Visualizzazione post con etichetta Ormea (CN). Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Ormea (CN). Mostra tutti i post

sabato 31 luglio 2021

Cercammo di raggiungere la formazione partigiana garibaldina che operava in Liguria

Uno dei Forti di Nava, Pornassio (IM)
 
Dopo aver partecipato alle campagne di guerra 1940-1945 (Francia-Albania-Grecia-Jugoslavia) eccomi a raccontare la parte ben più tragica dopo l'8 settembre 1943.
Mentre mi trovavo in licenza illimitata a casa, a Briga, vengo catturato da una pattuglia di SS tedesche arrivata all'improvviso verso mezzogiorno.
Mi viene dato appena il tempo di rimettermi la divisa militare e vengo fatto salire sul gippone con altri paesani catturati come me, con destinazione Cuneo, da dove partivano le tradotte con vagoni piombati verso la Germania.
Per fortuna, giunti a Tenda, paese presidiato dai militari tedeschi della Wermacht addetti al recupero di materiale della IV Armata Italiana, il maresciallo comandante del Presidio si impegna per il nostro rilascio.
Una quindicina di noi rimane a Tenda con la consegna di lavorare alla sistemazione di materiali vari ed accudire una trentina circa di muli; questo a causa dell'esiguità e dell'anzianità degli uomini che componevano il Presidio.
Lavoriamo per questo Presidio per alcuni mesi: lavoro di giorno e liberi di uscire alla sera.
Da Tenda veniamo spostati a Cuneo nella Caserma già IV° Artiglieria Alpina dove ci impongono di mettere un bracciale giallo con la scritta in caratteri gotici in lingua tedesca "soldato tedesco".
Chi non accetta viene spedito in Germania.
Così una sera decidemmo di fuggire; camminammo tutta la notte ed al mattino giungemmo a Briga.
Cercammo di raggiungere la formazione partigiana garibaldina che operava in Liguria e qui, con altri sbandati, costituimmo un nuovo distaccamento, cioè una Brigata.
Ci mettemmo in marcia per raggiungere il posto indicato, transitando per i Forti di Nava [nel comune di Pornassio (IM)].
Qua dovemmo cambiare rotta perché in quella località si trovavano già altri uomini del Capitano Martinengo [Eraldo Hanau].
Ci trasferimmo, pertanto, in Val Corsaglia (Mondovì).
Fu una marcia massacrante, attraversando Viozene, Mongioie, passando per Piaggia, frazione di Briga Marittima, ora diventata Briga Alta.
Lì appresi che i miei genitori e mio fratello Luciano di 16 anni in conseguenza alla nostra fuga erano stati arrestati e portati nel carcere "Leutrum" di Cuneo.
Mio fratello Luciano veniva sovente interrogato affinché dicesse dove noi eravamo.
Per impaurirlo gli prendevano le misure per la cassa da morto.
Poi tutto si è risolto grazie all’interessamento dell’ingegnere capo della Centrale Elettrica dove lavorava mio padre.
Egli chiese al Comando tedesco il rilascio motivandolo con la urgente necessità di operai specializzati da inserire nella Centrale Elettrica.
Grazie a questo mio padre fu subito rilasciato.
Seguirono la liberazione di mia madre e di mio fratello.
In Val Corsaglia trovammo la valle già presidiata e comandata da un ex appuntato dei Carabinieri (Taglietto).
Intanto il capitano Martinengo decise di ritornare verso Viozene [Frazione di Ormea (CN)] dove insediò il suo Comando di Brigata.
Il nostro gruppo rimase in Val Corsaglia prendendo posizione a Costa Calda sulle alture di fronte alle Grotte di Bossea, posizione che dominava un bel tratto di strada provinciale che da San Michele di Mondovì porta a Fontane di Frabosa.
Aldo Clerico in Libertà dal Popolo, Notiziario della F.V.L., n° 2 del 2011
 
Nella provincia di Cuneo, tra la fine del '43 e l'inizio del '44, le bande più organizzate sono quelle guidate da Ignazio Vian, l'eroe di Boves, Piero Cosa e Franco Ravinale, ufficiali dell'ex esercito. Questi, che occupano le valli Casotto, Corsaglia, Mongia, Tanaro, Ellero e Pesio, a partire dal febbraio decidono di affidare al maggiore “Mauri”, che dal dicembre guida una banda nella val Maudagna, il comando dell'area alpina. <209
Nella parte settentrionale della provincia prende corpo il nucleo costitutivo della I divisione Garibaldi “Piemonte”, formato dal comando della 4ª brigata “Cuneo”. Oltre a operare nelle valli alpine settentrionali, al comando della I^ divisione rispondono anche i gruppi presenti nelle valli Belbo e Tanaro, nucleo originario della 16ª brigata “Generale Perotti”, mentre verso la fine di novembre, venuto a conoscenza della presenza di diversi nuclei di resistenti, tra cui ex militari, “Barbato” [Pompeo Colajanni] trasferisce «un gruppo di uomini capaci» in val Varaita. <210
[...] A partire da novembre infatti, colonne tedesche e fasciste circondano la parte occidentale della provincia di Cuneo, chiudendo le vie di uscita ai partigiani. Il 18 novembre viene rastrellata l'intera val Casotto, che costringerà gli uomini al comando del sottotenente Colantuoni a spostarsi in val Corsaglia. <212
[...] Per tutto il mese di gennaio, le vallate alpine vengono colpite dai tedeschi, che adottano un nuovo tipo di rastrellamento, basato sullo scontro frontale e sull’accerchiamento. Le postazioni partigiane vengono assalite, tanto da disperdere i partigiani e metterli in fuga, come documenta “Mauri” nel suo diario dopo il rastrellamento in val Maudagna, il 14 gennaio: <217
"Siamo rimasti in trentacinque. Saliamo sull'alto, al rifugio di Prel, sopra Frabosa. Ma rimanere lassù non è possibile; è un posto ideale per villeggiare, ma non va bene per fare il partigiano. Troppo lontano dalle strade". <218
Dopo il rastrellamento, “Mauri” con i pochi uomini rimasti è costretto a spostarsi in Val Casotto, e a unirsi ai gruppi lì presenti.
[...] Come “Mauri” stesso scrive nella relazione sui fatti d'arme di val Casotto, in pochissimi giorni giungono al comando «circa un migliaio di uomini che non costituivano che un peso»: <221 l'impossibilità di armarli e la previsione di un'imminente rastrellamento tedesco nella zona aggravano in questo modo una situazione già precaria. Simile circostanza si verifica presso altri comandi partigiani, come ad esempio in quelli GL posizionati in valle Stura. <222
209 G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, cit., p. 319
210 M. Diena, Guerriglia e autogoverno, cit., p. 17
212 Questo gruppo entrerà poi a far parte della III divisione Alpi.
217 Per i rastrellamenti di gennaio '44 vedi M. Giovana, La Resistenza in Piemonte, cit., p. 53, in particolare nota 26; D. L. Bianco, La guerra partigiana, cit., pp. 37-41; e 25 aprile. La Resistenza in Piemonte, ANPI Torino, Orma, 1946
218 E. Martini, Con la libertà e per la libertà, cit., p. 32
221 “Relazione sui fatti d'arme dal 13 al 17 marzo nelle valli Casotto, Mongia e Tanaro”, Dalle Langhe, 9 aprile 1944 - I° della Liberazione, in G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, cit., doc. 2, p. 340
222 M. Giovana, “Popolazioni alpine nella guerra partigiana del Cuneese”, cit., p. 89

Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013 
 
I tedeschi avevano nel frattempo posto un loro importante quartiere generale nell'Albergo Miramonti di Garessio (CN).
Da questo centro i nazisti organizzarono un forte rastrellamento contro le bande badogliane di Val Casotto, nelle quali militava anche un noto attore, Folco Lulli.
I nazisti furono, tuttavia, attaccati proprio nell'Albergo dai "ribelli", badogliani, ma non solo da questi.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999
 
Verso la fine del febbraio '44 (nei giorni dal 25 al 27) vi era stata la battaglia di Garessio, con l'attacco dei partigiani al Miramonti, albergo nel quale si erano asserragliati i i tedeschi. Questi, con lo scopo di compiere una vasta opera di rastrellamento specialmente contro i partigiani di Val Casotto, avevano occupato Garessio (25 febbraio), incominciando subito a commettere uccisioni e devastazioni, e avevano posta la loro sede nell'albergo Miramonti.  Attaccati dai partigiani di Mauri, convenuti da varie parti, la battaglia aveva assunto ampie proporzioni, svolgendosi contemporaneamente in diverse località. Infine i tedeschi, dopo aver compiuto numerosi massacri con la cooperazione di militi fascisti del battaglione San Marco, avevano lasciato il paese (27 febbraio); ma vi erano stati strascichi dolorosi anche nei giorni seguenti. Durante questi fatti il 26 febbraio '44 era stato ripetutamente ferito in combattimento e dai militi fascisti catturato, torturato e ucciso Sergio Sabatini.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia  

Fonte: I Partigiani d'Italia

Nella battaglia di Garessio (CN) [il 26 febbraio 1944] venne ucciso il partigiano Sergio Sabatini * di Imperia.
Rocco Fava, Op. cit.
* Sergio Sabatini. Medaglia d'oro al valor militare con la seguente motivazione: "Giovane partigiano di eccezionale coraggio, rinunciava alla licenza per partecipare con i propri compagni ad un’azione di particolare importanza contro un presidio tedesco. Ferito due volte durante l’epica lotta e costretto dietro ordine del comando a ritirarsi per esaurimento delle munizioni, si offriva volontario per portare ordini ad un reparto impegnato su altro tratto di fronte. Ferito una terza volta nell’attraversare una zona scoperta e battuta tentava ancora con le ultime forze di assolvere il suo compito, finché, colpito una quarta volta al petto, cadeva nelle mani del nemico, che dopo avere tentato invano di estorcergli notizie sull’organizzazione partigiana, lo seviziava barbaramente. Condotto a morte, l’affrontava con sprezzo gridando al nemico: «Mio padre mi ha insegnato a vivere, io vi insegno a morire». Fulgido esempio di valore e di fermezza". Garessio, 25-26 febbraio 1944

