sabato 13 marzo 2021

Attacco partigiano alla postazione B7

Dintorni di Molini di Triora (IM) - Fonte: mapio.net

Il 3 o il 4 giugno [1944], qualche giorno prima dello sbarco alleato in Normandia, vi è l'attacco alla postazione «B7».
Vittò [Giuseppe Vittorio Guglielmo], Erven [Bruno Luppi], Tento e Marco [Candido Queirolo], sebbene già divisi nei due distaccamenti, decidono di attaccare insieme la postazione «B7», situata nella zona di Perallo [Frazione di Molini di Triora (IM)], villaggio che è su per giù a metà strada fra Molini di Triora e Carmo Langan.
Il comando dell'azione è affidato a Moscone (Basilio Mosconi), ora con Tento [Pietro Tento] e Marco, e già scelto per comandare un nuovo eventuale distaccamento. Egli diventerà infine comandante del Battaglione «Marco Dino Rossi» (2° Battaglione della V Brigata).
Il 4° distaccamento (Marco e Tento) scende da Gerbonte; il 5° (Vittò e Erven) scende dalle alture che sono sopra Carmo Langan; s'incontrano a Loreto.
Il distaccamento di Marco e Tento partecipa al completo, tutto in un solo gruppo, all'azione contro la «B7».
Il distaccamento di Vittò e di Erven viene diviso in due gruppi: uno di questi, nel quale vi sono Vittò ed Erven, partecipa direttamente all'azione contro la «B7», mentre l'altro viene mandato in Molini.
Il comando dell'azione, come si è detto, è affidato a Mosconi, del 4° distaccamento. Mosconi, ex sergente maggiore non di carriera del disciolto esercito, precisa con particolare accuratezza il modo di condurre l'attacco: spiega il compito di ogni uomo, di ogni arma, la prudenza per evitare le mine seminate intorno alla postazione, l'ora dell'inizio dell'attacco, il segnale (inizio: ore l2 esatte; segnale: un colpo di pistola).
La postazione è vicina alla strada, proprio dove questa disegna una curva; ed è all'interno della curva stessa.
I partigiani si portano sul posto e si dispongono a semicerchio, distribuendosi sopra, sotto e lateralmente, al di là della strada; in modo che la strada resta fra essi e la postazione.
Esattamente alle ore 12, come convenuto, Mosconi dà il segnale con un colpo di pistola, e viene iniziato l'attacco col mortaio da «45», con fucili e con bombe a mano tedesche dal manico lungo; il mortaio, affidato a Milorato, era piazzato presso un castagno, a monte della postazione.
Colti di sorpresa, i militi fascisti (forse 12 o 15) si rinchiudono nella capanna che è, press'a poco, al centro della postazione e nel punto più sporgente della curva; mentre due tedeschi corrono alle due mitragliatrici collocate una a monte e una a valle, e rispondono al fuoco.
Un proiettile spezza a Mosconi la penna del cappello alpino. Il castagno, dove stava Milorato col mortaio, era crivellato di colpi. Mentre un gruppo scelto di partigiani, cautamente a causa delle mine, si stava portando vicino alla baracca per assaltarla con le bombe a mano, Mosconi riesce a colpire con una bomba del mortaio la capanna. Avviene uno scoppio, che la fa saltare in aria, uccidendo i fascisti, che vi erano dentro; tutti gli altri uomini della postazione (due tedeschi e due italiani) sono fatti prigionieri; di essi, solo un italiano non è ferito, mentre sono feriti leggermente l'altro italiano e un tedesco, e gravemente l'altro tedesco.
Il tedesco gravemente ferito è portato nel vicino paese di Molini e affidato alle cure di un sacerdote; degli altri non si è potuto accertare se rimasero con i partigiani o se furono rimandati a casa; tuttavia si sa che non furono fucilati.
Marco, da Molini, manda un telegramma al Prefetto: «Comunichiamo espugnazione da parte nostra postazione B7 alt Provvedete voi ritirare vostri morti alt Noi sprovvisti becchini alt». Firmato: «I ribelli».
Nella notte vennero i pompieri a ritirare le salme dei fascisti caduti.
Frattanto, l'altro gruppo del 5° distaccamento, mandato in Molini prima dell'attacco alla «B7», nel suddetto paese aveva preso in consegna un camion, affidato ai partigiani dal proprietario allo scopo di sottrarlo ai tedeschi, che volevano requisirlo.
Dopo che la «B 7» fu presa, il sopra menzionato gruppo del 5° distaccamento fece passare il camion avuto in consegna, che venne quindi avviato alla montagna, e - passato il camion - fece saltare il ponte della strada fra Molini e Langan.
L'azione contro la «B7», di cui si è ora parlato, avvenne due o tre giorni prima dello barco alleato in Normandia; e quindi, come si è detto, il 3 o il 4 giugno.
Dopo l'azione contro la «B7», il 5° distaccamento (Vittò ed Erven) fa la sosta di un giorno; poi va a prendere accantonamento nelle caserme di Carmo Langan. In questa nuova sede si trasferisce il giorno dello sbarco in Normandia, quindi il 6-6-44.
I partigiani si stabiliscono anche in qualche casa, che poi verrà bruciata dai nazifascisti (casa di Lanteri Cesira). Compito del 5° distaccamento era di controllare la Val Roia e la Val Nervia, oltreché di fronteggiare la postazione tedesca di Monte Ceppo. Infatti in questa località, che in linea d'aria dista circa km.5 da Carmo Langan, i tedeschi avevano ancora ingenti forze; e d'altra parte la località stessa era di particolare importanza, perché da essa si domina la zona di Carmo Langan, che è un po' a nord ovest, e quella di Baiardo, che è un po' a sud ovest; e, in più, per Monte Ceppo passa una strada che collega le strade di Carmo Langan e di Baiardo, consentendo l'accesso alla montagna e all'interno da disparatissimi punti.
A sua volta il 4° distaccamento (Tento e Marco), subito dopo il fatto della «B7», prende posto a Triora. Carmo Langan è nodo stradale importantissimo, perché vi si incontrano le strade che vanno, fra l'altro, a Pigna, a Cima Marta, a Molini di Triora, a Baiardo.
Per dare, a questo punto, un'idea della situazione stradale in generale, giova richiamare l'attenzione sulle seguenti arterie principali:
1) strada Ventimiglia o Piani di Vallecrosia - Camporosso- Isolabona - Pigna - Carmo Langan - Molini di Triora - Passo della Teglia - Bosco di Rezzo - Rezzo - Pieve di Teco - Albenga;
2) strada  Isolabona - Apricale. Baiardo - Vignai - Badalucco;
3) strada Arma di Taggia - Badalucco - Molini di Triora;
4) strada Badalucco - Carpasio - Colle d'Oggia - San Bernardo di Conio - Bosco di Rezzo (fino alla prima delle arterie sopra elencate);
5) strada San Bernardo di Conio - Colle San Bartolomeo;
6) strada San Bernardo di Conio - Colle d'Oggia - Borgomaro - Chiusavecchia;
7) strada Colle San Bartolomeo - Caravonica - Chiusavecchia;
8) statale «28», che, partendo da Imperia, passa per Chiusavecchia, Colle San Bartolomeo, Pieve di Teco, e quindi permette di accedere da Imperia e dal Piemonte, oltre che da Albenga e da Ventimiglia, alle strade già menzionate;
9) strada che, partendo dalla statale «28» a valle di Chiusavecchia, passa per Gazzelli, Chiusanico e Torria, e si ricollega alla statale «28» a valle di Cesio;
10) strada Carmo Langan - Cima Marta - Galleria del Garezzo - San Bernardo di Mendatica - statale «28» (innesto presso Case di Nava);
11) strada Via Aurelia - Ceriana - Baiardo;
12) strada Sanremo - San Romolo - Case Morini - Baiardo;
13) strada Sanremo - San Romolo - Perinaldo;
14) strada Ospedaletti - San Romolo;
15) strada Via Aurelia - Vallecrosia - Perinaldo;
16) strada  Perinaldo - Apricale;
17) strada Camporosso - Ciaixe - Monte Baraccone -  Ponte Raggio - Ponte Barbaira - Isolabona;
18) strada Camporosso - Ciaixe - Monte Baraccone - Margheria dei boschi - Pigna;
19) strada statale n. 20 o strada statale della Val Roia;
20) strada che si stacca dalla statale n. 20, a pochi chilometri da Ventimiglia, e - per mezzo di due tronconi - si collega alla strada che, partendo da Camporosso, passa per Ciaixe;
21) strada di Bevera, che, partendo dall'Aurelia, passa per Bevera, e si im mette nella statale n. 20 a valle di Airole.
Dalla sopra descritta rete stradale appare quanto fosse facile una penetrazione nell'interno;  e risulta altresì come Carmo Langan fosse uno dei nodi più importanti per la penetrazione stessa.
Dopo lo sbarco in Normandia, il 5° Distaccamento (Vittò ed Erven) si ingrossa fino a raggiungere, entro il 15 giugno [1944], la forza di circa mezzo migliaio di uomini.
Cosa analoga avviene per il 4° Distaccamento (Tento e Marco), il quale, entro il 15 giugno, raggiunge la forza di circa 300 uomini.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 286-289


lunedì 8 marzo 2021

La granata ha colpito il capannone

Carpenosa, Frazione di Molini di Triora (IM) - Fonte: Google

Carpenosa: gruppo di case sparse, adagiate sulla strada che da Badalucco e Montalto Ligure porta a Molini di Triora e Triora. Al suo fianco scorre l'Argentina, quel torrente che dà il nome alla vallata e che tanta parte ha avuto nel corso della lotta resistenziale.
La valle Argentina è la zona della V^ Brigata di «Vittò» [Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo], una formazione ed un comandante dal prestigio indiscutibili; un binomio legato ad una corona di successi popolari, di sacrifici, di somma determinazione e di umanità senza limiti.
L'Argentina ha conosciuto dei giovani indimenticabili, parte dei quali passati come splendide meteore dopo avere esaurito, in qualche mese, tulle le energie vitali di un'esistenza. Ma, molti di essi, sono sopravvissuti ad un'epopea irripetibile, passati sull'orlo degli abissi mortali presso cui hanno vissuto sempre, fino a quel 25 aprile conquistato con una determinazione inarrestabile.
Carpenosa è un piccolo punto e pochi fumaioli, quasi nascosti e timidi. Ma intorno a quelle poche case, più di una volta si intrecciano e si alternano le raffiche delle schiere nemiche e gli attacchi partigiani che, partendo come aquile dai punti più alti di Langan, Cima Marta, Triora, ogni tanto lasciano il segno sulla postazione nazifascista. Oltre che dai distaccamenti 4° e 5°, il presidio è frequentemente molestato anche dalla formazione di Gino Napolitano (Gino) che conta una cinquantina di uomini. Verso la metà di giugno «Gino» è pronto per uno scontro più impor­tante del solito. La presa della casermetta di Carpenosa gli permetterà di dare un'adeguata sede al suo distaccamento. «Gino» già da tempo esercita pressione sulla guarnigione di Carpenosa, affinché si arrenda. Ma la trattativa diventa lunga, sicché, spazientito il Comandante partigiano manda l'ultimatum al presidio: «Arrendersi entro la domenica successiva. In caso contrario i garibaldini passeranno all'attacco».
Domenica, diciotto giugno 1944, giornata splendida: il distaccamento di «Gino», della IX^ Brigata, è sul campo per sostenere la prima prova veramente dura, dopo le precedenti azioni ed i colpi di mano di minore entità. Ore 11 e 30: ora è alto il sole della morente primavera. Trentadue partigiani partecipano all'azione e preparano l'attacco alla postazione tedesca di Carpenosa.
Ore 12, ecco la notizia: sale un camion pieno zeppo di nazisti accorrenti in aiuto del presidio. La tensione è al massimo ed i garibaldini fremono, piazzati sul costone di un'altura donde è agevole dominare la strada ed il nemico.
Ma il camion non è isolato: è il primo di un'intera colonna composta di sette camion gremiti di soldati. Inoltre, ci sono due autoblinde ed altre truppe armatissime, appoggiate dal tiro di un cannone da 75 mm.
È proprio giunto per il distaccamento di «Gino» il battesimo del fuoco.
Anche gli uomini di «Marco» [Candido Queirolo] partecipano all'attacco e si battono bene sul campo di battaglia.
I garibaldini si dispongono a difesa in ordine sparso dietro i cespugli, mentre la staffetta Aldo Barbieri si reca in motocicletta verso Carmo Langan per chiedere rinforzi al 5° distaccamento. Ma il comandante «Vittò» non è presente, essendo già partito in missione per Pigna e Passo Muratone. Non sono rimasti all'accampamento che un centinaio di uomini.
«Erven» [Bruno Luppi] non esita un istante ed assume il comando dei garibaldini presenti anche perché, da tempo, sta ascoltando i colpi delle armi da fuoco di cui non conosce la località di provenienza. Ora è avvisato ed è giunto il momento dell'azione.
A Langan è in dotazione un mortaio da 81 mm giunto dal Piemonte privo del congegno di puntamento e della piastra di basamento. Ciò, nei giorni precedenti, aveva costretto «Erven» a complicate manovre per rendere l'arma funzionante. La formazione è dotata pure di un mortaio da 45mm, due mitragliatrici pesanti e vari mitragliatori.
Tutte le armi ed un certo numero di garibaldini sono ora sul camion che «Vittò» aveva sottratto ai Tedeschi in Val Gavano il 9 di giugno. L'automezzo si avvia veloce verso il luogo dello scontro. Agli altri, «Erven» dà l'ordine di raggiungerlo a piedi, il più rapidamente possibile.
Nel frattempo, la posizione dei partigiani impegnati nella battaglia si aggrava.
Attesa: i nazisti avanzano, piazzano il cannone e le autoblinde. Iniziano il fuoco con fracasso enorme. Bombardano anche case e casoni, né risparmiano San Faustino.
Il silenzio secolare di quei luoghi è interrotto dallo schianto delle bombe che, come sempre, incute terrore e causa distruzione e morte, mentre l'eco lugubre rimbalza tra le valli.
Agostino Moraldo, meglio conosciuto come «Luigi» o «Petrin di Creppo», giace sul campo di battaglia, ferito gravemente al ventre da una scheggia di mortaio.
Trascorre lento il tempo: un po' di tregua, un po' di quella musica dei cannoni. I reparti tedeschi avanzano lentamente e giungono vicini: ora le armi automatiche partigiane sono efficaci. Fuoco nutrito ed i Tedeschi arretrano, per poi avvicinarsi ancora. I partigiani riaprono il fuoco, ed i Tedeschi arretrano nuovamente. Poi, come un'altalena, ancora per varie volte.
Nel campo garibaldino c'è entusiasmo e decisione anche se la superiorità numerica e di mezzi dei nazisti è notevole, aggirandosi approssimativamente sulle quattrocento unità.
Il pomeriggio è già inoltrato. Il tempo passa lento. Le munizioni incominciano a mancare. Le armi automatiche dei garibaldini ora tacciono. Solamente la mitragliatrice di Nuvoloni e dei suoi aiutanti risponde ancora al nemico come il canto dell'ultima cicala. Un'ultima raffica ferma alcuni nazisti. Poi tace.
Ad un certo momento gli uomini di «Marco» e di «Gino» si trovano semiaccerchiati dai Tedeschi, i quali attendono l'occasione per schiacciarli. Sui partigiani incombe il pericolo della strage e della morte.
All'improvviso si scorge, ancora molto lontana, una fila di uomini armati. Interminabili momenti di incertezza. Poi giunge il camion con i rinforzi partigiani. Non tutti gli stati d'animo si possono descrivere. Certi fatti restano soltanto impressi negli occhi per tutta una vita e nella gola par quasi s'incrocino groppi che impediscono pianto, riso, pazzia di gioia e d'amore nel contempo. Tale è il momento dell'incontro. «Erven» rincuora «Marco» già stanco e demoralizzato. «Moscone» [Basilio Mosconi] e «Guido di Cetta» appena scesi dal camion si portano avanti e mettono in funzione le mitragliatrici ed i mitragliatori. È fermata l'avanzata dei Tedeschi, sorpresi dalla ripresa della lotta. Le perdite naziste aumentano.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) Vol. II: Da giugno ad agosto 1944, volume edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, pp. 80-82

