domenica 15 novembre 2020

... 200 tedeschi in tutta la zona di Ormea

Diano Arentino (IM) - Fonte: Wikipedia
 
Il 10 gennaio 1945 una colonna numerosa di tedeschi rastrella le campagne alla ricerca del comando della I^ Brigata della Divisione "Silvio Bonfante". Non trovando partigiani i tedeschi sfogano la loro frustrazione per la mancanza di risultati raggiunti contro alcuni renitenti alla leva rastrellati in località Frassino di Diano Borganzo [Frazione del comune di Diano San Pietro (IM)]. Vengono passati per le armi, senza nessun processo (normalmente i tedeschi erano soliti fucilare seduta stante solamente coloro sorpresi con le armi, mentre gli altri venivano catturati e processati con verdetti che poteva andare dalla fucilazione alla deportazione in Germania oppure inviati ai lavori obbligatori presso la Todt) Ilario Risso (carabiniere fuggito dal proprio reparto), Ernani Ardissone, Giobatta Ardissone e il sessantaduenne Giobatta Risso. L’episodio viene raccontato da fratello di Ilario Risso, Ardito, che si salvò in modo rocambolesco. Secondo il suo racconto durante il rastrellamento furono uccisi anche due partigiani appartenenti alla banda di Stalin [Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano"], Giobatta Alampi  e Giuseppe Vebero.
Giorgio Caudano
[   Pubblicazioni di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016   ]
 
12 gennaio 1945 - Dal comando della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni", Sez. S.I.M. [Servizio Informazioni Militari], prot. n°261, al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Veniva  comunicato che tra Imperia e Sanremo vi erano 500 tedeschi pronti per un rastrellamento.

12 gennaio 1945 - Risposta del C.L.N. provinciale al manifesto del 10 gennaio del comando di piazza tedesco di Imperia: "... con quale diritto voi potete reclamare la disciplina, l'ordine ed il rispetto quando proprio voi avete ordinato ai vostri soldati di invadere abitazioni private... di distruggere ogni cosa?"

12 gennaio 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Si richiedevano fondi per i Distaccamenti che ne erano privi, comunicando che quanto a viveri la Brigata aveva in tutto solo 250 q.li di patate e 150 di castagne.

12 gennaio 1945 - In questo documento del comando della  Divisione "Silvio Bonfante" si fornivano ragguagli per un appuntamento alla Cappella di Sant'Antonino [probabilmente quella nel comune di Diano Arentino (IM)] per Pantera [Luigi Massabò, vice comandante della  Divisione "Silvio Bonfante"], Osvaldo [Osvaldo Contestabile, commissario mesi dopo della IV^ Brigata "Domenico Arnera"], Mancen [Massimo Gismondi, comandante della I^ Brigata "Silvano Belgrano"] e Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"]. Parola d'ordine: "Si va di qua ad Ortovero?". Risposta: "Si va a Campochiesa".

12 gennaio 1945 - Dal commissario della Divisione "Silvio Bonfante" Mario [Carlo De Lucis] al commissario Osvaldo - Invito, dati gli accordi presi con Simon [Carlo Farini, Ispettore Generale della I^ Zona Liguria], a stipendiare la vedova del garibaldino Polacco, morto nel 1944.

12 gennaio 1945 - Dal comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Relazione sulle azioni svolte a dicembre 1944.

13 gennaio 1945 - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Si richiedevano informazioni sulla missione anglo-americana catturata a Frabosa (CN).

14 gennaio 1945 - Da questo documento interno alla Divisione "Silvio Bonfante" si apprende che a Pieve di Teco (IM) il numero dei nemici variava da 180 a 200 unità; che in tutta la zona di Ormea (CN) vi erano 200 tedeschi; che erano segnalati i nomi di 3 presunte spie; che veniva comunicato il decesso del povero Mario Ponzoni [ Mario, appartenente alla III^ Brigata "Ettore Bacigalupo", fucilato l'11 gennaio 1945 a Pieve di Teco // Mario Ponzoni, in qualità di impiegato comunale, viene accusato dai tedeschi di stanza a Pieve di Teco di fornire carte annonarie e di identità ai partigiani. Dopo sommario processo, viene fucilato in località Prato Sartorio l'11 gennaio... Giorgio Caudano ]. 
 
16 gennaio 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/50, al comando della Divisione - Trasmetteva le informazioni avute da "Dario" [Ottavio Cepollini]  circa l'arresto dei fratelli "Giulio" e "Dek" e di altre 2 persone e segnalava che a Rezzo e a Mendatica si trovavano molti repubblichini. 

17 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" ai comandi delle Brigate dipendenti - Invito a mantenere i collegamenti. Comunicazione che a primavera sarebbero stati richiamati i garibaldini della riserva.
 
17 gennaio 1945 - Dal Comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Capo di Stato Maggiore Divisionale [Ramon, Raimondo Rosso] - Veniva richiesto il pattugliamento notturno delle strade di Vessalico (IM) ed Ortovero (SV).

17 gennaio 1945 - Dal Comando Operativo di sottozona a Simon [anche Manes, Carlo Farini, Ispettore Generale al Comando Operativo della I^ Zona Liguria, da febbraio 1945 vice comandante del Comando militare unificato ligure] - Disposizioni sul trasferimento alla II^ Divisione del comandante Antonio.

da documenti Isrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999
 
Cadono altri partigiani: "Una notte, dopo la prima decade di gennaio 1945" - ci racconta il garibaldino Sergio Ravizza - "come caposquadra, unitamente a quattro miei compagni, feci un turno di guardia presso una piccola cappelletta sita sulla mulattiera che, partendo da Badalucco, costeggiando la Madonna della Neve, portava a Ciabaudo (Valle Oxentina). Eravamo dotati di un mitra e di fucili. Nostro compito era quello di avvertire tempestivamente, in caso di rastrellamento, il nostro Distaccamento, distante da noi una ventina di minuti. La nostra posizione era buona in quanto la mulattiera, con buona visibilità, era controllabile per oltre duecento  metri. La notte trascorse tranquilla. Si era sentito qualche sporadico colpo verso Badalucco, niente di più. Il giorno dopo toccò a Marco Bianchi (Beretta) che, pur comandante, faceva normali turni di guardia come tutti noi, insieme a Enzo Magro, ex allievo ufficiale all'Accademia di Modena, ed a altri quattro compagni. Anche per loro la notte era trascorsa tranquilla, nonostante una nebbiolina che non permetteva buona visibilità. Mentre le stelle sbiadivano e nasceva un nuovo giorno, era terminato l'ultimo turno di guardia. I miei compagni riuniti tutti all'interno della cappelletta, stavano arrotolando le coperte per il rientro al Distaccamento. Ad un tratto udimmo un grido agghiacciante: "uscite fuori, arrendetevi". Il Bianchi, pur sorpreso, non perse la calma. Ordinò ai suoi uomini di buttarsi giù per il sentiero che portava al Distaccamento. Uscimmo tutti dall'angusta porta e venimmo a trovarci sotto un notevole volume di fuoco. "Beretta" uscì per ultimo per proteggere la ritirata con la sua arma automatica. Ad un tratto Enzo Magro, che lo precedeva, sentì che gridava: "Enzo, aiutami, mi hanno colpito". Questi, vincendo la paura (i nazifascisti erano a meno di cinquanta metri) un poco sulle spalle, un poco sorreggendolo, lo portò fino al Distaccamento. Grande confusione tra di noi. Quasi senza munizioni, ci rifugiammo lungo le faxe di ulivi o dietro qualche scheletrico cespuglio, con le nostre misere armi, in attesa del peggio. Il nemico non avanzò. Mi dissero poi che era proseguito per Ciabaudo, Vignai, verso Baiardo. "Beretta" era stato colpito da una pallottola che gli aveva attraversato il ventre. Forse un tempestivo intervento chirurgico gli avrebbe salvato la vita. Non fu possibile perché eravamo circondati da tutte le parti. "Beretta" morì il 14 gennaio a San Bernardo di Badalucco, dopo atroci sofferenze. Rimasi così scosso per quella impossibilità di salvare una vita che, quando fu seppellito, un nodo mi chiuse la gola e non fui capace di pronunciare una sola parola di cordoglio".
Francesco Biga (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. IV. Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Grafiche Amadeo, 2005, pp. 116,117
 

martedì 10 novembre 2020

Agguato garibaldino in Località Sgorreto

Ponti sul torrente Impero all'altezza di Castelvecchio di Imperia

Non è molto ridente la località che porta il nome, acquisito dall'omonimo rio che la percorre, di Sgorreto [nel comune di Imperia]. È posta sulla strada statale n. 28, fra Pontedassio e Castelvecchio, un pò più vicina a questo che a quello.
A sinistra di chi procede per Pontedassio, la strada è limitata dal torrente Impero, non ben delineato per il greto irregolare in cui s'alternano, o si fanno compagnia, zone di ghiaia, canneti, tratti sassosi, ciuffi erbosi e, tra essi, con percorso a zig-zag, scende l'acqua cupa, color marrone, indice della presenza di frantoi più a nord.
Lo stesso torrente, che nel suo percorso verso il mare poco prima è decisamente rivolto a sud-ovest, improvvisamente, per una delle sue bizzarrie, come di chi muta sovente parere, s'impenna a sinistra e ci mostra, slargato, quel letto descritto. Quindi, sarà un'altra ansa, e così via fino al mare.
D'intorno i colli, a catena o solitari, simulano il gioco del rimpiattino, disposti come sono e quasi divertiti d'interrompersi l'un l'altro. Sullo sfondo, a nord, si staglia, per breve tratto, la salita del colle San Bartolomeo.
Qualche casa sparsa, piccola e modesta, e basta. Ormai, la zona è stata ritoccata da lavori e costruzioni che hanno mutato l'aspetto primitivo.
Al lato destro, una parete strapiomba sulla strada; è alta quattro o cinque metri, tutta sassi, sterpi, pianticelle selvatiche ed arse, salvo una ridente macchia di mandorli, e, tra il tutto, qualche punto in cui poter poggiare il piede di chi intenda scalarla, ma più adatto alle zampe delle capre che al piede dell'uomo. La parete accompagna la strada a rettilineo per un buon tratto.

