Primo da sinistra Ivar Oddone, Kim, terzo Giuseppe Vittorio Guglielmo, Vittò/Ivano - Fonte: Annalisa Piubello, Op. cit. infra |
Chi canterà le gesta dell’armata errante, l'epopea dei laceri eroi, le imprese dell’esercito scalzo, chi canterà l’anno di gloria e sangue trascorso sui monti? Chi enumererà la schiera di quelli che non scesero, dei tanti morti lasciati lassù, con nello spento sguardo l’ultimo bagliore del combattimento o l'ultimo spasimo della tortura? Chi tramanderà la lunga storia di imboscate e guerriglie, di battaglie e sbandamenti, di raffiche e cespugli, di fughe e assalti?
I primi morirono. Ma non fu vano il tuo sangue, Cascione, primo, più generoso e più valoroso di tutti i partigiani. Il tuo nome è ora leggendario, molti furono quelli che infiammati dal tuo esempio s'arruolarono sotto la tua bandiera. E pure morì sotto il martirio nazista l'animatore di una delle prime bande a Baiardo: Brunati, il partigiano poeta. E la trista Germania inghiottì Lina Meiffret, prima partigiana.
S'approssimava la primavera. Verso Rezzo era salito un uomo alto e flemmatico dall’occhio allucinante e dal vestito trasandato: il Curto. Verso Langan vagava un uomo tarchiato e biondo, dallo sguardo azzurro e freddo, magnetico e impassibile. Vittò. Intorno a ognuno d’essi si ingrossò la schiera.
Chi canterà la spensierata audacia degli inizi, in cui ogni azione era una beffa, ogni arma conquistata un trofeo? Langan, nome glorioso, vedesti ingrossarsi le schiere, urlare l’entusiasmo, salire e scendere i camion gremiti ad ogni nuova azione, tra canti e sventolare di bandiere nella gloriosa primavera. Chi canterà la battaglia di Carpenosa, di come trenta uomini fermarono quattro camion carichi di tedeschi, chi canterà come Erven si coprì di ferite e di gloria a Sella Carpe e sfuggì per miracolo la morte riverso in un cespuglio? Con Marco [n.d.r.: Candido Queirolo] a Triora e Vittò a Langan è incerta per i tedeschi la via dei monti.
Poi venne, giorno infausto, il tre luglio. I tedeschi ebbero il sopravvento sulle bande, i paesi furono invasi e saccheggiati. Chi canterà la gloriosa popolazione di Castelvittorio, i vecchi cacciatori di cinghiali insorti alla difesa del loro paese, che resistettero con tanto valore? Sotto i colpi di mortaio tutto sembra che si sfasci: l’impassibile Vittò si passa una mano sulla fronte: è la fine? No, gli sbandati si ritirano intorno a Vittò, su Marta, e l’agosto rivedrà la Brigata ricostruita, più organizzata, più potente.
Marco cade in un’imboscata nella trista Baiardo, ma un nuovo capo si è fatto avanti, un ragazzo dal coraggio di leone, dal corpo tarchiato, dalle prominenti ganasce: è Gino. Il suo distaccamento quasi inerme agli inizi in meno di un mese è il più amato della Divisione. I vili bersaglieri - carne venduta - cominciano a temere il suo nome.
Le armate delle nazioni unite liberano intanto tutta la Francia, avanzano verso il nostro confine. È l’ora di discendere? Non ancora, bisogna mordere il freno, comincia il lungo periodo dell’attesa mentre i cannoni alleati rombano vicini, verso ovest. Si inoltrino le colonne tedesche verso Baiardo, ogni cespuglio nasconde un mitragliatore pronto a far fuoco, i morti cadono fitti a mordere la polvere: fu questa la più grande imboscata della nostra storia partigiana.
Badalucco è contesa tra i tedeschi ed Artù - nome che suona terribile alle orecchie nazi-fasciste - e paga con la distruzione il suo patriottismo. Gino gareggia in audacia coi suoi uomini. Figaro e il francese Pierre primeggiano: una divisa tedesca basta per portarli nel campo nemico a compiere le più audaci imprese.
Poi sopraggiungono giorni tristi. Pigna cade: l'occhialuto Fragola, il cervello strategico della brigata, vive dieci giorni digiuno e nudo in una grotta. Upega vede la morte gloriosa del più leggendario di tutti i partigiani, del cavaliere senza macchia e senza paura, dell’eroe di mille imprese le più audaci: il Cion. I Partigiani laceri e scalzi prendono la via del Piemonte, passano i valichi nevosi del Mongioia.
Il partigianesimo in Liguria è dunque stroncato? No, continua negli attentati ai fascisti per le vie cittadine. Ecco allora che avvampa il tuo generoso furore, indimenticabile Aldo Baggioli, eroe bello e spietato, e ti porta sfidando ogni pericolo a scaricare il tuo revolver nel petto dei traditori. Dietro a te Riccardo socchiude l'occhio mefistofelico: i fascisti hanno paura, sanno che a uno a uno cadranno sotto il tuo piombo giustiziere. Ma purtroppo presto sospireranno di sollievo sapendoti caduto crivellato dalle raffiche sul prato di San Romolo.
Intanto la divisione è tornata sui monti di Liguria: gli orrendi bersaglieri di Ceriana e di Baiardo se ne accorgono ben presto. Ma comincia l’inverno, il duro inverno partigiano: la neve è nemica della guerriglia. Ma gli uomini di Gino e di Figaro non si concedono riposo. I fascisti e i tedeschi di Molini pagano cara ogni loro sortita.
Oggi sul petto di chi passò l’inverno sui monti è appuntato un simbolico nastrino. Striscia rossa in campo bianco: sangue sulla neve. L'attesa primavera s'avvicina a poco a poco: è il momento dell’attacco? Potremo stanare dalla trista Baiardo i vili bersaglieri? No, il momento non è ancora giunto, occorre ritornare. Ma non ritornerai tu, Cardù [n.d.r.: Riccardo Vitali, caduto a Baiardo il 10 marzo 1945, commissario del Distaccamento mortaisti della V^ Brigata], caduto serenamente con la fronte al nemico per le vie del paese.
