sabato 3 agosto 2024

Partendo da Capo Nero, il primo muro Todt lo troviamo nei pressi della storica "Pria Longa"

Sanremo (IM): Corso Imperatrice

E proprio nell'estate del 1943, anche nella città di Sanremo, la TODT, affiancata in molti casi dalle imprese italiane Paladino di Roma, Bertelè e Piazzoli di Milano, realizzava importanti opere difensive, un muro anti sbarco inframmezzato e guarnito da tutta una serie di postazioni mobili e permanenti, bunker poderosi usati sia come punti di osservazione che come piazzole per batterie costiere.
Il vallo anti sbarco sanremese era dislocato in tre punti precisi della battigia, per la precisione dove la presenza di spiagge consentiva ad eventuali mezzi da sbarco di entrare facilmente in città. Per questa semplice ragione tattica vennero trascurati tutti quei tratti di costa scoscesi, a strapiombo sul mare o separati da questo con muri particolarmente alti, come quelli ferroviari di Villa Helios, corso Imperatrice e la Brise.
Partendo da Capo Nero, il primo muro TODT lo troviamo nei pressi della storica "Pria Longa" (località già nota per il famoso sbarco delle truppe d'occupazione genovesi comandate dal Generale Agostino Pinelli nel giugno del 1753). Tale tratto di fortificazione, superato il rio Foce, si concludeva ad ovest del porticciuolo dell'Imperatrice con una postazione fissa antiaerea e costiera piazzata sul caposaldo più esposto a mare di quella che avrebbe dovuto divenire la dipendenza estiva della casa da gioco sanremese.
Da questo punto e sino al Mulino Bianchi, ex Casa del Fascio, costruito sull'argine destro del torrente San Romolo, i muri di contenimento del sedime ferroviario e del sovrastante Corso Imperatrice, erano di per sé più che sufficienti ad impedire qualsiasi atterraggio di mezzi da sbarco. Tuttavia, proprio di fronte ai giardini dell'Hotel Royal, a scanso di equivoci, era stata eretta una bella postazione per mitragliere, tuttora presente e mascherata da cespugli di pitosforo.
A partire dallo spiazzo antistante il Mulino Bianchi (Sporting Club), il vallo riprendeva la sua continuità verso levante, circondando, lungo la via Umberto (odierna Via Nino Bixio), il porto cittadino reso così del tutto separato e inaccessibile dal lato terra.
Questo secondo tratto, senza dubbio il più importante, terminava oltre i bagni Italia, sul confine con il Morgana, là dove inizia il contrafforte di contenimento a mare della passeggiata Trento & Trieste. A monte degli stabilimenti balneari del Morgana, l'intera via Fiume sino alla sua confluenza con il Rondò Francia, allora priva degli odierni palazzi, aveva tutti i giardini limitrofi minati.
Il terzo e ultimo tratto di muro della TODT riprendeva oltre il bar Sud-Est con un grosso bunker sul mare e, superata la foce del torrente San Martino, sempre intercalato da numerose postazioni campali, giungeva sino all'inizio della Brise, poco sotto il passaggio a livello di fronte al campo Polisvortivo. Al termine del tratto a mare della via alla Brise, sopra l'accesso della galleria ferroviaria in regione Vesca, era, ed è ancora presente, un massiccio bunker adibito ad osservatorio fisso e postazione difensiva costiera.
Queste le opere, facenti parte del Vallo Ligure, realizzate dall'impresa dello sfortunato ingegnere Fritz Todt nel Comune di Sanremo con maestranze locali, formate perlopiù da cittadini allettati da una paga sicura in tempi incerti e grami, ma anche da coloro i quali non volevano più combattere in prima linea una guerra che stava diventando tristemente fratricida.
Renato Tavanti, Sanremo. "Nido di vipere". Piccola cronaca di guerra. Volume primo, Atene Edizioni, 2005

Con i limitati mezzi a nostra disposizione iniziammo con Ciccio Corrado e Virgilio Oddo, nel maggio 1944, il montaggio di una radiotrasmittente someggiabile, da 75 W.
[...] «Alfa» domanda 24 ore di tempo per procurarsi la benzina ed intanto nasconde nel suo ufficio le cassette contenenti l’apparecchio. Il figlio di Millo, Luigino, interessa anche il Dr. Giampalmo della Todt che possiede una Topolino con tanto di O.T. Artz sul parabrise. Adesione e partenza il mattino successivo prestissimo: Luigino Millo, il Dr. Giampalmo, che l’accompagna, e la Topolino hanno la loro gatta da pelare. Quando si dice la fortuna! Fuori Sanremo due militari tedeschi della SS fermano la macchina: «noi andare Imperia…».Sospiro di sollievo dei nostri amici e scorta sicura per almeno venti chilometri con due angeli custodi che nel frattempo si erano sistemati alla meglio sulle cassette.
Ad Imperia una staffetta li attende e, come Dio vuole, filtrando attraverso quattro blocchi tedeschi, la macchina arriva a Tavole accolta da un «urrà» formidabile.
Mario Mascia, L’epopea dell’esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia

A metà ottobre 1944 avvenne a Sanremo la più grave deportazione in massa di civili della provincia.
I tedeschi, partiti con questo obiettivo da Savona, operarono diverse centinaia di controlli ai danni dei cittadini sanremesi.
Centinaia di persone furono avviate al centro di raccolta, costituito nell'attuale Piazza Eroi Sanremesi, circondata da SS armate di mitra e financo di mitragliatrici.
Dopo diverse ore di fermo un numero considerevole di abitanti venne rilasciato, mentre 150 uomini, quelli fisicamente più idonei, vennero fatti salire su camion per essere trasportati alle carceri di Marassi a Genova.
Genova fu una tappa intermedia.
La triste meta era per loro, due settimane dopo, il campo di concentramento di Bolzano.
Si legge in Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, ed. Amministrazione Provinciale di Imperia, Milanostampa, 1977: "a turno sono rapati e passati alla doccia... nell'ufficio materiale ricevono il distintivo: un triangolino di stoffa rossa ed una striscia con il numero di matricola".
Dopo un paio di mesi di vita irta di stenti e di sacrifici, i prigionieri catturati a Sanremo vennero utilizzati, quando le potenze dell'Asse erano ormai agonizzanti, come "liberi lavoratori" in organizzazioni similari alla Todt, di stanza in Alto Adige.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Il 16 ottobre 1944 tra 130 e 160 persone furono catturate durante un rastrellamento nel quartiere della Pigna di Sanremo e inviate al lavoro a Bolzano e nella rete dei suoi sottocampi, e tra il 15 e il 17 novembre altre 60 furono prese nel corso di un’azione antipartigiana nel quartiere collinare sanremese di S. Romolo. Altra manodopera fu prelevata nel corso di rastrellamenti in centri montani e della costa.
Redazione, Liguria, Tante braccia per il Reich

La colonna con i rimorchi dei «Molch» arrivò in città nella notte, destinazione la base che l’organizzazione Todt aveva realizzato a Ponente della città i cui resti (i bunker e le gallerie d’approdo) sono venuti alla luce pochi mesi fa nell’ambito della costruzione del nuovo albergo a Pian di Poma. Li avevano nascosti nella galleria del treno di Capo Nero, perchè non venissero colpiti in caso di bombardamenti o notati da eventuali voli di ricognizione alleati.
Giusto il tempo di renderli operativi, dotandoli ciascuno di due siluri, e da Berlino venne disposto l’attacco. Ma i «Molch», lentissimi e con grandi problemi di manovrabilità (non avevano la retromarcia), non ebbero successo. Incrociarono per circa 30 ore al largo di Mentone e di Villefranche prima di incappare nella squadra alleata che, soprattutto grazie al radar, individuò subito la loro presenza e ritenendo che si trattasse di normali sommergibili li ricoprì di decine e decine di bombe di profondità (che fecero esplodere anche alcuni siluri).
Giulio Gavino, Il fallimento delle “salamandre” di Hitler in missione dalla base segreta di Sanremo, Il Secolo XIX, 21 settembre 2018

Sergio Grignolio (Ghepeu), di Sanremo, lavora giovanissimo come fabbro. Di formazione comunista. Nel 1943 é richiamato alle armi. Dopo l'8 settembre é arrestato e lavora alla Todt per i Tedeschi. Il 1° maggio 1944 effettua un lancio di volantini in fabbrica e poi fugge in montagna. E' stato protagonista di azioni cruente e difficili.
Redazione, Fondo Memoria Orale, Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell’età contemporanea

22 Ottobre [1944]
La X Flottiglia Mas che era all'Albergo Splendido, dopo il bombardamento navale dell'altro giorno, dove l'albergo è stato quasi colpito, si è trasferita momentaneamente all'Albergo Astoria, in attesa di trovare altrove, poiché questa casa è già a disposizione della "Wermacht" e della "Todt".
[n.d.r.: dal diario di una ragazza rimasta ignota, figlia di albergatori di Sanremo]
Renato Tavanti, Sanremo. "Nido di vipere". Piccola cronaca di guerra. Volume terzo, Atene Edizioni, 2006

