martedì 31 agosto 2021

Giunge voce che i tedeschi, scesi dal San Bernardo, si stiano dirigendo verso Garessio

La stazione ferroviaria di Pievetta, Frazione di Priola (CN) - Fonte: Wikipedia

Il distaccamento “Volantina” si trovava a Pievetta, tra Priola e Bagnasco, lungo la statale 28 Ormea-Ceva. Quando una colonna tedesca guidata da due autoblindo cercò di raggiungere Garessio ebbe inizio un conflitto a fuoco che vide gli uomini di Massimo Gismondi "Mancen" in evidente inferiorità di uomini e di mezzi. Durante il combattimento venne ferito in modo serio il caposquadra Agostino Moi. Mancen capì che le condizioni non gli permettevano di portare al sicuro il suo uomo e decise di nasconderlo sul posto per poi tornare a riprenderlo. I partigiani si ritirarono e i tedeschi entrarono in paese. All'improvviso, due aerei alleati attaccarono i reparti motorizzati nazisti sulla strada proveniente da Ceva; un'autoblinda venne colpita e la colonna sbandò: questo permise all’intero reparto partigiano di disimpegnarsi e attestarsi sulle alture. Nella notte tra il 25 ed il 26 luglio 1944 Mancen ritornò insieme a un gruppo di volontari, ma le ricerche di Moi furono vane. Il suo corpo venne ritrovato casualmente soltanto nel 1976 da un contadino di Pievetta e riconosciuto dalla sorella per i due denti d’oro presenti sui poveri resti.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, Edito dall'Autore, 2020

[ n.d.r.: tra i lavori di Giorgio Caudano: a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016  ]   
 
Pievetta. Fonte: mapio.net

Siamo al primo mattino del 25 luglio 1944. Giunge voce che i tedeschi, scesi dal San Bernardo, si stiano dirigendo verso Garessio, mentre un altro reparto, già in sosta a Ceva, si sta avviando verso l’Alta Val Tanaro, controllata da oltre un mese da un gruppo partigiano che ha stabilito un piccolo presidio in Pievetta, frazione di Priola. Verso le ore 16:00 in paese si sentono  raffiche di mitraglia provenienti dalla strada di Roccaprencisa, distante circa due Km dall’abitato  di Pievetta. Si tratta di un attacco partigiano, durante il quale resta ucciso un soldato tedesco. La popolazione di Pievetta, poco più di 550 anime, in massima parte donne e anziani, è in subbuglio. Chi può scappa nei boschi, altri si rifugiano nelle cantine. Intanto la colonna tedesca munita di carri armati e mortai continua l’avanzata verso il paese e, senza un apparente motivo, inizia la terribile rappresaglia. Fuoco dei mortai e raffiche di mitra contro la Chiesa e le case circostanti, bombe a mano lanciate a casaccio nelle finestre delle case e nei cortili terrorizzano la popolazione, causando anche le prime vittime. Dopo questa prima esibizione selvaggia, segue il rastrellamento di uomini, donne, bambini. Mentre i primi vengono rinchiusi in una cappella sconsacrata, donne e bambini sono condotti in Chiesa e, nella notte, rilasciati. 26 luglio 1944. Di prima mattina viene chiesto agli uomini, ai quali si è già lasciato capire che saranno destinati a un “campo di lavoro”, se “sono pronti a partire”. Alla loro risposta affermativa, sono fatti uscire e viene formato un gruppo di nove uomini tra i 28 e 65 anni che, avviati verso un prato, a circa 50 mt. dalla chiesa, vengono trucidati a raffiche di mitra alla nuca. In concomitanza a questo terribile evento, altri sono assassinati nelle case o per le strade mentre viene appiccato il fuoco a fabbricati rustici e civili. Entrano nella Casa Canonica dove, non trovando l’Arciprete, freddano suo padre di 68 anni che stava dormendo e poi incendiano il letto. Di lui non rimane neppure il cadavere. E il massacro di innocenti continua fino al pomeriggio. Contemporaneamente squadre apposite iniziano a incendiare le case, in breve il fuoco si propaga ovunque. E’ vietato ogni tentativo di spegnimento. Colonne dense di fumo si innalzano verso il cielo e ricoprono la vallata per vari chilometri. Vecchi, donne e bambini sono obbligati a lasciare il paese, mentre l’opera di distruzione viene ripresa con più metodico accanimento. 27 luglio 1944. Le rovine delle case fumano ancora, i morti giacciono insepolti nei prati, sulla strada, nelle case. E’ terribile il bilancio di queste giornate: un villaggio di circa 550 abitanti e 80 case viene punito, senza motivo, con 18 vittime e 50 fabbricati distrutti. Le vittime assassinate il 25 luglio: Bonardo Vincenzo di anni 60 vedovo (pensionato ex ferroviere). De Matteis Domenico di anni 43 coniugato con tre figli (falegname). Facchinetti  Marino di anni 35 celibe (capostazione). Guido Luciano di Berna di anni 33 coniugato con un figlio (operaio ferroviere). Roberi Natale di anni 60 coniugato con cinque figli (contadino). Bertino Pietro di anni 28 celibe (studente) . Massironi Guglielmo di anni 39 celibe. vittime correlate all'eccidio Roberi Natale di anni 61 coniugato con tre figli (contadino), ucciso la sera precedente; Roberi Vincenzo di anni 79, coniugato con due figli (contadino),oppresso dall'asma,muore colpito da una bomba a mano scagliata dalla finestra; Roberi Mario e Alfonso di anni 45 e 41 (contadini), sorpresi intorno alla salma del padre, vengono trascinati  attraverso l'aia nel vicino seccatoio, sono trucidati in presenza dei famigliari; Canavese Giuseppe di anni 35 coniugato con 4 figli (contadino), tornato al paese per vedere la famiglia , viene ucciso sul pianerottolo di casa; Bruno Giuseppe di anni 57 coniugato con 2 figli (contadino), dopo essere uscito dal fienile nel quale si era nascosto, viene sbeffeggiato e in seguito ucciso Roberi Benone di anni 52 (contadino), mentre tenta di trarre in salvo il bue, viene ucciso e il suo cadavere viene rinvenuto bruciato e irriconoscibile; Civalleri Paolo di anni 68 (padre del parroco), viene ucciso nel suo letto e in seguito bruciato, lasciando di lui solo pochi resti; Francesia Carlo di anni 41 (invalido), menomato di un braccio, pensa di essere risparmiato per la sua condizione, viene ucciso spietatamente.
Redazione, in memoria degli "Altri" dal 25 al 27-07-1944 Pievetta, VB Studio Fossano
 