Agaggio Inferiore, Frazione di Molini di Triora (IM) - Fonte: Mapio.net

Episodio raccontato da «Gino» (Gino Napolitano)
:
Nel mese di giugno del ’44 m’ero portato ad Agaggio inferiore col mio distaccamento composto da cinque uomini. Eravamo poco armati, ma pieni di entusiasmo: numerose piccole azioni, agguati e colpi di mano ci erano riusciti benissimo e avevano messo in noi la smania di affrontare il nemico in forze, certi di poterlo battere. In verità sino a quel momento lo avevamo sempre vinto: numerose piccole stazioni di tedeschi e di fascisti erano state eliminate e ovunque incontravamo le pattuglie nemiche le volgevamo in fuga, tant’era l’ardore che i miei uomini ponevano nella lotta. Si mangiava poco, ma si faceva il proprio dovere “senza mugugni”. E se si riusciva a catturare un moschetto da carabiniere, di quelli con la cinghia bianca, era per noi una festa. Ero dunque ad Agaggio. Avevo intavolato trattative col presidio nemico di Carpenosa composto di sette guastatori e di due tedeschi per convincerli ad arrendersi: avevo bisogno di far riposare i miei uomini in un luogo decente e Carpenosa faceva al caso mio. Il nemico tergiversava. Io cominciavo a diventar furioso. Un venerdì inviai un mio garibaldino a Carpenosa con l’incarico di riferire al Presidio che se entro la domenica successiva non avesse capitolato avrei sferrato l’attacco. Ci risposero che avrebbero meditato sull’ultimatum. La notte fra il sabato e la domenica feci i preparativi e la domenica mattina alle 11,30 ero in posizione. Si trattava del mio primo attacco in forze e volevo vincere ad ogni costo. Avevamo con noi un mortaio da 45 che Minorato mi assicurava di saper manovrare molto bene, il che si dimostrò vero durante l’azione. Piazzai il mortaio su un’altura dove scaglionai i miei uomini in modo da dominare il nemico e la rotabile. Temevo una sorpresa e, infatti, la sorpresa venne. Alle 11,50 sulla strada sotto di noi apparve un camion pieno di tedeschi che veniva su arrancando. Evidentemente il presidio di Carpenosa, invece di arrendersi, aveva chiesto rinforzi per tentare di eliminarci. Decisi di rimanere sul posto anche se tutta la forza nemica della provincia fosse venuta su: il pensiero di dare una lezione memorabile ai nazifascisti sommergeva ogni prudenza: ne ero ossessionato e i miei uomini mostravano la stessa volontà. Ordinai a Minorato di aprire il fuoco. Fu un colpo magnifico: al primo sparo il camion venne preso in pieno. Scorgemmo il proiettile scoppiare con un gran rombo sul cofano e i tedeschi saltar giù in preda al panico. Urlammo di entusiasmo mentre il nemico si buttava in un tombino della strada. Lanciai un gruppo di uomini innanzi. I miei ragazzi scesero di corsa come se andassero a una festa: pugnale fra i denti, le bombe a mano pronte. S’arrestarono a pochi metri dalla strada e lasciarono cadere una pioggia di bombe sul nemico che non tentò alcuna reazione. Scorsi però in distanza altri camion nemici che risalivano la strada. Li contai: erano nove e tutti fortemente carichi e, fra l’altro, uno di essi trasportava un cannoncino da 75. L’affare cominciava a diventar grosso. La mia sola forza non sarebbe bastata a tenere testa a tre o quattrocento uomini armati di artiglieria. Disposi la mia truppa in posizione di resistenza, scaglionandola tra gli alberi, al coperto delle rupi e inviai una staffetta veloce al comandante Vittò perché mi inviasse rinforzi. Ed attesi. Il nemico non osava avanzare. Aveva arrestato i suoi veicoli a qualche chilometro da noi spostando lentamente le sue truppe avanti, fuori dal tiro delle nostre armi ponendo il cannone in postazione. Poco dopo cominciò il tiro. I colpi scoppiavano tra gli alberi con un rumore che gli echi della valle centuplicavano. Noi tirammo due o tre volte col mortaio, ma le munizioni erano scarse ed il nemico troppo lontano perché il nostro tiro potesse essere efficace e perciò ordinai di cessare il fuoco. Le ore passavano: i tedeschi continuavano a bombardarci ad intervalli. Essi avanzarono ancora fino a giungere a tiro delle nostre armi automatiche. Le impugnammo immediatamente ed il nemico si ritirò. La manovra venne ripetuta parecchie volte, ma, ogni volta, il tedesco fu costretto a ripiegare subendo perdite. Le nostre erano leggere: Petrino era stato ucciso e qualche ferito giaceva al suolo.
Il nostro morale era altissimo. Balzavamo di riparo in riparo come dannati, noncuranti dello scoppio dei proiettili avversari e freschi malgrado l’azione continuasse per ore ed ore. Nel tardo pomeriggio vedemmo spuntare su una cresta al di sopra di noi un gruppo di uomini: erano i rinforzi di Vittò che giungevano. E giungevano portandoci un aiuto prezioso: un mortaio da 81!
Credo ballassi dalla gioia! Ero esultante. Ponemmo il mortaio in postazione ed iniziammo un tiro accelerato. Nello stesso tempo mandai avanti gruppi di garibaldini per impegnare il nemico in combattimento ravvicinato. Scendevo con loro allo scoperto, tra le palle che sibilavano: l’ebbrezza della lotta ci aveva fatto perdere il senso della realtà. Si andava incontro alla morte con passo franco e cuor leggero e la vita, pur sotto la minaccia fatale, ci sembrava una bella e magnifica avventura. Il nemico non ci attese. Lo vedemmo sbandarsi, abbandonare le sue posizioni, correre disordinatamente verso le macchine ferme, montarvi sopra, abbandonando il cannone che recuperammo, sebbene inservibile, e fuggire a tutta velocità inseguito dai nostri colpi. Alle 9 occupammo Carpenosa completamente abbandonata. Il nemico ebbe numerose perdite: trovammo tutto l’equipaggio del primo camion ucciso sulla strada. I resti del camion stesso sono ancora abbandonati sulla scarpata. Nel complesso i tedeschi perdettero oltre 80 uomini fra morti e feriti: un quarto almeno delle forze impegnate nel combattimento.
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 119-121


La cava di Carpenosa. Foto: Eraldo Bigi

Ormai è chiaro: la Resistenza non sarà battuta malgrado la sua solita inferiorità in numero e mezzi.
Ora i garibaldini sviluppano un fuoco nutrito che provoca scompiglio tra le fila naziste. «Erven», intanto, non perde tempo e piazza da posizione arretrata il suo mortaio da 81. È vicino alla Fereira. Pepin Lantrua, da un rifugio del sottostrada, lo avvisa che c'è un gruppo di partigiani circondati. Il Lantrua, padre di due garibaldini, indica anche ad «Erven» la posizione in cui si trovano i Tedeschi (che, a loro volta, tentano di colpire il mortaio con colpi di cannone) e lo invita a puntare l'arma in direzione di un olmo distante circa trecento metri.
Inizia il tiro dei mortai ed una vedetta segnala ad «Erven» di allungare la traiettoria di una cinquantina di metri. Il colpo successivo centra un camion di truppa. È il primo sostanzioso successo.
Ma i colpi del cannone nemico si avvicinano ed il mortaio è continuamente spostato per non essere colpito.
Quello che accade poco dopo ha dell'incredibile. Un altro colpo e poi si ode un fragore immenso e dal luogo dove sono i Tedeschi si leva una grande colonna di fumo. La granata ha colpito il capannone in cui era situato il dispositivo per il brillamento del campo presso la casermetta di Carpenosa, precedentemente minato dai nazifascisti. Gli effetti sono terribili. Salta pure un tratto di strada.
Intanto, dopo un altro paio di colpi sparati con bombe a grande capacità, il mortaio perde la sua stabilità e diventa inservibile. In mezzo all'immane scoppio, incalzati dal fuoco delle mitraglie, ai Tedeschi non resta che abbandonare il campo dopo aver caricato sugli automezzi tutto il possibile. «Erven» scende verso il basso, con «Marco» attraversa la passerella sull'Argentina e sale a San Faustino per avere una visione del campo di battaglia. I due, affamati, chiedono del pane di cui sentono un fragrante profumo. Un vecchio gliene offre uno grosso, invitandoli a desistere dalla lotta per il timore che i Tedeschi li uccidano tutti. Poi, da una posizione elevata si recano ad osservare la zona. Ai loro occhi si presenta un vero e proprio paesaggio bellico: sul terreno, sconvolto dalle bombe di mortaio, giacciono sparsi corpi umani. I Tedeschi in quel giorno non nuocera nno alle popolazioni dei nostri paesi. Sono fuggiti tutti precipitosamente con il ricordo di una sconfitta vera e propria.
Ore 21: la Resistenza entra in Carpenosa tra l'incredulità degli abitanti dei paeselli all'intorno che temevano veramente per la vita di quei giovani. Ma il miracolo è accaduto e c'è il ritorno agli accampamenti, nella notte, accompagnati dalle canzoni dei «ribelli». (5)
Il 20 di giugno nell'ospedale di Triora cessa di vivere Agostino Moraldo, rimasto gravemente ferito nella battaglia. Il democratico e libero Comune di Triora sostiene le spese del funerale in segno di perenne riconoscenza verso colui che, vittima di una nobile scelta di vita, onorando i suoi concittacUni, tutto ha dato senza nulla chiedere per la causa della libertà. Quando la salma esce dalla chiesa rintoccano le campane e  portano tanta tristezza nel cuore di  tutti.
Il distaccamento di «Gino» si trasferisce a Carpenosa.
Un altro importante punto strategico dell'Argentina è liberato in quell'esaltante mese di giugno per le forze della Resistenza.
Le perdite dei Tedeschi nello scacco subito a Carpenosa sono state variamente segnalate: Gino Napolitano afferma che il nemico ha lasciato sul terreno oltre 80 uomini tra morti e feriti. Da un racconto di Italo Calvino i morti risultano 72. Da una relazione scritta e non firmata le perdite naziste ammontano a 173 uomini, un camion, cinquanta litri di benzina e materiale vario. Gino Glorio (Magnesia) nel suo diario fa risalire ad alcune decine il numero dei Tedeschi messi fuori combattimento. A noi, sinceramente, alcune cifre appaiono un po' gonfiate. Ma diciamo che le perdite tedesche a Carpenosa non furono poche.
(5) A detta di Ernesto Corradi (Nettù) *, anche il 7° distaccamento ha preso parte alla battaglia, in forma autonoma dalle altre formazioni partigiane.
Riviviamone le vicende attraverso una relazione scritta dal Comandante stesso: "Due giorni prima la banda «Nettù» era partita da Carmo Langan per una missione a Baiardo. Il giorno dopo, sulla via del ritorno, a causa di un violento temporale, gli uomini, inzuppati e fradici per l'acquazzone sopravvenuto, sono costretti a pernottare in un casone semidistrutto. All'alba, confortati dal tempo rimesso al bello, si rimettono in marcia. Arrivati all'accampamento chi ha la possibilità di farlo si cambia gli abiti. All'improvviso giunge una staffetta per chiedere urgenti rinforzi. «Nettù» raduna i partigiani disponibili, i quali, alla svelta, si incammminano per una destinazione non ancora ben precisata a sud di Molini di Triora. «Nettù» si presenta a «Erven» ed a «Marco» e riceve l'ordine di portarsi su San Faustino con l'aiuto di una guida. Questa conduce i garibaldini nei pressi del luogo destinato e si allontana. Il Comandante si inoltra nella borgata e vede alcuni Tedeschi scendere precipitosamente verso il fondovalle. Con i suoi uomini cerca di inseguirli. Ad un tratto scorge, sull'altra riva del torrente, dei nazisti che stavano sparando da un bosco di castagni. Il distaccamento «Nettù» apre il fuoco con la mitragliatrice ed avanza verso i nemici. Mentre attraversa il ponticello vicino alla caserma di Carpenosa s'ode uno spaventoso fragore di esplosione. Un lungo tratto di strada è distrutto. Gli uomini entrano poi nel boschetto e trovano un gran disordine, zaini, elmetti forati, chiazze di sangue. Sulla carrozzabile, dietro la curva, un camion inservibile ma con un serbatoio di scorta pieno di benzina (che in seguito si recupererà). La sera la banda «Nettù» è invitata dalla popolazione a Molini di Triora ed il mattino seguente ritorna a Carmo Langan..."
Carlo Rubaudo, Op. cit., pp. 82-84  