4 gennaio 1945
Risulta che la ditta Paladino è diventata un covo di autentici ribelli, renitenti, disertori e simili.
Certamente questi individui sono mimetizzati per il periodo invernale ed è più che certo che passato il periodo del freddo se ne torneranno ai monti in primavera e li avremo di nuovo di fronte.
Informare il comando tedesco.
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan, documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo

7 marzo 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 389/SIM,  alla Sezione SIM della V^ Brigata - Comunicava che 'Piero', responsabile del CLN di Ospedaletti, entrato nella ditta Paladino, si trovava in quel periodo a Taggia con una lettera di garanzia dello scrivente Comitato.
8 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della V^ Brigata, prot. n° 325, al Comando Operativo della I^ Zona ed alla Sezione SIM della II^ Divisione - Comunicava che nella zona di Taggia (IM) 22 operai della ditta Paladino stavano costruendo baracche, gallerie e trincee...
20 aprile 1945 - Da "Santamaria" al commissario "Orsini" - Informava che "sono arrivati presso lo scrivente 3 uomini, di cui 2 ex Bande Nere ed 1 ex lavoratore dell'organizzazione Paladino".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Francesco Paladino in RSI dirige l'Organizzazione Paladino (nel dopoguerra viene celebrato re degli imboscati). Nato a Scilla (RC) il 5 novembre 1890, muore a Sanremo (IM) il 16 ottobre 1974.
Redazione, Fondazione RSI

domenica 28 luglio 2024

I nazifascisti trovano Ubaghetta deserta

Borghetto d'Arroscia (IM). Foto: Pampuco. Fonte: Wikipedia

La notte tra il 19 e il 20 gennaio 1945 sembra tranquilla, ma lo è solo in apparenza, perché il nemico è già in movimento. I Tedeschi dislocati a Cesio partono, raggiungono il passo di Ginestro e quindi puntano sul paese di Vellego che raggiungono rapidamente. Avvisati dalle sentinelle borghesi, i giovani si mettono in salvo; però a Degna, il paese successivo sulla carrozzabile, non giunge subito la grave notizia. Dopo un'ora è anch'esso investito, ma i nazifascisti non sembrano avere idee bellicose, cercando solo una guida per farsi condurre in Val Arroscia. I giovani del paese, chiusi in casa, sentono il rumore delle armi, degli zoccoli dei muli e delle scarpe chiodate; non possono uscire, non possono andare ad avvisare gli uomini del Comando della “Bonfante”, mentre la colonna nemica passa a circa duecento metri di distanza dallo stesso.
Sapranno del passaggio del nemico nella tarda mattinata, quando ritornerà indietro la guida borghese che aveva accompagnato la colonna sulla cresta della montagna. La colonna diretta a Bosco è accompagnata dalla oramai spia famosa “Carletto”.
Il Comando della “Bonfante” non ha alcuna possibilità di avvisare i garibaldini dislocati a Bosco. Oramai è tardi. Sperano che le sentinelle del luogo abbiano potuto avvistare il nemico che stava avvicinandosi. Si spera che anche questa azione sia una puntata isolata e non faccia parte di un momento del grande rastrellamento previsto.
Scrive Gino Glorio (Magnesia) nel suo diario: "Il Comando della Divisione “Bonfante” si sposta a Degna per esaminare la situazione più da vicino; quanti erano e come armati, con muli o senza, perché la guardia borghese non ha funzionato? In Val Lerrone la situazione si mantiene calma, ma che avviene di là? Se il nemico, come probabile, tornerà alla base per la carrozzabile della Valle Arroscia, sarà possibile agganciarlo? Sembra che al di là della cresta gli avvenimenti siano più gravi di quanto si temesse. Un borghese che si è spinto in cresta, riferisce che le colonne di fumo si levano da Degolla e da Costa Bacelega, segno che il nemico non si è limitato alla puntata su Bosco, lunghe raffiche di mitraglia indicano che la lotta è ancora in corso. Le ore passano lente, uguali, verso mezzogiorno giunge a Segua uno sbandato da Bosco. Aveva i pantaloni strappati e lo sguardo inquieto dell'animale braccato. Racconta che con i suoi era sveglio da qualche minuto, aveva rimesso al fuoco le castagne e si preparava a lavarsi, quando vede a breve distanza i Tedeschi che scendono tra gli ulivi. Urla “I Tedeschi”, e via senza voltarsi. Quelli sparano ma il fuggiasco non vede più niente, e non sa cosa sia successo agli altri. Erano quasi circondati e la resistenza si presentava impossibile. Dopo una corsa selvaggia tra i rovi e gli ulivi, si era trovato fuori tiro senza armi ma con l'asciugamano in mano. Da mezzogiorno fino a sera nessuna novità. A sera una colonna tedesca scende dalla cresta verso Degna. L'allarme è portato in paese dalla figlia di Bertumelin, contadino del luogo che aiutava molto i garibaldini. In pochi istanti borghesi e partigiani spariscono tra gli alberi, mentre i Tedeschi, preannunciati da una raffica di mitragliatrice, entra in paese. Dopo mezzora Degna è di nuovo libera, il nemico ha proseguito per Cesio. Si spera sia tutto finito. Il giorno 21 niente di nuovo in Val Lerrone. Il comandante Olivero e Gustavo Berio (Boris) lasciano la Divisione, vanno oltre la strada statale 28 in cerca del Comando I Zona Operativa Liguria, per appellarsi alla sua autorità, poiché non riescono più a controllare la situazione. La Divisione rimane così affidata al commissario Osvaldo Contestabile e al vicecomandante Luigi Massabò (Pantera). La sera del 21 il SIM, trasferitosi a Poggio Bottaro, annuncia che il rastrellamento è sospeso in seguito all'offensiva sovietica; non si capisce il collegamento tra i due eventi, ma la notizia è quella. Il 22 la situazione si chiarisce di colpo. La Valle Arroscia è presidiata dai Tedeschi e dai Cacciatori degli Appennini...".
Ma vediamo un poco più da vicino cosa è accaduto nei paesi attaccati il primo giorno di rastrellamento. All'alba del 20 un poderoso schieramento di forze irrompe nella zona della "Bonfante" col compito di rastrellare e distruggere definitivamente le formazioni partigiane ivi dislocate.
Francesco Biga  (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. La Resistenza nella provincia di Imperia dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 35-37

Il 21 gennaio 1945 il comandante Giorgio Giorgio Olivero ed il vice commissario Gustavo Boris Berio lasciarono la sede della Divisione "Silvio Bonfante", per provare a fare il punto della tragica situazione al comando di Zona, lasciando la formazione affidata al vicecomandante Luigi Pantera Massabò. Il 21 gennaio la divisione repubblichina Monte Rosa occupava Casanova Lerrone (SV), Marmoreo, Frazione di Casanova Lerrone (SV), Garlenda (SV), Testico (SV), San Damiano, Frazione di Stellanello (SV), Degna, Frazione di Casanova Lerrone (SV), e Vellego, Frazione di Casanova Lerrone (SV), dopo avere già occupato il giorno prima Alto (CN), Borgo di Ranzo (sede comunale di Ranzo), Borghetto d'Arroscia (IM), Ubaga e Ubaghetta, Frazioni di Borghetto d'Arroscia (IM). A Marmoreo il nemico uccise il civile Settimio Testa.Nei tre giorni successivi le formazioni della Divisione "Silvio Bonfante" sfuggirono ai rastrellamenti  nemici di San Damiano, Rossi, Frazione di Stellanello (SV) e Marmoreo, Frazione di Casanova Lerrone (SV). Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Nelle prime ore di sabato 20 gennaio tre colonne naziste e alcune compagnie di Cacciatori degli Appennini giungono in zona provenienti da Borghetto d’Arroscia, Casanova Lerrone e Pieve di Teco. La pattuglia garibaldina avvista il nemico e apre il fuoco (dal diario militare di Luigi 'Pantera' Massabò). Al rientro dalla zona di Marmoreo dove ha portato viveri, il ventitreenne addetto all’Intendenza Mario Miscioscia avvista una delle tre colonne nazifasciste che si sta dirigendo verso Ubaghetta. Impossibilitato a sorpassarla senza farsi notare e trovandosi in una posizione che gli rende difficile la fuga, per dar l’allarme ai compagni Mario lancia contro la colonna una bomba a mano e s’avvicina ulteriormente per scaricarle contro la pistola: il colpo di mano nemico viene così scongiurato. Una raffica però colpisce mortalmente Mario: all’ufficiale fascista che gli offre di darsi prigioniero in cambio delle cure che gli avrebbe fatto prodigare, risponde: “Preferisco la morte al disonore di venire con voi”, frase riferita dallo stesso ufficiale a persone di Borgo di Ranzo. I nazifascisti trovano Ubaghetta deserta: i partigiani dislocati nei dintorni si sono allontanati e anche i contadini hanno abbandonato le loro case. Tuttavia, nel tentativo di sottrarsi al rastrellamento, sabato 20 gennaio 1945 il ventenne Germano [Cardoletti (Redaval)] resta ferito gravemente a una gamba con frattura dell’osso. In qualche modo riesce a nascondersi ma verso sera viene scoperto e catturato dai nazifascisti: portato su una scala a Borghetto d’Arroscia gli viene praticata una medicazione superficiale e viene adagiato su un dito di paglia con una sola coperta. Il maggiore comandante del battaglione dice che Germano sarà portato all’ospedale di Pieve di Teco. Eppure per tre giorni Germano resta privo di ogni cura: dei circa 60 uomini della compagnia presente a Borghetto solo un sergente maggiore mostra attenzione verso di lui. Probabilmente Germano viene interrogato, forse con percosse e torture, ma nessuna informazione ottengono i fascisti sulle posizioni dei distaccamenti in zona. Alla sera di lunedì 22 gennaio un tenente coi capelli grigi annuncia che il tribunale militare (pare composto solo da lui e da un altro soldato) s’è adunato e ha condannato Germano a morte. Nel tentativo di salvargli almeno provvisoriamente la vita, il locale sacerdote don Casa si offre invano con altri per portarlo all’ospedale. Al sacerdote che dalle ore 5.30 di martedì 23 gennaio 1945 è in attesa dell’ultimo colloquio, neppure viene concesso di parlare a Germano se non cinque minuti prima dell’esecuzione. A quel punto la voce di Germano è talmente debole che il sacerdote non è certo d’aver compreso il nome del padre Cesare e quello della madre Erminia. Alle ore 7 lo sfinito Germano viene fucilato a vent’anni dal plotone fascista d’esecuzione sulla piazzetta del municipio di Borghetto d'Arroscia in provincia di Imperia.
Redazione, Scheda biografica di Germano "Redaval" Cardoletti, Centro Documentazione Resistenza ANPI Voghera

