martedì 18 gennaio 2022

I partigiani, in Molini, bloccano tutte le strade e i bar

Una vista da Triora (IM), zona Cabotina, su Corte e Andagna, Frazioni del Comune di Molini di Triora - Fonte: Mapio.net

I tedeschi operavano periodiche e forti puntate verso l'interno della montagna.
Nel periodo [n.d.r.: fine aprile 1944] in cui la situazione nemica era quella sopra descritta, a «La Goletta» vi erano poco meno di trenta uomini.
Possedevano il seguente armamento: due mitragliatrici «Fiat»; un mitragliatore «OTCIS» (greco); una trentina di fucili; sessanta bombe a mano tedesche a lungo manico e una trentina di bombe a mano italiane; 5.000 colpi per mitragliatrici; 52 caricatori per mitragliatori; una media di quaranta colpi per ogni fucile; un mortaio da «45» con diverse casse di bombe per mortaio.
Il gruppo di Vittò [n.d.r.: "Ivano", Giuseppe Vittorio Guglielmo] disponeva pure dei forti di Marta, dove vi erano depositi di bombe e munizionamento vario: materiale il quale, però, poteva essere preso solo quando i tedeschi non andavano essi stessi nella detta località.
Come si può dedurre da quanto sopra esposto, le modeste forze partigiane erano circondate da tutte le parti da forze di gran lunga preponderanti.
Per i partigiani l'ordine e il programma erano: «Eliminare con ogni mezzo il nemico, catturare il suo materiale e le sue armi, e sparire senza lasciar traccia».
II giorno seguente a quello dell'arrivo di Erven [n.d.r.: Bruno Luppi] e di Marco [n.d.r.: Candido Queirolo] a «La Goletta», dietro suggerimento di Erven vengono date istruzioni circa l'uso e la manutenzione delle armi e per una nuova organizzazione del gruppo (nomi di battaglia e suddivisione in squadre).
La sera del giorno stesso, anzi già a notte fatta, viene compiuta una prima azione contro i carabinieri di Triora. Vi partecipano Vittò, Erven, Tento, Marco, e quasi tutti gli altri partigiani del gruppo (fra cui «Serpe» [n.d.r.: Isidoro Faraldi, in seguito comandante del 1° Distaccamento del II° battaglione "Marco Dino Rossi" della V^ Brigata], «Luciano», «Guido di Creppo» e «Guido di Cetta»).
In tutto sono circa una ventina; comandante del gruppo è Vittò.
I carabinieri, sorpresi nel sonno, vengono disarmati delle armi pesanti; si lasciano ad essi le pistole e le anni individuali.
I carabinieri sono lasciati nella caserma, con l'impegno, da parte loro, di lavorare alle dipendenze dei partigiani; il podestà di Triora viene ammonito, perché non proceda a requisizioni di bestiame o a dare esecuzione a ordini della repubblica fascista.
Alla sera il gruppo rientra a Cetta, dove i partigiani hanno il recapito presso la padrona dell'osteria, una donna chiamata «La Devota», che i partigiani, però, chiamavano «mamma», per l'aiuto che ne ricevevano (specialmente acquistavano da lei generi con tessere prese in azioni varie).
Molti sono i rischi che questa donna affrontò per aiutare i partigiani.
Si tenta poi un'azione contro gli uomini che sono di posto nelle casermette al Colle della Melosa. I partigiani, da una vedetta civile di Cetta, sono informati che circa 80 tedeschi percorrono la strada del Colle della Melosa, diretti verso la zona di Marta. Si portano sul posto, per assalirli; ma, valicata la cresta montana, si trovano a poca distanza dai tedeschi, su un pendio spoglio, battuto dai raggi lunari. Essendo impossibile la sorpresa, devono rinunciare all'azione, data l'enorme sproporzione di forze; e si ritirano incolumi.
A un certo punto, negli uomini di Vittò e di Tento vi è un momento di crisi, a causa delle difficili condizioni di vita. Alcuni, capeggiati dal partigiano Folgore, di 17 anni, genovese, vorrebbero trasferirsi in Piemonte, dove, a quanto si dice, la vita è meno scomoda. Ma uno solo va via, con un salvacondotto di Marco; gli altri si fermano, trattenuti anche da brevi parole di Erven, il quale fa capire come in Piemonte, per i partigiani, vi siano disagi e rischi non meno che in Liguria.
Il giorno stesso i partigiani si recano verso Realdo, per tentare una imboscata contro i tedeschi che, ingenere, salivano tutti i giorni al paese; ma quella volta, per caso, non salgono. I partigiani acquistano viveri in Realdo e in Gerbonte, e poi ritornano alle loro sedi.
Poco dopo, anzi il giorno successivo a quello della puntata in Realdo, i partigiani preparano un'azione contro la postazione «B8», situata sulla strada Andagna-Rezzo.
Alla «B8» vi sono undici uomini, di cui nove sono fascisti (militari dell'esercito di Salò) e due tedeschi. Intorno alla postazione vi è un campo minato, e vi sono cavalli di frisia.
L'azione avviene forse nei primi giorni del maggio 1944, o verso la fine di aprile. Vittò, Erven, Tento e Marco sono ancora tutti insieme.
In Molini «arruolano» Figaro. Entrano da un barbiere, per avere indicazioni. Il barbiere è Figaro (Vincenzo Orengo), che si aggrega ai partigiani, e se ne andrà insieme con loro. Figaro diventerà poi comandante del Battaglione «Mario Bini» (1° Battaglione della V Brigata).
I partigiani, in Molini, bloccano tutte le strade e i bar, per catturare i militari fascisti o tedeschi in libera uscita. Trovano solo un sergente della «B8». Da lui, Erven, Tento e Marco si fanno condurre alla «B8», mentre altri partigiani, rimasti in paese, prendono carte annonarie e materiale che i borghesi, dopo l'8 settembre, avevano sottratto alle caserme.
Quando i partigiani arrivano in prossimità della «B8», Folgore chiede di andare avanti agli altri. Va, tenendo due pistole puntate contro le spalle del sergente. Il sergente e Folgore arrivano a ridosso dei cavalli di frisia, ma non sentono l'alt della sentinella; entrano, mentre dietro a loro si precipitano anche gli altri partigiani. Trovano la sentinella addormentata, la disarmano, sfondano la porta, e catturano i restanti uomini della postazione. In tutto sono catturati 8 soldati repubblichini, più il sergente sorpreso in Molini, più due tedeschi.      
I partigiani, quindi, caricano il bottino di armi, munizioni, viveri e materiale da casermaggio su sei muli, appositamente requisiti in Andagna; poi portano il materiale e gli uomini a «La Goletta», dove arrivano in mattinata, essendo l'azione, comprese le marce, durata tutta la notte. «La Goletta», come si può capire anche da precedenti note, è una località a picco su Loreto.
Nella stessa giornata i partigiani decidono sulla sorte dei prigionieri; mancando vitto e altri mezzi, poiché i prigionieri non risultano responsabili di fatti gravi, vengono rimessi in libertà; ai tedeschi si dànno L. 100 a testa, e si lasciano andare; gli altri, quasi tutti studenti e quasi tutti lombardi, vengono vestiti con gli abiti laceri dei partigiani, i quali prendono quelli dei militari, vengono fomiti di carta di identità, e lasciati liberi, perché tornino alle loro famiglie.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 278-280
 
Nella notte sul 12 corrente, nel Comune di Triora, tre sbandati costringevano, sotto la minaccia delle armi, l'esercente della rivendita generi di monopolio Caprile Leonardo a consegnare loro tabacchi e cerini per l'importo di £. 1275, da essi rimborsato.
[...] Viene segnalato che gruppi di ribelli dai baraccamenti di "Cima Marta" e "Monte Grande" si sono spostati verso "Bregalla" e "Cetta", occupando case dei contadini della zona. Tali gruppi sarebbero comandati da un ex sergente maggiore, certo ZENTA [n.d.r.: Tento] Pietro, già appartenente alla G.A.F. del sottosettore di Triora.
[...] Fonte sicura segnala che preponderanti forze di ribelli, suddivise in bande di 30 uomini ciascuna, trovansi distaccate nella zona campestre tra Pigna, Cima Marta, Colle Ardente, Monte Saccarello - Molini di Triora. Il loro numero sarebbe di circa 2000. Sono armati di armi automatiche (mitragliatrici e fucili mitragliatori), di mortai da 45 e da 81, di mitra, di moschetti e di bombe a mano.
La dotazione di ogni banda sarebbe di una mitragliatrice con 1000 colpi, di due mortai da 45, con circa 50 granate e di un fucile mitragliatore con circa 1000 colpi. La dotazione individuale sarebbe di un fucile o moschetto con 5 o 6 caricatori e di tre bombe a mano.
In località Goina, in valle del Capriolo, frazione di Triora, si troverebbe una banda comandata da 3 ex ufficiali, che presidia le località di Verdeggia, Carneli e Realdo.
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Al Capo della Polizia - Maderno, 15 maggio 1945

lunedì 10 gennaio 2022

Oggi sul petto di chi passò l’inverno sui monti è appuntato un simbolico nastrino

Primo da sinistra Ivar Oddone, Kim, terzo Giuseppe Vittorio Guglielmo, Vittò/Ivano - Fonte: Annalisa Piubello, Op. cit. infra

Chi canterà le  gesta dell’armata errante, l'epopea dei laceri eroi, le imprese dell’esercito scalzo, chi canterà l’anno di gloria e sangue trascorso sui monti? Chi enumererà la schiera di quelli che non scesero, dei tanti morti lasciati lassù, con nello spento sguardo l’ultimo bagliore del combattimento o l'ultimo spasimo della tortura? Chi tramanderà la lunga storia di imboscate e guerriglie, di battaglie e sbandamenti, di raffiche e cespugli, di fughe e assalti? 

I primi morirono. Ma non fu vano il tuo sangue, Cascione, primo, più generoso e più valoroso di tutti i partigiani. Il tuo nome è ora leggendario, molti furono quelli che infiammati dal tuo esempio s'arruolarono sotto la tua bandiera. E pure morì sotto il martirio nazista l'animatore di una delle prime bande a Baiardo: Brunati, il partigiano poeta. E la trista Germania inghiottì Lina Meiffret, prima partigiana. 

S'approssimava la primavera. Verso Rezzo era salito un uomo alto e flemmatico dall’occhio allucinante e dal vestito trasandato: il Curto. Verso Langan vagava un uomo tarchiato e biondo, dallo sguardo azzurro e freddo, magnetico e impassibile. Vittò. Intorno a ognuno d’essi si ingrossò la schiera. 