* [Sulla controversa figura di Ernesto Netu/Netù Corradi si possono leggere alcuni significativi passi in La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020]

Dintorni di Carpenosa, Frazione di Molini di Triora (IM) - Fonte: Google

Gli uomini di Vittò si preparano velocemente le armi per l’azione. Il distaccamento possedeva allora un mortaio da 81 […] le squadre mortai e mitraglieri, al comando di Erven, scendono in camion […] Cosa succede intanto a Carpenosa? I tedeschi, con quattro o cinque cannoni e lanciabombe, tirano sulla parte superiore del costone […].
Fu allora che cadde, ferito dalle scheggie, il garibaldino Petrin di Creppo. Le sorti della battaglia arridono ai nazisti […]. Alle nostre mitraglie non resta che ritirarsi. Solo una, la più avanzata, […] tra i cespugli rimane isolata: era la mitragliatrice del futuro eroe garibaldino Luigi Nuvoloni [Grosso] […] i tedeschi riguadagnano i camions e stanno per prendere la via del ritorno, quando, a un dato momento, il mortaio tace.
Cosa era successo?
Facciamo un passo indietro e torniamo ad Erven […].
Che cosa è successo? […] Una fila di uomini stracciati, vestiti delle divise più disparate, i partigiani insomma che scendono verso Carpenosa. Marco e Erven si precipitano per unirsi a loro e avanzare insieme. Sulla strada si imbattono in un camion sfasciato in mezzo a pozze di sangue, brandelli di carne umana, scheggie di mortai, mitragliatori, elmetti, fucili […] La grande esplosione era dovuta alla strada saltata in aria […]
La sera vede il trionfo dei garibaldini vincitori tributato loro dalla popolazione d’Agaggio. Suggestivo è il ritorno: nella notte la fila dei partigiani si snoda verso gli accampamenti al canto dei loro inni.
Fu questa una delle più cruenti sconfitte tedesche nella nostra zona. Settantadue morti ed un numero imprecisato di feriti ne segnano il sanguinoso bilancio.
Mario Mascia, Op. cit., pp. 236-238

mercoledì 3 marzo 2021

L'organico del momento non superava la ventina di unità

Prelà (IM). Foto: S. M.

Continua il grande rastrellamento sul terreno della IV^ Brigata ["Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione"]. Anche il famigerato capitano Ferraris con i suoi sgherri raggiunge il grosso della sua Compagnia Ordine Pubblico (O.P.) a Dolcedo, Compagnia con armamento automatico ottimo. Intanto, pare che forze tedesche, provenienti dalla Val Tanaro, partecipino anche loro al grande rastrellamento. Il 7 gennaio 1945 Vasia viene nuovamente investita e saccheggiata. I nemici raggiungono Molini di Prelà e distruggono la polveriera ubicata nella zona. Anche in Valle Argentina continua un pesante rastrellamento, mentre molti partigiani, per gli strapazzi subiti e il freddo, hanno la febbre e soffrono la sete. Sono accucciati su giacigli in casupole o piccoli antri e si lamentano. I luoghi sono insicuri. Si cerca di fare sciogliere la neve nelle gavette, ma non è facile. [...] Mentre il grande rastrellamento, come vedremo, si estende anche alla V^ Brigata "Luigi Nuvoloni", anche ad Oneglia, per opera della delatrice Maria Zucco (Donna Velata), si verifica una serie di arresti tra le forze della Resistenza [...].
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Da Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, p. 73
 
Nevicava da parecchie ore e le scarpe affondavano abbondantemente nel morbido tappeto; una fila di uomini silenziosi, nere figure che si seguivano l'un l'altro con facilità sul bianco sentiero. Ci si doveva congiungere al grosso del distaccamento per affrontare uniti il non gradito regalo che la befana ci aveva riservato. Albeggiava quando, riunitisi al completo, si affrontò la soluzione del pericoloso problema; al momento ci si appoggiò alla parete rocciosa del monte per meglio difendersi da un subitaneo pericolo proveniente dai fianchi e si vagliò con la necessaria calma le nostre limitate possibilità. L'organico del momento non superava la ventina di unità: uomini malamente equipaggiati e armati di due soli mitragliatori, in grado di sviluppare un fuoco alternato che non superava la mezz'ora, non potevano certo concedersi il lusso di affrontare le numerose formazioni impegnate nel rastrellamento, compito che la nudità del terreno sconsigliava decisamente; l'azione avrebbe determinato l'inutile distruzione del gruppo. Si accantonò, quindi, il preventivato spostamento verso i passi della Follia e di San Salvatore, probabilmente già presidiati dai reparti tedeschi; l'andare poi sul sentiero che portava a Badalucco era altrettanto sconsigliabile, per cui non restava che gettarsi a mezzo monte, nel mezzo dei boschi di castagni, cercando riparo e mimetizzazione nei nudi tronchi, a somiglianza dei camaleonti [...] La nostra attesa durò l'intera luce di quel giorno, immobili figure unite a quei tronchi nel gelo sottile che penetrava, mentre la musica rabbiosa del vento non voleva cessare. Bianche ciglia di neve si alzavano piano per seguire, sul lontano sentiero che portava a Badalucco, il lento passare dei soldati tedeschi [...]
Renato Faggian (Gaston), I Giorni della Primavera. Dai campi di addestramento in Germania alle formazioni della Resistenza Imperiese. Diario partigiano 1944-45, Ed. Cav. A. Dominici, Imperia, 1984, pp. 95,96
 
Reggi Giuseppe, «Dafne», da Vittorio e Manilla Mazzolini; n. il 26/4/1924 a Bologna; ivi residente nel 1943. Licenza elementare. Portalettere. Richiamato alle armi dalla RSI, allʼinizio del 1944, fu arruolato nel btg S. Marco e inviato in Liguria. Il 28/8/44, prima di prestare giuramento, disertò con altri 7 commilitoni, recando con sé armi e munizioni. Militò nella 5a brg della 2a div Cascione Garibaldi e operò in provincia di Imperia, con la quale prese parte a numerosi scontri con i nazifascisti.
Dopo un lungo periodo di malattia, fu aggregato al 2° btg della 4a brg Guarrini della stessa div. Riconosciuto partigiano dallʼ1/9/44 al 18/5/45.
(a cura di) Alessandro Albertazzi, Luigi Arbizzani, Nazario Sauro Onofri, Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel Bolognese (1919-1945), Vol. V, Dizionario biografico R - Z (a cura di Luigi Arbizzani, Nazario Sauro Onofri, Bologna, 1998), Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea nella provincia di Bologna "Luciano Bergonzini", Istituto per la Storia di Bologna, Comune di Bologna, Regione Emilia Romagna, 1985-2003 
 
[...]  l’80° Grenadier Regiment iniziò il 3 gennaio 1945 i rastrellamenti anche nella zona della 4^ Brigata E. Guarrini.
Nella prima fase non vennero scoperti i partigiani perché nascosti nei casoni coperti di neve; però nella prima decade del mese i tedeschi si spostarono in altre zone e catturarono alcuni renitenti alle chiamate della Repubblica Sociale Italiana che furono trucidati. Anche il partigiano Lucio Ferlisi, caduto in mano nemica, venne fucilato il 12 gennaio. Un altro partigiano, Turiddu, si consegnò all’Ufficio Politico Investigativo fascista causando grossi problemi alla sicurezza dei partigiani imperiesi.
Durante gli scontri due tedeschi rimasero sul terreno; i partigiani li seppellirono nelle vicinanze di Costa d’Oneglia. I rastrellamenti continuarono anche nel comune di Imperia. Si parla di una donna, Maria Zucco, che veniva chiamata la donna velata per il suo coprirsi il volto al fine di non farsi riconoscere, che aveva fatto parte delle formazioni fasciste Azione Nizzarda in Francia. Giunta nella provincia di Imperia dopo il 15 agosto 1944, spacciandosi per una patriota, fece catturare alcuni partigiani tra cui Adolfo Stenca.
Nelle carceri di Oneglia il 14 gennaio 1945 venne fatto l’appello dei catturati che dovevano essere fucilati; il primo a essere chiamato fu Paolo De Marchi.
L’olocausto della 4^ Brigata E. Guarrini continuò; nei giorni dall’11 al 16 gennaio caddero: Pasquale Nisco, Francesco Vernaleone, Carlo Gatti, Antonio Dagnino, Settimio Raimondi, Giovanni Cortese, Rino Guglieri e Adolfo Capovani. Il 17 i fascisti effettuarono un altro rastrellamento, durante il quale morirono Carlo Montagna, comandante della 4^ Brigata, Angelo Perrone e Sebastiano Acquarone. Nei dintorni di Tavole molti casolari furono dati alle fiamme e alcuni civili vennero arrestati. Il 25 fu catturato, quasi al completo, il 10° Distaccamento Walter Berio. Nello Bruno e Vittorio Aliprandi, rispettivamente comandante e commissario della Brigata, si suicidarono per non cadere nelle mani del nemico.
In seguito alla scomparsa dei due tedeschi, della cui sorte il comando germanico non sapeva nulla, il comando annunciava che, se non si fosse provveduto alla loro liberazione, venti ribelli sarebbero stati fucilati. Successivamente i nazisti vennero a conoscenza della morte dei due soldati e mandarono perciò davanti al loro Tribunale militare venti antifascisti: Guglielmo Bosco, Francesco Garelli, Ettore Ardigò, Orlando Noschese, Giorgio Cipolla, Santo Manodi, Medardo Bertelli, Giobatta Ansaldo, Paolo De Marchi, Adolfo Stenca, Carlo Delle Piane, Vincenzo Varalla, Giacomo Favale, Luigi Guarreschi, Giuseppe De Lauro, Doriano Carletti, Ernesto Deri, Adler Brancaleoni, Biagio Giordano, Matteo Cavallero.
Riconosciuta la loro colpevolezza, il Tribunale pronunciò la sentenza di morte che venne eseguita, per alcuni di loro, il 31 gennaio 1945.
Dai documenti risulta che altri furono fucilati nei giorni successivi e in luoghi diversi [...]
Le pietre raccontano
 