venerdì 19 luglio 2024

Quel giorno dovevano salire i Tedeschi in paese

Viozene, Frazione del Comune di Ormea (CN). Foto: Arbenganese. Fonte: Wikimedia

Nella notte dal 5/6 dicembre 1944 alcune donne, giunte da Ponte di Nava, recano la notizia che il giorno dopo i Tedeschi sarebbero saliti a Viozene [Frazione del Comune di Ormea (CN)] ed io fui informato di ciò.
Il mattino seguente, dopo aver celebrato la Santa Messa, uscito fuori della chiesa fui colpito da uno strano ed insolito silenzio che regnava in paese. Domandato il motivo mi fu risposto che quel giorno dovevano salire i Tedeschi in paese e che a quella notizia, portata a Viozene nella notte, quasi tutti i partigiani e la popolazione erano fuggiti prima che facesse giorno.
Avevo dormito nella vecchia canonica attigua alla chiesa, ma alla notizia mi recai nella nuova per dare l'allarme in caso vi si trovassero ancora delle persone. Trovai l'edificio aperto e vuoto mentre i pochi partigiani ammalati si erano già allontanati, lasciando tuttavia chiari segni della loro presenza in passato. Allora cercai di far sparire ogni traccia sospetta, specialmente nel salone del primo piano adibito ad infermeria, quindi ritornai in chiesa in attesa di eventi.
Nel primo mattino, mentre le persone rimaste stavano chiuse in casa, un gruppo di partigiani di stanza in Pian Rosso, tra cui un certo Gian Luigi Martini di Diano Marina ed un certo Ramoino di Cesio, forse ignari dell'allarme della notte precedente, scesero in paese in cerca di viveri. La popolazione diede loro tutto il necessario purchè si allontanassero subito, dato il pericolo incombente; così non tardarono a riprendere la via di Pian Rosso, quantunque considerassero con scetticismo la paura dei Viozenesi. Appena giunsero in località Baraccone, ove ha inizio il sentiero che sale a Pian Rosso, dalla Costa del Pagano, di fianco a Viozene, dalle fasce allora coltivate, all’altezza della Borgata Toria, incominciò un infernale fuoco di mitragliatrici e di altre armi da fuoco tedesche.
I Tedeschi (come dopo si seppe) dalle prime ore del mattino si erano appostati in quel posto da cui si poteva avere sott’occhio tutta Viozene e la zona circostante. Ai primi colpi sparati, il Martino sopraddetto incominciò a zoppicare: era stato colpito da una pallottola ai piedi e si diresse, camminando come poteva, verso la Borgata Mussi, preceduto da un suo compagno di Genova.
Il Ramorino, con altri compagni, si precipitò a valle verso il Negrone e con quanti erano con lui riuscì a mettersi in salvo nella zona di Pian Cavallo. Il Martino ed il suo compagno, mentre stavano fuggendo verso la Borgata Mussi, si imbatterono in una formazione di Tedeschi appostati nei pressi di detta Borgata.
La zona di Viozene, con un piano ben premeditato, era stata chiusa, fin dalle prime ore, in una ferrea morsa da Tedeschi provenienti da Ponti di Nava e da Upega. I due furono immediatamente fucilati sul posto: il compagno del Martino (di cui lo scrivente non ha potuto conoscere il nome) sul sentiero che da Viozene porta ai Mussi, proprio nel punto in cui il ruscello attraversa detto sentiero; il Martino che seguiva a distanza, essendo ferito ai piedi, un po’ più avanti verso Viozene, al di sopra dello stesso sentiero. Una croce di legno fu posta per entrambi sul luogo ove furono fucilati.
Per tutta la giornata continuarono gli spari e le raffiche tedesche in tutte le direzioni, tra il terrore della popolazione rimasta in paese, chiusa nelle loro case, in attesa di qualche tragico destino. Verso sera i Tedeschi, muovendo dai Mussi e da Toria, si riunirono in Viozene.
Il Parroco sottoscritto, subito ricercato, fu appoggiato al muro della Chiesa per essere fucilato. Gli scarponi militari ed altri indumenti, avuti in cambio da soldati italiani di passaggio, che gli trovarono addosso, dopo avergli aperto la talare, furono sufficienti cause della sua condanna. Mentre già il gruppo di soldati Tedeschi stava estraendo le pistole, uno scoppio fortissimo, a brevissima distanza, li mise nello scompiglio e li fece momentaneamente fuggire in cerca di un rifugio. Il sottoscritto approfittò di questo momento di confusione per fuggire anche lui e andò a nascondersi in un oscuro angolo in fondo alla Chiesa. Ricercato poco dopo, non fu ritrovato dai Tedeschi, i quali dalla Chiesa entrarono nella Sacrestia e di qui nella vicina Canonica mettendo a soqquadro e distruggendo ogni cosa.
Tutti gli uomini trovati in paese furono, a forza, fatti uscire dalle loro case e condotti, tutti insieme, in un prato nel centro dell’abitato (nel luogo ove fu costruita la casa del Sig. Dulbecco) davanti ad un nido di mitragliatrici; intanto la soldataglia, entrata nelle case, faceva man bassa di quanto trovava e rubava il poco bestiame della popolazione. Fatto bottino di quanto ancora trovarono in Paese, i Tedeschi presero la via di Ponti di Nava.
Si seppe poi anche che essi al mattino, salendo a Viozene, avevano ucciso un innocente individuo, residente in una Borgata di Ormea, il quale stava scendendo verso Ponti di Nava e di cui il sottoscritto non sa il nome. Fu ucciso dai Tedeschi a Rio Bianco ed ivi rimase seppellito (nella nuda terra) fino al termine della guerra.
La giornata si chiuse tra il terrore della popolazione, privata di tutto il bestiame che ancora le era rimasto e nella pesante incertezza sulla sorte di quanti erano fuggiti.
Per fortuna in quella triste giornata Viozene non ebbe a subire perdite tra la popolazione.
I fuggiti di casa, specialmente i giovani, rimasero tutto il giorno nascosti nei cespugli, nelle caverne e negli anfratti di Pian Cavallo e del Mongioie, donde potevano seguire le mosse dei Tedeschi. Questi, però, due giorni dopo, l’8 dicembre, fecero ritorno a Viozene e vi rimasero fino alla fine del mese. Imposero il coprifuoco nelle ore notturne ed entravano sovente nelle case private ordinando da mangiare ed imponendo che fosse loro preparato ciò che da essi veniva stabilito.
In quei giorni venne devastata la Canonica di Viozene (Villa Bottaro), quella che era stata adibita ad ospedale. I Tedeschi la resero inabitabile, rompendo finestre, porte, mobili, portando via coperte, biancheria ed altri oggetti.
Non soltanto in quel periodo i Tedeschi rimasero in Viozene, ma giorno e notte mantennero, fino a quando se ne andarono, un rigoroso controllo dei valichi delle Saline e del Bocchin dell’Aseo. In quel tempo essi avevano lanciato un forte attacco contro i Partigiani delle Valli Ellero e Corsaglia. Molti cercavano di porsi in salvo verso Viozene attraverso i valichi sopraddetti ed inconsciamente venivano a cadere nelle mani dei Tedeschi che, legati con delle corde, a piccoli gruppi, li conducevano a Viozene e di lì ai forti di Nava, ove venivano fucilati. Questa fu la sorte di tanti giovani di cui le famiglie ignorarono per sempre il luogo ed il genere di morte che ebbero a subire.
Verso la fine di dicembre tutti i Tedeschi ritornarono a Ponti di Nava. La popolazione derubata dai Tedeschi del bestiame e degli scarsi prodotti agricoli (avena, grano, patate) si dibatteva nella penuria, sempre più carente di viveri; unico sostentamento erano le patate.
Don Paolo Regis, Diari, A Vaštéra, Anno XXII - Primavera - Estate 2012

domenica 7 luglio 2024

Il radiotelegrafista inglese Mac tenta un collegamento con Nizza

Fontane, Frazione del comune di Frabosa Soprana CN): manifestazione in ricordo della Resistenza del 21 ottobre 2013