Nella squadra di Martinengo [Eraldo Hanau] a tenere una posizione importante sopra il paese c'era anche lo studente onegliese Sergio Sabatini. I suoi compagni sapevano che sparava bene alla mitraglia: allora gliela diedero in consegna con tutto l'occorrente per la postazione; ma più tardi i tedeschi lo catturarono ferito, perché si era fidato troppo andando allo scoperto quando partì volontario per portare un ordine urgente ai mortaisti. Anche i nazifascisti capirono che era un ragazzo in gamba molto deciso, che non dava segno di dolore manco quando provarono a picchiarlo per farlo parlare. Cosicché prima di ricominciare cercarono di convincerlo con le buone; ma lui continuava a dire di no, che lì c'era per conto suo e basta; poi lo torturarono con accanimento avendo perso la pazienza, per fargli dire del comando e dei comandanti.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 23-24

Fonte: I Partigiani d'Italia

Giorgio Carrara, nato a Garessio il marzo 1925, allievo meccanico. Partigiano del distaccamento del Colle di Casotto, il 27 febbraio 1944 scende in Garessio accompagnato da un partigiano del luogo con l’intento di recuperare armi abbandonate ed assumere notizie sulle intenzioni dei nazifascisti. Compiuto il recupero, i partigiani si avvicinano al piazzale dell’albergo Miramonti, (sede del comando tedesco), fanno fuoco sui tedeschi, quindi risalgono la "costa della battagliera" verso regione Campi. I tedeschi allertati li inseguono: Carrara è colpito all’addome da una raffica, mentre il suo compagno riesce a fuggire. Catturato da due soldati, è condotto prima al comando del Miramonti, poi verso la strada di Valsorda sino all’incrocio con quella delle Fonti. In tale località gli sparano in fronte con il mitra. Mostrando il tricolore che gli orna il risvolto della giacca, pronuncia le sue ultime parole: "Viva l’Italia!".
È insignito di Croce di guerra alla memoria: "Partigiano ardito e coraggioso, già ripetutamente distintosi in precedenti circostanze, durante un aspro combattimento per la conquista di un importante centro abitato, trovava morte gloriosa alla testa dei suoi compagni". Garessio 1° febbraio - 26 febbraio 1944
A Giorgio Carrara venne intitolato un distaccamento della Brigata "D. Arnera" - Divisione d’assalto Garibaldi "Silvio Bonfante".
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011
 
Cuneo
Nelle prime ore del 1° corrente elementi ribelli, per mezzo di cariche esplosive, abbatterono la linea primaria elettrica della sottostazione di Celibusca, distruggendo quattro pali di sostegno della linea stessa.
Verso le ore 12, altri ribelli, in numero imprecisato, ma che si fanno ascendere a circa 1000, irruppero nell'abitato di Garessio.
Alle 14,30 altri ribelli, montati su autocarro, assalirono la stazione ferroviaria di Ceva, devastandola completamente e asportando armi e tre militi della ferroviaria e ferendo gravemente un sottufficiale che reagì.
Nello stesso comune i ribelli disarmarono sette militari tedeschi e i carabinieri, prelevando il sottufficiale comandante. Poscia devastarono il Municipio e, al ritorno, con tre mine, fecero saltare un ponte della strada provinciale. Malmenarono il Segretario del Fascio e danneggiarono la sua abitazione.
Infine, verso le ore 18, in regione Piantei, elementi ribelli, in numero imprecisato, assalirono un autocarro con a bordo dieci fascisti, tre dei quali rimasero uccisi e tre feriti. Non si conoscono le perdite inflitte agli aggressori.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del giorno 3 marzo 1944, pp. 38-39,  Fondazione Luigi Micheletti
 
[n.d.r: l'alta Val Tanaro, la Val Casotto ed alcuni territori limitrofi furono poco dopo le date qui riportate area operativa anche delle formazioni garibaldine della I^ Zona Operativa Liguria, segnatamente da dicembre 1944 della Divisione "Silvio Bonfante"; del resto diversi partigiani, che erano stati dapprima con i badogliani, confluirono in seguito tra i garibaldini del ponente ligure: ad esempio Bruno Schivo (Cimitero), che divenne capo squadra del Distaccamento "Filippo Airaldi" della II^ Brigata "Nino Berio" della Divisione "Silvio Bonfante"]

lunedì 5 luglio 2021

Il Marinaio Rinaldo Delbecchi morì fucilato dai Tedeschi a Nava all'età di 26 anni

La zona Ponte di Nava, nel comune di Ormea (CN) - Fonte: Mapio.net

Intanto i Tedeschi, che si preparavano a schiacciare in Piemonte la I e la V brigata, accortisi del deflusso degli uomini verso la Liguria, anticipando i piani strategici, attaccano il 12 di novembre [1944] nella valle Ellero.
Le prime forze impegnate sono i partigiani badogliani delle brigate "Mauri", a cui i garibaldini della Cascione si erano collegati.  
Furono queste le iniziali avvisaglie di un gigantesco rastrellamento che, come vedremo, doveva terminare il 20 di dicembre con la conseguente distruzione, pressoché totale, delle formazioni badogliane nel basso Piemonte.
Le formazioni avevano resistito validamente all'urto, ma il giorno successivo i nazifascisti riuscivano ad occupare parte della valle Ellero con lo scopo di ottenere il controllo della strada Mondovì-Cuneo.
I badogliani sgomberano definitivamente la valle il 12 ritirandosi in val Corsaglia (11), mentre tutte le formazioni garibaldine si pongono in stato d'allarme.
Durante la notte e il mattino seguente forze fasciste si spingono fino a Frabosa Sottana, ma un contrattacco le costringe a ripiegare sulle posizioni di partenza. Sul limite del versante ligure pattuglie tedesche, già spintesi da Garessio fino a Ponte di Nava, avevano tentato di intercettare il 10 di novembre le formazioni garibaldine in movimento.
Il distaccamento d'assalto "G. Garbagnati" con alla testa «Mancen», comandante della I brigata, lascia Fontane di Frabosa alle 7,30 del 13, ma a Pornassio il trasferimento viene funestato dallo scoppio accidentale di una bomba a mano greca custodita nello zaino del viceresponsabile S.I.M. "Rinaldo" (12) che ferisce in modo grave e uccide il garibaldino austriaco Franz Mottl (Carlo), nato a Vienna il 20-10-1917, capace armaiolo, venuto in banda da Diano quando "Cion" [Silvio Bonfante] il 10 luglio l944 aveva attaccato le caserme locali.
[NOTE]
(11) Da relazione del S.I.M. di brigata al Comando II divisione F. Cascione (prot. N 174, 12/11/1944): Informatori comunicano che formazioni nazifasciste hanno attaccato le posizioni dei patriotti di Martello (Valle Ellero). Il combattimento è proseguito per tutta la notte e sembra continui nella mattinata. Operazioni di rastrellamento sono state compiute ieri a Mondovì, dove molti sono i mezzi meccanici colà accentrati. Sembra che i nazifascisti abbiano intenzione di eseguire un rastrellamento in grande stile (nota del red.: questi attacchi furono l'inizio del grande rastrellamento di Fontane descritto da Gino Glorio (Magnesia), nel capitolo che segue).
(12) Ferito il 13 novembre 1944 a Pian Soprano (Ponti di Pornassio), Rinaldo Delbecchi (Rinaldo), viceresponsabile del S.I.M. I brigata, veniva affidato dai compagni di lotta, disperati per i continui rastrellamenti, ai contadini di Pornassio. Riportiamo qui l'episodio della sua morte tratto dal Corriere d'Imperia del 4/8/1945, organo ufficiale del C.L.N. provinciale.
" ...  Da  Oliveto arriva la sposa Maria, veramente sempre pensata e adorata, e trova Rinaldo dagli occhi senza splendore e senza speranza, e sente che non possiede più una grande riserva d'energia. Ella, la sposa di un eroe, è forte e il suo viso chiaro e biondo si china benefico sulle ferite e aiuta Rinaldo a portare per qualche giorno la sua carne dilaniata e dolorante da rifugio a rifugio. È la notte del 17 di novembre e il silenzio desolato è interrotto, tratto tratto, dal malinconico e sinistro grido di uccelli notturni. Rinaldo e  Maria sono soli col buio, con il dolore e con la morte. Improvviso e martellante si ode, incerto prima e poi distinto, un rumore di scarponi. - Rinaldo! - grida spaventata la sposa - Rinaldo, i Tedeschi! - Era vero, e mentre Rinaldo le fa coraggio i nazisti buttano giù la porta e dopo un lento girare nel buio, eccoli, e appena arrivati maltrattano la carne già maltrattata. Quando un bieco e  briaco soldato del nord picchia la sposa, Rinaldo freme, si getta disperatamente dal giaciglio per difenderla..., non regge e sviene. Lo battono e ritorna in sé; il giovane sente vicina la morte e abbraccia la sposa, le affida il dolore della mamma, parla del fratello, dei compagni patriotti e della sua casa lontana... e non curante di sé: - fatti coraggio - dice alla sposa: - ricordami come il tuo migliore compagno. Addio! - E, mentre i loro cuori si chiamano disperatamente, Rinaldo è strappato a viva forza dalle braccia della sposa e gettato su un carro; dopo un po' di strada un soldato tedesco lo fredda con alcuni colpi di rivoltella al capo. Vicino, la sposa e gli abitanti di Pornassio. Nella triste e sanguinosa aurora tremano, piangono e pregano per il giovane eroe...".

Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977, pp. 317-319                                                               

Verso il 10 novembre giunse l'ordine di ritornare in Liguria. Io partii con un gruppo formato da una decina di uomini, tra cui mio cugino "Nino", Rinaldo Delbecchi, Gustavo Berio ("Boris"), due ex sanmarchini, il maresciallo austriaco Carlo ed alcuni altri.
Giunti al passo del Bochin d'Azeo, che attraversammo durante una bellissima giornata, anche se fredda, assistemmo ad uno spettacolo per me mai visto (lo rividi nel 1989 quando per la prima volta viaggiai in aereo). Sul versante della Liguria scorgemmo una massa di nubi bianche che copriva monti e valli, e sopra un sole tinto di rosso pieno che illuminava e arrossava tutta quella distesa bianca. Era uno stupendo panorama e in quel momento pensai quanto sarebbe stato bello il mondo se non fosse continuamente insultato da uomini criminali assetati di potere e di ambizioni.
Due  giorni dopo stavamo per giungere a "Cian Survan" (Pian Soprano), situato in un bel pianoro, a monte del paese di Ponti di Pornassio. Marciavamo come sempre in fila indiana poiché non sapevamo se nel pianoro ci fossero dei nemici. Ad un tratto sentimmo una forte esplosione e immediatamente ci sparpagliammo nei dintorni, preparandoci alla difesa.
Pensavamo che il nemico ci avesse scagliato contro una bomba a mano.
Non seguirono altre esplosioni, però sentimmo dei lamenti come se qualcuno fosse rimasto ferito. Infatti Rinaldo era a terra e perdeva sangue dalla schiena: gli togliemmo lo zaino dalle spalle e constatammo che era seriamente ferito.
Invece Carlo, che durante la marcia camminava dietro Rinaldo, ricevette in pieno viso lo scoppio di una bomba di fabbricazione greca, che lo stesso Rinaldo aveva nello zaino, rimanendo ucciso sul colpo.
Alcuni rimasero feriti lievemente, tra cui un sanmarchino che perse la punta del naso.
Provvedemmo a trasportare Rinaldo nel pianoro e con acqua gli pulimmo le brutte ferite. Non gli potemmo dare niente, nemmeno un antidolorifico. In qualche modo seppellimmo Carlo. Questi era un austriaco che, quando "Mancen" l'll luglio 1944 con il distaccamento "Volantina" aveva attaccato la caserma di Diano Castello (la "Camandone"), a differenza di altri, era passato dalla parte dei partigiani; aveva sublto parecchi rastrellamenti, era rimasto sbandato più di una volta, ma era sempre rientrato nei ranghi; era un abilissimo armaiolo, prezioso quando si dovevano riparare le nostre armi.
Rimanemmo qualche giorno a Pian Soprano.
Nel frattempo era arrivato da Albenga a visitare Rinaldo un medico il quale ci disse che bisognava portare il ferito all'ospedale di Pieve di Teco per estrargli delle schegge dalla schiena e dai reni (urinava sangue).
Chiedemmo aiuto agli uomini delle SAP locali: infatti ne giunsero quattro che, in un telo da tenda, trasportarono il ferito a Ponti di Pornassio e poi, in giornata, a Pieve di Teco.
Ma le spie erano già in funzione.
Infatti il partigiano Zanazzo, che lavorava in un bar, udì alcuni soldati tedeschi che, seduti ad un tavolo, parlottando tra di loro, dicevano che all'alba del giorno successivo si sarebbero recati a Pian Soprano per sorprendere alcuni partigiani che avevano dei feriti.
Lo Zanazzo si premurò di informarci.
ln conseguenza di ciò, nel pomeriggio, io e il commissario Osvaldo Contestabile cercammo nel bosco un luogo ove nasconderci. Trovammo una grotta quasi inaccessibile che, però, stillava acqua dalla volta. Pensammo che l'umidità era meglio dei tedeschi e perciò ritornammo nella baita per cenare e dormire, ma con l'intendimento di tornare a nasconderci nella grotta.
All'alba svegliai i presenti per incamminarci verso il luogo sicuro, ma "Boris", che non so bene come fosse capitato lì, disse che c'era tempo. Probabilmente aveva un appuntamento con Carlo Carli, che operava con i badogliani e che qualche tempo prima, mentre ero di guardia, avevo visto in compagnia di un partigiano, forse accompagnato dove eravamo dalla ragazza Nelly che, sfollata a Ponti di Pornassio, collaborava con la SAP locale.
Dissi a "Boris" e agli altri che, se volevano restare, restassero pure nella baita. Io mi incamminai verso il rifugio e notai, però, che, tosto, tutti mi seguivano. Fatto sta che avevamo appena oltrepassato il pianoro quando sentimmo il vociare dei tedeschi accompagnato da spari. Erano circa una trentina e, non trovando nessuno, incendiarono la baita.
Anche questa volta salvai la pelle.
Semidisarmati come eravamo, non avremmo potuto far fronte al nemico armatissimo. In seguito due pastori, che avevano le greggi nei dintorni, ci raccontarono che i tedeschi erano giunti sul luogo con gli scarponi imbottiti di stracci per non farsi sentire e che, nell'occasione, si erano impadroniti di una dozzina di pecore.
Purtroppo Rinaldo Delbecchi venne catturato, portato a Pieve di Teco sopra un carretto, e dopo poco tempo, benché ferito, fucilato.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998, pp. 67-69
 
Rinaldo Delbecchi - Fonte: Giorgio Caudano

Durante il ritorno in Liguria, dopo le settimane in cui gran parte della Cascione aveva trovato rifugio a Fontane, Rinaldo Delbecchi rimase seriamente ferito dallo scoppio accidentale di una bomba a mano che teneva nel proprio zaino, deflagrazione che costò la vita al disertore austriaco Franz Mottl. Delbecchi venne affidato a dei contadini di Pornassio. Nella notte del 17 novembre i tedeschi fecero irruzione nel casone dei Ponti di Pornassio, dove Delbecchi aveva trovato rifugio e, benché ancora con le ferite aperte, venne trascinato fuori e ucciso con alcuni colpi di pistola alla nuca.
Giorgio Caudano, , Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020

Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021;  La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna,  IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016 ]

Non meno marcata ed efficace è l'attività delle spie nella zona di Pieve di Teco ove operano con rapidità. Di conseguenza, la notte del 16 novembre 1944 i Tedeschi spingono una colonna di 60 uomini fino a Ponti di Pornassio. Cercano il Comando della I brigata, come primo obiettivo, ed un partigiano ferito, come secondo. Perquisiscono alcune case; poi la spia, accertato il nascondiglio di Rinaldo Delbecchi (Rinaldo) fu Carlo, nato a Castelvecchio il 19.8.1916, di cui abbiamo già descritto l'episodio, lo fa catturare e massacrare.
Francesco Biga, Op. cit., p. 347

Imperia. Nei giorni scorsi l’allieva della scuola Pantà Musicà, Salwa Amillou, ha superato brillantemente l’esame pre-accademico del corso di violino al Conservatorio Paganini di Genova. Molto spesso succede che allievi modello del corso superino brillantemente esami impegnativi come questo. Inoltre durante questa difficile prova l’allieva ha suonato un strumento di enorme prestigio: il violino che fu di Rinaldo Delbecchi, il partigiano che perse la vita durante la Resistenza. Il violino appartiene ora alla famiglia Bruzzone che lo ha gentilmente concesso alla bravissima Salwa così come a Marko Kurtinovich, un altro allievo della scuola Pantà Musicà, che ha suonato a San Bernardo di Conio (Comune di Borgomaro), lo scorso 3 settembre in occasione del 73mo Anniversario della “Battaglia di Montegrande“, una manifestazione dedicata ai caduti per la Libertà. La Storia, discreta, ci sussurra i suoi insegnamenti anche attraverso la musica e i suoi strumenti, che sopravviveranno certamente all’inevitabile decadimento della tradizione orale.
Redazione, La giovane Salwa Amillou supera l’ammissione al conservatorio Paganini suonando il violino del partigiano Rinaldo Delbecchi, Riviera24.it, 3 ottobre 2017

[...] Seguiranno quelli della Campagna di Russia: il Fante Wamoes Zaffoni, della Divisione di Fanteria ‘Sforzesca’, caduto ventenne in azione e tre Alpini del Battaglione ‘Pieve di Teco’, morti durante la ritirata (il Tenente Rodolfo Beraldi, ventisettenne, e gli Alpini Paolo Berio, ventunenne e Attilio Schivo, ventisettenne). Ultimo della lista il Marinaio Rinaldo Delbecchi, imbarcato sull'Incrociatore ‘Duca degli Abruzzi’, che dopo l'8 settembre si unì alla Resistenza e morì fucilato dai Tedeschi a Nava all'età di 26 anni [...]
Redazione, Imperia: sabato prossimo, inaugurazione della nuova lapide ai Caduti della frazione di Oliveto, Sanremo news.it, 9 dicembre 2015

venerdì 28 maggio 2021

Arriviamo alle due nella valle di Inferno

Il Pizzo d'Ormea - Fonte: Wikipedia

Sascia (Ada Pilastri) racconta:

« Ultimi di novembre [1944]. La I Brigata è tornata da poco da Fontane [Frazione di Frabosa Soprana in provincia di Cuneo], dove si era spostata durante il rastrellamento di Upega. Il problema dei rifornimenti diventa sempre più difficile: saremo costretti a mandare una parte degli uomini a casa. Tentiamo un ultimo espediente: una spedizione con i muli nella zona di Fontane per poter raccogliere dei viveri. È una cosa quasi impossibile: ormai la neve è già alta in molti punti e, soprattutto, i passi più frequentati sono sotto controllo dei tedeschi, che occupano Ormea [(CN)], Nava [(IM)], Garessio [(CN)] e fanno puntate sui paesi vicini.

