca. La mia relazione con lei fu interrotta nel 1943. Non sono mai stato a conoscenza circa presunte uccisioni di ostaggi, maltrattamenti a detenuti, sevizie e violenze carnali a donne fermate imputate alla Feldgendarmerie, in quanto durante la mia breve presenza ad Albenga non è avvenuto nulla di tutto ciò.
Rapporto del Comando Polizia Militare Forze Armate Americane del Mediterraneo del 23.8.45:
Le seguenti informazioni sono state ricevute dal sottufficiale Alfred Fuchs che si trova attualmente in campo di concentramento a Verona. Egli appartenne al I° Btg. dell’80° Rgt. della 34^ Divisione di Fanteria. Questo reparto aveva rinforzato la gendarmeria di campo di Albenga fra Imperia ed Alassio. Il capo della gendarmeria da campo era il Maggiore Gerhard Dosse e questo Dosse era di solito incaricato di eseguire spedizione terroristiche che avvenivano fra la mezzanotte e l’alba con il pretesto di scovare i partigiani. Il criminale di gran lunga più attivo fu il Maresciallo Fritz Strupp, sposato, residente a Coblenza, che era in relazione con una certa signora Anna di Albenga. Lo Strupp ha personalmente ucciso la maggior parte delle persone fucilate ad Albenga e presenti in un album fotografico di sua proprietà. Queste persone erano indicate allo Strupp da tale Alfredo Ghio, un partigiano disertore. Un altro criminale molto attivo era tale Luberti, proveniente dalla Marina. Secondo le dichiarazioni del Fuchs, un italiano, tale Dottor Russo, appartenente alle brigate nere, sarebbe anch’esso stato un attivo criminale.. 
Bisterzo Felice: nato a Stoccarda, il 16 giugno 1913, squadrista della Brigata Nera “Briatore”, distaccamento di Albenga
Interrogatorio del 15.7.1945: Mi sono iscritto al PNF nel 1935 e al PFR dall’ottobre del 1944. Entrai a far parte delle brigate nere ai primi di dicembre 1944 fino al 24 aprile 1945. L’8 settembre ero soldato all’autocentro 2° di Trieste dove venni fatto prigioniero da tedeschi e trattenuto fino al mese di novembre. In questo periodo fuggii per ben tre volte e indotto poi a lavorare nella Todt come operaio. Mi sono arruolato nella brigata nera volontariamente l’1.12.44. Ammetto di aver dato due schiaffi per ordine del maresciallo della Feldgendarmeria all’intendente del comandante partigiano “Domatore”, arrestato in Albenga, quando questi era già orribilmente straziato, il boia Luciano dopo di ciò mi disse “Gliene hai date ancora poche”. Ho accompagnato, prelevandoli dal carcere della Feldgendarmeria, numero 17 ostaggi alla spiaggia dove i tedeschi ad uno ad uno li prendevano da noi e li portavano ad una cinquantina di metri dove, con un colpo alla nuca, li giustiziavano; quella volta non ci hanno fatto sotterrare né fare la guardia ai morti. Mi sono fatto consegnare soldi e viveri dalle famiglie, assicurandole che i loro congiunti, si trovavano in carcere e stavano bene mentre invece erano già stati giustiziati, tenendomi i soldi ed i viveri. Le esecuzioni al mare erano eseguite dal maresciallo Strupp e dal boia Luciano. Il partigiano Aldo Basso è stato fatto arrestare dal Brazzi Ennio, ex partigiano, passato al servizio delle bande nere. Gli esponenti della brigata nera di Albenga sono Reiner (direttore di mensa), Ten. Contini ed il vice comandante Lampason Cesare. Il 12 gennaio 1945 venni arrestato per aver fatto allontanare il partigiano, Tenente Aldo Basso, e venni tradotto in prigione nella federazione repubblicana di Savona dove rimasi fino al 2 di aprile. Rilasciato, ripresi servizio come motociclista presso la brigata nera a Savona, rimanendovi fino al giorno 22 quando mi nascosi presso una famiglia. Il 10 maggio mi presentai alla polizia di Albenga che mi condusse al carcere di Savona [...]