Fonte: VB Studio Fossano cit. supra

Dal 25 al 29 luglio 1944 l’Alta Valle Tanaro, in provincia di Cuneo, fu oggetto di una serie di rastrellamenti da parte dell’occupante tedesco che cercava uomini da deportare in Germania come forza lavoro, sfruttando la presenza di fabbriche chimiche e meccaniche e di miniere con manodopera specializzata. In più voleva riaprire la fondamentale strada di collegamento tra Piemonte e Liguria e con una manovra a tenaglia eliminare le forze partigiane presenti.
I primi scontri a fuoco furono sul Colle San Bernardo a Garessio con i partigiani costretti a ripiegare. Con l’ingresso in città ci furono i primi morti (Piantino Dionigi freddato da un cecchino tedesco appostato sul Castello del Borgo, la tabacchina Aurelia Salvatico uccisa senza motivo davanti alla Lepetit e il cantoniere del Colle San Bernardo Luigi Giuseppe Correndo accusato di essere un partigiano).
Iniziarono così giorni di orrore anche a Nucetto, Bagnasco e Priola, che culminarono nell’eccidio di Pievetta del 25 luglio con la frazione incendiata e ben 17 vittime civili. I numeri sono impietosi: 30 fucilati, 430 ostaggi catturati, 122 partiti per la Germania di cui 54 fortunosamente riescono a fuggire durante il lungo viaggio. Saranno 68 i deportati nei campi di lavoro tedeschi, la grande maggioranza in quello di Kahla in Turingia nel complesso denominato Reimahg e di questi morirono in 17.
In due giorni (27-28 luglio) gli ex alleati cercarono in ogni casa di Garessio tutti gli uomini, ottenendo scarsi risultati; uno dei fuggitivi, il partigiano garibaldino Oreste Petacchi morì colpito da un cecchino vicino al fiume Tanaro.
L’ordine dato era perentorio: portare tutti nel salone dell’Albergo Miramonti, sede del comando tedesco ed ora rudere dopo un violento incendio. Così alle 7 del mattino del 28 luglio, due ufficiali della Gestapo entrarono nella Lepetit, storica fabbrica chimica di Garessio - il cui proprietario Roberto Lepetit era accusato di aiutare la Resistenza - dove iniziarono dei lunghi interrogatori. I dipendenti furono chiusi nel magazzino e solo gli ultracinquantenni furono liberati.
Cinque i condannati alla fucilazione, indicati come partigiani, nel cortile del Miramonti: Stefano Gazzano, Anselmo Battaglia, Domenico Salvatico, Giacomo Odello e il fortunato Giuseppe Campero che si salvò miracolosamente sotto la pioggia. Il mattino successivo, il 29 luglio, la partenza in treno verso la Germania: ai 44 garessini si unirono i 30 rastrellati delle frazioni di Piangranone e Mursecco e della vicina Priola, una quarantina di persone a Bagnasco e 12 di Nucetto.
Molti riuscirono a scappare dal treno e nei modi più diversi, a Savona furono costretti a firmare un foglio in bianco di lavoro, poi subirono il carcere di San Vittore a Milano, dove la signora Hilde Lepetit, moglie di Roberto, morto a Mauthausen nel maggio 1945, portò loro un prezioso pacco di indumenti e viveri che li aiutò durante l’internamento.
Al Brennero erano rimasti in 68, una decina di loro fu spedita nel bacino del Reno, gli altri a Kahla. Abbiamo raccolto le loro testimonianze dai libri di Renzo Amedeo, storico e partigiano, ex sindaco di Garessio, che aveva intervistato molti dei sopravvissuti e per il Giorno della Memoria 2020 sentito alcuni figli di deportati, come Giuseppe Canavero, Giovanni Chiotti e Elvio Marchetto. Nei loro ricordi quei tristi momenti in cui avevano detto addio ai loro padri e l’infinita gioia nel vederli tornare, magri, feriti nell’animo e malati, ma vivi.
I loro racconti erano terribili: turni di lavoro massacranti, la solidarietà tra compagni e tanta sofferenza. Freddo, fame, pidocchi ed anche una misteriosa malattia dopo un lauto pranzo. I lavoretti nelle famiglie tedesche nei paesini vicini al campo e qualche piccolo segnale di amicizia. Il 16 aprile la liberazione da parte degli Americani ed inizia un lento e difficile ritorno a casa durato anche mesi (alcuni addirittura a luglio o agosto). Molti di loro morirono di malattia in Germania o anche al ritorno in patria.
Diciassette i deportati del Reimahg scomparsi. I sei garessini: Adelmo Anfosso, lasciato nel campo di Kahla in stato di deperimento a soli 17 anni il 18 luglio morì nell’ospedale di Hummelshain; Luigi Cadenasso caduto da un’impalcatura non molto alta a 43 anni; Alfredo Giacomo Cristoforetti suo coetaneo deceduto a fine dicembre 1944 nell’infermeria dov’era ricoverato in gravissime condizioni; Germano Severino Fazio leva 1900 caduto sul lavoro ucciso dai suoi aguzzini a inizio dicembre; Antonio Reggio, 1901, trovato morto al mattino del 10 febbraio nella sua branda sfinito dalla sofferenza; e il cameriere Giovanni Rossella scomparso a 31 anni per via di un’infezione al piede nell’agosto ’45 nell’ospedale di Steintal.
Con loro due abitanti di Casario, frazione di Priola: Giulio Stellardo 42 anni e Angelo Alessandro Rosso, 43 anni morto al ritorno in Italia per via dei maltrattamenti subiti. Altri tre, nati a Garessio e rastrellati a Bagnasco, morirono a Kahla nei primi mesi del 1945: Giovanni Battista Giacomo Borgna 34 anni, Domenico Bozzolo di soli 19 anni e Giovanni Corrado 36 anni.
Della Valle Tanaro anche Luigi Ingaria, nativo di Massimino, 39 anni; i bagnaschesi Carlo Boffredo, classe 1900, morto nell’ospedale di Wilmer a fine aprile, ed Edmondo Mazza 44 anni caduto a maggio; nello stesso mese scomparve anche Carlo Parino di Nucetto, ugual sorte per Giuseppe Aschieri 40 anni e per il 19enne Giovanni Mattei.
Redazione, Garessio, Walpersberg Memorial

Esigenza primaria dei tedeschi era mantenere libere le comunicazioni tra Piemonte sud-occidentale e Liguria di Ponente, cioè la strada statale n° 28 della Valle Tanaro, ma anche la strada del colle S. Bernardo tra Garessio e Albenga. A questi obiettivi, si aggiunga un vero piano tedesco per il reperimento di mano d’opera da inviare in Germania che individua nella Valle Tanaro, industrializzata, le maestranze già addestrate. Tra il 25 e il 28 luglio irrompono in valle, risalendo da Ceva e da Albenga, la 34.Infanterie-Division con le Kampfgruppen Klingemann (I./Grenadier-Regiment 253) e Henning (Panzerjäger-Abteillung 34. I tedeschi selezionano i prigionieri fucilando e rinchiudendo gli altri nei vari paesi rastrellati, manifestando l’intenzione di sterminare e bruciare i villaggi. Il 26 luglio, infatti, le squadre incendiarie tedesche si mettono al lavoro per ridurre il villaggio di Pievetta (comune di Priola) ad un cumulo di macerie, saccheggiano e incendiano con i lanciafiamme (55 case incendiate, 500 persone dovranno vivere per 2 anni tra le macerie). Partita da Bagnasco una colonna tedesca risale la valle fino a Garessio, un’altra colonna giunta da Albenga scende direttamente su Garessio e in ogni paese si ripete la caccia all’uomo o il suo annientamento. Un gran numero di prigionieri viene realizzato tra gli operai dell’industria chimico-farmaceutica Lepetit e non solo. Dalla valle furono deportati complessivamente 243 uomini, ridottisi a 64 di cui 62 finirono a Kalha (in Turingia) ove ne morirono (a nostra conoscenza) 17. Per fortuna, durante le soste e il lungo tragitto ferroviario verso la Liguria e poi verso Milano e oltre, parecchi riuscirono a fuggire.
Elenco delle vittime decedute
1. Salvatico Aurelia. Nata Garessio (CN) 25/02/1898, residente Garessio, casalinga, uccisa Garessio 25/07/1944;.
2. Piantino Dionigi, nato Chiusa Pesio (CN) 05/07/1915, residente Garessio (CN), muratore, ucciso Garessio 25/07/1944, VI Divisione Autonoma, 13ª brigata “Val Tanaro”;
3. Correndo Luigi, nato Fossano (CN) 11/08/1897, residente Garessio (CN), cantoniere, ucciso Garessio 26/07/1944, VI Divisione Autonoma, 13ª brigata “Valle Tanaro”;
4. Battaglia Anselmo, nato Garessio (CN) 09/08/1909, residente Garessio, chimico, fucilato Garessio 28/07/1944, IV Divisione Autonoma, 13ª brigata “Valle Tanaro”;
5. Gazzano Ilario, di Celestino. Nato a Garessio (CN/I) il 11/03/1927. Ucciso il 28 luglio 1944.
6. Odello Giacomo, nato Garessio (CN) 15/01/1888, residente Garessio, macellaio, fucilato Garessio 28/07/1944, IV Divisione Autonoma, 13ª brigata “Valle Tanaro”;
7. Petacchi Oreste, nato Massa Carrara (MS) 23/09/1916, residente Garessio (CN), manovale, ucciso Garessio 28/07/1944, II Divisione Garibaldi Cascione, 1ª brigata “Belgrano”; partigiano
8. Salvatico Domenico, nato Garessio (CN) 23/03/1907, residente Garessio, operaio, fucilato Garessio 28/07/1944, IV Divisione Autonoma, 13ª brigata “Valle Tanaro”
Michele Calandri e Livio Berardo, Garessio, 25-28.07.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