Il 10 gennaio 1945 una colonna numerosa di tedeschi rastrella le campagne alla ricerca del comando partigiano. Non trovando ribelli i tedeschi sfogano la loro frustrazione per la mancanza di risultati raggiunti contro alcuni renitenti alla leva rastrellati in località Frassino di Diano Borganzo, Frazione del comune di Diano San Pietro (IM). Vengono passati per le armi, senza nessun processo (normalmente i tedeschi erano soliti fucilare seduta stante solamente coloro sorpresi con le armi, mentre gli altri venivano catturati e processati con verdetti che poteva andare dalla fucilazione alla deportazione in Germania oppure inviati ai lavori obbligatori presso la Todt) Ilario Risso (carabiniere fuggito dal proprio reparto), Ernani Ardissone, Giobatta Ardissone e il sessantaduenne Giobatta Risso. L’episodio viene raccontato da fratello di Ilario Risso, Ardito, che si salvò in modo rocambolesco. Secondo il suo racconto durante il rastrellamento furono uccisi anche due partigiani appartenenti alla banda di Franco Bianchi (Stalin), Giobatta Alampi e Giuseppe Vebero. Il 17 gennaio 1945 nella zona Palega-Zerni-Vinai, i Cacciatori degli Appennini in un imboscata uccidono i garibaldini Antonio De Santis (Marco) ed Emilia Rosso (Irma), entrambi della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione". De Santis si recava in missione assieme ad altri garibaldini e con lui si trovava la garibaldina Irma, colpita al petto da una prima raffica. Il De Santis, estratta la pistola, sparava contro il nemico, ma una seconda raffica lo colpiva a morte. Il Cacciatore Zecchini, responsabile della morte di entrambi, verrà catturato dai partigiani in marzo nella zona di Triora e fucilato.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, Edito dall'Autore, 2020
 
[   n.d.r.: altre pubblicazioni di Giorgio Caudano: A cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016   ]
 
Carlo Milan Montagna

In un mattino nebbioso del 17 gennaio 1945 un numeroso gruppo di fascisti perlustrava le campagne di Prelà. Secondo alcune fonti si sarebbe trattato di Cacciatori degli Appennini, secondo altre della compagnia operativa della G.N.R. del tenente Ferraris. Probabilmente l’azione fu condotta da entrambi i reparti. In due casoni posti ad una certa distanza avevano trovato ristoro per la notte alcuni uomini della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione". In un casone sopra Canneto, di fronte a Tavole, si stavano riposando Carlo Montagna Milan, comandante della Brigata [nato a Voghera il 16 agosto 1911, protagonista di numerose azioni, fra le quali spicca quella del 19 luglio 1944, la liberazione dei detenuti politici dal carcere di Imperia Oneglia], Gaetano Sibilla Ivan, Angelo Perrone Bancarà o Vinicio, vicecomandante della brigata, Sebastiano Acquarone Alpino e Ferrero Staffetta Gambadilegno. In un altro casone più in basso sostavano Mario Bruna Falco, commissario della Brigata, Luigi Peruzzi Luigi ed altri uomini. I fascisti intravvidero nella nebbiolina un uomo armato, che sembrava stesse facendo la sentinella. Spararono senza avvertimento e colpirono, uccidendolo, Angelo Perrone. Gli altri partigiani, intese le raffiche, fuggirono in direzione della cresta della montagna, che però era già stata occupata dai nemici. Ritornarono allora sui propri passi infilando il Vallone di Villatalla dove trovarono altri repubblichini in agguato che al loro avvicinarsi spararono. Montagna e Acquarone vennero colpiti a morte. La staffetta Gambadilegno venne ferito e catturato. Gambadilegno, sottoposto a torture, fu costretto a confessare dove aveva trovato rifugio il distaccamento di Dimitri.
Giorgio Caudano, Op. cit.

Monumento posto sul luogo dell'uccisione dei partigiani qui citati sito nel Comune di Prelà (IM). Fonte: I luoghi del ricordo della Provincia di Pavia...

1 gennaio 1945 - Dal comando della IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della II^ Divisione - Venivano comunicati i dislocamenti dei Battaglioni "Peletta", "Rodi" e "Artù"

3 gennaio 1945 - Dal comando della II^ Divisione ai comandi delle Brigate IV^ e V^ - Veniva consigliato di controllare il comportamento dei garibaldini nei distaccamenti e di curare il controspionaggio nonché la manutenzione delle armi. Si sottolineava la necessità di fornire dettagliati rapporti giornalieri.

3 gennaio 1945 - Dalla IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. n° 46, ai Battaglioni: Trasmissione dell'ordine di sorvegliare attentamente la zona di appartenenza. Ricordati i doveri del capopattuglia. Consiglio di continuare l'addestramento all'uso delle armi ed alla guerriglia. Raccomandazione di fornire precise informazioi militari sulle formazioni nemiche.

9 gennaio 1945 - Dal comando della II^ Divisione ai comandi della IV^ e V^ Brigata - Avvertiva che "tutti coloro che hanno fatto parte delle formazioni garibaldine e che non siano stati espulsi dalle file per sentenza del Tribunale di Brigata o di Divisione devono tuttora considerarsi parte delle Brigate d'Assalto Garibaldi". Specificava che ogni garibaldino doveva pertanto regolarizzare la sua posizione rientrando al suo reparto o ai G.T.A.G. (Gruppi Territoriali d'Assalto Garibaldi). E che gli inadempienti sarebbero stati considerati disertori e deferiti al Tribunale Militare di Divisione.

11 gennaio 1945 - Dal comando del II° Battaglione "Lodi" al comando della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione - Relazione circa i caduti del IV° Distaccamento del II° Battaglione nelle battaglie del 27 ottobre 1944, 1° novembre 1944, 20 dicembre 1944 ed 11 gennaio 1945. Per quanto concerneva l'episodio di Fontanili veniva precisato che una squadra comandata dal commissario Giulio [Luigi Fittipaldi, commissario di Distaccamento del II° Battaglione] era stata, mentre era in cerca di viveri, sorpresa da pattuglie fasciste, informate da delatori,  e che i garibaldini caduti, prima di essere uccisi, vennero torturati.  
 
19 gennaio 1945 - Da Venko [Angelo Balegno] della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione al comando della II^ Divisione  - Riferiva che la situazione della Brigata era allarmante a causa dei feroci attacchi subiti dal nemico e per la morte del comandante Milan [Carlo Montagna, comandante appunto della IV^ Brigata], di Alpino [Aldo Acquarone] e di K13 [Eraldo Guasco, K. 13, comandante di un Distaccamento della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione]; che si ignorava la sorte di Bancarà [Angelo Perrone]; che il commissario Falco [Mario Bruna, prossimo a diventare commissario politico, come da circolare della II^ Divisione del 29 gennaio 1945, della IV^ Brigata] era ferito; che il responsabile S.I.M. era stato arrestato ad Imperia; che Tito [anche Tito R., Rinaldo Risso, vice comandante della II^ Divisione] era stato incaricato da Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Liguria] di recuperare i garibaldini sbandati della IV^ Brigata.
 
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945). Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999
 
Dopo la prima quindicina del mese di gennaio 1945 gradatamente formazioni della Divisione nemica "Cacciatori degli Appennini" si trasferiscono verso l'estremo ponente ligure. Abbiamo già visto come durante un rastrellamento colpissero gravemente il Comando della IV Brigata "E. Guarrini" nel vallone di Villa Talla. Nell'occasione del trasferimento affiggono un avviso che abbiamo ritenuto riportare integralmente poiché ci dà un quadro abbastanza preciso della situazione nella quale vennero a trovarsi i giovani che avevano disertato le chiamate nemiche, abitanti dei nostri paesi del retroterra. Ecco il testo dell'avviso: "Gruppo Cacciatori degli Appennini. Si avverte la popolazione che il III Battaglione Cacciatori degli Appennini, desideroso di portare la tranquillità e la normalità nella zona, è disposto a venire incontro a tutti coloro che, avendo obblighi militari, hanno seguito consigli di elementi prezzolati del nemico e si sono dati alla macchia. A coloro che si costituiranno entro 48 ore dalla data del'affissione del presente avviso, si garantisce l'incolumità della vita. Contro quelli, invece, che, non avendo accolto questo appello, venissero catturati nel corso di operazioni militari, verrà applicata la legge di guerra. Z.O. 24 gennaio 1945, ore 8 del mattino. Il comandante del Battaglione maggiore Mario Rosa".
Il risultato fu che chi si presentò nelle 48 ore prestabilite, venne inviato in Germania. Chi fu catturato dopo il termine dell'ultimatum, venne passato per le armi.
Consultando ancora il memoriale del Polacchini, di cui abbiamo già parlato, risulta in modo evidente in che situazione si venissero a trovare i partigiani della IV Brigata.
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. La Resistenza nella provincia di Imperia dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, p. 88 
 
Le nostre azioni purtroppo al momento erano in forte ribasso. Sorprese fatali accadevano di continuo, triste bilancio che l'inverno esigeva. Anche Baffino, in transito per Terzorio, all'alba del famoso mattino [24 gennaio 1945] era stato catturato nell'operazione congiunta effettuata nei due paesi della valle; quasi irriconoscibile per le percosse e sevizie subite, era stato portato da militi repubblicani, seduto sopra una sedia, come un trofeo per le vie di Pompeiana, triste sfilata di un uomo giunto alla fine del suo percorso.
Renato Faggian (Gaston), Op. cit., p. 102 
 
Colline a monte di Lingueglietta, Frazione di Cipressa (IM)