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020 
 
[  altri lavori di Giorgio CaudanoGiorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016   ]
 
Fra l’ottobre del 1944 e l’aprile del ’45 ad Albenga, in via Trieste, in uno degli edifici Incis al momento disabitati, ma che in passato avevano ospitato famiglie di dipendenti statali, si insedia la Feldgendarmerie Trupp, un distaccamento della polizia militare della Wehrmacht che dipende dal 1° Battaglione dell’80° Reggimento Granatieri della 34ª Divisione.
Il 1° Battaglione, comandato dal capitano della riserva Gerhard Dosse, un insegnante prestato all’esercito e noto per la sua ferocia e lussuria, presidia la zona fra  Andora e Ceriale tramite singoli distaccamenti come quello ingauno e dipende a sua volta dall’80° Grenadier-Regiment, di stanza a Villa Grock, ad Oneglia.
Questo Reggimento è posto sotto il comando del colonnello Klaus Stange con il compito di controllare l’area compresa fra Imperia e Albenga e risponde alla 34ª Infanterie-Division, sotto l’alto comando del generale Theobald Helmut Lieb, che presidia il Piemonte meridionale e la Liguria occidentale. A capo della Feldgendarmerie c’è il maresciallo Fritz Friederich Strupp, da cui dipendono il sergente maggiore Alfred Fuchss, il caporale Johann Hans Nüsslein e una decina di graduati tedeschi. Li affianca un fascista, Luciano Luberti, che, arruolatosi nella Wehrmacht dopo l’8 settembre, è stato addestrato in Germania e, con il grado di caporalmaggiore, funge da interprete. Per effettuare azioni di rastrellamento e interventi di controllo del territorio, la Feldgendarmerie si avvale delle truppe del capitano Dosse e dei fascisti della Brigata nera locale intitolata a “Francesco Briatore”, fra i quali spicca per efferatezza Romeo Zambianchi. Le stragi a opera della Feldgendarmerie avvengono nei pressi della foce del fiume Centa, un’area pressoché inaccessibile alla popolazione sia per la presenza di fortificazioni militari erette dalla Todt in funzione antisbarco, sia per la vigente ordinanza del coprifuoco, che va dalle 17.30 alle 6 del mattino, sia infine per l’impraticabilità della zona, collocata fra la stazione ferroviaria e il mare e ricoperta da sterpaglia e canne. E’ tuttavia importante notare che, nel caso di Albenga, la procedura esecutiva messa in atto dalla polizia militare tedesca riflette solo parzialmente le misure repressive indicate dal sistema di ordini emanato il 17 giugno 1944 dal feldmaresciallo Kesselring. In tale sistema al rastrellamento, generalmente conseguenza di attacchi partigiani, segue la cattuta di civili sospettati di essere complici o parenti dei “banditi”, il loro concentramento presso strutture di raccolta, quindi l’interrogatorio aggravato dal ricorso a forme di tortura e, infine, la selezione dei “validi”, non coinvolti nel partigianato, che vengono inviati al lavoro in Germania, dai restanti prigionieri, destinati a formare un serbatoio di ostaggi funzionale a eventuali rappresaglie. In questo modo la procedura dei rastrellamenti, di per sé aberrante, assumeva il significato di un concreto monito rivolto alla popolazione per dissuaderla dall’offrire aiuto ai ribelli. La Feldgendarmerie di Albenga si discosta però da tali procedure mettendo in atto alcune modalità esecutive che eccedono in efferatezza la tattica imposta dalle direttive superiori. Fra queste si osserva: il frequente ricorso a segnalazioni di spie locali, sovente prive di qualsiasi fondamento; la forte propensione a far leva - grazie soprattutto alla stretta collaborazione con fascisti del calibro