Un esame più dettagliato del materiale processuale «provvisoriamente archiviato» dalla Procura generale militare può essere condotto attraverso lo studio a campione di quattro fascicoli rappresentativi della gran massa della documentazione occultata, relativi ad aree geografiche eterogenee e a fasi differenti della campagna militare: gli incartamenti intestati rispettivamente al maggiore Alfred Grundmann (fascicolo numero 1191 del ruolo generale), al capitano Richard Henning (n. 192), al tenente colonnello Karl Ortlieb (n. 657) e al sottufficiale Fritz Wunderle (n. 1954).
L’ultima settimana del luglio 1944 due reparti della divisione Brandenburg effettuarono una manovra a tenaglia nell’alta valle Tanaro, in provincia di Cuneo, per distruggere le formazioni partigiane autonome e garibaldine che minacciavano la sicurezza della strada statale n. 28. Secondo i piani concepiti dalla Geheime Feldpolizei 751 di stanza a Savona, la 13a compagnia Panzerjàger al comando del capitano Josef Tochtrop sarebbe scesa su Garessio dal Colle San Bernardo, mentre la 6' compagnia, guidata dal capitano Richard Henning, avrebbe inve­stito la cittadina dalla parte meridionale della vallata.’ Il 25 luglio 1944 questo secondo reparto, proveniente da Ceva, travolse le linee partigiane nei pressi della frazione Pievetta (comune di Priola), rastrellò casa per casa l’abitato e si macchiò di violenze efferate:
Uccisione di un vecchio di 80 anni da parte di un soldato tedesco.
Uccisione di un uomo di 61 anni e ferimento di un altro di 50 anni da parte di un ufficiale.
Ferimento di un uomo di 65 anni.
Uccisione di 9 uomini tra i 28 e i 65.
Uccisione di altri 2 uomini, uno di 45 e l’altro di 41, mentre si trovavano presso la salma del padre, poco prima ucciso dai tedeschi.
Uccisione e distruzione del cadavere di un uomo di 52 anni, sorpreso dai tedeschi mentre cercava di mettere in salvo le sue bestie.
Uccisione di un uomo di 36 anni, in presenza della moglie, mentre cer­cava di accompagnarla in un luogo sicuro.
Uccisione di un uomo di anni 57.
Uccisione di un uomo di anni 41, per giunta mutilato a un braccio.
Uccisione di un uomo di anni 46, trasportato in Bagnasco e poscia impiccato al balcone soprastante la porta d’ingresso alla farmacia di quel comune.
Inoltre due donne vennero violentate.
Le 19 uccisioni si accompagnarono a distruzioni e a ruberie di ogni genere, il paese fu dato alle fiamme (bruciarono 55 case su 80) e ai civili fu intimato di non spegnere l’incendio, a meno di incorrere nella più dura repressione.
I tedeschi mediante fosforo ed altre sostanze infiammabili incendiarono l’abitato, dopo averlo suddiviso in tre zone e vietarono ogni tentativo di spegnimento del fuoco.
Furono così distrutte moltissime case, tra cui quella parrocchiale, ed altre furono gravemente danneggiate, nonché mobili e masserizie. Infine i tedeschi saccheggiarono le abitazioni, rimaste incustodite, asportandovi tutti gli oggetti di maggior valore ed anche vini e liquori, con i quali si ubriacarono. Considerando tutto il paese preda di guerra, i tedeschi s’impossessarono anche di macchinario, di viveri e di capi di bestiame.
Ai rastrellamenti seguì una massiccia deportazione di forza-lavo­ro in Germania: circa quattrocento civili dell’alta valle Tanaro furono catturati e inviati nel Reich.
Il 10 maggio 1945 il comune di Priola e l’ANPI di Cuneo denunziarono al ministero della Guerra l’incendio e il massacro di Pievetta, «onde giustizia sia resa a questa popolazione». Le prime testimonianze furono raccolte dalla Commissione alleata d’indagine. L’incartamento predisposto nel 1945-46 per la Commissione delle Nazioni Unite per i delitti di guerra rimarcò la responsabilità di Henning, «tanto più che egli, quale comandante della colonna, dette ai suoi dipendenti l’ordine di essere "spietati" nei riguardi della popolazione civile della borgata Pievetta». Le imputazioni a carico del capitano concernevano la violazione degli articoli 185, 187 e 187 del Codice penale militare di guerra: violenza con omicidio contro privati nemici, saccheggio, incendio, distruzioni e gravi danneggia­menti; il caso ricadeva nella disciplina prevista dall’articolo 6 dello statuto del Tribunale militare internazionale sui crimini di guerra. [...]
Redazione, Le Stragi nascoste - Cuneo, Resistenza, 27 ottobre 2017

venerdì 20 agosto 2021

Un treno tedesco fermo per 10 ore nella galleria di Capo Mele

Fonte: Mapio.net

22 maggio 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al Capo della Missione Alleata [capitano Robert Bentley] - Relazione sulle azioni effettuate dalla VI^ Divisione "Silvio Bonfante" nel mese di aprile 1945: "Il 1° aprile al comando di "Tamara" una squadra del Distaccamento "Igino Rainis" [del Battaglione "Ugo Calderoni" della II^ Brigata "Nino Berio"] uccideva in un'imboscata 4 soldati tedeschi a Garessio; il giorno 4 "Cimitero" [Bruno Schivo, capo di una squadra del Distaccamento "Filippo Airaldi" del Battaglione "Ugo Calderoni" della II^ Brigata "Nino Berio"] ed i suoi uomini avevano attaccato dei tedeschi a Borghetto d'Arroscia, facendo 4 morti e 6 feriti; il giorno 7 il Distaccamento "Giovanni Garbagnati" [comandato da Stalin, Franco Bianchi] della I^ Brigata "Silvano Belgrano" catturava ed uccideva 2 soldati della RSI ed una SS tedesca; il giorno 10 tre garibaldini dell'Intendenza, cercando di recuperare delle armi, uccidevano un maresciallo nemico; il giorno 11 il Distaccamento "Giovanni Garbagnati" uccideva a Villa Faraldi (IM) in un agguato 6 tedeschi..."
da documento IsrecIm  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