Infine si parte: si tenta la fortuna: un gruppo di dodici volontari e una decina di muli. Io scappo dal comando perchè non mi danno il permesso di andare e mi unisco a loro. Ho pensato che potrei essere utile e nei punti più pericolosi mettermi le gonne ed andare avanti di staffetta e poi... qualcuno ha detto che non resisterei a passare il Mongioie... e volevo provare ad ogni costo. Al “Passo della Guardia” ci dividiamo. Mulattieri e muli per lo stradone di San Bernardo di Mendatica. Io ed altri ci arrampichiamo per il “Passo di Garlenda” e scendiamo a Piaggia. C'è già parecchia neve. I muli si ricongiungono con noi a Falcone ove momentaneamente si trova il comando. Prima di entrare nell'abitato incontriamo un distaccamento di russi da Menini, un nostro eroico compagno ucciso in seguito dai nazisti. Tre russi armati vennero con noi. Andiamo avanti di pattuglia avanzata. Bisogna essere cauti e prudenti. I muli sono le nostre ultime risorse. Costeggiamo il Tanaro fino a Viozene [Frazione di Ormea (CN)]. La strada è lunga, nascosta dai noccioli, poco praticabile. Nei punti migliori ci facciamo portare sui muli. Il muletto bianco sul quale sono a cavalcioni è il più testardo di tutti; se c'è un sentiero sbagliato è il primo a prenderlo.
Ha cominciato a piovere, una pioggia sottile e gelida che batte sui nostri visi come punture di spilli. Andiamo per due ore sotto la pioggia che aumenta man mano che ci avviciniamo a Viozene. I miei sottili calzoni di tela si sono tutti appiccicati alle gambe. Sembro un pulcino uscito dal guscio; malgrado tutto, l'allegria non manca e dalla groppa dei muli ci salutiamo a gran voce con la vecchia espressione di “Bona nè!”.

A Viozene ci sono i partigiani di Martinengo [Eraldo Hanau]. Cerchiamo di mangiare qualcosa perchè in due giorni abbiamo assaggiato solo qualche mela, che è servita a provocarci un gran mal di stomaco. Sul far della notte partiremo. Ora comincia il bello: strade sconosciute, neve, freddo e buio. Bisogna assolutamente marciare di notte perchè sulla neve la nostre colonna non sfuggirà ai potenti binocoli tedeschi. Quelli di Martinengo ci sconsigliano di proseguire, ma noi tenteremo il tutto per tutto ed anche se ormai è impossibile fare il “Passo del Bocchino” cercheremo dall'altra parte, anche se sarà durissima... in fine, siamo garibaldini noi! “Pian del Fò”, “Fasce”: la gente è spaventata al nostro arrivo perchè i tre russi sono ancora vestiti alla tedesca. Ci vuole del mio meglio per rassicurarla e però nessuno vuol venire con noi a farci da guida. Infine troviamo due contadini che ci accompagneranno per un pezzo. Cominciamo ad inerpicarci per la ripida e sassosa salita che ci porterà sul Pizzo d'Ormea.

Il freddo si fa sentire e non poco, ed il buio intralcia il nostro cammino rendendolo più faticoso.

Arriviamo al Pizzo; qui ci accoglie la neve abbondante e farinosa. Non c'è pista: dobbiamo farla noi che avanziamo per primi, cercando con le nostre malconce scarpe di aprire un piccolo passaggio per i nostri piedi; il che è molto faticoso perchè avanzando su un fianco della montagna seguiamo una discesa a strapiombo. Più di un mulo ruzzola giù nella discesa. Per trattenerlo ci va tutta la forza e la volontà dei nostri tre compagni russi. Questi poveri muli partigiani sono degli eroi. Superano certi punti difficilissimi per noi, malgrado siano stremati, imbastati e senza i chiodi necessari per la neve e il ghiaccio. Infine la neve cessa un po'; saranno le tre di notte, laggiù nel basso c'è Ormea buia, silenziosa immersa nel sonno. Prendiamo una strada tortuosa, incastrata nella roccia.
Dopo molto camminare, arriviamo in un piccolo paese. In tre armati andiamo avanti perchè non si sa se troveremo degli “amici” poco desiderati . No, i tedeschi non sono stati ancora lì. Dormiamo per qualche ora perchè siamo sfiniti, ed al mattino di buon'ora ripartiamo tentando di superare il “Passo dei Termini”, uno dei tanti passi del Mongioie. Ad un certo punto ci fermiamo per chiodare i muli con gli appositi chiodi. Spira un vento diaccio che viene dalle gole più alte. Siamo tutti ghiacciati e le folate che ci investono sono così gelide da togliere il respiro. Prima di arrivare al Passo sostiamo per mangiare un pezzo di pane ed osservare degli apparecchi che passano sotto di noi. Al Passo ci sono più di tre metri di neve e la pista è appena accennata. Parte dei muli è a terra: il risollevarli è una fatica estenuante.

Penso che giungerò per prima a Fontane e potrò trovare degli aiuti da mandare quassù. Incomincio a scendere nella neve gelata. Non cammino, volo, cado, mi rialzo, faccio del mio meglio per arrivare presto. Ho un braccio che mi si sta congelando: neve, neve, neve, e così per un tempo che mi pare infinito. A tratti mi sento mancare e penso che questa discesa non finirà più. Per due volte mi fermo e scrivo il mio nome sulla neve così se altri giungeranno sapranno che sono passata da qui. La neve a poco a poco dirada ed incomincia il ghiaccio. Cado, mi alzo, ricado; così per due ore. Ho le mani tutte sanguinanti ed i calzoni a pezzi: ad ogni costo però devo arrivare; penso che se rimango qui con questo freddo, così poco coperta come sono mi congelerò certamente. Giungo finalmente a Leuta in uno stato pietoso; debbo assolutamente camminare con le mani di dietro per trattenere i brandelli dei calzoni che lasciano intravvedere qualche cosa! Attendo: dopo qualche ora uomini e muli arrivano. Quattro giorni di sosta e poi ripartiamo. Sarà un viaggio più lungo del precedente perchè dovremo prendere strade più praticabili dato che i muli sono carichi.

Da Fontane salimmo a Prà; di lì a Val Casotto. A Casotto arriviamo che è buio. Prendiamo la famosa strada 28 che porta a Garessio (CN). Bisogna essere cauti. In sette andiamo avanti marciando staccati l'uno dall'altro e ai lati della strada. Poi ancora neve e ghiaccio e luoghi selvaggi. Arriviamo alle due nella valle di Inferno. Fischia il vento, urla la bufera. È un luogo davvero infernale. Poche case sparpagliate, o meglio, capanne con tetti di paglia. Usi primitivi. Appena giorno ripartiamo. Facciamo la curva delle rocce. Vi sono punti pericolosissimi. I muli hanno preso la strada più in basso ed arriveranno molto dopo di noi. Ci fermiamo nei pressi di Ormea; di lì ispezionando lo stradone sottostante vediamo più di 600 nazisti in bicicletta che da Garessio si dirigono su Ormea. Bisogna partire il più presto possibile se non vogliamo sentir cantare la mitraglia. Sull'imbrunire andiamo avanti in quattro. Durante la notte perdiamo la strada più di una volta. Sempre marciando, notte e giorno, arriviamo sfiniti a Viozene; mezza giornata di sosta e ripartiamo. Siamo smaniosi di raggiungere i nostri. Chissà con quale gioia accoglieranno i rifornimenti!

Arriviamo a Piaggia [Frazione di Briga Alta (CN)] che i muli sono sfiniti.

Qualcuna delle povere bestie è caduta più di una volta per la stanchezza e fame. Al distaccamento prima di Piaggia abbiamo lasciato i nostri amici russi che tanto ci hanno aiutati. Siamo costretti a dormire a Piaggia. I muli non possono proseguire e gli uomini sono esausti.

Al mattino alle 6 siamo attaccati da più di 100 SS tedesche. Nel paese succede un inferno. Una sparatoria fitta di ta-pum e sputafuoco. Due dei nostri sono feriti e un terzo preso prigioniero.
Io mi salvo in una casa: striscio per terra e le raffiche non mi raggiungono. Faccio appena in tempo a gettare lo zaino sotto il mobile e togliermi i calzoni che nascondo sotto le fascine del focolare. La gente, avendo me in casa, trema di paura. Io sono disperata. Penso alla nostra roba perduta e ai due ragazzi feriti; degli altri non ne so più nulla.