Il giorno 28 giugno 1944, cinque garibaldini del 10° distaccamento della IX Brigata, guidati dal comandante Umberto Cremonini (Folgore) (1) e dal commissario Fernando Bergonzo (Nando), sono appostati presso il rio Sgorreto. Hanno avuto notizia che il Generale tedesco, comandante del presidio, passa giornalmente in macchina. È intenzione dei partigiani di catturarlo. Da cinque ore attendono, l'attesa è snervante. Hanno fucili e bombe a mano preparate a grappolo in modo da scoppia temporaneamente dopo il disinnesco di una sola sicurezza.
Finalmente è in vista un camion: «Nando» scruta col binocolo; sono Tedeschi e fascisti. Tutti pronti. Il camion, che non è però quello del Generale, avanza finchè giunge nei pressi: i partigiani ordinano l'alt, ma l'autista accelera ed accosta l'automezzo ancora più a destra della stra da per ostacolare la visuale dall'alto e rendere impossibile il tiro.
Ma le bombe precipitano e, con incredibile precisione, centrano il veicolo. Uno spianto! All'intorno morti e moribondi. I superstiti fuggono all'impazzata e i garibaldini, svelti come le capre, scendono lungo la parete.
«Folgore» spara con la pistola a due Tedeschi che corrono a saltelloni nel greto dell'Impero; «Nando» afferra una machinen-pistole abbandonata a terra da un nemico e raffica quelli che fuggono, sempre nel greto verso sud.
I garibaldini raccolgono le armi e si ritirano per il sopraggiungere della macchina del Generale il quale, alla presenza di quello spettacolo, s'infuria ed intende vendicare i suoi soldati morti. Mobilita ingenti forze che, in breve, giungono con autoblinde e mortai, e sparano in direzione dei garibaldini ormai in marcia verso le zone dell'interno.

Contemporaneamente, i nazisti bruciano tutte le case all'intorno e catturano una ventina d'ostaggi, terrorizzando la gente del luogo.
I partigiani, intanto, giungono in salvo a Pian Bellotto, nella zona di Pizzo d'Evigno, presso il distaccamento «Volante» di «Cion» [Silvio Bonfante]; poi raggiungono la loro formazione.
Notiamo: la coraggiosa azione è stata compiuta da cinque uomini a quattro chilometri dal mare! (2).

(1) Quel «Folgore» che, nel precedente mese di maggio, militando nelle fila del distaccamento del comandante Vittorio Guglielmo (Ivano o Vittò) e del commissario Bruno Luppi (Erven) aveva da solo disarmato una postazione della RSI a Santa Brigida (Andagna) e catturato dieci soldati del presidio (G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, vol. 2°, pag. 240).
(2) Testimonianza orale di Fernando Bergonzo, commissario di distaccamento

Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

 

giovedì 5 novembre 2020

La morte dei fratelli partigiani Arena

Francesco e Raffaele Arena - Fonte: L'Alba della Piana

L'8 febbraio 1945 l'ispettore di zona Carlo Simon Farini sollecitò il comando della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione" ad effettuare azioni concordate su Molini di Triora (IM) e San Bernardo di Conio, Frazione di Borgomaro (IM). Qualche giorno dopo giunse la risposta con la quale veniva chiarito che i motivi dell'inazione erano da ricercarsi nella penuria di colpi da mortaio e nel mancato aiuto da parte dei nostri amici (gli alleati), come recitava il documento. 
Il 16 febbraio il Comando della I^ Zona Operativa Liguria rassicurò la II^ Divisione sulla assoluta affidabilità degli alleati e sulla loro sincera volontà di cooperazione.
Durante la notte del 9 febbraio una colonna formata da soldati tedeschi, bersaglieri e militi delle Brigate Nere, guidati dietro informazioni e con la presenza di un ragazzo quattordicenne [Dino] precedentemente catturato dai bersaglieri di Bajardo, circondarono Argallo, Frazione di Badalucco (IM), sorprendendo nel sonno 5 garibaldini, Martinetto (Martino Blancardi, di Bordighera, capo squadra), Chimica, Biondo, Ba e Lucia, quest'ultima, staffetta, del I° Battaglione "Carlo Montagna" della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione. Solo Martinetto riusciva, pur essendo ferito, a salvarsi, fuggendo. Gli altri partigiani, catturati, vennero in seguito fucilati. Un altro garibaldino, Masiero, era già stato ucciso mentre si stava allontanando da una casa privata.
Il 10 febbraio ci furono altri rastrellamenti, nel corso dei quali un reparto fascista, avvistati 2 fratelli garibaldini intenti ad aiutare il padre nei campi in Località San Faustino di Molini di Triora (IM), li raggiunsero e li uccisero sul posto. Si trattava dei fratelli Arena, Francesco (Fuoco) di 24 anni e Raffaele (Fulmine), di 22 anni.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999
 
Nella notte del 9 febbraio 1945 elementi appartenenti a reparti della Brigata Nera, Tedeschi e bersaglieri, circa centosessanta uomini, partiti da Baiardo la sera precedente verso le ore 22, effettuano un rastrellamento nella zona di Vignai-Argallo; rimane ucciso Mario Bini (Cufagna) del II Battaglione, e quattro altri partigiani vengono catturati: Chimica, Biondo, Bà, e Martinetto [Martino Blancardi di Bordighera] del I° Battaglione, compresa la staffetta Lucia.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020
 
Francesco Arena - Fonte: L'Alba della Piana
 
Francesco e Raffaele Arena. Figli di Antonio Arena e di Maria Giuseppa Franco, nacquero entrambi a Melicucco (RC) nella casa posta all’inizio della via Provinciale, ai n. 2 e 4. Francesco venne alla luce il 13 ottobre 19211 mentre il fratello Raffaele il 17 agosto 1923. Pressoché nulle sono le notizie sui loro genitori negli archivi dei comuni di Melicucco e Polistena da noi consultati e nei quali, per motivi diversi, non si trova alcuna documentazione.
Ci vengono incontro i documenti custoditi dagli archivi del Comune di Taggia (Imperia) e dall’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea per la Provincia di Imperia grazie ai quali cercheremo di ricostruire la vicenda umana della famiglia Arena.
Il padre, agricoltore, era nato nel comune di Polistena il 5 gennaio 1895 da Giuseppe e Caterina Fonti, e si era trasferito in Liguria a Taggia (Imperia) il 16 agosto 1931. Il 5 aprile 1935, lo raggiunsero a Taggia la moglie ed i tre figli Francesco, Raffaele e Giuseppe. Il nucleo familiare si stabilì nella casa in Piazza San Benedetto al n. 10.
La famiglia versava in precarie condizioni economiche. Dopo pochi mesi, il 26 giugno 1935, all’età di 34 anni, moriva Maria Giuseppa Franco ed il marito si ritrovò da solo a crescere i tre ragazzi orfani di madre.
Gli Arena, come tutti gli Italiani, dovettero, loro malgrado, fare i conti con la guerra che aggiunse ulteriori disagi.
Francesco aveva conseguito la 3a elementare e svolgeva il mestiere di segantino mentre Raffaele, che aveva conseguito la 5a elementare, lavorava da panettiere.
Il fratello maggiore Francesco venne chiamato alle armi nella Regia Marina e al momento dell’armistizio era impegnato nelle operazioni in Jugoslavia. Raffaele invece era un civile.
I due giovani emigrati calabresi, evidentemente mal sopportavano i soprusi e le angherie del Regime fascista e, in momenti diversi, decisero di entrare a far parte delle Divisioni Partigiane “Garibaldi”.
Raffaele vi aderì il 5 maggio 1944 ed assunse il nome di battaglia di “Fulmine”, raggiungendo il grado di Capo squadra.
Il 9 agosto successivo venne raggiunto dal fratello Francesco, il quale assunse il nome di battaglia di “Fuoco” o “Sputafuoco” come semplice Garibaldino. Entrambi facevano parte del II Distaccamento del I Battaglione “Mario Bini”, inquadrato nella 5a Brigata “Luigi Nuvoloni” della 2a Divisione d’Assalto “Felice Cascione”.
Giovanni Quaranta, L'Alba della Piana

