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lunedì 5 luglio 2021

Il Marinaio Rinaldo Delbecchi morì fucilato dai Tedeschi a Nava all'età di 26 anni

La zona Ponte di Nava, nel comune di Ormea (CN) - Fonte: Mapio.net

Intanto i Tedeschi, che si preparavano a schiacciare in Piemonte la I e la V brigata, accortisi del deflusso degli uomini verso la Liguria, anticipando i piani strategici, attaccano il 12 di novembre [1944] nella valle Ellero.
Le prime forze impegnate sono i partigiani badogliani delle brigate "Mauri", a cui i garibaldini della Cascione si erano collegati.  
Furono queste le iniziali avvisaglie di un gigantesco rastrellamento che, come vedremo, doveva terminare il 20 di dicembre con la conseguente distruzione, pressoché totale, delle formazioni badogliane nel basso Piemonte.
Le formazioni avevano resistito validamente all'urto, ma il giorno successivo i nazifascisti riuscivano ad occupare parte della valle Ellero con lo scopo di ottenere il controllo della strada Mondovì-Cuneo.
I badogliani sgomberano definitivamente la valle il 12 ritirandosi in val Corsaglia (11), mentre tutte le formazioni garibaldine si pongono in stato d'allarme.
Durante la notte e il mattino seguente forze fasciste si spingono fino a Frabosa Sottana, ma un contrattacco le costringe a ripiegare sulle posizioni di partenza. Sul limite del versante ligure pattuglie tedesche, già spintesi da Garessio fino a Ponte di Nava, avevano tentato di intercettare il 10 di novembre le formazioni garibaldine in movimento.
Il distaccamento d'assalto "G. Garbagnati" con alla testa «Mancen», comandante della I brigata, lascia Fontane di Frabosa alle 7,30 del 13, ma a Pornassio il trasferimento viene funestato dallo scoppio accidentale di una bomba a mano greca custodita nello zaino del viceresponsabile S.I.M. "Rinaldo" (12) che ferisce in modo grave e uccide il garibaldino austriaco Franz Mottl (Carlo), nato a Vienna il 20-10-1917, capace armaiolo, venuto in banda da Diano quando "Cion" [Silvio Bonfante] il 10 luglio l944 aveva attaccato le caserme locali.
[NOTE]
(11) Da relazione del S.I.M. di brigata al Comando II divisione F. Cascione (prot. N 174, 12/11/1944): Informatori comunicano che formazioni nazifasciste hanno attaccato le posizioni dei patriotti di Martello (Valle Ellero). Il combattimento è proseguito per tutta la notte e sembra continui nella mattinata. Operazioni di rastrellamento sono state compiute ieri a Mondovì, dove molti sono i mezzi meccanici colà accentrati. Sembra che i nazifascisti abbiano intenzione di eseguire un rastrellamento in grande stile (nota del red.: questi attacchi furono l'inizio del grande rastrellamento di Fontane descritto da Gino Glorio (Magnesia), nel capitolo che segue).
(12) Ferito il 13 novembre 1944 a Pian Soprano (Ponti di Pornassio), Rinaldo Delbecchi (Rinaldo), viceresponsabile del S.I.M. I brigata, veniva affidato dai compagni di lotta, disperati per i continui rastrellamenti, ai contadini di Pornassio. Riportiamo qui l'episodio della sua morte tratto dal Corriere d'Imperia del 4/8/1945, organo ufficiale del C.L.N. provinciale.
" ...  Da  Oliveto arriva la sposa Maria, veramente sempre pensata e adorata, e trova Rinaldo dagli occhi senza splendore e senza speranza, e sente che non possiede più una grande riserva d'energia. Ella, la sposa di un eroe, è forte e il suo viso chiaro e biondo si china benefico sulle ferite e aiuta Rinaldo a portare per qualche giorno la sua carne dilaniata e dolorante da rifugio a rifugio. È la notte del 17 di novembre e il silenzio desolato è interrotto, tratto tratto, dal malinconico e sinistro grido di uccelli notturni. Rinaldo e  Maria sono soli col buio, con il dolore e con la morte. Improvviso e martellante si ode, incerto prima e poi distinto, un rumore di scarponi. - Rinaldo! - grida spaventata la sposa - Rinaldo, i Tedeschi! - Era vero, e mentre Rinaldo le fa coraggio i nazisti buttano giù la porta e dopo un lento girare nel buio, eccoli, e appena arrivati maltrattano la carne già maltrattata. Quando un bieco e  briaco soldato del nord picchia la sposa, Rinaldo freme, si getta disperatamente dal giaciglio per difenderla..., non regge e sviene. Lo battono e ritorna in sé; il giovane sente vicina la morte e abbraccia la sposa, le affida il dolore della mamma, parla del fratello, dei compagni patriotti e della sua casa lontana... e non curante di sé: - fatti coraggio - dice alla sposa: - ricordami come il tuo migliore compagno. Addio! - E, mentre i loro cuori si chiamano disperatamente, Rinaldo è strappato a viva forza dalle braccia della sposa e gettato su un carro; dopo un po' di strada un soldato tedesco lo fredda con alcuni colpi di rivoltella al capo. Vicino, la sposa e gli abitanti di Pornassio. Nella triste e sanguinosa aurora tremano, piangono e pregano per il giovane eroe...".

Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977, pp. 317-319                                                               

Verso il 10 novembre giunse l'ordine di ritornare in Liguria. Io partii con un gruppo formato da una decina di uomini, tra cui mio cugino "Nino", Rinaldo Delbecchi, Gustavo Berio ("Boris"), due ex sanmarchini, il maresciallo austriaco Carlo ed alcuni altri.
Giunti al passo del Bochin d'Azeo, che attraversammo durante una bellissima giornata, anche se fredda, assistemmo ad uno spettacolo per me mai visto (lo rividi nel 1989 quando per la prima volta viaggiai in aereo). Sul versante della Liguria scorgemmo una massa di nubi bianche che copriva monti e valli, e sopra un sole tinto di rosso pieno che illuminava e arrossava tutta quella distesa bianca. Era uno stupendo panorama e in quel momento pensai quanto sarebbe stato bello il mondo se non fosse continuamente insultato da uomini criminali assetati di potere e di ambizioni.
Due  giorni dopo stavamo per giungere a "Cian Survan" (Pian Soprano), situato in un bel pianoro, a monte del paese di Ponti di Pornassio. Marciavamo come sempre in fila indiana poiché non sapevamo se nel pianoro ci fossero dei nemici. Ad un tratto sentimmo una forte esplosione e immediatamente ci sparpagliammo nei dintorni, preparandoci alla difesa.
Pensavamo che il nemico ci avesse scagliato contro una bomba a mano.
Non seguirono altre esplosioni, però sentimmo dei lamenti come se qualcuno fosse rimasto ferito. Infatti Rinaldo era a terra e perdeva sangue dalla schiena: gli togliemmo lo zaino dalle spalle e constatammo che era seriamente ferito.
Invece Carlo, che durante la marcia camminava dietro Rinaldo, ricevette in pieno viso lo scoppio di una bomba di fabbricazione greca, che lo stesso Rinaldo aveva nello zaino, rimanendo ucciso sul colpo.
Alcuni rimasero feriti lievemente, tra cui un sanmarchino che perse la punta del naso.
Provvedemmo a trasportare Rinaldo nel pianoro e con acqua gli pulimmo le brutte ferite. Non gli potemmo dare niente, nemmeno un antidolorifico. In qualche modo seppellimmo Carlo. Questi era un austriaco che, quando "Mancen" l'll luglio 1944 con il distaccamento "Volantina" aveva attaccato la caserma di Diano Castello (la "Camandone"), a differenza di altri, era passato dalla parte dei partigiani; aveva sublto parecchi rastrellamenti, era rimasto sbandato più di una volta, ma era sempre rientrato nei ranghi; era un abilissimo armaiolo, prezioso quando si dovevano riparare le nostre armi.
Rimanemmo qualche giorno a Pian Soprano.
Nel frattempo era arrivato da Albenga a visitare Rinaldo un medico il quale ci disse che bisognava portare il ferito all'ospedale di Pieve di Teco per estrargli delle schegge dalla schiena e dai reni (urinava sangue).
Chiedemmo aiuto agli uomini delle SAP locali: infatti ne giunsero quattro che, in un telo da tenda, trasportarono il ferito a Ponti di Pornassio e poi, in giornata, a Pieve di Teco.
Ma le spie erano già in funzione.
Infatti il partigiano Zanazzo, che lavorava in un bar, udì alcuni soldati tedeschi che, seduti ad un tavolo, parlottando tra di loro, dicevano che all'alba del giorno successivo si sarebbero recati a Pian Soprano per sorprendere alcuni partigiani che avevano dei feriti.
Lo Zanazzo si premurò di informarci.
ln conseguenza di ciò, nel pomeriggio, io e il commissario Osvaldo Contestabile cercammo nel bosco un luogo ove nasconderci. Trovammo una grotta quasi inaccessibile che, però, stillava acqua dalla volta. Pensammo che l'umidità era meglio dei tedeschi e perciò ritornammo nella baita per cenare e dormire, ma con l'intendimento di tornare a nasconderci nella grotta.
All'alba svegliai i presenti per incamminarci verso il luogo sicuro, ma "Boris", che non so bene come fosse capitato lì, disse che c'era tempo. Probabilmente aveva un appuntamento con Carlo Carli, che operava con i badogliani e che qualche tempo prima, mentre ero di guardia, avevo visto in compagnia di un partigiano, forse accompagnato dove eravamo dalla ragazza Nelly che, sfollata a Ponti di Pornassio, collaborava con la SAP locale.
Dissi a "Boris" e agli altri che, se volevano restare, restassero pure nella baita. Io mi incamminai verso il rifugio e notai, però, che, tosto, tutti mi seguivano. Fatto sta che avevamo appena oltrepassato il pianoro quando sentimmo il vociare dei tedeschi accompagnato da spari. Erano circa una trentina e, non trovando nessuno, incendiarono la baita.
Anche questa volta salvai la pelle.
Semidisarmati come eravamo, non avremmo potuto far fronte al nemico armatissimo. In seguito due pastori, che avevano le greggi nei dintorni, ci raccontarono che i tedeschi erano giunti sul luogo con gli scarponi imbottiti di stracci per non farsi sentire e che, nell'occasione, si erano impadroniti di una dozzina di pecore.
Purtroppo Rinaldo Delbecchi venne catturato, portato a Pieve di Teco sopra un carretto, e dopo poco tempo, benché ferito, fucilato.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998, pp. 67-69
 
Rinaldo Delbecchi - Fonte: Giorgio Caudano

Durante il ritorno in Liguria, dopo le settimane in cui gran parte della Cascione aveva trovato rifugio a Fontane, Rinaldo Delbecchi rimase seriamente ferito dallo scoppio accidentale di una bomba a mano che teneva nel proprio zaino, deflagrazione che costò la vita al disertore austriaco Franz Mottl. Delbecchi venne affidato a dei contadini di Pornassio. Nella notte del 17 novembre i tedeschi fecero irruzione nel casone dei Ponti di Pornassio, dove Delbecchi aveva trovato rifugio e, benché ancora con le ferite aperte, venne trascinato fuori e ucciso con alcuni colpi di pistola alla nuca.
Giorgio Caudano, , Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020

Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021;  La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna,  IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016 ]

Non meno marcata ed efficace è l'attività delle spie nella zona di Pieve di Teco ove operano con rapidità. Di conseguenza, la notte del 16 novembre 1944 i Tedeschi spingono una colonna di 60 uomini fino a Ponti di Pornassio. Cercano il Comando della I brigata, come primo obiettivo, ed un partigiano ferito, come secondo. Perquisiscono alcune case; poi la spia, accertato il nascondiglio di Rinaldo Delbecchi (Rinaldo) fu Carlo, nato a Castelvecchio il 19.8.1916, di cui abbiamo già descritto l'episodio, lo fa catturare e massacrare.
Francesco Biga, Op. cit., p. 347