Ancora una volta i partigiani prendono la via del Piemonte, per armarsi, vestirsi, rinforzarsi questa volta: poi scenderanno e allora sarà un succedersi d'imboscate, di colpi, di sparatorie in tutte le valli e su tutte le strade contro i nazi-fascisti scoraggiati e disorientati. Ma gli eventi precipitano, siamo vicini alla meta. Fu proprio quando mancavano pochi giorni al traguardo, che ti presero e ti uccisero, ultimo dei caduti nostri, Tenore [n.d.r.: Gualtiero Zanderighi, caduto il 22 aprile 1945 a Poggio di Sanremo, della V^ Brigata]. E dovette essere triste morire in un mattino d'aprile, mentre nell'aria era un presagio della prossima vittoria.
Italo Calvino, Ricordo dei Partigiani vivi e morti, articolo apparso sul numero 13 de La voce della democrazia, Sanremo, martedì 1° maggio 1945
Marco cade in un’imboscata nella trista Baiardo, ma un nuovo capo si è fatto avanti, un ragazzo dal coraggio di leone, dal corpo tarchiato, dalle prominenti ganasce: è Gino. Il suo distaccamento quasi inerme agli inizi in meno di un mese è il più amato della Divisione. I vili bersaglieri - carne venduta - cominciano a temere il suo nome.
Le armate delle nazioni unite liberano intanto tutta la Francia, avanzano verso il nostro confine. È l’ora di discendere? Non ancora, bisogna mordere il freno, comincia il lungo periodo dell’attesa mentre i cannoni alleati rombano vicini, verso ovest. Si inoltrino le colonne tedesche verso Baiardo, ogni cespuglio nasconde un mitragliatore pronto a far fuoco, i morti cadono fitti a mordere la polvere: fu questa la più grande imboscata della nostra storia partigiana.
Badalucco è contesa tra i tedeschi ed Artù - nome che suona terribile alle orecchie nazi-fasciste - e paga con la distruzione il suo patriottismo. Gino gareggia in audacia coi suoi uomini. Figaro e il francese Pierre primeggiano: una divisa tedesca basta per portarli nel campo nemico a compiere le più audaci imprese.
Poi sopraggiungono giorni tristi. Pigna cade: l'occhialuto Fragola, il cervello strategico della brigata, vive dieci giorni digiuno e nudo in una grotta. Upega vede la morte gloriosa del più leggendario di tutti i partigiani, del cavaliere senza macchia e senza paura, dell’eroe di mille imprese le più audaci: il Cion. I Partigiani laceri e scalzi prendono la via del Piemonte, passano i valichi nevosi del Mongioia.
Il partigianesimo in Liguria è dunque stroncato? No, continua negli attentati ai fascisti per le vie cittadine. Ecco allora che avvampa il tuo generoso furore, indimenticabile Aldo Baggioli, eroe bello e spietato, e ti porta sfidando ogni pericolo a scaricare il tuo revolver nel petto dei traditori. Dietro a te Riccardo socchiude l'occhio mefistofelico: i fascisti hanno paura, sanno che a uno a uno cadranno sotto il tuo piombo giustiziere. Ma purtroppo presto sospireranno di sollievo sapendoti caduto crivellato dalle raffiche sul prato di San Romolo.
Intanto la divisione è tornata sui monti di Liguria: gli orrendi bersaglieri di Ceriana e di Baiardo se ne accorgono ben presto. Ma comincia l’inverno, il duro inverno partigiano: la neve è nemica della guerriglia. Ma gli uomini di Gino e di Figaro non si concedono riposo. I fascisti e i tedeschi di Molini pagano cara ogni loro sortita.
Oggi sul petto di chi passò l’inverno sui monti è appuntato un simbolico nastrino. Striscia rossa in campo bianco: sangue sulla neve. L'attesa primavera s'avvicina a poco a poco: è il momento dell’attacco? Potremo stanare dalla trista Baiardo i vili bersaglieri? No, il momento non è ancora giunto, occorre ritornare. Ma non ritornerai tu, Cardù [n.d.r.: Riccardo Vitali, caduto a Baiardo il 10 marzo 1945, commissario del Distaccamento mortaisti della V^ Brigata], caduto serenamente con la fronte al nemico per le vie del paese.
Ancora una volta i partigiani prendono la via del Piemonte, per armarsi, vestirsi, rinforzarsi questa volta: poi scenderanno e allora sarà un succedersi d'imboscate, di colpi, di sparatorie in tutte le valli e su tutte le strade contro i nazi-fascisti scoraggiati e disorientati. Ma gli eventi precipitano, siamo vicini alla meta. Fu proprio quando mancavano pochi giorni al traguardo, che ti presero e ti uccisero, ultimo dei caduti nostri, Tenore [n.d.r.: Gualtiero Zanderighi, caduto il 22 aprile 1945 a Poggio di Sanremo, della V^ Brigata]. E dovette essere triste morire in un mattino d'aprile, mentre nell'aria era un presagio della prossima vittoria.
Italo Calvino, Ricordo dei Partigiani vivi e morti, articolo apparso sul numero 13 de La voce della democrazia, Sanremo, martedì 1° maggio 1945
[...] nei giorni immediatamente successivi alla Liberazione il giovane sanremese [Italo Calvino] si era attivamente prodigato nell'opera celebrativa e propagandistica messa in campo dalle forze comuniste, attraverso alcuni scritti polemici e apologetici apparsi sugli organi della stampa locale, <13 e contribuendo all'allestimento di un volume collettaneo dal titolo quanto mai emblematico della volontà di testimoniare "a caldo" la drammaticità della lotta partigiana nell'imperiese: L'epopea dell'esercito scalzo. <14
Al terzo capitolo era stata affidata una lunga e dettagliata descrizione della «particolare configurazione geografica» e «fisico-demografica» del territorio, in relazione alla «peculiare posizione militare» - cruciale per la sua perifericità di frontiera - e come fattore determinante dell'«alta drammaticità» del conflitto, di cui restituiva un dato oggettivo il «numero altissimo di caduti» (una percentuale, tra partigiani e civili, tra le più alte «se non la più alta di tutta l'Italia»): un paesaggio «che è, nello stesso tempo, alpestre e marino» racchiuso in una «estensione limitata» di cui la «fascia marittima» - con la sua «caratteristica vegetazione mediterranea e sub tropicale» - occupa soltanto una «striscia di territorio» lungo la costa e cede subito il passo al paesaggio «alpino» (il 90% del territorio), con la disordinata altimetria dei rilievi coperti da fitte zone boschive nella loro progressione ulivi-pini-castagni. Una configurazione territoriale che, a causa anche della «deficenza notevolissima di ricchezza idrica», era sempre stata di ostacolo per lo sviluppo agricolo dell'interno, a fronte della particolare «agricoltura industriale» sviluppatasi a «fascie» lungo la costa, «dove la popolazione si addensa in una successione di cittadine ricche di giardini, di ville e d'alberghi», considerata anche l'assenza di un efficiente sistema di comunicazione tra la riviera e il suo entroterra (poche strade «soggette a interruzioni» e «frane», con ponti e ponticelli «facilmente ostruibili»). <15
Se da un lato il territorio, «per la sua struttura fisica», si era prestato benissimo alla «guerriglia», garantendo la possibilità di «attacchi improvvisi, di ritirate fulminee, di agguati e di resistenze su posizioni formidabili per natura», dall'altro lato aveva riservato «svantaggi altrettanto grandissimi»: la «povertà della regione» e la «mancanza di grossi centri industriali nelle immediate vicinanze» avevano reso difficili i rifornimenti in loco di viveri e armamenti, a fronte della «facilità, per un nemico ben attrezzato, di presidiare punti strategici determinati, controllanti i nodi stradali più importanti, in modo da impedire un contatto stretto e continuo fra le diverse bande di guerriglia operanti nella zona». Senza contare che la presenza di «centri minuscoli» aveva reso le attività cospirative ancora più rischiose di quanto non lo fossero già nelle grandi città, in quanto maggiormente presidiati dal nemico e, di conseguenza, sottoposti anche alla «continua offesa bellica alleata, sia navale che aerea».