I giorni drammatici che trascorrono per il I Battaglione sono uguali a quelli del II e del III. Scrive Polacchini nel suo memoriale: "... Alle prime luci dell'alba del 24 gennaio, saliamo in vetta alla collina, al passo di Lingueglietta. La stagione è primaverile. Ci laviamo con l'acqua di un serbatoio usato per l'irriga zione. Tocca a me e a Renato Faggian (Gaston) andare in cerca di viveri. Decidiamo per Cipressa, ma partiamo imprudentemente in pieno giorno. Nei pressi di un caposaldo due Tedeschi stanno facendo legna in un boschetto. Hanno le armi a portata di mano. Quando ci vedono smettono di lavorare, ci osservano, parlano tra di loro, ma non ci fer mano. Non abbiamo armi in vista, ma sotto la giacca le nostre pistole e, in un zainetto, quattro bombe a mano. Noi facciamo finta di niente e non succede nulla. Facciamo ritorno nel pomeriggio con pane, farina bianca, un fiasco d'olio d'oliva ed una vecchia pentola di alluminio. Tutta roba fornita da un tale del CLN [...] Il 25 gennaio, il partigiano Ferrero (Tom o Staffetta Gamba di legno), del X Distaccamento "Walter Berio", catturato dal nemico il giorno 17 e rimasto ferito, viene medicato, sottoposto a duri interrogatori, tradisce i compagni poiché conduce i fascisti nella tana che nascondeva il Distaccamento e che lui stesso aveva aiutato a costruire. Così cadono in mano al nemico ben undici garibaldini, tra cui il comandante Vittorio Aliprandi (Dimitri) e il commissario Nello Bruno (Merlo) i quali preferiscono togliersi la vita piuttosto di arrendersi. Sette di loro saranno fucilati ad Oneglia e due a Torretta di Vasia [...]".
[...] Ma vediamo nei dettagli il triste episodio dalla relazione del vice commissario della IV° Brigata Gino Gerini: "La Brigata è in stato di sfacelo, in un solo mese ha avuto quasi un centinaio di caduti, più di un terzo dei suoi effettivi, già ridotti dalle gravi perdite precedenti e da alcuni defezioni. Tutto intorno ai suprestiti, il nemico aveva posto un cordone di sicurezza; li aveva tagliati in tronconi senza possibilità di ricongiungersi o mantenere i collegamenti. Si era infiltrato da dappertutto presidiando i centri vitali. Fu il momento più terribile della lotta [...] Il X Distaccamento 'Walter Berio' era stato decimato come tutti gli altri. Un piccolo gruppo del Distaccamento stesso, undici uomini in tutto, con a capo 'Dimitri' e 'Merlo' (quest'ultimo uno dei più vecchi garibaldini), si era portato in una località tra Pantesina e Villatalla, in un fondovalle presso un ruscello incassato tra pendii scoscesi, rivestiti di boschi, dove era stata adattata una caverna a rifugio [..] Naturalmente le spie e i traditori non mancavano. Erano in ogni luogo: gente che si vendeva per denaro sempre, tavolta per odio. Il giorno 25 gennaio 1945, Ferraris va su a Villatalla con le squadre. Le notizie che egli ha sono sicure, perché circonda il vallone dove stavano i partigiani ed incomincia a batterlo. Il Distaccamento si rifugia nella caverna: pensare di resistere è impossibile, non vi sono ormai armi automatiche, i fucili sono scarichi, le sole rivoltelle, alcune delle quali inservibili, hanno qualche pallottola. I giovani si uniscono e attendono nella speranza di non venire scoperti. Sentono i passi dei fascisti che vanno avanti e indietro e ne seguono con ansia tutti i movimenti. Poi odono il rumore delle pietre smosse e vedono filtrare nella tana la luce del giorno: è la fine! Impugnano le armi e tirano, dal di fuori si risponde con il lancio di bombe  a mano che feriscono quasi tutti i partigiani. Le munizioni sono esaurite. 'Dimitri' e 'Merlo' sono per una sortita in massa, ma gli altri non si reggono in piedi, alcuni non possono più muoversi. Il nemico, che fuori schiamazza e insulta, ma non osa entrare, esulta perché sa di aver vinto. I due capi compiono il gesto eroico: salutano i compagni uno ad uno poi, addossati alla parete della caverna, si sopprimono con due ultimi colpi. Il nemico sente i colpi. Intuisce quello che sta avvenendo. Dopo aver esitato e quindi scaricate le armi all'interno della caverna senza avere ottenuto risposta, irrompe fulmineamente nel rifugio. Vi trova due partigiani morti e altri nove feriti. Ma né  l'eroismo né la maestà della morte valgono a mitigare la loro ferocia. I garibaldini, vivi o morti, sono spogliati, insultati e percossi. I superstiti vengono legati e, tra gli scherni della soldataglia, avviati verso il paese. Due giorni dopo un gruppo di partigiani, informati dell'accaduto, si recano a recuperare le salme dei due compagni caduti. 'Dimitri' e 'Merlo' giacevano ove si erano uccisi, quasi nudi e senza scarpe. Sul corpo di 'Dimitri' c'era un pezzo di carta con scritte poche e turpe parole che dicevano: 'Questa è la sorte che toccherà a tutti i banditi'. [...] Le salme furono poste sopra due barelle fabbricate con rami intrecciati e portati nel cimitero di Villatalla dove vennero seppellite. Gli accompagnatori andavano su per un sentiero alpestre, muti e commossi. A metà strada un vecchio andò loro incontro, fu riconosciuto, era il padre di 'Dimitri'. Si fermò,i suoi occhi erano fissi, sbarrati, sulle rozze portantine. Intuì che suo figlio era lì, esanime. Senza un grido, senza una lacrima, come se il dolore lo avesse impietrito, con un balzo si gettò sul corpo del figlio e lo abbracciò. Poi cadde svenuto [...]"
[...] "31 Gennaio 1945. Da diversi giorni il nemico non ci dava tregua. Le spie pullulavano, segnalando i nostri movimenti, e noi eravamo costretti a spostarci di continuo. Il mio Distaccamento comprendeva una trentina di uomini. Eravamo esauriti dalle marce interminabili; il freddo era intenso e noi, già da parecchio tempo, ci sostenevamo con castagne secche e patate non sempre bollite. Il 31 gennaio giungemmo, al crepuscolo, in località Nicuni, tra Tavole e Val Prino. Scoprimmo un casone isolato tra i castani e decidem mo di passarvi la notte. La stanchezza non ci faceva dimenticare il dovere: avevamo da compiere una missione importante a Vasia e decisi di approfittare della sosta per portarla a compimento. Sapevamo che tra le spie più pericolose della zona vi era una coppia del paese ed una pettinatrice che occorreva assolutamente rendere innocue. Staccai perciò tre garibaldini Deri, Livio e Cristo, quest'ultimo commissario del Distaccamento, che inviai a Vasia con l'ordine di prelevare le spie. Nello stesso tempo io, Gianfranco Giribaldi (Lupo) e Battista, l'amministratore della Brigata, partimmo per Tavole per ritirare importanti documenti e informarci sui movimenti del nemico. Rientrammo in base verso mezzanotte accompagnati da Timoscenko che, di ritorno da una visita a casa, avevamo incontrato lungo il cammino e vi trovammo i nostri uomini con i tre prigionieri che si lamentavano protestando la loro innocenza [...] Resistemmo, ma le munizioni si esaurivano presto ed il nemico premeva. Ad un certo momento l'MG 42 si inceppò e tacque. La nostra posizione era oramai disperata. Urlai agli uomini di ritirarsi come potevano ed io stesso, seguito dai miei compagni, strisciai lungo il muretto e balzando di faxia in faxia, mi ritirai, il più velocemente possibile verso il bosco, più in alto. Di quando in quando ci arrestavamo un momento per rafficare il nemico, forte di oltre duecento uomini, che sicuro del numero e della enorme superiorità del suo armamento, irrompeva da tutte le parti urlando e grugnendo come un branco di belve. La partita era perduta. Appena fuori tiro cercai di raggiungere gli uomini, ma molti mancavano e fu soltanto verso sera che potei mettere insieme una metà del Distaccamento. Eravamo tutti laceri, contusi e bestialmente stanchi, e per di più, terribilmente depressi. E la nostra odissea ebbe inizio. Era nostra intenzione raggiungere la Costa di Carpasio attraverso Passo del Maro, ma in quella direzione operava una colonna nemica per cui fummo costretti a convergere su Conio e Ville San Pietro dove speravamo incontrare nostri Distaccamenti. La neve era alta, il freddo acuto perché un vento gelido spazzava a raffiche il cielo basso. Non avevamo quasi più scarpe, gli abiti erano a brandelli e fradici. La fame ci tormentava senza posa ed a stento avanzavamo, miserabile gruppo di straccioni, ubriachi dalla fatica, sorreggendoci l'un l'altro. Camminammo, camminammo come automi [...] Alla fine, fermandoci infinite volte, raggiungemmo Costa di Carpasio ove ritrovammo alcuni dei nostri giuntivi per altra strada. Vi restammo tutto quel giorno e la notte appresso, assistiti dagli abitanti del luogo, che ci nutrirono e ci vestirono con magnifico spirito di fratellanza. Ma i Tedeschi battevano la zona e le spie non ci davano tregua. La mattina dopo partimmo nuovamente, questa volta in direzione di Tavole. All'uscita da Villatalla, mentre attraversavamo il ponte, scorgemmo in distanza una folla di gente. Ci avvicinammo. Sei bare di sei partigiani caduti sfilavano innanzi a noi, precedute da un grande drappo bianco. I nostri compagni ci venivano incontro, morti, portati a braccia dal popolo per il quale erano caduti. Compagni che qualche giorno prima avevano diviso con noi i pericoli, il pane e il sonno. Essi ora riposano nel piccolo cimitero del paese, all'ombra delle nostre montagne che assistettero alla nostra agonia. Sei uomini, dei trenta del mio Distaccamento, morirono sul posto, e tra di essi il temerario Battista, Timoscenco e Cristo, il Partigiano modello. Su di essi si accanì la furia nemica: i loro corpi furono trovati crivellati dai proiettili e sfigurati a colpi di baionetta. Tre altri: Matteo, Insalata e Leone furono catturati, seviziati, trasportati lontano e fucilati. Bellissima, degna veramente di un eroe, fu la morte di Cristo. Colpito da diversi proiettili egli cadde accanto a Timoscenko pure mortalmente ferito. Sente che la fine è prossima e che la vita se ne va col sangue che fluisce dalle piaghe. Chiama a sè un compagno e gli consegna il mitra: 'salva l'arme' gli sussurra, 'essa è necessaria alla lotta'. Poi si trascina presso Timoscenko e muoiono insieme [...]"
Francesco Biga, Op. cit., p. 89-99
 
La Val Prino

Bartolomeo Dulbecco (Cristo) fu fatto commissario del Distaccamento "F. Paglieri", ma quello non era soltanto un grado, era piuttosto il riconoscimento delle sue meravigliose doti, che nei momenti critici lo facevano segnalare, lo rendevano padrone della situazione. Così continuò per tutto il duro inverno partigiano quell'aspra vita. Quel freddo giorno del 30 gennaio 1945, tornava da una missione con tre spie che aveva prelevato e raggiunse il Comando di un Distaccamento accampato in un casone in località Nicuni, in Val Prino. All'alba del 31 si trovò circondato nel casone con una decina di compagni di lotta, tra cui "Battista ", "Nano", "Matteo", il russo "Ivan", "Timoscenko". La situazione si fece difficilissima, disperata. Bisognava tentare una sortita ma i Tedeschi incalzavano. Già alcuni dei nostri combattenti erano caduti, una bomba a mano aveva spento la generosa vita di Manfredo Raviola (Battista). Le raffiche crescevano di intensità, fischiavano sempre più vicine. "Cristo", dietro ad un sasso, continuava il fuoco con il suo mitra. Una raffica lo investe alla gola e "Timoscenko" alle gambe e li immobilizza. Il triste momento tante volte sfiorato è giunto. Non si può più fuggire ed il nemico si avvicina. Due sguardi si incrociano e, mentre i sopravvissuti cercano di ritirarsi, odono ancora la debole voce di "Cristo" uscire dalla sua gola lacerata: "Timoscenko, moriamo insieme, vicini". Li raggiunge una pattuglia di Austriaci, sorpresi da tanto coraggio. Di fronte a quella gioventù lacera, insanguinata , morente, che aveva tutto osato, anche la barbarie teutonica si commuove. Cristo viene medicato e bendato senza parlare, i soldati si allontanano. Pensano che i partigiani raccoglieranno quel corpo che essi, estremo omaggio al valore, hanno risparmiato. Ma i criminali tra i barbari, i brigatisti neri, sopraggiungono. Essi non possono provare pietà perché non la sentono, non possono riconoscere il valore perché non ne hanno. Solo di odio sono nutriti, cieco, indiscriminato. Interrogano, torturano, ma la rabbia impotente non può strappare una parola dalla bocca insanguinata per cui viene ucciso.
(da una memoria del garibaldino Archimede, ISRECIM, Archivio, Sezione I, cartella 29) 
Francesco Biga, Op. cit.
 

venerdì 26 febbraio 2021

Nome di battaglia "Santiago"

Italo Calvino, Autoritratto, 1942 - Fonte: Internet Culturale

[...] L’Italia é divisa in due. Mentre il sud é sotto il controllo degli angloamericani, il nord é sotto il dominio dei tedeschi e dei fascisti della repubblica di Salò. Sempre nel nord, nascono i primi gruppi di partigiani, che condurranno una dura lotta contro i nazifascisti, fino alla liberazione, il 25 aprile del 1945.
 

Calvino, Un contadino ligure con il tipico pesante piccone a tre becchi (magaiu). "Richiede braccia e schiena fortissime, piedi ben piantati a terra, ostinazione feroce...": Italo Calvino - Fonte: Internet Culturale

Mussolini a cavallo, disegno di Calvino. "I primi venti anni della mia vita li ho passati con l’immagine di Mussolini sempre davanti agli occhi, perché il suo ritratto era appeso in tutte le aule scolastiche come in tutti gli uffici e nei locali pubblici" - Fonte: Internet Culturale

Gli eventi del giugno 1943 suscitano nel giovane Calvino ventenne, antifascista in virtù delle posizioni politiche della famiglia d’origine, la speranza che l’Italia si risollevi. Tuttavia, dopo gli avvenimenti del mesi di settembre, la situazione si fa drammatica anche a San Remo, occupata dai tedeschi: i giovani vengono chiamati alle armi, obbligati a militare nelle fila dell’esercito della Repubblica di Salò. Italo non si presenta alla leva ma si nasconde, aderendo al Partito Comunista italiano. Nel 1944, insieme al fratello Floriano, si unisce ad un gruppo di partigiani. Combatte su quelle stesse montagne dell’interno della Liguria che, durante gli anni dell’adolescenza, aveva tante volte percorso in compagnia del padre, appassionato cacciatore. Quarant’anni più tardi, in uno dei suoi ultimi articoli, Calvino ricorderà questa esperienza come estremamente importante nella sua gioventù.
[...] Calvino partecipa alla Resistenza in una formazione di ispirazione comunista. "Mi è stato difficile raccontare in prima persona i miei ricordi di guerra partigiana. Potrei farlo secondo varie chiavi narrative tutte egualmente veritiere: dal rievocare la commozione degli affetti in gioco, dei rischi, delle ansie, delle decisioni, delle morti, al puntare in cambio sulla narrazione eroicomica delle incertezze, degli errori, dei disguidi, delle disavventure in cui incappava un giovane borghese, impreparato politicamente, privo d’ogni esperienza di vita, vissuto in famiglia fino allora" [...]
Redazione, Incontro con Italo Calvino. La guerra a vent'anni, Internet Culturale