A seguito dell'attacco a Baiardo [10 marzo 1945] da parte di Distaccamenti della V^ Brigata [della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione"], si scatena furiosa la reazione nemica. Vittorio Guglielmo (Vittò), comandante della "Cascione", (il quale non aveva partecipato all'azione perché a livello tattico, secondo lui, era impossibile conquistare il caposaldo nemico), il "Curto", Armando Izzo comandante della V^ Brigata, il capitano inglese Bentley, il suo radiotelegrafista Mc Dougall, Guido Arnaldi (Guido), Felice Miraglio (Felice), Maiano Alfredo (Lupo), ed altri garibaldini quali staffette o addetti al deposito Intendenza sito nelle case della borgata di Gerbonte, si mettono in marcia verso la stessa grotta pensando di trovarvi rifugio sicuro. Intanto nella notte tra il 10 e l'11 giungono da Sanremo truppe tedesche appartenenti ai RAP (Raggruppamento Anti Partigiani), che riescono a prendere di sorpresa la suddetta borgata senza che fosse dato alcun allarme. Però la tattica partigiana era quella di non rimanere molto tempo nei luoghi abitati. Questa tattica salva il gruppo di uomini menzionati dall'accerchiamento. Infatti, su invito di "Vittò" e di "Curto", che intuiscono il pericolo vicino, prima dell'alba gli uomini, abbandonando Gerbonte e incamminandosi nel torrente Argentina, si dirigono verso la grande grotta che si apre su una parete verticale nelle rocche di Loreto-Ciaberta per rifugiarvisi (raggiungere la grotta voleva dire salire per una scala di corda lunga una ventina di metri). Però, durante lo spostamento, "Vittò", che è in testa alla colonna, scorge nell'oscurità una pattuglia, forse nemica, ad un centinaio di metri di distanza, che marcia in senso contrario. Per non destare allarme e dato che non è sicuro di chi siano, non dice niente e tutto finisce liscio.
Quando il gruppo raggiunge la grotta in posizione di sicurezza, il capitano Bentley si accorge di avere dimenticato l'antenna della radio trasmittente nelle case di Gerbonte, per cui si presenta la necessità di andarla a recuperare. Viene incaricato della missione la staffetta "Lupo", il quale, purtroppo, appena giunto sul posto, viene colpito dal nemico che già si trova nei dintorni: una raffica di arma automatica lo coglie ignaro e lo piega senza lasciargli il tempo di pronunciare una sola parola. Il ritardo del ritorno di "Lupo" fa insospettire il gruppo, per cui parte in missione il garibaldino "Felice". Anch'esso, dopo aver sentito le raffiche nemiche, cerca di mettersi al riparo, ma un colpo di Mauser lo colpisce a morte. E' giorno fatto e le mitragliatrici tedesche piazzate a Creppo impediscono ogni ulteriore tentativo di salvataggio per i due compagni, oramai caduti. Lo stesso giorno 11, nei pressi di Bregalla, viene ucciso dai Tedeschi il garibaldino Paolo Oddo (Bruno).
Catturati il 3 marzo in Grattino (Valle Argentina), dopo otto giorni di torture subite a Molini di Triora dove erano stati condotti, i garibaldini Quinto Verrando (Basilede) e Livio Maggi (Maggio) sono obbligati a ritornare nei pressi di Agaggio Superiore, in località dove i Tedeschi pensavano fossero i partigiani, perché ne indicassero l'ubicazione precisa. Rifiutatisi di parlare, in Pian del Carré ricevono un colpo di pistola alla nuca. Quinto muore subito, mentre il compagno Maggi viene lasciato agonizzante, nella sua pozza di sangue: soccorso dai contadini, morirà dopo una diecina di giorni di indicibili sofferenze. Anche i garibaldini Giobatta Lanteri (Seccù) e Gustavo Stoppiani cadono in combattimento, l'uno nei pressi di Goina (Triora) e l'altro a Molini di Triora. A Latte di Ventimiglia, il 13 è fucilato il garibaldino Guido Costanzo (Clark).
Ritornando alla grotta, il gruppo vi rimane per tre giorni. Ma, poiché le batterie della radiotrasmittente sono scariche, il radiotelegrafista inglese Mac Dougall, accompagnato da "Guido", è obbligato a recarsi alla centrale elettrica di Loreto per caricarle. Costruita un'antenna di emergenza, il radiotelegrafista tenta nuovi collegamenti con Nizza. Individuata la fonte delle onde della trasmittente, i Tedeschi continuano i rastrellamenti nel torrente Argentina e sulla montagna, ma con esito negativo. Non immaginano che le onde radio escano da una parete rocciosa, verticale, della montagna.
Dopo tre giorni, essendo la zona rastrellata dai Tedeschi, che continuano a pattugliare i dintorni, e non potendo quindi effettuare le trasmissioni per la vicina presenza nemica, "Curto" consiglia di cambiare zona. Alle prospettate difficoltà da parte di "Guido", che ritiene pericoloso lo spostamento, quello, nel tipico dialetto ligure, risponde: "Nel libro dei garibaldini non c'è scritta la parola paura", per cui esce per primo. Inosservato, tra colonne tedesche, riesce a spostarsi per raggiungere il territorio della V^ Brigata, a levante della Valle Argentina. Dietro di lui, uno ad uno, escono anche gli altri componenti il gruppo, tranne i due Inglesi, paralizzati dal terrore, ma sono obbligati a rassegnarsi alla sorte e a seguire gli altri.
Mentre ci stiamo avvicinando ai giorni dei lanci aerei, ai quali dedicheremo nei prossimi capitoli ampio spazio, seguiamo un momento l'itinerario di marcia e spostamento del Comando I^ Zona Operativa Liguria verso il campo dei lanci stesso.
Questo Comando istituito, come sappiamo, il 21 dicembre 1944, nel marzo 1945 è così composto:
Comandante: Nino Siccardi (Curto); Commissario: Lorenzo Musso (Sumi); Ispettore: Raffaello Paoletti (Giulio).
Il gruppo, messosi in movimento e attraversato il torrente Argentina, per Bregalla, Monte Pellegrino, verso mezzanotte giunge tra la galleria del Garezzo e San Bernardo dove pernotta. Il giorno dopo marcia verso la valle di Mendatica che è coperta di nebbia, mentre è in corso un vasto rastrellamento. Si odono raffiche di mitra e colpi di fucile Mauser. Infine, per San Bernardo di Mendatica e Valcona giunge a Upega, dove i componenti, dopo tre giorni di fame, riescono a mangiare un piatto di minestrone caldo. Nel pomeriggio al gruppo si aggregano tre prigionieri russi che hanno disertato dai Tedeschi. Il gruppo pernotta a Upega, dove il mattino del 16 da una centralina locale il radiotelegrafista inglese Mac tenta un collegamento con Nizza; ma il collegamento non riesce a causa della corrente elettrica che è alternata. Successivamente il gruppo si sposta nuovamente a Valcona dove rimane altri tre gioni, e poi a Pian Rosso, a monte di Viozene, dove si prevede avvengano i lanci. Don Paolo Regis, parroco locale, si reca ad Ormea, nel tentativo di far ricaricare le batterie della trasmittente. Ma il tentativo non riesce, anzi, viene fermato dai Tedeschi mentre transita con la batteria sulla bicicletta. Si salva per fortuito caso. Il 23, nell'impossibilità di effettuare le trasmissioni, il radiotelegrafista Mac, "Sumi", il parroco e "Guido", tentano di raggiungere Fontane di Frabosa attraverso il Bochin d'Azeo (Mongioie) innevato. Vi riescono in un modo drammatico; ad ogni modo, giunti a Fontane, effettuano alcune trasmissioni. Il radiotelegrafìsta rimarrà sul posto fino al primo lancio che avverrà quasi alla fine di marzo.
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. La Resistenza nella provincia di Imperia dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 238-241

domenica 30 giugno 2024

I tedeschi davano alle fiamme le stazioni ferroviarie di Ventimiglia e di San Remo