Imperia. Nei giorni scorsi l’allieva della scuola Pantà Musicà, Salwa Amillou, ha superato brillantemente l’esame pre-accademico del corso di violino al Conservatorio Paganini di Genova. Molto spesso succede che allievi modello del corso superino brillantemente esami impegnativi come questo. Inoltre durante questa difficile prova l’allieva ha suonato un strumento di enorme prestigio: il violino che fu di Rinaldo Delbecchi, il partigiano che perse la vita durante la Resistenza. Il violino appartiene ora alla famiglia Bruzzone che lo ha gentilmente concesso alla bravissima Salwa così come a Marko Kurtinovich, un altro allievo della scuola Pantà Musicà, che ha suonato a San Bernardo di Conio (Comune di Borgomaro), lo scorso 3 settembre in occasione del 73mo Anniversario della “Battaglia di Montegrande“, una manifestazione dedicata ai caduti per la Libertà. La Storia, discreta, ci sussurra i suoi insegnamenti anche attraverso la musica e i suoi strumenti, che sopravviveranno certamente all’inevitabile decadimento della tradizione orale.
Redazione, La giovane Salwa Amillou supera l’ammissione al conservatorio Paganini suonando il violino del partigiano Rinaldo Delbecchi, Riviera24.it, 3 ottobre 2017

[...] Seguiranno quelli della Campagna di Russia: il Fante Wamoes Zaffoni, della Divisione di Fanteria ‘Sforzesca’, caduto ventenne in azione e tre Alpini del Battaglione ‘Pieve di Teco’, morti durante la ritirata (il Tenente Rodolfo Beraldi, ventisettenne, e gli Alpini Paolo Berio, ventunenne e Attilio Schivo, ventisettenne). Ultimo della lista il Marinaio Rinaldo Delbecchi, imbarcato sull'Incrociatore ‘Duca degli Abruzzi’, che dopo l'8 settembre si unì alla Resistenza e morì fucilato dai Tedeschi a Nava all'età di 26 anni [...]
Redazione, Imperia: sabato prossimo, inaugurazione della nuova lapide ai Caduti della frazione di Oliveto, Sanremo news.it, 9 dicembre 2015

martedì 8 giugno 2021

Questi rastrellamenti uno dopo l'altro, che così a questo modo non ci sono mai stati


Le prime avvisaglie del poderoso rastrellamento, che durera' quattro giorni, incominciano a manifestarsi il mattino del 4 settembre 1944.
La massa d'urto nemica raggiungerà nello scontro il suo momento critico e decisivo dopo il mezzogiorno del 5, quando una squadra d'assalto garibaldina, conquistata la vetta del Monte Grande, riuscirà a bloccare l'accerchiamento che oramai stava per chiudersi su più di un migliaio di combattenti partigiani del ponente ligure. 

La sera prima, l'agente “argentino” (anziano ragioniere di Borgoratto [Lucinasco (IM)]), che riusciva ad avere notizie sul nemico quasi sempre esatte, invia una staffetta munita del piano tedesco di attacco, che prevede un impiego di circa 8000 uomini, a Giacomo Sibilla (Ivan), comandante del II° battaglione (IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Elsio Guarrini" della II^ Divisione d'Assalto "Felice Cascione"), dislocato alla Cappelletta del Monte Acquarone [Lucinasco (IM)], con i Distaccamenti 5° e 6°.

Conscio dell'importanza della notizia Ivan corre a Villatalla [Frazione di Prelà (IM)] dove è gia' installato il comando della divisione e l'ispettorato di zona. Consegna a Curto [Nino Siccardi, comandante della II^ Divisione] il foglio dei piani su cui tra l'altro è scritto: “... pare che 8000 tedeschi abbiano intenzione di circondare a attaccare i partigiani imperiesi...”

Curto rimane incredulo. 
Ivan ritorna indietro per raggiungere il suo battaglione e marciare su Oneglia. In fondo alla scala dove è  installato il comando, incontra pure l'ispettore Simon [Carlo Farini, Ispettore Generale del Comando militare Unificato Ligure] a cui spiega quanto ha saputo.
È proprio in quel momento che giunge una donna ansante per la corsa fatta, portando la notizia che i tedeschi sono già ai Molini di Prelà. Allora Ivan risalito alla Cappelletta e raccolti i suoi uomini con una marcia forzata si trasferisce a Prati Piani, mentre il 7° Distaccamento “Romolo” si sposta da Ville San Pietro a San Bernardo di Conio [Frazione  di Borgomaro (IM)].

In giornata, la V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione è la prima a percepire quanto sta accadendo e riesce a sganciarsi in tempo senza subire perdite.

Invece la IV^ Brigata, che nelle prime ore del mattino del 4 era scattata all'attacco verso la costa, e che aveva scorto da Collabassa, tra Pontedassio (IM) e Montegrande [località di San Bernardo di Conio], lungo le strade procedenti verso il nord, colonne tedesche con mezzi motorizzati, in serata e nella notte tra il 4 e il 5 disorientata e schiacciata da più parti, è obbligata a ritirarsi dalla Val Prino.

Uniformandosi all'ordine ricevuto dal Comando a mezzogiorno, ripiega in pessime condizioni di visibilita' sulla I^ Brigata ["Silvano Belgrano"] a San Bernardo di Conio. Però è necessario trattenere i tedeschi per qualche ora sotto il paese di Villatalla per dar modo alla Brigata di ritirarsi completamente, evitando di essere agganciata. 
Per questo compito non facile si prestano Curto, Giulio [Libero Remo Briganti, commissario della II^ Divisione], Simon e altri uomini del Comando, per la posizione che occupavano in quel momento, dominante le due strade di accesso al paese (mulattiera e carrozzabile) le cui conformazioni rendevano il movimento dei tedeschi lento e circospetto. 
Nel pomeriggio questi comandanti, quando non restava loro altro da fare che ritirarsi e raggiungere le formazioni, riescono a sganciarsi e ripiegare. 

Prevedendo un inseguimento immediato e con lo scopo di coprire alcune forze esaurite della IV^, la I^ Brigata si schiera su posizioni difensive nei pressi delle colline intorno a Montegrande.
Invece il Comando della Divisione, quelli delle Brigate I e IV e il Distaccamento d'Assalto "Giovanni Garbagnati", comandato da Massimo Gismondi (Mancen) prendono posizione presso San Bernardo di Conio e il Battaglione Lupi, comandato da Eraldo Pelazza, prende posizione presso il passo della Mezzaluna.
Partigiani dei distaccamenti della IV^ Brigata, ritiratisi dalla Val Prino, giungono a San Bernardo di Conio al tramonto, portando drammatiche notizie: colonne di tedeschi avanzano da tutte le direzioni, incendiando i casolari che incontrano. Si stenta a credere a tutto ciò. 

Mentre gli alleati avanzano da Ventimiglia lungo la riviera, come possono gli avversari perdere tempo in rastrellamenti? 
Curto, Cion [Silvio Bonfante, vice comandante della II^ Divisione], Giulio, Simon non riescono a rendersi conto della situazione. 
Ma vedendo quelli della IV^ Brigata affluire ininterrottamente sulle posizioni della I^, sono seriamente preoccupati. Ma la notte trascorrerà senza che si verifichino gravi episodi.

I tedeschi si spingono su Borgomaro, occupano la zona di Moltedo, raggiungono il paese di Carpasio e dilagano nella Valle di Triora. Da Pieve di Teco si spingono su Pornassio e su San Bernardo di Mendatica. 

La trappola è pronta; scatterà il mattino successivo.

Chiara, la moglie di Curto, infermiera nell'ospedale partigiano di Valcona, informata della terribile minaccia che incombe sulle formazioni comandate dal marito, parte in cerca del comandante Martinengo [Eraldo Hanau, del Gruppo Divisioni Alpine del comandante Mauri] che ha nelle bande complessivamente duecento uomini rimasti fuori dall'accerchiamento.
Incontrato il comandante alle Navette, Chiara non riesce a convincerlo a portare aiuto agli accerchiati.  
Martinengo non osa rischiare l'incolumità dei suoi uomini nell'impresa disperata di tentare di aprire un varco ad una massa di uomini già sbandati, non preparati a un simile intervento e che, di conseguenza, non avrebbero appoggiato l'azione dall'interno del cerchio. Martinengo conclude il suo discorso dicendo che Curto, in qualche modo, se la sarebbe cavata ugualmente.

All'alba del 5 Settembre i nazifascisti iniziano l'attacco generale per stroncare definitivamente la resistenza imperiese.

Danno la sveglia le prime raffiche di mitra verso le 5 del mattino.
L'avamposto garibaldino al passo della Teglia, investito da forti pattuglie di avanguardia nemiche che con i bengala illuminano a giorno il teatro della battaglia, mette in allarme i Distaccamenti circostanti.
Sfondata la difesa partigiana in direzione del crinale che da nord ovest conduce alla vetta del Montegrande, i Tedeschi occupano quest'ultima piazzandovi i propri mitragliatori.

Regnano l'ansia e il fermento nei casoni dove sono dislocati i Comandi. Tutto viene disposto per il combattimento ravvicinato poichè, per quanto informano le staffette che giungono da ogni parte, i tedeschi si trovano vicinissimi. Hanno investito in pieno la zona da Colla d'Oggia, da Monte Grande, dal bosco e non c'è via d'uscita. Hanno occupato anche il passo della Mezzaluna e tutta la cresta montuosa che circonda il bosco di Rezzo a nord e a ovest, fino a Prearba.
Dalle posizioni di Montegrande il nemico è in grado di controllare e di battere il raggruppamento partigiano a San Bernardo di Conio.
Col fuoco intenso delle mitragliatrici pesanti può colpire le colonne di muli, disorganizzare ogni resistenza, ogni tentativo di sganciamento o di difesa.

Curto raduna Giulio, Simon, Cion, Giorgio [Giorgio Olivero, tre mesi dopo comandante della neo-costituita Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] e gli altri componenti il comando divisionale, viene tenuto un consiglio d'urgenza per esaminare la situazione profilatasi in tutta la sua gravità e, anche se può sembrare disperata, viene presa la decisione di attaccare Montegrande per conquistarlo e così dominare dall'alto tutta la zona e quindi spingere a destra per aprire un varco ai circondati verso nord ovest; oppure (ed è quello che si verificherà), bloccare il nemico sulle posizioni raggiunte per dar tempo ai garibaldini di disperdersi nei monti della Giara e altrove possibile, prima di rimanere agganciati in un mortale combattimento.