di Luberti e ingauni privi di scrupoli come il Zambianchi - su conflitti individuali e su contese di natura privata preesistenti fra le famiglie per provocare scontri, avviare rastrellamenti di cittadini e razzie e saccheggi dei loro beni; la “corte marziale”, priva d’ogni fondamento di legalità, allestita dal Dosse nella Feldgendarmerie; oppure ancora la tendenza a strumentalizzare con particolare pervicacia “l’invidia” personale e di classe, diffusa sul territorio anche a fronte del benessere di proprietari di aziende agricole, attività commerciali e imprese artigianali presenti in una piana come quella del Centa che, per estensione e fertilità, costituisce da sempre un’eccezione fra le modeste aree coltivabili del savonese. A queste costanti, occorre aggiungere le perplessità che i rastrellamenti di civili effettuati dai nazifascisti dell’albenganesesuscitano se interpretati, secondo la consuetudine, come deterrente in risposta a eventuali azioni partigiane o in funzione di possibili selezioni di personale valido e idoneo al lavoro rispetto a soggetti inabili. In altri termini, la Feldgendarmerie agisce con un surplus di crudeltà apparentemente gratuita e ingiustificata rispetto alle logiche belliche correnti e, data la frequenza e le dimensioni quantitative delle stragi di civili effettuate, non trova riscontro in altri eccidi avvenuti nel biennio 1944-’45 nel savonese né in altre zone operative liguri. A titolo esemplificativo, tra gli episodi di delazione, ricordo la spiata di Roberto Richero che, denunciando i Gandolfo, ricchi proprietari di un’azienda agricola a Ortovero, per aver fornito viveri ai partigiani, offrì il destro alla Feldgendarmerie per impossessarsi dei beni della famiglia Gandolfo, farne razzia e per procedere all’arresto prima di Silvestro e poi di Amerigo, che si era presentato al distaccamento per chiedere il rilascio del fratello. Entrambi, pur non avendo mai dato prova di convinzioni politiche antifasciste, vengono fucilati il 16 dicembre 1944 insieme a Gino Zunino, un giovane cestaio di 18 anni, forse renitente alla leva. Un altro episodio in cui la spiata di un concittadino diventa l’occasione perchè la Feldgendarmerie attui le sue trame criminose è data dall’arresto a Villanova di Albenga di Pietro Navone, ricco macellaio del paese, con i due figli Annibale e Alfredo. L’accusa di aver fornito cibo ai partigiani gli viene mossa da Giovanni Navone, detto “il Pipetta”, non imparentato con l’omonima famiglia di Villanova. Poco importa che - come in regime d’emergenza poteva capitare - i Navone fossero stati indotti con la forza a consegnare le loro carni ai partigiani.L’occasione è sufficiente per dare modo ai gendarmi tedeschi e alle Brigate nere di saccheggiare per una settimana i beni dei tre, i quali vengono fucilati il 27 dicembre del ’44 presso la foce del Centa con altri 4 ostaggi. Alle vicende ingaune sono anche legate due macabre beffe. La prima rimanda al proclama del 29 dicembre 1944, emesso dal commissario prefettizio maggiore Bruno Pacifici, che sollecita la popolazione a sostenere con denaro le famiglie dei concittadini economicamente in difficoltà per l’arresto dei loro congiunti che si ritiene siano imprigionati presso la Feldgendarmerie o le carceri savonesi di Sant’Agostino.L’offerta in denaro, che pare sia stata consistente, conferma che gli albenganesi sono all’oscuro delle reali macchinazioni dei nazifascisti. La seconda richiama la “tragica messinscena” della sera del 12 gennaio ’45, quando Luberti, in seguito a un sommario processo in cui ha riferito a 13 ostaggi che la