Sanremo (IM): la vecchia stazione ferroviaria

Il grande rastrellamento Pigna-Triora-Upega era stato attuato dai nazifascisti, a quanto si seppe, per sgomberare dall'insidia partigiana le strade che conducevano al Saccarello, e di là in Piemonte, necessarie per la ritirata in caso di sbarco alleato che i Tedeschi e le autorità fasciste temevano, sulla costa ponentina.
Molti sintomi, oltre alle informazioni fornite dai servizi di sicurezza, erano evidenti: non passava inosservato il diuturno lavoro di otto spazzamine e di cacciatorpediniere angloamericani sulla costa ligure, mentre una buona parte della flotta alleata del Mediterraneo si era concentrata nella rada di Villafranca, e si susseguivano ininterrottamente i bombardamenti aerei sulla costa.
In luglio e in agosto i nazifascisti avevano disposto uno schieramento lineare sulla costa con le forze della Wehrmacht e con le divisioni italiane "San Marco" e "Littorio"; ma nell'autunno, appunto per timore dello sbarco, lo modificarono dislocando le forze sui passi montani in profondità, fuori dal tiro delle artiglierie navali e per bloccare con poche forze, l'infiltrazione nella pianura cuneese delle forze alleate che fossero sbarcate sul litorale ligure. Questa fu la vera causa dei grandi rastrellamenti operati e delle distruzioni provocate. Il 29 di ottobre i Tedeschi davano alle fiamme le stazioni ferroviarie di Ventimiglia e di San Remo, facevano saltare il ponte sul Roja, la polveriera di Bussana e tutti i pali delle linee elettriche. Avevano già distrutto le centrali elettriche delle stazioni ferroviarie di Albenga e Diano Marina, requisito migliaia di biciclette, autoveicoli e cavalli, fatto saltare i carri cisterna sui porti onegliese e portorino, invitato la popolazione con manifesti a sgomberare la costa, minato la zona delle ex Ferriere [ad Imperia], minato la statale n. 28 tra Pontedassio e Chiusavecchia con mine da 200 chilogrammi di tritolo ciascuna (le mine erano poste a quaranta metri circa di distanza una dall'altra), minato le banchine dei porti, distrutto l'impianto del gas a Porto Maurizio, asportato i motori dal pastificio Agnesi, ecc.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977  

25 ottobre 1944
Oggi abbiamo avuto [a Sanremo] diverse incursioni aeree, mentre le navi hanno continuato a sparare verso Bordighera e Ventimiglia.
26 ottobre 1944
Questa mattina i tedeschi hanno fatto saltare la stazione di Ventimiglia, già precedentemente minata. Pure a Sanremo sono state poste mine, al porto, alla stazione, sotto la galleria ferroviaria vicino alla Villa Helios e sulla strada (via Aurelia), la villa Belloni e Villa Helios.
27 ottobre 1944
Da ieri c'è molto passaggio di materiale bellico proveniente dalla frontiera; una cinquantina di tedeschi si sono fermati a dormire nel nostro albergo e domattina ripartiranno verso Genova. La maggior parte di questi sono demoralizzati e non vedono l'ora di ritornare alle loro case.
28 ottobre 1944
Altri cinquanta tedeschi si sono fermati a dormire per questa notte. Vengono da Grimaldi; gli americani sono giunti alla frontiera e loro pattuglie arrivano fino a Grimaldi.
30 ottobre 1944
Le truppe tedesche fanno saltare i ponti sul Col di Tenda per impedire agli anglo-americani d'avanzare.
[n.d.r.: dal diario di una ragazza rimasta ignota, figlia di albergatori di Sanremo]
Renato Tavanti, Sanremo. "Nido di vipere". Piccola cronaca di guerra. Volume terzo, Atene Edizioni, 2006

sabato 22 giugno 2024

Un giovane caduto partigiano accomunato nella memoria all'eroico Baletta ed a un patriota di Bordighera

Lastre dedicate a Mario Ponzoni e Giovanni Olivo in Pieve di Teco (IM). Fonte: Pietre della memoria

«In quelle immagini mio padre riassumeva la sua gioventù». Lo dice Gabriella Manfredi, figlia del compianto onorevole democristiano Manfredo nel giorno dell’anniversario della Liberazione. La Manfredi ha deciso, infatti, di divulgare le memorie del compianto padre, Manfredo Manfredi.
«Costretto a sedici anni a raccogliere il cadavere del suo migliore amico fucilato da un plotone di esecuzione dell’esercito tedesco, condannato a morte dopo un processo farsa in cui non si era potuto nemmeno difendere dall’accusa di aver prodotto documenti di identità falsi per dei “banditi”. Condannato per aver aiutato i nemici dell’esercito tedesco e secondo la legge militare tedesca fucilato dal plotone di esecuzione, a diciotto anni». «Quel ragazzo si chiamava Mario Ponzoni. Mio padre aveva  16 anni, troppo pochi per andare sui monti a combattere, ma abbastanza per raccogliere i cadaveri dei fucilati dai nazifascisti», racconta con commozione Gabriella Manfredi.
«Solo dopo molti anni mio padre - prosegue la Manfredi -  iniziò a raccontare quegli episodi, che ho trascritto in forma di diario. Episodi che avevano segnato profondamente la sua vita e conseguentemente le sue scelte di impegno politico contro ogni sopruso. Il giorno dell’inaugurazione del monumento ai caduti di Pieve di Teco, posto proprio sul luogo delle esecuzioni, mio padre disse chiaramente che non aveva mai dimenticato l’odore di quei momenti. “Quell’odore del sangue sulle mie mani era il profumo della Libertà” gridò agli astanti durante il suo discorso, con la rabbia di un sedicenne che vede morire il suo amico più caro. Fu anche quella rabbia a sostenere mio padre, e molti altri come lui, in quel lungo percorso di ricostruzione di un Paese devastato ma non sconfitto. La morte di quei ragazzi ci regalò un sogno chiamato Libertà. Sta a noi coltivare quel sogno, non permettiamo a nessuno di pensare che quel sacrificio sia stato vano, che quelle giovani vite siano state spezzate per regalare la Libertà a chi non la merita».
[...]
Di seguito il “diario” di Manfredo Manfredi di quei giorni tragici concessoci dalla figlia Gabriella che ringraziamo.
6 gennaio 1945
Ecco, è successo. Hanno arrestato Mario. Mario amico mio, ti hanno portato ad Albenga, dicono ci sarà un processo! Ma tu cosa hai fatto?? Hai solo diciotto anni, che reato hai mai commesso? Non si riesce a sapere nulla, il Parroco ha detto che si informerà.  Aspettiamo, ma io ho paura amico mio.
10 gennaio
Amico mio non ci posso credere! Ti hanno processato, un tribunale militare tedesco, stasera è passato il banditore con il suo tamburo per declamare a tutta Pieve la tua condanna. Amico mio, ti hanno condannato a morte. A morte!! Il tamburo rullava, e la voce stentorea ci invitava a non uscire di casa domattina, per nessun motivo. Mario ho tanta paura, non posso immaginarti solo stasera in quella cella. Il mio cuore non regge al pensiero di domani.
11 gennaio 1945
Fa freddo stamattina, i campi sono brinati, un silenzio strano ci avvolge come un sudario. Ecco il rumore delle camionette, le portiere sbattono, i chiodi degli scarponi risuonano sul selciato, insieme a pochi secchi comandi. Nel silenzio un urlo, riconosco la voce di tua madre che grida il tuo nome tra i singhiozzi, mentre l’eco dei passi si perde. Silenzio. Spari. E ancora silenzio. Le portiere sbattono ancora, le camionette ripartono. Arriva il parroco trafelato, piange. Devo andare. Devo venire da te l’ultima volta amico mio. Ti vedo sdraiato nel campo gelato di brina. Quanto sangue, esce dai fori del tuo bel maglione verde, impregna il terreno gelato, che non è più bianco ma rosso, rosso vermiglio. Penso che il tuo maglione è verde, il tuo sangue rosso e la terra bianca di gelo. Sono i colori della mia bandiera, della mia Patria. E quell’odore, di sangue misto a polvere da sparo, non lo dimenticherò mai! Ho solo sedici anni, ma sono diventato un uomo.
Diego David, Manfredo Manfredi nel suo “diario” del 1945: «L’odore di sangue misto a polvere da sparo non lo dimenticherò mai», Riviera24.it, 25 aprile 2021 

