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sabato 13 marzo 2021

Attacco partigiano alla postazione B7

Dintorni di Molini di Triora (IM) - Fonte: mapio.net

Il 3 o il 4 giugno [1944], qualche giorno prima dello sbarco alleato in Normandia, vi è l'attacco alla postazione «B7».
Vittò [Giuseppe Vittorio Guglielmo], Erven [Bruno Luppi], Tento e Marco [Candido Queirolo], sebbene già divisi nei due distaccamenti, decidono di attaccare insieme la postazione «B7», situata nella zona di Perallo [Frazione di Molini di Triora (IM)], villaggio che è su per giù a metà strada fra Molini di Triora e Carmo Langan.
Il comando dell'azione è affidato a Moscone (Basilio Mosconi), ora con Tento [Pietro Tento] e Marco, e già scelto per comandare un nuovo eventuale distaccamento. Egli diventerà infine comandante del Battaglione «Marco Dino Rossi» (2° Battaglione della V Brigata).
Il 4° distaccamento (Marco e Tento) scende da Gerbonte; il 5° (Vittò e Erven) scende dalle alture che sono sopra Carmo Langan; s'incontrano a Loreto.
Il distaccamento di Marco e Tento partecipa al completo, tutto in un solo gruppo, all'azione contro la «B7».
Il distaccamento di Vittò e di Erven viene diviso in due gruppi: uno di questi, nel quale vi sono Vittò ed Erven, partecipa direttamente all'azione contro la «B7», mentre l'altro viene mandato in Molini.
Il comando dell'azione, come si è detto, è affidato a Mosconi, del 4° distaccamento. Mosconi, ex sergente maggiore non di carriera del disciolto esercito, precisa con particolare accuratezza il modo di condurre l'attacco: spiega il compito di ogni uomo, di ogni arma, la prudenza per evitare le mine seminate intorno alla postazione, l'ora dell'inizio dell'attacco, il segnale (inizio: ore l2 esatte; segnale: un colpo di pistola).
La postazione è vicina alla strada, proprio dove questa disegna una curva; ed è all'interno della curva stessa.
I partigiani si portano sul posto e si dispongono a semicerchio, distribuendosi sopra, sotto e lateralmente, al di là della strada; in modo che la strada resta fra essi e la postazione.
Esattamente alle ore 12, come convenuto, Mosconi dà il segnale con un colpo di pistola, e viene iniziato l'attacco col mortaio da «45», con fucili e con bombe a mano tedesche dal manico lungo; il mortaio, affidato a Milorato, era piazzato presso un castagno, a monte della postazione.
Colti di sorpresa, i militi fascisti (forse 12 o 15) si rinchiudono nella capanna che è, press'a poco, al centro della postazione e nel punto più sporgente della curva; mentre due tedeschi corrono alle due mitragliatrici collocate una a monte e una a valle, e rispondono al fuoco.
Un proiettile spezza a Mosconi la penna del cappello alpino. Il castagno, dove stava Milorato col mortaio, era crivellato di colpi. Mentre un gruppo scelto di partigiani, cautamente a causa delle mine, si stava portando vicino alla baracca per assaltarla con le bombe a mano, Mosconi riesce a colpire con una bomba del mortaio la capanna. Avviene uno scoppio, che la fa saltare in aria, uccidendo i fascisti, che vi erano dentro; tutti gli altri uomini della postazione (due tedeschi e due italiani) sono fatti prigionieri; di essi, solo un italiano non è ferito, mentre sono feriti leggermente l'altro italiano e un tedesco, e gravemente l'altro tedesco.
Il tedesco gravemente ferito è portato nel vicino paese di Molini e affidato alle cure di un sacerdote; degli altri non si è potuto accertare se rimasero con i partigiani o se furono rimandati a casa; tuttavia si sa che non furono fucilati.
Marco, da Molini, manda un telegramma al Prefetto: «Comunichiamo espugnazione da parte nostra postazione B7 alt Provvedete voi ritirare vostri morti alt Noi sprovvisti becchini alt». Firmato: «I ribelli».
Nella notte vennero i pompieri a ritirare le salme dei fascisti caduti.
Frattanto, l'altro gruppo del 5° distaccamento, mandato in Molini prima dell'attacco alla «B7», nel suddetto paese aveva preso in consegna un camion, affidato ai partigiani dal proprietario allo scopo di sottrarlo ai tedeschi, che volevano requisirlo.
Dopo che la «B 7» fu presa, il sopra menzionato gruppo del 5° distaccamento fece passare il camion avuto in consegna, che venne quindi avviato alla montagna, e - passato il camion - fece saltare il ponte della strada fra Molini e Langan.