Il giorno 3 [aprile 1945], altri partigiani del Distaccamento "Brando C." colpiscono sulla 28 un autocarro nemico che sbanda, mentre nei pressi di Barchi altri partigiani del "Rainis" ne mitragliano un altro ancora sulla stessa strada. Il 4 una squadra del "Rainis" prepara un'imboscata nei pressi di Martinetto (Albenganese), Giorgio Alpron (Cis), capo di S.M. della I Brigata, coadiuvato da alcuni compagni, mina gli scambi ferroviari ad Andora: viene applicato dell'esplosivo (dieci cilindri di plastico) sul triangolo degli scambi di levante. Con lo scoppio saltano per aria il triangolo e le rotaie del binario principale, rimangono pure inutilizzabili il secondo e il terzo binario per dieci ore. Un treno carico di esplosivo, scatolame, paglia e Tedeschi di scorta, rimane bloccato per un giorno nella galleria di Capo Mele. Per l'uccisione della G.N.R. Paulli, il commissario prefettizio di Albenga, A. Rolandi Ricci fa affiggere un manifesto il quale rende noto che nel territorio della frazione di Leca è dichiarato il coprifuoco dalle ore 18 alle 6. Se accadessero altri fatti del genere, il centro abitato sarebbe stato spianato dalle artiglierie tedesche.
Il giorno 6 una squadra di dieci uomini del Distaccamento "Castellari" affronta una corriera con civili e soldati tedeschi a bordo, nei pressi di Cerisola. All'autista viene intimato di fermarsi ma lui non eseguisce l'ordine, allora con una raffica nelle gomme delle ruote la macchina rimane paralizzata.
Avviene una sparatoria durante la quale muoiono il maresciallo che era accanto all'autista e tre soldati, alcuni rimangono feriti. I partigiani non subiscono perdite e ricuperano un Mauser, una pistola, alcuni caricatori di mitra e due fucili. Intanto giungono al Comando della I Brigata quattro militi postelegrafonici provenienti da Porto Maurizio: Ivo Panzani, Enzo Pignatti, Paride Bertoni e Francesco Idda; si arrendono allo stesso Comando, fornendo preziose notizie riguardanti i piani del nemico.
Il SIM partigiano informa che nell'eventualità di una ritirata i Tedeschi, intendendo avere le spalle al sicuro, compierebbero un duro rastrellamento al fine di distruggere tutte le formazioni della Resistenza, andandole a scovare nei rifugi ed in tutti i casolari della Valle Arroscia.
Il giorno 7 la squadra "Tamara" del Distaccamento "Rainis" attua un'imboscata contro soldati tedeschi sulla statale 29, i quali lasciano sul terreno un morto ed un ferito. Nel contempo una squadra del Distaccamento "Garbagnati", nei pressi di Diano Marina cattura due soldati repubblichini ed un soldato tedesco delle SS, altri partigiani, dello stesso Distaccamento, in Val Merula prelevano due soldati della Divisione "San Marco" muniti di pistola, i quali mentre vengono condotti al Comando partigiano, rimangono uccisi a causa di un loro tentativo di fuga.
Lo stesso giorno è catturato un soldato tedesco che tenta la resistenza, ma viene ugualmente passato per le armi. Nei pressi di Casanova, partigiani del Distaccamento "De Marchi" si scontrano con una pattuglia tedesca, dopo lo scontro a fuoco non si riesce ad accertare le perdite nemiche che sono certe.
All'alba del giorno 8 in seguito al persistere dell'allarme navale, il Comando tedesco emana l'ordine di blocco della strada Albenga Ormea Garessio e Imperia Taggia Triora, inoltre ordina ai genieri di procedere al minamento dei ponti, delle opere e di alcuni tratti della statale 28. Nella serata del giorno stesso, nei pressi di Vessalico in Valle Arroscia, partigiani del Distaccamento "Amato" sparano contro una compagnia di una trentina di Tedeschi i quali lasciano sul terreno due morti e tre feriti.
Il giorno successivo una squadra partigiana comandata da "Spezza" del Distaccamento "Brando C.", in azione sulla strada 29, raffica con armi automatiche una pattuglia tedesca, causandole tre morti e  due feriti. Un'altra squadra comandata da "Folgore", del Distaccamento "Rainis", lancia bombe a mano contro un autocarro nemico, il quale si capovolge, non accertate le perdite. Il nemico continua a rinforzare i presidi lungo le strade statali delle Valli Arroscia e Impero.  
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 266-268