Fonte: Internet Culturale

Egli [Italo Calvino], in una risposta al questionario di un periodico milanese, "Il Paradosso", si definisce un anarchico. "La mia scelta del comunismo non fu affatto sostenuta da motivazioni ideologiche. Sentivo la necessità di partire da una "tabula rasa" e perciò mi ero definito anarchico (...). Ma soprattutto sentivo che in quel momento quello che contava era l'azione; e i comunisti erano la forza più attiva e organizzata". Ma proprio grazie all'esperienza di quegli anni di clandestinità imparerà ad ammirare l'organizzazione partigiana comunista oltre alla particolare forza di spirito che animava i suoi uomini. In una lettera all'amico Scalfari dirà: "La mia vita in quest'ultimo anno è stato un susseguirsi di peripezie (...) sono passato attraverso una inenarrabile serie di pericoli e di disagi; ho conosciuto la galera e la fuga, sono stato più volte sull'orlo della morte. Ma sono contento di tutto quello che ho fatto, del capitale di esperienze che ho accumulato, anzi avrei voluto fare di più".
Il 17 marzo 1945, quando ormai gli alleati sono in Italia, Calvino è protagonista attivo nella battaglia di Baiardo, una delle ultime battaglie partigiane. Ricorderà l'evento nel racconto Ricordo di una battaglia, scritto nel 1974. (Il suo nome da partigiano era "Santiago", dal nome del paesino cubano - Santiago de Las Vegas, vicino all'Avana - dove egli era nato 20 anni prima).
L'esperienza partigiana sarà alla base del suo primo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno e della raccolta di racconti Ultimo viene il corvo. Dopo la Liberazione, mentre la sua inclinazione anarchica e libertaria non affievolisce, in lui va costruendosi un'ampia e complessa visione del mondo che non cede a semplificazioni politiche e sociali [...]
Partigiano Michele Mario Miscioscia, 9 Marzo 2015

Nel 1941 [Italo Calvino] si iscrisse senza convinzione alla Facoltà di Agraria <26 dell’Università di Torino, dove sostenne solo quattro esami, poi nel gennaio del ‘43 si trasferí a Firenze, dove ne sostenne altri tre, ma già nell’agosto di quell’anno a seguito degli avvenimenti bellici fece ritorno a Sanremo dove fu costretto a nascondersi, avendo rifiutato di arruolarsi nella Repubblica Sociale Italiana.
Nel febbraio del ’44 dopo la morte del medico comunista Felice Cascione, Calvino chiese di entrare nel PCI. Nel giugno dello stesso anno, insieme al fratello sedicenne Floriano, si unì ai partigiani del XVI distaccamento della V Brigata Garibaldi, che combatteva sulle Alpi Marittime. <27 L’esperienza della guerra partigiana si rivelò fondamentale per la maturazione dell’autore ed egli stesso la considerò sempre tale. In una lettera all’amico Scalfari scrive: "La mia vita in quest’anno è stata un susseguirsi di peripezie [...] sono passato attraverso una inenarrabile serie di pericoli e di disagi; ho conosciuto la galera e la fuga, sono stato piú volte sull’orlo della morte. Ma sono contento di tutto quello che ho fatto, del capitale di esperienze che ho accumulato, anzi avrei voluto fare di piú". (CALVINO, 1991: LXVII)
Una delle esperienze piú dolorose, una ferita che Calvino considerò non rimarginabile, fu l’arresto dei genitori, che subirono pressioni e torture psicologiche perché rivelassero dove erano nascosti i figli. <28 Tutti questi eventi che si concentrano nell’ultimo anno di guerra forniranno all’autore materiale per alcuni racconti e per il suo primo romanzo, "Il sentiero dei nidi di ragno".
[NOTE]
26 La scelta di Agraria fu dettata dal desiderio di compiacere i genitori, ma non corrispondeva agli interessi letterari già manifesti nello scrittore:«Sono figlio di scienziati...Tra i miei familiari solo gli studi scientifici erano in onore...io sono la pecora nera della famiglia, l’unico letterato della famiglia».( CALVINO, 1995: 2709)
27 Come si vedrà più avanti, i movimenti dello scrittore durante la guerra partigiana sono stati indagati soprattutto da P. Ferrua in 'Italo Calvino a San Remo', San Remo, Famija Sanremasca, 1991, e sono in parte ancora da acclarare. D’altra parte Calvino fu sempre estremamente parco di informazioni sul suo passato di partigiano. Scrive Milanini: «Sembra quasi che l’autore, spinto dal desiderio di torcere il collo ad ogni tentazione narcisistica, si sia rifugiato programmaticamente nell’antiretorica della modestia (come quando dichiara di essere «l’ultimo dei partigiani»), se non proprio nella reticenza oltranzistica». (MILANINI, C., 1997: 173)
28 Calvino parla di questa vicenda in una lettera del 6 luglio 1945 a Scalfari: «Saluta i tuoi genitori e abbiti i saluti dei miei. Ne hanno passate parecchie anche loro: furono arrestati per un mese ciascuno come ostaggi; mio padre fu lì lì per essere fucilato sotto gli occhi di mia madre». (CALVINO, 2000: 149-50)

Annalisa Piubello, Calvino racconta Calvino: l'autobiografismo nella narrativa realistica del primo periodo, Tesi di dottorato, Universidad Complutense de Madrid, 2016

Sanremo (IM): ex Forte di Santa Tecla

Il 15 novembre [1944] i nazifascisti danno il via al rastrellamento di San Romolo, che parte dalle valli sottostanti e dura una decina di giorni. Alcuni partigiani (tra cui Floriano Calvino) riescono a fuggire, altri (tra cui Aldo Baggioli) vengono uccisi sul posto, parecchi vengono catturati. Italo [Calvino], risvegliato all'alba del 15 novembre dal rumore delle porte sfondate nei casolari dei dintorni, viene catturato mentre si allontana da San Giovanni [Frazione di Sanremo situata molto più in basso di San Romolo] in compagnia di Juarès Sughi: si salva dalla fucilazione immediata grazie a un foglio di licenza che porta con sé, un foglio che proveniva insieme con altri da un regolare reparto di stanza presso Ancona (questi fogli erano stati distribuiti ai partigiani grazie alla lungimiranza di un compagno che se ne era impadronito mentre era militare nelle Marche, Guido Pancotti, il futuro «ingegner Travaglia» della Speculazione edilizia). Stando alla domanda all'ANPI (che per mancanza di righe costringeva a risposte ultra-sintetiche), Italo trascorse tre giorni nella fortezza-carcere di Santa Tecla (sul Porto Vecchio di Sanremo); secondo altre testimonianze venne recluso a Santa Tecla per un giorno e poi per altri due a Villa Giulia o a Villa Auberg (ovvero Villa Ober; Grignolio [Ghepeu], con cui ho avuto l'onore di parlare di recente, propende per Villa Giulia). Fulvio Goya, in un'intervista rilasciata dopo più di quarant'anni, ha offerto un ricordo assai vivido della notte insonne trascorsa insieme con Italo e Mario Calvino a Santa Tecla tra il 15 e il 16 novembre, e dell'appello tenuto all'alba del 16: «Eravamo nell'anti-cella del carcere di Santa Tecla, c'era una finestra con le grate da dove si vedeva il cortile. Siamo stati lì senza bere e senza mangiare e ci lasciavano uscire da una porticina laterale per andare ai gabinetti pubblici. Vi fu un bombardamento. Sul tetto della prigione avevano installato una batteria contraerea. Noi eravamo lì ma non potevamo scappare, c'erano sentinelle armate. Chiesi a Italo - non appena vidi, ad altezza dei nostri occhi, gli stivali dei componenti del plotone di esecuzione - se i tedeschi ci avrebbero fatto agonizzare a lungo. Mi rispose di no: "I tedeschi ti stecchiscono e ti lasciano lì". Letto l'elenco dei nominativi ci fecero uscire e ci portarono oltre il portone di Santa Tecla dove c'era un camion che ci aspettava ... avevano invece fucilato gli altri, quelli che non avevano chiamato, poi li han buttati in mare». Attesa della morte in un albergo include la rievocazione retrospettiva di «un giorno e una notte» passati nella fortezza sul porto, entro una stretta cella che era servita in precedenza «da prigione di rigore per i soldati tedeschi» e nella quale ora erano state rinchiuse una ventina di persone, costrette a dormire per terra l'una al fianco dell'altra. Ma la scena principale del racconto coincide appunto con l'ultimo piano di «un grande albergo da poco degradato a  caserma e a prigione», dove alcuni rastrellati sono appena stati trasferiti da Santa Tecla per essere passati in rivista da un partigiano rinnegato, un ragazzo esaltato e bizzoso [...] Ecco la presenza a Santa Tecla di un vecchio padre con la barba bianca «vestito da cacciatore» (Mario Calvino aveva l'abitudine di indossare anche in città una cacciatora di fustagno); ecco il tema dei falsi documenti [...] Insomma Italo, non riconosciuto o per lo meno non denunciato come partigiano, fu considerato uno dei tanti renitenti alla leva. E mentre Juarès Sughi e Fulvio Goya e altri suoi compagni di prigionia a Santa Tecla vennero condotti nel carcere genovese di Marassi, egli fu arruolato d'ufficio nella Repubblica Sociale e relegato per qualche tempo nel Deposito Provinciale di Imperia. Nessun documento attesta per quanti giorni sia rimasto a Imperia, né quando sia riuscito a scappare. Su tutte le vicende calviniane comprese fra il 19 novembre 1944 e il 1° febbraio 1945 anche le testimonianze offerte da quanti vissero quel difficile periodo sono manchevoli o troppo vaghe o contraddittorie.
Claudio Milanini, Appunti sulla vita di Italo Calvino, 1943-1945, «Belfagor», LXI, 1, 2006

In quel frattempo, il capitano della G.N.R. mi pregò di accompagnarlo a S. TECLA, dove desiderava conferire col comandante FORSTER circa la sorte del prof. CALVINO e suo figlio arrestati e colà detenuti. In seguito al colloquio, il prof. CALVINO ed il figlio passarono a disposizione del capitano SAINA [Sainas] della G.N.R.
Ernest Schifferegger, * già SS ed interprete, in un verbale di reinterrogatorio confluito in un documento del 2 giugno 1947 redatto dall’OSS statunitense, antenata della CIA *[Ernest Schifferegger era un italiano altoatesino che in occasione del referendum del 1939 aveva optato, come tutti i membri della sua numerosa famiglia, per la nazionalità tedesca. Entrato nelle SS, operò - a suo dire - solo nella logistica, su diversi punti del fronte occidentale. Era, tuttavia, a Roma come interprete, quando partecipò al prelievo di un gruppo 25 prigionieri politici italiani condotti a morte nella strage delle Fosse Ardeatine. Fece in seguito l’interprete per i nazisti anche a Sanremo. Il rapporto dell’OSS riporta che alla data del 2 giugno 1947 Schifferegger era ancora in custodia alla Corte d’Assise Straordinaria di Sanremo]

Durante la Repubblica di Salò Italo Calvino si nascose per renitenza alla leva, intensificando in questo periodo di reclusione le sue letture, che contribuirono in modo determinante alla sua sempre attiva formazione di letterato autodidatta.
Nel 1944, presentato al Pci, si unì alle forze partigiane in opposizione al nazifascismo: la sua decisione di affiancare i comunisti non fu però determinata da motivazioni ideologiche, quanto piuttosto dalla volontà di unirsi ad una forza dinamica ed operosa. L’attiva partecipazione alla guerra partigiana divenne un’esperienza di formazione umana, oltre che politica, offrendo un contributo decisivo alla sua formazione interiore e alla sua carriera di scrittore: egli raccolse lo spirito che animava gli uomini della Resistenza, cioè «una attitudine a superare i pericoli e le difficoltà di slancio, un misto di fierezza guerriera e autoironia sulla stessa propria fierezza guerriera, di senso di incarnare la vera autorità legale e di autoironia sulla situazione in cui si trovava a incarnarla, un piglio talora un po’ gradasso e truculento ma sempre animato da generosità, ansioso di far propria ogni causa generosa». <13
In risposta a questo intenso periodo Calvino partecipò alla battaglia di Baiardo (17 marzo 1945) rievocata dallo scrittore in "Ricordo di una battaglia" nel 1974.
Il pensiero politico di Calvino cominciò a definirsi in questo periodo, non come una presa di posizione univoca, ma come l’unione di tutti i percorsi possibili per costruire una realtà migliore, libera da pregiudizi, dal potere di pochi, e da istituzioni vecchie ed esauste <14.
[NOTE]
13 Italo Calvino, in La generazione degli anni difficili, a cura di Ettore A. Albertoni, Ezio Antonini, Renato Palmieri, Bari, Laterza, 1962, pp. 75-87.
14 Mario Barenghi, Cronologia, cit., pp. LVI-LVII.