loro condanna consiste in alcuni mesi da scontare nelle carceri di Sant’Agostino, mette nelle loro tasche un biglietto ferroviario con destinazione Savona.La verità emerge soltanto grazie alla fortuita fuga di uno degli ostaggi, Bartolomeo Panizza, attivo come Sap ad Albenga. Egli percorre sotto scorta con gli altri ostaggi il sentiero che dalla stazione ferroviaria conduce alla foce del Centa ma, giunto nel bunker di raccolta, riesce a liberarsi raggiungendo poi il Distaccamento di Domenico Trincheri (“Domatore”). Alla fuga rocambolesca del Panizza assiste accidentalmente anche Luigi Pesce, noto come “Luassu”, un partigiano incaricato dai compagni di esplorare la zona mare per verificare cosa avvenga in quell’area impraticabile. Durante il processo all’ex capitano Dosse, accusato di “reato continuato di violenza con omicidio da parte di militari nemici contro privati italiani”, la condanna imputatagli si ridurrà alle sole vittime del 12 gennaio ’45, ossia alla dozzina di civili sulla cui morte hanno testimoniato il superstite Bartolomeo Panizza, Luigi Pesce in quanto testimone oculare, nonché don Giacomo Bonavia, a conoscenza dei fatti per essere stato a sua volta catturato come ostaggio ma poi fortunatamente liberato per l’intercessione di Monsignor Cambiaso, vescovo di Albenga. Le stragi di civili presso la foce del Centa si succedono nelle seguenti date: 3, 16, 27 e 28 dicembre del ’44, in cui rispettivamente vengono fucilate 4, 3, 7 e 15 persone. Le stragi del 1945 avvengono il 12 e il 22 gennaio e il 18 e il 19 febbraio. Le vittime in questo caso sono costituite da gruppi formati da 12, 5, 6 e 5 persone. A fine guerra, fra il 6 e l’8 giugno 1945, in tre successivi disseppellimenti, vengono estratte dalle 7 fosse comuni ben 59 salme. Di queste, due soltanto non sono riconoscibili. Procedendo all’identificazione delle vittime, il dottor Marcello Navone, Vicepretore del Mandamento, e il dottor Mario Pagliari, Ufficiale sanitario del Comune di Albenga, annotano particolari raccapriccianti (“teschio irriconoscibile... mancante della dentatura superiore... alla caviglia del piede destro una ferita di pallottola... col volto irriconoscibile... dentatura mancante di denti”), segno indubbio delle torture cui vennero sottoposti gli ostaggi. Dei 57 corpi identificati: 5 appartengono a donne e soltanto 10 a partigiani. Per quanto concerne le classi di età: 11 vittime hanno meno di 20 anni (il 19,2%), 12 hanno un’età compresa fra i 20 e i 30 anni, 16 si collocano fra i 31 e i 40 anni, 10 fra i 41 e i 50 anni, 4 fra i 51 e i 60 anni e altrettanti nella fascia dai 61 anni in su. L’occupazione più diffusa è certamente il lavoro della terra, che impegna 15 agricoltori, ma ci sono anche piccoli commercianti e diversi esponenti d’una variegata serie di mestieri legati all’artigianato (molti ortolani, 3 cestai, un barbiere, un falegname, alcuni fornaciai e meccanici, un carrettiere e un fabbro), mentre scarsi sono i salariati dell’industria. Si distinguono inoltre alcuni cittadini benestanti (3 commercianti) e una famiglia di macellai. Per quanto concerne la provenienza, la maggior parte delle vittime è nata ad Albenga (11), Villanova d’Albenga (11) e Ortovero (6); 18 sono invece nativi di comuni limitrofi, ossia: Cisano, Garlenda, Borghetto d’Arroscia, Arnasco, Vendone, Pieve di Teco, Castelvecchio di Roccabarbena, Alassio, Loano, Finale e Stellanello; 3 provengono dal Ponente genovese; 4 dal “basso Piemonte”, 3 dalle province di Ferrara e di Padova e uno da Gela. Il gruppo più numeroso riflette il profilo sociale e professionale dell’area