La compagnia di Cacciatori degli Appennini al completo effettuò un rastrellamento nella zona del Govo (San Faustino di Triora). Nell’entrare in paese, avendo visto due borghesi fuggire, il Ten.Cazzardo diede ordine di far fuoco su di loro. Uno dei due riuscì a dileguarsi, inseguito però da una squadra di militi, mentre l’altro, si fermò alzando le mani, ma al sopraggiungere dei miei compagni, riprese la fuga ed i militi, sparatogli addosso, lo uccisero sul colpo. Al rientro dell’altra squadra che era andata alla ricerca dell’altro fuggiasco, riferirono che lo avevano anche ucciso perché riconosciutolo come partigiano. (dichiarazione rilasciata da Tofanari Luciano, milite del Raggruppamento Cacciatori degli Appennini). Il partigiano Natale Massai (Mompracem) così ricorda quel giorno [...]
Giorgio Caudano [ Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016  ]
 
Il 9 febbraio 1945, i fratelli Francesco e Raffaele Arena trovarono insieme la morte in seguito a un rastrellamento da parte di una formazione di Cacciatori degli Appennini: i due vennero catturati e fucilati sul posto dopo essere stati sottoposti a torture.
Per conoscere meglio i particolari sulla morte dei due giovani ci affidiamo a due memorie compilate dal partigiano Natale Massai (Monpracen): 
Eravamo arrivati al mese di febbraio 1945, ed i Nazifascisti che perdevano su tutti i fronti di guerra, si accanivano sempre di più sui civili che uccidevano senza pietà, mentre contro noi partigiani facevano continui rastrellamenti, sfogando pure la loro rabbia contro quei bravi contadini dei luoghi, che, a rischio della propria vita, ci hanno aiutato in qualsiasi situazione, combattendo anche al nostro fianco. Il 9 febbraio 1945, sembrava una giornata tranquilla, senza rastrellamenti in vista. I due fratelli partigiani [Arena] che avevano il padre nella borgata di San Faustino, dove coltivava un po' di verdura in un piccolo appezzamento di terra, decisero di scendere in paese a dargli una mano nel lavoro. Quel giorno un gruppo di fascisti impegnati in un’azione di rastrellamento si era spinto nei dintorni del paese raggiungendo un’altura nella località detta “Gumbe” da dove si poteva dominare dall’alto il paese e le campagne sottostanti, piazzandovi una mitraglia.
Un altro gruppetto di tre o quattro fascisti, intanto, si addentrava in avanguardia nel paese sotto la guida dei colleghi dall’alto.
Avvistata la pattuglia, qualcuno del luogo si affrettò subito ad avvisare del pericolo imminente i due partigiani intenti a coltivare la terra e questi, nella vana speranza di trovare salvezza, pen-sarono di scappare verso due direzioni opposte: Raffaele verso la località “Naculetta” e Francesco verso la località “Murghetta”.
Maria Bianco (Fiora), testimone di quella giornata funesta, raccontò che appena i fascisti si accorsero della presenza di Francesco, lo puntarono con la mitraglia e gli spararono alcune raffiche.
Il fuggitivo, ogni volta che sentiva le sventagliate di proiettili fischiargli vicino, si fermava alzando le braccia in segno di resa. Ma appena i colpi cessavano, tentava nuovamente di sottrarsi al fuoco nemico riprendendo la corsa. Dopo alcuni tentativi di fuga, una raffica lo colpì al ventre e si accasciò al suolo. Raggiunto immediatamente dal gruppo di fascisti fu finito con un colpo alla testa.
Fu spogliato delle scarpe e dell’orologio. Gli presero il portafogli con i documenti. Giunti in paese li mostrarono alla gente del posto chiedendo loro se lo conoscevano. Naturalmente, nonostante lo conoscessero bene, tutti negarono.
 
Fonte: L'Alba della Piana
Fonte: L'Alba della Piana
Fonte: L'Alba della Piana
 
Nel frattempo, l’altro fratello Raffaele, raggiunta la località “Naculetta”, cercava riparo in un incavo di una roccia semi nascosta da un roveto. Il gruppo dei fascisti posizionato sull’altura scorse il malcapitato e, non potendolo colpire con la mitraglia perché lontano, indirizzò a voce la pattuglia che era entrata in paese all’inseguimento del fuggitivo fino a farlo catturare.
Il sergente che comandava la pattuglia chiese a gran voce a quelli in alto se il prigioniero doveva essere ucciso subito. La risposta fu negativa. Si diedero appuntamento tutti insieme in paese dove erano attesi dal loro tenente [...] Giunti in paese con il prigioniero, i fascisti si congiunsero con il grosso del gruppo.
Ma ormai anche per Raffaele la sorte era segnata.
I fascisti chiesero ancora una volta alla gente del posto se lo conoscevano e, mentre il prigioniero faceva segno col capo di dire
No, tutti risposero negativamente.
I fascisti sempre più imbestialiti, uccisero subito il giovane Raffaele con tre colpi: uno alla nuca facendogli saltare un pezzo, un altro ad un braccio e l’ultimo al cuore".
Così morirono i fratelli Francesco e Raffele Arena di Melicucco, trucidati dai fascisti, caduti per l’ideale di Libertà [...]
Giovanni Quaranta, L'Alba della Piana
 
Tofanari Luciano: nato a Carrara il 12 aprile 1924, milite del Raggruppamento Cacciatori degli Appennini - Interrogatorio del 10.11.45: [...] Quindi ci trasferimmo a Montalto Ligure (IM). Colà la mia compagnia al completo effettuò un rastrellamento nella zona di Aigovo (San Faustino). Nell’entrare in paese, avendo visto due borghesi fuggire, il Ten. Cazzardo diede ordine di far fuoco su di loro. Uno dei due riuscì a dileguarsi, inseguito però da una squadra di militi, mentre l’altro, colpito dalla nostra sparatoria, si fermò alzando le mani, ma al sopraggiungere dei miei compagni, riprese la fuga ed i militi, sparatogli addosso, lo uccisero subito. Al rientro dell’altra squadra che era andata alla ricerca dell’altro fuggiasco, riferirono che lo avevano anche ucciso perché riconosciutolo come partigiano. I due uccisi credo si chiamassero Arena [...] Deposizione di Lanza Ernestina:
«Il giorno 9 febbraio 1945 mi trovavo nella mia abitazione di Aigovo quando sentii piangere per la strada. Guardai dalla finestra e vidi passare Arena Raffaello che passava con alcuni soldati repubblicani dei Cacciatori degli Appennini, fra i quali notai un graduato che non sono in grado di indicare quale grado rivestisse. In quel mentre notai che i soldati picchiavano l’Arena col calcio del moschetto, chi con pugni e spintoni in modo da farlo cadere a terra e sentii che disse “Mamma mia”. Inoltre ho sentito che diceva “non statemi ad uccidere per rispetto a mio papà”. A seguito di tali parole ho sentito che il graduato gli rispose con la bestemmia "Porca Madonna, non farmi arrabbiare". Non sentii altro perché gli stessi proseguirono ed io non ebbi il coraggio di uscire sulla strada per vedere cosa succedeva. Dopo circa un quarto d’ora sentii quattro colpi d’arma da fuoco sparati a circa 300 metri da casa mia su una collina chiamata Carmo. Non vidi più ritornare i soldati perché passarono da un’altra strada. Appena questi si erano allontanati vennero in casa mia altri soldati a farsi dare da bere e rivoltisi a me dissero: “Signorina, andate a vedere vostro fratello che lo abbiamo ucciso sulla collina”. Io risposi che fratelli non ne avevo. Mi domandarono allora di dove era quello che avevano ammazzato e risposi che non lo avevo mai visto. Dopo di che uscirono e si allontanarono. Appena i soldati si allontanarono da Aigovo, assieme a mia mamma, ci recammo sulla collina sopradetta dove trovammo l’Arena Raffaele ucciso a terra bocconi e notai che dalla testa gli uscivano le cervella. Rimase sul posto fino al 12 febbraio. Avvisati i parenti questi poi ottennero il permesso di rimozione. Dalla finestra vidi anche Arena Francesco che scappava in direzione della mia casa oltrepassandola. I soldati lo inseguivano sparando con il mitra ed un soldato gli gridava dietro “Fermati porco che ti uccido”. So che appena allontanatisi i soldati anche l’Arena Francesco è stato trovato ucciso a circa mezzo chilometro da casa mia. Non sono in grado di indicare il nome di nessuno dei soldati che erano ad Aigovo, se mi fosse presentato sarei forse in grado di riconoscere quello che mi disse che aveva ucciso mio fratello».
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9,  StreetLib, Milano, 2019

domenica 1 novembre 2020

Nei primi di ottobre 1943 Erven dopo varie peripezie raggiunge la sua abitazione a Taggia