Durante la notte i tedeschi partono per Upega portandosi il prigioniero che poi impiccheranno, lasciando i due feriti il cui stato è troppo grave. Nel frattempo cerco un carretto ed un mulo, carico i due feriti che porto a Mendatica. Appena giunti qui, ritornano i tedeschi che ci stanno cercando e noi dobbiamo rimanere due giorni nascosti in una chiesa diroccata fuori dall'abitato. I feriti soffrono molto. Ho potuto procurar loro un poco di paglia e un po' di cibo. Nessuno vuol saperne di noi, hanno tutti troppo paura escluso il Dott. Natta di Imperia che cura i feriti.
Per mezzo di barelle, con gli uomini della V^  Brigata “Ospedaletto da Campo”, si portano i feriti nella zona di Bregalla. Si riesce a trovare il gesso per l'ingessatura e i ragazzi furono salvati. Gli altri sbandati riuscirono dopo qualche tempo a fare ritorno.
E così ebbe termine la nostra avventura: marce, fatiche, sofferenze, l'insuccesso, la morte; vita da partigiano che, malgrado tutto, ho spesso rimpianto, come si rimpiangono le cose belle e magnifiche.  »

Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 181-184
 
È doveroso  ricordare le tante donne della Resistenza, protagoniste dell’interessante ricerca e raccolta di testimonianze di Gabriella Badano, affidate sia alla storiografia locale e a documenti reperiti presso l’ANPI, l’Istituto Storico della Resistenza  e i Comuni, oltre che alla narrazione di alcuni partigiani e delle donne della zona (“Ribelli per la libertà-Storie di donne della Resistenza nell’estremo Ponente ligure” e “In montagna libere come l’aria… le partigiane combattenti dell’estremo Ponente ligure”)
[...] “Sono sempre stata un tipo un po’ ribelle, mio padre è morto quando avevo sei anni, quindi non ho potuto avere un’eredità politica da lui, che pure era socialista, ma l’ho saputo dopo il 25 aprile. I miei genitori, soprattutto mia madre, erano severissimi, sono stata allevata in un ambiente ottocentesco. Ho frequentato l’Istituto Magistrale da Maria Ausiliatrice… cosa non abbiamo fatto passare alle suore! Nel mio ambiente c’erano molti tabù. Io ero abituata in una casa in cui non si poteva parlare di niente, ma certe cose mi venivano spontanee. Sentivo di dovermi ribellare.” (Sascia)
[...]
“Uscita di galera, in quei momenti in cui ognuno cercava di fare la forca all’altro per non rimetterci la pelle, trovarsi lì con loro, libera come l’aria, dopo che si è stati chiusi è una cosa bellissima.” (Sascia)
[...]
“La nostra vita era fatta di paura e di tragedia, ma avevamo anche momenti di scherzi… anche perché eravamo tutti ragazzi… Mi trattavano un po’ come la loro mascotte. Ho sempre dormito vicino ai ragazzi e non ho mai trovato nessuno che mi desse fastidio, mai sinceramente…” (Sascia)
maria, Le donne della Resistenza nel Ponente ligure, Skip Blog, 25 aprile 2017 

mercoledì 10 febbraio 2021

Riscontrai, ad ogni modo, nel Curto un uomo molto calmo

Pietrabruna (IM): Monte Follia. Foto: Bruno Calatroni di Vallecrosia (IM)

Dintorni immediati di Pietrabruna (IM)

Il Comando delle Brigate Nere ha una vasta rete di spionaggio che fornisce informazioni sui movimenti e sull'ubicazione delle formazioni partigiane.

Nel mese di giugno 1944 il predetto Comando ha a sua disposizione molte notizie sulla situazione numerica dei garibaldini e ne traccia un prospetto:

Dintorni di Triora (IM). Foto: Eraldo Bigi

[...] Zona di Triora e Molini di Triora
I gruppi che agiscono nella zona sono alle dipendenze del Comando dei ribelli che trovasi a Cima di Marta, forza degli stessi circa 3.000 uomini armati con moschetti, fucili mitragliatore, mitragliatrici, mortai da 45 e da 81. Nella zona suddetta i gruppi di ribelli sono sempre in movimento; infatti sono stati notati gruppi di ribelli della forza di circa 30 e 40 uomini a Carmo Gerbontina, a monte Pellegrino, a monte Gerbonte, nella frazione di Loreto, nella regione denominata «Brighetta», nella frazione di Realdo, nella frazione di Andagna. Sembra che nei baraccamenti militari siti su Colla Belenda vi sia un posto fisso di circa 50 ribelli armati. Notati posti di avvistamento ai chilometri 13, 15, 17 della strada Castelvittorio-Triora.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

Pagina 44 del Notiziario GNR del 4 giugno 1944 cit. infra. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti
 
Il 31 maggio u.s., alle ore 18, in Badalucco (Imperia), numerosi banditi armati, dotati di mitragliatrici pesanti, assalirono il locale distaccamento della G.N.R. I militi del presidio reagirono energicamente e tennero testa agli aggressori sino al sopraggiungere di una compagnia O.P. che dopo breve combattimento riuscì a volgere in fuga i malfattori. Da parte nostra tre feriti. Non ancora accertate le perdite dell'avversario. Riserva di ulteriori notizie.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 4 giugno 1944, pagina 44. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti
 
Zona di Badalucco - Montalto Ligure
Sembra che nella cosiddetta frazione «Tana di Beltrand» esista un rifugio di ribelli. Nuclei di ribelli armati sono stati visti aggirarsi nelle località Evria e Binelli (comune di Montalto Ligure), e in località Merea-Beltran-Banzan (comune di Badalucco).

Colline a levante di Castellaro (IM)

Zona di Pietrabruna e Castellaro
Esistono gruppi di sbandati armati; il numero è esiguo, non si conosce la dislocazione.

La Val Prino

Zona di Dolcedo e di Molini di Prelà
Esiste un gruppo di circa 400 ribelli armati nel bosco di monte Faudo, e gruppi di sbandati armati della forza di 10 e 15 uomini ciascuno che si aggirano per la campagna.
Carlo Rubaudo, Op. cit.


Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 24 giugno 1944, pagina 33. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

Fa seguito alla segnalazione inserita nel notiziario del 23 corrente circa l'esistenza di bande armate, della forza di circa 6000 elementi nel territorio della provincia di Imperia. Oltre alle formazioni di armati segnalati a nord di Vasia, Pianavia e Pantasina, operano 500 banditi suddivisi in reparti della forza oscillante fra i 50 e gli 80 uomini ciascuno dislocati sulle falde di quota 732 (S. Bernardo). Nella zona compresa  tra Villa Viani, Vestagno [Bestagno] e Lucinasco, e precisamente nel bosco detto "della Maddalena", sulle pendici meridionali di Monte Acquarone e sui due versanti di Monte Collabassa, trovasi un raggruppamento di oltre 300 banditi. Inoltre, sulle falde di Monte Albastino, in una casetta vicina alla villa di proprietà di Paolo AGNESI si è insediato il comando dei reparti che agiscono nella zona. Confermata la notizia che i banditi avrebbero intenzione di scendere nei prossimi giorni a Imperia per compiere atti di sabotaggio. L'azione verrebbe effettuata in concomitanza con operazioni di disturbo nelle valli di Dolcedo e in quella di Oneglia da parte di gruppi sparsi che ivi convergerebbero da diverse direzioni. Nella notte sul 16 corrente, in località Perina del comune di Imperia, alcuni banditi armati penetrarono nell'abitazione dell'aviere Felice CICCIONE, costringendo questi a seguirli. Il 17 corrente, alle ore 21,30, in Castellaro, numerosi banditi armati, dopo aver interrotta la linea telefonica e bloccate le strade di accesso dell'abitato, penetrarono negli uffici comunali, ove bruciarono le liste di leva e asportarono tutte le carte annonarie ivi esistenti. Successivamente obbligarono due agricoltori a consegnare loro, complessivamente, un vitello, due pecore e due muli e, dopo aver tagliato i capelli a certa Luisa BIACCHESI, nell'allontanarsi costrinsero il commissario del Fascio a seguirli. Nella notte sul 17 corrente, in Imperia, tre detenuti militari, narcotizzati i militi addetti al loro piantonamento, evadevano dall'ospedale civile di S. Giovanni dove erano ricoverati.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del 24 giugno 1944, pagine 33,34,35. Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

18 giugno 1944 - Il già menzionato Giuseppe Arduino di Prale, residente in Borgomaro, trovò in Prale un gruppo di 80 patrioti, comandati da due ufficiali genovesi. Con loro erano pure Renzo [n.d.r.: Renzo Merlino] e Cassia. Stanno tutti bene ed hanno il morale elevatissimo. Ad essi ha parlato delle mie ansie per le continue minacce del Santacroce e per la denuncia del Roba. Essi però gli hanno detto di essere già al corrente di tutto. Il Comune di Pieve [Pieve di Teco (IM)] amministrativamente è nel caos più completo. Il Commissario con la moglie sono fuggiti e il Segretario Comunale Valenzo si lascia vedere ìl meno possibile, sicché tutto è ridotto nelle mani della impiegata Sig.ra Brignacca, disgraziatamente sorda, ma ammirevole per il suo senso di abnegazione. Per quel che riguarda gli approvvigionamenti (che ormai tutto si riduce a questo), si è costituita una Commissione di volenterosi per la tutela di questo delicatissimo ramo, ma pare che il Prefetto non abbia ancora voluto riconoscerla. Come si vede qui da noi la tanto decantata repubblica ha degenerato presto in anarchia. Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994, p. 98

Zona di Vasia
Un gruppo di circa 30 ribelli armati trovasi nei casolari sparsi sul versante est di q. 732 nei pressi di Pianavia, e un gruppo di circa 20 ribelli pure armati a q. 889.
Zona di Carpasio - Borgomaro - Rezzo
Nel bosco di Rezzo trovansi oltre 400 ribelli armati. Ivi trovasi pure il loro Comando. Gruppi di ribelli della forza di circa 40 e 50 elementi (provenienti dalla zona suddetta) sono stati visti sostare a Montegrande, a Colla d'Oggia, al monte Albaspino, al passo di Carpasio, al monte Acquarone e al passo delle Ville...».
Dagli incompleti dati in possesso del nemico, seppur non tutti attendibili e molti indubbiamente inesatti, si può valutare la possibilità di lotta della nostra Resistenza in quel periodo in cui l'entusiasmo saliva alle stelle ed in ogni valle risuonavano le canzoni partigiane.
Sul finire del mese di giugno del 1944, avviene un cruento combattimento sostenuto dal 16° distaccamento, che potrebbe anche essere ricordato come «La prima e l'ultima battaglia»; la battaglia cioè di un distaccamento appena costituito che si batte con grande coraggio, infligge gravi perdite ai Tedeschi e subisce, a sua volta, un rastrellamento tanto feroce, e giorni di martirio da non poter più essere ricomposto. I bravi giovani superstiti passano, quindi, a far parte di altri reparti. Noi, invece, il combattimento lo intitoliamo al nome della località presso cui si verificò e diciamo: «La battaglia di Sella Carpe». 
Carlo Rubaudo, Op. cit.