Mentre due mortai partigiani prendono sotto il fuoco la cima del Montegrande, Mancen con tredici volontari inizia la scalata del monte per conquistare la posizione tedesca. Non solo questi uomini sono carichi di armi, ma anche di ansia tremenda perché sanno bene a cosa vanno incontro, però al di sopra dei loro stati d'animo sta la decisione, consci della responsabilità di avere nelle proprie mani la vita di centinaia di uomini. Quasi alla cima del monte, i volontari, sviluppando un fuoco intenso, attaccano la posizione tedesca e la conquistano. Il nemico si ritira abbandonando armi, materiale ed un mulo carico con due casse di cottura. I garibaldini, catturato un tedesco, corrono oltre, inseguendo il nemico fin quasi al passo della Fenaira.
Si creano così le condizioni per guadagnare molto tempo, dato che il nemico, disorientato dall'azione partigiana, blocca i suoi movimenti. L'esercito scalzo può salvarsi perchè l'obiettivo strategico prefissato dal comando è stato raggiunto. I distaccamenti possono iniziare lo sganciamento e disperdersi nei boschi, al coperto dall'offensiva nemica, verso basi più sicure.
La dispersione delle brigate I^ e IV^ occupa tutto il pomeriggio del giorno 5 e la notte successiva. Il tempo peggiora, scrosci di pioggia e banchi di nebbia investono le cime dei monti, un uniforme grigiore avvolge ogni cosa. Nella notte i muli vengono disseminati per le stalle di Rezzo e per le località vicine.
Il Battaglione Lupi riesce a spostarsi verso nord incolume.
Curto e il comando - scrive il partigiano Gino Glorio [Magnesia] in un suo diario - vedono e comprendono che è impossibile pretendere ancora forza dal morale e dal fisico dei combattenti. Sarebbe necessario dare loro un poco di cibo, ma i magazzini di Case Rosse sono andati perduti e la pioggia impedisce di accendere il fuoco. Parecchi distaccamenti, che avevano trascorso il giorno in tre marce continue, sono senza cibo da 48 ore, nella notte del 5 i partigiani accerchiati non possono andare a dormire nei casoni che il nemico in rastrellamento può incendiare... intuiscono che bisogna aprofittare del buio per uscire dall'accerchiamento. Con questo intento le formazioni si sciolgono, con la prospettiva di riunirsi altrove, cessato l'accerchiamento. Così avviene. La mattina del 6 i tedeschi, ricevuti ulteriori rinforzi, iniziano la terza fase del rastrellamento, occupano borghi e punti strategici, cercano di chiudere il sacco, ma ad un certo momento si accorgono che il sacco è vuoto. I partigiani, dopo una drammatica ma brillante ritirata strategica basata sull'individuale, riescono a mettersi in salvo. I tedeschi, durante i loro movimenti, incendiano tutte le baite che incontrano, da ogni parte si innalzano colonne di fumo. Tre partigiani, catturati nei dintorni, vengono fucilati a San Bernardo di Conio.
Gli unici uomini ancora nella zona del rastrellamento sono Curto e gli appartenenti al comando della Divisione, rimasti fino all'ultimo per cercare di controllare l'esecuzione dello sganciamento. Vengono sorpresi all'alba. Riescono a rifugiarsi in un casone ubicato cinquecento metri sopra la chiesetta della Madonna della Neve di Rezzo.
Il loro numero ridotto (sessanta uomini, comprese tutte le staffette dei vari distaccamenti e squadre), permette loro di occultarsi, evitare la cattura e l'annientamento.
Però solo per un caso fortuito non vengono scoperti.
Come previsto, le colonne nemiche frugano i fienili, le baite, i casoni. San Bernardo di Conio è dato alle fiamme, da ogni parte del bosco si innalzano colonne di fumo. Ad un certo momento sette Tedeschi si dirigono verso il casone dove è occultato il comando divisione. Quando sono scorti è troppo tardi per fuggire. Che fare? Si può sperare non entrino? No, perché essi avanzano proprio verso il casone. E allora? Allora il garibaldino Francesco Alberti (Monte), maniscalco di Conio, si offre, andrà lui, vedrà se potrà convincerli e fermarli. E' un poco anziano, quarantacinque anni, vestito da contadino, lascerà le armi nel casone.
La partita è disperata, se i Tedeschi si accorgono dell’inganno, la sua fine sarà atroce, e come potrà lui ingannarli se conosce a stento la lingua italiana?
Ma i compagni, prima di essere presi, spareranno e i loro colpi gli eviteranno una fine penosa.
Il volontario esce, richiude la porta, scende pochi metri, si ferma presso una vigna a sfogliarla.
I compagni, con il fiato sospeso, osservano attraverso le fessure della porta.
I tedeschi scendono, si fermano, chiamano con le loro voci gutturali.
Il partigiano si alza, viene circondato, discute, dal casone non si afferrano le parole.
I tedeschi gesticolano, indicano ripetutamente la casa, poi il gruppo si avvicina: non c’è dubbio, vengono.
I partigiani si schierano a semicerchio intorno alla porta, puntano un mitragliatore.
Se quelli entrano, una raffica e si balza fuori, qualcuno forse potrà salvarsi.
Quanto impiegheranno a giungere fin qui?
Un minuto forse, ma può darsi che prima circondino la casa o che piazzino una mitraglia contro la porta o che attendano rinforzi, o che brucino il casone senza entrarci.
I minuti passano eterni, che sarà successo?
I partigiani si accostano all’uscio: i tedeschi sono sempre lì fuori, ridono, parlano, che fanno?
Si guarda tra una tavola e l’altra: sono sempre lì a pochi metri che mangiano mele selvatiche, alcuni raccolgono frutti sugli alberi di mele che crescono presso il casone, gli altri sono seduti sull’erba.
Si potrebbe far loro una sorpresa balzando fuori all’improvviso: i tedeschi non sarebbero in grado di reagire perché, è evidente, non pensano di essere osservati.
L’idea è buona, se ne potrebbero uccidere parecchi, per poi disperdersi nel bosco.
È buona, ma non si può: i tedeschi che sono un poco più in basso hanno un ostaggio prezioso, il compagno che ha rischiato per tutti, più di tutti.
Il tempo passa e il nemico è sempre lì fuori. E se qualcuno vuole provare ad entrare?
Riposatisi, i tedeschi si alzano prendendo in mezzo il partigiano che era uscito dalla casa e se ne vanno verso Rezzo.
Lui aveva detto loro di essere un contadino che era in quel momento uscito dal suo casone, quindi a Rezzo i tedeschi chiesero agli abitanti se lo conoscevano, se era un bandito o realmente un contadino del luogo.
La gente confermò le parole del prigioniero: i tedeschi lo trattennero per qualche ora, poi lo rilasciarono... 
Francesco Biga, U Cürtu. Vita e battaglie del partigiano Mario Baldo Nino Siccardi, Comandante della I^ Zona Operativa Liguria, Dominici editore, Imperia, 2011

Montegrande - Fonte: Mapio.net

Riproduzione in un Notiziario - Fonte: Fondazione Luigi Micheletti - della G.N.R. di un documento interno dei garibaldini, ma caduto in mani repubblichine

San Bernardo di Conio, Frazione di Borgomaro (IM): memoriale della battaglia partigiana di Montegrande del 5 settembre 1944 - Foto: Mauro Marchiani


Qui in Liguria invece, schiacciati su terreno poco e gramo di confine, le armi bisogna sgraffignarle ad una ad una, con dei colpi di mano; qui è un'altra guerriglia che dura più accainata, a raspare sempre nei gerbi di tutti i giorni uguali.
Ma a pensarci o no è lo stesso, perché tanto non si può sapere com'è la faccenda o come si metteranno le cose andando avanti col tempo che passa: voglio dire se si può cambiare sta faccenda sì o no; si sa soltanto che ogni giorno è peggio, e avanti così.
Bisognerebbe sapere invece, come la mettono laggiù al quartier generale angloamericano, per potersi regolare suppergiù; epperciò si rimane sempre così nell'incerto, con tutti sti bruttezzi che andando gli dicono dietro.
La radio la sentono al comando, ma quando funziona la dinamo solo di tanto in tanto: va bene lo sfondamento di Cassino l'occupazione di Roma lo sbarco in Normandia e proprio lì in Provenza a due passi, che quasi quasi manco te lo credi; ma non te lo dicono sti merdosi che adesso qui è ancora peggio, con più raffiche di prima.
Non te lo dicono perdio, di questi rastrellamenti uno dopo l'altro, che così a questo modo non ci sono mai stati.
E allora, anche se di là è finita, non te ne frega proprio un tubo di saperlo sì o no; dunque non serve a un piffero nemmeno sta menata della radio, che un po' la senti e un po' non la senti più per via della dinamo, perché è solo una grande fregatura; ed è inutile perdere il tempo a lamentarsi; eppoi chissà perché sono sempre lì a sfrugugliarti, un accidenti che se li porti via.
Fanno presto loro coi ponti caserme ferrovie impianti centrali depositi e tutto il bataclan da far saltare, mettendoci l'esplosivo al posto giusto; fanno presto a dirlo per radio, dicendoti anche forza patrioti sabotate ancora di più, che saranno lì a momenti i liberatori: ma invece non è vero, macché.
Sono a Mentone dice radio Algeri; Italia combatte dice a Ventimiglia; radio Londra addirittura che passeggiano già coi partigiani, tra Bordighera e Sanremo. Tu adesso li senti sul serio ste carogne che te lo dicono e ti tocchi se ci sei, se è prnprio vero o se sei scemo; ma loro sì, o lo fanno apposta o sono propriamente ciucchi, perché è vero che te lo dicono e te lo ripetono, proprio come se fosse vero.
Eppure, va a sapere com'è, anche il comando però dice chissà, forse sarà vero; e così anche questi qui, ci fanno la figura dei fessi proprio uguale, e tutti insieme. Eppertanto, danno subito l'ordine incredibile, tutti giù nel bosco di  Rezzo; tutti insieme senza discutere e con la roba per fare più presto.
Una trappola così precisa fatta apposta, i partigiani non l'avevano mai vista da nessuna parte; non l'avevano mai vista né sentita dire.
Quella volta, c'erano tutti concentrati sotto il tiro dei tedeschi nei cespugli carichi di brina prima dello spuntar del sole; al mattino presto, su tutte le creste intorno ben bene all'ingiro, c'erano già in agguato fascisti e tedeschi da tutto l'universo.
Colonne motorizzate, durante la notte, si erano già messe in postazione collegandosi ai valichi; poi fu rastrellamento all'ingrande, completamente circondati in cresta e in fondovalle.
Qui adesso è così mondocane, e chissà com'è successa questa porca bidonata a più di mille uomini tutti insieme concentrati in questa trappola; sì che lo diranno in parecchi modi dopo, con la radio e senza: ma adesso è così e basta, e non serve dirlo in un modo più che in un altro, com'è.
44. Adesso serve soltanto non girarti in questa trappola della malora, perché tirano incrociati sui passi.
Con le mitraglie puntate, sbarrano dal Colle d'Oggia al Montegrande, per collegarsi con la Mezzaluna e il Prearba, chiudendoti nel cerchio che così non ci scappi più; non fai manco in tempo a capire come succede, che già ti sparano addosso precisi rastrellando il bosco passo passo alla tedesca, con tutto l'occorrente.
Ecco perché dunque, anziché star lì fermo, ti devi muovere a tutti i costi; anche se ti sparano addosso e non capisci; ma se allora devi rigirarti così incastrato sotto tiro, ecco che tanto vale buttarti a casaccio la va come la va, sennò fai la fine del topo.
Se non vuoi farla, chiudi gli occhi e vattene a ramengo te con tutti i tuoi stracci, che più fottuto di così non si può assolutamente; cosa te ne fai adesso di sapere come sarà dopo andando; adesso non ti serve manco più sapere com'è sul momento, tanto ci vedi benissimo che ci sei proprio incastrato.
Te lo dico io adesso com'è: è che tu te ne vai imprecando, sotto le raffiche più che puoi, come ti viene in gola con tutta la rabbia che hai dentro, rigirandoti col pericolo che c'è; tu te ne vai con tutta questa rabbia della trappola di morte e non te la spieghi, quando invece credevi di scendertene al mare cantando, avendo finito di fare la guerra.
Così, loro sparano e anche tu spari tutto più che puoi, con tutta la scalogna che ti capita, in questo andartene balordo sotto le raffiche; alé, ten e vai dritto, tanto è lo stesso in salita o no, al Montegrande; perché loro sono già lassù e tu li devi stanare, altro che balle.
Tutte ste cose che dici adesso però, standotene seduto comodo a raccontarle dopo tanto tempo, allora non le pensavi nemmeno, mancandoti il fiato; allora te ne andavi sotto le raffiche e basta, non essendoci assolutameme il tempo, con tutti quegli spari sempre di più da tutte le parti.
Ma ecco che sempre più balordo, in mezzo al putiferio, ti accorgi finalmente dei sanmarchini che sparano da forsennati; per la miseria se te ne accorgi che ci sono anch'essi, coi mortai puntati sul Montegrande: a sparare come capita capita, e non ti sembra vero.
Tu non lo capisci come fanno a trafficare con sti mortai, anche senza i congegni di puntamento, soltanto col filo a piombo; il fatto sta però, che li sparano in riga tutti giusti, sti colpi sui tedeschi l'un dopo l'altro, sempre di più.
Così, tutti insieme, quelli del Mancen che erano già partiti, con gli altri a sparare; tutti si arrampicano in tutti i modi col fiato grosso al Montegrande, e intanto coi mortai aprono il varco.
I sanmarchini mortaisti al coperto o sul pulito, anch'essi salgono di prepotenza tra i cespugli, e  tutti  insieme  alla  fine occupano  la  cima  del  Momcgrandc, ripulendola ben bene all'ingiro.
Cosicché quella volta, di lassù, i tedeschi contro i partigiani non ci sparano più, mentre quelli del Mancen gridano - bona né.
Poi siccome gli angloamericani, quella volta glielo hanno fatto capire ai partigiani di strafottersene, prendendoli anche in giro; da soli nel bosco adagio, dopo quell'assalto, gli sbandati ritornano ai posti di prima come se niente fosse: però da quella volta, i garibaldini e i sammarchini si capiscono di più; i tedeschi invece, mollano la presa perché non ce l'hanno fatta manco stavolta; eppure gli era capitata l'occasione eccezionale.
Epperciò, i partigiani ricominciano dal principio; ma senza più stare a sentire via radio, cosa dicono dal sud quei capatazzi del cavolo; e d'ora in poi la guerra se la fanno in proprio da sbandati che tanto è lo stesso, mondocane.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 67-69