4 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata al capo di Stato Maggiore della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Venivano comunicati i nomi degli uomini del comando di Brigata: comandante "Mancen" [Massimo Gismondi], commissario "Federico" [Federico Sibilla], capo di Stato Maggiore "Cis" [Giorgio Alpron], responsabile SIM "Archimede" [Archimede Frattini], staffette "Simone" e "Picenen".
4 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Venivano segnalati alcuni dati concernenti il Distaccamento "Marco Agnese": 19 garibaldini, 22 armi, 8 bombe a mano.
5 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 310, al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" - Emanate disposizioni per un nuovo lancio e per la condivisione, con la II^ Brigata "Nino Berio", del materiale ricevuto.
5 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 311, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Segnalato l'elenco del materiale ricevuto con il lancio alleato del 18 marzo: 1 mitragliatrice Breda, 9 Sten, 2 Bren e 23 sacchetti di plastico.
6 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava l'elenco del materiale ricevuto con il 3° lancio alleato, avvenuto [a Pian Rosso] nella stessa data, materiale in cui figuravano soprattutto 18 Sten con 8000 munizioni, 2 lanciagranate con 28 munizioni, diversi capi d'abbigliamento.
6 aprile 1945 - Da "Giglio" alla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che persistevano i posti di blocco nemici, già descritti in precedente dispaccio; che per i tedeschi si dimostrava vitale la strada 28, che probabilmente sarebbe loro servita per la ritirata in Piemonte, perché ne stavano intensificando la sorveglianza sino a pattugliare ogni ponte; che i tedeschi avevano infiltrato tra la popolazione diversi soldati che parlano bene italiano; che l'informatrice [partigiana] "Ilda" [Gilda Piana] era stata rilasciata dai tedeschi con l'obbligo di presentarsi al comando ogni sera ed ogni mattina; che il comando tedesco di Pieve di Teco era a conoscenza della presenza di 300 garibaldini ad Alto; che la squadra di "Franco" [Giovanni Trucco] era stata avvisata del pericolo incombente [n.d.r.: riferimento all'eccidio di Trovasta del 28 marzo 1945]; che la sottovalutazione del monito ricevuto era costata la vita a quei partigiani; che la signorina Angiolina [Angela Bertone, ex fidanzata di "Franco", Giovanni Trucco] si trova a Pornassio, trattata bene dai tedeschi.
6 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" - Disponeva di incaricare "Quan" di recarsi a studiare la situazione della centrale elettrica di Oneglia ad Imperia perché sarebbe occorso, con la forza o con l'astuzia, tentare di impedire ai tedeschi di fare brillare l'impianto e per lo svolgimento di tale operazione di salvataggio di operare con le SAP.
6 aprile 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Cis", Giorgio Alpron] della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della VI^ Divisione - Comunicava che con l'azione di sabotaggio condotta negli ultimi giorni di marzo alla stazione di Andora (SV) erano stati resi inutilizzabili i 3 binari - ed il terzo era ancora impraticabile -, tanto che un treno che trasportava soldati tedeschi, esplosivi, scatolame e paglia era rimasto fermo 10 ore nella galleria di Capo Mele.
6 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" - Disponeva che il Distaccamento "Giuseppe Maccanò" passasse alle dipendenze del comandante "Fra Diavolo" e che, di conseguenza, il comandante "Libero" fosse a disposizione del comando del Distaccamento "Mario Longhi".
6 aprile 1945 - Da "Nemo" [Aldo Galvagno], relazione n° 7, alla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che il 5 aprile a Pontedassio erano transitati 10 bersaglieri e 25 tedeschi; che a Pontedassio si trovavano in tutto 60 soldati nemici, di cui 10 fascisti addetti al controllo dell'olio; che nella notte erano transitate 23 automobili che a causa della scarsità di carburante venivano trainate la singola autovettura dalla precedente.
7 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 358, ai comandi della I^ Brigata "Silvano Belgrano", della II^ Brigata "Nino Berio" e della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" - Disponeva che i comandi in indirizzo inviassero con sollecitudine le relazioni sulle ultime azioni effettuate, indicando le perdite proprie e del nemico, il bottino di guerra, il numero dei prigionieri fatti; che venissero attivate con mezzi di fortuna le linee telefoniche per mantenere i collegamenti con il comando della Divisione; che tutto il materiale bellico, e quello ricevuto con i lanci alleati, doveva essere catalogato e nascosto, se non utilizzato, in luogo sicuro.
7 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" ai comandi del Distaccamento "Franco Piacentini" e del Distaccamento "Angiolino Viani" - Avvertiva che erano da poco transitati da San Damiano, diretti a Testico, 20 tedeschi, per cui occorreva aumentare la sorveglianza.
8 aprile 1945 - Dalla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 128, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della VI^ Divisione - Comunicava il miglioramento recente del SIM e che "Giglio" e "Violetta" erano due elementi "su cui si può fare affidamento".
8 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" alla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione - Comunicava che ad Andora (SV) erano arrivati 5 individui che risultavano essere spie e che da Capo Mele ad Albenga vi erano 120 nemici, di cui 30 in convalescenza. Aggiungeva le parole d'ordine del nemico in vigore dal 1° al 16 aprile.
8 aprile 1945 - Da "K 20", prot. n° 11, alla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che l'allarme antisbarco iniziato il 2 aprile permaneva tra i tedeschi; che i soldati tedeschi erano in stato di panico; che i comandanti tedeschi stavano "reagendo irrigidendo la disciplina"; che lungo la via Aurelia transitavano verso Albenga alcuni camion ciascuno con 3 o 4 tedeschi a bordo; che risultava che le 3 compagnie di Brigate Nere della provincia di Imperia avrebbero ripiegato per ultime "proteggendo come retroguardia l'azione dei guastatori".
8 aprile 1945 - Da "K 20", prot. n° 12, alla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che in località Madonna della Rovere [oggi comune di San Bartolomeo al Mare (IM)] a Cervo-San Bartolomeo il comando tedesco aveva piazzato 3 cannoni dei quali 2 erano in legno; che tra i tedeschi l'allarme permaneva per cui rimanevano nelle loro postazioni con le armi piazzate e con "il servizio di guardia rinforzato"; che a Diano Marina sul ponte San Pietro era quasi ultimato il lavoro di sbarramento anticarro, le cui caratteristiche avrebbe cercato di comunicare al più presto. Aggiungeva informazioni sulle abitudini del capitano Corticelli.
8 aprile 1945 - Da "Nemo" [Aldo Galvagno] alla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che nella valle Impero la situazione era abbastanza calma, tranne che il frequente passaggio in direzione del Piemonte di automobili e camion.
8 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata - Comunicava di essere quasi del tutto a posto con le divise; che era necessario "un permesso scritto per vendere la mula"; che 5 individui provenienti da Oneglia avevano chiesto informazioni sul Distaccamento; che la forze del Distaccamento era di 26 uomini; che solo il commissario "Alessio" era disponibile ad ricoprire cariche pubbliche "all'atto della discesa sulla costa".
8 aprile 1945 - Da "Dario" [Ottavio Cepollini] alla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che stava indagando sul parroco di Pogli [Frazione di Ortovero (SV)] e sul podestà di Vendone (SV); che "Pipetta" era già stato nascosto dai tedeschi; che il 7 aprile i nazisti avevano requisito animali da traino per il trasporto di materiale bellico dai fortini alla stazione di Albenga; che si erano presi accordi con 7 militari della GNR di Albenga per il loro passaggio alle formazioni partigiane di montagna a condizione di portare 1 mitragliatore, 2 mitra, 4 fucili ed una cassa di munizioni; che, siccome si era presentato un giornalista per scrivere un diario sulla storia della Divisione, era necessario che "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] recapitasse la relativa documentazione; che era stato realizzato il soccorso alle famiglie dei patrioti caduti a Trovasta.
9 aprile 1945 - Dal comando del Distaccamento "Elio Castellari" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata - Inviava una dichiarazione della signora Giulia Capetti, in cui la donna sosteneva di essere stata rimessa in libertà dalla gendarmeria tedesca di Albenga alla condizione di fare arrestare il garibaldino "Cimitero" [Bruno Schivo] e di avere detto al marito, lasciato nelle mani dei tedeschi, di arrangiarsi.
9 aprile 1945 - Dai "servizi ausiliari" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" insediati a Caprauna al comando della VI^ Divisione - Comunicavano che l'8 aprile avevano proceduto all'elezione del commissario nella persona di "Mauro" alla presenza di "Spezza", vice di "Basco".
9 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" ai comandi di tutti i Distaccamenti - Segnalava nomi e descrizioni fisiche di 5 spie nemiche entrate di recente nella zona presidiata dalla Divisione.
9 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al CLN di Imperia - Chiedeva di indagare su 4 militari della P.T. di Porto Maurizio, 3 nativi di Modena, 1 di Marsiglia, che si erano presentati al comando della Brigata.
10 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della VI^ Divisione - Comunicava che il 7 aprile una squadra del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" aveva ucciso 2 soldati della San Marco che, una volta catturati avevano tentato la fuga e che era stato passato per le armi un tedesco appartenente alle SS, riconosciuto come tale da un suo connazionale in forza al mentovato Distaccamento.
10 aprile 1945 - Da "Nemo" [Aldo Galvagno] alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che il presidio tedesco di Sarola si era diretto verso il Piemonte; che continuava "il lento deflusso tedesco lungo la strada 28 in direzione nord"; che a Chiusavecchia permanevano 30 soldati tedeschi, a Chiusanico 60, a Cesio 40, tra Villa Viani e Villa Guardia 140; che a Pontedassio 15 soldati tedeschi erano addetti all'ammasso dell'olio.
10 aprile 1945 - Da "K 20", prot. n°13, alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che continuava l'allarme dei tedeschi per un possibile sbarco alleato; che, tuttavia, rispetto al periodo dal 2 al 5 aprile, i tedeschi non erano più tutti nei "camminamenti e nelle postazioni"; che a Diano Marina "nella discesa del ponte San Pietro" era quasi ultimato il lavoro nemico di sbarramento anticarro, riguardante 6 "buche, ciascuna con 2 tronchi di binario che occupano i 3/5 della larghezza della strada; i binari sporgono inclinati per 90 cm; nella parte della strada ancora transitabile ci sono 4 buche riempite con un getto di cemento che ha un foro quadrato nel centro".
10 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando del Distaccamento "Angiolino Viani" - Stabiliva l'assunzione del nuovo garibaldino "Americano" presso il Distaccamento in indirizzo.
10 aprile 1945 - Dalla Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] del Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Segnalava che a Capo Berta era stata piazzata una batteria antisbarco protetta dal filo spinato; che lungo l'argine destro del torrente Impero e in Castelvecchio ad Imperia erano in fase di preparazione alcuni sbarramenti fatti con pezzi di rotaie; che il giorno 7 era partita dalla Cava Rossa, diretta a nord, una colonna tedesca di 40 soldati, 8 carri grandi, 8 carri piccoli.
da documenti IsrecIm  in Rocco Fava, Op. cit.