L'azione contro la «B7», di cui si è ora parlato, avvenne due o tre giorni prima dello barco alleato in Normandia; e quindi, come si è detto, il 3 o il 4 giugno.
Dopo l'azione contro la «B7», il 5° distaccamento (Vittò ed Erven) fa la sosta di un giorno; poi va a prendere accantonamento nelle caserme di Carmo Langan. In questa nuova sede si trasferisce il giorno dello sbarco in Normandia, quindi il 6-6-44.
I partigiani si stabiliscono anche in qualche casa, che poi verrà bruciata dai nazifascisti (casa di Lanteri Cesira). Compito del 5° distaccamento era di controllare la Val Roia e la Val Nervia, oltreché di fronteggiare la postazione tedesca di Monte Ceppo. Infatti in questa località, che in linea d'aria dista circa km.5 da Carmo Langan, i tedeschi avevano ancora ingenti forze; e d'altra parte la località stessa era di particolare importanza, perché da essa si domina la zona di Carmo Langan, che è un po' a nord ovest, e quella di Baiardo, che è un po' a sud ovest; e, in più, per Monte Ceppo passa una strada che collega le strade di Carmo Langan e di Baiardo, consentendo l'accesso alla montagna e all'interno da disparatissimi punti.
A sua volta il 4° distaccamento (Tento e Marco), subito dopo il fatto della «B7», prende posto a Triora. Carmo Langan è nodo stradale importantissimo, perché vi si incontrano le strade che vanno, fra l'altro, a Pigna, a Cima Marta, a Molini di Triora, a Baiardo.
Per dare, a questo punto, un'idea della situazione stradale in generale, giova richiamare l'attenzione sulle seguenti arterie principali:
1) strada Ventimiglia o Piani di Vallecrosia - Camporosso- Isolabona - Pigna - Carmo Langan - Molini di Triora - Passo della Teglia - Bosco di Rezzo - Rezzo - Pieve di Teco - Albenga;
2) strada  Isolabona - Apricale. Baiardo - Vignai - Badalucco;
3) strada Arma di Taggia - Badalucco - Molini di Triora;
4) strada Badalucco - Carpasio - Colle d'Oggia - San Bernardo di Conio - Bosco di Rezzo (fino alla prima delle arterie sopra elencate);
5) strada San Bernardo di Conio - Colle San Bartolomeo;
6) strada San Bernardo di Conio - Colle d'Oggia - Borgomaro - Chiusavecchia;
7) strada Colle San Bartolomeo - Caravonica - Chiusavecchia;
8) statale «28», che, partendo da Imperia, passa per Chiusavecchia, Colle San Bartolomeo, Pieve di Teco, e quindi permette di accedere da Imperia e dal Piemonte, oltre che da Albenga e da Ventimiglia, alle strade già menzionate;
9) strada che, partendo dalla statale «28» a valle di Chiusavecchia, passa per Gazzelli, Chiusanico e Torria, e si ricollega alla statale «28» a valle di Cesio;
10) strada Carmo Langan - Cima Marta - Galleria del Garezzo - San Bernardo di Mendatica - statale «28» (innesto presso Case di Nava);
11) strada Via Aurelia - Ceriana - Baiardo;
12) strada Sanremo - San Romolo - Case Morini - Baiardo;
13) strada Sanremo - San Romolo - Perinaldo;
14) strada Ospedaletti - San Romolo;
15) strada Via Aurelia - Vallecrosia - Perinaldo;
16) strada  Perinaldo - Apricale;
17) strada Camporosso - Ciaixe - Monte Baraccone -  Ponte Raggio - Ponte Barbaira - Isolabona;
18) strada Camporosso - Ciaixe - Monte Baraccone - Margheria dei boschi - Pigna;
19) strada statale n. 20 o strada statale della Val Roia;
20) strada che si stacca dalla statale n. 20, a pochi chilometri da Ventimiglia, e - per mezzo di due tronconi - si collega alla strada che, partendo da Camporosso, passa per Ciaixe;
21) strada di Bevera, che, partendo dall'Aurelia, passa per Bevera, e si im mette nella statale n. 20 a valle di Airole.
Dalla sopra descritta rete stradale appare quanto fosse facile una penetrazione nell'interno;  e risulta altresì come Carmo Langan fosse uno dei nodi più importanti per la penetrazione stessa.
Dopo lo sbarco in Normandia, il 5° Distaccamento (Vittò ed Erven) si ingrossa fino a raggiungere, entro il 15 giugno [1944], la forza di circa mezzo migliaio di uomini.
Cosa analoga avviene per il 4° Distaccamento (Tento e Marco), il quale, entro il 15 giugno, raggiunge la forza di circa 300 uomini.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 286-289