Ettore Bacigalupo. Nato a Chiavari (GE) il 13 luglio 1924; allievo meccanico; vice comandante del Distaccamento "Angiolino Viani". All’alba del 5 settembre 1944 i tedeschi e i fascisti iniziano l’attacco generale per stroncare definitivamente la Resistenza imperiese. Il pronto intervento dei garibaldini sorprende il nemico e permette al comandante Belgrano di organizzare la difesa e, valutata la situazione, ordina alle altre squadre di arretrare su posizioni migliori. Nel tentativo di recuperare un mitragliatore abbandonato cade il caposquadra Ettore Bacigalupo. Il 15 settembre 1944 il Comando divisionale propone il conferimento alla memoria della medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione: "Avvertito che una postazione attaccata dai Tedeschi aveva perduto il mitragliatore, si slanciava al seguito del comandante di distaccamento al contrattacco per recuperare l’arma. Accolti nel tentativo dalla violenta reazione del nemico ormai attestato sulla posizione perduta, i garibaldini persistevano sinché, visto inutile ogni tentativo, iniziavano il ripiegamento. Ettore Bacigalupo, con le lacrime agli occhi per la perdita di quel mitragliatore tedesco da lui conquistato alcuni giorni prima, non volle desistere dall’impresa. Riportatosi sotto la postazione nemica l’attaccava nuovamente con l’audacia dei forti. Lanciatosi improvvisamente contro i Tedeschi dal riparo che aveva raggiunto, imbracciando un mitragliatore “Octis”, riusciva a far tacere la mitragliatrice nemica, ma, colpito da una raffica di machinenpistole, cadeva esamine. Il suo corpo fu poi ritrovato deturpato dalla rabbia nazista. Monte Grande (Rezzo-Imperia) - 5.9.1944"
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011

lunedì 24 maggio 2021

Nei primi mesi del '44 fu creato il CLN Provinciale

Curenna, Frazione del comune di Vendone in provincia di Savona - Fonte: Mapio.net

Si ricorderà solo che la prima vera e propria battaglia fra partigiani e nazifascisti in provincia di Imperia avvenne nei giorni 13 e 14 dicembre 1943 nei pressi di Montegrazie, dove i militi fascisti si erano recati per compiere un'azione contro gruppi di partigiani colà dislocati e per requisire viveri e bestiame. Dopo un primo scontro accorrono uomini dei villaggi vicini e partigiani di Felice Cascione e i militi di Salò si ritirano, lasciando un numero non precisato di morti e due prigionieri. A loro volta gli uomini di Cascione, che erano venuti da Magaietto, si recano a Pizzo d'Evigno, dove si ricollegano al gruppo. Altre due battaglie furono, come già accennato, quella di Alto e quella di Pornassio o di Nava. Fra le località, nelle quali le bande si erano sistemate all'inizio della loro formazione, si ricordano in modo particolare: Magaietto, nella zona di Diano Marina; Borgo d'Oneglia; Inimonti di Pontedassio; dintorni del Faudo, con Valloria, Tavole e Villa Talla di Imperia; dintorni del Monte Acquarone, con zona da Montegrazie e Moltedo a Lucinasco; Pizzo d'Evigno; Curenna (dove - nel «Casone dei Crovi» - viene continuata, e quasi ultimata, la canzone Fischia il vento, di Felice Cascione, iniziata nel dicembre del '43 a Pizzo d'Evigno) e Alto. Queste due ultime località, Curenna e Alto, sono entrambe nella valle di Albenga. Nel periodo qui trattato i gruppi partigiani di montagna si tennero in frequente costante collegamento - come già fuggevolmente si è detto - con gli organizzatori antifascisti rimasti in città; i quali si adoperavano mandando informazioni, armi, indumenti e viveri, facendo nuovi aderenti, e inviando alle bande i giovani che temevano di essere incorporati nella milizia fascista o deportati. I contatti, in Imperia, erano tenuti soprattutto col rag. Giacomo Castagneto (o «Elettrico»), con Nino Siccardi (o «Curto»), con Ughes Gaetano, con Giacomo Amoretti «Menico» (Leonida) e con altri per il Partito Comunista; e con lo scrivente per gli indipendenti, per il Partito d'Azione e per i partigiani della corrente cristiana. I gruppi della corrente cristiana erano pure in contatto con l'avv. Carlo Folco e con l'avv. Ambrogio Viale, a loro volta collegati con lo scrivente. Attivo antifascista era pure considerato il parroco di Oneglia, rev. Don Orazio Boeri, anch'egli in relazione con giovani cattolici rifugiatisi in montagna, non che - specialmente - con l'avv. Ambrogio Viale. In tutti i mesi dal settembre '43 al marzo '44, i vari gruppi partigiani e i vari gruppi antifascisti (che in genere costituivano l'ossatura dei gruppi partigiani) agivano un poco ciascuno per conto proprio, indipendenti l'uno dall'altro, anche se non mancavano frequenti contatti (ad esempio: lo scrivente fu varie volte a casa del rag. Giacomo Castagneto e si recava spesso a casa di «Curto»; in montagna, l'avv. Raimondo Ricci, i Serra e l'avv. Vittorio Acquarone, comunista, erano insieme; lo scrivente faceva egualmente circolare i fogli clandestini «L'Unità» e «Italia Libera»; dalla banda presso il Faudo, nella quale, ad un certo punto, non pochi erano i comunisti, Ricci Raimondo aveva mandato allo scrivente il partigiano Aldo Acquarone, per motivi inerenti all'organizzazione; e Todros Alberto, anch'egli aggregato alla medesima banda, si recava spesso sia dallo scrivente, sia dall'avv. Ambrogio Viale) *. Nei primi mesi del '44 (1° febbraio) fu creato il CLN Provinciale, in cui si riunirono ufficialmente tutti i Partiti dello schieramento antifascista. Inizialmente ne facevano parte, quali esponenti politici: Ughes Gaetano (presidente), per il PCI; Folco Carlo, per la DC; Ernesto Valcado, per il PSI. Curto era organizzatore militare per il PCI; e il prof. Strato era addetto militare in seno al CLNP per la DC, e riuniva intorno a sé anche i gruppi vari non dipendenti dal PCI.
[...] Più tardi, quattro o cinque giorni dopo la morte di Cascione, verso la fine del gennaio '44 o agli inizi del febbraio, in una riunione tenutasi in una campagna di Carenzo Fedele situata nella zona «Vena Rosa» in prossimità di Barcheto, Simon (Carlo Farini), da poco in Imperia, incaricato dal Comando Regionale delle Formazioni «Garibaldi» di prendere misure per la sostituzione di Felice Cascione, proporrà di scegliere Nino Siccardi a prenderne il posto. Alla riunione, oltre a Simon e a «Curto», sono presenti il rag. G.Castagneto, Carlo Aliprandi e altri. Nella riunione stessa, sarà Simon a proporre il nome «Curto» per Nino Siccardi e il nome «Lungo» per l'Aliprandi. Aliprandi entrerà poi come addetto militare per il PCI nel CLNP, ma «Curto», fintanto che resterà in città, ossia fino intorno agli ultimi giorni del marzo '44, sarà sempre il vero e proprio organizzatore militare per il PCI nell'imperiese.
Per il conferimento dell'incarico di addetto militare della DC nel CLNP, lo scrivente era stato convocato nello studio dell'avv. Ambrogio Viale, di qui avviato nello studio dell'avv. Carlo Folco, e di qui infine nel «retrobottega» di Ughes Gaetano, nell'ammezzato del negozio di Oddone nell'attuale Via Bonfante, dove l'incarico gli era stato definitivamente spiegato e affidato.
* Per i contatti fra corrente e corrente, si ricordano pure, tra l'altro, i seguenti particolari: 1) l'ing. Vincenzo Acquarone, antifascista non comunista, in Torino tratta l'acquisto di anni e di esplosivo per «Curto», e, come d'accordo, mediante lettera del giorno 16-11-43, in caratteri cifrati, informa dei risultati lo scrivente G. Strato, affinché li comunichi a «Curto»; lo scrivente, sentito «Curto», ne trasmette la risposta, sempre con caratteri cifrati, all'ing. Acquarone, e nel contempo lo informa che Todros Alberto è stato arrestato; 2) lo scrivente, insieme con alcuni giovani (Demoro Maurizio e Ascheri Maurizio dell'Azione Cattolica e Conte Egidio), porta a «Curto», in Artallo, munizioni avute in parte dalla prof.ssa Letizia Venturini, della corrente del Partito d'Azione, e dal prof. Efisio Freilino, e in parte dall'ing. Vincenzo Acquarone; 3) G. Strato procura a «Curto», che è in procinto di passare alla montagna, alcune carte militari al 25.000, fra cui quella - specialmente richiesta - della zona di Borgomaro, e gliene impresta una al 100.000, la quale gli verrà poi restituita mediante indicazioni fornite tramite Lorenzo Acquarone (Lensen), quando «Curto» è già definitivamente in montagna.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 96-98

I primi episodi di lotta [a Rezzo] si verificano nel novembre 1943, allorché i Carabinieri di Pieve di Teco, con la costituzione della Repubblica di Salò, invitano i renitenti alle varie leve a presentarsi alle armi del costituendo regime fascista. Questo invito si reitera per tutto il mese di gennaio del 1944. Nel frattempo i giovani di Rezzo, muniti delle armi di cui si sono impadroniti l'8 settembre, si sono organizzati in una banda per montare turni di vedetta a San Bernardo di Conio.
Alla fine di gennaio giungono a Rezzo una quindicina di carabinieri, guidati da un maresciallo per prendere provvedimenti seri contro i renitenti. Ma questi, stanchi delle angherie e forti dell'appoggio della popolazione, armi alla mano circondano una dozzina di carabinieri sulla piazza del paese, li legano e li portano nel bosco di Rezzo. Per farli rilasciare intervengono le autorità fasciste ed il prete della parrocchia. Ottenuto il rilascio dei carabinieri, i fascisti compiono una ritorsione bruciando alcune case e, radunata la popolazione, la portano incolonnata in cima al paese, in località "Pilastri". Sono momenti di terrore. Siamo al 30 gennaio, il contadino Costantino Donati tenta di fuggire, ma i fascisti sparano e lo uccidono in località Crocetta.
A febbraio 1944, dopo gli avvenimenti appena narrati, nel bosco [di Rezzo] si radunano una novantina di partigiani che si organizzano in tre Distaccamenti *. Il 24 giugno 1944 nella grande faggeta sopra il paese i tedeschi compiono un rastrellamento, durante il quale fucilano i partigiani Pierino Guglieri (Pierino), abitante di Rezzo, Luigi Nuvoloni (Grosso) e Aldo Perondi (Aldo).
* I tre Distaccamenti, comandati rispettivamente da Giacomo Sibilla (Ivan), Rinaldo Rizzo (Tito R.) e Vittorio Acquarone (Marino), erano dislocati il località "Stroppallo". E' il primo germe della IX Brigata Garibaldi, che sarà definitivamente costruita nel giugno successivo.
Francesco Biga in Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria) - vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016  

domenica 9 maggio 2021

Come morì all'ultimo spaccando lo sten sulle pietre

Costante Rustida Brando

Nasino (SV) - Fonte: Wikipedia
 
Costante Brando. Nato a Milano nel 1925, caduto nel marzo del 1945 in località Nasino (Savona), operaio.
Con Giulio Bernardoni, suo coinquilino, aveva preso parte alla Resistenza in provincia di Varese con i patrioti del colonnello Carlo Croce. Tornato a Milano per dar notizie ai suoi, il ragazzo aveva raggiunto la Liguria ed era entrato a far parte della VI Divisione d’assalto Garibaldi. Investiti, nel marzo del 1945 da un pesantissimo rastrellamento nazifascista, i patrioti sono costretti a ripiegare. Costante Brando ne protegge la ritirata sparando con una mitragliatrice. Quando, esaurite, le munizioni, i repubblichini stanno per catturarlo, il ragazzo si spara per non cadere nelle loro mani. Il suo corpo sarà recuperato soltanto dopo la Liberazione. Sulla casa di via Ponale 66, dove abitava a Milano, una lapide ne ricorda ora il sacrificio.
Redazione, Costante Brando, ANPI Nazionale, 8 novembre 2010
 