martedì 10 agosto 2021

I partigiani passano più al sicuro dove lo si crede meno possibile

Caprauna (CN) - Fonte: Mapio.net

24 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 240 bis, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava che, appena ricevuto il secondo lancio alleato, aveva intenzione di reintegrare i Distaccamenti dei loro organici; che la zona destinata al secondo lancio aveva subito il 22 marzo un rastrellamento nemico; che erano state prese le misure "per fare fronte a diversi lanci ripetuti" nonostante le perplessità già espresse circa i "rischi legati ad azioni troppo ravvicinate"; che le radio richieste sarebbero state inviate al più presto.
24 marzo 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Informava che il Distaccamento "Igino Rainis" era stato avvertito dalla popolazione di Caprauna (CN) circa la presenza di un paracadute ad oltre 2.000 metri dal campo di lancio e che il paracadute recuperato aveva recato munizioni e divise.
26 marzo 1945 - Dal Comando Operativo [comandante "Curto", Nino Siccardi] della I^ Zona Liguria al comando [comandante "Giorgio", Giorgio Olivero] della Divisione "Silvio  Bonfante" - Comunicava che per ordine del Comando Militare Unificato Regionale [CMURL] la Divisione veniva rinominata "VI^ Divisione d'assalto Garibaldi Silvio Bonfante" e chiedeva notizie sull'imminente riunione tra CLN e garibaldini.
28 marzo 1945 - Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - In considerazione del fatto che il campo di lancio scelto per la II^ Divisione offriva maggiori possibilità di ricezione per un grande lancio diurno, si reputava positivamente il fatto di trasferire per il momento parte della Divisione nella zona di lancio di Pian Rosso, mentre l'altra componente avrebbe dovuto attendere il lancio notturno già programmato [a Pian dell'Armetta nella zona di Caprauna (CN)]. Direttiva di effettuare sollecitamente il richiamato trasferimento, attesa l'imminenza del lancio.
31 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della VI^ Divisione, prot. n° 19, al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Veniva comunicato che i preparativi per il primo lancio erano stati ottimi.
4 aprile 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 23, al comando della VI^ Divisione - Comunicava le modalità del secondo riuscito lancio alleato del 2 aprile 1945 a Caprauna: "alle ore 14.30 sento il messaggio. Parto in tromba, vado a Leverone e Aquila, salgo in Alto (CN) e metto tutti in moto visto che nessuno sa nulla. Passo da Fernandel [Mario Gennari, comandante della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della VI^ Divisione], metto i suoi uomini in postazione a Passo San Giacomo, mentre dalle altre parti metto borghesi in guardia. Libero lo tengo sul campo. Meazza non viene: la staffetta borghese non l'ha avvistato. Alle 21.00 accendo i fuochi; alle 21.45, dopo essere passati 5 aereoplani, arriva il nostro. Ci fa il medesimo segnale Morse che facciamo noi, poi comincia la pioggia. Un solo apparecchio. Abbiamo tanta nebbia, però tutto procede bene. Ad un tratto danno l'allarme: hanno visto una luce. Faccio montare i bren, caricare i caricatori, idem per gli sten. I muli arrivano: sono immediatmanete caricati e spediti a Fernandel. Alle 24.00 avevamo sgomberato il campo... L'operazione é finita. Tutto ha funzionato bene... improvvisa faceva scattare l'allarme tra i partigiani. Avevo dato l'ordine di caricare in fretta i muli con gli Sten ed i Bren e le relative munizioni. Alle ore 24 il campo era completamente sgombero". Ramon concludeva chiedendo, data la penuria di armi e di munizioni, chiarimenti circa prossimi lanci. Allegava un elenco di materiale ricevuto, dove figuravano 13 mine, 200 bombe a mano, 4 Bren, 8 Sten, 19 bombe incendiarie, 17 detonatori e molte munizioni.
5 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione, prot. n° 310, al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" - Emanate disposizioni per un nuovo lancio e per la condivisione, con la II^ Brigata "Nino Berio", del materiale ricevuto.
5 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione, prot. n° 311, al Comando della I^ Zona Operativa Liguria - Segnalato l'elenco del materiale ricevuto con un lancio alleato del 18 marzo: 1 mitragliatrice Breda, 9 Sten, 2 Bren e 23 sacchetti di plastico.
da documenti IsrecIm  in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Monte Armetta - Fonte: Mapio.net

Dopo aver ricevuto due lanci aerei nella zona di Caprauna, che erano serviti a rifornire discretamente di munizioni per le armi automatiche individuali, in particolare di Sten Gun, e per i fucili delle formazioni, si dovettero evitare altri lanci nella stessa zona per la critica posizione del campo, e a causa del fatto che ad ogni lancio seguiva un attacco nemico con grave rischio per il materiale. In considerazione di ciò il Comando Operativo aveva ordinato alle due Divisioni, "Bonfante" e "Cascione", di radunarsi nella zona di Viozene. Per motivi di ordine operativo la "Bonfante" si portò nella zona con la I Brigata e mezza della II. Si sarebbero dovuti ricevere lanci in grande stile, invece, come è già stato fatto notare, i lanci furono di piccole proporzioni. Alla "Bonfante" furono destinati dieci mitragliatori Brent, una quindicina di Sten, quaranta fucili, alcune migliaia di colpi per armi automatiche, parecchi capi di vestiario. Prolungandosi il periodo di permanenza a Viozene, fu deciso alla fine di ritornare in Zona Operazioni, perché non ne valeva la pena per quanto si poteva ricevere dal cielo. Il ritorno non fu privo di rischi, poiché oltre trecento uomini con parecchi muli carichi di materiale dovettero attraversare la Statale 28 sotto Ormea, strada oramai strettamente sorvegliata. Nel viaggio verso Viozene si era attraversata la strada a Cantarana, ma i Tedeschi se ne erano accorti per cui ivi avevano messo una postazione con mitragliatrice quadrinata, pensando di impedire il ritorno agli uomini della "Bonfante". Anche questa volta i Tedeschi avevano dimenticato che i partigiani passano più al sicuro dove lo si crede meno possibile. Infatti dopo una estenuante marcia di sedici ore, uomini e materiale, munizioni e strumenti di sabotaggio ad  esplosivo, tutti i Distaccamenti furono rinviati alle loro basi con l'ordine di preparare l'attacco generale, intensificando le azioni contro il nemico. È quello che iniziarono a fare con ritmo intensissimo tutti i Distaccamenti, secondo i piani prestabiliti. Ma prima di descrivere l'offensiva finale della Divisione, riteniamo strategicamente importante riportare lo schema della dislocazione delle sue formazioni al primo aprile 1945:
Comando della Divisione Comando   Poggio Bottaro
Comando I Brigata "S. Belgrano"    Valle Merula (Andora)
Distaccamento "A.Viani"                Valle Merula
Distaccamento "F. Agnese"           Valle Steria (Cervo)
Distaccamento "G. Garbagnati"     Valle Steria (Cervo)
Distaccamento "F. Piacentini"      Valle Merula (Cervo)
Distaccamento "M. Agnese"         San Damiano (Andora)
Comando II Brigata "N. Berio"     Valle Arroscia
Distaccamento "F. Airaldi"          Valle Arroscia
Distaccamento "A. Amato"          Valle Arroscia
Distaccamento "G. Bortolotto"     Valle Pennavaira
Distaccamento "C. Brando"         Valle Pennavaira
Distaccamento  "I. Rainis"           Valle Pennavaira
Comando III Brigata "E. Bacigalupo"  Valle Pennavaira
Distaccamento "G. Catter"          Valle Pennavaira
Distaccamento "B. De Marchi"     Valle Pennavaira
Distaccamento "E. Castellari"      Valle Arroscia
Comando IV Brigata "D. Arnera"   Alta Val Tanaro  [n.d.r.: secondo altre fonti, questa Divisione ai primi di aprile 1945 veniva ancora indicata genericamente come "Val Tanaro"]
Distaccamento "M. Longhi"        Alta Val Tanaro
Distaccamento "G. Maccanò"       Alta Val Tanaro
Distaccamento "G. Carrara"       Alta Val Tanaro
Distaccamento "I. Ghirardi"       Alta Val Tanaro
Distaccamento "L. Fiorenza"      Alta Val Tanaro
Per le gravi perdite subite nel mese di marzo, il Distaccamento "M. Agnese", già comandato da Giovanni Trucco (Franco) caduto, viene sciolto e gli uomini superstiti sono distribuiti nei Distaccamenti della III Brigata. Il nuovo Distaccamento "S. Belgrano" della I Brigata assume il nome del caduto "M. Agnese". Vengono costituiti con vecchi e nuovi combattenti i Distaccamenti "A. Amato" della II Brigata, "G. Berio" e "L. Fiorenza" della IV Brigata "D. Arnera" [si veda precedente nota del redattore].
Il morale degli uomini è elevatissimo.
Il servizio informazioni partigiano (SIM) segnala che il nemico ha rinforzato le guarnigioni di Diano Marina, di Cervo, di San Bartolomeo e di Andora. Tutti i militari sono consegnati e rimangono nelle trincee da loro costruite quasi tutto il giorno. Il tempo è molto migliorato per cui si creano le condizioni per sviluppare con meno difficoltà le azioni contro il nemico, in particolare sulle strade costiere e sulla Statale n. 28 (Imperia, Pieve di Teco, Garessio). Cerchiamo ora di descrivere l'offensiva partigiana, che pensiamo rappresenti nel suo insieme l'ultima serie di attacchi contro il nemico, prima della Liberazione. Ma ciò non è stato facile e molte perdite dovranno ancora subire i civili  e i partigiani.
Mentre per cause sconosciute, il primo aprile 1945, a Pornassio i Tedeschi uccidono il civile Giacomo Frumento, e sarà l'inizio di un lungo stillicidio, il giorno stesso una squadra del Distaccamento "Brando C." attacca un pattuglione tedesco sulla Statale 28, quest'ultimo lascia sul terreno un morto e due feriti; all'alba, nei pressi di Garessio, altri partigiani, del Distaccamemto "I. Rainis" si scontrano con una pattuglia tedesca la quale perde quattro uomini; dello stesso Distaccamento, il giorno successivo a Calderara, con bombe al plastico, alcuni partigiani fanno saltare un carro tedesco trainato da cavalli.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 264-266