giovedì 16 gennaio 2020

Un seminarista partigiano sfugge al famigerato capitano Christin

Corte, Frazione di Molini di Triora (IM) - Fonte: Wikipedia
 
A rintuzzare le sortite dei partigiani non restava che ordire un rastrellamento nelle zone di Andagna, Corte [Frazioni di Molini di Triora (IM)] e l'intera Valle del Capriolo. Messe sull'allerta, le bande in loco si posizionarono a scanso di imprevisti sulla strada che da Passo Collardente immette alla Galleria del Garezzo. Ottima posizione per tracollare nel territorio della Piaggia.
La mattina del 7 marzo del 1944 era foriera di buoni auspici; la calma invitava a portare a fine la missione, sicuro che alla Rocca della Strega o Basura avrei consegnato il dispaccio alla staffetta X.
Uscii di casa in veste talare e gli scarponi ai piedi; intascai un foglio apparentemente bianco, arraffai il libro del Diritto Canonico - in previsione di un fermo poteva essere la carta attestante la mia qualità di studente ecclesiastico. Salutai a voce alta quelli di casa. Avevo appena imboccato la strada verso i lavatoi alla Raiella che incontrai Peirelli Baciò, soprannominato U Ricco. Il bravo uomo correva verso casa ansante; mi comunicò che in Piazza Niella i fascisti entravano nelle case, rubavano viveri...
Proseguii intenzionato ad oltrepassare i lavatoi e da qui giungere a San Bernardo per la regione Armetta. Giunto ai lavatoi scorsi nello spiazzo della Croce due fascisti intenti a posizionare un mortaio.
Tornai a ritroso alla prime case di Raiella, entrai in un fenile diroccato. Ottima idea, e in un non dire mi preparai con larghe love un nascondiglio. Pensai alla morte del topo, se scoperto. Se volevo essere libero, l'unica strada, pensai, era tentare il tutto per il tutto. Uscii dalla mia trappola e corsi allo scoperto; raggiunsi la Cappella Pilone a lato dei lavatoi: solo allora assaporai la libertà.
Fu breve la certezza di guadagnata libertà. Sulla stradale sotto ripa una pattuglia avanzava in direzione del mio fuggire. Compresi che sarei stato fermato. Sostai presso un cespuglio di folte rose canine. Sedetti, guardai innanzi. Due individui in divisa tedesca puntavano verso di me. Mi fecero cenno di alzarmi in piedi. Un ordine secco in buon italiano mi impose di alzare le mani.
Ero in tale frangente e uno dei militari mi frugava addosso quando, ignaro della situazione, un uomo non subito individuato perché carico di fogliame per le bestie mi si avvicinò. Fu fermato: lo osservai impressionato e sconvolto.
Incanto dal paese arrivavano rumori di porte spaccate; un filo di fumo si estese attorno ad un vecchio pagliaio alla Costa.
Le ore passavano; non una parola; solo sguardi. Le ore tredici, le quindici: il quadrante dell'orologio del campanile mi appariva come in una nebbia.
Una raffica di mitragliatore posizionato nel finestrone del campanile e un lungo fischio fu il segnale della riunione.
Il rientrare in paese fu come se si facesse ritorno dai campi. Anche i militi erano meno esigenti e per due volte vidi ottima occasione di una fuga. Non era, ben pensando, tanto salutare metterla in pratica. Giungemmo nel piazzale a fianco della vecchia chiesa di San Martino: donne in lacrime riunite. Alti i lamenti.
Era iniziata la conta; il capitano Cristin [n.d.r.: Francesco Christin dei Granatieri Repubblichini (1)] sollecitava alla rigorosità i suoi uomini. Strana scelta: una, due... diciassette - donne vecchie, alcune ventenni.
A lato, il parroco don Rodi, il padre Francesco, don Modesto Emmanuele, il chierico Giacomo Alberti. Anch'essi interrogati e messi in libertà. Fu allora che mi chiesi perché la sorte mi coprì con il suo mantello funesto.