E tuttavia il territorio era abitato da «gente forte e dura come le rocce delle sue montagne», gente che «conosce la gioia ed il tormento di un lavoro asperrimo, che è una lotta insonne contro la natura avara, e che dal lavoro ha tratto l'amore per la libertà». <16
Veniva dunque messa in risalto la stretta rete di condizionamenti reciproci che si erano venuti a creare tra quel particolare paesaggio (l'elemento fisico-geografico), la popolazione locale con il proprio «carattere» (l'elemento antropico-demografico), e la loro azione-reazione di fronte all'irruzione delle vicende successive all'8 settembre (il dato storico e politico-militare).
[NOTE]
13 Si tratta degli articoli Ricordo dei partigiani vivi e morti e Primo maggio vittorioso, pubblicati il 1° maggio 1945 su «La voce della democrazia», ed Epurazione, uscito lo stesso giorno sulle colonne de «La nostra lotta», organo della sezione sanremese del PCI. Di non certa attribuzione è invece l'articolo Ventimiglia apparso sull'organo della Divisione Felice Cascione «Il Garibaldino» (cfr. FERRUA, Opere giovanili di Italo Calvino, cit., pp. 56-57).
14 L'epopea dell'esercito scalzo, a cura di Mario Mascia, A.L.I.S., Sanremo, s.d., ma del 1945 (firmati dal giovane Calvino sono i capitoli su Castelvittorio paese delle nostre montagne, pp. 49-50 e Le battaglie del comandante Erven, pp. 235-244).
15 Ivi, pp. 27-32.
16 Ibidem.
Alessandro Ottaviani, «Qualcosa di gelosamente mio»: paesaggi della Resistenza nella narrativa di Italo Calvino, Academia.edu
Al terzo capitolo era stata affidata una lunga e dettagliata descrizione della «particolare configurazione geografica» e «fisico-demografica» del territorio, in relazione alla «peculiare posizione militare» - cruciale per la sua perifericità di frontiera - e come fattore determinante dell'«alta drammaticità» del conflitto, di cui restituiva un dato oggettivo il «numero altissimo di caduti» (una percentuale, tra partigiani e civili, tra le più alte «se non la più alta di tutta l'Italia»): un paesaggio «che è, nello stesso tempo, alpestre e marino» racchiuso in una «estensione limitata» di cui la «fascia marittima» - con la sua «caratteristica vegetazione mediterranea e sub tropicale» - occupa soltanto una «striscia di territorio» lungo la costa e cede subito il passo al paesaggio «alpino» (il 90% del territorio), con la disordinata altimetria dei rilievi coperti da fitte zone boschive nella loro progressione ulivi-pini-castagni. Una configurazione territoriale che, a causa anche della «deficenza notevolissima di ricchezza idrica», era sempre stata di ostacolo per lo sviluppo agricolo dell'interno, a fronte della particolare «agricoltura industriale» sviluppatasi a «fascie» lungo la costa, «dove la popolazione si addensa in una successione di cittadine ricche di giardini, di ville e d'alberghi», considerata anche l'assenza di un efficiente sistema di comunicazione tra la riviera e il suo entroterra (poche strade «soggette a interruzioni» e «frane», con ponti e ponticelli «facilmente ostruibili»). <15
Se da un lato il territorio, «per la sua struttura fisica», si era prestato benissimo alla «guerriglia», garantendo la possibilità di «attacchi improvvisi, di ritirate fulminee, di agguati e di resistenze su posizioni formidabili per natura», dall'altro lato aveva riservato «svantaggi altrettanto grandissimi»: la «povertà della regione» e la «mancanza di grossi centri industriali nelle immediate vicinanze» avevano reso difficili i rifornimenti in loco di viveri e armamenti, a fronte della «facilità, per un nemico ben attrezzato, di presidiare punti strategici determinati, controllanti i nodi stradali più importanti, in modo da impedire un contatto stretto e continuo fra le diverse bande di guerriglia operanti nella zona». Senza contare che la presenza di «centri minuscoli» aveva reso le attività cospirative ancora più rischiose di quanto non lo fossero già nelle grandi città, in quanto maggiormente presidiati dal nemico e, di conseguenza, sottoposti anche alla «continua offesa bellica alleata, sia navale che aerea».
E tuttavia il territorio era abitato da «gente forte e dura come le rocce delle sue montagne», gente che «conosce la gioia ed il tormento di un lavoro asperrimo, che è una lotta insonne contro la natura avara, e che dal lavoro ha tratto l'amore per la libertà». <16
Veniva dunque messa in risalto la stretta rete di condizionamenti reciproci che si erano venuti a creare tra quel particolare paesaggio (l'elemento fisico-geografico), la popolazione locale con il proprio «carattere» (l'elemento antropico-demografico), e la loro azione-reazione di fronte all'irruzione delle vicende successive all'8 settembre (il dato storico e politico-militare).