Taggia (IM): uno scorcio

Bruno "Erven" Luppi. Nato a Novi di Modena l'8 maggio 1916. Figlio di un antifascista, fin da ragazzo prese parte alla lotta clandestina contro il regime fascista e, nel 1935, venne arrestato e incarcerato a Modena.  Trasferitosi a Taggia (IM), si inserì nell'organizzazione comunista clandestina di Sanremo (IM). L'8 settembre 1943 era ufficiale dell'esercito quando venne catturato dai tedeschi. Riuscì però a fuggire a Roma dove partecipò ai combattimenti di Porta San Paolo. Tornato nuovamente in Liguria, fu tra gli organizzatori della lotta armata ed entrò a far parte del C.L.N. di Sanremo. Per incarico della Federazione Comunista di Imperia il 20 giugno 1944 organizzò, con altri dirigenti del partito, la prima formazione regolare partigiana del ponente ligure, la IX^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione", con sede nel bosco di Rezzo (IM), la quale diventò a luglio 1944 la II^ Divisione "Felice Cascione".  Il 27 giugno 1944 da comandante di Distaccamento venne gravemente ferito nella battaglia di Sella Carpe tra Baiardo (IM) e Badalucco (IM). Per mesi riuscì avventurosamente, ancorché costretto alla macchia pur nelle sue tragiche condizioni di salute, a sottrarsi alla cattura da parte del nemico. In seguito, appena guarito, assunse la carica di vice commissario della I^ Zona Operativa Liguria.  Vittorio Detassis su Isrecim

Nei primi di ottobre 1943 [Bruno Erven Luppi] dopo varie peripezie raggiunge la sua abitazione a Taggia per prendere contatto con i vecchi compagni e con i quali organizza a monte della città, in località Beusi, una prima banda armata composta da una ventina di giovani, in gran parte militari sbandati. Ma la banda ha vita breve poiché si scioglie nel novembre successivo. In quel periodo entra a far parte del Comitato di Liberazione di Sanremo, come rappresentante insieme al Farina del PCI, con l’incarico di addetto militare. Organizza pure il CLN di Taggia e una cellula del PCI ad Arma, coadiuvato dai compagni Mario Cichero, Candido Queirolo, Mario Guerzoni e Mario Siri. Con i Sanremesi dà vita ad un giornale  clandestino quindicinale dal titolo "Il Comunista Ligure", ciclostilato nel retro del negozio del Cichero stesso. Il gruppo prende pure contatto con la banda armata di Brunati [n.d.r.: Renato Brunati, arrestato il 6 gennaio 1944, deportato a Genova e fucilato dalle SS il 19 maggio 1944 sul Turchino], dislocata a Baiardo e con altre formatesi in Valle Argentina.  
Francesco Biga, Ufficiali e soldati del Regio Esercito nella Resistenza imperiese in Atti del Convegno storico LE FORZE ARMATE NELLA RESISTENZA di venerdì 14 maggio 2004, organizzato a Savona, Sala Consiliare della Provincia, dall'Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona (a cura di Mario Lorenzo Paggi e Fiorentina Lertora)
 
Erven... È della preparazione del movimento partigiano che voglio parlare, cioé di quello che é stato prima. Il C.L.N. venne costituito solo nel novembre 1943. Vi era il C.L.N. a Taggia (IM) che era formato dal senatore Anfossi, da Aliprandi, da altri che adesso non ricordo e da me. Poi c'era un C.L.N. a Sanremo (IM), nel quale figuravano tra gli altri Maifré, Bobba, Farina, Nuvoloni, Ferraroni... Nell'ottobre 1943 a Taggia c'erano due gruppi di partigiani in formazione, uno in una vallata dietro il cimitero ed un secondo in regione Beusi. Con questi gruppi avevo anch'io dei rapporti. Ricordo che si era associato anche il maresciallo Genova. Erano una ventina, ma non erano organizzati... E nei suoi ricordi appare Arma di Taggia. Anche ad Arma di Taggia si formava un C.L.N. con Candido Queirolo, Mario Cichero, Mario Siri, Mario Verzoni. Quest'ultimo andrà poi a Milano e là proseguirà la sua azione partigiana. Candido Queirolo si spingerà sino a Firenze e vi rimarrà per un lungo periodo di tempo. 
don Ermando MichelettoLa V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero - Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975
 
Fra gli antifascisti di Taggia egli ["Erven", Bruno Luppi ] aveva conosciuto, ancora prima della guerra, il veterinario Giovanni Neri, già sopra menzionato. Ora il Neri mette in contatto Erven col farmacista di Molini di Triora, anch'egli antifascista. Dietro indicazione del farmacista di Molini, Erven va da un negoziante di Sanremo, per avere denari per l'organizzazione delle bande, e il negoziante lo manda da un certo Parodi, già membro del Gran Consiglio del fascismo, e residente in Sanremo, in Corso Matteotti. Erven non sa se vi sia stato uno sbaglio da parte del negoziante, oppure da parte sua. Egli si presenta, fa la sua richiesta, e il Parodi lo minaccia e gli intima di presentarsi immediatamente, come ufficiale, al Comando tedesco. Erven esce; ma subito ritorna, dice di avere avvertito i suoi amici, che lo aspettavano in fondo alla scala, i quali lo vendicheranno, se gli verrà fatto del male; afferra quindi l'apparecchio telefonico del Parodi, e lo rompe, buttandolo a terra.
Dopo il Congresso fascista di Verona (14 novembre 1943), i fascisti avevano fatto venire dalla Francia dei militi, giovani quasi tutti dai 15 ai 17 anni, che dicevano essere figli di emigrati italiani. Questi militi fascisti, assai numerosi, avevano preso sede nella Caserma Revelli di Arma di Taggia.
Dopo vario tempo, vi erano stati degli arresti fra gli antifascisti: in Taggia erano stati arrestati l'avv. Secondo Anfossi e Vivaldi Giacomo, verso la fine del dicembre '43.
Altri antifascisti erano stati costretti a fuggire.
Viene arrestato il Brunati, che era specialmente in rapporti di amicizia con Calvini G.B. e con la sig.na Meiffret.
Vi sono degli arresti anche fra i membri del già citato Comitato interpartitico che teneva le sue riunioni nel palazzo della sig.na Meiffret, e di cui faceva parte Erven.
Sono arrestati l'avv. Nino Bobba (poi rilasciato) e Calvini G.B.
Erven, mentre era di passaggio in Sanremo con armi nascoste nelle pieghe degli abiti, incontra in un bar il figlio di Umberto Farina, il quale lo informa di alcuni arresti, e gli raccomanda di avvertire Calvini G.B.
Erven va da Calvini G.B. in Bussana, a tarda sera, forse intorno alle 20,30-21, gli dice che vi sono stati degli arresti, e lo esorta a fuggire. Calvini, tuttavia, pensa che il pericolo non sia imminente, non fugge subito, e la notte stessa viene arrestato.
Frattanto Erven, dopo avere avvertito il Calvini, attraversando la campagna si porta in una località sotto Beusi, dove pernotta presso un piccolo gruppo alla macchia da lui precedentemente costituito.
Da un po' di tempo Erven aveva costituito il suddetto gruppo, formato di otto o dieci giovani. Erven, in genere, pernotta presso il gruppo stesso, mentre di giorno, sia pure con cautela, continua a svolgere il suo lavoro organizzativo in città.
In detto gruppo vi era pure, con un figlio e col genero, il maresciallo del disciolto esercito Genova Carmelo (chiamato «Radio» per nome di battaglia). Il maresciallo Genova aveva aiutato Erven per il fatto della farina presa in Taggia, nei magazzini dei Del Pietro. Insieme col genero, il maresciallo Genova fu ucciso dai nazifascisti durante la guerra partigiana: la moglie e la figlia del Genova rimasero ciascuna con alcuni figli assai piccoli.
Altre persone, allora presso Beusi, e più tardi cadute per mano dei nazifascisti, sono: Candido Queirolo, di cui si tornerà a parlare fra poco, e Lanteri Francesco (Chiccò), nella casa del quale i giovani alla macchia solevano riunirsi.
I fatti, che sopra sono stati riferiti, portano un certo rallentamento, e qualche pausa, nell'azione dei gruppi dei quali faceva parte Erven; e, da un certo momento in poi, l'azione organizzativa e l'attività in generale verranno intensificate dal gruppo di Arma di Taggia, fra i componenti del quale vi erano: Bruno Luppi (o «Erven»), Mario Cichéro (o «Peccivò»), Mario Guerzoni, Mario Siri, Candido Queirolo («Marco»), nonché i fratelli Lantrua Francesco e Giuseppe, che avevano il servizio delle corriere nella Valle Argentina.
Tale gruppo si pose specialmente il compito di mandare aiuti di viveri e di altri generi vari al farmacista di Molini di Triora, affinché li recapiti al gruppo partigiano di Vittò [Giuseppe Vittorio Guglielmo] e di Tento; Simi Domenico, invece, quando gli era possibile venire in Taggia, teneva specialmente i contatti fra il fondo valle e il gruppo presso Beusi, nel quale vi era Onorato Anfossi.
Pare opportuno, a questo punto, fare un passo indietro nel tempo. Erven, che fin dall'inizio della sua attività dopo l'8 settembre '43 si era adoperato per creare gruppi in montagna, aveva incontrata una certa difficoltà, che - in sostanza - si riscontrava un poco dovunque; fra i giovani, fuggiti in montagna subito dopo l'armistizio, alcuni erano tornati in città, dopo una breve permanenza alla macchia; altri si limitavano a tenersi nascosti ma non erano disposti a formare gruppi di combattimento; altri ancora erano scettici circa la possibilità di creare un'organizzazione efficiente.
Erven, infine, aveva fatto puntate nei villaggi; e a persone fidate aveva dato l'incarico di informarlo, qualora nella loro zona si fossero formati dei gruppi, con i quali trattare.
Dopo qualche attesa, il farmacista di Molini di Triora aveva comunicato a Erven che finalmente un gruppo deciso si era formato in montagna, presso Triora (poi risultò essere il gruppo di Vittò e di Tento). Tale comunicazione fu fatta direttamente a Erven dal farmacista di Molini, probabilmente nel gennaio del '44, verso la fine del mese (il farmacista di Molini di Triora scendeva in Taggia ogni settimana per prendere farmaceutici e altra roba varia, e si recava anche da Erven).
Erven, per esortare maggiormente il farmacista di Molini di Triora, aveva alquanto esagerato nel descrivere la consistenza e l'efficienza dell'organizzazione militare in generale; in verità, i mezzi erano pochi. Tuttavia il Comitato di Arma di Taggia, appoggiato dai comunisti di Sanremo, si mette all'opera, per reperire aiuti, e mandarli a Tento e a Vittò, pur non avendo ancora avuto diretti contatti con essi. Come già detto, il materiale sarà inviato al farmacista di Molini di Triora, per mezzo delle corriere Lantrùa; il farmacista di Molini farà avere il materiale a Vittò e a Tento.
Gli aiuti suddetti, però, dapprima erano assai limitati; e cominciarono ad essere più consistenti dopo qualche tempo.
Nel marzo '44 sorgono nuove difficoltà. Luigi Nuvoloni è costretto a fuggire, perché ricercato dalla Gestapo. Fugge con una carta di identità falsa, e con un libretto di commerciante ambulante, il tutto fatto da Erven, con materiale e con timbri del Comune di Taggia.
Nuvoloni non salirà ancora in montagna; si recherà in altra zona, pare nella zona di Andora, presso una famiglia amica, e continuerà a lavorare per il Partito. Erven lo ritroverà solo nella seconda quindicina di giugno, durante la battaglia di Carpenosa. Partito Nuvoloni, delle persone, che erano state specialmente in contatto con lui, erano rimaste, fra gli altri: Ferraroni, Farina Umberto, Manetti Oreste, Pippo Anselmi. Nuvoloni cadrà il 24-6-44 nel bosco di Rezzo.
Anche Candido Queirolo (Marco), nei primi giorni del marzo '44 lascia la zona di Imperia, e va per qualche tempo a Firenze, dove aveva un fratello, Mario.
In questo periodo Erven era solito pernottare ancora presso Beusi, mentre di giorno operava in città, col gruppo di Arma di Taggia e con quello di Sanremo.
Frattanto Erven, per incarico del Partito (PCI), si era incontrato con Curto [Nino Siccardi]. L'incontro, con espedienti vari per il reciproco riconoscimento, era avvenuto in Artallo [Frazione di Imperia], dopo un primo appuntamento mancato a causa di un disguido.
Durante l'incontro si era stabilito che Curto avrebbe preso contatto specialmente con i gruppi di montagna dislocati nella zona di Imperia, mentre Erven viene specialmente incaricato di prendere contatto con gli eventuali gruppi dislocati nella Valle Argentina.
Col gruppo di Vittò e Tento, Erven - come si è detto - aveva già presi contatti indiretti, tramite il farmacista di Molini di Triora, prima del ferimento di Vittò, avvenuto nella battaglia di Gavano del 26-3-44.
Dopo il ferimento di Vittò, Curto, che era già stato informato dal Partito e da Erven dell'esistenza di quel gruppo, ritiene che si debba prendere diretto contatto con Vittò e con Tento, e ne dà incarico a Erven.                                                                                                                                                        Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 268-272