Chiara Mazzullo, C’era una volta… Italo Calvino e le Fiabe italiane. Un'analisi di scopi, metodi e fonti, Tesi di Laurea Magistrale, Università Ca' Foscari Venezia, Anno Accademico 2013-2014

[...] Quando viene costituita la Repubblica Sociale Italiana, con a capo Mussolini, il suo Governo richiama alcune classi per organizzare l’esercito repubblicano. Vengono, come è noto, affissi i manifesti con la chiamata alle armi della classe 1923, Calvino non si presenta e rimane nascosto.
Poi vaga per qualche tempo sulle colline a monte della città, in terre di proprietà del padre, fino a che non è obbligato a prendere definitivamente la via dei monti per non venire arrestato dalla polizia fascista come disertore.
Entra a far parte di una formazione partigiana denominata Brigata Alpina, che è stanziata in località Beulla o si muove nei territori dei Comuni di Baiardo e di Ceriana.
La formazione è comandata da Candido Bertassi detto “Capitano Umberto”.
Calvino vi rimane finché non inizia il suo graduale sfaldamento.
Dopo lo scontro vittorioso con il nemico in località Carpenosa, avvenuto il 15 giugno 1944, con alcuni studenti suoi amici (Aldo Baggioli, Massimo Porre, Renzo Barbieri ed altri), Calvino entra a far parte del 16° Distaccamento della IX Brigata Garibaldi, comandato da Bruno Luppi (Erven), dislocato in Cian Colombo, nei pressi del borgo di Vignai (Comune di Badalucco). Dopo alcuni scontri col nemico e la furiosa battaglia di Sella Carpe, svoltasi il 27 di giugno,
durante la quale rimane gravemente ferito il Luppi ed alcuni garibaldini cadono eroicamente, il 16° Distaccamento si scioglie e gli uomini sono incorporati in altre formazioni.
[...] Il 5 di settembre Calvino partecipa alla difesa di Baiardo attaccata dal nemico (il quale viene sconfitto) e poi, per tutta una serie di motivi, il primo ottobre 1944, entra a far parte del Distaccamento partigiano comandato da Jaures Sughi (Leone), formazione della Brigata Cittadina GAP “Giacomo Matteotti”, che opera sulle colline intorno a Sanremo, a sua volta comandata da Aldo Baggioli (Cichito).
Il 15 di novembre i tedeschi rastrellano la zona di San Romolo, a monte di Sanremo, cade il Baggioli, alcuni partigiani sono catturati.
Calvino viene arrestato ma, per un fortuito caso, è risparmiato e, dopo tre giorni di carcere trascorsi nella fortezza Santa Tecla, è arruolato nell’esercito repubblichino ed entra a far parte del Deposito Provinciale come scritturale, al servizio del Tribunale Militare.
Quando riesce a fuggire, raggiunge la V Brigata Garibaldi “Luigi Nuvoloni” comandata da Armando Izzo (Doria-Fragola), la quale, con la IV “Elsio Guarrini” formano la II Divisione “F. Cascione”.
È incorporato nel 3° Distaccamento comandato da Giobatta Moraldo (Olmo), che fa parte del I Battaglione della V Brigata stessa.
Durante l’inverno 1944-’45 Calvino riesce a sopravvivere nonostante il freddo, la fame e il terrore instaurato dal nemico in alcuni paesi di montagna. Dal 2 febbraio, e nelle settimane successive, in compagnia del fratello Floriano (giovanissimo della classe 1927), anche lui garibaldino, Italo si trova a contatto con il nemico a Ciabaudo in Valle Oxentina, a Gerbonte, a Creppo, a Bregalla, località a nord-ovest di Triora, in Valle Argentina.
Il 10 di marzo 1945 partecipa alla battaglia di Baiardo come porta munizioni, combattuta dal I Battaglione “M. Bini” della V Brigata, comandato da Vincenzo Orengo (Figaro), con lo scopo di distruggere il presidio nemico composto dalla IX Compagnia bersaglieri, che è agli ordini del capitano Buratti.
Quei bersaglieri avevano causato molte sofferenze alla popolazione locale.
Dirige l’operazione Gino Napolitano (Gino), vicecomandante la V Brigata stessa. Calvino ricorda questa battaglia in un importante articolo pubblicato in prima pagina sul giornale Il Corriere della Sera (di Milano), del 25 aprile 1974.
Nei primi giorni di aprile, si trasferisce con la Brigata al campo di lancio rifornimenti alleati, in Pian Rosso, a monte di Viozene (Comune di Ormea, basso Cuneese).
Il 25 aprile scende a Sanremo con la sua formazione. [...]
Francesco Biga, A 20 anni dalla morte del grande scrittore. Italo Calvino, il partigiano chiamato "Santiago", Patria Indipendente, 29 gennaio 2006

In seguito alla caduta del fascismo il 25 luglio 1943, Calvino fonda il Movimento universitario liberale (MUL), e dopo l'8 settembre si orienta verso i comunisti. Nel giugno del ’44 si arruola nel XVI distaccamento della IX brigata garibaldina (comunista) Felice Cascione. Il distaccamento di Calvino si scioglie a fine giugno dopo una sconfitta a Sella Carpe. Tra l’ottobre e il novembre 1944 Calvino partecipa con il fratello Floriano alla brigata garibaldina sanremese Giacomo Matteotti, viene catturato durante un rastrellamento, poi arruolato d’ufficio nella Repubblica Sociale e relegato nel Deposito Provinciale di Imperia, da cui riesce a fuggire. Inoltre nell’autunno dello stesso anno la madre viene presa in ostaggio dai tedeschi per un mese, e il padre per altri due.
Tra il febbraio e l’aprile 1945 Calvino milita con suo fratello nella II divisione d’assalto garibaldina Felice Cascione; partecipa a più battaglie, tra cui quella vittoriosa di Bregalla e quella infruttuosa di Baiardo, che nel 1974 rievocherà nel racconto Ricordo di una battaglia. Tra i suoi compagni, alcuni futuri personaggi del Sentiero dei nidi di ragno: Giuseppe Vittorio Guglielmo e Ivar Oddone (rispettivamente, nel romanzo, il comandante Ferriera e Kim).
Rossana Labernarda, Calvino nella scuola: "Il sentiero dei nidi di ragno" e altro tra Calabria e Toscana, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013 

Insomma Italo, non riconosciuto o per lo meno non denunciato come partigiano, fu considerato uno dei tanti renitenti alla leva. E mentre Jaurès Sughi e Fulvio Goya e altri suoi compagni di prigionia a Santa Tecla vennero condotti nel carcere genovese di Marassi, egli fu arruolato d'ufficio nella Repubblica Sociale e relegato per qualche tempo nel Deposito Provinciale di Imperia <31.
Nessun documento attesta per quanti giorni sia rimasto a Imperia, né quando sia riuscito a scappare. Su tutte le vicende calviniane comprese fra il 19 novembre 1944 e il 1° febbraio 1945 anche le testimonianze offerte da quanti vissero quel difficile periodo sono manchevoli o troppo vaghe o contradditorie.
Dei lunghi giorni (forse due o tre settimane) trascorsi nel Deposito di Imperia, e della successiva fuga, ci parla però diffusamente Angoscia in caserma.
31 Cfr. anche Biga, Italo Calvino partigiano imperiese cit., p. 97.
Claudio Milanini, Appunti sulla vita di Italo Calvino, 1943-1945, «Belfagor», LXI, 1, 2006

[...] Il secondo, peraltro brevissimo, colloquio con Italo avvenne nell’autunno del 1943. Svolgeva alcune mansioni presso il Tribunale di Piazza Colombo (edificio che non esiste piú) e ogni tanto usciva per scambiare qualche parola col figlio del Prof. Zauli (mi pare si chiamasse Floriano anche lui, come il padre, insegnante nella Scuola di Avviamento Professionale, sita nello stesso edificio, al di sopra del Mercato dei Fiori). Un certo giorno Italo si rivolse al figlio di Zauli, il quale additò Cagnin (mi pare), che a sua volta lo diresse verso qualcun altro (forse Agostino de Gregorio, anche lui, come me, precoce antifascista) e poi si presentò da me. "Dovresti portare d’urgenza questo bigliettino nel negozio di fiori di Bottini, accanto a Barillaro, in Via Vittorio. Sai dov’è? Non farti notare e torna subito". Il messaggio era diretto a Kahneman e gli suggeriva di nascondersi perché "sarebbero venuti a cercarlo". La mia irruzione frettolosa in negozio sollevò qualche perplessità, forse perché c’era un’avventrice che avrebbe potuto sospettare qualcosa. Comunque il messaggio era giunto a destinazione (seppi poi che il Kahneman era nascosto addirittura nel palazzo in cui abitavo io, al n. 9 di Via Gioberti, in un deposito appartenente al fiorista Bottini). Non è chiaro se Italo agisse a titolo personale o facesse già parte di un’organizzazione clandestina, né se in Kahneman proteggesse l’ebreo, l’antifascista o il fratello del suo compagno di scuola Francesco. Me lo vidi davanti, improvvisamente, assieme ad altri partigiani che portavano il fazzoletto blu delle bande del Cap. Umberto, a me note perché ne faceva parte mia cugina Ada Galletti, la quale ogni tanto veniva a rifornirsi di viveri presso i parenti, accompagnata da un certo Ormea. Ero orgoglioso di lei non solo perché combatteva contro il nazifascismo, ma anche perché le donne armate scarseggiavano, anche fra i "garibaldini". Assieme ad Italo c’era qualcun altro che mi conosceva, forse Franco Giordano (ma non lo giurerei perché l’ho visto, a quei tempi, in tante circostanze), forse Ravotti (fratello di un croupier del Casino di Venezia che conoscevo sin da piccolo). Calvino sembrò riconoscermi e mi sorrise, ma disse solo: "Ah! Sei lí?" (scoprii poi che era un suo modo caratteristico e laconico di esprimersi che adoperava addirittura anche col fratello). Avevano premura di giungere verso Ceppo prima del tramonto (seppi solo piú tardi che venivano tutti da una battaglia, forse quella di Coldirodi, e temevano forse di essere inseguiti). Mio cugino Franco Moriano si incaricò di dar loro indicazioni precise sui sentieri da seguire. Non mi pare di aver piú rivisto Calvino (tranne forse accanto a Gino, nei pressi del cimitero di Bajardo la domenica che scappai dalla mamma per raggiungere i partigiani) [...]  Pietro Ferrua, Incontri e scontri con Italo Calvino, 25 aprile 2012 in Ra.forum

Nel Sentiero c’è un altro giovane eroe, un’altra figura positiva, che nasce dall’esperienza autobiografica dell’autore e di cui vorremmo parlare. Si tratta di Lupo Rosso. Nella realtà Lupo Rosso è Sergio Grignolio, nome di battaglia Ghepeú <1, che Calvino conosce durante i giorni di prigionia nella Villa Auberg, dopo che entrambi ed anche il padre di Calvino erano stati arrestati durante il rastrellamento avvenuto nella vallata di San Giovanni il 15 novembre 1944.
[...] Nel romanzo viene raccontata la fuga dal carcere di Grignolio esattamente come è avvenuta nella realtà, se si esclude l’intervento di Pin. Come già sappiamo, Calvino riuscirà ad evadere in un secondo momento, mentre il padre resterà in prigione.
Grignolio racconta a Ferrua: "Ero a Villa Auberg [...] Io sono riuscito a fuggire di lì, perché ho chiuso una sentinella in un cesto della spazzatura. Erano quei cesti alti che portavano i salumi e c’era stato il giorno prima un bombardamento navale, erano scese giù tutte le soffittature di cemento, di legno. Mentre io lo portavo fuori da un terrazzo al posto di buttarlo fuori io l’ho messo sulla testa della sentinella, mi son buttato giú e son riuscito a scappare. (FERRUA, cit.: 177)
Nel Sentiero Calvino introduce Pin come aiutante di Lupo Rosso nell’impresa della fuga: "Vieni, - dice Lupo Rosso, - Mi hai da dare una mano per portare giú il barile d’immondizie. [...] Lupo Rosso si avvicina a passi lunghi e silenziosi. Pin comincia a far scorrere una mano sull’altra, piano piano. Lupo Rosso è ormai alle spalle della sentinella [...] A un tratto una frana di spazzatura gli si abbatte sul capo; non è solo un frana, è un qualcosa che lo schiaccia sopra e tutto intorno [...] Intanto Lupo Rosso e Pin hanno già scavalcato la balaustra". (Ibid.: 42-45)
Lupo Rosso, dicevamo, è un personaggio positivo, anche se Grignolio <2 dichiara a Ferrua: «È una storia romanzata, molto romanzata» e Calvino nel romanzo, rovesciando le posizioni, lo rimprovera di spararle un po’ grosse:«Alle volte Lupo Rosso esagera un po’ le cose che racconta, ma racconta molto bene». (Ibid., 73)
Il fatto è che Sergio Grignolio è stato davvero un combattente audace; sua è un’altra fuga da Villa Giulia buttandosi a capofitto da un finestrella di cui era riuscito ad allargare le sbarre - a quanto racconta Ferrua - e sua è certa attività dinamitarda che fece saltare tre ponti per rallentare l’avanzata tedesca. Ferrua conclude: «Lo si voglia o no, il personaggio di Lupo Rosso è altrettanto «eccessivo» nel romanzo quanto il partigiano Ghepeú lo è stato nella storia». (FERRUA, cit.: 178)
[NOTE]
1 Ghepeú deriva dal nome che assume la polizia segreta russa dal 1922 al 1934: GPU.
2 Sergio Grignolio era nato nel 1926 a San Remo. «Era un uomo dai forti ideali - lo ricorda la presidente dell'Anpi di Imperia, Amelia Narciso - E' stato un partigiano dinamitardo, protagonista di alcune azioni importanti, di esplosioni, anche di ponti, per rallentare l'avanzata dei tedeschi». Quando scelse la via dei monti Sergio Grignolio aveva solamente sedici anni [...] Era l'ultimo componente del terzetto di eroi presenti nel romanzo di Italo Calvino, e anche se anziano e minato nel fisico, non aveva mai perso lo sguardo da combattente».(«La Repubblica», 11 settembre 2014)