Per il secondo Distaccamento, non avendo accettato Rustida [Costante Brando] il comando, lo convinsi a farne le veci fino a che gli uomini non avessero trovato un altro Comandante.
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994

Come dico dunque, Rostida [Costante Rustida Brando] con lo sten nuovo che a quei tempi ce l'avevano in pochi, era diventato un capobanda: quando lo fecero capobanda con le votazioni in regola, tra loro i sanmarchini lo sapevano eccome cosa si facevano. Se lo ricordavano benissimo di quando all'ultimo gli avevano detto di no; di farla finita una buona volta e di piantarla lì: basta con quella noiosata sempre la stessa di seguitare a remenarla, dicendo che lui non se la sente per niente di comandare, perché non sa come si fa; e che perciò vuol fare solo il soldato semplice nei partigiani.
Invece erano tutti d'accordo all'altro modo, porca la miseria; perché lo sapevano com'era generoso e sempre il primo nelle azioni rischiose, quando bruciava la pelle.
- E piantala di romperci le scatole, finiscila di fare il bamboccio -, gli dicevano seduti all'accampamento, dovendo decidere; quella volta però, glielo avevano detto sul serio per l'ultim  volta, fuori dai denti: che lui era veramente capace, era il più adatto; ci mancherebbe altro, e basta così.
E di su e di giù, gli avevano detto anche che lui era il più in gamba; che a fare il comandante con loro era facile, e imparava subito siccome lo era già di natura proprio adatto, e di qua e di là; che bisognava sbrigarsi, senza più ricominciare con tuttee quelle menate maiuscole.
Nell'alta Val Pennavaira è bello dopo l'inverno, col tempo già di scirocco, guardarsi in giro; è perché uno si guarda in giro andando nell'umido, con tanta voglia di vedere le prime viole al bordo delle mulattiere; è bello guardare così seguitando, appena i rami dei noccioli da grigi rinsecchiti, come sono d'inverno, diventano verdi a poco a poco per le foglie che crescono di nuovo, da un momento all'altro.
Tu allora, anche a pestarci di continuo nell'umido, ancora con tutto il marcio che c'è dopo la neve e con tutta sta miseria dei contadini intorno non te ne fai niente; anzi dici di sì; che è proprio bello quando finisce l'inverno e comincia la primavera; che ci vuole proprio sto tempo di scirocco, anche se è marcio, nell'umido che c'è dappertutto.
Ma adesso porcomondo c'è una cosa: c'è che bisogna vederle subito ste foglie crescere, ed allargarsi dappertutto dove passano i tedeschi; bisogna che si allarghino in fretta sempre di più per diventare il verde spesso, da buttarcisi dentro e perdersi in quesco verde; sicché non ti trovino quando ti cercano, sennò sei fottuto sul serio.
Bisogna che ci siano ste foglie, voglio dire, da buttarcisi dentro finalmeme come faceva da ragazzo per gioco, quando gli capitava spesso alla periferia milanese, prima che lo prendessero i fascisti quella volta nella retata, per mandarlo a fare la guerra; come quando era ancora piccolo a giocare nella pianura, rincorrendosi tutti insieme nel fogliame del fossato dietro l'idroscalo.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, p. 229
 
Costante Brando 1925 - 1945
Lapide in via Ponale 66 [n.d.r.: a Milano].
Residente in via Ponale 66. Nel ‘43, poco dopo l’8 settembre, lo troviamo con i Pavarotti a S. Martino. Poi raggiunge in Liguria i gruppi della Resistenza che operano nella provincia di Savona. Appartenente alla 6a divisione d’assalto Garibaldi. Nel marzo ’45, a Masino, i partigiani sono costretti a ripiegare. Brando si ferma con una mitragliatrice a proteggerne la ritirata. Viene raggiunto dai fascisti e per non consegnarsi, si spara. Il corpo verrà recuperato solo dopo la guerra.
Niguarda.eu
 
La zona di Nasino - Fonte: Mapio.net

Nel corso di un rastrellamento a Nasino vennero uccisi il 20 marzo 1945 Costante Brando e Francesco Pescatore. Brando era un ex sergente della Divisione repubblichina San Marco che aveva disertato per entrare nelle file partigiane. Comandante del distaccamento "De Marchi", tentò da solo di fermare i tedeschi per permettere ai suoi uomini di mettersi in salvo. Ferito gravemente da un colpo di mortaio, per non cadere in mano nemica si sparò un colpo di pistola alla testa. Il rastrellamento, condotto da militari tedeschi e militi della RSI, aveva avuto come guida un ex-partigiano, Amleto De Giorgi, detto Carletto il cantante (che venne ucciso dal boia di Albenga il successivo 26 marzo): aveva indirizzato i nazifascisti direttamente all'accampamento garibaldino sito in località Scuveo.
Giorgio CaudanoGli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020 
[  Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016  ]
 
Il 20 [marzo 1945] i Tedeschi puntano su Nasino provenienti da varie località: San Calogero, Martinetto, Castelbianco, Caprauna e Cerisola. Quelli provenienti da quest'ultima località sono accompagnati da una spia borghese, che li porta direttamente presso l'accampamento garibaldino del Distaccamento "G. De Marchi" [Distaccamento "Gian Francesco De Marchi", III^ Brigata "Ettore Bacigalupo", Divisione "Silvio Bonfante"]. Gli attaccanti possono scendere in ordine sparso verso il casone senza essere visti a causa della scarsissima visibilità. È appena l'alba. L'allarme non viene dato in tempo. I garibaldini sono sorpresi da un uragano di fuoco. Cercano di mettere in salvo tutto quello che possono. Mentre Costante Brando (Rustida), comandante del Distaccamento, tiene a bada i Tedeschi con la sua arma automatica, i compagni riescono ad allontanarsi. Ad un certo momento le schegge di un colpo di mortaio gli squarciano la pancia. Non può più fuggire. Allora esaurisce le munizioni, rompe l'arma e si uccide con un colpo di rivoltella per non cadere vivo in mano ai Tedeschi, i quali, per onorarlo, non permettono ai fascisti di togliergli le scarpe. Nello scontro rimane pure ucciso il garibaldino Francesco Pescatore (Remo). Il garibaldino Pietro Maggio (Meazza) prende il comando del Distaccamento in sostituzione del Brando, caduto.
Francesco  Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 206,207

Caprauna - Fonte: Mapio.net

Invece quando i tedeschi quella volta arrivarono d'impeto in Val Pennavaira, con gli spari e col tempo guasto di scirocco, vennero in colonna, tutti ben concentrati da tutte le parti; chiusero subito i passi da Ranzo San Bernardo Capraùna e Castelbianco, che non ci passava manco più un topo.
Quella volta, nella tristezza infinita, ce n'era ancora tanta di miseria: ce n'era ancora per così del grigio senza foglie dappertutto, tra i rami stecchiti nella Val Pennavaira; altroché se ce n'era col freddo con la neve e col marciume, tutto all'intorno, nella grande malinconìa di non riuscire più a nascondersi in quel rastrellamento.
Sicché gli uomini di qua e di là, intontiti nella miseria di quei territori sotto tiro e depredati, non sanno più come fare; sicché la banda di Rostida, alla fine eccola lì: e tu adesso come fai, anche se sei un partigiano veramente in gamba forte e coraggioso, tanto che i tuoi uomini lo sanno e te lo dicono eccome; tu adesso, me lo sai dire come fai?
Come fai sotto il tiro preciso concentrato dei tedeschi, che ti arrivano addosso da tutte le parti, mondoschifo, come fai? Ma tu adesso che sei lì a sto modo e che ti chiami Rostida e sei il comandante come si deve, ecco lì come devi fare: tu coi tuoi uomini allo scoperto, con questo marcio intorno, tra questi rami spogli dappertutto, nel gerbido in questa valle strana e così diversa dalla tua dove ci sei nato e ci sei cresciuto, tu adesso farai così, siccome devi farglielo vedere a tutti come si fa.
Tu, mettendocela tutta, stavolta glielo farai vedere a tutto l'universo come si fa; ma standoci proprio davanti a sti tedeschi, da guardarli ben bene in faccia col tuo sten carico e gli altri caricatori pronti a portata di mano; glielo farai vedere perdio, puntandoti più forte che potrai con le spalle contro il muro, mentre i piedi te li terrai ben piantati per terra; a tutti, così, glielo farai vedere come si fa, quando si è veramente partigiani come si deve, sotto le raffiche.
E a sti tedeschi, mentre arrivano armati fino ai denti tutti concentrati, gli parlerai deciso; anche se li vedrai venire avanti, sempre avanti, tra questi rami secchi; - forza, venite avanti - gli dirai, - venite avanti, brutti macacchi: io vi aspetto qui.
Eppoi ai tuoi uomini, che sono sempre lì a guardarti per sapere come finirà, siccome tu sei il loro comandante, gli dirai di sparare preciso e di fare presto, più presto; ma ancora più presto mondoladro schifo.
Eccolo lì dunque adesso sto Rostida capobanda, che lo è sul serio comandante all'atto pratico, e stavolta anche lui lo sa; lo è proprio come lo volevano i suoi uomini ed esattamente come lo voleva lui, finalmente preciso al suo posto, ben piantato per terra, con le spalle contro il muro a secco, a sparare col suo sten contro i tedeschi o la va o la spacca.
Così, quella volta, i suoi uomini si misero al riparo e lo seppero veramente, quando lo videro sparare, che non si erano sbagliati a farlo comandante, anche se lui non voleva; i tedeschi invece lo impararono senza immaginarselo, a raffiche continue, mentre lui ci sparava dentro con lo sten, ficcandoci alla disperata un caricatore dopo l'altro, senza fermarsi. Quando ormai però scivola adagio, lungo disteso tra i lampi fitti degli spari, alla fine lo scuote ancora in un sussulto disperato prima di morire, un colpo secco di mortaio.
È proprio allora, in quell'ultimo momento con la vista torbida, che Rostida non riesce più a vederli i paesi distanti tra la ramaglia spoglia e il marciume dappertutto; e nemmeno le creste dei monti con la pianura di là, sempre più in là, dove c'è già il fogliame fitto finalmente: ma se li vede tutti addosso invece sti tedeschi con l'elmetto sulle orecchie, a strisciare nel tritume di corteccia e di terriccio, che salta tutto in giro per gli spari.
In quel grigiore così vasto, tutto allo scoperto, con un po' di fumo soltanto nei paesi lontani e le foglie appena appena che spuntano nella campagna ancora nuda sotto lo scirocco, lui quella volta lo impara a quel modo, come si fa veramente il comandante dei partigiani; quando gli tocca di farlo senza discutere, perché è il più in gamba di tutti.
Quella volta a Rostida non glielo insegnò nessuno che per fare il comandante contro i tedeschi, e nello stesso tempo salvare i suoi uomini, bisognava fare a quel modo davanti a tutti, contro i tedeschi concentrati, come fece lui lì perlì: a quel modo voglio dire da dover stare sempre dritto contro il muro a secco per vederci meglio a sparare con lo sten, e poterlo ricaricare sempre più alla svelta, a raffiche precise.   
Ma dopo il colpo di mortaio, il sangue aumenta; lui non ci vede più in tutto quel grigio sempre più grigio, tra gli spari fitti e i lampi tra i rami stecchiti; così se lo sente dentro, ad andarsene in fretta, che non è più quello il tempo per la pianura lombarda di casa sua, come se la ricorda lui da bambino: quand'era il tempo dei suoi giochi lontani, nella periferia milanese tanto diversa piena di fogliame, a rincorrersi per finta.
Epperciò, quella volta finisce a sto modo, senza remissione, in terra grigia di Liguria, la storia di Rostida capobanda dei garibaldini; finisce lontano da casa sua, quando alla disperata fa quello che può per salvare i suoi uomini, e ancora di più; ma peccato che le foglie nemmeno all'ultimo le abbia più potute vedere come se le sognava in quei giorni di scirocco, tutte belle larghe sui rami, da buttarcisi dentro; e con le viole sui bordi delle mulattiere.
I suoi compagni, quando gli capitò così, erano ormai tutti al coperto ben riparati; non lo sentirono più che disse ancora qualcosa nel suo dialetto milanese, mentre i tedeschi gli spararono addosso, e il sangue gli uscì veloce dalle ferite; lui scivolò nel gerbido, perché non ce la fece più ad impuntarsi per terra così fracassato com'era.
Ma lo videro eccome, che all'ultimo si scuoteva ancora, e gridava più forte, mentre sbatteva lo sten sul muro a secco forte forte per spaccarlo. Lo spaccò per non lasciarglielo intero ai tedeschi, siccome in banda ce l'aveva soltanto lui in consegna fin da quando era difficile averlo, e basta; poi Rostida morì nel fracasso di tutta quella sparatoria della Val Pennavaira, quando ormai l'inverno era finito col tempo di scirocco traditore: ma i tedeschi dopo non lo toccarono manco da morto, perché ebbero paura; così non gli si avvicinarono per prendergli le scarpe, come facevano sempre.
In seguito, per tutti gli altri giorni che durarono balordi finché ci fu la guerra nella Val Pennavaira e negli altri posti intorno, gli uomini in banda e quelli nei paesi ne parlarono sovente di Rostida; e di come morì all'ultimo spaccando lo sten sulle pietre; dicevano che di partigiani così coraggiosi non ne avevano mai visto. Dicevano che sì, uno può essere veramente in gamba forte coraggioso e altruista per natura: che i suoi compagni per convincerlo, potevano anche insistere che veramente era così, anche se lui diceva di no, che assolutamente non ce la faceva a fare il comandante perché era un timido: e va bene.
Ma porcomondo fare proprio così, e farlo tutto assieme in una volta sola a quel modo, come fece Rostida quella volta nell'ora della morte, dicevano, è una cosa eccezionale che non si è mai vista prima né qui, né da nessun'altra parte, mai. Adesso, perciò, si guardavano bene in faccia l'un l'altro, parlando di Rostida; dicevano che andando avanti bisognava soltanto stringere i pugni; ma stringerli di più, da farsi male a dire di no: e pestare i piedi per terra e dire di no, che è tutta una porcata maledetta: che non è giusta, e che assolutamente non si può più di così contro i tedeschi, quando ti sono addosso tutti concentrati, a scarpentarti in quel modo.
Osvaldo Contestabile, Op. cit., pp. 230,231, 232
 