[…] uno scritto che dietro mia richiesta è stato gentilmente preparato dal dottor Ilo Martini, ex ufficiale dell’esercito, nominato Comandante della Divisione SAP “G.M. Serrati”. Lo scritto ciclostilato è intitolato Appunti, memorie e ricordi del Comandante Ilo Martini (Rolando) e porta la data dell’ottobre 1969: […] In primavera [del 1944] mi recai verso Arma di Taggia ove, tramite il CLN provinciale e quello locale, era stato fissato un incontro con il comandante ed il commissario di quel gruppo di azione partigiana […] Era importante prendere accordi sul piano operativo, coordinando le azioni con il CLN locale, il CLN provinciale, il Comando di zona delle formazioni partigiane e il nostro Comando Divisione “G.M. Serrati” […] Insistetti sulla necessità dei collegamenti zonali e settoriali, oltreché centrali, e diedi le istruzioni per prendere contatto con le formazioni di Sanremo, Bordighera, Ventimiglia, Riva e San Lorenzo, sino ad Imperia. Diedi incarico di organizzare un incontro con il Comando delle formazioni SAP di Sanremo e con quello di Bordighera e di Ventimiglia-confine. Fu anche ipotizzato un incontro con le forze operanti sulla costa francese di Mentone e Villafranca sino a Nizza […]” 
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

lunedì 26 ottobre 2020

Il fallimento della missione alleata Zucca in provincia di Imperia


Il 12 andante la guardia di finanza di Riva S. Stefano procedeva all'arrivo del treno antimeridiano proveniente da Genova al fermo di un individuo che subito dopo riusciva a liberarsi ed a darsi alla fuga, senza essere raggiunto, nonostante l'inseguimento e l'esplosione di alcuni colpi.
L'individuo abbandonava una valigetta contenente un apparecchio radio trasmittente e ricevente di fabbricazione straniera, una pistola "Beretta" con caricatore carico e pallottola in canna e due lettere, una delle quali a firma MONTESI Aldo.
Sono in corso accurati accertamenti ed attive ricerche per l'identificazione ed arresto del responsabile.
L'apparecchio è stato consegnato al locale Comando Militare Germanico, a sua richiesta.
Null'altro da segnalare per il territorio di questa Provincia, ove non si sono verificati altri avvenimenti degni di particolare rilievo [...]
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Al Capo della Polizia - Maderno, 29 febbraio 1944
 
Ermanno Durante, ex-Questore d’Imperia, torturatore di partigiani nel Campo di Fossoli
Daniel Degli Esposti, Episodio del Poligono del Cibeno, Fossoli, Carpi, 12.07.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia
 
Santo Stefano al Mare (IM): una vista, nell'ordine, fino a Riva Ligure, Arma di Taggia, costa orientale di Sanremo

[…] il caso della missione Zucca del 2677° reggimento O.S.S.-U.S. Army. Ne era a capo il tenente di artiglieria Piero Ziccardi, Zucca, Bruno, che, da Roma, fu inviato a Genova per attuare un collegamento fra il Comando Supremo e la città, con l’aiuto degli americani. Egli iniziò a tessere una rete informativa che ebbe un duro colpo la notte del 22 febbraio [1944] a Riva Santo Stefano [n.d.r.: oggi due distinti comuni della parte centrale della provincia di Imperia], quando la polizia sorprese alcuni appartenenti all’organizzazione che attendevano un sommergibile alleato che doveva sbarcare materiale. Vi fu uno scontro a fuoco, una radio fu sequestrata e fu perduta una borsa piena di documenti [...] 
Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale - Anno XXIX - 2015, Editore Ministero della Difesa
 
Il sommergibile citato era atteso davanti al margine occidentale di Riva Ligure e lo scontro con la polizia fascista dovrebbe essere accaduto secondo Peter Tompkins, citato qui infra, a Sanremo, ma la versione preferita dalla maggior parte degli autori che si sono occupati dell'episodio è similare a quella del Manzari, anche perché - vedere sia sopra che infra - esiste precisa documentazione di fonte repubblichina che avvalora tale circostanza; in ogni caso sulla dinamica dei fatti tutti gli autori si trovano sostanzialmente d'accordo.
Adriano Maini
 
Poco dopo la liberazione di Napoli, Stimolo [n.d.r.: già eroe delle Quattro Giornate di Napoli] era stato inviato da Bourgoin assieme ad altri a Roma per prendere contatti con i gruppi partigiani locali, tornando alla base di Pozzuoli alla fine del mese di novembre 1943. Successivamente era stato imbarcato nel sommergibile Axum che, nella notte tra il 4 e il 5 dicembre 1943 aveva sbarcato sulle rive tra Pesaro e Gabicce, al di sotto del Colle San Bartolo, numerosi agenti inviati da Bourgoin, destinati a varie distinte missioni nel Nord Italia. Tra di essi vi era Stimolo (Corvo), con l'obiettivo di raggiungere a Roma il fratello Luigi (Civetta) e con lui ed il radioperatore Aldo Montesi (Maria Giovanna), ricongiungersi con gli uomini della missione Zucca operativi a Genova per supportarli nel portare a termine l'incarico affidato.
 