[NOTE]
13 Si tratta degli articoli Ricordo dei partigiani vivi e morti e Primo maggio vittorioso, pubblicati il 1° maggio 1945 su «La voce della democrazia», ed Epurazione, uscito lo stesso giorno sulle colonne de «La nostra lotta», organo della sezione sanremese del PCI. Di non certa attribuzione è invece l'articolo Ventimiglia apparso sull'organo della Divisione Felice Cascione «Il Garibaldino» (cfr. FERRUA, Opere giovanili di Italo Calvino, cit., pp. 56-57).
14 L'epopea dell'esercito scalzo, a cura di Mario Mascia, A.L.I.S., Sanremo, s.d., ma del 1945 (firmati dal giovane Calvino sono i capitoli su Castelvittorio paese delle nostre montagne, pp. 49-50 e Le battaglie del comandante Erven, pp. 235-244).
15 Ivi, pp. 27-32.
16 Ibidem.
Alessandro Ottaviani, «Qualcosa di gelosamente mio»: paesaggi della Resistenza nella narrativa di Italo Calvino, Academia.edu
Tuttavia non solo attraverso Pin l’autore [Italo Calvino] “si racconta” [n.d.r.: nel romanzo Il sentiero dei nidi di ragno]. Rileggiamo insieme il famoso capitolo IX, il capitolo “ideologico” tanto criticato <107, cui Calvino non ha voluto rinunciare. <108
Protagonisti di questo capitolo sono Kim, comissario politico, e Ferriera, comandante di brigata.
Benché Kim compaia solo in questo capitolo, l’importanza del personaggio è chiara fin da subito per il fatto che il romanzo è dedicato in primo luogo a lui. «A Kim, e a tutti gli altri», dice la dedica. Già da questo si comprende che c’è una verità storica di Kim, la quale tuttavia va decifrata nella sua complessità.
Vedremo come in Kim Calvino operi una fusione di tre persone distinte: in primo luogo se stesso, poi Nino Siccardi, nome di battaglia “u Curtu”, comandante della “Prima Zona Operativa Liguria” dai primi mesi del 1944, ed infine il commissario politico Ivar Oddone, nome di battaglia “Kimi”.
Asor Rosa è categorico nel dichiarare: «[Kim] trasparente travestimento dello stesso Calvino» (ASOR ROSA, A., 2009: 422), mentre Andrea Dini commenta: "Un protagonista forse difficile, per Calvino, da fermare sul foglio: e anche per questo per Kim il gioco delle identificazioni si fa molteplice. Kim è in prima istanza Calvino medesimo, visto che senza dubbio la ricerca di serenità del personaggio s’identifica con quella dell’autore del Sentiero; [...] Kim, infine, è il commissario partigiano Curto, che presta parte della propria fisionomia al personaggio e rivendica in tal modo una connessione. (DINI, A., 2007: 258)
Dini fa riferimento all’articolo firmato da Calvino, Ricordo di partigiani vivi e morti, pubblicato sul numero 13 de «La voce della democrazia» il 1º maggio 1945. Era appena finita la guerra e l’autore proseguiva “con altri mezzi” la lotta partigiana. C’è molta enfasi in questo scritto celebrativo, che però ci restituisce delle immagini importanti e insieme il clima del momento storico: "Chi canterà le gesta dell’armata errante, l’epopea dei laceri eroi, le imprese dell’esercito scalzo, chi canterà l’anno di gloria e sangue trascorso sui monti? [...] I primi morirono. Ma non fu vano il tuo sangue, Cascione, primo, piú generoso e piú valoroso di tutti i partigiani. Il tuo nome è ora leggendario, molti furono quelli che infiammati dal tuo esempio s’arruolarono sotto la tua bandiera. <109 [...] S’approssimava la primavera. Verso Rezzo era salito un uomo alto e flemmatico dall’occhio allucinante e dal vestito trasandato: il Curto. Verso Langan vagava un uomo tarchiato e biondo, dallo sguardo azzurro e freddo, magnetico e impassibile. Vittò. Intorno a ognuno d’essi si ingrossò la schiera". (CALVINO, I., 1945)
Trascuriamo per il momento la descrizione di Vittò che, come vedremo, nel Sentiero corrisponde al personaggio Ferriera e confrontiamo la descrizione del Curto, riportata sopra, e del Kim del Sentiero: «Kim è allampanato <110, con una lunga faccia rossiccia, e si mordicchia i baffi. [...] non è simpatico agli uomini perché li guarda sempre fissi negli occhi <111 come volesse scoprire la nascita dei loro pensieri». (CALVINO, 1991: 99)
Dunque i tratti fisiognomici di Kim sono effettivamente mutuati da quelli di Nino Siccardi <112, “u Curtu”, ma se dobbiamo invece stare a quanto scrive Ferrua, Kim è Ivar Oddone <113, “Kimi” <114, commissario politico della IV Brigata che a fine dicembre del 1944 diventa commissario della II Divisione Garibaldi «Felice Cascione» dove milita Calvino in questa fase:«S’è sovente pensato che Kim fosse l’autore camuffato, il porta bandiera dell’autore. Questi invece si cela dietro il personaggio di Pin e le idee di Kim son tanto di Calvino, quanto sono di Oddone, ovvero una somma di posizioni rispettive». (FERRUA, cit.: 169)
Ferrua dà credito a Calvino che nella Prefazione del ’64 parla del suo amico medico e ammette solo la comunanza ideale messa in evidenza anche da Ferrua, mentre rifiuta ogni identificazione con il personaggio, benché, come vedremo, con scarso successo.