Costante Rustida Brando. Nato a Milano il 25 ottobre 1925. Ex sergente sanmarchino, fa esperienza organizzativa al comando di Massimo Gismondi “Mancen” e di Nino Siccardi “Curto”; in seguito si unisce a Giuseppe Garibaldi “Fra Diavolo”. Molto stimato dal comando partigiano e da “Fra Diavolo”, dopo i rastrellamenti del gennaio 1945, è mandato a capo del distaccamento “De Marchi” a Nasino, zona ritenuta più tranquilla. Il 20 marzo i tedeschi puntano su Nasino, accompagnati da una spia borghese che li porta direttamente presso l’accampamento del distaccamento sito in località Scuveo. Gli attaccanti a causa della scarsa visibilità possono scendere indisturbati verso il casone. L’allarme non viene dato in tempo e i garibaldini sono colti di sorpresa; “Rustida”, tenendo a bada i nemici con la sua arma automatica permette ai compagni di allontanarsi; è raggiunto da un colpo di mortaio che gli squarcia il ventre e gli causerà una fine atroce: ha la gamba quasi staccata dall’anca. Esaurite le munizioni, rompe l’arma e si uccide con un colpo di rivoltella per non cadere vivo in mano dei tedeschi i quali non permetteranno ai fascisti di togliergli le scarpe.  
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011
 
La zona di Pornassio (IM) - Fonte: Mapio.net

18 marzo 1945
- Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 205, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Presentava il quadro delle operazioni compiute dalla Divisione nel mese di febbraio 1945: "il 1° febbraio la I^ Brigata ed i suoi Distaccamenti si trovavano nelle valli di Diano, Andora e Lerrone, la II^ nelle valli Arroscia e Pennavaira, la III^ nelle valli Pennavaira, Pieve di Teco ed Arroscia mentre il Distaccamento divisionale "M. Longhi" era dislocato in Val Tanaro. Il giorno 3 il capo di Stato Maggiore 'Ramon' con un garibaldino mitraglia 2 carri tedeschi uccidendo ed in parte ferendo i nemici. Il 6 'Russo' comandante del Distaccamento "Viani" uccideva 2 uomini della San Marco. Il 18 una squadra del Distaccamento "E. Castellari" sminava un campo ad Ortovero. Il 25 'Ramon' con un garibaldino uccideva nei pressi di Pieve di Teco 2 tedeschi ed il 28 distruggeva il ponte di Pogli appena ricostruito dai tedeschi".
20 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 217, al comando della I^ Zona Operativa Liguria, al capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante", ai comandi della I^ Brigata, della II^ Brigata e della III^ Brigata - Riportando notizie avute dal CLN di Alassio (SV) circa le conoscenze che il nemico poteva avere sulla Divisione stessa il comandante affermava, tra l'altro, "per quanto tali rivelazioni possano dare un'idea della serietà del servizio informativo nemico occorre provvedere al caso".
22 marzo 1945 - Da "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva che il recente rastrellamento nemico in Val Pennavaira era stato imponente; che si era temuto che i tedeschi si trattenessero a presidiare quei luoghi [...]
24 marzo 1945 - Dal comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava l'assegnazione degli encomi solenni alla memoria a "Rustida" ed a "Remo", sottolineando che "Rustida", Costante Brando, era nato a Milano il 25 ottobre 1925, mentre di "Remo" non si conoscevano i dati biografici.
25 marzo 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che il 20 marzo 1945 alle ore 7 forze nemiche, provenienti da Pornassio, San Bernardo di Garessio, Cerisola, Acquetico e Castel Bianco, avevano effettuato un rastrellamento in Val Pennavaira; che i garibaldini di Caprauna, avvisati da una sentinella appostata sul Passo dei Pali, si erano spostati sulle rocche sovrastanti Alto; che il Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" era stato sorpreso e nella fuga aveva lasciato nel casone il mitragliatore Breda 1930 e diverso materiale di casermaggio; che i garibaldini "Rustida" [Costante Brando] e "Remo" [Francesco Pescatore] avevano aperto il fuoco, ma erano stati feriti da un colpo di mortaio; che "Rustida" dopo qualche minuto decedeva e "Remo" si suicidava per non cadere vivo in mano ai tedeschi; che i nemici avevano abbandonato la Val Pennavaira alle ore 22; che il servizio di sentinella di Alto-Caprauna aveva funzionato bene mentre quello di Nasino "pur avendo funzionato non ha preso sul serio l'allarme facendo giungere i nemici vicino ai casoni"; che stava per dare disposizione al comandante ["Gino", Giovanni Fossati] della II^ Brigata "Nino Berio" "di infliggere 12 ore di palo ai responsabili del cattivo funzionamento del servizio di guardia". Comunicava, poi, le situazioni di alcune formazioni: il Distaccamento "Giuseppe Maccanò" era privo di comandante perché "Riva" [Stefano Polini] si era rifugiato nelle Langhe ed aveva bisogno anche di un commissario; la stessa situazione si presentava al Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" che aveva perso un mitragliatore; il comandante "Basco" [Giacomo Ardissone] aveva formato un altro Distaccamento che avrebbe preso probabilmente il nome di "Rustida" [Costante Brando]; una squadra del Distaccamento "Igino Rainis" aveva recuperato in Piemonte 1 mitragliatore pesante americano, 1 fucile inglese ed 1 Sten; il 22 marzo 1945 "Fra Diavolo" aveva compiuto un attentato sulla strada 28 in cui avevano trovato la morte la morte un maggiore tedesco ed altri soldati. Informava che [...]
25 marzo 1945 - Da "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione "Silvio Bonfante"] a "Mario" [Carlo De Lucis, commissario della Divisione "Silvio Bonfante"] ed a "Giorgio" [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] - Comunicava che rispetto a quando "Giorgio" era stato in visita in Val Pennavaira il morale della popolazione era mutato [...] che il recente rastrellamento del 20 marzo avevano addirittura terrorizzato la popolazione per la minaccia tedesca di bruciare tutte le case. Segnalava "la non esemplare combattività" dei Distaccamenti "Igino Rainis" della II^ Brigata "Nino Berio" e "Giuseppe Maccanò" e l'efficienza delle altre formazioni della II^ Brigata "Nino Berio"; la formazione del Distaccamento "Costante Brando", dedicato alla memoria di "Rustida", per il quale proponeva "Meazza" [Pietro Maggio] come comandante; che "Fra Diavolo" nonostante le difficoltà che incontrava in Val Tanaro teneva "alto l'onore dei garibaldini".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999
 
Alcuni giorni dopo [a fine marzo 1945] ricevetti l'ordine di mandare un Distaccamento a Viozene, a disposizione del Comando Zona. Decisi di andare con cinque squadre, una per distaccamento e col vice Comandante di Brigata Lello [n.d.r.: Raffaele Nante, per l'appunto appunto vice comandante di Brigata, a quella data ancora genericamente indicata come "Val Tanaro", Brigata che solo alla vigilia della Liberazione assunse la denominazione ufficiale di IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Domenico Arnera" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"]. Credevo che Osvaldo [Osvaldo Contestabile], il Commissario, ormai completamente ristabilito, prendesse contatto con i vari Distaccamenti e anche con i componenti del C.L.N. perchè, è doveroso dirlo, i contatti con i vari componenti degli stessi non erano sempre improntati alla più schietta cordialità, (anche se, nel caso del C.L.N. dell'alta Val Tanaro, avevamo sempre trovato la massima comprensione.) Per Osvaldo invece le sue esperienze antecedenti (Commissario della quinta Brigata della Cascione e Commissario della Divisione Bonfante) lo avevano lasciato assai diffidente.
Arrivammo a Viozene e ci sistemammo in una frazione del paese. Subito dopo mi recai a salutare Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria]. Mi feci accompagnare da alcuni garibaldini, ma lasciai Lazzaro con Lello e gli altri, raccomandando loro di fare in modo che non rimanesse mai solo. Curto mi chiese notizie della Brigata alpina, dei Distaccamenti, dei loro Comandanti. Lo informai di Rustida, forse era stato il primo ex Sanmarco a diventare Comandante di Distaccamento, gli raccontai della sua eroica morte e il duro Curto mi disse: «Immagino quello  che provi, perché so che eravate uniti; il tuo grande difetto è che ti affezioni troppo ai tuoi uomini migliori, e in guerra, in special modo nella guerra partigiana, questo porta indubbiamente dei vantaggi. Ma si corre anche il rischio, nel caso della perdita di uno di questi, di non essere abbastanza sereni». Capii che lui, in quel momento, pensava alla morte di Giulio e di Cion e al suo errato comportamento a Carnino; lo interruppi e gli disssi: «Tu pensi a Upega; ma io sono certo che, se non avessimo avuto la disgrazia di avere con noi il Prof., le cose sarebbero andate in altro modo. «Puoi anche avere ragione», rispose.
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Op. cit., p. 187
 