Fui inserito ultimo della fila al lato destro: unico maschio fra donne. Non pensai d'essere il beato fra le donne. Mi convinsi che la scelta muliebre avrebbe comportato, in un secondo tempo, serrata inquisizione. La processione si avviò verso Molini percorrendo la carrozzabile.
Al mio fianco camminava un milite avvolto in larghe vesti tedesche; di costituzione gracile, gli occhi allampati. Lo classificai un cerca pane senza sudare. Con maniere stanche mi mette in mano un sacchetto pesante con l'ordine perentorio di portarlo fino a Molini. Dalla pesantezza e dal tintinnio individuai essere due canne di mitragliatore.
Camminava al mio fianco la cugina Giuseppina Velli. Si offrì di darmi una mano a portare il sacchetto. Declinai l'offerta: "Grazie, quando sarò veramente stanco questo ingombro lo lancerò sotto strada".
Il milite al mio fianco dai larghi vestiti teutonici in sonante patuà sanremasco intervenne: "Dì, mezzo preve! Provaghe; cun u sacu u ghe sarà e tue ossa". Più non fiatai.
Giunti in Molini ci condussero sul ristretto spazio dinanzi alla Chiesa. Le donne vennero rinchiuse nel magazzino di Casa Daneri, io "mezzo prete" buttato in una camera aperta sul pianerottolo innanzi all'ufficio del Capitano Cristin.
Una visione non gradita mi turbò a non dire. Di fronte alla mia prigione, sorridente, in pantaloncini caki vidi seduto Sandro Emanuelli. Non era, quando ci eravamo parlati, un partigiano? Avrebbe potuto tradire...
La mia prigione era di metri 2x3; una finestra-balcone guardava sulla piazzetta della parrocchiale; non un armadio né un tavolo. Arrugginito, un letto scricchiolante. Mi stesi sulla nuda rete, passarono le ore. Fuori nella notte uno scarpinare e un brusio continuo. Mi affacciai; sotto si effettuava il cambio della guardia.
All'alba al brusio si unì un calpestio di zoccoli di muli. Guardai sotto, e tra i conducenti scorsi la figura dimagrita di mio padre. Compresi che era stato per l'ennesima volta reclutato. Sul fare della sera si parlò di otto partigiani catturati in Bregala [Bregalla , Frazione di Triora (IM)] e che il giorno seguente sarebbero stati fucilati in luogo da stabilirsi.
Fu che anche la mia prigionia e il non essere stato ancora inquisito mi mise in grande prostrazione. Le donne, a gruppi, vennero rilasciate. Vidi salire e scendere le scale del Comando il sacerdote padre Modesto.
Fu per l'occasione ottimo intermediario.
Si vociferò che la liberazione delle donne costasse in denaro e in abiti civili non poco... Ciò che fu voce di popolo risultò poi realtà.
Passarono tre giorni; giorni di digiuno, un pasto povero al giorno, ma venne l'ora di essere introdotto alla presenza del Capitano Cristin. Non eravamo sconosciuti l'uno all'altro. Fu il Cristin a rilasciare il salvacondotto richiesto dai parroci del Vicariato per collegamenti con il vescovo Rousset in San Remo. Mi attendeva in piedi, tra le mani alcuni fogli: "ottimo studente in teologia, mi lesse, delegato dal clero locale, in possesso di due lasciapassare, da mesi abitante al paese nativo nelle vicinanze di Casa Saluzzo". Perché non dovevo sapere della mucca rubata dai ribelli al Saluzzo? Risposi di essere a conoscenza della mucca e che era mia convinzione che avesse due corna, due orecchie, due occhi e una coda: nulla ricordavo del manto.
Il Cristin andò in bestia: sputò una bestemmia. Colpito alla nuca da didietro caddi a terra. Mi trovai nella camera prigione, un filo di sangue mi usciva dalla bocca.
Compresi che il mio rispondere aveva aggravata la mia situazione di prigioniero.
Stavo pensando ad una risoluzione quando sentii un sassolino lanciato da fuori contro la persiana. La sollevai e guardai a basso.
Un vecchio sergente viennese, amico di mio padre, mi fece cenno di scavalcare la finestra. Era anche la fuga un conservare la vita. Presi la [veste] talare, la arrotolai, la fermai alla ringhiera e mi lasciai andare a basso.
 