Leggiamo un passo della Prefazione: "[...] nelle mie preoccupazioni di allora [c’era la] definizione di cos’era stata la guerra partigiana. Con un mio amico e coetaneo, che ora fa il medico, e allora era studente come me, passavamo le sere a discutere. Per entrambi la Resistenza era stata l’esperienza fondamentale [...] Il mio amico era un argomentatore analitico, freddo, sarcastico verso ogni cosa che non fosse un fatto; l’unico personaggio intellettuale di questo libro, il commissario Kim, voleva essere un suo ritratto; e qualcosa delle nostre discussioni d’allora, nella problematica del perché combattevano quegli uomini senza divisa né bandiera, dev’essere rimasta nelle mie pagine, nei dialoghi di Kim col comandante di brigata e nei suoi soliloqui". (CALVINO, 1991:1197)
In realtà in Kim c’è molto di Calvino stesso: «[...] la sua mente s’affolla di interrogativi irrisolti». (Ibid., 99) Tali interrogativi riguardano, sì, le ragioni della guerra, il perché si combatte da una parte o dall’altra, che senso abbia formare un distaccamento come quello del Dritto, insomma tutto quanto viene discusso con il comandante Ferriera - ciò di cui parleremo analizzando il personaggio di Ferriera stesso - ma gli interrogativi di Kim non sono solo politici, sono soprattutto esistenziali e sono gli stessi dell’autore, così come Kim finisce con assomigliare un po’ anche a Pin: "Kim cammina solo per i sentieri [...] I tronchi nel buio hanno strane forme umane. L’uomo porta dentro di sé le sue paure bambine per tutta la vita. «Forse, - pensa Kim, - se non fossi commissario di brigata avrei paura. Arrivare a non aver piú paura, questa è la meta ultima dell’uomo». Kim è logico [...], ma quando ragiona andando da solo per i sentieri, le cose ritornano misteriose e magiche <115, la vita degli uomini piena di miracoli. Abbiamo ancora la testa piena di miracoli e di magie, pensa Kim. Ogni tanto gli sembra di camminare in un mondo di simboli <116, come il piccolo Kim in mezzo all’India, nel libro di Kipling tante volte riletto da ragazzo. «Kim...Kim...Chi è Kim?...». (Ibid., 108).
Ritorna il senso del magico e del misterioso, che è anche di Pin; ritorna il simbolismo allucinato di Angoscia in caserma e l’interrogativo fondamentale: «Chi è Kim?», l’interrogativo sull’identità, l’interrogativo su di sé: "Perché lui cammina quella notte per la montagna, prepara una battaglia, ha ragione di vite e di morti, dopo la sua melanconica infanzia di bambino ricco, dopo la sua scialba adolescenza di ragazzo timido? [...] i suoi pensieri sono logici [...] Ma non è un uomo sereno. <117 Sereni erano i suoi padri, i grandi padri borghesi che creavano la ricchezza. Sereni sono i proletari che sanno quello che vogliono, i contadini che ora vegliano di sentinella ai loro paesi, sereni sono i sovietici che hanno deciso tutto [...] Sarà mai sereno, lui, Kim? <118 Forse un giorno si arriverà ad essere tutti sereni, e non capiremo piú tante cose perché capiremo tutto»". (Ibid., 108)
Anche Kim manifesta quella «rischiosa aspirazione di serenità» che per Pin consisteva nella speranza di trovare «il grande amico». La lettera a Scalfari già citata fornisce una chiave interpretativa fondamentale per intendere quel tanto di Bildungsroman che c’è nel Sentiero, in quanto ricerca e percorso individuale di guarigione da quella «ferita segreta per riscattare la quale combattiamo». (Ibid., 109)
Dovrebbe a questo punto essere chiara l’operazione di fusione tra le tre persone. Se i tratti fisiognomici di Kim sono mutuati da “u Curtu”-Siccardi e il ruolo politico-militare-ideologico da “Kimi”-Oddone, per il resto è lo stesso autore che si racconta, con le sue inquietudini, i suoi dubbi, le sue speranze, il suo passato.
Cosí come dovrebbe essere chiaro che Calvino è sia in Pin che in Kim, con una sorta di sdoppiamento che permette alle diverse parti dell’autore di raccontarsi. <119
Di piú semplice decifrazione ma non meno importante e autobiografica è l’altra figura del capitolo IX: il comandante Ferriera. È lui l’interlocutore di Kim nella discussione sulle ragioni della guerra e le valutazioni sul distaccamento del Dritto. Ferriera è una figura storica. In Ricordo di partigiani vivi e morti Calvino parlava di «un uomo tarchiato e biondo, dallo sguardo azzurro e freddo, magnetico e impassibile. Vittò». Nel Sentiero «Ferriera è tarchiato [...] ha due grandi occhi chiari e freddi che alza sempre a mezzo guardando di sottecchi». (Ibid., 99)
Il personaggio del romanzo riproduce fedelmente i tratti del Comandante Vittò <120 che nel dicembre del 1944 assume il comando della II Divisione d'assalto Garibaldi «Felice Cascione», nella I zona Liguria, dove combatte anche Calvino.
Di Ferriera Calvino mette in evidenza l’origine proletaria, le certezze ideali, l’efficacia militare: "Ferriera è un operaio nato in montagna, sempre freddo e limpido: sta a sentire tutti con un lieve sorriso d’assenso e intanto ha già deciso per conto suo [...] La guerra partigiana è una cosa esatta, perfetta per lui come una macchina, è l’aspirazione rivoluzionaria maturatagli nelle officine, portata sullo scenario delle montagne, conosciute palmo a palmo, dove può giocare d’ardire e d’astuzia". (Ibid., 99)
Con Kim Ferriera discute sul distaccamento del Dritto e che senso abbia la decisione di Kim di mettere insieme un gruppo tanto poco affidabile di uomini. Uomini che non hanno coscienza di classe, che non sanno bene perché combattono, ma che hanno - dice Kim - in comune con gli altri, tutti gli altri, anche i fascisti- «un furore», un elementare bisogno di riscatto umano.
La discussione serve a Calvino per chiarire i presupposti ideologici che stanno alla base della sua scelta di campo.
[NOTE]
107 A cominciare da Pavese, il quale nella lettura editoriale per Einaudi scrive: "Grande stonatura il capitolo del commissario Kim che ragiona sul distaccamento di carogne dov’è il ragazzo. Si rompe l’angolo di visuale del ragazzo, e quello di Kim non è ingranato nell’avventura, è un’esigenza intellettualistica". (CALVINO, 1991: 1243)
108 Sempre nella Prefazione del ’64 Calvino spiega: "Per soddisfare la necessità dell’innesto ideologico, io ricorsi all’espediente di concentrare le riflessioni teoriche in un capitolo che si distacca dal tono degli altri, il IX, quello delle riflessioni del commissario Kim, quasi una prefazione inserita in mezzo al romanzo. Espediente che tutti i miei primissimi lettori criticarono, consigliandomi un taglio netto del capitolo; io, pur comprendendo che l’omogeneità del libro ne soffriva [...], tenni duro: il libro era nato cosí, con quel tanto di composito e di spurio". (Ibid., 1189)
109 Non si dimentichi che l’autore chiese l’iscrizione al PCI quando seppe della morte di Felice Cascione, medico e partigiano, nonché autore nel 1943 del testo di «Fischia il vento», famosa canzone partigiana sulla musica di quella popolare russa «Katjusha».