Per la prima volta parlo pubblicamente di mio fratello Giovanni Olivo, eroe della Resistenza. Lo faccio con pudore, perché nessuna parola è efficace per esprimere il senso della sua grande e breve esistenza. Giovanni aveva 21 anni quando il 2 Marzo 1945, fucilato dai tedeschi a Pieve di Teco, donò la propria vita per un grande ideale. A me non fu concessa la gioia della condivisione come sorella: ci ha separato la differenza di età. Infatti avevo dieci anni quando lui, studente in medicina all’Università di Bologna, si rifugiò a Rezzo, dove aderì alla lotta partigiana, donando la propria giovinezza. Il suo nome è inciso sui Cippi che ricordano tutti i caduti: Arezzo, Pieve di Teco, Imperia e Bordighera.
La sua assenza-presenza è incisa nel mio cuore. La sua testimonianza è stata per me un faro di luce nei momenti in cui la vita mi ha dato modo di svolgere ruoli delicati, prima come insegnante ed educatrice, in seguito nel ruolo delicatissimo di pubblico amministratore, quale Sindaco della nostra amata Bordighera.
Ho accettato e affrontato situazioni impegnative, spesso laceranti, guardando a Lui, a mio fratello Giovanni, che offrì se stesso perché altri avessero la Vita. Ho voluto che da Rezzo, dove era stato tumulato dopo la sua morte, ritornasse a Bordighera, rispettando il desiderio dei nostri genitori.
E tornò in un giorno speciale: il 14 Maggio 1996, festività di S. Ampelio [...]
Renata Olivo in Paize Autu, Periodico dell’Associazione “U Risveiu Burdigotu”, Anno 7, nr. 4, Aprile 2014

[...] «Per me in particolare questa cerimonia - prosegue il sindaco - ha una connotazione personale perché mia madre era nel gruppo degli arresti insieme a Mario Ponzoni. Mia mamma insegnava nelle frazioni di Pieve di Teco, era maestra e una delle staffette arrestate insieme a Mario Ponzoni che poi fu fucilato e mia mamma e le sue colleghe sono state condannate a morte ma sono riuscite in qualche modo a scappare a Cuneo e si sono nascoste per due anni. Lei non me l’ha mai raccontato e per assurdo lo sono venuto a sapere in età avanzata però è un qualche cosa che sta nell’anima perché il fratello di Mario Ponzoni, Rino, era il mio padrino ed è stata una persona indimenticabile nella mia vita. Ben vengano queste cerimonie che servono a richiamare il ricordo collettivo, gli orrori della guerra e dall’altro l’orgoglio di appartenenza alla propria terra».
«La memoria è il faro nella notte - ha sottolineato il vicesindaco di Albenga Alberto Passino - di quella notte buia che ha visto il nostro paese precipitare nell’orrore. Grazie alla Resistenza e purtroppo anche al sangue anche giovane che è stato versato siamo riusciti a lavare l’onta che il ventennio del nazi-fascismo ha portato alla rovina la nostra bellissima Italia. Grazie quindi alla Resistenza che qua celebriamo purtroppo con i suoi anche ai suoi giovani morti. Grazie a Roberto Di Ferro, medaglia d’oro al valor militare, l’Italia si è potuta riscattare ed è nostro compito come Istituzioni, come cittadini, come Anpi guardare ai giovani perché attraverso l’educazione, attraverso la scuola si possano creare occasioni di confronto, dove la memoria venga sollecitata e riscoperta affinché nulla di più brutto possa di nuovo accadere e ancora grazie a chi ha donato la vita per la nostra libertà».
«Qui ricordiamo Baletta - spiega Giovanni Rainisio, presidente dell’Istituto Storico della Resistenza di Imperia - un ragazzo di quattordici anni che si è schierato, ha scelto di stare dalla parte della libertà, della democrazia, di opporsi all’occupazione tedesca e al regime fascista. È stato un esempio importante, una delle sei medaglie d’oro della Resistenza della nostra provincia ed ha contribuito a far ottenere alla nostra provincia la medaglia d’oro al valor militare della Resistenza. La nostra provincia ha avuto un momento importante nella liberazione, ha avuto più di 600 caduti militari e ha quasi 800 deportati. Credo che la memoria debba essere un momento importante perché è necessario ricordare tutti coloro che si sono sacrificati ma la memoria è importante per il futuro. Se non sappiamo perché siamo qui è perché  viviamo in democrazia, in libertà in una Costituzione varata dalla Resistenza non capiamo che cosa fare per il nostro futuro e soprattutto i giovani se non sanno cos’è stata la Resistenza, se non comprendono il sacrificio che la democrazia e la libertà è costata al nostro paese è difficile che poi si impegnino per un futuro migliore. La libertà e la democrazia non sono conquiste una volta per sempre, le conquiste della democrazia vanno alimentate, sostenute continuamente perché il rischio per la pace, democrazie e libertà è sempre incombente».
«Venire a commemorare Roberto Di Ferro - conclude Vio -  è un momento in cui inevitabilmente torniamo a vivere quei momenti che hanno vissuto le nostre genti. La famiglia di Roberto Di Ferro proveniva da Malvicino ma oramai era albenganese a tutti gli effetti, un ragazzo di 14 anni che aveva adottato, scelto ed abbracciato i valori e i partigiani e i resistenti antifascisti di allora raccontavano che scelse di partecipare alla lotta partigiana consapevole dei rischi che questa comportava e con altri partigiani venne catturato qui vicino, a Trovasta, e dopo un massacro umano a cui fu sottoposto, perché si dice che i tedeschi pensavano che essendo il più giovane avrebbe ceduto alle pressioni fisiche e avrebbe quindi svelato i nomi dei compagni partigiani».
Daisy Parodi, Pieve di Teco, 79esima commemorazione di Roberto Di Ferro, «La più giovane vittima della Resistenza», Riviera24.it, 23 marzo 2024

Imputati: DESCHEIMER - Obleutnant, MENIE - Leutnant, BAUMANN - Gefreiter, KOGER - Hauptmann
Violenza con omicidio art. 185 c.p.m.g.
Parte lesa: PONZONI MARIO
Condanna a morte a seguito di Sentenza del Tribunale Militare del Battaglione tedesco (p. 11). Il Proc. gen. mil. Borsari chiede ai Comandi dei Carabinieri di ZONA svolgere investigazioni. Il 20 settembre 1946 il Gabinetto del Ministero della Guerra chiede informazioni al Land Forces Sub
Commissione A.c. di Roma (p. 25)
ARCHIVIATO DAL GIP DI TORINO (DOC. 89/0)
Relazione finale (Relatore: on. Enzo Raisi), Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause dell'occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti (istituita con legge 15 maggio 2003, n. 107), Approvata dalla Commissione nella seduta dell’8 febbraio 2006, Trasmessa alle Presidenze delle Camere il 9 febbraio 2006, ai sensi dell’articolo 2, comma 4, della legge 15 maggio 2003, n. 107