Chi canterà la spensierata audacia degli inizi, in cui ogni azione era una beffa, ogni arma conquistata un trofeo? Langan, nome glorioso, vedesti ingrossarsi le schiere, urlare l’entusiasmo, salire e scendere i camion gremiti ad ogni nuova azione, tra canti e sventolare di bandiere nella gloriosa primavera. Chi canterà la battaglia di Carpenosa, di come trenta uomini fermarono quattro camion carichi di tedeschi, chi canterà come Erven si coprì di ferite e di gloria a Sella Carpe e sfuggì per miracolo la morte riverso in un cespuglio? Con Marco [n.d.r.: Candido Queirolo] a Triora e Vittò a Langan è incerta per i tedeschi la via dei monti. 

Poi venne, giorno infausto, il tre luglio. I tedeschi ebbero il sopravvento sulle bande, i paesi furono invasi e saccheggiati. Chi canterà la gloriosa popolazione di Castelvittorio, i vecchi cacciatori di cinghiali insorti alla difesa del loro paese, che resistettero con tanto valore? Sotto i colpi di mortaio tutto sembra che si sfasci: l’impassibile Vittò si passa una mano sulla fronte: è la fine? No, gli sbandati si ritirano intorno a Vittò, su Marta, e l’agosto rivedrà la Brigata ricostruita, più organizzata, più potente.

Marco cade in un’imboscata nella trista Baiardo, ma un nuovo capo si è fatto avanti, un ragazzo dal coraggio di leone, dal corpo tarchiato, dalle prominenti ganasce: è Gino. Il suo distaccamento quasi inerme agli inizi in meno di un mese è il più amato della Divisione. I vili bersaglieri - carne venduta - cominciano a temere il suo nome.

Le armate delle nazioni unite liberano intanto tutta la Francia, avanzano verso il nostro confine. È l’ora di discendere? Non ancora, bisogna mordere il freno, comincia il lungo periodo dell’attesa mentre i cannoni alleati rombano vicini, verso ovest. Si inoltrino le colonne tedesche verso Baiardo, ogni cespuglio nasconde un mitragliatore pronto a far fuoco, i morti cadono fitti a mordere la polvere: fu questa la più grande imboscata della nostra storia partigiana.

Badalucco è contesa tra i tedeschi ed Artù - nome che suona terribile alle orecchie nazi-fasciste - e paga con la distruzione il suo patriottismo. Gino gareggia in audacia coi suoi uomini. Figaro e il francese Pierre primeggiano: una divisa tedesca basta per portarli nel campo nemico a compiere le più audaci imprese.

Poi sopraggiungono giorni tristi. Pigna cade: l'occhialuto Fragola, il cervello strategico della brigata, vive dieci giorni digiuno e nudo in una grotta. Upega vede la morte gloriosa del più leggendario di tutti i partigiani, del cavaliere senza macchia e senza paura, dell’eroe di mille imprese le più audaci: il Cion. I Partigiani laceri e scalzi prendono la via del Piemonte, passano i valichi nevosi del Mongioia.

Il partigianesimo in Liguria è dunque stroncato? No, continua negli attentati ai fascisti per le vie cittadine. Ecco allora che avvampa il tuo generoso furore, indimenticabile Aldo Baggioli, eroe bello e spietato, e ti porta sfidando ogni pericolo a scaricare il tuo revolver nel petto dei traditori. Dietro a te Riccardo socchiude l'occhio mefistofelico: i fascisti hanno paura, sanno che a uno a uno cadranno sotto il tuo piombo giustiziere. Ma purtroppo presto sospireranno di sollievo sapendoti caduto crivellato dalle raffiche sul prato di San Romolo.

Intanto la divisione è tornata sui monti di Liguria: gli orrendi bersaglieri di Ceriana e di Baiardo se ne accorgono ben presto. Ma comincia l’inverno, il duro inverno partigiano: la neve è nemica della guerriglia. Ma gli uomini di Gino e di Figaro non si concedono riposo. I fascisti e i tedeschi di Molini pagano cara ogni loro sortita.

Oggi sul petto di chi passò l’inverno sui monti è appuntato un simbolico nastrino. Striscia rossa in campo bianco: sangue sulla neve. L'attesa primavera s'avvicina a poco a poco: è il momento dell’attacco? Potremo stanare dalla trista Baiardo i vili bersaglieri? No, il momento non è ancora giunto, occorre ritornare. Ma non ritornerai tu, Cardù [n.d.r.: Riccardo Vitali, caduto a Baiardo il 10 marzo 1945, commissario del Distaccamento mortaisti della V^ Brigata], caduto serenamente con la fronte al nemico per le vie del paese.

Ancora una volta i partigiani prendono la via del Piemonte, per armarsi, vestirsi, rinforzarsi questa volta: poi scenderanno e allora sarà un succedersi d'imboscate, di colpi, di sparatorie in tutte le valli e su tutte le strade contro i nazi-fascisti scoraggiati e disorientati. Ma gli eventi precipitano, siamo vicini alla meta. Fu proprio quando mancavano pochi giorni al traguardo, che ti presero e ti uccisero, ultimo dei caduti nostri, Tenore [n.d.r.: Gualtiero Zanderighi, caduto il 22 aprile 1945 a Poggio di Sanremo, della V^ Brigata]. E dovette essere triste morire in un mattino d'aprile, mentre nell'aria era un presagio della prossima vittoria.

Italo Calvino, Ricordo dei Partigiani vivi e morti, articolo apparso sul numero 13 de La voce della democrazia, Sanremo, martedì 1° maggio 1945
 
 
 
[...] nei giorni immediatamente successivi alla Liberazione il giovane sanremese [Italo Calvino] si era attivamente prodigato nell'opera celebrativa e propagandistica messa in campo dalle forze comuniste, attraverso alcuni scritti polemici e apologetici apparsi sugli organi della stampa locale, <13 e contribuendo all'allestimento di un volume collettaneo dal titolo quanto mai emblematico della volontà di testimoniare "a caldo" la drammaticità della lotta partigiana nell'imperiese: L'epopea dell'esercito scalzo. <14
Al terzo capitolo era stata affidata una lunga e dettagliata descrizione della «particolare configurazione geografica» e «fisico-demografica» del territorio, in relazione alla «peculiare posizione militare» - cruciale per la sua perifericità di frontiera - e come fattore determinante dell'«alta drammaticità» del conflitto, di cui restituiva un dato oggettivo il «numero altissimo di caduti» (una percentuale, tra partigiani e civili, tra le più alte «se non la più alta di tutta l'Italia»): un paesaggio «che è, nello stesso tempo, alpestre e marino» racchiuso in una «estensione limitata» di cui la «fascia marittima» - con la sua «caratteristica vegetazione mediterranea e sub tropicale» - occupa soltanto una «striscia di territorio» lungo la costa e cede subito il passo al paesaggio «alpino» (il 90% del territorio), con la disordinata altimetria dei rilievi coperti da fitte zone boschive nella loro progressione ulivi-pini-castagni. Una configurazione territoriale che, a causa anche della «deficenza notevolissima di ricchezza idrica», era sempre stata di ostacolo per lo sviluppo agricolo dell'interno, a fronte della particolare «agricoltura industriale» sviluppatasi a «fascie» lungo la costa, «dove la popolazione si addensa in una successione di cittadine ricche di giardini, di ville e d'alberghi», considerata anche l'assenza di un efficiente sistema di comunicazione tra la riviera e il suo entroterra (poche strade «soggette a interruzioni» e «frane», con ponti e ponticelli «facilmente ostruibili»). <15
Se da un lato il territorio, «per la sua struttura fisica», si era prestato benissimo alla «guerriglia», garantendo la possibilità di «attacchi improvvisi, di ritirate fulminee, di agguati e di resistenze su posizioni formidabili per natura», dall'altro lato aveva riservato «svantaggi altrettanto grandissimi»: la «povertà della regione» e la «mancanza di grossi centri industriali nelle immediate vicinanze» avevano reso difficili i rifornimenti in loco di viveri e armamenti, a fronte della «facilità, per un nemico ben attrezzato, di presidiare punti strategici determinati, controllanti i nodi stradali più importanti, in modo da impedire un contatto stretto e continuo fra le diverse bande di guerriglia operanti nella zona». Senza contare che la presenza di «centri minuscoli» aveva reso le attività cospirative ancora più rischiose di quanto non lo fossero già nelle grandi città, in quanto maggiormente presidiati dal nemico e, di conseguenza, sottoposti anche alla «continua offesa bellica alleata, sia navale che aerea».
E tuttavia il territorio era abitato da «gente forte e dura come le rocce delle sue montagne», gente che «conosce la gioia ed il tormento di un lavoro asperrimo, che è una lotta insonne contro la natura avara, e che dal lavoro ha tratto l'amore per la libertà». <16
Veniva dunque messa in risalto la stretta rete di condizionamenti reciproci che si erano venuti a creare tra quel particolare paesaggio (l'elemento fisico-geografico), la popolazione locale con il proprio «carattere» (l'elemento antropico-demografico), e la loro azione-reazione di fronte all'irruzione delle vicende successive all'8 settembre (il dato storico e politico-militare).
[NOTE]
13 Si tratta degli articoli Ricordo dei partigiani vivi e morti e Primo maggio vittorioso, pubblicati il 1° maggio 1945 su «La voce della democrazia», ed Epurazione, uscito lo stesso giorno sulle colonne de «La nostra lotta», organo della sezione sanremese del PCI. Di non certa attribuzione è invece l'articolo Ventimiglia apparso sull'organo della Divisione Felice Cascione «Il Garibaldino» (cfr. FERRUA, Opere giovanili di Italo Calvino, cit., pp. 56-57).
14 L'epopea dell'esercito scalzo, a cura di Mario Mascia, A.L.I.S., Sanremo, s.d., ma del 1945 (firmati dal giovane Calvino sono i capitoli su Castelvittorio paese delle nostre montagne, pp. 49-50 e Le battaglie del comandante Erven, pp. 235-244).
15 Ivi, pp. 27-32.
16 Ibidem.