L’OSS, nata nel 1942, diede un forte contributo per organizzare lo sbarco degli alleati in Sicilia e Corvo [Max Corvo] era alla testa del S.I. (Service Intelligency). L’OSS si frantumò in varie Sezioni ma Max [Corvo] rimase a capo del S.I. fino a fine guerra; a questa apparteneva anche l’ORI (Organizzazione Resistenza Italiana), composta da circa 45 agenti, costituita a Napoli nel novembre del 1943, al cui comando era Raimondo Craveri, sorretto dal suocero Benedetto Croce. La maggior parte dei 45 antifascisti proveniva dal nord Italia, e diede un importante contributo alla lotta partigiana [...] fu costituita una Sezione OSS-SIM presso il Governo Badoglio con a capo il Maggiore [André] Bourgoin, un americano di origine francese che odiava gli italiani.
Ennio Tassinari su Patria Indipendente,  18 febbraio 2007 

Uno scorcio dell'ex stazione ferroviaria di Riva - Santo Stefano

La quinta missione speciale condotta da una delle squadre a bordo del sottomarino Axum e denominata "Maria Giovanna", fu compiuta in Liguria. Il 5 dicembre 1943, Enzo Stimolo, nome in codice “Corvo”, che aveva già preso parte alla citata prima squadra a Roma, sbarcò, insieme con il radiotelegrafista Aldo Montesi, “Maria Giovanna”. Bourgoin ordinò a “Corvo” di andare a prendere suo fratello Luigi, “Civetta”, che era a Roma e di procedere immediatamente verso Genova per stabilire ivi il suo Quartier Generale e costituire una rete di agenti nella regione Liguria. Stimolo arrivò sano e salvo a Genova e stabilì immediatamente il collegamento con il Quartier Generale. Nello stesso tempo, intorno alla metà di febbraio, Bourgoin, che aveva pianificato due missioni denominate Richmond IV e V, decise di far atterrare sulla costa ligure, vicino a Sanremo, gli agenti che componevano le squadre incaricate delle predette missioni. A Stimolo “Corvo” fu ordinato di posizionarsi sulla spiaggia con la sua attrezzatura radio, in maniera tale da poter assicurare un costante collegamento diretto con le due spedizioni, prima del programmato atterraggio. Nel frattempo, Bourgoin e le due squadre sorvolavano la Corsica, con tutti gli uomini e l’equipaggio, in attesa di ricevere segnali da “Corvo”. Sfortunatamente, anche la missione di Stimolo e compagni non ebbe successo. L’epilogo fu così delineato dallo stesso capitano Bourgoin: “Sfortunatamente, al loro arrivo presso la stazione ferroviaria (di Sanremo, nda) la guardia doganale volle ispezionare la valigia nella quale era custodita l’attrezzatura radio. Stimolo tolse la valigia dalle mani del suo radio operatore e gli disse di scappare; repentinamente, si voltò indietro e sparò al doganiere un colpo di pistola; saltò sopra la barriera e sparì in mezzo alla folla. La radio andò perduta e Stimolo contattò immediatamente il Dottor Beltramini per avvertirlo di cancellare l’operazione in quanto non era più in tempo”.
L’episodio fu riportato in una versione parzialmente differente dal radio operatore Aldo Montesi, il quale, a differenza di quanto testimoniato da Bourgoin, non menzionò l’uccisione del doganiere, riferendo, al contrario, che “Corvo” era scappato, mentre l’altro lo aveva inseguito sparando. Infine, Montesi raccontò di essere restato immobile e, quindi, arrestato anche se poi, avendo risposto in modo non sospetto, fu solo perquisito e finalmente rilasciato: “Non trovarono niente di incriminante e io offrii a ciascuno un pacchetto di sigarette che accettarono […] Entrai in un ristorante per distruggere il piano di trasmissione e il cifrario che avevo in tasca […] Presi il treno per Genova”. <68.
Successivamente, il capitano Bourgoin paracadutò a Stimolo un’altra apparecchiatura radio sulle Alpi e quest’ultimo la trasportò a Genova. L’agente iniziò così a svolgere un lavoro molto interessante grazie al quale furono ottenute informazioni militari di grande valore.
68 Il rapporto Montesi (NARA RG 226, E. 124, B. 30), è citato da P. Tompkins che, a tal proposito, riportava anche la testimonianza di tale Tristano Luise “Dattilo” che avrebbe preso parte alla missione con “Corvo”, “Civetta” e Montesi, di cui invece Bourgoin non faceva menzione. P. Tompkins, L’altra Resistenza cit., pp. 400 e 401.
Michaela Sapio, Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012
 
Una vista del tratto di costa, compreso tra il levante di Sanremo e Santo Stefano al Mare (IM)

Nel frattempo Ziccardi, che aveva assunto il nome di copertura di "Zucca", doveva cercare un posto sicuro sulla costa Ligure dove poter sbarcare uomini ed equipaggiamento. Ziccardi-Zucca tornò a Genova dove, assieme al suo vecchio amico Tristano Luise, "Dattilo", collaborò con la missione di Enzo Stimolo (Corvo), sbarcato il 5 dicembre [1943] dal sottomarino Axum sulla costa adriatica con gli altri agenti di Bourgoin [...] Lo scopo di Bourgoin era di adoperare i due Stimolo, ex membri del SIM, per tenere sotto controllo Zucca e i suoi subagenti, arruolati tra i suoi studenti. Arrivati a Genova, i fratelli Stimolo, che non conoscevano nessuno da quelle parti, aggregandosi a Zucca e Dattilo informarono Bourgoin che avevano trovato un posto di sbarco su una spiaggia deserta cinque chilometri a sud [piuttosto, a levante] di San Remo, alle foci della fiumara di Taggia, poco prima di Santo Stefano al Mare [come per altre successive missioni alleate ipotizzate o fallite verso i partigiani imperiesi si trattava di una zona coincidente o abbastanza prossima al Giro del Don nell'attuale comune di Riva Ligure]. Per sbarcare in quel punto uomini ed equipaggiamento Bourgoin partì in volo per Bastia dopo aver ordinato a Stimolo di aspettarlo sulla spiaggia con la sua radio in modo da restare in contatto costante con lui, mentre, con gli uomini da sbarcare, si sarebbe avvicinato via mare. Il 22 febbraio Corvo, Dattilo e il radiooperatore Montesi presero il treno per San Remo. Zucca non poté partecipare perché quel giorno doveva essere a Milano per fare lezione all'università. I cospiratori, scesi alla stazione di San Remo, furono fermati all'uscita da una guardia doganale che insisteva nel voler ispezionare la valigetta in cui c'era la radio. Nel resoconto drammatizzato di Bourgoin: "Stimolo prese in mano la valigetta dall'RT [radiotelegrafista] e girandosi verso il doganiere gli sparò un colpo di pistola, uccidendolo. Saltò il cancello e si perse nella folla". Il racconto più sobrio di Dattilo, testimone della scena, non fa menzione di questa uccisione. Riferisce che Stimolo riuscì a scappare schivando una raffica sparatagli dietro. Questa testimonianza è convalidata dal radiooperatore Montesi con maggiori dettagli: "Corvo portava la radio e io una borsa con cose personali. Al primo posto di controllo egli riuscì ad evitare una perquisizione da parte di due guardie repubblicane, dicendo che la valigia conteneva strumenti chirurgici e che aveva premura perché vi era una persona in pericolo di vita. Le guardie gli credettero e lo lasciarono passare. Ma un po' più in là fu fermato da una persona in borghese che insisteva nel vedere dentro la valigia. Corvo gli ripeté la storia di prima, ma non fu creduto. Vedendo che l'uomo tirava fuori la rivoltella, Corvo pose la valigia su un muretto e scappò, mentre l'altro lo inseguì sparando". Montesi continua la sua descrizione: "Decisi di non muovermi e di mantenere la calma, pensando che se avessi cercato di scappare sarei stato inseguito... Le due guardie repubblicane mi arrestarono. Con calma chiesi loro perché. Che colpa avevo io se uno scappava con roba da borsa nera... A tutte le loro domande risposi in modo naturale e fortunatamente fui creduto. Frugarono nella mia borsa, nella quale avevo dichiarato esserci effetti personali e dodici pacchetti di sigarette. Non trovarono niente di incriminante e io offrii a ciascuno un pacchetto di sigarette, che accettarono volentieri... Entrai in un ristorante per distruggere il piano di trasmissione e il cifrario che avevo in tasca... Presi il treno per Genova". Dattilo, che portava una borsa di documenti da imbarcare, piena di informazioni che avrebbero potuto incriminarli tutti, riuscì a nasconderla in una casa diroccata sulla strada per Santo Stefano al Mare, evitando la polizia sopraggiunta su varie macchine. Dalla stazione di San Remo Dattilo partì per Milano e comunicò alla base attraverso la radio di Como che bisognava cancellare l'operazione. Per due giorni Corvo si nascose in montagna, inseguito dalla polizia, per poi tornare tranquillamente a Genova. Il 26 febbraio Alberto Blandi, "Falco", una giovane recluta di Zucca, tornò a Santo Stefano al Mare per cercare la borsa lasciata da Dattilo nella casa diroccata. Avendo indicazioni precise, quando non trovò la borsa capì che qualcuno l'aveva portata via, esponendo tutti loro a grave pericolo se fosse caduta in mano alle SS. Ma la Gestapo era già sulle loro tracce per via di un altro giovane reclutato da Zucca, "Conte". Questi si era messo a frequentare un interprete della Gestapo per ottenere informazioni ed era stato pedinato. Arrestato, "Conte" fu torturato brutalmente finché dopo dieci giorni fece il nome di Zucca [...] Zucca riuscì a scappare e si rifugiò a Milano, dove si aggregò alla rete di Como grazie alla moglie Wanda, lasciando a Dattilo l'organizzazione a Genova. Dattilo durò poco. Nella missione di Corvo a Genova si verificarono una serie di fatti ancora più gravi. Il debole di Bourgoin per il doppio gioco e per le trattative con i doppiogiochisti avrebbero avuto conseguenze disastrose [...]
Peter Tompkins, L'altra Resistenza. Servizi segreti, partigiani e guerra di liberazione nel racconto di un protagonista, Il Saggiatore, 2009
 