Codice scheda:C00/00001/01/02/00010
Titolo: R.G. “Ruolo generale dei procedimenti contro i criminali di guerra tedeschi”: n. 919
Descrizione: Organo giudicante:
Procura Generale Militare presso la Corte di Cassazione:
R.G. “Ruolo generale dei procedimenti contro i criminali di guerra tedeschi”:
n. 919
Procura Militare presso il Tribunale Militare di Torino.
PM.: Dott. Luigi Gili
RGNR: 328/95
G.I.P. presso il Tribunale Militare di Torino:
Dott. Sandro Celletti
RG:1746/95
Provvedimento di “archiviazione provvisoria”:
14.01.1960 - Procuratore Generale Militare Dott. Enrico Santacroce
Provvedimento di archiviazione G.I.P.:
21.09.1995 - impossibile rintracciare gli autori e ricostruire i fatti per il lungo tempo trascorso
Indagati:
Indagato n. 1: Descheimer
Status: Militare tedesco, tenente, Comandante del battaglione di stanza a Pieve di Teco
Altri dati biografici: presidente del Tribunale militare di guerra del battaglione
Indagato n.2: Menie
Status: sottotenente
Altri dati biografici: primo assessore del Tribunale militare di guerra
Indagato n.3: Baumann
Status: caporale
Altri dati biografici: secondo assessore del Tribunale militare di guerra
Indagato n.4: Koger
Status: capitano
Altri dati biografici:
Parti lese:
Parte lesa n.1: Mario Ponzoni
Genere: maschio
Status: civile
Altri dati biografici: nato il 12.061926 a Pieve di Teco (Im), impiegato comunale. Minorenne al momento della sua uccisione.
Principali fatti contestati agli indagati:
Data e luogo del fatto: 11.01.1945, Pieve di Teco (Im)
Tipologia: violenza con omicidio
Descrizione sintetica: il 30.12.1944 Mario Ponzoni è arrestato per rilascio di una carta d’identità falsa al partigiano Berti (soprannominato Nenini) e l’11.01.1945 è condannato dal Tribunale Militare di Guerra tedesco (senza la presenza di un difensore) alla pena di morte che viene eseguita lo stesso giorno.
Reati contestati: Omicidio e violenza contro privati nemici art. 185 c.p.m.g.
Denuncia:
Tipologia denuncia: individuale
Data: 28.10.1945
Autorità ricevente: Carabinieri di Pieve di Teco.
Nominativo / Autorità denunciante: Omero Ponzoni
Tipologia denunciante: civile, padre della vittima
Sintesi denuncia: il 30.12.1944 il figlio del denunciante, Mario Ponzoni, è arrestato per rilascio di una carta d’identità falsa ai partigiani e l’11.01.1945 è condannato dal Tribunale Militare di Guerra tedesco (senza la presenza di un difensore) alla pena di morte che viene eseguita lo stesso giorno
fascicolo procura generale militare:
Documenti contenuti nel fascicolo:
Copertina fascicolo Procura Torino (frontespizio), Indice atti, Iscrizione notizia di reato, Copertine (2) fascicolo Procura Generale Militare (frontespizio), Scheda Procura Generale Militare, Appunti manoscritti, Lett. Procura Generale Militare al Governo Militare Zona US in Germania, lettera 28.03.1946 del Procuratore Generale Militare Borsari al Ministro della Guerra, lettera 08.04.1946 del Procuratore Generale Militare Borsari ai Carabinieri di Pieve di Teco, rapporto Carabinieri di Pieve di Teco con allegate dichiarazioni del testimone Ponzoni, Omero, Sentenza 11.01.1945 del Tribunale di Guerra Tedesco, Lettera 24.04.1946 della Procura Generale Militare ai Carabinieri di Pieve di Teco , Autorizzazione a procedere del Ministero della Guerra in data 19.04.1946, rapporto Carabinieri di Pieve di Teco in data 09.05.1946, richiesta di consegna degli imputati avanzata al Ministero degli Affari Esteri dal Procuratore Generale Militare Borsari in data 09.09.1946, relazione Commissione delle Nazioni Unite per i Delitti di Guerra, carteggio relativo alla richiesta di estradizione di Baumann, Archiviazione provvisoria 14.01.1960, Richiesta indagini Procura di Torino in data 08.04.1995, Richiesta di Archiviazione 18.07.1995, Comunicazione Carabinieri Torino 13.12.95. Tot.pagg. 37
Archiviazione provvisoria:
14.01.1960
Data di inoltro alla Procura Militare presso il Tribunale Militare di Torino:
03.12.1994
fascicolo del PM - Indagini preliminari - Archiviazione del Gip:
Data notizia di reato: 23.11.1994
Data iscrizione: 09.02.1995
Indagini preliminari: 09.08.1995
Richiesta di archiviazione del PM: Dott. Luigi Gili
Data: 08.07.1995
Motivazione: esito infruttuoso delle indagini finalizzate ad ottenere notizie sugli indagati, scarse probabilità di reperire gli indagati stante il lungo tempo trascorso.
Archiviazione G.I.P.: Dott. Sandro Celletti
Data: 21.09.1995
Motivazione: - impossibile rintracciare gli autori e ricostruire i fatti per il lungo tempo trascorso
Redazione, Fascicolo: R.G. “Ruolo generale dei procedimenti contro i criminali di guerra tedeschi”: n. 919, Archivi della Resistenza e del '900

domenica 9 giugno 2024

Portare nottetempo agenti segreti tedeschi

Fonte: Giulio Gavino, art. cit. infra
 
Il "Molch" era dunque un sottomarino monoposto armato con due siluri da 533 millimetri. Il primo prototipo fu sperimentato a Eckernförde, una cittadina dello Schleswig-Holstein in Germania, il 12 giugno 1944 ed in seguito furono realizzati un totale di 363 "Molch" (fino al gennaio 1945). La torretta aveva due finestre ed era coperta da una cupola in plexiglass. Poteva viaggiare a due sole velocità e la retromarcia non era prevista. Scomodo da manovrare, in combattimento risultò un grosso fiasco e fu principalmente utilizzato per addestramento. La prima unità operativa dotata di "Molch" fu la K-Flottille 411. Il dimensionamento della prima flottiglia (sessanta "Molch" e trecentocinquanta uomini) si dimostrò eccessivo: durante gli spostamenti la lunga colonna fu spesso bersaglio degli attacchi della aviazione alleata e dei partigiani. Fu perciò deciso di ridurre le dimensioni delle successive flottiglie. Durante i primi test molti "Molch" affondarono col proprio pilota. Quando dodici "Molch" vennero impiegati per la prima volta contro le pattuglie alleate al largo di Mentone e Nizza; fu un disastro: la flotta alleata non subì alcun danno, mentre soltanto due "Molch" ritornarono solo per essere distrutti successivamente dal bombardamento di San Remo. Le operazioni della KF-411 furono interrotte. Il 20 settembre 1944 il resto della KF-411 fu trasferito a Trieste e dislocata a Sistiana.
Paolo Geri, Scampoli di storia: La base dei sommergibili a Sistiana durante la seconda guerra mondiale (1943-1945), Bora.La, 5 settembre 2010 
 
Verso la fine del 1944 una Germania sull’orlo della sconfitta continuava a riporre tutte le proprie speranze nelle nuove tecnologie, a partire dalle V1 e V2, arrivando alle wunderwaffen, quest’ultime niente più che capolavori di propaganda, pericolose e inefficienti.
I sommergibili Molch rientravano in questa categoria: erano costrutti scomodi e inaffidabili, mini sottomarini comandati da un’unica persona. Dopo aver constatato in mare la sconfitta degli U-Boot, la Kriegsmarine aveva iniziato a sperimentare con le K-flottiglie, ovvero reparti di mini sommergibili sull’esempio italiano della Decima Mas. Incursioni fulminee e notturne, capaci di sorprendere le flotte degli Alleati. I Molch - noti anche come Salamandre o Squali da Posta - presentavano un posto guida con una piccola torretta, dotata di due finestre e una cupola di plexiglass, a sua volta con funzione di portello di entrata. La torretta era anche dotata dell’indispensabile periscopio, mentre nel corpo inferiore della macchina erano situati i due siluri, agganciati con speciali staffe. I piloti assumevano Pervitin per rimanere svegli anche quarantotto ore di fila, fino a raggiungere il bersaglio, colpire e ritornare alla base. Proprio al momento di sganciare il siluro, il Molch palesava l’ennesimo difetto: il sommergibile doveva riemergere in superficie, esponendo così il pilota allo sguardo (e alle armi) delle navi nemiche.
Le prime prove non furono infatti brillanti: i Molch avevano solo due velocità, erano scomodissimi da manovrare e l’unico modo per orientarsi era guardare il cielo stellato dalla cupola. L’impossibilità di usare la retromarcia li rese presto letali più per i piloti che per i nemici, con alcuni, mortali, incidenti persino durante l’addestramento. Eppure, se il Fuhrer lo desiderava, doveva essere fatto.
Fu così che dodici Molch s’inabissarono diretti verso il nemico il 25 e il 26 settembre 1944, al largo di Mentone e Nizza. Le navi che avrebbero dovuto affondare scatenarono tutto il proprio arsenale di bombe di profondità, distruggendo dieci Molch su dodici. I restanti riuscirono a tornare, salvo poi venire distrutti dal bombardamento di Sanremo.
Sistiana iniziò così a interessare non solo l’esercito di terra, ma la stessa marina, perchè divenne, dall’11 novembre 1944, la sede dei rimanenti Molch, all’incirca una trentina.
Zeno Saracino, I Molch di Sistiana. L’eredità sommersa dei mini sottomarini nazisti, Triestenews, 20 luglio 2019

Alla fine del 1944 la disfatta della Germania appariva inevitabile ed i tedeschi stavano disperatamente giocando quelle che ritenevano le loro carte migliori e più ingegnose. Sono di questo periodo le temibili V1 e V2 che pur rappresentavano un ingannevole successo.  Gli Alleati ormai erano superiori sia in terra che in aria. Ma anche in mare i tedeschi non se la passavano bene e gli U-Boot erano ormai fortemente penalizzati dalle tecnologie di localizzazione delle forze alleate. In uno scenario disperato ed ormai senza speranza furono create le K-Flottiglie: reparti per attacchi notturni con mini sommergibili  che si riteneva difficile da localizzare e che replicavano le strategie della Decima Mas Italiana. A poppa vi era il posto di guida sormontato da una piccola torretta che aveva due finestre ed era coperta da una cupola in plexiglass che faceva anche da portello di entrata. Sulla torretta era posizionato un periscopio per l’osservazione in immersione. Sotto, erano agganciati a speciali staffe, due siluri.
In combattimento, peraltro, i molch si rivelarono un fallimento totale. I piloti navigavano pressoché alla cieca e spesso usando come riferimento le sole stelle visibili tramite la cupola in plexiglass sulla torretta. Il lancio dei siluri poteva avvenire solo a pelo d’acqua rendendo sostanzialmente vulnerabile il sottomarino proprio nel momento più cruciale. Il Molch poteva viaggiare a due sole velocità e la retromarcia non era prevista. Scomodo da manovrare, il Molch in combattimento risultò un grosso fiasco e fu principalmente utilizzato per addestramento. Già durante i primi test, molti Molch affondarono con il proprio pilota. Il 25 e 26 settembre 1944, 12 Molch vennero impiegati per la prima volta contro le pattuglie alleate al largo di Mentone e Nizza. Fu un disastro! La flotta alleata non subì alcun danno, mentre soltanto due Molch ritornarono solo per essere distrutti successivamente dal bombardamento di Sanremo. L’11 novembre 1944, i Molch rimanenti furono trasferiti a Trieste e dislocati a Sistiana dove i tedeschi costruirono appositamente una base nella  piccola baia sormontata dal romantico sentiero Rilke. La montagna che arriva fino alla spiaggia era un riparo ideale e fu "scavata" per aprire gallerie e sale a custodire i molch. Ancora oggi si vedono i varchi sulla montagna utlizzati per le  mitragliatrici ed i cannoni. Fu costruito anche un largo scivolo per mettere in mare i mezzi subacquei.
Redazione, I sommergibili tedeschi Molch, Sommozzatori Rari Nantes
 