Alessandro Ottaviani, «Qualcosa di gelosamente mio»: paesaggi della Resistenza nella narrativa di Italo Calvino, Academia.edu
 
Tuttavia non solo attraverso Pin l’autore [Italo Calvino] “si racconta” [n.d.r.: nel romanzo Il sentiero dei nidi di ragno]. Rileggiamo insieme il famoso capitolo IX, il capitolo “ideologico” tanto criticato <107, cui Calvino non ha voluto rinunciare. <108
Protagonisti di questo capitolo sono Kim, comissario politico, e Ferriera, comandante di brigata.
Benché Kim compaia solo in questo capitolo, l’importanza del personaggio è chiara fin da subito per il fatto che il romanzo è dedicato in primo luogo a lui. «A Kim, e a tutti gli altri», dice la dedica. Già da questo si comprende che c’è una verità storica di Kim, la quale tuttavia va decifrata nella sua complessità.
Vedremo come in Kim Calvino operi una fusione di tre persone distinte: in primo luogo se stesso, poi Nino Siccardi, nome di battaglia “u Curtu”, comandante della “Prima Zona Operativa Liguria” dai primi mesi del 1944, ed infine il commissario politico Ivar Oddone, nome di battaglia “Kimi”.
Asor Rosa è categorico nel dichiarare: «[Kim] trasparente travestimento dello stesso Calvino» (ASOR ROSA, A., 2009: 422), mentre Andrea Dini commenta: "Un protagonista forse difficile, per Calvino, da fermare sul foglio: e anche per questo per Kim il gioco delle identificazioni si fa molteplice. Kim è in prima istanza Calvino medesimo, visto che senza dubbio la ricerca di serenità del personaggio s’identifica con quella dell’autore del Sentiero; [...] Kim, infine, è il commissario partigiano Curto, che presta parte della propria fisionomia al personaggio e rivendica in tal modo una connessione. (DINI, A., 2007: 258)
Dini fa riferimento all’articolo firmato da Calvino, Ricordo di partigiani vivi e morti, pubblicato sul numero 13 de «La voce della democrazia» il 1º maggio 1945. Era appena finita la guerra e l’autore proseguiva “con altri mezzi” la lotta partigiana. C’è molta enfasi in questo scritto celebrativo, che però ci restituisce delle immagini importanti e insieme il clima del momento storico: "Chi canterà le gesta dell’armata errante, l’epopea dei laceri eroi, le imprese dell’esercito scalzo, chi canterà l’anno di gloria e sangue trascorso sui monti? [...] I primi morirono. Ma non fu vano il tuo sangue, Cascione, primo, piú generoso e piú valoroso di tutti i partigiani. Il tuo nome è ora leggendario, molti furono quelli che infiammati dal tuo esempio s’arruolarono sotto la tua bandiera. <109 [...] S’approssimava la primavera. Verso Rezzo era salito un uomo alto e flemmatico dall’occhio allucinante e dal vestito trasandato: il Curto. Verso Langan vagava un uomo tarchiato e biondo, dallo sguardo azzurro e freddo, magnetico e impassibile. Vittò. Intorno a ognuno d’essi si ingrossò la schiera". (CALVINO, I., 1945)
Trascuriamo per il momento la descrizione di Vittò che, come vedremo, nel Sentiero corrisponde al personaggio Ferriera e confrontiamo la descrizione del Curto, riportata sopra, e del Kim del Sentiero: «Kim è allampanato <110, con una lunga faccia rossiccia, e si mordicchia i baffi. [...] non è simpatico agli uomini perché li guarda sempre fissi negli occhi <111 come volesse scoprire la nascita dei loro pensieri». (CALVINO, 1991: 99)
Dunque i tratti fisiognomici di Kim sono effettivamente mutuati da quelli di Nino Siccardi <112, “u Curtu”, ma se dobbiamo invece stare a quanto scrive Ferrua, Kim è Ivar Oddone <113, “Kimi” <114, commissario politico della IV Brigata che a fine dicembre del 1944 diventa commissario della II Divisione Garibaldi «Felice Cascione» dove milita Calvino in questa fase:«S’è sovente pensato che Kim fosse l’autore camuffato, il porta bandiera dell’autore. Questi invece si cela dietro il personaggio di Pin e le idee di Kim son tanto di Calvino, quanto sono di Oddone, ovvero una somma di posizioni rispettive». (FERRUA, cit.: 169)
Ferrua dà credito a Calvino che nella Prefazione del ’64 parla del suo amico medico e ammette solo la comunanza ideale messa in evidenza anche da Ferrua, mentre rifiuta ogni identificazione con il personaggio, benché, come vedremo, con scarso successo.
Leggiamo un passo della Prefazione: "[...] nelle mie preoccupazioni di allora [c’era la] definizione di cos’era stata la guerra partigiana. Con un mio amico e coetaneo, che ora fa il medico, e allora era studente come me, passavamo le sere a discutere. Per entrambi la Resistenza era stata l’esperienza fondamentale [...] Il mio amico era un argomentatore analitico, freddo, sarcastico verso ogni cosa che non fosse un fatto; l’unico personaggio intellettuale di questo libro, il commissario Kim, voleva essere un suo ritratto; e qualcosa delle nostre discussioni d’allora, nella problematica del perché combattevano quegli uomini senza divisa né bandiera, dev’essere rimasta nelle mie pagine, nei dialoghi di Kim col comandante di brigata e nei suoi soliloqui". (CALVINO, 1991:1197)
In realtà in Kim c’è molto di Calvino stesso: «[...] la sua mente s’affolla di interrogativi irrisolti». (Ibid., 99) Tali interrogativi riguardano, sì, le ragioni della guerra, il perché si combatte da una parte o dall’altra, che senso abbia formare un distaccamento come quello del Dritto, insomma tutto quanto viene discusso con il comandante Ferriera - ciò di cui parleremo analizzando il personaggio di Ferriera stesso - ma gli interrogativi di Kim non sono solo politici, sono soprattutto esistenziali e sono gli stessi dell’autore, così come Kim finisce con assomigliare un po’ anche a Pin: "Kim cammina solo per i sentieri [...] I tronchi nel buio hanno strane forme umane. L’uomo porta dentro di sé le sue paure bambine per tutta la vita. «Forse, - pensa Kim, - se non fossi commissario di brigata avrei paura. Arrivare a non aver piú paura, questa è la meta ultima dell’uomo». Kim è logico [...], ma quando ragiona andando da solo per i sentieri, le cose ritornano misteriose e magiche <115, la vita degli uomini piena di miracoli. Abbiamo ancora la testa piena di miracoli e di magie, pensa Kim. Ogni tanto gli sembra di camminare in un mondo di simboli <116, come il piccolo Kim in mezzo all’India, nel libro di Kipling tante volte riletto da ragazzo. «Kim...Kim...Chi è Kim?...». (Ibid., 108).
Ritorna il senso del magico e del misterioso, che è anche di Pin; ritorna il simbolismo allucinato di Angoscia in caserma e l’interrogativo fondamentale: «Chi è Kim?», l’interrogativo sull’identità, l’interrogativo su di sé: "Perché lui cammina quella notte per la montagna, prepara una battaglia, ha ragione di vite e di morti, dopo la sua melanconica infanzia di bambino ricco, dopo la sua scialba adolescenza di ragazzo timido? [...] i suoi pensieri sono logici [...] Ma non è un uomo sereno. <117 Sereni erano i suoi padri, i grandi padri borghesi che creavano la ricchezza. Sereni sono i proletari che sanno quello che vogliono, i contadini che ora vegliano di sentinella ai loro paesi, sereni sono i sovietici che hanno deciso tutto [...] Sarà mai sereno, lui, Kim? <118 Forse un giorno si arriverà ad essere tutti sereni, e non capiremo piú tante cose perché capiremo tutto»". (Ibid., 108)
Anche Kim manifesta quella «rischiosa aspirazione di serenità» che per Pin consisteva nella speranza di trovare «il grande amico». La lettera a Scalfari già citata fornisce una chiave interpretativa fondamentale per intendere quel tanto di Bildungsroman che c’è nel Sentiero, in quanto ricerca e percorso individuale di guarigione da quella «ferita segreta per riscattare la quale combattiamo». (Ibid., 109)
Dovrebbe a questo punto essere chiara l’operazione di fusione tra le tre persone. Se i tratti fisiognomici di Kim sono mutuati da “u Curtu”-Siccardi e il ruolo politico-militare-ideologico da “Kimi”-Oddone, per il resto è lo stesso autore che si racconta, con le sue inquietudini, i suoi dubbi, le sue speranze, il suo passato.
Cosí come dovrebbe essere chiaro che Calvino è sia in Pin che in Kim, con una sorta di sdoppiamento che permette alle diverse parti dell’autore di raccontarsi. <119
Di piú semplice decifrazione ma non meno importante e autobiografica è l’altra figura del capitolo IX: il comandante Ferriera. È lui l’interlocutore di Kim nella discussione sulle ragioni della guerra e le valutazioni sul distaccamento del Dritto. Ferriera è una figura storica. In Ricordo di partigiani vivi e morti Calvino parlava di «un uomo tarchiato e biondo, dallo sguardo azzurro e freddo, magnetico e impassibile. Vittò». Nel Sentiero «Ferriera è tarchiato [...] ha due grandi occhi chiari e freddi che alza sempre a mezzo guardando di sottecchi». (Ibid., 99)
Il personaggio del romanzo riproduce fedelmente i tratti del Comandante Vittò <120 che nel dicembre del 1944 assume il comando della II Divisione d'assalto Garibaldi «Felice Cascione», nella I zona Liguria, dove combatte anche Calvino.
Di Ferriera Calvino mette in evidenza l’origine proletaria, le certezze ideali, l’efficacia militare: "Ferriera è un operaio nato in montagna, sempre freddo e limpido: sta a sentire tutti con un lieve sorriso d’assenso e intanto ha già deciso per conto suo [...] La guerra partigiana è una cosa esatta, perfetta per lui come una macchina, è l’aspirazione rivoluzionaria maturatagli nelle officine, portata sullo scenario delle montagne, conosciute palmo a palmo, dove può giocare d’ardire e d’astuzia". (Ibid., 99)
Con Kim Ferriera discute sul distaccamento del Dritto e che senso abbia la decisione di Kim di mettere insieme un gruppo tanto poco affidabile di uomini. Uomini che non hanno coscienza di classe, che non sanno bene perché combattono, ma che hanno - dice Kim - in comune con gli altri, tutti gli altri, anche i fascisti- «un furore», un elementare bisogno di riscatto umano.
La discussione serve a Calvino per chiarire i presupposti ideologici che stanno alla base della sua scelta di campo.
[NOTE]
107 A cominciare da Pavese, il quale nella lettura editoriale per Einaudi scrive: "Grande stonatura il capitolo del commissario Kim che ragiona sul distaccamento di carogne dov’è il ragazzo. Si rompe l’angolo di visuale del ragazzo, e quello di Kim non è ingranato nell’avventura, è un’esigenza intellettualistica". (CALVINO, 1991: 1243)
108 Sempre nella Prefazione del ’64 Calvino spiega: "Per soddisfare la necessità dell’innesto ideologico, io ricorsi all’espediente di concentrare le riflessioni teoriche in un capitolo che si distacca dal tono degli altri, il IX, quello delle riflessioni del commissario Kim, quasi una prefazione inserita in mezzo al romanzo. Espediente che tutti i miei primissimi lettori criticarono, consigliandomi un taglio netto del capitolo; io, pur comprendendo che l’omogeneità del libro ne soffriva [...], tenni duro: il libro era nato cosí, con quel tanto di composito e di spurio". (Ibid., 1189)
109 Non si dimentichi che l’autore chiese l’iscrizione al PCI quando seppe della morte di Felice Cascione, medico e partigiano, nonché autore nel 1943 del testo di «Fischia il vento», famosa canzone partigiana sulla musica di quella popolare russa «Katjusha».
110 Il corsivo è nostro.
111 Il corsivo è nostro.
112 Nino Siccardi, nato a Porto Maurizio (Imperia) il 25 febbraio 1902, era un macchinista navale. Giovanissimo socialista, era passato al Partito Comunista e per la sua attività di antifascista aveva dovuto riparare in Francia. Tornato in Italia nel 1936, sarà tra i primi organizzatori dei GAP di Imperia. Quando si costituiscono le prime Brigate Garibaldi, è "u Curtu" (il nome di battaglia era ironicamente in contrapposizione con la sua statura) e comanda la IX Brigata d'Assalto. Diventerà il comandante della Prima Zona partigiana Liguria. Dopo la guerra continuerà il suo impegno politico nel PCI e nell’ANPI.
113 Ivar Oddone, nato a Imperia il 26 ottobre 1923, era ancora studente in medicina quando, dopo l'8 settembre 1943, era entrato nelle file della Resistenza ligure. Per le sue doti di combattente e di organizzatore divenne, come dicevamo, commissario politico della II Divisione "Felice Cascione" e, successivamente, dell'intero gruppo di divisioni che operavano nella provincia di Imperia. Dopo la Liberazione, Ivar Oddone riprese gli studi, si laureò brillantemente e si dedicò agli studi di medicina del lavoro.
114 Interessante l’annotazione di Ferrua: «[...] la verità letteraria di Calvino con Kim supera la verità storica. Infatti, il partigiano si è scelto il nomignolo di Kim leggendo le vicende del ragazzo indiano creato da Ruyard Kipling. Ma questo nome di battaglia rassomigliava troppo all’abbreviazione di chilometro e risultava ostico a tutti in montagna, venne perciò corretto, diventando Kimi in tutti i documenti ufficiali».
(FERRUA, 1991: 168)
115 Il corsivo è nostro.
116 Il corsivo è nostro.
117 Il corsivo è nostro.
118 Il corsivo è nostro.
119 Domenico Scarpa sostiene: «Pin, bambino precocemente invecchiato, e Kim, ragazzo precocemente maturo, sono le due opposte figure nelle quali l’autore del Sentiero si specchia e si sdoppia. [...] Ha notato Claudio Milanini che Pin e Kim non si incontrano mai. Forse non potevano incontrarsi: il loro incontro avviene fuori dal romanzo, nella persona che lo scrive, ed era la condizione necessaria perché fosse scritto: 'Il sentiero dei nidi di ragno è anche un’autobiografia implicita trasposta'» (SCARPA, D., 1999: 222)
120 Guglielmo Giuseppe Vittorio (comandante Vittò) nasce a Sanremo il 2 febbraio del 1916. Emigra giovanissimo in Francia per lavoro e, avendo già una radicata coscienza antifascista, si arruola nelle Brigate internazionali e combatte nella guerra di Spagna. Dopo la sconfitta della Repubblica, ripara in Francia attraverso i Pirenei. Internato in campo di concentramento, viene rimpatriato nel 1940. Condannato per renitenza alla leva, viene inviato sul fronte greco-albanese e successivamente a Creta. Rientrato in licenza nel ’43, salirà in montagna all'indomani dell'8 settembre dove, forte di un’esperienza di otto anni di guerra, organizzerà i primi partigiani. Il 25 Aprile 1945, al comando di circa 2000 uomini occupa Ventimiglia, Sanremo, Bordighera, Taggia e porto Maurizio. E' stato insignito di Medaglia d'Argento al V.M.