Il torrente Caravello a Riva Ligure

Il 22 febbraio 1944 Stimolo, Luise e Montesi, scesi alla stazione ferroviaria di Sanremo, furono bloccati da militi della RSI che chiedevano di ispezionare la loro valigetta, in cui era contenuta la radiotrasmittente. Stimolo, riuscito ad evitare la perquisizione con una scusa credibile, venne subito dopo bloccato da un individuo in borghese che richiese nuovamente di ispezionare la valigetta e che, alle risposte evasive dei cospiratori, fece l'atto di tirare fuori una rivoltella. A quel punto Stimolo abbandonò la valigia e si diede alla fuga, inseguito dai colpi di pistola, mentre i suoi compagni furono arrestati ma successivamente rilasciati, riuscendo abilmente a liberarsi dei documenti compromettenti che avevano addosso. Stimolo, dopo alcuni giorni di fuga, braccato dalla polizia, ritornò a Genova, continuando ad operare clandestinamente. 
 
Di questo periodo è pure da ricordarsi un fatto riguardante la missione Zucca, avvenuto nel territorio della provincia di Imperia. La missione "Zucca", centro di informazioni così denominato, aveva sede in Genova ed operava in collegamenti con esponenti di primo piano delle forze resistenziali della stessa città, con lo scopo di tenere contatti con gli Alleati [...] Nella notte del 22 febbraio 1944 alcuni componenti di detta missione, portatisi a Riva Santo Stefano in vicinanza di Arma di Taggia, erano in attesa di un sottomarino alleato, per "sbarcare e imbarcare materiale", quando furono scoperti dalla polizia dei nazifascisti. Vi fu uno scontro, durante il quale i nazifascisti perdettero un uomo; la missione "Zucca", da parte sua, perdette una radio trasmittente ed una borsa piena di documenti, la cattura della quale paralizzò per molto tempo l'attività della missione stessa. L'operazione progettata non si potè effettuare.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976
 
Pagina 34 del Notiziario GNR del 3 marzo 1944 cit. infra - Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

dalla LIGURIA
Imperia
Il 22 febbraio u.s., verso le ore 11,30, presso lo scalo ferroviario di Riva S. Stefano, una pattuglia annonaria della Guardia di Finanza fermò uno sconosciuto recante una pesante valigia. Costui abbandonò la valigia dandosi alla fuga, invano inseguito e fatto segno a colpi d'arma da fuoco. Nella valigia venne rinvenuto un apparecchio radio trasmittente e ricevente di marca inglese, una pistola automatica, una bussola e un foglio con codice convenzionale per trasmissioni. Il tutto fu consegnato al comando provinciale germanico.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del giorno 3 marzo 1944, p. 34,  Fondazione Luigi Micheletti  
 
Sempre nella provincia di Imperia si svolse il 22 febbraio 1944 un'azione della cosidetta "Missione Zucca". Si trattava di un centro di informazioni con sede in Genova che svolgeva anche attività operativa sul territorio ligure e che organizzò, nella zona di Arma di Taggia, una missione al fine di sbarcare materiale da un sottomarino alleato. La missione fallì in quanto fu scoperta dalla polizia nazifascista e conseguenza di tale fallimento fu l'arresto, la deportazione e la fucilazione di alcuni dei suoi membri.
Paolo Revelli, La seconda guerra mondiale nell'estremo ponente ligure, Atene Edizioni, Arma di Taggia (IM), 2012
 
Nei mesi successivi, a causa della delazione di un membro nell'organizzazione che faceva il doppio gioco, vennero scoperti e, nell'estate del 1944, arrestati numerosi membri della missione, tra cui gli stessi Dattilo e Zucca, compromettendone definitivamente l'esito. 
 

giovedì 22 ottobre 2020

Il giornalino partigiano stampato nella tipografia del parroco di Realdo

Fonte: Rete Parri

L'organizzazione partigiana era ormai efficiente; i collegamenti fra i vari gruppi erano armoniosi ed efficaci. I vari attacchi ai gruppi dei nazifascisti avevano reso la zona dell'Alta Valle Argentina sufficientemente sicura. Era anche possibile, con discreta facilità, raggiungere la zona delle formazioni di Imperia. Il numero dei partigiani era aumentato e l'armamento quasi completo. Mancava un giornalino di propaganda.
Dice Vitò [Giuseppe Vittorio Guglielmo]: «Dal Comando di Divisione era venuto l'invito di trovare un mezzo per organizzare un giornalino. Non c'era possibile andare in città per cercare una tipografia accondiscendente. Eravamo troppo distanti e bisognava attraversare alcuni territori tenuti dai nazifascisti. Sapevo che a Realdo [Frazione di Triora (IM), Alta Valle Argentina] vi era un parroco che aveva macchine per stampare. Anche se il macchinario era un po' antiquato, poteva benissimo servire per stampare il nostro giornalino, che prima che nascesse l'avevamo già battezzato "Garibaldino". Ma ero veramente preoccupato sul come presentarmi a quel sacerdote. Se andavo io, un comunista, avrei potuto far fallire l'impresa. Era con noi Don Armando Micheletto (Domino nero) e fu questa una combinazione favorevole e risolutiva. Pregai lui di prendere contatti con Don Peitavino e gli raccomandai di riuscire anche mediante accordi. Fragola-Doria [Armando Izzo] si associò a Domino nero e partirono per la missione. Fu presto vinta la resistenza del parroco con argomentazioni che trovavano una base di serietà sulla richiesta che veniva a lui da un suo confratello sacerdote, che viveva in mezzo ai partigiani. Un altro fattore che contribuì a rassodare la richiesta fu la presentazione a Don Peitavino, di un suo nipote partigiano, del suo stesso paese natio, Isolabona, che avrebbe preso la direzione della redazione del giornalino».
Don Armando e Fragola-Doria comunicarono a Vitò le promesse fatte al parroco che concedeva la tipografia. Un certo aiuto economico a lui che era poverissimo tra i poveri ed il rispetto per la sua casa e per i suoi macchinari.
Accettate le condizioni, Vitò fu generoso come sempre e come con tutti, tanto da suscitare nel parroco entusiasmo per il lavoro di tipografia. Lui stesso rifornì carta, inchiostro, lavoro. Passava alcune notti a lavorare coi giovani chiamati a collaborare; insegnava l'arte della stampa.
Fragola-Doria e Peitavino (Silla) furono i primi compilatori del giornalino, dalla testata che era un programma ed una bandiera: «Il Garibaldino».
Ora Silla è preside nel liceo di Cavour in Piemonte. A lui domandate come faceva a bere il vino della S. Messa dello zio prete e come sapeva sottrarre le formaggette tenute in gran conto.
Vitò era soddisfatto della riuscita e desiderava che il giornalino si propagandasse ovunque. Anche nell'intervista a distanza di tanti anni mi confidava: «Così potemmo dimostrare che tutte le forze vive erano state chiamate all'intervento e che si davano da fare per ottenere quanto il Comando di Divisione voleva. Quel prete, nonostante le marachelle che gli combinavano i nostri partigiani, capitanati da Silla, era felice di averci aiutato e di essere aiutato da noi. Era tremendamente povero ed isolato anche dalla popolazione. Lui faceva da maestro nella stamperia. Il primo numero uscì nella prima quindicina di settembre».
Fragola-Doria era il moderatore delle marachelle dei partigiani della stamperia e quando Don Peitavino aveva qualche lamento da fare, si rivolgeva a lui. Gli si era talmente affezionato che quando seppe che era stato colpito a Pigna e lo credeva morto, aveva celebrato delle messe per lui. Ma non era morto e lo andò a trovare per confermargli la sua riconoscenza: «Mio caro, ti credevo morto, ed ho celebrato messe in suffragio per l'anima tua».
«Grazie, reverendo, le messe fanno bene anche ai vivi».
Vi era una simpatia fra i due per vicendevoli servizi resi e Don Peitavino lo stimava e lo rispettava. Per lui e per le affettuose cure avute dai partigiani della tipografia, era un convinto assertore della bontà della lotta dei partigiani contro tedeschi.
don Ermando Micheletto * La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1973, pp. 110, 111
* ... Don Micheletto per tutta la guerra si adoperò per i partigiani, generalmente in contatto con i gruppi di Vitò, che accompagnò spesso nei loro spostamenti. Esplicherà la sua attività specialmente nell'assistenza e per captare messaggi radio. Giovanni  Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia
 