Cesio (IM). Foto di Antonio Busso (su Flickr)

19 giugno 1944 - Il menzionato tenente Cassia è venuto a trovarmi in Muzio e, fra l'altro, mi ha fatto cenno dei vivaci contrasti fra lui, Colombo, Renzo e Martinengo, dello spirito d'indisciplina dei gregari. Mi narrò pure l'operazione da lui compiuta in Moglio, dove un gruppo di guastatori tedeschi, con armi, munizioni e cavalli, sono passati ai patrioti precisandomi che lui stesso ha condotto nella zona di Gazzo i nuovi gregari. Fra l'altro mi ha detto che sul Santacroce hanno messo un taglione di L. 10.000. È da questa mattina che divampa un'azione di guerriglia in Valle Impero. Da qui si odono le artiglierie e le raffiche di mitra. Sono le quattro pomeridiane, il frastuono è cessato e, siccome le popolazioni han già fatto l'abitudine a questi spettacoli, non si allontanarono nemmeno più dai paesi.
20 giugno 1944 - Nell'azione di ieri in Valle Impero i tedesco-fascisti hanno avuto la peggio perché i patrioti, ormai maestri in fatto di guerriglia, li hanno costretti a ripiegare verso Oneglia. L'azione si è svolta tutta sul saliente Gazzelli - Chiusanico - Torria - Cesio, da cui hanno anche sparato colpi di cannone su Caravonica con lievi danni ai fabbricati e con una sola perdita di un civile, che era fuori casa. Il liquorista Ranzini di Oneglia, ma dimorante a Villa Romana sulla Nazionale sotto Cesio, passò un brutto quarto d'ora perché i tedeschi volevano fucilarlo. In Cesio i tedeschi hanno letteralmente saccheggiato la casa del Dott. Natta sicché il dottore e la moglie, privi di ogni cosa e con miseri indumenti, son giunti in Vessalico, in stato veramente compassionevole. Stamane i patrioti hanno fatto una perquisizione in casa di Ciollu Batteria posta in via Piane, di proprietà della cognata di Giovani Fresia, titolare del Monopolio Sale e Tabacchi ed, infatti, vi trovarono un vero deposito di tabacco e sale che il titolare sottraeva ai consumatori, per vendere a borsa nera. Anche allo spaccio Demarchi fu trovato accantonato indebitamente mezzo q.le di sale, tolto naturalmente al consumatore.
21 giugno 1944 - Questa mattina in Muzio si nota un movimento inconsueto. Sono cinque giovanotti che, con schietto entusiasmo, partono per Nava, per unirsi a quei Patrioti. Partono già armati ed equipaggiati di tutto punto. È imminente una seconda partenza. L'entusiasmo di questi giovanotti è veramente confortevole. Speriamo che non sia fuoco di paglia. In Pieve tutti gli uffici son chiusi con una scritta «Chiuso fino a nuovo ordine» perciò la Pretura, l'Ufficio Registro, l'Agenzia imposte, la Posta e Telegrafi, il Municipio sono tutti sbarrati, e le autocorriere sono ferme. Pare di vivere in un completo abbandono ed isolamento.
22 giugno 1944 - I cinque muziesi, giunti a Nava, non solo furono accolti ma furono messi ben presto alla prova. Infatti, capeggiati dal Capo squadra Ferdinando Gandolfo, pure di Muzio, furono inviati per un'operazione da compiersi in giornata con l'impegno di tornare subito al Comando. Eseguirono alla perfezione la prova. Stamattina venti partigiani hanno invasa la casa canonica di Calderara, recandole qualche danno. La causa di tale fatto va ricercata nella vita avventurosa del Parroco che, da tempo, faceva contrabbando in grande stile, viaggiando carico di derrate sui treni e sulle corriere, senza che nessuno l'avesse mai molestato. I casi sono due: o tale sacerdote sfruttava l'abito indecorosamente, oppure viaggiava, come tanti, con la tessera repubblichina. Tanto nell'un caso come nell'altro, meritava castigo. Fortuna volle che in Canonica non vi si trovasse. Questo pomeriggio fu turbato dall'arrivo improvviso di un camioncino con cinque patrioti che, dal Dopolavoro, hanno portato via un vitello intero, macellato clandestinamente, e mezzo sacco di riso. Per il Delfino, proprietario del dopolavoro fu senza dubbio un danno gravissimo ma di tutto ciò è anche colpa sua perché, col suo contegno, lascia sospettare che penda un po' troppo per i Repubblichini.
Nino Barli, Op. cit., pp. 99-101

Vasia (IM). Fonte: Flickr

Alla fine di giugno del 1944 un rapporto redatto dall’U.P.I (Ufficio Politico Investigativo) di Imperia segnalava la presenza di 50 ribelli armati, che trovavano rifugio nei casolari sparsi nei pressi di Pianavia, Frazione del comune di Vasia (IM). Poco tempo prima della fine di luglio la Compagnia O.P. di Imperia programmava un rastrellamento nel comune di Vasia e a Montegrazie, Frazione del comune di Imperia. Prima di giungere a Vasia il capitano Ferraris divise la compagnia in varie squadre. Durante il rastrellamento vennero catturati due partigiani da una delle squadre: vennero in seguito fucilati per ordine del Ferraris (da dichiarazione resa in data 7/5/46 da Carlo Valfrè, già appartenente alla citata Compagnia O.P. di Imperia). Altri patrioti morirono in combattimento. I partigiani deceduti (si presume tutti il 25 luglio 1944) furono: Stefano Danini (Ferroviere), Salvatore Filippone (Mariella), Carmine Saffiotti (Carmé), Vincenzo Raho (Zappa), Igino Rainis (Lupo). Non è dato sapere chi dei cinque appartenenti al distaccamento "Antonio Terragno" della I^ Brigata furono i due fucilati e chi cadde in battaglia. Testimoni dei fatti riferiscono che Igino Rainis rimase ferito ad un ginocchio e che, per non cadere prigioniero del nemico, si tolse la vita.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020

[ n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), (a cura di) Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea… memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016 ]

Igino Rainis (Lupo). Nato a Treppo Carnico (UD) il 19 giugno 1926, operaio; appartenente al Distaccamento “Antonio Terragno” della I^ Brigata. Il 25 luglio 1944 i garibaldini Stefano Danini ed Igino Rainis con i compagni Salvatore Filippone, Vincenzo Raho e Carmine Saffiotti della IV^ Brigata sono diretti ad Imperia con il difficile compito di penetrare nei locali della Questura per impossessarsi di armi automatiche. Incappano in un rastrellamento nella zona di Vasia. “Lupo” è ferito ad un ginocchio e, per non cadere prigioniero del nemico, preferisce darsi la morte.
Ad Igino Rainis è intitolato un Distaccamento della Brigata “Nino Berio” - Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
Redazione, Arrivano i Partigiani, ANPI i resistenti, numero speciale 2011, ANPI Savona

Ormea (CN). Foto del 2012 di Paolo Brocchetti (su Flickr)