Annalisa Piubello, Calvino racconta Calvino: l'autobiografismo nella narrativa realistica del primo periodo, Tesi di dottorato, Universidad Complutense de Madrid, 2016

venerdì 31 dicembre 2021

Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" di Albenga al comando partigiano...

Albenga (IM) negli anni 1940

Nonostante gli indiscutibili miglioramenti, Luigi Longo “Gallo”, comandante generale delle Brigate Garibaldi, giunto a Savona ai primi di luglio 1944 per visionare la situazione del Ponente ligure, non poté fare a meno di notare come il movimento garibaldino nel Savonese fosse tuttora meno sviluppato rispetto a quello della Prima Zona (Imperia ed Albenga); con tutto ciò, chiari sintomi di disgregazione dell’apparato poliziesco della RSI si avvertivano ora anche a Savona, e bisognava approfittarne senza remore. [...] Vi era poi un’altra questione sulla quale il CLN regionale ritenne suo dovere soffermarsi. Si trattava di certi contrasti tra i CLN di Albenga e di Savona determinati dal tardivo interessamento di quest’ultimo organismo per la parte occidentale della provincia. Preso atto dell’intensa attività degli albenganesi, che fin dagli inizi della guerra civile erano legati ad Imperia a causa della anomala struttura delle federazioni del PCI clandestino, il CLN regionale diede piena sanzione alla loro indipendenza operativa da Savona, invitando tuttavia a stringere contatti più stretti tra i due comitati e dando indicazioni sulle ripartizione delle cariche provinciali a guerra finita. La questione fu appianata in poche settimane <156.
156 (a cura di) INSMLI, Resistenza e ricostruzione in Liguria. Verbali del CLN ligure 1944/46, Milano, Feltrinelli, 1981
Stefano d’Adamo, "Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45)", Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000

D: Vi sono mai state intromissioni del PCI (…) giudicate pesanti (…)?
R: No, non arrivavano mica. (…). Eravamo una brigata di periferia, più a ovest di questa zona, confinavamo con la Prima Zona Liguria, che era delimitata dalla strada Albenga - Garessio. Più in là non siamo mai andati. [Segue una breve conversazione relativa ad un equivoco sulla data di costituzione del “Torcello”, che è ottobre 1944 e non luglio].
[...] D: (…). Come mai è stato costretto ad inquadrarsi nei garibaldini? (…)
R: Lui [Marzola] non era inquadrato con nessuno. Non potevamo lasciare della gente che agisse per conto proprio. Avevamo un’organizzazione che doveva rendere conto; i distaccamenti rendevano conto alla brigata. Le nostre pattuglie rendevano conto al distaccamento. E uno che girava per conto suo armato, belìn, noialtri lo facevamo fuori se ci capitava tra le mani. Nell’Imperiese i tedeschi e i fascisti mandavano su della gente vestita da partigiani, addirittura con il fazzoletto rosso, che domandava dei partigiani… (…). Però quando i partigiani si sono resi conto, venivano su con tanto di “papiro” firmato dal CLN e li facevano fuori! Non interrogavano mica. Avevano ragione, perché avevano subito un sacco di perdite. E quello era un cane sciolto…
Intervista con Enrico De Vincenzi in Stefano d’Adamo, Op. cit. 

La Prima Divisione d’Assalto Garibaldi “Gin Bevilacqua”, inizialmente forte di circa 500 uomini, nacque ufficialmente il 30 gennaio 1945, con “Enrico” per comandante e “Vela“ (Pierino Molinari) per commissario politico; il Comando si appoggiava momentaneamente al distaccamento “Maccari”, ma avrebbe sempre mantenuto la sua base alle Tagliate.
Stefano d’Adamo, Op. cit.
 

15 febbraio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Silvio Torcello" della III^ Brigata Garibaldi "Libero Briganti" della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che 6 ex appartenenti alla Brigata scrivente, fuggiti a dicembre dopo il rastrellamento nemico, razziavano, continuando ad autodefinirsi garibaldini, civili, per cui, siccome "da ottime segnalazioni" risultava che i 6 si aggirassero nella zona della Bonfante, si chiedeva di arrestare quei 6, "Maciste", "Salvatore", "Cancarin", "Morello", "Brindisi", "Pianta", e di trasferirli nelle mani della "Briganti". 

8 marzo 1945 - Dal CLN del Ponente Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria al CLN di Savona e p.c. al CLN di Albenga - "Genova, 8 marzo 1945  - Il Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria, preso atto dell'esposto presentato dal CLN di Albenga, dal quale risulta la notevole attività compiuta dal Comitato stesso, in condizioni di completo isolamento rispetto ai Comitati territorialmente superiori, e nel quale sono esposte lamentele circa il funzionamento del CLN di Savona a proposito dei suoi rapporti con la provincia e, in particolare con la zona occidentale di essa, fa presente a codesto Comitato: Il Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria approva e dà sanzione alla delega di poteri che per il periodo cospirativo il CLN di Savona ha concesso al CLN circondariale di Albenga. Il Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria ritiene assolutamente necessario che i contatti fra il Comitato di Albenga e quello di Savona siano costanti e frequenti. Altresì ritiene che a liberazione avvenuta il CLN provinciale tenga presente che siano rappresentati nelle cariche, ed in qualsiasi altro organismo che esprime la volontà antifascista della provincia, il CLN  di Albenga e gli interessi dell'antico circondario di Albenga, che si è acquisito particolari meriti in questi duri momenti della Lotta di Liberazione. Il CLN per la Liguria"

8 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 8, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Trasmetteva le informazioni ricevute il 6 marzo dal Distaccamento "Torcello" della II^ Zona Operativa Liguria.

8 marzo 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" al capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che era stato dato incarico a 2 garibaldini di ritirare gelatina ed esplosivo 808 inglese presso il Distaccamento "Torcello" [della II^ Zona Operativa Liguria]; che era fallita la missione per catturare la spia "Pipetta"; che era, invece, stata catturata ad Ortovero una donna sospettata di essere una spia, forse anche responsabile dell'arresto di "Tito".

21 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 224, al comando della III^ Brigata "Libero Briganti" della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] e al comando del Distaccamento "Torcello" - Ringraziava per una fornitura di munizioni.

30 marzo 1945 - Dal comando della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della II^ Divisione "Felice Cascione" - Chiedeva informazioni sui movimenti nemici alla frontiera italo-francese [linea del fronte] dovendo inviare segnalazioni urgenti del proprio SIM alla missione alleata in Piemonte.

1 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 123 bis, al comando della VI^ Divisione ed al CLN di Alassio (SV) - Segnalava che il comando del Fascio Repubblicano era in possesso di un elenco di partigiani, consegnato dal maresciallo Gargano alle autorità repubblichine di P.S. e poi al Fascio e forniva i 29 nomi dei mentovati partigiani perché il CLN potesse avvertirli.