110 Il corsivo è nostro.
111 Il corsivo è nostro.
112 Nino Siccardi, nato a Porto Maurizio (Imperia) il 25 febbraio 1902, era un macchinista navale. Giovanissimo socialista, era passato al Partito Comunista e per la sua attività di antifascista aveva dovuto riparare in Francia. Tornato in Italia nel 1936, sarà tra i primi organizzatori dei GAP di Imperia. Quando si costituiscono le prime Brigate Garibaldi, è "u Curtu" (il nome di battaglia era ironicamente in contrapposizione con la sua statura) e comanda la IX Brigata d'Assalto. Diventerà il comandante della Prima Zona partigiana Liguria. Dopo la guerra continuerà il suo impegno politico nel PCI e nell’ANPI.
113 Ivar Oddone, nato a Imperia il 26 ottobre 1923, era ancora studente in medicina quando, dopo l'8 settembre 1943, era entrato nelle file della Resistenza ligure. Per le sue doti di combattente e di organizzatore divenne, come dicevamo, commissario politico della II Divisione "Felice Cascione" e, successivamente, dell'intero gruppo di divisioni che operavano nella provincia di Imperia. Dopo la Liberazione, Ivar Oddone riprese gli studi, si laureò brillantemente e si dedicò agli studi di medicina del lavoro.
114 Interessante l’annotazione di Ferrua: «[...] la verità letteraria di Calvino con Kim supera la verità storica. Infatti, il partigiano si è scelto il nomignolo di Kim leggendo le vicende del ragazzo indiano creato da Ruyard Kipling. Ma questo nome di battaglia rassomigliava troppo all’abbreviazione di chilometro e risultava ostico a tutti in montagna, venne perciò corretto, diventando Kimi in tutti i documenti ufficiali».
(FERRUA, 1991: 168)
115 Il corsivo è nostro.
116 Il corsivo è nostro.
117 Il corsivo è nostro.
118 Il corsivo è nostro.
119 Domenico Scarpa sostiene: «Pin, bambino precocemente invecchiato, e Kim, ragazzo precocemente maturo, sono le due opposte figure nelle quali l’autore del Sentiero si specchia e si sdoppia. [...] Ha notato Claudio Milanini che Pin e Kim non si incontrano mai. Forse non potevano incontrarsi: il loro incontro avviene fuori dal romanzo, nella persona che lo scrive, ed era la condizione necessaria perché fosse scritto: 'Il sentiero dei nidi di ragno è anche un’autobiografia implicita trasposta'» (SCARPA, D., 1999: 222)
120 Guglielmo Giuseppe Vittorio (comandante Vittò) nasce a Sanremo il 2 febbraio del 1916. Emigra giovanissimo in Francia per lavoro e, avendo già una radicata coscienza antifascista, si arruola nelle Brigate internazionali e combatte nella guerra di Spagna. Dopo la sconfitta della Repubblica, ripara in Francia attraverso i Pirenei. Internato in campo di concentramento, viene rimpatriato nel 1940. Condannato per renitenza alla leva, viene inviato sul fronte greco-albanese e successivamente a Creta. Rientrato in licenza nel ’43, salirà in montagna all'indomani dell'8 settembre dove, forte di un’esperienza di otto anni di guerra, organizzerà i primi partigiani. Il 25 Aprile 1945, al comando di circa 2000 uomini occupa Ventimiglia, Sanremo, Bordighera, Taggia e porto Maurizio. E' stato insignito di Medaglia d'Argento al V.M.
Annalisa Piubello, Calvino racconta Calvino: l'autobiografismo nella narrativa realistica del primo periodo, Tesi di dottorato, Universidad Complutense de Madrid, 2016
Protagonisti di questo capitolo sono Kim, comissario politico, e Ferriera, comandante di brigata.
Benché Kim compaia solo in questo capitolo, l’importanza del personaggio è chiara fin da subito per il fatto che il romanzo è dedicato in primo luogo a lui. «A Kim, e a tutti gli altri», dice la dedica. Già da questo si comprende che c’è una verità storica di Kim, la quale tuttavia va decifrata nella sua complessità.
Vedremo come in Kim Calvino operi una fusione di tre persone distinte: in primo luogo se stesso, poi Nino Siccardi, nome di battaglia “u Curtu”, comandante della “Prima Zona Operativa Liguria” dai primi mesi del 1944, ed infine il commissario politico Ivar Oddone, nome di battaglia “Kimi”.
Asor Rosa è categorico nel dichiarare: «[Kim] trasparente travestimento dello stesso Calvino» (ASOR ROSA, A., 2009: 422), mentre Andrea Dini commenta: "Un protagonista forse difficile, per Calvino, da fermare sul foglio: e anche per questo per Kim il gioco delle identificazioni si fa molteplice. Kim è in prima istanza Calvino medesimo, visto che senza dubbio la ricerca di serenità del personaggio s’identifica con quella dell’autore del Sentiero; [...] Kim, infine, è il commissario partigiano Curto, che presta parte della propria fisionomia al personaggio e rivendica in tal modo una connessione. (DINI, A., 2007: 258)
Dini fa riferimento all’articolo firmato da Calvino, Ricordo di partigiani vivi e morti, pubblicato sul numero 13 de «La voce della democrazia» il 1º maggio 1945. Era appena finita la guerra e l’autore proseguiva “con altri mezzi” la lotta partigiana. C’è molta enfasi in questo scritto celebrativo, che però ci restituisce delle immagini importanti e insieme il clima del momento storico: "Chi canterà le gesta dell’armata errante, l’epopea dei laceri eroi, le imprese dell’esercito scalzo, chi canterà l’anno di gloria e sangue trascorso sui monti? [...] I primi morirono. Ma non fu vano il tuo sangue, Cascione, primo, piú generoso e piú valoroso di tutti i partigiani. Il tuo nome è ora leggendario, molti furono quelli che infiammati dal tuo esempio s’arruolarono sotto la tua bandiera. <109 [...] S’approssimava la primavera. Verso Rezzo era salito un uomo alto e flemmatico dall’occhio allucinante e dal vestito trasandato: il Curto. Verso Langan vagava un uomo tarchiato e biondo, dallo sguardo azzurro e freddo, magnetico e impassibile. Vittò. Intorno a ognuno d’essi si ingrossò la schiera". (CALVINO, I., 1945)
Trascuriamo per il momento la descrizione di Vittò che, come vedremo, nel Sentiero corrisponde al personaggio Ferriera e confrontiamo la descrizione del Curto, riportata sopra, e del Kim del Sentiero: «Kim è allampanato <110, con una lunga faccia rossiccia, e si mordicchia i baffi. [...] non è simpatico agli uomini perché li guarda sempre fissi negli occhi <111 come volesse scoprire la nascita dei loro pensieri». (CALVINO, 1991: 99)
Dunque i tratti fisiognomici di Kim sono effettivamente mutuati da quelli di Nino Siccardi <112, “u Curtu”, ma se dobbiamo invece stare a quanto scrive Ferrua, Kim è Ivar Oddone <113, “Kimi” <114, commissario politico della IV Brigata che a fine dicembre del 1944 diventa commissario della II Divisione Garibaldi «Felice Cascione» dove milita Calvino in questa fase:«S’è sovente pensato che Kim fosse l’autore camuffato, il porta bandiera dell’autore. Questi invece si cela dietro il personaggio di Pin e le idee di Kim son tanto di Calvino, quanto sono di Oddone, ovvero una somma di posizioni rispettive». (FERRUA, cit.: 169)
Ferrua dà credito a Calvino che nella Prefazione del ’64 parla del suo amico medico e ammette solo la comunanza ideale messa in evidenza anche da Ferrua, mentre rifiuta ogni identificazione con il personaggio, benché, come vedremo, con scarso successo.