Annalisa Piubello
, Calvino racconta Calvino: l'autobiografismo nella narrativa realistica del primo periodo, Tesi di dottorato, Universidad Complutense de Madrid, 2016


Numero del 1° Maggio 1945 del periodico sanremese "La voce della democrazia". I due articoli in prima pagina sono di Calvino - Fonte: Internet Culturale

E un bel giorno Italo posò la penna e prese il fucile. Per andare in montagna con i partigiani e fare la cosa che riteneva giusta.
Lui, Calvino, ha sempre parlato poco di questa durissima esperienza perché odiava la retorica e soprattutto la retorica della Resistenza, in un periodo in cui tutti raccontavano di averla fatta e spiegavano, centellinavano dettagli e storie, spesso messe insieme subito dopo la Liberazione.
Il grande scrittore era orgoglioso di quei giorni e dei suoi compagni di lotta. Con molti era rimasto in contatto fino alla fine della vita. Con uno in particolare: Giovanni Nicosia, "Sam" originario di Caltanissetta, un severo caposquadra sui monti, che diventerà poi correttore di bozze per la Einaudi e dunque vicinissimo ad Italo nel lavoro quotidiano. Sì, appunto, Italo Calvino in qualche articolo e in qualcuno dei suoi libri, farà affiorare il periodo resistenziale, ma senza dettagli e particolari, in modo schivo e quasi sottovoce e il perché lo abbiamo detto.
Ero all’ospedale della Scala, di Siena, il giorno della morte dello scrittore. Per il giornale, ovviamente. La bara era stata sistemata in uno stanzone enorme e non c’era nessuno. Era uno stanzone carico di affreschi, stemmi e orpelli quasi gioiosi, che rendevano ancora più desolata e solitaria quella bara e quella morte. Stavo ascoltando, in una stanzetta, alcuni colleghi che chiedevano notizie alla moglie di Calvino sul periodo della montagna, ma anche lei sapeva pochissimo. Qualche passo più in là, forse un avvocato o uno dei dirigenti della Einaudi, già parlava dei diritti d’autore per i tanti libri dello scrittore di fama mondiale, ma io sentivo quelle parole come una specie d’insulto a Calvino, abbandonato, solo, nello stanzone rinascimentale senza un fiore, una corona, una rosa. Ovviamente, sciocchi sentimentalismi i miei, in quel momento. Ma non riuscivo, comunque, a metter via i pensieri, angosciosi, che mi si affollavano in testa.
Del periodo della montagna e della Resistenza, invece, volli sapere tutto e non seppi niente. Ho dovuto aspettare qualche anno e leggere e rileggere i racconti di alcuni dei compagni di Calvino pubblicati da "Patria indipendente", la rivista dei partigiani, per sapere dettagli e particolari.
Italo Calvino era nato a Santiago de Las Vegas (Cuba) il 15 ottobre 1923 da Mario Calvino e da Eva Mameli. La famiglia, ad un certo momento, era tornata in Italia e si era stabilita a Sanremo. Con la guerra, la tragedia incombeva.
Ed eccola la storia di lui. Calvino è un giovane sveglio, già entrato in contatto con alcuni antifascisti.
[...] Nasce la repubblichina di Salò e subito vengono affissi i manifesti per il richiamo alle armi della classe 1923: proprio quella di Calvino. Per i disertori, come si sa, è prevista la fucilazione.
Il giovane, per non essere arrestato, prende la via delle colline e si rifugia in boschi e boschetti, nelle terre di proprietà del padre. Poi, con un gruppo di amici, Aldo Baggioli, Massimo Porre, Renzo Barbieri e altri, decide di salire in montagna. Viene accolto nella formazione partigiana «Brigata Alpina» presso Beulla. È una brigata, la sua, che si muove tra Baiardo e Ceriana ed è comandata da Candido Bertassi, conosciuto come Capitano Umberto. È una prima esperienza molto, molto difficile. Calvino è ormai conosciuto da tutti con il nome di battaglia di «Santiago». Il primo grande scontro con i nazisti avviene in località Carpenosa il 15 giugno 1944 ed è una vittoria. Poi la formazione si scioglie. Lo scrittore entra allora a far parte della «IX Brigata Garibaldi», comandata da Bruno Luppi, «Erven» e partecipa alla battaglia di Sella Carpe. «Erven» rimane ferito gravemente e molti partigiani ci lasciano la pelle. A luglio, i nazisti incendiano i paesi di Molini di Triora e Triora e lo scontro, in tutta la zona, si fa ancora più duro. Calvino, intanto, è passato alla Divisione d’assalto Garibaldi «Felice Cascione» e partecipa alla difesa di Baiardo. Durante un rastrellamento «Santiago» viene arrestato, ma si salva.
Deve però arruolarsi, per un breve periodo, tra i repubblichini come scritturale. Poco dopo riesce a fuggire e torna in montagna con tanto di armamento individuale. A lui si unisce il fratello Floriano che ha appena sedici anni. Ora, i fratelli, sono in una formazione diversa. L’inverno del 1944-’45 è terribile: freddo, gelo, fame, rastrellamenti, arresti e torture. Italo Calvino partecipa a tantissimi scontri: a Ciabaudo, a Gerbonte, a Bregalla e ancora a Baiardo e a Triora nella Valle Argentina. Il 25 aprile arriva la Liberazione e anche lui sfila per le strade di Sanremo con la sua formazione. Durante la lotta in montagna non ha mai smesso di scrivere per Il Garibaldino, La nostra lotta e l’Unità, stampata localmente. Il 25 maggio 1945 torna a casa e si laurea. 

Un comizio di Calvino a Sanremo - Fonte: Internet Culturale

Poi, si iscrive al Pci che rimarrà il suo partito per una decina di anni. Riceve anche il diploma Alexander numero 165545 ed è riconosciuto partigiano combattente. Poco dopo, dal Distretto militare di Savona, riceverà lire 6.687: è la paga da soldato per tutto il tempo della montagna.
Wladimiro Settimelli, Nome di battaglia «Santiago». Il giovane Calvino partigiano nei racconti di alcuni compagni. Dall’archivio dell’Anpi spuntano documenti che ricostruiscono il periodo della montagna e della Resistenza, l’Unità, 11 dicembre 2013, articolo riprodotto come Nome di battaglia "Santiago" in Nord Milano Notizie, 12 dicembre 2013
 

Fonte: Marco Bresciani, Op. cit. infra

1 Sanremo, settembre 1943 - giugno 1944. In casa dei genitori; in maggio-giugno 1944, scritturale per il tribunale militare di Sanremo; ai primi di giugno 1944 si arruola nel XVI distaccamento della IX brigata garibaldina Felice Cascione.
2 Valle Oxentina. Alla macchia, nella seconda metà di giugno 1944.
3 Sella Carpe, 27 giugno 1944. Sconfitta contro i nazifascisti e scioglimento del XVI distaccamento.
4 Sanremo, luglio - prima metà agosto 1944. Probabilmente nascosto nei poderi di famiglia a San Giovanni.
5 Valle Oxentina - Valle Armea, 15 agosto - 20 settembre 1944. Arruolamento, col fratello diciassettenne Floriano, nella banda del capitano Umberto (al secolo Candido Bertassi); è una banda «azzurra», cioè badogliana.
6 Coldirodi, 3 settembre. Battaglia contro i nazifascisti.
7 Baiardo, 5 settembre. Sconfitta contro i nazifascisti; la banda «azzurra» di Umberto si scioglie il 20 settembre.
8 San Romolo, 1º ottobre - 15 novembre 1944. Si arruola, di nuovo con Floriano, nel distaccamento di Leone (al secolo Jaurès Sughi) della brigata sanremese Giacomo Matteotti, garibaldina; in ottobre i loro genitori, Mario Calvino ed Eva Mameli, sono presi in ostaggio dai tedeschi, che simulano per tre volte la fucilazione di suo padre sotto gli occhi della moglie; Eva Mameli sarà prigioniera per un mese, Mario Calvino per due. Il 15 novembre, Italo è catturato in un rastrellamento: evita la fucilazione immediata perché, grazie a un foglio di licenza militare falsificato, non viene riconosciuto come partigiano.
9 Sanremo, 15-18 novembre 1944. Preso in un rastrellamento, è rinchiuso per un giorno nel carcere di Santa Tecla e per due a Villa Giulia.
10 Imperia, 19 novembre - primi di dicembre 1944. Considerato renitente alla leva, è arruolato d’ufficio nella Repubblica Sociale ma relegato nella caserma-deposito provinciale; riesce a fuggire dopo circa tre settimane.
11 Sanremo, circa 9 dicembre 1944 - 1º febbraio 1945. Nascosto nei poderi di famiglia a San Giovanni.
12 Sanremo, 1º febbraio - 25 aprile 1945. Si arruola con Floriano nella II divisione d’assalto garibaldina "Felice Cascione", comandata da Giuseppe Vittorio Guglielmo; «Vittò» sarà il comandante Ferriera ne Il sentiero dei nidi di ragno; il commissario politico è invece Ivar Oddone «Kimi», Kim nel Sentiero. Calvino fa parte della V brigata Luigi Nuvoloni, I battaglione, II distaccamento, III squadra.
13 Ciabaudo, valle Oxentina, febbraio-marzo 1945. Con la divisione garibaldina Felice Cascione.
14 Creppo e Gerbonte, febbraio-marzo 1945. Con la divisione garibaldina Felice Cascione.
15 Bregalla, 12-13 febbraio. Battaglia vittoriosa, con la divisione garibaldina Felice Cascione, contro una compagnia di Cacciatori degli Appennini.
16 Baiardo, 10 marzo 1945. Combattimento infruttuoso per liberare Baiardo dai bersaglieri della IX Compagnia della morte.
17 Ceriana, 5 aprile 1945. Circondato dai nemici dopo un combattimento, si salva grazie a una macchia di noccioli.
18 Viozene, aprile 1945. Con la divisione garibaldina Felice Cascione
Marco Bresciani (con Domenico Scarpa), Italo Calvino combattente partigiano da Gli intellettuali nella guerra civile (1943-1945), in Atlante della letteratura italiana, a cura di S. Luzzatto e G. Pedullà, vol. III. Dal romanticismo a oggi, Einaudi, 2012 

C'era stato un incendio in un bosco: ricordo la lunga fila dei partigiani che scende tra i pini bruciati, la cenere calda sotto la suola delle scarpe, i ceppi ancora incandescenti nella notte. Era una marcia diversa dalle altre nella nostra vita di continui spostamenti notturni in quei boschi. Avevamo finalmente avuto l'ordine di scendere sulla nostra città, Sanremo; sapevamo che i tedeschi stavano ritirandosi dalla riviera; ma non sapevamo quali caposaldi erano ancora in mano loro [...] Ancora negli ultimi giorni i tedeschi erano venuti di sorpresa e avevamo avuto dei morti. Proprio pochi giorni prima andando di pattuglia era mancato poco che cascassi nelle loro mani. L'ultimo accampamento del nostro reparto, se ricordo bene, era tra Montalto e Badalucco: già il fatto che fossimo scesi nella zona degli uliveti era il segnale di una nuova stagione, dopo l'inverno nella zona dei castagni che voleva dire la fame.
[...] Dalle parti di Poggio cominciammo a incontrare sul margine della strada la popolazione che veniva a vedere passare i partigiani e a farci festa. Ricordo che per primi vidi due uomini anziani col cappello in testa che venivano avanti chiacchierando di fatti loro come in un giorno di festa qualsiasi; ma c'era un particolare che fino al giorno prima sarebbe stato inconcepibile: avevano dei garofani rossi all'occhiello. Nei giorni seguenti dovevo vedere migliaia di persone col garofano rosso all'occhiello ma quelli erano i primi.
Italo Calvino, Il mio 25 aprile in Italo Calvino, Saggi, 2, Mondadori, Milano, 1995