8 aprile 1945 - Da "Dario" [Ottavio Cepollini] alla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che stava indagando sul parroco di Pogli [Frazione di Ortovero (SV)] e sul podestà di Vendone (SV); che "Pipetta" era già stato nascosto dai tedeschi; che il 7 aprile i nazisti avevano requisito animali da traino per il trasporto di materiale bellico dai fortini alla stazione di Albenga; che si erano presi accordi con 7 militari della GNR di Albenga per il loro passaggio alle formazioni partigiane di montagna a condizione di portare 1 mitragliatore, 2 mitra, 4 fucili ed una cassa di munizioni...

10 aprile 1945 - Dalla I^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Gin Bevilacqua" [della II^ Zona Operativa Liguria] ai comandi della II^ Divisione "Felice Cascione" e della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"  Segnalava che un informatore repubblichino aveva dichiarato che i soldati di Salò dei reparti di Imperia, Albenga, Savona, Cadibona avevano ricevuto l'ordine di compiere un rastrellamento per aprirsi una strada in vista di un possibile sganciamento dalla riviera di ponente.

11 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Silvio Torcello" della III^ Brigata "Libero Briganti" [II^ Zona Operativa Liguria] al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava la necessità di un bombardamento in una località a 7 km. da Finale Ligure (SV), in cui erano dislocati circa 1.000 uomini ben equipaggiati, anche di armi pesanti, che in quella zona la popolazione appoggiava in gran parte la repubblica sociale e che le forze nemiche che presidiavano Bardineto (SV) e Calizzano (IM) [in Val Bormida] da alcuni giorni avevano abbandonato quei paesi.

13 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" [di Albenga (SV)] al Rappresentante [Robert Bentley, capitano del SOE britannico, ufficiale di collegamento alleato con i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria] dell'Alto Comando Alleato ed al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava che come da accordi presi iniziava il servizio informazioni; che i tedeschi avevano asportato dal forte di Zuccarello tutte le munizioni; che facevano la stessa operazione dai magazzini situati nei pressi di Albenga; che l'11 aprile era transitato "da est ad ovest un camion con rimorchio carico di 70 fusti pieni di benzina"; che nella galleria tra Ceriale e Borghetto vi era un treno blindato, armato con 4 pezzi da 120 e con 2 mitragliatrici da 20 mm; che il nemico aveva intensificato la sorveglianza nelle valli vicine ad Albenga sino ad istituire un nuovo posto di blocco sulla strada Arnasco-Albenga-Coasco [Frazione di Villanova d'Albenga (SV)].

15 aprile 1945 - Da un'informatrice alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che il podestà di Stellanello (SV) era amico del commissario repubblichino di polizia Piccheddu di Alassio e che del dottor Massone, tornato a casa, non si sapeva se si sarebbe fermato a lungo.

17 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Silvio Torcello" della III^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Libero Briganti" della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Segnalava che il fotografo Aristide Piccioni, abitante con il fratello sarto a Briga [La Brigue, Val Roia francese, dipartimento delle Alpi Marittime], "esplica servizi di spionaggio a favore delle forze della RSI".

18 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" [di Albenga (SV)] al rappresentante dell'Alto Comando Alleato [ufficiale di collegamento, capitano del SOE britannico, Robert Bentley] ed al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che il 17 aprile erano transitati sulla via Aurelia in direzione ovest 2 camion, 6 auto, 5 autocarri tutti vuoti, verso est 1 camion coperto, 1 camion vuoto, 1 treno carico di paglia e fieno; che il presidio di Coasco era partito per il fronte; che il figlio del maggiore Vignola agiva come spia.

20 aprile 1945 - Dal comando della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. n° 58, al comando della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [della II^ Zona Operativa Liguria] - Si comunicava che "in risposta alla richiesta sul movimento delle forze nemiche sulla frontiera italo francese le informazioni sono poco attendibili, dato che c'è continuo movimento e continuo spostamento delle forze verso la strada n° 28...".

23 aprile 1945 - Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che veniva inviata in allegato una lettera del "capitano Roberta" capitano Bentley] per la missione alleata dislocata presso la I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [della II^ Zona Operativa Liguria]...

23 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" [di Albenga (SV)], prot. n° 60, al rappresentante dell'Alto Comando Alleato [capitano Bentley] - Segnalava movimenti nemici quali, sulla via Aurelia il 21 aprile 3 camion diretti ad est che trasportavano truppe ed un mezzo d'assalto, un treno da Ventimiglia per Savona carico di materiale, "Dalla stazione di Albenga sono stati caricati 40 carri agricoli, munizioni, mine e materiale vario diretti a Garessio via colle San Bernardo".

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Russo Pierluigi: nato a Voltaggio (Al) il 2 giugno 1909. Ufficiale della Brigata Nera di Albenga
Rapporto dei carabinieri di Albenga del 24.6.45: Il dottor Russo Pierluigi giunse ad Albenga verso la metà del febbraio 1945 in servizio presso la locale brigata nera. Dimostrò subito particolare zelo nel coadiuvare la Feldgendarmerie di Albenga che in quel periodo spiegava una feroce attività di intimidazione attraverso l’uccisione di numerosi ostaggi. Il dottor Russo era coadiuvato dalla sua amante Andreis Anna, la quale esercitava la sua deleteria influenza sul maresciallo della Feldgendarmeria Strupp, di cui contemporaneamente ne era l’amante. Il dottor Russo vantava la sua appartenenza alla brigata nera e si dichiarava fervente nazifascista. Portava sulla manica destra della giubba la scritta “Per l’onore d’Italia”.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia,  StreetLib, Milano, 2019 

Le cose si facevano più complicate all’estremità occidentale del dispositivo della divisione “Bevilacqua”, dove la Terza Brigata doveva affrontare una crescente pressione nemica sulle vie di comunicazione. Il mese [marzo 1945] si era aperto con alterni, fitti scontri e scaramucce di varia portata che denunciavano la lotta in atto per il controllo strategico della zona di Bardineto, dove confluiscono le strade provenienti da Albenga e da Borghetto Santo Spirito. Ma il 6 marzo la brigata mise a segno uno dei suoi colpi più brillanti. Durante la notte elementi del distaccamento “Torcello” penetrarono nell’abitato di Loano con l’aiuto e la copertura dei sapisti locali del “Boragine” e si diressero a colpo sicuro verso l’albergo Vittoria, dove era stata segnalata la presenza di un nucleo di polizia investigativa. Qui, a dispetto della sorveglianza nemica (non troppo vigile, in verità, dal momento che per ragioni di segretezza quasi nessuno sapeva dell’esistenza del centro di controspionaggio), i partigiani catturarono due esponenti dell’UPI tra cui Giovanni Illegittimo, che comandava lo spionaggio fascista tra Savona ed Alassio. Condotti in montagna, i prigionieri furono rapidamente processati e fucilati. Le prove per la condanna furono fornite dai documenti riservatissimi di cui i partigiani si erano impadroniti: si trattava di una notevole mole di documenti nei quali erano indicati con precisione molti esponenti dei CLN locali e delle SAP della zona tra Loano e Finale, tra i quali l’avv. Rembado, il maestro Acquamorta, Panizza, Orso e De Vincenzi senior. Subito avvisati, poterono mettersi al sicuro per tempo.
Stefano d’Adamo, Op. cit. 

Una vista sulla piana di Albenga

19 febbraio 1945 - Da Paolo Pini della Brigata Nera al comando della Brigata Nera di Alassio - Segnalava che alcuni "ribelli" avevano sottratto un autovettura Fiat, dal tettuccio apribile, di cui si fornivano numeri di targa, di telaio, di libretto di circolazione, affinché i dati fossero all'attenzione dei posti di blocco.
da documento IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. Tomo II
 
Ad Albenga la brigata SAP “G. Mazzini”, con il riconoscimento della funzione del CLN circondariale ingauno, ottiene l’autonomia operativa sino alla fine del conflitto. Non risulta ufficialmente nell’organico della divisione imperiese “G.M. Serrati” anche se i rapporti con l’organizzazione a cui inizialmente faceva capo, non hanno avuto soste, e i contatti di collaborazione tra i combattenti imperiesi e i sapisti di Albenga sono ricorrenti.
Dalla relazione conclusiva dell’attività della Brigata SAP “G. Mazzini”:
“Successivamente le squadre SAP albenganesi vennero inquadrate nella Brigata SAP “G. Mazzini”, dislocata su tutto il territorio del circondario con i distaccamenti nelle città ed in ogni paese dell’entroterra. Le squadre per tutto il periodo della lotta effettuarono audaci colpi di mano contro i presidi nazifascisti; avvicinarono militari della RSI per persuaderli a passare nelle fila della Resistenza; svolsero servizio informativo (SIM), organizzarono collegamenti tra la montagna e la città e tra i vari CLN; prelevarono fondi, viveri, medicinali, armi e munizioni per l’invio regolare alle formazioni cercando di eludere i numerosi posti di blocco nazifascisti. La brigata SAP “G. Mazzini” … si trovò verso novembre ad agire in una situazione di grave pericolo. Nel periodo autunno 1944- inverno 1945 venne installata in Albenga la Feldgendarmeria nel palazzo INCIS: il luogo divenne tristemente famoso perché di qui vi passarono i sapisti della “G. Mazzini” ed i membri del CLN caduti nelle mani del “boia” Luciano Luberti… che eseguiva alla lettera le direttive di Himmler e di Hitler contro la resistenza e le inermi popolazioni dell’albenganese… Nelle celle del palazzo INCIS si ammassavano esseri umani dai volti sfigurati e sanguinanti: le percosse si alternavano alle più efferate torture. Peggior sorte toccò alle donne… Alla liberazione nelle fosse della marina furono riesumate 59 salme di patrioti orrendamente sfigurati. La brigata SAP “G. Mazzini” non figura negli organici della Divisione SAP “G.M. Serrati” di Imperia e “A. Gramsci” di Savona, in quanto forza militare alle dirette dipendenze del CLN circondariale albenganese. Pertanto seguì le varie modifiche politiche-organizzative che caratterizzarono il CLN di Albenga diretto da Emidio Libero Viveri.”
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "3. Le squadre di Azione Patriottica nel savonese (prima parte)", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2001