Contributo notevole alla ripresa avrebbe apportato un secondo lancio atteso da settimane e che supponevamo importante. Se poi, come si diceva, parecchi lanci si fossero susseguiti ogni notte, ed uno forse era già avvenuto ai primi di aprile, in breve l'armamento sarebbe stato formidabile e ciò avrebbe semplificato molti problemi.
Dove sarebbe avvenuto il lancio più grosso? A Caprauna? Era probabile, chè non c'erano altre zone sotto il nostro controllo che si prestassero per tale operazione; pure, dopo l'inutile attesa della terza decade di marzo, si andava diffondendo la voce che il Comando avrebbe provveduto altrimenti.
Ai primi di aprile il Comando divisione riunì quasi metà degli effettivi della Bonfante: una squadra per ogni banda della I Brigata e partì per ignota destinazione: aveva così inizio l'operazione L2.
Opinione comune a sud della Val d'Arroscia era che il secondo lancio sarebbe sceso ancora in Val Pennavaira perché le colonne di muli erano partite verso Nord.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, p. 229
 
Il mese di aprile 1945 si aprì per i tedeschi con un  prolungato allarme per il da tempo temuto sbarco nemico, dato che sul litorale erano stati avvistati diveersi natanti alleati.
I comandi nazisti irrigidirono la disciplina, consegnarono le truppe in caserma, addirittura nelle zone di Diano, Cervo ed Andora fecero dormire gli uomini nelle gallerie usate anche come depositi di munizioni. Fecero continuare i lavori di fortificazione dei presidi e ne fecero iniziare di nuovi, come per il posto di vedetta sul torrente Impero ad Imperia o per lo sbarramento anticarro sul ponte San Pietro a Diano Marina.
In caso di sbarco ostile le forze germaniche avrebbero abbandonato la costa per dirigersi su Ormea (CN) e poi nelle Langhe dove, easurita l'ultima resistenza, si sarebbero arrese agli alleati.
Dal 1° aprile e nei giorni successivi dai presidi di Cervo e di Pontedassio drappelli di soldati tedeschi incominciarono a dirigersi verso il Piemonte lungo la strada n° 28, dopo avere tagliato la linea telefonica, e smontato e poi caricato su mezzi ippotrainati centraline telefoniche e batterie antiaeree.
Il 1° aprile al comando di "Tamara" una squadra del Distaccamento "Igino Rainis" del Battaglione "Ugo Calderoni" della II^ Brigata "Nino Berio" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" uccideva in un'imboscata 4 soldati tedeschi a Garessio (CN)
Rocco Fava, Op. cit. - Tomo I

Andora (SV) - Fonte: Mapio.net

1 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 123, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della VI^ Divisione - Segnalava, rispetto al corso, di cui aveva già fatto cenno in un precedente rapporto, per la preparazione delle spie, istituto dalla Gestapo, che il medesimo era iniziato a metà marzo 1945, diretto dal capitano Maranzano; che partecipavano al corso Antonio Bracco, Gennaro Iacobone e Marchetti; che gli idonei al corso si sarebbero, poi, dovuti infiltrare nell'esercito alleato e prendere collegamenti con i tedeschi già insinuatisi in quelle file. Comunicava, inoltre, che la strada n° 28 era nelle mani dei tedeschi fino ai Ponti di Nava; che ad Aquetico i tedeschi avevano adibito molti uomini a lavori di trinceramento e di costruzione di fosse anticarro, che ad Andora (SV) l'Orstkommandatur aveva ceduto il posto a 30 repubblichini.
1 aprile 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 123 bis, al comando della VI^ Divisione ed al CLN di Alassio (SV) - Segnalava che il comando del Fascio Repubblicano era in possesso di un elenco di partigiani, consegnato dal maresciallo Gargano alle autorità repubblichine di P.S. e poi al Fascio e forniva i 29 nomi dei mentovati partigiani perché il CLN potesse avvertirli.
1 aprile 1945 - Da "Livio" [Ugo Vitali] responsabile S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della VI^ Divisione - Riferiva che ad Andora (SV) erano giunti 5 uomini, di cui forniva descrizioni fisiche e nomi, con il compito di indagare sui patrioti; trasmetteva le parole d'ordine del nemico valide per tutta la Liguria dal 1° al 16 aprile; comunicava i nomi di 3 soldati ricercati dai repubblichini in quanto disertori; avvertiva che due individui, appartenenti alle Brigate Nere e che parlavano bene francese, inglese e tedesco, erano partiti per la montagna con lo scopo di infiltrarsi tra i partigiani.
2 aprile 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della II^ Brigata "Nino Berio" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della VI^ Divisione - Nella relazione si affermava che nella notte precedente i soldati tedeschi avevano interrotto la strada in Località Fontana Calda tra Martinetto e Castelbianco (SV)...
3 aprile 1945 - Dalla Sezione S.I.M. della VI^ Divisione, prot. n° 126, al comando della VI^ Divisione - Si segnalava l'individuazione della spia Rina Boero a Gazzo [Frazione di Erli (SV)].
Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II

sabato 31 luglio 2021

Cercammo di raggiungere la formazione partigiana garibaldina che operava in Liguria

Uno dei Forti di Nava, Pornassio (IM)
 
Dopo aver partecipato alle campagne di guerra 1940-1945 (Francia-Albania-Grecia-Jugoslavia) eccomi a raccontare la parte ben più tragica dopo l'8 settembre 1943.
Mentre mi trovavo in licenza illimitata a casa, a Briga, vengo catturato da una pattuglia di SS tedesche arrivata all'improvviso verso mezzogiorno.
Mi viene dato appena il tempo di rimettermi la divisa militare e vengo fatto salire sul gippone con altri paesani catturati come me, con destinazione Cuneo, da dove partivano le tradotte con vagoni piombati verso la Germania.
Per fortuna, giunti a Tenda, paese presidiato dai militari tedeschi della Wermacht addetti al recupero di materiale della IV Armata Italiana, il maresciallo comandante del Presidio si impegna per il nostro rilascio.
Una quindicina di noi rimane a Tenda con la consegna di lavorare alla sistemazione di materiali vari ed accudire una trentina circa di muli; questo a causa dell'esiguità e dell'anzianità degli uomini che componevano il Presidio.
Lavoriamo per questo Presidio per alcuni mesi: lavoro di giorno e liberi di uscire alla sera.
Da Tenda veniamo spostati a Cuneo nella Caserma già IV° Artiglieria Alpina dove ci impongono di mettere un bracciale giallo con la scritta in caratteri gotici in lingua tedesca "soldato tedesco".
Chi non accetta viene spedito in Germania.
Così una sera decidemmo di fuggire; camminammo tutta la notte ed al mattino giungemmo a Briga.
Cercammo di raggiungere la formazione partigiana garibaldina che operava in Liguria e qui, con altri sbandati, costituimmo un nuovo distaccamento, cioè una Brigata.
Ci mettemmo in marcia per raggiungere il posto indicato, transitando per i Forti di Nava [nel comune di Pornassio (IM)].
Qua dovemmo cambiare rotta perché in quella località si trovavano già altri uomini del Capitano Martinengo [Eraldo Hanau].
Ci trasferimmo, pertanto, in Val Corsaglia (Mondovì).
Fu una marcia massacrante, attraversando Viozene, Mongioie, passando per Piaggia, frazione di Briga Marittima, ora diventata Briga Alta.
Lì appresi che i miei genitori e mio fratello Luciano di 16 anni in conseguenza alla nostra fuga erano stati arrestati e portati nel carcere "Leutrum" di Cuneo.
Mio fratello Luciano veniva sovente interrogato affinché dicesse dove noi eravamo.
Per impaurirlo gli prendevano le misure per la cassa da morto.
Poi tutto si è risolto grazie all’interessamento dell’ingegnere capo della Centrale Elettrica dove lavorava mio padre.
Egli chiese al Comando tedesco il rilascio motivandolo con la urgente necessità di operai specializzati da inserire nella Centrale Elettrica.
Grazie a questo mio padre fu subito rilasciato.
Seguirono la liberazione di mia madre e di mio fratello.
In Val Corsaglia trovammo la valle già presidiata e comandata da un ex appuntato dei Carabinieri (Taglietto).
Intanto il capitano Martinengo decise di ritornare verso Viozene [Frazione di Ormea (CN)] dove insediò il suo Comando di Brigata.
Il nostro gruppo rimase in Val Corsaglia prendendo posizione a Costa Calda sulle alture di fronte alle Grotte di Bossea, posizione che dominava un bel tratto di strada provinciale che da San Michele di Mondovì porta a Fontane di Frabosa.
Aldo Clerico in Libertà dal Popolo, Notiziario della F.V.L., n° 2 del 2011
 