in cui le stragi sono avvenute è infatti formato da maschi di età compresa fra i 20 e i 40 anni, che costituisce il 49,1% del totale delle vittime, opera nel settore agricolo e proviene da Albenga o da paesi vicini.Infine, per quel che riguarda i criminali nazifascisti responsabili degli eccidi, rispetto alla componente italiana, l’unico a subire la condanna a morte per fucilazione, imputatagli il 21 marzo 1946 dalla Corte d’assise straordinaria costituita a Savona per i reati di collaborazionismo, è Matteo Zambianchi. Il Luberti, cui è imputata la medesima condanna con sentenza del 24 luglio 1946, nel 1949 ottiene la commutazione della pena nell’ergastolo che però, l’anno dopo, è tramutata dalla Corte di appello di Genova nella reclusione a 19 anni, a sua volta ridotta a 10 nel 1954. Di fatto, dopo 7 anni di carcere il Luberti nel 1953 viene liberato. Tuttavia torna agli onori della cronaca (nera) in quanto sospettato di contatti con gli esecutori materiali della strage di Piazza Fontana a Milano del 12 dicembre 1969 e con il principe Junio Valerio Borghese, noto per un tentativo di golpe nel dicembre dello stesso anno. Dal gennaio del ’70, dopo aver ucciso la giovane segretaria e amante Carla Gruber, è latitante. Catturato nel 1972 e condannato a 22 anni di reclusione dalla Corte di assise di appello di Roma, viene riconosciuto infermo di mente e rinchiuso nel gerontocomio di Aversa. Ricompare in un’intervista televisiva del 1998 e muore nel 2002. Riguardo ai graduati tedeschi che operarono nella Feldgendarmerie, dopo anni di silenzio, le indagini si riaprono una prima volta in seguito alla scoperta nel 1994 dell’“armadio della vergogna”, quando alla Procura militare di Torino pervengono due documenti: l’uno a carico di “ignoti militari” accusati del reato di violenza con omicidio contro “Gandolfo Amerigo e altri 58”, l’altro a carico di Strupp, Fuchss e Dosse in ordine a reati di “violenza, maltrattamenti contro privati nemici e ostaggi, saccheggio ed incendio”. In entrambi i casi l’anno successivo è però nuovamente chiesta l’archiviazione per “l’amplissimo lasso temporale trascorso” e, di conseguenza, per l’improbabile reperibilità degli autori materiali dei reati. Ma con la nomina a Procuratore militare di Torino di Pier Paolo Rivello e grazie soprattutto all’incontro pressoché casuale del procuratore con l’avvocato Claudio Bottelli, ex partigiano e presidente dell’ANPI di Alassio e Laigueglia, il 16 dicembre 2001 le indagini si riaprono e Gehrard Dosse è iscritto nel registro degli imputati.[...] Il Dosse è rinviato a giudizio con l’accusa dell’omidicio di dodici persone il 12 dicembre 1944, grazie ai riscontri probatori relativi a questa strage. Ma nei confronti degli eccidi perpetrati in precedenza e in quelli successivi, come quello di Vendone del 20 gennaio 1945 o quello avvenuto nel Cimitero di Leca di Albenga il 17 marzo dello stesso anno, la mancanza di prove è di ostacolo alla procedura penale. Agli interrogatori Dosse risponde con ostruzionismo: da un lato ribadisce che non ricorda e, dall’altro, nega addirittura di essere mai stato ad Albenga. Al processo i tre comuni di Villanova d’Albenga, Albenga e Arnasco si costituiscono parte civile (e Bottelli è uno dei tre avvocati che li rappresentano).Dopo aver ascoltato i teste, che ricordano la messinscena delle false corti marziali presso la Feldgendarmerie di via Trieste e le atrocità commesse, il 13 dicembre 2006 il Tribunale militare di Torino condanna all’ergastolo Gerhard Dosse e la sentenza passa in giudicato il 13 aprile dell’anno successivo [...] 