Sabato 7 dicembre, l’Istituto Storico per la Resistenza e l’età Contemporanea della Provincia di Imperia - ISRECIM ha dedicato il suo prestigioso Archivio con una targa (allegata) alla memoria dei Fratelli Libero, Angioletta e Lello Nante, distintisi nella guerra partigiana combattuta sulle montagne della nostra I Zona Liguria (geograficamente compresa tra Ventimiglia e Ceriale).
Lo storico Ferruccio Iebole ha arricchito la cerimonia con una interessante commemorazione.
All’inizio del 1944, sfuggiti alla persecuzione nazifascita, con i genitori Coluccio e Nannina, dalla natia Oneglia a Viozene, i tre ragazzi vennero reclutati dal mitico Comandante Partigiano Nino Siccardi (Curto) ed adibiti i primi due (Libero, ventiquattrenne, studente di Medicina, Angioletta, quindicenne) all’organizzazione di un ospedaletto da campo ed il terzo (ventenne) alla prima linea.
A seguito del terribile rastrellamento di Upega, che costrinse i Partigiani, decimati, ad una epica ritirata tra le montagne ghiacciate, la famiglia, in ordine sparso, si ritrovò sul versante piemontese, a Fontane, in val Corsaglia. Qui Lello venne nominato Vice Comandante della neocostituita VI Brigata del celebre Fra Diavolo e Libero venne inviato, con compiti ufficialmente sanitari e, meno dichiarati, informativo-esplorativi, ad Alto in Val Pennavaire.
Iebole ha raccontato di quando Libero, in missione, sfuggì ad un agguato, avendo incontrato nel bosco una ambigua donna, che fungeva da guida ad una colonna nazifascista. Della donna in seguito si persero le tracce. In assoluta anteprima Iebole ha svelato, per l’occasione, l’identità della donna. Le sue ricerche, infatti, lo hanno portato ad identificarla in Oliva Fioretta Cordella, nata 1913 nel Bellunese, coniugata e residente a Vado Ligure, impiegata nella Croce Rossa savonese: essa si trovava ausiliaria della suddetta colonna nazifascista, dalla quale veniva anche utilizzata come spia per la sua fisica avvenenza e per il suo bilinguismo italiano e tedesco. Come tale venne in seguito giustiziata in segreto, tanto che nemmeno gli stessi Comandi partigiani seppero riferirne a Libero a fine guerra.
Di Lello, oltre al valore militare, Iebole ha raccontato l’equilibrio, quando Presidente del Tribunale Partigiano, emise nei confronti di un informatore fascista un giudizio di “pacatezza sconosciuta per quei tempi per la gravità delle colpe”. La sentenza di morte fu, infatti, tramutata da Lello in ammenda di 200.000 lire, molto utili al sostentamento della Brigata. “Che  differenza tra giustizia partigiana e giustizia fascista ! Semi di una pacificazione già presenti prima che fossero deposte le armi; l’impiego della ragione precedeva le vendette e i giorni  difficili dell’ira!” Libero concluse la sua militanza ribelle scendendo, il 25 aprile 1945, ad Albenga con il suo distaccamento ed organizzando, nell’ospedale cittadino, corsie per soccorrere i partigiani feriti. Poi ivi rimase come Medico Condotto dell’entroterra ed in seguito creatore delle due case di cura Villa Salus e Clinica San Michele. Angioletta (che in montagna gli era stata “staffetta” e “aiutante”) si fermò con lui ad Albenga, mentre Lello tornò, operaio, ad Imperia [...]
Redazione, Svelata targa alla memoria dei fratelli Nante: anche la città di Albenga presente alla cerimonia, La Voce di Genova.it, 9 dicembre 2019

lunedì 8 marzo 2021

La granata ha colpito il capannone

Carpenosa, Frazione di Molini di Triora (IM) - Fonte: Google

Carpenosa: gruppo di case sparse, adagiate sulla strada che da Badalucco e Montalto Ligure porta a Molini di Triora e Triora. Al suo fianco scorre l'Argentina, quel torrente che dà il nome alla vallata e che tanta parte ha avuto nel corso della lotta resistenziale.
La valle Argentina è la zona della V^ Brigata di «Vittò» [Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo], una formazione ed un comandante dal prestigio indiscutibili; un binomio legato ad una corona di successi popolari, di sacrifici, di somma determinazione e di umanità senza limiti.
L'Argentina ha conosciuto dei giovani indimenticabili, parte dei quali passati come splendide meteore dopo avere esaurito, in qualche mese, tulle le energie vitali di un'esistenza. Ma, molti di essi, sono sopravvissuti ad un'epopea irripetibile, passati sull'orlo degli abissi mortali presso cui hanno vissuto sempre, fino a quel 25 aprile conquistato con una determinazione inarrestabile.
Carpenosa è un piccolo punto e pochi fumaioli, quasi nascosti e timidi. Ma intorno a quelle poche case, più di una volta si intrecciano e si alternano le raffiche delle schiere nemiche e gli attacchi partigiani che, partendo come aquile dai punti più alti di Langan, Cima Marta, Triora, ogni tanto lasciano il segno sulla postazione nazifascista. Oltre che dai distaccamenti 4° e 5°, il presidio è frequentemente molestato anche dalla formazione di Gino Napolitano (Gino) che conta una cinquantina di uomini. Verso la metà di giugno «Gino» è pronto per uno scontro più impor­tante del solito. La presa della casermetta di Carpenosa gli permetterà di dare un'adeguata sede al suo distaccamento. «Gino» già da tempo esercita pressione sulla guarnigione di Carpenosa, affinché si arrenda. Ma la trattativa diventa lunga, sicché, spazientito il Comandante partigiano manda l'ultimatum al presidio: «Arrendersi entro la domenica successiva. In caso contrario i garibaldini passeranno all'attacco».
Domenica, diciotto giugno 1944, giornata splendida: il distaccamento di «Gino», della IX^ Brigata, è sul campo per sostenere la prima prova veramente dura, dopo le precedenti azioni ed i colpi di mano di minore entità. Ore 11 e 30: ora è alto il sole della morente primavera. Trentadue partigiani partecipano all'azione e preparano l'attacco alla postazione tedesca di Carpenosa.
Ore 12, ecco la notizia: sale un camion pieno zeppo di nazisti accorrenti in aiuto del presidio. La tensione è al massimo ed i garibaldini fremono, piazzati sul costone di un'altura donde è agevole dominare la strada ed il nemico.
Ma il camion non è isolato: è il primo di un'intera colonna composta di sette camion gremiti di soldati. Inoltre, ci sono due autoblinde ed altre truppe armatissime, appoggiate dal tiro di un cannone da 75 mm.
È proprio giunto per il distaccamento di «Gino» il battesimo del fuoco.
Anche gli uomini di «Marco» [Candido Queirolo] partecipano all'attacco e si battono bene sul campo di battaglia.
I garibaldini si dispongono a difesa in ordine sparso dietro i cespugli, mentre la staffetta Aldo Barbieri si reca in motocicletta verso Carmo Langan per chiedere rinforzi al 5° distaccamento. Ma il comandante «Vittò» non è presente, essendo già partito in missione per Pigna e Passo Muratone. Non sono rimasti all'accampamento che un centinaio di uomini.
«Erven» [Bruno Luppi] non esita un istante ed assume il comando dei garibaldini presenti anche perché, da tempo, sta ascoltando i colpi delle armi da fuoco di cui non conosce la località di provenienza. Ora è avvisato ed è giunto il momento dell'azione.
A Langan è in dotazione un mortaio da 81 mm giunto dal Piemonte privo del congegno di puntamento e della piastra di basamento. Ciò, nei giorni precedenti, aveva costretto «Erven» a complicate manovre per rendere l'arma funzionante. La formazione è dotata pure di un mortaio da 45mm, due mitragliatrici pesanti e vari mitragliatori.
Tutte le armi ed un certo numero di garibaldini sono ora sul camion che «Vittò» aveva sottratto ai Tedeschi in Val Gavano il 9 di giugno. L'automezzo si avvia veloce verso il luogo dello scontro. Agli altri, «Erven» dà l'ordine di raggiungerlo a piedi, il più rapidamente possibile.
Nel frattempo, la posizione dei partigiani impegnati nella battaglia si aggrava.
Attesa: i nazisti avanzano, piazzano il cannone e le autoblinde. Iniziano il fuoco con fracasso enorme. Bombardano anche case e casoni, né risparmiano San Faustino.
Il silenzio secolare di quei luoghi è interrotto dallo schianto delle bombe che, come sempre, incute terrore e causa distruzione e morte, mentre l'eco lugubre rimbalza tra le valli.
Agostino Moraldo, meglio conosciuto come «Luigi» o «Petrin di Creppo», giace sul campo di battaglia, ferito gravemente al ventre da una scheggia di mortaio.
Trascorre lento il tempo: un po' di tregua, un po' di quella musica dei cannoni. I reparti tedeschi avanzano lentamente e giungono vicini: ora le armi automatiche partigiane sono efficaci. Fuoco nutrito ed i Tedeschi arretrano, per poi avvicinarsi ancora. I partigiani riaprono il fuoco, ed i Tedeschi arretrano nuovamente. Poi, come un'altalena, ancora per varie volte.
Nel campo garibaldino c'è entusiasmo e decisione anche se la superiorità numerica e di mezzi dei nazisti è notevole, aggirandosi approssimativamente sulle quattrocento unità.
Il pomeriggio è già inoltrato. Il tempo passa lento. Le munizioni incominciano a mancare. Le armi automatiche dei garibaldini ora tacciono. Solamente la mitragliatrice di Nuvoloni e dei suoi aiutanti risponde ancora al nemico come il canto dell'ultima cicala. Un'ultima raffica ferma alcuni nazisti. Poi tace.
Ad un certo momento gli uomini di «Marco» e di «Gino» si trovano semiaccerchiati dai Tedeschi, i quali attendono l'occasione per schiacciarli. Sui partigiani incombe il pericolo della strage e della morte.
All'improvviso si scorge, ancora molto lontana, una fila di uomini armati. Interminabili momenti di incertezza. Poi giunge il camion con i rinforzi partigiani. Non tutti gli stati d'animo si possono descrivere. Certi fatti restano soltanto impressi negli occhi per tutta una vita e nella gola par quasi s'incrocino groppi che impediscono pianto, riso, pazzia di gioia e d'amore nel contempo. Tale è il momento dell'incontro. «Erven» rincuora «Marco» già stanco e demoralizzato. «Moscone» [Basilio Mosconi] e «Guido di Cetta» appena scesi dal camion si portano avanti e mettono in funzione le mitragliatrici ed i mitragliatori. È fermata l'avanzata dei Tedeschi, sorpresi dalla ripresa della lotta. Le perdite naziste aumentano.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) Vol. II: Da giugno ad agosto 1944, volume edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, pp. 80-82