Leggiamo un passo della Prefazione: "[...] nelle mie preoccupazioni di allora [c’era la] definizione di cos’era stata la guerra partigiana. Con un mio amico e coetaneo, che ora fa il medico, e allora era studente come me, passavamo le sere a discutere. Per entrambi la Resistenza era stata l’esperienza fondamentale [...] Il mio amico era un argomentatore analitico, freddo, sarcastico verso ogni cosa che non fosse un fatto; l’unico personaggio intellettuale di questo libro, il commissario Kim, voleva essere un suo ritratto; e qualcosa delle nostre discussioni d’allora, nella problematica del perché combattevano quegli uomini senza divisa né bandiera, dev’essere rimasta nelle mie pagine, nei dialoghi di Kim col comandante di brigata e nei suoi soliloqui". (CALVINO, 1991:1197)
In realtà in Kim c’è molto di Calvino stesso: «[...] la sua mente s’affolla di interrogativi irrisolti». (Ibid., 99) Tali interrogativi riguardano, sì, le ragioni della guerra, il perché si combatte da una parte o dall’altra, che senso abbia formare un distaccamento come quello del Dritto, insomma tutto quanto viene discusso con il comandante Ferriera - ciò di cui parleremo analizzando il personaggio di Ferriera stesso - ma gli interrogativi di Kim non sono solo politici, sono soprattutto esistenziali e sono gli stessi dell’autore, così come Kim finisce con assomigliare un po’ anche a Pin: "Kim cammina solo per i sentieri [...] I tronchi nel buio hanno strane forme umane. L’uomo porta dentro di sé le sue paure bambine per tutta la vita. «Forse, - pensa Kim, - se non fossi commissario di brigata avrei paura. Arrivare a non aver piú paura, questa è la meta ultima dell’uomo». Kim è logico [...], ma quando ragiona andando da solo per i sentieri, le cose ritornano misteriose e magiche <115, la vita degli uomini piena di miracoli. Abbiamo ancora la testa piena di miracoli e di magie, pensa Kim. Ogni tanto gli sembra di camminare in un mondo di simboli <116, come il piccolo Kim in mezzo all’India, nel libro di Kipling tante volte riletto da ragazzo. «Kim...Kim...Chi è Kim?...». (Ibid., 108).
Ritorna il senso del magico e del misterioso, che è anche di Pin; ritorna il simbolismo allucinato di Angoscia in caserma e l’interrogativo fondamentale: «Chi è Kim?», l’interrogativo sull’identità, l’interrogativo su di sé: "Perché lui cammina quella notte per la montagna, prepara una battaglia, ha ragione di vite e di morti, dopo la sua melanconica infanzia di bambino ricco, dopo la sua scialba adolescenza di ragazzo timido? [...] i suoi pensieri sono logici [...] Ma non è un uomo sereno. <117 Sereni erano i suoi padri, i grandi padri borghesi che creavano la ricchezza. Sereni sono i proletari che sanno quello che vogliono, i contadini che ora vegliano di sentinella ai loro paesi, sereni sono i sovietici che hanno deciso tutto [...] Sarà mai sereno, lui, Kim? <118 Forse un giorno si arriverà ad essere tutti sereni, e non capiremo piú tante cose perché capiremo tutto»". (Ibid., 108)
Anche Kim manifesta quella «rischiosa aspirazione di serenità» che per Pin consisteva nella speranza di trovare «il grande amico». La lettera a Scalfari già citata fornisce una chiave interpretativa fondamentale per intendere quel tanto di Bildungsroman che c’è nel Sentiero, in quanto ricerca e percorso individuale di guarigione da quella «ferita segreta per riscattare la quale combattiamo». (Ibid., 109)
Dovrebbe a questo punto essere chiara l’operazione di fusione tra le tre persone. Se i tratti fisiognomici di Kim sono mutuati da “u Curtu”-Siccardi e il ruolo politico-militare-ideologico da “Kimi”-Oddone, per il resto è lo stesso autore che si racconta, con le sue inquietudini, i suoi dubbi, le sue speranze, il suo passato.
Cosí come dovrebbe essere chiaro che Calvino è sia in Pin che in Kim, con una sorta di sdoppiamento che permette alle diverse parti dell’autore di raccontarsi. <119
Di piú semplice decifrazione ma non meno importante e autobiografica è l’altra figura del capitolo IX: il comandante Ferriera. È lui l’interlocutore di Kim nella discussione sulle ragioni della guerra e le valutazioni sul distaccamento del Dritto. Ferriera è una figura storica. In Ricordo di partigiani vivi e morti Calvino parlava di «un uomo tarchiato e biondo, dallo sguardo azzurro e freddo, magnetico e impassibile. Vittò». Nel Sentiero «Ferriera è tarchiato [...] ha due grandi occhi chiari e freddi che alza sempre a mezzo guardando di sottecchi». (Ibid., 99)
Il personaggio del romanzo riproduce fedelmente i tratti del Comandante Vittò <120 che nel dicembre del 1944 assume il comando della II Divisione d'assalto Garibaldi «Felice Cascione», nella I zona Liguria, dove combatte anche Calvino.