4 luglio 1944 - Entrammo finalmente nella nostra casa avita di Ormea, e qui ci trovammo bene. Da quel momento fu un continuo pellegrinaggio di patrioti in cerca di notizie e fu anche una ininterrotta attestazione di simpatia da parte di questa buona gente la quale si faceva premura di riferirmi sullo stato delle cose, e ciò per nostra normna opportuna.
5 luglio 1944 - Sopra un biroccio, e con un viaggio poco piacevole, ci raggiunsero in Ormea la mia cognata Angelina, unitamente alla persona di servizio Angela Milesi. In tal modo la famiglia si poté ricomporre al completo.
6 luglio 1944 - I patrioti non tralasciano di manifestarci le loro premure e continuano a darmi notizie su ciò che si sta svolgendo in Piemonte ed in Liguria.
7 luglio 1944 - Si presenta da me il Dott. Natta il quale è tutto pervaso da un senso di avversione ai vari sistemi che, secondo lui, contrastano con le direttive impartite ai patrioti dai Comitati di Liberazione. Mi parla di urti fra bande e bande, e diquesto suo concetto critico vuol farne relazione al Comandante Divisionale Curto [Nino Siccardi]. Infatti, verso le dieci, il Curto esce dalla Pasticceria Colombo e il Dott. Natta mi saluta e si accompagna con lui. Vedo che la discussione si fa assai animata, ma io per prudenza mi ritiro, lasciandoli alle loro reazioni assai plateali. Riscontrai, ad ogni modo, nel Curto un uomo molto calmo perché, mentre il Natta si accalorava nella sua esposizione, lui quasi impassibile pronunciava ben di rado poche parole. Ritornai sull'uscio e li vidi ancora presi dalla discussione sulla piazza dell'Olmo: ad essi però s'erano avvicinati altri patrioti.
8 luglio 1944 - Da questa data al 27 luglio successivo, si è trascorso in Ormea un periodo di autentica quiete. È vero che ogni tanto si restava un po' preoccupati per le notizie che giungevano, ora dal Piemonte ed ora dalla Liguria, di scontri o di movimenti di forze d'ogni specie, ma qui in Ormea continuava a sopravvivere un vero centro di patrioti indisturbati; e nulla degno di nota si è svolto in questo periodo.
27 luglio 1944 - Verso le cinque del pomeriggio il Capitano Bologna mi confida che, dal Colle dei Termini, sta scendendo su Ormea una forte colonna di tedeschi, per cui sarebbe prudente allontanarsi. Intesa la notizia, radunammo in famiglia tutto ciò che più ci premeva e, col carro a quattro ruote di Antonietto Sappa di Luigi, partimmo tutti per Bossi - sotto frazione di Bossieta - ove trovammo asilo presso la famiglia di Roberto Merigone. Ivi prendemmo dimora e fu provvidenziale questa nostra decisione, confrontandola con i bombardamenti e i mitragliamenti di cui fu in seguito bersagliato il piccolo centro di Ormea.
28 luglio 1944 - Ai Bossi, in questo gruppo di cinque o sei baite, costruite in mota sul nudo scoglio, ai piedi del Pizzo della Guardia in una morta gora perché incassata e chiusa fra i ripidissimi pendii del Rio Bossi, assistiamo ad un continuo movimento di patrioti che, alla spicciolata e a gruppi, passano e si eclissano nelle foreste che coprono le alture circostanti.
29 luglio 1944 - Anche questo misero raggruppamento di catapecchie ormai assume la sua importanza. Da Ormea salgono persone d'ogni età e d'ogni sesso. Giungono anche donne ansimanti e impaurite che gareggiano nel racconto della invasione tedesca.
30 luglio 1944 - In un vecchio e primitivo forno viene riacceso il fuoco, da molti anni spento, ed un fornaio di Ormea lo sfrutta cuocendo il pane a richiesta. Anche noi non tralasciamo di approfittare dell'occasione. Il fornaio di nome Pierin è un giovanotto di ottimo carattere il quale non nasconde il suo stato d'ansia, avendo anch'egli degli obblighi militari.
31 luglio 1944 - Gli sfollati aumentano di giorno in giorno e tutti i più reconditi tuguri o buchi sono sfruttati. Un po' di paglia ed una coperta per la notte è sufficiente per accontentare chi arriva e si ferma ben lieto, pur d'essere in compagnia di gente conosciuta, e lungi dal contatto tedesco.
Nino Barli, Op. cit., pp. 106,107

Valfrè Carlo: nato a Ventimiglia il 7 luglio 1921, milite della Compagnia OP di Imperia.
Interrogatorio di Valfrè Carlo del 7.5.1946: Dopo l’8 settembre rimasi per un po’ di tempo sbandato ma in seguito tornai a casa mia. Dopo un po’ di tempo ricevetti la cartolina precetto per essere inviato in Germania e poiché mi si disse che l’unico modo per evitare di essere inviato in Germania era di arruolarsi mi presentai alla sede della milizia di Imperia. Il 2 novembre 1943 entrai a far parte della GNR e assegnato alla Compagnia OP, comandata dal Tenente Ferraris. Fui avviato subito a Pieve di Teco ove prestavo servizio con i carabinieri e vi rimasi per circa un mese. Dopo detta data venni assegnato al Battaglione Italiani all’Estero, in un primo tempo a Sanremo ed in un secondo tempo ad Arma di Taggia. In questa località rimasi fino al marzo del 1944 quando ritornai alla Compagnia OP. Negli ultimi giorni di giugno [1944] o nei primi di luglio, unitamente alla compagnia, partimmo per un'azione di rastrellamento nei comuni di Vasia e Montegrazie. Prima di giungere a Vasia il Capitano Ferraris divise la compagnia in varie squadre. Durante il rastrellamento vennero catturati due partigiani da una delle squadre che vennero in seguito fucilati per ordine del Ferraris ma non posso precisare da chi in quanto la mia squadra si trovava più avanti. Verso la fine di luglio siamo partiti per un rastrellamento nel comune di Bestagno. Ivi giunti, dopo aver circondato il paese, il Capitano Ferraris diede ordine di svaligiare e bruciare una casa [...]
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019

Un nome, quello di Ferraris, temuto: dotato di coraggio e di capacità militari, anima di tanti rastrellamenti, l'ideatore della "controbanda", l'uccisore di Nino Berio (Tracalà) a Chiusavecchia. Egli si era guadagnato la fiducia delle S.S. Tedesche, tanto da essere da loro decorato con la croce di ferro di II^ classe, per la spietatezza delle sue azioni.   Attilio Mela, Aspettando aprile, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1998 

giovedì 26 novembre 2020

I partigiani se ne tornarono alla base di Ormea...

Illustrazione di Marisa Contestabile in Osvaldo Contestabile, Op. cit. infra

Ceva (CN): Stazione Ferroviaria. Fonte: Wikipedia

Alcuni giorni dopo dal Comando ci giunse l'ordine di trovarci alla stazione ferroviaria di Pievetta ben armati e con le mitragliatrici pesanti che avevamo in dotazione. L'azione da compiersi era un attacco alla città di Ceva.
Ciò ci sorprese non poco perché sapevamo che la località, essendo un centro logistico importante per il nemico, era ben presidiata. Quando giunse [20 luglio 1944] il treno da Ormea, sul quale era già la Volante, ci imbarcammo anche noi (complessivamente eravamo una ottantina di partigiani).
In questa occasione l'ilare "Raspin", il quale aveva già fatto in precedenza degli apprezzamenti sul modo di muoverci, di cui abbiamo fatto cenno, mi disse: «A Pievetta ci hanno portato con l'autocarro, a Ceva ci portano col treno, ma che partigiani siamo diventati? Speriamo che la prossima volta ci  portino in aereo».
Il discorso non poteva non essere accompagnato da una risata generale che distese la nostra tensione nervosa. Eravamo preoccupati per l'avventura cui andavamo incontro, ma non sapevamo che il nostro Comando ci mandava a Ceva in quanto informato che, da alcuni giorni, la città era sgombrata dai soldati nemici.
II treno si arrestò alla periferia di Ceva, dove fu piazzata una mitragliatrice pesante con la presenza di una decina di partigiani, pronti ad entrare in azione se fossero giunte forze nemiche da Savona o da Mondovì.
Quando il treno giunse alla stazione, scendemmo.
Un gruppo si recò in una grande caserma (che trovò vuota).
Invece alla stazione noi, più fortunati, trovammo in alcuni vagoni, riso, farina, grano ed altri generi alimentari, che provvedemmo a caricare su due camioncini, avviati poi verso la nostra zona di provenienza.
Perquisimmo i treni viaggiatori che in ore successive giunsero da Torino e da Savona, prendemmo prigionieri alcuni soldati fascisti e tedeschi, che, sbiancati in volto per lo stupore, non riuscivano a raccapezzarsi per quanto stava loro accadendo; alcuni viaggiatori, che mi sembravano "borsaneristi", approvavano la nostra azione, poiché a loro spesso veniva sottratta la merce durante questi viaggi.
Alcuni "borsaneristi" erano di Oneglia e ci riconobbero.
Chiesi a qualcuno di loro di informare i miei genitori che stavo bene.
Mia madre, credendo che io fossi di stanza a Ceva, pensò di venirmi a trovare.
La poveretta, giunta nella città alcuni giorni dopo i fatti che ho raccontato, incappò in un brutto bombardamento aereo e si salvò, col treno, perché la galleria, che serviva da rifugio, era a poca distanza dalla stazione.
Logicamente a Ceva non mi trovò e, non sapendo dove trovarmi, decise di ritornare a Oneglia delusa e amareggiata.
Ma non rinunciò mai a creare le condizioni per incontrarmi (come vedremo).
Mi fece gradite sorprese, anche se per due volte si imbattè in brutte situazioni.                                       Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998

 

Ceva (CN). Fonte: Wikipedia

La locomotiva sotto la tettoia della stazione di Ormea, lì come nuova, l'avevano già vista con tutti i comandi funzionanti; e non gli pareva giusto che non se ne servissero.
Per funzionare funzionava, niente da dire; bisognava soltanto trovare uno capace a manovrarla, per farla partire.
Uno che se ne capiva un po' di come trafficarci, lo trovarono subito più o meno disponibile e la mise in moto.
- Allora andiamo, che così ci arriviamo prima tutti insieme: non se lo credono mai più che ci arriviamo col macchinista -, risposero al Cion [Silvio Bonfante] che stava ad aspettare per la partenza.
Di ribelli sbrindellati e variopinti, ce n'erano aggrappati dappertutto su quella locomotiva in corsa, e bisognava vederli com'erano combinati; cantavano e sbandieravano come alla festa grande sulla fiera, con l'aria fresca della valle in poppa.
La sbarra di confine tra fascisti e partigiani per traverso sui binari, la trovarono dopo Bagnasco, quando il macchinista se ne accorse che ormai la vide in pezzi senza fermarsi, alé sempre avanti così: ma dalle due parti in fila lungo la ferrovia, intanto i borghesi si sbracciavano, che di là c'erano i tedeschi; perdio stessero attenti, e fermassero il treno; volevano dire di stare attenti e di fermarsi subito, perché più in là c'erano eccome, coi posti di blocco le pattuglie le mitraglie puntate e le sentinelle all'erta in postazione.
A Ceva invece, quando arrivarono nella stazione sono la pensilina con gli stantuffi ancora in moto, manco per l'antonia i tedeschi ci pensavano a una faccenda così balorda e poco militare.
Il fatto sta che se ne accorsero soltanto troppo tardi, quando sentirono le raffiche concentrate nelle saracinesche del posto di controllo per la truppa.
Sentirono anche lo stridio dei freni sulle rotaie, locomotiva in abbrivio per inerzia, gente in confusione a gridare dappertutto, chissà cosa succede.
Non era facile capire sotto la pensilina o tra i binari, cosa succedeva all'improvviso in quella gran confusione nella sparatoria garibaldina; cosa succedeva con quel treno che non c'era sul tabellone dell'orario, e quei ribelli vestiti a quel modo, tutti sbrindellati che lì non ne avevano mai visto; ma che adesso andavano svelti coi mitra tra i vagoni.
Non c'era tempo nemmeno per spiegarlo ai viaggiatori, alla gente del posto e ai trafficanti indaffarati tra sacchi di farina cereali e recipienti d'olio pei baratti.
La fucileria rompeva subito i contratti della borsa nera, ciascuno ritrovandosi così d'amblé, alla malparata; chissà come finirà con questi qui; capita poi che il treno da Savona, lì in sosta per caso, è carico soltanto di contrabbandieri; meno male pochi i tedeschi di scorta non ce la fanno a sparare subito, cosicché se ne stanno quieti tra i sedili e i malloppi di merce.
La spedizione finì poco dopo, col subitaneo svuotamento della stazione ferroviaria; ma senza risarcimenti per le confische agli accaparratori di passaggio.
I partigiani se ne tornarono alla base di Ormea con due autocarri carichi di tutto, dopo le ricerche svelte nelle case dei fascisti tra i vicoli del paese; se ne tornarono prima che sentissero dalle creste, da una parte e dall'altra, fuoco d'inferno distante tra le curve, col vento forte della valle. 
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 60, 63