Da Triora (IM), una vista sulla vallata - Fonte: Wikipedia
 
Si chiamava Frank l'amico di mio padre. Mi fece infilare un calettò e una bustina militare, prelevò un moschetto dalla rastrelliera e su verso Triora, era un cavalletto di Frisia e altri ostacoli. Alla Madonna delle Grazie vigilava una pattuglia tedesca. Frank confabulò alquanto, poi voltammo a sinistra sulla rotabile per Molini.
Giunti ai mulini di Pio ci abbracciammo consapevoli di avere posto le nostre vite in pericolo. Era la libertà. Proseguimmo da Corte ad Andagna attraverso l'unica strada. Allo spuntare del giorno, stanchi, io bussavo alla porta di casa.
 
Andagna, Frazione di Molini di Triora (IM) - Fonte: Pro Loco Andagna
 
Mi precipitai in cucina [in Andagna], aprii la madia, afferrai un pane e, presa la sacca della biada della mula appesa ad una sedia, vi lanciai dentro un fiasco. Dissi addio al padre Francesco, a mamma Clementina; sentii notizie del fratello Marcello alla macchia e al sicuro.
Lasciammo il paese e, tracollando da San Bernardo, con lungo percorso di sentieri sicuri si giunse in regione Gratino: non era ancora la meta prefissa.
Prima di giorno dovevamo arrivare al distaccamento di Moscone [Basilio Mosconi, in seguito comandante del II° Battaglione "Marco Dino Rossi" della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni"] in regione Fontanin, non lontano da Glori [Frazione di Molini di Triora (IM)]. Avevamo appena oltrepassato Gratin e si era per imboccare la strada di Agaggio Superiore [Frazione di Molini di Triora (IM)] quando, irruente e armi alla mano, la partigiana Natascia [Ida Rossi], unica donna della Banda Moscone, ci si pianta di fronte minacciosa.
Ordina di alzare le mani. La chiamo per nome, uso il dire del suo paese. Irremovibile. Siamo suoi prigionieri. Giunti al distaccamento, ci consegna a Moscone. "Brava la mia Natascia. Ottima preda questa mattina: un mezzo prete ed uno vestito da tedesco che cercheremo di conoscere".
Eravamo salvi. Assaporai che significa essere braccati, ma liberi.

Don Nino Allaria Olivieri *, Memorie. Diari 1940-1945. Seconda parte: Andagna - Fatti e Misfatti (1944-1945), Alzani Editore, 2011

* Don Antonio Allaria Olivieri "Poggio", nato ad Andagna, Frazione di Molini di Triora (IM), il 19.11.1923
Nel 1943, ventenne, studente di teologia presso il Seminario di Bordighera.
Nel mese di ottobre, rifiutato l'arruolamento nella Repubblica di Salò, saliva in montagna.
Con lo pseudonimo di "Poggio", nella formazione di Guglielmo Vittorio "Vitò" presso Loreto di Triora.
Incorporato nelle formazioni garibaldine con prevalenti compiti di staffetta e servizio informazioni.
Il 25 maggio 1944 veniva arrestato ad Andagna nel corso di un rastrellamento.
Riuscito a fuggire grazie alla complicità di un soldato austriaco, tornava al Distaccamento.
Il 18.6.1944 partecipava alla battaglia di Carpenosa che vide la liquidazione del presidio tedesco.
Il 25 Aprile 1945 fu a Sanremo con il I° Battaglione "Mario Bini" della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" comandato da Vincenzo Orengo "Figaro".
Vittorio Detassis