Il Comando di Zona di Savona aveva ricevuto da circa un mese le direttive del “Piano A” per la liberazione del territorio ligure stilate dal rinnovato Comando Militare Regionale Ligure (nel quale rivestiva la carica di vicecomandante l’ex ispettore delle Brigate Garibaldi per il Ponente Carlo Farini, che aveva mutato il suo nome cospirativo, “Simon”, in quello di “Manes”). In generale le SAP e i partigiani scesi a rinforzarle avrebbero dovuto affrontare una difesa cittadina statica, mentre i reparti di montagna si sarebbero dovuti impegnare contro una notevole massa di armati in rapido movimento per intralciarne la ritirata, in sintonia con le operazioni alleate. Quanto ai compiti specifici che il Comando Regionale aveva affidato alle unità del Savonese, la Seconda Brigata “Sambolino” avrebbe dovuto unirsi ad aliquote della divisione “Mingo” e recarsi in Sesta zona, sulla strada del Turchino, per bloccare ogni movimento di truppe verso Genova; la divisione “Bevilacqua”, oltre naturalmente a liberare Savona, era tenuta a bloccare i transiti sui colli di Cadibona, del Giovo, del Melogno e, in collaborazione con la divisione “Bonfante” della Prima Zona (Imperia), di San Bernardo di Garessio.  [...] Nelle prime ore del 25 aprile la Terza Brigata “Libero Briganti” scese ad occupare Vado Ligure con il supporto della brigata SAP “Corradini”; frattanto la Quarta Brigata “Carlo Cristoni”, escluso il distaccamento “Rebagliati” dirottato all’ultimo momento su Finale <81, ben rifornita di bombe da mortaio dopo un eccezionale “colpo” compiuto a Quiliano alcune notti prima, calava su Quiliano stessa e, spazzati via i residui capisaldi nemici perdendo un volontario (Amerigo Moschini “Zizi”), avanzava fino a Valleggia <82. A questo punto una fortissima colonna nemica, composta da tedeschi della Brandenburg che avevano già subito attacchi partigiani nella zona di Albenga, si avvicinò da ponente a Vado e, avuta notizia della presenza dei garibaldini, iniziò a cannoneggiare l’abitato per aprirsi la strada. Per evitare un’inutile strage di civili i partigiani ed i sapisti decisero di ritirarsi dalla cittadina risalendo le colline circostanti, e i nazisti ebbero via libera senza dover combattere. <83
[NOTE]
81. Mario Savoini (Benzolo), Cosa è rimasto: memorie di un ribelle, Savona, Editrice Liguria, 1997, p. 157.
82. Cfr. Giorgio Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, ed. 1985, vol. II, Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, p. 832, Colpi di mortaio… cit., pp. 45 - 53, M. Calvo, op. cit., p. 410.
83. G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, pp. 832 e 833.

Stefano d’Adamo, Op. cit.

venerdì 24 dicembre 2021

L'alta Val Tanaro non deve essere un elemento di discordia tra partigiani

Uno scorcio di Val Casotto - Fonte: Mapio.net
 
Nella provincia di Cuneo, tra la fine del '43 e l'inizio del '44, le bande più organizzate sono quelle guidate da Ignazio Vian, l'eroe di Boves, Piero Cosa e Franco Ravinale, ufficiali dell'ex esercito. Questi, che occupano le valli Casotto, Corsaglia, Mongia, Tanaro, Ellero e Pesio, a partire dal febbraio decidono di affidare al maggiore “Mauri”, che dal dicembre guida una banda nella val Maudagna, il comando dell'area alpina. <209
[...] Per tutto il mese di gennaio, le vallate alpine vengono colpite dai tedeschi, che adottano un nuovo tipo di rastrellamento, basato sullo scontro frontale e sull’accerchiamento. Le postazioni partigiane vengono assalite, tanto da disperdere i partigiani e metterli in fuga, come documenta “Mauri” nel suo diario dopo il rastrellamento in val Maudagna, il 14 gennaio: <217
"Siamo rimasti in trentacinque. Saliamo sull'alto, al rifugio di Prel, sopra Frabosa. Ma rimanere lassù non è possibile; è un posto ideale per villeggiare, ma non va bene per fare il partigiano. Troppo lontano dalle strade". <218
Dopo il rastrellamento, “Mauri” con i pochi uomini rimasti è costretto a spostarsi in Val Casotto, e a unirsi ai gruppi lì presenti.
[...] Come “Mauri” stesso scrive nella relazione sui fatti d'arme di val Casotto, in pochissimi giorni giungono al comando «circa un migliaio di uomini che non costituivano che un peso»: <221 l'impossibilità di armarli e la previsione di un'imminente rastrellamento tedesco nella zona aggravano in questo modo una situazione già precaria. Simile circostanza si verifica presso altri comandi partigiani, come ad esempio in quelli GL posizionati in valle Stura. <222
[NOTE]
209 G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, cit., p. 319
217 Per i rastrellamenti di gennaio '44 vedi M. Giovana, La Resistenza in Piemonte, cit., p. 53, in particolare nota 26; D. L. Bianco, La guerra partigiana, cit., pp. 37-41; e 25 aprile. La Resistenza in Piemonte, ANPI Torino, Orma, 1946
218 E. Martini, Con la libertà e per la libertà, cit., p. 32
221 “Relazione sui fatti d'arme dal 13 al 17 marzo nelle valli Casotto, Mongia e Tanaro”, Dalle Langhe, 9 aprile 1944 - I° della Liberazione, in G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, cit., doc. 2, p. 340
222 M. Giovana, “Popolazioni alpine nella guerra partigiana del Cuneese”, cit., p. 89

Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013 
 
La “concorrenza partigiana” era invece determinata dalle voci, veridiche ma gonfiatesi a dismisura passando di bocca in bocca, dell’esistenza di un solido nucleo di resistenza militare attestato in Val Casotto, non lontano da Mondovì. Non furono pochi i savonesi che, fino al marzo del ’44, accorsero lassù lasciando i pochi ribelli della provincia ligure, tanto più che si vociferava di migliaia di militari italiani del Regio Esercito con armi pesanti e regolari rifornimenti aerei, comandati da ufficiali alleati. La realtà era meno rosea, e più d’uno ne fece le spese, come i vadesi fratelli Valvassura, Domenico, fucilato a Mellea di Fossano il 29 dicembre 1943, ed Enrico, ucciso a Ceva il 27 marzo 1944 <61.
61 cfr. G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Farigliano (CN), Milanostampa, 1965-69, vol. I, p. 84. Vedi ad esempio la testimonianza di Mario Savoini “Benzolo” in id., Cosa è rimasto. Memorie di un ribelle, Savona, Editrice Liguria, 1997, pp. 39-66
Stefano d’Adamo, "Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45)", Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000  

I tedeschi avevano nel frattempo posto un loro importante quartiere generale nell'Albergo Miramonti di Garessio (CN).
Da questo centro i nazisti organizzarono un forte rastrellamento contro le bande badogliane di Val Casotto, nelle quali militava anche un noto attore, Folco Lulli.
I nazisti furono, tuttavia, attaccati proprio nell'Albergo dai "ribelli", badogliani, ma non solo da questi. L'11 marzo 1944 nello scontro nella zona di Nava, nel comune di Pornassio (IM), perirono altri due patrioti imperiesi, Olivio Livio Fiorenza e Giovanni Ramò. Al fatto d'armi parteciparono partigiani autonomi di Martinengo [anche Capitano Martinengo, Eraldo Hanau] e gruppi di resistenti del posto non ancora collegati con le organizzazioni antifasciste
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
Napolitano Luigi "Gino", nato a Sanremo il 1.1.1924. Nel 1943 è militare nel Regio Esercito in Istria. Dall'8 Settembre al 15 Dicembre 1943 è nella Resistenza istriana. Dalle formazioni autonome di "Mauri" a marzo 1944 passò definitivamente alle formazioni Garibaldi dell'estremo ponente ligure. Per le sue doti di coraggio e spirito combattivo veniva subito nominato comandante di un Distaccamento che, per l'aumentato numero di volontari, divenne poi Battaglione. Come risulta da un rapporto, era considerato dai nazi-fascisti "elemento assai pericoloso". Protagonista di un gran numero di battaglie tra le quali: Carpenosa, Giugno 1944; Badalucco, 29 giugno 1944; Ceriana, Agosto 1944; Carmo Langan, 8 ottobre 1944 e febbraio 1945; Baiardo, marzo 1945. Ferito in combattimento a Baiardo. A dicembre 1944 commissario del I° Battaglione "Mario Bini" della V^ Brigata. In seguito vice comandante della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" [...]
Vittorio Detassis

[...] i tedeschi sono in agguato alla ricerca di arruolamenti di militari sbandati o fuggiti. Il compagno Pino mi ospita a casa sua. Non devo farmi vedere. I compagni cercano di farmi raggiungere i primi nuclei partigiani che si vanno formando. Vi è discussione tra i compagni, in quanto alcuni ritengono che dovrei lavorare per il P.[ artito ] in città. Insisto per andare in montagna. Prima tappa, accompagnato dal panettiere Floriardo, è Garessio, per raggiungere Valcasotto. Dopo Valcasotto, Valle d'Inferno, Trappa. Dopo uno sbandamento della formazione, raggiungo Alto e nuovamente la zona di San Remo. Il compagno Manetti Oreste mi accompagna a Molini dal farmacista, nel cui negozio ha sede di riferimento la formazione partigiana organizzata da Vittò. Gino Napolitano
(a cura di) Saverio Napolitano, Gino Napolitano, La semplicità della politica. Scritti autobiografici, lettere, immagini,  Arma di Taggia, 2012
 
Verda Francesco "Franco", nato a Pieve di Teco il 26.12.1924
Contadino, riceve la cartolina di precetto per partire militare il 5.8.43. Convalescente nell'ospedale di Pieve, non si presenta e viene considerato disertore.
Nascosto nella carbonaia dell'ospedale da una suora, sfugge all'arresto da parte dei tedeschi e, appena rimessosi in salute si rifugia con altri giovani ai casoni di Tetti Parodo, sulle alture della zona.
Da qui passa con altri a Viozene, dove c'è un gruppo di partigiani "badogliani", e poi in Val Pennavaira.
In seguito all'arresto del padre ed alla sua carcerazione nel penitenziario di Oneglia, si presenta al reparto T.O.D.T. di Albenga, e viene impiegato nella costruzione delle fortificazioni costiere.
Fuggirà definitivamente in montagna ai primi del 1944 in seguito a minacce di superiori che ne sospettavano le simpatie per i patrioti.
Dal 15 maggio al 10 ottobre 1944 farà parte delle formazioni autonome "Martinengo", nella Divisione "Mauri", brigata "Val Tanaro".
Passa quindi alle formazioni "Garibaldi" in Val Pennavaira, nella VI^ Divisione "Silvio Bonfante", II^ Brigata "Nino Berio" comandata da "Basco" Giacomo Ardissone.
Partigiano combattente, dal gennaio 1945 sarà Commissario e poi Comandante di una Squadra stanziata a Castelbianco, da dove controlla le attività antipartigiane di tedeschi e fascisti.
Partecipa costantemente alle attività militari nella sua zona operativa fino alla liberazione, quando scenderà con gli altri ad Albenga.
Vittorio Detassis
 