Colpi di cannone, raffiche di mitragliatrice, motori lanciati alla massima velocità, scafi che sfiorano i campi minati a pelo d’acqua. Le immagini che emergono dall’archivio del Naval History and Heritage Command statunitense raccontano la storia poco conosciuta della battaglia navale di Sanremo, combattuta tra la notte e l’alba del 2 ottobre 1944. Uno scontro che portò le forze Usa impegnate nel Mediterraneo a catturare per la prima volta due barchini esplosivi MTM (acronimo di Motoscafo da Turismo Modificato), vanto delle forze anfibie della Regia Marina prima e della Repubblica di Salò poi, affidate ai marinai della Kriegsmarine che nella città dei fiori erano arrivati un mese prima per sperimentare i mini sottomarini “Molch”, fallimentare arma segreta di Hitler [...]
Dall’archivio Usa, dissequestrato qualche anno fa, emergono anche i documenti relativi all’impiego delle flottiglie naziste nel Ponente Ligure, i verbali di interrogatorio dei prigionieri, l’attività di intelligence e ricognizione. I tedeschi avevano i mini sottomarini “Molch” e “Mader” da testare ma la Kriegsmarine si occupava anche di altro. Come ad esempio portare nottetempo agenti segreti dell’Abwehr reclutati dal maggiore Karl Sessler [n.d.r.: in effetti, Georg Sessler, che non era un operativo dell'Abwehr - vedere infra] tra la comunità internazionale che ancora viveva a Sanremo, a Marsiglia e Nizza per raccogliere informazioni sulle forze alleate sbarcate nella Francia del Sud con l’operazione “Dragoon”. Berlino voleva sapere quali e quante navi da guerra ci fossero e come poterle colpire.
I dettagli di quella notte di combattimenti sono custoditi nei registri di bordo dell’USS Gleaves [...] Nel frattempo un colpo di 88 dalla costa raggiunge il Gleaves provocando lievi danni e una mezza dozzina di feriti lievi. La nave intanto per sfuggire ai barchini ha iniziato a procedere a zig zag e il comandante ha dato piena potenza alle macchine. Dopo alcune salve esplose verso la costa si allontana dal golfo di Sanremo con la copertura delle motosiluranti che intanto hanno intercettato altri due barchini arrivati di rinforzo. La cattura avviene in quel frangente. I marinai americani circondano i due scafi degli MTM (uno, colpito, poco dopo affonderà) e recuperano i piloti tedeschi che si erano lanciati in mare con le tute da sommozzatori. Alle luci dell’alba il Gleaves torna indietro, la preda di guerra viene caricata a bordo e portata in Costa Azzurra. Scattano le indagini per scoprire il funzionamento dei barchini.
Giulio Gavino, 1944, battaglia in mare a Sanremo: barchini esplosivi all’attacco, Il Secolo XIX, 3 marzo 2023
 
Nell’agosto del 1944 Georg Sessler fu inviato a dirigere l'ufficio di Sanremo che si occupava principalmente di intercettare le trasmissioni radio alleate ma venne incaricato dal suo superiore, il Colonello Engelmann, di reclutare agenti da inviare oltre le linee nemiche. A Sanremo assunse il nome di Doctor Steinbacher.
I diretti collaboratori di Sessler erano Leon Jacobs alias Felix, l’operatore radio Wihlelm Schönherr alias William e il tuttofare Widenmeyer, oltre ad alcuni agenti di nazionalità italiana e francese.
L’ordine ricevuto da Engelmann di occuparsi anche delle infiltrazioni di agenti oltre le linee nemiche mise l’ufficio di Sessler in concorrenza con un’altra struttura presente a Sanremo, retta dallo Sturmannführer Helmut Gohl della Sicherheitspolizei e SD, l’"ufficio VI", la cui attività era dedita al sabotaggio e allo spionaggio diretta contro le forze alleate presenti in Provenza e in Costa Azzurra. La sede sanremese dell’Ufficio VI della S.D. si trovava a Villa Araga, di fronte alla stazione del filobus. Dell’ufficio di Gohl, oltre al suo stretto collaboratore Selm, facevano parte gli Obersturmführer Senner alias Sommer e Werner Neissen e si avvaleva di più di un centinaio di membri del Parti Populaire Français, P.F.F., collaborazionisti durante la stagione del maresciallo Petain, in quel periodo pronti a tornare in Francia per spiare la dislocazione delle forze alleate e compiere azioni di sabotaggio. La missione che coinvolgeva questi esuli fancesi prendeva il nome di operazione Bertram e Tosca.
A Sanremo un altro ufficio della Sicherheitspolizei e SD, che si occupava principalmente di repressione delle bande partigiane e dei reati di natura politica e di repressione del mercato nero, era retta dall’Oberschführer Josef Reiter, che non mancava di inserirsi a gamba tesa anche nelle attività degli uffici precedentemente descritti. Reiter era alle dirette dipendenze del comando di Genova, retto da Friedrich Wilhelm Konrad Sigfrid Engel (Warnau am der Havel 11/2/1909 - Amburgo 4/2/2006), condannato all’ergastolo in contumacia per le stragi del Turchino, della Benedicta, di Portofino e di Crevasco dove, nel complesso, furono fucilati ben duecentoquarantotto tra partigiani e antifascisti.
Giorgio Caudano, Appunti, 2020
 
[ n.d.r.: alcuni lavori di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano (con Paolo Veziano), Dietro le linee nemiche. La guerra delle spie al confine italo-francese 1944-1945, Regione Liguria - Consiglio Regionale, IsrecIm, Fusta editore, 2024; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]
 
Il 1° ottobre i piloti dell'Army Cub scoprirono i MAS tedeschi nel porto di San Remo. Un bombardamento ben mirato, nonostante il forte fuoco di risposta, provocò la distruzione di almeno tre di queste imbarcazioni e la demolizione delle strutture per la riparazione delle barche e di altre installazioni portuali. L'incrociatore USS Gleaves trovò anche il tempo di distruggere almeno una batteria da 88 mm (3 pollici), che si era rivelata pericolosa durante l'attacco. Il giorno successivo, assistito da aerei della USS Brooklyn, bombardò gli stabilimenti costieri, le postazioni delle batterie e le navi nel porto di Oneglia, facendo gravi danni a due grandi navi mercantili nemiche, distruggendo una batteria di difesa costiera e una batteria antiaerea vicino al porto. Durante quell'azione il Gleaves ricevette alcuni dei pochi colpi della sua carriera quando un proiettile da 88 millimetri perforò il suo scafo con le schegge.
Durante la notte, mentre pattugliava al largo di Sanremo, il radar di Gleaves individuò tre navi nemiche che si muovevano lungo la costa. Senza assistenza, si avvicinò a loro, nonostante sapesse della presenza di campi minati, e riuscì a distruggerne uno, costringendo gli altri due al ritiro. Più tardi, quella notte, i restanti due furono nuovamente individuati mentre cercavano di raggiungere Sanremo. Ancora una volta, Gleaves attaccò e questa volta distrusse una seconda nave del gruppo e riportò la terza a Genova, probabilmente in condizioni danneggiate.
Mentre tornava alla sua posizione iniziale al largo di San Remo, quella notte il Gleaves fu ingaggiato per la terza volta a battaglia poiché divenne oggetto di un attacco da parte di almeno cinque motoscafi esplosivi con equipaggio suicida. L'uso accorto e combinato di colpi di cannone, di bombe di profondità e di forti virate alla massima velocità lo misero in salvo, lasciando quattro imbarcazioni affondate nella sua scia. La mattina seguente, tornanto in zona, l'equipaggio catturò il quinto motoscafo intatto e con ancora a bordo due operatori. Per quanto è noto, quella fu la prima imbarcazione di quel tipo catturata ai tedeschi e fornì preziose informazioni tattiche alle forze alleate nella zona.
Nel dicembre 1944 il Gleaves fu assegnato come nave di supporto antincendio vicino alle posizioni alleate sulla frontiera franco-italiana e svolse questo compito fino alla partenza per gli Stati Uniti nel febbraio 1945.
Redazione, USS Gleaves, Wikipedia