Di Ferriera Calvino mette in evidenza l’origine proletaria, le certezze ideali, l’efficacia militare: "Ferriera è un operaio nato in montagna, sempre freddo e limpido: sta a sentire tutti con un lieve sorriso d’assenso e intanto ha già deciso per conto suo [...] La guerra partigiana è una cosa esatta, perfetta per lui come una macchina, è l’aspirazione rivoluzionaria maturatagli nelle officine, portata sullo scenario delle montagne, conosciute palmo a palmo, dove può giocare d’ardire e d’astuzia". (Ibid., 99)
Con Kim Ferriera discute sul distaccamento del Dritto e che senso abbia la decisione di Kim di mettere insieme un gruppo tanto poco affidabile di uomini. Uomini che non hanno coscienza di classe, che non sanno bene perché combattono, ma che hanno - dice Kim - in comune con gli altri, tutti gli altri, anche i fascisti- «un furore», un elementare bisogno di riscatto umano.
La discussione serve a Calvino per chiarire i presupposti ideologici che stanno alla base della sua scelta di campo.
[NOTE]
107 A cominciare da Pavese, il quale nella lettura editoriale per Einaudi scrive: "Grande stonatura il capitolo del commissario Kim che ragiona sul distaccamento di carogne dov’è il ragazzo. Si rompe l’angolo di visuale del ragazzo, e quello di Kim non è ingranato nell’avventura, è un’esigenza intellettualistica". (CALVINO, 1991: 1243)
108 Sempre nella Prefazione del ’64 Calvino spiega: "Per soddisfare la necessità dell’innesto ideologico, io ricorsi all’espediente di concentrare le riflessioni teoriche in un capitolo che si distacca dal tono degli altri, il IX, quello delle riflessioni del commissario Kim, quasi una prefazione inserita in mezzo al romanzo. Espediente che tutti i miei primissimi lettori criticarono, consigliandomi un taglio netto del capitolo; io, pur comprendendo che l’omogeneità del libro ne soffriva [...], tenni duro: il libro era nato cosí, con quel tanto di composito e di spurio". (Ibid., 1189)
109 Non si dimentichi che l’autore chiese l’iscrizione al PCI quando seppe della morte di Felice Cascione, medico e partigiano, nonché autore nel 1943 del testo di «Fischia il vento», famosa canzone partigiana sulla musica di quella popolare russa «Katjusha».
110 Il corsivo è nostro.
111 Il corsivo è nostro.
112 Nino Siccardi, nato a Porto Maurizio (Imperia) il 25 febbraio 1902, era un macchinista navale. Giovanissimo socialista, era passato al Partito Comunista e per la sua attività di antifascista aveva dovuto riparare in Francia. Tornato in Italia nel 1936, sarà tra i primi organizzatori dei GAP di Imperia. Quando si costituiscono le prime Brigate Garibaldi, è "u Curtu" (il nome di battaglia era ironicamente in contrapposizione con la sua statura) e comanda la IX Brigata d'Assalto. Diventerà il comandante della Prima Zona partigiana Liguria. Dopo la guerra continuerà il suo impegno politico nel PCI e nell’ANPI.
113 Ivar Oddone, nato a Imperia il 26 ottobre 1923, era ancora studente in medicina quando, dopo l'8 settembre 1943, era entrato nelle file della Resistenza ligure. Per le sue doti di combattente e di organizzatore divenne, come dicevamo, commissario politico della II Divisione "Felice Cascione" e, successivamente, dell'intero gruppo di divisioni che operavano nella provincia di Imperia. Dopo la Liberazione, Ivar Oddone riprese gli studi, si laureò brillantemente e si dedicò agli studi di medicina del lavoro.
114 Interessante l’annotazione di Ferrua: «[...] la verità letteraria di Calvino con Kim supera la verità storica. Infatti, il partigiano si è scelto il nomignolo di Kim leggendo le vicende del ragazzo indiano creato da Ruyard Kipling. Ma questo nome di battaglia rassomigliava troppo all’abbreviazione di chilometro e risultava ostico a tutti in montagna, venne perciò corretto, diventando Kimi in tutti i documenti ufficiali».
(FERRUA, 1991: 168)
115 Il corsivo è nostro.
116 Il corsivo è nostro.
117 Il corsivo è nostro.
118 Il corsivo è nostro.
119 Domenico Scarpa sostiene: «Pin, bambino precocemente invecchiato, e Kim, ragazzo precocemente maturo, sono le due opposte figure nelle quali l’autore del Sentiero si specchia e si sdoppia. [...] Ha notato Claudio Milanini che Pin e Kim non si incontrano mai. Forse non potevano incontrarsi: il loro incontro avviene fuori dal romanzo, nella persona che lo scrive, ed era la condizione necessaria perché fosse scritto: 'Il sentiero dei nidi di ragno è anche un’autobiografia implicita trasposta'» (SCARPA, D., 1999: 222)
120 Guglielmo Giuseppe Vittorio (comandante Vittò) nasce a Sanremo il 2 febbraio del 1916. Emigra giovanissimo in Francia per lavoro e, avendo già una radicata coscienza antifascista, si arruola nelle Brigate internazionali e combatte nella guerra di Spagna. Dopo la sconfitta della Repubblica, ripara in Francia attraverso i Pirenei. Internato in campo di concentramento, viene rimpatriato nel 1940. Condannato per renitenza alla leva, viene inviato sul fronte greco-albanese e successivamente a Creta. Rientrato in licenza nel ’43, salirà in montagna all'indomani dell'8 settembre dove, forte di un’esperienza di otto anni di guerra, organizzerà i primi partigiani. Il 25 Aprile 1945, al comando di circa 2000 uomini occupa Ventimiglia, Sanremo, Bordighera, Taggia e porto Maurizio. E' stato insignito di Medaglia d'Argento al V.M.
Annalisa Piubello, Calvino racconta Calvino: l'autobiografismo nella narrativa realistica del primo periodo, Tesi di dottorato, Universidad Complutense de Madrid, 2016