Levio Vitali, nato il 25 ottobre 1925 a Mezzani (Parma), nel 1942 si trasferì da Cologno Monzese alla Cascina Gaggiolo di Cernusco sul Naviglio [...] Chiamato alle armi in marina nell'estate del 1943, Levio Vitali non si presentò; si recava, invece, a Ospedaletti da un suo cugino che era lì impiegato presso la Todt, per farsi rilasciare una falsa tessera di servizio presso quell'organizzazione del lavoro. Ma il sotterfugio durò poco, perché era diventato troppo pericoloso per il cugino rinnovare la falsa tessera Todt. Così, un giorno, dopo l'8 settembre '43, Vitali non riusciva a scendere da un convoglio fermo alla stazione ferroviaria di Genova per la vigilanza di una pattuglia di militari fascisti. Un portabagagli notò i suoi tentativi: salito sulla carrozza si avvicinò al Vitali e gli chiese se era uno "sbandato"; alla sua risposta affermativa, egli gli chiese se voleva unirsi ai partigiani. Pronto a compiere quel passo, Vitali rispose di sì; allora il portabagagli, scansando la vigilanza della pattuglia fascista, lo fece scendere e lo nascose in un magazzino; giunta la notte lo portò fuori Genova, dai partigiani. Levio Vitali, salito in montagna, fu accolto da una famiglia contadina. Dopo un paio di settimane entrò in contatto con un gruppo di partigiani comunisti che operavano nell'alta Val Tanaro, in provincia di Cuneo. Il controllo di quella valle era molto importante, soprattutto per la linea ferroviaria che collega i porti di Imperia e Savona con Torino; compito prioritario dei partigiani era quello di ostacolare le comunicazioni con i sabotaggi. Tra Ormea e Bagnasco, la valle rimase per alcuni mesi sotto il controllo delle bande partigiane. Levio Vitali ricorda che in zona operò per qualche settimana, prima di organizzare la resistenza in Valsesia, anche Cino Moscatelli, che ebbe occasione di conoscere personalmente; infatti, di sera, Moscatelli teneva alle giovani reclute lezioni di politica: «Da lui ho appreso cos'era il comunismo», racconta il Vitali. Quando si seppe che i tedeschi sarebbero arrivati in forze per riprendere il controllo della Val Tanaro, Vitali e diciotto suoi compagni salirono nei pressi di una chiesetta: da lì, annidati in una grotta, puntarono sulla valle una mitragliatrice da 20 mm. Dopo diversi, cruenti scontri con i nazifascisti, la sua brigata si sciolse e Vitali, con alcuni compagni, camminando per tre notti e due giorni, si trasferì nelle alture più a ovest, in un'altra formazione garibaldina. Dopo circa un mese, quando egli e i suoi compagni ritornarono nella Val Tanaro, tutta la zona era ormai sotto il controllo delle formazioni autonome del maggiore Mauri, e così essi vennero inglobati nella 14ª brigata Val Mongia. Sul rapporto dei partigiani con la popolazione locale, Vitali dice: «Esso era di reciproco aiuto. Ad esempio, l'alimentazione di quei contadini era limitata alle castagne, al latte e al formaggio che forniva qualche capra o mucca. La fame, insomma, si faceva sentire, anche perché nelle zone dei "ribelli" non venivano mandate le tessere alimentari. Così i partigiani, che ricevevano alimenti dai contadini, contraccambiavano, appena potevano, con altri prodotti, quali lo zucchero e la pasta, presi con azioni di guerra». Vitali aveva 18 anni e in quell'anno di vita partigiana passata tra le valli del cuneese ha compiuto una ventina di azioni militari, di cui sette d'assalto. Ha visto la morte da vicino più d'una volta: in un attacco contro i fascisti della X Mas; nell'assalto a un mulino dove i tedeschi macinavano il frumento (azione pericolosissima, ma con la quale i partigiani riuscirono a impossessarsi di una notevole quantità di farina) e nell'assalto a una caserma di tedeschi. È su quest'ultima azione che egli particolarmente si sofferma:«Un mattino all'alba, saranno state le quattro, siamo andati ad attaccare i tedeschi. Tra tedeschi e fascisti, nella caserma c'erano circa 200 soldati; noi eravamo una quarantina. Circondata la caserma abbiamo aperto il fuoco; presi di sorpresa, i nemici hanno avuto molti morti. Abbiamo combattuto senza interruzione fino alle tredici. Noi abbiamo avuto sei morti, due dei quali erano stati fatti prigionieri; uno era gravemente ferito, morente; l'altro era molto giovane: i fascisti lo uccisero sotto i nostri occhi legandolo dietro un camion e trascinandolo per le vie. Fu straziante sentire le sue urla».
Giorgio Perego, Cernuschesi partigiani della montagna. Il nostro Antonio Benelli nelle pagine di Beppe Fenoglio, Comune di Cernusco sul Naviglio (MI), 2011
 
Nonostante le precauzioni dei comandi, si verificano episodi come quello di Bucciol Gino, della brigata Alta Val Tanaro, che spara per sbaglio a un proprio compagno ferendolo. Nelle dichiarazioni del Bucciol si parla di uno sbaglio, ma altre dichiarazioni e le circostanze del fatto fanno invece pensare a uno scherzo finito male.
In questi casi, la legislazione partigiana prevederebbe la pena di morte, ma la sentenza viene sospesa per richiesta di grazia al maggiore “Mauri” da parte dell'imputato. La grazia pare essere stata concessa, anche se “Mauri” in una lettera al comando della brigata val Tanaro precisa che la grazia sarebbe stata concessa solo se la II divisione Garibaldi, presso le cui file Bucciol aveva militato e compiuto «atti in corso di accertamento», avesse dato riscontro positivo. [...] “Mauri” esprime le sue preoccupazioni in una circolare del 15 giugno '44 scrivendo che con «l'afflusso di nuovi elementi é [sic] assolutamente indispensabile provvedere al loro immediato inquadramento per evitare quelle sensazioni di disordine» che danneggerebbero il movimento partigiano. Il maggiore vuole evitare che chi sale in montagna abbia «l'idea che al “ribelle” tutto sia lecito» e avverte che sarà «inesorabile contro chiunque» metta a repentaglio la vita dei suoi compagni. Persiste la paura infatti che tra i giovani saliti in montagna possano nascondersi spie o, più semplicemente, immaturi che «chiaccherano [sic] troppo», non rendendosi conto dell'insidia dell'ambiente in cui opera il partigiano. Inoltre, ragazzi giovani, per nulla smaliziati, potrebbero cascare in tranelli come quello orchestrato dalle brigate nere di Ceva, che utilizzano come spia la moglie di un comandante repubblicano facendola passare per «cugina del comandante Mauri».
Giampaolo De Luca, Op. cit.
 
Entra [Italo Calvino] a far parte di una formazione partigiana denominata Brigata Alpina, che è stanziata in località Beulla o si muove nei territori dei Comuni di Baiardo e di Ceriana. La formazione è comandata da Candido Bertassi detto "Capitano Umberto”. Calvino vi rimane finché non inizia il suo graduale sfaldamento. 
Francesco Biga, A 20 anni dalla morte del grande scrittore. Italo Calvino, il partigiano chiamato "Santiago", Patria Indipendente, 29 gennaio 2006 

Inoltre, la posizione del «Capitano Umberto» [Candido Bertassi] appare alquanto confusa con quell'aderire alla IX Brigata e, contemporaneamente, col volersi considerare autonomo. Tale aggettivo, infatti, figura sovente accanto alla denominazione della formazione «Brigata Alpina».
Questa posizione assumerà il massimo dell'anacronismo a proposito della battaglia sostenuta il 25 luglio 1944 nell'Alta Val Tanaro, quando, già costituitasi la II Divisione «F. Cascione», la I^ Brigata «Silvano Belgrano», sotto il comando del «Cion», sosterrà duri combattimenti contro i Tedeschi. In tale occasione, come più diffusamente vedremo, il «Capitano Umberto» emetterà, non si sa a quale titolo, un suo comunicato sugli scontri.
Infine, va considerato che nelle zone montane estreme della nostra provincia e di quelle limitrofe savonesi, confinanti con l'Alta Val Tanaro, sono presenti alternativamente formazioni della XIII Brigata Val Tanaro alle dipendenze di Eraldo Hanau (Capitano Martinengo), che effettuano varie azioni contro i presidi nazifascisti, soprattutto a Nava. Dette formazioni sono autonome e denominate «badogliane». Alcune bande, distanti dal loro comando centrale, passano a volte sotto l'influenza delle forze garibaldine a seconda della massiccia presenza, o meno, degli uomini di «Curto» nella loro zona.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, pp. 46,47

[...] nel corso dell'estate del '44, nella fase di espansione del movimento, i comandi [garibaldini] di divisione tentano, laddove sia possibile, di occupare nuove aree. La linea di confine tra la Liguria e il Piemonte sembra essere la sede predestinata a questo genere di confronto. Nel luglio infatti, un'unità garibaldina guidata da un certo “Bartali”, «sedicente inviato dal Comitato Ligure di Liberazione Nazionale», aveva disarmato alcuni reparti della Val Tanaro. Il comitato politico e quello militare di Torino rispondevano alla denuncia fatta da “Mauri”, assicurando di non aver mai consentito a un passaggio della val Tanaro alle dipendenze del comitato ligure e, provvedendo a denunciare il fatto alle autorità centrali, lasciava il maggiore libero di «adottare quelle altre misure contingenti che risultassero indispensabili per il ripristino della situazione».
Giampaolo De Luca, Op. cit.
 