Giosiana Carrara, Stragi nazifasciste di civili nella provincia di Savona in Savona in guerra. Militari e vittime della provincia di Savona caduti durante il secondo conflitto mondiale (1940-’43/1943-’45), ISREC Savona, 21 gennaio 2013 

Macché pietà cristiana scambi di prigionieri umanitarisrni e tregue; basta coi se i ma i forse e i chissà; qui il sangue chiama sangue, e il solco si scava sempre di più.
- Si può sapere insomma cosa vuole ancora sto rompiscatole del vescovo, con le sue giaculatorie? Ma che lo faccia in cattedrale il suo mestiere, altro che remenarla sempre così coi tedeschi in gendarmeria: o gli piace o no, adesso qui comanda solo il boia - diceva il tenente della brigata nera, a rapporto dal federale.
- Se i prigionieri lui li torchia ben bene con tutti i sentimenti, ma non parlano lo stesso, allora i patti non servono né coi preti né col vescovo; e dunque va bene ammazzarli ancora nel bunker sulla spiaggia, sempre avanti così;  poi sto tenente scattava sull'attenti, salutava alla romana e se ne andava gridando secco -  a noi.
Il boia di Albenga, quando glielo domandano, dice che sì; nonostante tutto si può tentare ancora in segreto; anche se il lavoro aumenta non ci pensa nemmeno, ci mancherebbe altro: col coprifuoco o no, vivi sempre il fascio e morte ai ribelli; altroché.
Eppoi non ci sono problemi nel bunker, manco parlarne; eccome che lo sa come si fa sempre alla solita maniera, anzi ancora di più per sbrigarseli in fretta; adesso però si capisce, basta guardarsi un po' in giro come capita, è sempre peggio.
Bisogna ben farla finita una buona volta mettendocela tutta senza risparmio; e sempre avanti col fascio bisogna ben andarci fin lassù per agguantarli tutti, ma proprio tutti al completo; e che la porcavacca se li porti via sti fuorilegge bastardi. Dice che non si può mica continuare tutte le sere sempre uguale, a scaraventarseli così da una parete all'altra delle celle, senza farsene accorgere: - adesso basta; manco mettendocela tutta, uno non ci riesce più a continuare come prima, nemmeno con gli aiutanti addestrati sempre lì pronti e disponibili -, dice il boia.
- E dunque va bene: se è inutile tenerseli che non c'è da fidarsene, va bene, facciamoli fuori.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, p. 202

Roma "Pronto, potrei parlare per cortesia con il signor boia?". "Sì, qui è la casa del dolore". Potrebbe capitare a chiunque: alzare il telefono, comporre il numero di telefono di Luciano Luberti, venire accolti da un ritornello tra il romanesco e il luciferino. Dall' altro capo del filo risponde un signore di settantasei anni dalla barba di lanugine e gli occhi serpigni. E' il boia di Albenga, il torturatore italiano della Feldgendarmerie tedesca che in appena quattro mesi, tra la fine del 1944 e il 1945, seviziò, talvolta violentò, mandò a morte un centinaio tra uomini e donne rastrellati alla foce del fiume Centa. "Pronto, sì, qui è la casa del dolore". Un boia che fa il boia. Un Mangiafuoco autoironico. Può capitare anche questo. Si riparla di questo seguace di Hitler perché a partire da ieri sera, a notte fonda, Raiuno manda in onda quattro puntate a cura di Sergio Tau con una lunga testimonianza del boia Luberti Luciano.