(1) Ironia tragica della storia, Christin aveva combattuto il 10 settembre 1943 a Porta San Paolo di Roma. A quanto pare non ebbe rimorsi per le efferate azioni da lui comandate come ufficiale repubblichino nel ponente ligure. Francesco Christin scrisse un libro, Con gli alamari nella RSI. Storia del 1° Battaglione Granatieri di Sardegna 1943/45 (Edizioni Settimo Sigillo), recensito in seguito sulla rivista Il Granatiere (organo ufficiale della presidenza dell'Associazione Granatieri di Sardegna), nel n° 3 del 2017, con un articolo che riporta anche la seguente considerazione dell'autore: "Il tempo trascorso per noi, gli avvenimenti succedutisi nella storia della nostra Patria, hanno smussato, nel ricordo, l’asprezza degli episodi di allora. Su tutto sembra essersi steso un velo che, pur non facendoci dimenticare nulla di quanto abbiamo patito e gioito, ha creato come un alone di leggenda attorno ai fatti allora accaduti e dei quali siamo stati valorosi e tenaci protagonisti". Qui di seguito altre frasi estrapolate dall'articolo in questione: "L’autore era il Comandante di quel battaglione. Mi aspettavo un maggiore ricorso alla retorica fascista, invece da ogni parola si percepisce l’orgoglio delle proprie idee e la dignità per un dovere compiuto con onestà e grande senso di responsabilità. Il reparto dei Granatieri della RSI era una unità militare non politica. Come tale si comportò in ogni circostanza evitando gli eccessi tipici della spietata guerra civile. I racconti sono legati a quel tipo di conflitto, di guerriglia e controguerriglia, con pause prolungate e violenti e improvvisi scontri a fuoco. Un aspetto che mi ha colpito è che i molti Ufficiali dei Granatieri, spesso provenienti dai Corsi dell’Accademia Militare, mantennero i loro gradi per la maggior parte del periodo [...] Il Capitano Christin comandava il battaglione pur non essendo un Ufficiale superiore. I partigiani sono descritti come guerriglieri “mordi e fuggi” ma senza giudizi di disprezzo o odio. Erano italiani che militavano nella parte avversaria. L’epilogo è storia. Il 4 maggio 1945 il battaglione si arrese ai partigiani piemontesi. Non ci furono rappresaglie ai danni dei Granatieri, segno che non potevano essere accusati di violenze o comportamenti fuori dalle leggi di guerra. Furono portati in vari campi di prigionia per repubblichini per poi venire liberati nell’autunno del 1945. Tutti si integrarono nel nuovo Stato e contribuirono alla ricostruzione e rinascita dell’amata Patria. Il Tenente Chiti venne riammesso nell’Esercito Italiano fino a divenire Generale per poi farsi frate francescano [...] Ne consiglio la lettura". Sin qui la rivista Il Granatiere. Ma altro - e di altro tenore - si era già scritto sul Christin. "[...] Il Cristini, latitante, ha trovato dalla sua il tribunale che l'ha assolto. E' rimasto insoluto e da svelare il mistero di quel bando emesso, proprio dall'allora presidio repubblichino di Molini, di cui era comandante l'assolto capitano Cristini. In quel bando, dopo aver resa pubblica l'avvenuta esecuzione dei fucilati, si minacciava di uguale castigo tutti coloro che non si fossero presentati a servire la repubblichetta di Salò, estendendo la minaccia ai familiari dei contravventori e la confisca dei loro beni. Nonostante le richieste del P.M. per una condanna a trenta anni il processo si è concluso in una assoluzione per insufficienza di prove. Perché non si è sentito il parroco di Molini, che, a detta dei testimoni escussi, doveva essere il più importante testimone? Misteri della legge!": così scriveva l'Unità, organo del Partito comunista italiano, il 21 marzo 1947, riportando la notizia - "Francesco Cristini assolto" - che il Tribunale di Sanremo aveva assolto il capitano Christin, il cui cognome il giornalista aveva italianizzato - chissà perché - in Cristini. Adriano Maini