Da almeno un mesetto la nostra squadra, vale a dire quella di Nino Micheletti, prestava servizio al posto di blocco avanzato operante sulla strada provinciale a valle di Frabosa Sottana (CN).
Verso il 24/25 settembre 1944 Micheletti venne convocato dai Dirigenti Divisionali (Cosa e Giocosa), per urgenti, indifferibili motivi.
[...] Il Comando divisionale, forse rassicurato dalla notizia che la squadra di Micheletti si era procurato tutto l’armamento rastrellando periodicamente l’area monregalese e quella tendasca, non esitò ad affidare a Micheletti e compagni il gravoso incarico di scortare i due messaggeri, Bessone e Astengo, oltralpe, per consentir loro di accedere all’aeroporto di Nizza, da pochi giorni liberata dagli alleati anglo-americani, e di lì raggiungere la meta prefissata. In realtà, i quattro partigiani della scorta, Micheletti, Mondino, A. Clerico e Maccalli, ignoravano totalmente le caratteristiche di quella zona alpina che avrebbero dovuto affrontare.
[...] Nel frattempo, prima della partenza, dietro insistenza degli stessi interessati, al nostro gruppetto vennero aggiunti una decina di militari alleati desiderosi di rientrare nei rispettivi organismi e due civili, un giornalista canadese (Morton) e l’italiano radiotelegrafista (Biagio).
[...] Partimmo da Rastello, piccolo borgo della Valle Ellero, il giorno 27 settembre 1944. A motivo delle precarie condizioni di salute del prof. Bessone, fummo accompagnati dal giovane medico monregalese Serafino Travaglio sino alla Frazione Piaggia di Briga Marittima, ove pernottammo.
[...] A Pigna ci accorgemmo che la frontiera, sia quella marina, che l’adiacente territorio montano, pullulava di militari repubblichini e di tedeschi. Noi ignoravamo al momento della partenza da Rastello, l’avvenuto potenziamento di quel tratto di confine, conseguente al recente sbarco delle truppe alleate nella vicina Provenza e la liberazione di Nizza.
[...] Ci furono due-tre giorni di combattimenti, ai quali partecipammo anche noi della Val Corsaglia. Gli assalitori, come già una quindicina di giorni prima, vennero respinti. Trascorse poche ore e ritornata un po’ di quiete, il gruppetto che aveva scelto l’espatrio “via mare”, si attivò affidandosi ai due robusti rematori citati.
[...] Dopo l’attenuarsi degli attacchi nazisti, ma ancora prima di conoscerne con assoluta certezza la fine, i Comandanti locali (Curto e Vittò) ci consigliarono fraternamente, per non mettere in gioco la nostra esistenza, di abbandonare la Valle e ritornare nella nostra Divisione monregalese.
Nel ringraziarci per la collaborazione prestata, espressero gratitudine e riconoscenza al Capitano Piero Cosa ed alla Valle Corsaglia per il grande aiuto concesso alle loro Formazioni in un momento tragico e disperato.
Decidemmo di rientrare. Insieme a noi c’erano 4/5 superstiti alleati che avevano rifiutato di tentare il passaggio della frontiera italo-francese.
Luigi Mondino, L'avventura della squadra Micheletti, in Libertà dal Popolo, Notiziario della F.V.L., n° 2 del 2010
 
Dopo diverse ore di cammino tra il 18 ed il 19 ottobre 1944 i partigiani giunsero a gruppi a Fontane, [Frazione di Frabosa Soprana (CN)].
I comandanti iniziarono a smistare gli uomini, che poterono usufruire delle scorte alimentari, delle coperte e degli abiti, che il garibaldino Domenico Arnera (Aldo) aveva da mesi con impegno e sagacia messo da parte nelle vicinanze. Arnera, capo di Stato Maggiore della I^ Brigata "Silvano Belgrano", a quel tempo ancora incorporata nella II^ Divisione, venne arrestato in Val Tanaro il 18 dicembre a seguito di un'involontaria delazione e fu fucilato a Mondovì (CN) il 27 dicembre 1944. A lui venne intitolata la IV^ Brigata della nuova Divisione "Silvio Bonfante". Si presero contatti anche con le formazioni autonome di "Mauri".
Rocco Fava, Op. cit. , Tomo I
 
Un vero e proprio passaggio è quello che interessa il gruppo di Arturo Pelazza. Fino alla fine di settembre [1944], la banda, che opera nella zona intorno a Ormea, fa parte delle formazioni garibaldine dell'Imperiese, presumibilmente della Divisione “F. Cascione”. Da una comunicazione di “Mauri” a Ezio Aceto, comandante della IV divisione Alpi, si evince che Pelazza ha chiesto direttamente al secondo di poter entrare a far parte delle autonome. “Mauri” non ha nulla in contrario, ma, come nel caso di “Bacchetta” e di Montefinale, agisce con prudenza nei confronti dei comandi garibaldini. Gli uomini del Pelazza possono essere inquadrati purché dichiarino che intendono passare a far parte delle formazioni “Autonome” e abbiano il nullaosta del Comando Garibaldino. “Mauri”, che nello stesso periodo sta vivendo insieme le conseguenze della cattiva gestione della vicenda "Devic-Biondino", l'esplosione dei contrasti nell'Astigiano per il caso Scotti e l'inizio del dissidio con Cosa  per l'inquadramento delle loro brigate nelle formazioni autonome, sembra ormai aver adottato e accettato le disposizioni del comitato, rinunciando, almeno per il momento, alla creazione di un organismo fuori dai partiti del CLN. D'altra parte, il rapido procedere degli eventi crea un crescente fermento nelle formazioni partigiane del basso Piemonte [...] Nel corso dell'inverno i continui sbandamenti mettono in allarme i diversi gruppi, che vivono nascosti nei paesi di montagna per sfuggire ai rastrellamenti tedeschi. La situazione di tensione è riportata anche da episodi come quello che coinvolge “Primo” Rocca e reparti della II divisione Langhe. Questi ultimi, in seguito a un'azione compiuta dai tedeschi nella zona di Rocca, accorrono in suo aiuto. Qui però vengono accolti da un'imboscata compiuta dagli stessi garibaldini di Rocca, che nella confusione, temendo un ritorno dei tedeschi, avevano scambiato i reparti autonomi per nemici. <795
Nel mese di novembre, “Mauri” e i suoi sono costretti a rifugiarsi nella zona della VI divisione Garibaldi, non ancora colpita direttamente dai rastrellamenti. Qui affluiscono anche sbandati dalla Liguria e da Asti, già raggiunte dalle operazioni tedesche. <796 Dopo pochi giorni i partigiani radunati a Feisoglio, sede del comando della VI divisione, sono costretti a rifugiarsi altrove.
[NOTE]
795 La sera del 5 dicembre, sulla strada che Canelli-Nizza, una pattuglia del reparto della II divisione «viene investita da raffiche di sten operate da un posto di blocco garibaldino […] senza che fossero richiesti la parola d'ordine e intimato il chi va là». Nello scontro muore purtroppo un partigiano autonomo e viene ferito gravemente il padre di “Poli”, “Appendice all'attività svolta dalla II^ divisione Langhe nel mese di dicembre 1944 (azioni non comprese nella precedente relazione)”, f.to “Mauri”, in AISRP, B 45 b
796 Garibaldini provenienti dalla Liguria: «Nella Valle Bormida sono pure giunti centosessanta garibaldini della 5ª brigata ligure con parte del Comando. Anche loro hanno subito forti attacchi ed hanno dovuto sganciarsi. Abbiamo provveduto per quanto loro abbisogna, viveri e alloggiamenti, resta però inteso che appena la situazione lo permette ritorneranno alle loro basi», “Cari compagni”, 11.12.44 in C. Pavone (a cura di), Le Brigate Garibaldi, Vol. III, cit., doc. 482 “Il commissario politico della 6ª divisione Langhe, Remo, alla Delegazione per il Piemonte”, p. 57

Giampaolo De Luca, Op. cit.
 
19 aprile 1945 - Dal Comando [comandante Curto Nino Siccardi] della I^ Zona Operativa Liguria al comandante Martinengo [Eraldo Hanau, della Brigata 'autonoma' Val Tanaro della IV^ Divisione Alpi del Iº Gruppo Divisioni Alpine 'autonome' che facevano riferimento al maggiore Enrico Martini 'Mauri'] -  Si rispondeva ad una comunicazione affermando che "l'offerta delle munizioni per i St. Etienne è la più bella dimostrazione dello spirito di collaborazione e amicizia che ci lega e che deve essere sempre più perfezionato. L'alta Val Tanaro non deve essere un elemento di discordia, ma il campo per la lotta comune per poi ricostruire insieme la pace".
19 aprile 1945 - Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria al comandante della IV^ Divisione  'autonoma' Alpi - Venivano affrontati diversi aspetti. Che il capitano Bentley [ufficiale alleato di collegamento con la I^ Zona] aveva richiesto le armi nascoste a Viozene. Che le armi, anche se recuperate, non erano mai state consegnate al richiedente. Che non era veritiera l'affermazione del "maggiore" secondo la quale "disposizioni superiori stabiliscono che tutto il Piemonte è di giurisdizione dei gruppi 'Mauri'. Che le suddivisioni amministrative non risultavano attendibili quanto "la demarcazione fisica" rappresentata dalle Alpi. Che tutta la zona a sud delle Alpi era indispensabile alle formazioni Garibaldi per poter difendere l'Alta Val Tanaro. Che nella Val Tanaro le richiamate organizzazioni autonome non avevano organici sufficienti per procedere ad un'adeguata occupazione del territorio. Che di conseguenza lo scrivente comando della I^ Zona aveva deciso di fare agire alcune sue strutture nella zona di Garessio-Ormea-Ponti di Nava. Che prendeva nota del desiderio di collaborare fraternamente nella lotta. Che il capitano Bentley era già addivenuto tramite incontro ad un accordo con la missione inglese presso le formazioni 'Mauri' per ottenere una proficua collaborazione più generale.
19 aprile 1945 - Dal Comando [comandante Curto Nino Siccardi] della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione d'assalto Garibaldi "Silvio Bonfante" - Segnalava che aveva stabilito di inviare presso le formazioni 'Mauri'  un ufficiale di collegamento, pensando di conferire tale incarico a Giovanni 'Gino' Fossati, comandante della II^ Brigata "Nino Berio", da sostituire con Giacomo 'Basco' Ardissone o "altro elemento capace".
23 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che "data la particolare situazione creatasi ad Oneglia e lungo la strada n° 28 la squadra partita per ritirare le munizioni presso 'Martinengo' [Eraldo Hanau, comandante della 13^ Brigata 'autonoma' Val Tanaro del gruppo divisioni alpine guidato dal maggiore Enrico Martini 'Mauri'] non ha potuto effettuare l'azione".
1 maggio 1945 - Dal comando della IV^ Brigata "Domenico Arnera" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della IV^ Divisione Autonoma "Alpi" - Comunicava che i Distaccamenti della IV^ Brigata "Domenico Arnera" sarebbero rimasti per ordine del comando della VI^ Divisione in Alta Val Tanaro finché il Comando Unificato non avesse disposto altrimenti, criticava il termine "arbitrariamente", aggiungeva che l'Italia era finalmente libera per cui era naturale che formazioni partigiane di diversa estrazione collaborassero nella stessa zona, ricordava che le formazioni partigiane [secondo gli autonomi, quelle garibaldine] "arbitrariamente" presenti in Val Tanaro erano quelle che avevano provocato maggiori danni ai nemici, rimarcava che un Distaccamento della IV^ Divisione Autonoma "Alpi", stanziata a Nava, intendeva comandare in Alta Valle Arroscia [zona di competenza dei garibaldini].
da documenti Isrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), “La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999