Agaggio Inferiore, Frazione di Molini di Triora (IM) - Fonte: Mapio.net

Episodio raccontato da «Gino» (Gino Napolitano)
:
Nel mese di giugno del ’44 m’ero portato ad Agaggio inferiore col mio distaccamento composto da cinque uomini. Eravamo poco armati, ma pieni di entusiasmo: numerose piccole azioni, agguati e colpi di mano ci erano riusciti benissimo e avevano messo in noi la smania di affrontare il nemico in forze, certi di poterlo battere. In verità sino a quel momento lo avevamo sempre vinto: numerose piccole stazioni di tedeschi e di fascisti erano state eliminate e ovunque incontravamo le pattuglie nemiche le volgevamo in fuga, tant’era l’ardore che i miei uomini ponevano nella lotta. Si mangiava poco, ma si faceva il proprio dovere “senza mugugni”. E se si riusciva a catturare un moschetto da carabiniere, di quelli con la cinghia bianca, era per noi una festa. Ero dunque ad Agaggio. Avevo intavolato trattative col presidio nemico di Carpenosa composto di sette guastatori e di due tedeschi per convincerli ad arrendersi: avevo bisogno di far riposare i miei uomini in un luogo decente e Carpenosa faceva al caso mio. Il nemico tergiversava. Io cominciavo a diventar furioso. Un venerdì inviai un mio garibaldino a Carpenosa con l’incarico di riferire al Presidio che se entro la domenica successiva non avesse capitolato avrei sferrato l’attacco. Ci risposero che avrebbero meditato sull’ultimatum. La notte fra il sabato e la domenica feci i preparativi e la domenica mattina alle 11,30 ero in posizione. Si trattava del mio primo attacco in forze e volevo vincere ad ogni costo. Avevamo con noi un mortaio da 45 che Minorato mi assicurava di saper manovrare molto bene, il che si dimostrò vero durante l’azione. Piazzai il mortaio su un’altura dove scaglionai i miei uomini in modo da dominare il nemico e la rotabile. Temevo una sorpresa e, infatti, la sorpresa venne. Alle 11,50 sulla strada sotto di noi apparve un camion pieno di tedeschi che veniva su arrancando. Evidentemente il presidio di Carpenosa, invece di arrendersi, aveva chiesto rinforzi per tentare di eliminarci. Decisi di rimanere sul posto anche se tutta la forza nemica della provincia fosse venuta su: il pensiero di dare una lezione memorabile ai nazifascisti sommergeva ogni prudenza: ne ero ossessionato e i miei uomini mostravano la stessa volontà. Ordinai a Minorato di aprire il fuoco. Fu un colpo magnifico: al primo sparo il camion venne preso in pieno. Scorgemmo il proiettile scoppiare con un gran rombo sul cofano e i tedeschi saltar giù in preda al panico. Urlammo di entusiasmo mentre il nemico si buttava in un tombino della strada. Lanciai un gruppo di uomini innanzi. I miei ragazzi scesero di corsa come se andassero a una festa: pugnale fra i denti, le bombe a mano pronte. S’arrestarono a pochi metri dalla strada e lasciarono cadere una pioggia di bombe sul nemico che non tentò alcuna reazione. Scorsi però in distanza altri camion nemici che risalivano la strada. Li contai: erano nove e tutti fortemente carichi e, fra l’altro, uno di essi trasportava un cannoncino da 75. L’affare cominciava a diventar grosso. La mia sola forza non sarebbe bastata a tenere testa a tre o quattrocento uomini armati di artiglieria. Disposi la mia truppa in posizione di resistenza, scaglionandola tra gli alberi, al coperto delle rupi e inviai una staffetta veloce al comandante Vittò perché mi inviasse rinforzi. Ed attesi. Il nemico non osava avanzare. Aveva arrestato i suoi veicoli a qualche chilometro da noi spostando lentamente le sue truppe avanti, fuori dal tiro delle nostre armi ponendo il cannone in postazione. Poco dopo cominciò il tiro. I colpi scoppiavano tra gli alberi con un rumore che gli echi della valle centuplicavano. Noi tirammo due o tre volte col mortaio, ma le munizioni erano scarse ed il nemico troppo lontano perché il nostro tiro potesse essere efficace e perciò ordinai di cessare il fuoco. Le ore passavano: i tedeschi continuavano a bombardarci ad intervalli. Essi avanzarono ancora fino a giungere a tiro delle nostre armi automatiche. Le impugnammo immediatamente ed il nemico si ritirò. La manovra venne ripetuta parecchie volte, ma, ogni volta, il tedesco fu costretto a ripiegare subendo perdite. Le nostre erano leggere: Petrino era stato ucciso e qualche ferito giaceva al suolo.
Il nostro morale era altissimo. Balzavamo di riparo in riparo come dannati, noncuranti dello scoppio dei proiettili avversari e freschi malgrado l’azione continuasse per ore ed ore. Nel tardo pomeriggio vedemmo spuntare su una cresta al di sopra di noi un gruppo di uomini: erano i rinforzi di Vittò che giungevano. E giungevano portandoci un aiuto prezioso: un mortaio da 81!
Credo ballassi dalla gioia! Ero esultante. Ponemmo il mortaio in postazione ed iniziammo un tiro accelerato. Nello stesso tempo mandai avanti gruppi di garibaldini per impegnare il nemico in combattimento ravvicinato. Scendevo con loro allo scoperto, tra le palle che sibilavano: l’ebbrezza della lotta ci aveva fatto perdere il senso della realtà. Si andava incontro alla morte con passo franco e cuor leggero e la vita, pur sotto la minaccia fatale, ci sembrava una bella e magnifica avventura. Il nemico non ci attese. Lo vedemmo sbandarsi, abbandonare le sue posizioni, correre disordinatamente verso le macchine ferme, montarvi sopra, abbandonando il cannone che recuperammo, sebbene inservibile, e fuggire a tutta velocità inseguito dai nostri colpi. Alle 9 occupammo Carpenosa completamente abbandonata. Il nemico ebbe numerose perdite: trovammo tutto l’equipaggio del primo camion ucciso sulla strada. I resti del camion stesso sono ancora abbandonati sulla scarpata. Nel complesso i tedeschi perdettero oltre 80 uomini fra morti e feriti: un quarto almeno delle forze impegnate nel combattimento.
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 119-121


La cava di Carpenosa. Foto: Eraldo Bigi

Ormai è chiaro: la Resistenza non sarà battuta malgrado la sua solita inferiorità in numero e mezzi.
Ora i garibaldini sviluppano un fuoco nutrito che provoca scompiglio tra le fila naziste. «Erven», intanto, non perde tempo e piazza da posizione arretrata il suo mortaio da 81. È vicino alla Fereira. Pepin Lantrua, da un rifugio del sottostrada, lo avvisa che c'è un gruppo di partigiani circondati. Il Lantrua, padre di due garibaldini, indica anche ad «Erven» la posizione in cui si trovano i Tedeschi (che, a loro volta, tentano di colpire il mortaio con colpi di cannone) e lo invita a puntare l'arma in direzione di un olmo distante circa trecento metri.
Inizia il tiro dei mortai ed una vedetta segnala ad «Erven» di allungare la traiettoria di una cinquantina di metri. Il colpo successivo centra un camion di truppa. È il primo sostanzioso successo.
Ma i colpi del cannone nemico si avvicinano ed il mortaio è continuamente spostato per non essere colpito.
Quello che accade poco dopo ha dell'incredibile. Un altro colpo e poi si ode un fragore immenso e dal luogo dove sono i Tedeschi si leva una grande colonna di fumo. La granata ha colpito il capannone in cui era situato il dispositivo per il brillamento del campo presso la casermetta di Carpenosa, precedentemente minato dai nazifascisti. Gli effetti sono terribili. Salta pure un tratto di strada.
Intanto, dopo un altro paio di colpi sparati con bombe a grande capacità, il mortaio perde la sua stabilità e diventa inservibile. In mezzo all'immane scoppio, incalzati dal fuoco delle mitraglie, ai Tedeschi non resta che abbandonare il campo dopo aver caricato sugli automezzi tutto il possibile. «Erven» scende verso il basso, con «Marco» attraversa la passerella sull'Argentina e sale a San Faustino per avere una visione del campo di battaglia. I due, affamati, chiedono del pane di cui sentono un fragrante profumo. Un vecchio gliene offre uno grosso, invitandoli a desistere dalla lotta per il timore che i Tedeschi li uccidano tutti. Poi, da una posizione elevata si recano ad osservare la zona. Ai loro occhi si presenta un vero e proprio paesaggio bellico: sul terreno, sconvolto dalle bombe di mortaio, giacciono sparsi corpi umani. I Tedeschi in quel giorno non nuocera nno alle popolazioni dei nostri paesi. Sono fuggiti tutti precipitosamente con il ricordo di una sconfitta vera e propria.
Ore 21: la Resistenza entra in Carpenosa tra l'incredulità degli abitanti dei paeselli all'intorno che temevano veramente per la vita di quei giovani. Ma il miracolo è accaduto e c'è il ritorno agli accampamenti, nella notte, accompagnati dalle canzoni dei «ribelli». (5)
Il 20 di giugno nell'ospedale di Triora cessa di vivere Agostino Moraldo, rimasto gravemente ferito nella battaglia. Il democratico e libero Comune di Triora sostiene le spese del funerale in segno di perenne riconoscenza verso colui che, vittima di una nobile scelta di vita, onorando i suoi concittacUni, tutto ha dato senza nulla chiedere per la causa della libertà. Quando la salma esce dalla chiesa rintoccano le campane e  portano tanta tristezza nel cuore di  tutti.
Il distaccamento di «Gino» si trasferisce a Carpenosa.
Un altro importante punto strategico dell'Argentina è liberato in quell'esaltante mese di giugno per le forze della Resistenza.
Le perdite dei Tedeschi nello scacco subito a Carpenosa sono state variamente segnalate: Gino Napolitano afferma che il nemico ha lasciato sul terreno oltre 80 uomini tra morti e feriti. Da un racconto di Italo Calvino i morti risultano 72. Da una relazione scritta e non firmata le perdite naziste ammontano a 173 uomini, un camion, cinquanta litri di benzina e materiale vario. Gino Glorio (Magnesia) nel suo diario fa risalire ad alcune decine il numero dei Tedeschi messi fuori combattimento. A noi, sinceramente, alcune cifre appaiono un po' gonfiate. Ma diciamo che le perdite tedesche a Carpenosa non furono poche.
(5) A detta di Ernesto Corradi (Nettù) *, anche il 7° distaccamento ha preso parte alla battaglia, in forma autonoma dalle altre formazioni partigiane.
Riviviamone le vicende attraverso una relazione scritta dal Comandante stesso: "Due giorni prima la banda «Nettù» era partita da Carmo Langan per una missione a Baiardo. Il giorno dopo, sulla via del ritorno, a causa di un violento temporale, gli uomini, inzuppati e fradici per l'acquazzone sopravvenuto, sono costretti a pernottare in un casone semidistrutto. All'alba, confortati dal tempo rimesso al bello, si rimettono in marcia. Arrivati all'accampamento chi ha la possibilità di farlo si cambia gli abiti. All'improvviso giunge una staffetta per chiedere urgenti rinforzi. «Nettù» raduna i partigiani disponibili, i quali, alla svelta, si incammminano per una destinazione non ancora ben precisata a sud di Molini di Triora. «Nettù» si presenta a «Erven» ed a «Marco» e riceve l'ordine di portarsi su San Faustino con l'aiuto di una guida. Questa conduce i garibaldini nei pressi del luogo destinato e si allontana. Il Comandante si inoltra nella borgata e vede alcuni Tedeschi scendere precipitosamente verso il fondovalle. Con i suoi uomini cerca di inseguirli. Ad un tratto scorge, sull'altra riva del torrente, dei nazisti che stavano sparando da un bosco di castagni. Il distaccamento «Nettù» apre il fuoco con la mitragliatrice ed avanza verso i nemici. Mentre attraversa il ponticello vicino alla caserma di Carpenosa s'ode uno spaventoso fragore di esplosione. Un lungo tratto di strada è distrutto. Gli uomini entrano poi nel boschetto e trovano un gran disordine, zaini, elmetti forati, chiazze di sangue. Sulla carrozzabile, dietro la curva, un camion inservibile ma con un serbatoio di scorta pieno di benzina (che in seguito si recupererà). La sera la banda «Nettù» è invitata dalla popolazione a Molini di Triora ed il mattino seguente ritorna a Carmo Langan..."
Carlo Rubaudo, Op. cit., pp. 82-84  

* [Sulla controversa figura di Ernesto Netu/Netù Corradi si possono leggere alcuni significativi passi in La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020]

Dintorni di Carpenosa, Frazione di Molini di Triora (IM) - Fonte: Google

Gli uomini di Vittò si preparano velocemente le armi per l’azione. Il distaccamento possedeva allora un mortaio da 81 […] le squadre mortai e mitraglieri, al comando di Erven, scendono in camion […] Cosa succede intanto a Carpenosa? I tedeschi, con quattro o cinque cannoni e lanciabombe, tirano sulla parte superiore del costone […].
Fu allora che cadde, ferito dalle scheggie, il garibaldino Petrin di Creppo. Le sorti della battaglia arridono ai nazisti […]. Alle nostre mitraglie non resta che ritirarsi. Solo una, la più avanzata, […] tra i cespugli rimane isolata: era la mitragliatrice del futuro eroe garibaldino Luigi Nuvoloni [Grosso] […] i tedeschi riguadagnano i camions e stanno per prendere la via del ritorno, quando, a un dato momento, il mortaio tace.
Cosa era successo?
Facciamo un passo indietro e torniamo ad Erven […].
Che cosa è successo? […] Una fila di uomini stracciati, vestiti delle divise più disparate, i partigiani insomma che scendono verso Carpenosa. Marco e Erven si precipitano per unirsi a loro e avanzare insieme. Sulla strada si imbattono in un camion sfasciato in mezzo a pozze di sangue, brandelli di carne umana, scheggie di mortai, mitragliatori, elmetti, fucili […] La grande esplosione era dovuta alla strada saltata in aria […]
La sera vede il trionfo dei garibaldini vincitori tributato loro dalla popolazione d’Agaggio. Suggestivo è il ritorno: nella notte la fila dei partigiani si snoda verso gli accampamenti al canto dei loro inni.
Fu questa una delle più cruenti sconfitte tedesche nella nostra zona. Settantadue morti ed un numero imprecisato di feriti ne segnano il sanguinoso bilancio.
Mario Mascia, Op. cit., pp. 236-238