Un documento straordinario, spaventoso, ma anche carico di insidie per il "fascino sinistro" che emana dal personaggio - il massacratore charmeur è ben tratteggiato da una delle sopravvissute - e non solo per questo: ma di ciò parleremo più avanti. Chi cerchi nell' intervistato la freddezza o il gesto trattenuto di un Priebke rimarrà deluso. Niente in Luberti tradisce contrizione. Non la voce né lo sguardo sornione né il ghigno perpetuo. Un personaggio inquietante, che sintetizza anche nella figura falstaffiana ferocia nazista e teatralità all' amatriciana. "Gli ho fatto un buco così, gli ho fatto, a Giovanni il Siciliano", ripete disegnando nell' aria un melone. "L'ho beccato dopo che aveva fatto fuori quel poveretto delle Brigate Nere. Gli ho scaricato in testa dieci bossoli, un buco così gli ho fatto a Giovanni il Siciliano...". Non la banalità, ma la voluttà del male. Prima di affrontare i rischi di questa operazione televisiva (che potrebbe sollevare le stesse perplessità che sollevò due anni fa Combat Film), converrà ricordare chi è il Boia d' Albenga, un personaggio romanzesco su cui s' è esercitato anche uno scrittore come Vincenzo Cerami. Fascista innamorato del Fuhrer, a ventidue anni s' arruola direttamente nella Wehrmacht. La sua brillante carriera nell' esercito tedesco comincia con il rastrellamento di partigiani italo-francesi in Corsica: è determinato, efficiente, merita la croce di ferro di seconda classe.
Quindi nel dicembre del 1944 il trasferimento ad Albenga, un paesino vicino a Savona che ospita il comando della Feldgendarmerie, la polizia militare del Fuhrer. Sevizie d' ogni genere. Torture. Anche stupri con bottigliette di gassosa infilate a calci. Capezzoli tagliati. Pareti imbrattate di sangue. "Beh, certo, la Feldgendarmerie lavorava sodo", dice ora il Boia un tantino compiaciuto. "Stavamo sulle palle anche ai camerati di Savona. Ma - che volete? - interpretavamo la legge, eravamo fedeli al regolamento". Dopo la guerra, la foce del fiume Centa restituirà cinquantanove cadaveri. "Befehl ist Befehl, l'ordine è ordine", continua a ripetere oggi il Boia, scuotendo la candida barba che va giù a cascata. "E io, al contrario di Priebke, ho obbedito senza lacrimare... Povero Priebke, c'ha 82 anni: finge un po' di pentimento, scarica su Kappler, ma se l'ha fatto è perché sentiva di obbedire volentieri a quell' ordine. Che me stanno a cantà?". Nell'aprile del 1945, Luberti riesce a fuggire. Prima Torino, poi Napoli, il tentativo di arruolarsi nella Legione Straniera. Il 17 maggio del 1946, sulla banchina del porto di Genova, viene riconosciuto da una sua vittima. Al processo i giudici lo condannano a morte. L' anno successivo la Corte d' Appello di Genova trasforma la sua pena prima in ergastolo, poi in 19 anni e sei mesi di carcere. L' amnistia del 1953 gli toglie ancora dieci anni. Nel luglio del 1956 il Boia torna libero. Possibile? Sentiremo ancora parlare di lui. Prima come editore di libriccini d' ispirazione nazista, poi come militante del Fronte nazionale, l' organizzazione neofascista di Valerio Borghese.
[...]  Intanto scorrono sul video le testimonianze di ufficiali e sottufficiali della Divisione San Marco, soldati al servizio di Salò. Parlano anche le donne stuprate dai partigiani. Parlano i partigiani a cui furono portate via le donne poi stuprate. Parlano le vittime del Boia. Un western sanguinario di grande impatto emotivo. Una mattanza che però rischia dicancellare nel bagno di sangue le ragioni dei vincitori e dei vinti. Una marmellata rossa che condanna tutti e nessuno: chi si batteva per la democrazia e chi dalla parte della tirannide. Proprio come ai tempi di Combat Film: l'emozione prevale sul ragionamento, il discrimine fascismo-antifascismo si perde per strada. Queste riserve sono condivise da Gian Enrico Rusconi, lo storico chiamato da Tau a presentare i materiali insieme ad Acquaviva. "Si tratta di un programma molto efficace sul piano spettacolare", ci dice lo studioso, "ma segnato da una sorta di agnosticismo contestuale. Il messaggio che manda è una condanna generica della violenza di qualsiasi segno. Viene messa in scena una tragedia totalmente impolitica, una babarie astorica: potremmo essere in Bosnia come in Ruanda. Acquaviva sceglie di non storicizzare, come invece avrei fatto io". Rusconi rimarca le distinzioni tra la ragione dei vincitori e gli errori dei vinti - l'ha fatto nelle prime due puntate (già registrate) ma intende tornarci con maggior vigore nelle successive - "perchè quella è la nostra storia, una storia che non si può dimenticare o appiattire su personalità disturbate. Accanto alla guerra civile c' è anche una patologia della guerra civile: temo che il programma confonda due piani diversi".