Il foglio "Il Garibaldino" nasce ad opera della sezione “agitazione e propaganda” della IX^ Brigata “Felice Cascione” - poi divenuta nel luglio 1944 la II^ Divisione d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione” - con l’intento di essere la voce dei Garibaldini della provincia di Imperia.
Gli articoli affrontano vari argomenti, tra i quali si segnalano: l’andamento della situazione politica e militare; i commenti delle azioni compiute dai vari distaccamenti; gli atti di eroismo individuali; le informazioni sulla vita interna dei distaccamenti, con particolare risalto al morale e alla disciplina dei partigiani; l’incentivazione dello spirito di emulazione fra i singoli combattenti.
Detti contenuti sono indicati dall’Ispettore di Zona Carlo Farini, “Simon”, in una sua lettera circolare del 14 giugno 1944.
Gli articoli essenzialmente politici sono scritti dal Commissario politico della divisione Libero Briganti, “Giulio”, e da Agostino Bramé, “Orsini”.
I primi due numeri del 14 luglio e del 6 agosto 1944, sono tirati in 400 copie ciascuno e sono stampati presso la tipografia di Villatalla, situata nel comune di Prelà. Responsabili della stamperia sono Giovanni Acquarone, “Barba”, e Riccardo Parodi, “Ramingo”.
 

Fonte: Rete Parri

Il primo numero è distribuito nella provincia di Imperia e parte del basso Piemonte, mentre il secondo circola prevalentemente tra i distaccamenti della brigata.
Il terzo numero esce invece il 20 settembre 1944, come primo di una nuova serie promossa dalla II^ Divisione d’Assalto “Felice Cascione”, con cadenza periodica - almeno nelle intenzioni -, in 8 facciate. 

Fonte: Rete Parri

È stampato presso la tipografia di Realdo, frazione del comune Triora in Valle Argentina. La costituzione di tipografia è stata promossa da: Armando Izzo, “Doria Fragola”, Commissario di divisione; Vittorio Guglielmo, “Vittò”; Comandante del gruppo divisionale; Ferdinando Peitavino, “Silla”, nipote del parroco Don Luigi Peitavino, il quale ha messo a disposizione i macchinari tipografici installati nella canonica del paese.
L’idea è di stampare il periodico con cadenza quindicinale, ma per varie vicissitudini “Il Garibaldino” non sarà più pubblicato se non dopo la Liberazione, con l’uscita di alcuni numeri dedicati soprattutto alla commemorazione dei caduti.
Istituto Nazionale "Ferruccio Parri"
 
Come afferma il garibaldino Gino Glorio (Magnesia) amministratore della brigata, la prima copia de Il Garibaldino fu stampata il 14.7.1944 e distribuita a San Bernardo di Garessio, nell'alta val Tanaro e nella parte orientale della Provincia, dal Comando della I brigata con sede a Lovegno. La stessa cosa si ripeté nella parte occidentale.
Il giornale era formato  da  due pagine stampate in modo primitivo; vi si parlava del rastrellamento di Stellanello (battaglia di Pizzo d'Evigno del 19.6.1944) e si citavano le azioni principali delle varie brigate. Un articolo commentava in modo ottimistico le operazioni alleate, un altro esaminava la nuova situazione creatasi in seguito all'occupazione garibaldina dell'interno (Pieve, Ormea, Garessio): raccomandava il comportamento corretto, cordiale dei partigiani con la popolazione dei grossi centri perché in essi doveva vedere i suoi figli, la propria difesa. Solo in questo modo sarebbero stati degni di liberare le città della costa. Inoltre si deplorava la leggerezza con cui alcuni  partigiani raccontavano le azioni eseguite o progettate. Concludeva ricordando che il silenzio e la sorpresa erano le migliori garanzie per il successo. Il 6 agosto 1944 fu distribuito tra i distaccamenti delle brigate il secondo numero de Il  Garibaldino. Come il precedente, conteneva un commento sulla situazione militare, le principali azioni del mese di luglio, accennava ad un distintivo che sarebbe stato consegnato a  tutti i partigiani: la stella rossa con l'effige di Garibaldi. In agosto Libero Briganti (Giulio) commissario della II^ divisione F. Cascione, non solo faceva produrre materiale vario di propaganda stampato dalla tipografia di Villa Talla, ma anche dal suo commissariato con la macchina da scrivere per cui, durante il mese, vennero lanciati i seguenti dattiloscritti intitolati come segue:
Direttive per l'insurrezione nazionale e per l'organizzazione di organi di potere popolare (7 fogli, del 6.8.1944), Sulla via dell'insurrezione (8 fogli, del 10.8.1944), La disciplina che vuole il soldato del popolo (3 fogli, del 19.8.1944), Difendiamoci dal nemico (2 fogli, del 22.8.1944), Chi siamo, cosa vogliamo (2 fogli, del 24.8.1944), Garibaldini e popolo (2 fogli, del 28.8.1944.
Il presidente del C.L.N. provinciale Gaetano Ughes (Giorgio), in una sua relazione scriveva che il servizio stampa e  propaganda del C.L.N. era stato affidato all'organizzazione comunista, la più preparata ed organizzata, che già funzionava a pieno ritmo da molti anni. Essa fu diretta da numerosi compagni e particolarmente da Ernesto Baldini (Leandro, poi Serra), segretario della Federazione comunista d'Imperia, inviato da Genova e che restò alla Federazione dalla fine di agosto 1944 al marzo 1945.
Le squadre S.A.P. della divisione G.M. Serrati alle dirette dipendenze della Delegazione Militare provvedevano all'affissione notturna e diurna ed alla distribuzione in città e nel circondario del materiale propagandistico. Altro materiale di propaganda veniva inviato dal C.L.N. di San Remo (dirigenti: Rovelli e Mascia),  che ne curava la distribuzione nei diversi piccoli e grandi centri abitati.
A proposito, Mario Mascia ci ricorda che il C.L.N. di San Remo spese circa 150.000 lire per la stampa e propaganda; organizzò il servizio stampa e propaganda nella parte occidentale della Provincia con l'aiuto del P.C.I. che mise a disposizione tutti i suoi mezzi;  pose mano alla pubblicazione di manifesti di propaganda di varie dimensioni, lanciandone circa 30 tipi per un numero complessivo di circa 25.000 copie.
Il C.L.N. provinciale provvide a far stampare 40 tipi differenti di manifestini (nella tipografia di Villa Talla) per complessive 50.000 copie e ne curò l'affissione e la distribuzione.
Altre 20.000 copie di volantini diversi giunsero da Savona e da Genova. Furono diffuse parecchie migliaia di opuscoli di propaganda; stampigliate sui muri della città varie scritte antifasciste ed antitedesche.
A metà settembre 1944 il Comando della divisione Cascione, dislocato a Piaggia, trasferì il tipografo Enrico Amoretti dalla tipografia di Villa Talla a quella di Realdo in valle Argentina, piccola tipografia parrocchiale installata nella canonica del paese, dove si stampavano foglietti a carattere religioso.
Per convincere il parroco don Peitavino a mettere a disposizione della Resistenza la tipografia, il comandante della V brigata Vittò aveva mandato don Micheletto (Domino Nero), parroco di Cetta [in effetti, prima di entrare in clandestinità, Don Micheletto era a Camporosso], a parlamentare con lui.
Il parroco di Realdo mise a disposizione il macchinario al quale s'impegnò personalmente, coadiuvando nel lavoro di stampa Ferdinando Peitavino (Silla) di San Remo [in effetti di Isolabona, in Val Nervia], Lorenzo Musso (Sumi) e l'Enrico Amoretti, il dottor Millo e un compagno di Pigna. Così il 20 di settembre, come periodico della II^ divisione Cascione, uscivano il primo numero del giornaletto Il Garibaldino  (3° della serie), su otto facciate, ed il primo quantitativo di tesserini di riconoscimento da distribuire ai garibaldini.
Il 26 ed il 27 del mese stesso i responsabili dei settori A, B, C (San Remo, Imperia, Albenga), informavano la Federazione del P.C.I. d'Imperia ed il Comando della Cascione di aver ricevuto i plichi contenenti i giornaletti Il Garibaldino, l'Unità del 19.9.1944 (edizione imperiese) e il volantino Ordine di mobilitazione volontaria con l'invito di rientro a tutti i partigiani che si erano allontanati. Gli addetti dei tre settori provvedevano subito a distribuire il materiale di propaganda.
Durante il grande rastrellamento di Pigna-Upega dell'8-22 ottobre 1944, il tipografo Enrico Amoretti, che aveva seguito il Comando della divisione garibadina, fu catturato ad Upega dai Tedeschi, ma dopo due giorni, liberato, ritornò alla tipografia di Realdo dove trovò le SS tedesche che stavano confrontando i caratteri tipografici con quelli dei giornaletti; però, siccome quelli usati per la stampa clandestina erano tenuti nascosti, non scoprirono il corpo del reato [...]
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura Amministrazione Provinciale di Imperia e con patrocinio Isrecim, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977