domenica 15 novembre 2020

... 200 tedeschi in tutta la zona di Ormea

Diano Arentino (IM) - Fonte: Wikipedia
 
Il 10 gennaio 1945 una colonna numerosa di tedeschi rastrella le campagne alla ricerca del comando della I^ Brigata della Divisione "Silvio Bonfante". Non trovando partigiani i tedeschi sfogano la loro frustrazione per la mancanza di risultati raggiunti contro alcuni renitenti alla leva rastrellati in località Frassino di Diano Borganzo [Frazione del comune di Diano San Pietro (IM)]. Vengono passati per le armi, senza nessun processo (normalmente i tedeschi erano soliti fucilare seduta stante solamente coloro sorpresi con le armi, mentre gli altri venivano catturati e processati con verdetti che poteva andare dalla fucilazione alla deportazione in Germania oppure inviati ai lavori obbligatori presso la Todt) Ilario Risso (carabiniere fuggito dal proprio reparto), Ernani Ardissone, Giobatta Ardissone e il sessantaduenne Giobatta Risso. L’episodio viene raccontato da fratello di Ilario Risso, Ardito, che si salvò in modo rocambolesco. Secondo il suo racconto durante il rastrellamento furono uccisi anche due partigiani appartenenti alla banda di Stalin [Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano"], Giobatta Alampi  e Giuseppe Vebero.
Giorgio Caudano
[   Pubblicazioni di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016   ]
 
12 gennaio 1945 - Dal comando della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni", Sez. S.I.M. [Servizio Informazioni Militari], prot. n°261, al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Veniva  comunicato che tra Imperia e Sanremo vi erano 500 tedeschi pronti per un rastrellamento.

12 gennaio 1945 - Risposta del C.L.N. provinciale al manifesto del 10 gennaio del comando di piazza tedesco di Imperia: "... con quale diritto voi potete reclamare la disciplina, l'ordine ed il rispetto quando proprio voi avete ordinato ai vostri soldati di invadere abitazioni private... di distruggere ogni cosa?"

12 gennaio 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Si richiedevano fondi per i Distaccamenti che ne erano privi, comunicando che quanto a viveri la Brigata aveva in tutto solo 250 q.li di patate e 150 di castagne.

12 gennaio 1945 - In questo documento del comando della  Divisione "Silvio Bonfante" si fornivano ragguagli per un appuntamento alla Cappella di Sant'Antonino [probabilmente quella nel comune di Diano Arentino (IM)] per Pantera [Luigi Massabò, vice comandante della  Divisione "Silvio Bonfante"], Osvaldo [Osvaldo Contestabile, commissario mesi dopo della IV^ Brigata "Domenico Arnera"], Mancen [Massimo Gismondi, comandante della I^ Brigata "Silvano Belgrano"] e Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"]. Parola d'ordine: "Si va di qua ad Ortovero?". Risposta: "Si va a Campochiesa".

12 gennaio 1945 - Dal commissario della Divisione "Silvio Bonfante" Mario [Carlo De Lucis] al commissario Osvaldo - Invito, dati gli accordi presi con Simon [Carlo Farini, Ispettore Generale della I^ Zona Liguria], a stipendiare la vedova del garibaldino Polacco, morto nel 1944.

12 gennaio 1945 - Dal comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Relazione sulle azioni svolte a dicembre 1944.

13 gennaio 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Si richiedevano informazioni sulla missione anglo-americana catturata a Frabosa (CN).

14 gennaio 1945 - Da questo documento interno alla Divisione "Silvio Bonfante" si apprende che a Pieve di Teco (IM) il numero dei nemici variava da 180 a 200 unità; che in tutta la zona di Ormea (CN) vi erano 200 tedeschi; che erano segnalati i nomi di 3 presunte spie; che veniva comunicato il decesso del povero Mario Ponzoni [ Mario, appartenente alla III^ Brigata "Ettore Bacigalupo", fucilato l'11 gennaio 1945 a Pieve di Teco // Mario Ponzoni, in qualità di impiegato comunale, viene accusato dai tedeschi di stanza a Pieve di Teco di fornire carte annonarie e di identità ai partigiani. Dopo sommario processo, viene fucilato in località Prato Sartorio l'11 gennaio... Giorgio Caudano ]. 
 
16 gennaio 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/50, al comando della Divisione - Trasmetteva le informazioni avute da "Dario" [Ottavio Cepollini]  circa l'arresto dei fratelli "Giulio" e "Dek" e di altre 2 persone e segnalava che a Rezzo e a Mendatica si trovavano molti repubblichini. 

17 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" ai comandi delle Brigate dipendenti - Invito a mantenere i collegamenti. Comunicazione che a primavera sarebbero stati richiamati i garibaldini della riserva.
 
17 gennaio 1945 - Dal Comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Capo di Stato Maggiore Divisionale [Ramon, Raimondo Rosso] - Veniva richiesto il pattugliamento notturno delle strade di Vessalico (IM) ed Ortovero (SV).

17 gennaio 1945 - Dal Comando Operativo di sottozona a Simon [anche Manes, Carlo Farini, Ispettore Generale al Comando Operativo della I^ Zona Liguria, da febbraio 1945 vice comandante del Comando militare unificato ligure] - Disposizioni sul trasferimento alla II^ Divisione del comandante Antonio.

da documenti Isrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999
 
Cadono altri partigiani: "Una notte, dopo la prima decade di gennaio 1945" - ci racconta il garibaldino Sergio Ravizza - "come caposquadra, unitamente a quattro miei compagni, feci un turno di guardia presso una piccola cappelletta sita sulla mulattiera che, partendo da Badalucco, costeggiando la Madonna della Neve, portava a Ciabaudo (Valle Oxentina). Eravamo dotati di un mitra e di fucili. Nostro compito era quello di avvertire tempestivamente, in caso di rastrellamento, il nostro Distaccamento, distante da noi una ventina di minuti. La nostra posizione era buona in quanto la mulattiera, con buona visibilità, era controllabile per oltre duecento  metri. La notte trascorse tranquilla. Si era sentito qualche sporadico colpo verso Badalucco, niente di più. Il giorno dopo toccò a Marco Bianchi (Beretta) che, pur comandante, faceva normali turni di guardia come tutti noi, insieme a Enzo Magro, ex allievo ufficiale all'Accademia di Modena, ed a altri quattro compagni. Anche per loro la notte era trascorsa tranquilla, nonostante una nebbiolina che non permetteva buona visibilità. Mentre le stelle sbiadivano e nasceva un nuovo giorno, era terminato l'ultimo turno di guardia. I miei compagni riuniti tutti all'interno della cappelletta, stavano arrotolando le coperte per il rientro al Distaccamento. Ad un tratto udimmo un grido agghiacciante: "uscite fuori, arrendetevi". Il Bianchi, pur sorpreso, non perse la calma. Ordinò ai suoi uomini di buttarsi giù per il sentiero che portava al Distaccamento. Uscimmo tutti dall'angusta porta e venimmo a trovarci sotto un notevole volume di fuoco. "Beretta" uscì per ultimo per proteggere la ritirata con la sua arma automatica. Ad un tratto Enzo Magro, che lo precedeva, sentì che gridava: "Enzo, aiutami, mi hanno colpito". Questi, vincendo la paura (i nazifascisti erano a meno di cinquanta metri) un poco sulle spalle, un poco sorreggendolo, lo portò fino al Distaccamento. Grande confusione tra di noi. Quasi senza munizioni, ci rifugiammo lungo le faxe di ulivi o dietro qualche scheletrico cespuglio, con le nostre misere armi, in attesa del peggio. Il nemico non avanzò. Mi dissero poi che era proseguito per Ciabaudo, Vignai, verso Baiardo. "Beretta" era stato colpito da una pallottola che gli aveva attraversato il ventre. Forse un tempestivo intervento chirurgico gli avrebbe salvato la vita. Non fu possibile perché eravamo circondati da tutte le parti. "Beretta" morì il 14 gennaio a San Bernardo di Badalucco, dopo atroci sofferenze. Rimasi così scosso per quella impossibilità di salvare una vita che, quando fu seppellito, un nodo mi chiuse la gola e non fui capace di pronunciare una sola parola di cordoglio".
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Grafiche Amadeo, 2005, pp. 116,117