Simonetta Fiori,... torna l'incubo del boia di Albenga, la Repubblica, 11 febbraio 1997

La procura militare di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio di Gerhard Dosse, un capitano delle forze armate tedesche durante la seconda guerra mondiale, per la fucilazione di dodici italiani avvenuta ad Albenga (Savona) il 12 gennaio 1945.
Dosse, che oggi ha 96 anni e vive a Wedel, in Germania, all' epoca dei fatti era il comandante delle truppe stanziate nella città ligure.
I dodici, sospettati di collaborare con i partigiani, furono uccisi in località Foce del Centa. Il più giovane aveva 18 anni, il più anziano 43. Tra di loro c'erano anche tre donne.
Secondo quanto ha ricostruito il pm Paolo Scafi, che ha indagato su una catena di uccisioni avvenute nella zona (in tutto si tratta dell'omicidio di 71 persone) tra il novembre del 1944 e l'aprile del 1945, il capitano Dosse ebbe un ruolo determinante: anzi, come si legge nelle carte dell'inchiesta, fu «una delle figure centrali di quel dramma».
Fino ad ora - è scritto - le stragi erano state «genericamente attribuite all'attività criminosa svolta da un gruppo di "feldgendarmerie" con il quale collaboravano anche due cittadini italiani, ma questa angolazione ha fatto sì che il ruolo di Dosse, capitano della Wehrmacht, sia stato sottovalutato». In realtà, secondo Scafi, l'ufficiale era il presidente di un tribunale speciale, chiamato «Standgericht», istituito per giudicare i partigiani. Un tribunale che però celebrava i suoi processi violando addirittura le norme giuridiche tedesche: gli incolpati, che non avevano diritto all'avvocato, non potevano seguire la discussione in aula e a volte non potevano nemmeno conoscere la sentenza, venivano condannati a morte per reati - come il favoreggiamento - che non prevedevano la pena capitale, ma al massimo il lavoro coatto. E' stata acquisita agli atti dell'indagine una nota del questore di Savona, che nel marzo del '45 indicò in Dosse il presidente dello «Standgericht» definendolo un «elemento che ha fama di spietata ferocia».
Il processo, comunque, è stato chiesto solo per le dodici fucilazioni di Foce del Centa. La prova regina, per gli inquirenti, è costituita dalle deposizioni di Bartolomeo Panizza, un uomo che riuscì fortunosamente a scampare alla strage, e del sacerdote don Giacomo Bonavia. «Entrambi - è scritto - hanno testimoniato di essere stati sottoposti a un procedimento di fronte a una corte marziale presieduta dal capitano Dosse il 4 gennaio 1945».
Quando venne a sapere che il suo nome era stato associato a un'inchiesta per crimini di guerra, Dosse tentò il suicidio. Nel fascicolo, il pm Scafi ha osservato che «gli eccessi commessi dai militari tedeschi in Albania, in particolare dalla 'Feldgendarmeriè, suscitarono vibrate proteste delle autorità della Repubblica Sociale Italiana».
Redazione, Nazismo - Chiesto giudizio per il «boia d'Albenga», La Gazzetta del Mezzogiorno.it, 10 febbraio 2005