Nella provincia di Cuneo, tra la fine del '43 e l'inizio del '44, le bande più organizzate sono quelle guidate da Ignazio Vian, l'eroe di Boves, Piero Cosa e Franco Ravinale, ufficiali dell'ex esercito. Questi, che occupano le valli Casotto, Corsaglia, Mongia, Tanaro, Ellero e Pesio, a partire dal febbraio decidono di affidare al maggiore “Mauri”, che dal dicembre guida una banda nella val Maudagna, il comando dell'area alpina. <209
Nella parte settentrionale della provincia prende corpo il nucleo costitutivo della I divisione Garibaldi “Piemonte”, formato dal comando della 4ª brigata “Cuneo”. Oltre a operare nelle valli alpine settentrionali, al comando della I^ divisione rispondono anche i gruppi presenti nelle valli Belbo e Tanaro, nucleo originario della 16ª brigata “Generale Perotti”, mentre verso la fine di novembre, venuto a conoscenza della presenza di diversi nuclei di resistenti, tra cui ex militari, “Barbato” [Pompeo Colajanni] trasferisce «un gruppo di uomini capaci» in val Varaita. <210
[...] A partire da novembre infatti, colonne tedesche e fasciste circondano la parte occidentale della provincia di Cuneo, chiudendo le vie di uscita ai partigiani. Il 18 novembre viene rastrellata l'intera val Casotto, che costringerà gli uomini al comando del sottotenente Colantuoni a spostarsi in val Corsaglia. <212
[...] Per tutto il mese di gennaio, le vallate alpine vengono colpite dai tedeschi, che adottano un nuovo tipo di rastrellamento, basato sullo scontro frontale e sull’accerchiamento. Le postazioni partigiane vengono assalite, tanto da disperdere i partigiani e metterli in fuga, come documenta “Mauri” nel suo diario dopo il rastrellamento in val Maudagna, il 14 gennaio: <217
"Siamo rimasti in trentacinque. Saliamo sull'alto, al rifugio di Prel, sopra Frabosa. Ma rimanere lassù non è possibile; è un posto ideale per villeggiare, ma non va bene per fare il partigiano. Troppo lontano dalle strade". <218
Dopo il rastrellamento, “Mauri” con i pochi uomini rimasti è costretto a spostarsi in Val Casotto, e a unirsi ai gruppi lì presenti.
[...] Come “Mauri” stesso scrive nella relazione sui fatti d'arme di val Casotto, in pochissimi giorni giungono al comando «circa un migliaio di uomini che non costituivano che un peso»: <221 l'impossibilità di armarli e la previsione di un'imminente rastrellamento tedesco nella zona aggravano in questo modo una situazione già precaria. Simile circostanza si verifica presso altri comandi partigiani, come ad esempio in quelli GL posizionati in valle Stura. <222
209 G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, cit., p. 319
210 M. Diena, Guerriglia e autogoverno, cit., p. 17
212 Questo gruppo entrerà poi a far parte della III divisione Alpi.
217 Per i rastrellamenti di gennaio '44 vedi M. Giovana, La Resistenza in Piemonte, cit., p. 53, in particolare nota 26; D. L. Bianco, La guerra partigiana, cit., pp. 37-41; e 25 aprile. La Resistenza in Piemonte, ANPI Torino, Orma, 1946
218 E. Martini, Con la libertà e per la libertà, cit., p. 32
221 “Relazione sui fatti d'arme dal 13 al 17 marzo nelle valli Casotto, Mongia e Tanaro”, Dalle Langhe, 9 aprile 1944 - I° della Liberazione, in G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, cit., doc. 2, p. 340
222 M. Giovana, “Popolazioni alpine nella guerra partigiana del Cuneese”, cit., p. 89

Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013 
 
I tedeschi avevano nel frattempo posto un loro importante quartiere generale nell'Albergo Miramonti di Garessio (CN).
Da questo centro i nazisti organizzarono un forte rastrellamento contro le bande badogliane di Val Casotto, nelle quali militava anche un noto attore, Folco Lulli.
I nazisti furono, tuttavia, attaccati proprio nell'Albergo dai "ribelli", badogliani, ma non solo da questi.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999
 
Verso la fine del febbraio '44 (nei giorni dal 25 al 27) vi era stata la battaglia di Garessio, con l'attacco dei partigiani al Miramonti, albergo nel quale si erano asserragliati i i tedeschi. Questi, con lo scopo di compiere una vasta opera di rastrellamento specialmente contro i partigiani di Val Casotto, avevano occupato Garessio (25 febbraio), incominciando subito a commettere uccisioni e devastazioni, e avevano posta la loro sede nell'albergo Miramonti.  Attaccati dai partigiani di Mauri, convenuti da varie parti, la battaglia aveva assunto ampie proporzioni, svolgendosi contemporaneamente in diverse località. Infine i tedeschi, dopo aver compiuto numerosi massacri con la cooperazione di militi fascisti del battaglione San Marco, avevano lasciato il paese (27 febbraio); ma vi erano stati strascichi dolorosi anche nei giorni seguenti. Durante questi fatti il 26 febbraio '44 era stato ripetutamente ferito in combattimento e dai militi fascisti catturato, torturato e ucciso Sergio Sabatini.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia  

Fonte: I Partigiani d'Italia

Nella battaglia di Garessio (CN) [il 26 febbraio 1944] venne ucciso il partigiano Sergio Sabatini * di Imperia.
Rocco Fava, Op. cit.
* Sergio Sabatini. Medaglia d'oro al valor militare con la seguente motivazione: "Giovane partigiano di eccezionale coraggio, rinunciava alla licenza per partecipare con i propri compagni ad un’azione di particolare importanza contro un presidio tedesco. Ferito due volte durante l’epica lotta e costretto dietro ordine del comando a ritirarsi per esaurimento delle munizioni, si offriva volontario per portare ordini ad un reparto impegnato su altro tratto di fronte. Ferito una terza volta nell’attraversare una zona scoperta e battuta tentava ancora con le ultime forze di assolvere il suo compito, finché, colpito una quarta volta al petto, cadeva nelle mani del nemico, che dopo avere tentato invano di estorcergli notizie sull’organizzazione partigiana, lo seviziava barbaramente. Condotto a morte, l’affrontava con sprezzo gridando al nemico: «Mio padre mi ha insegnato a vivere, io vi insegno a morire». Fulgido esempio di valore e di fermezza". Garessio, 25-26 febbraio 1944

Nella squadra di Martinengo [Eraldo Hanau] a tenere una posizione importante sopra il paese c'era anche lo studente onegliese Sergio Sabatini. I suoi compagni sapevano che sparava bene alla mitraglia: allora gliela diedero in consegna con tutto l'occorrente per la postazione; ma più tardi i tedeschi lo catturarono ferito, perché si era fidato troppo andando allo scoperto quando partì volontario per portare un ordine urgente ai mortaisti. Anche i nazifascisti capirono che era un ragazzo in gamba molto deciso, che non dava segno di dolore manco quando provarono a picchiarlo per farlo parlare. Cosicché prima di ricominciare cercarono di convincerlo con le buone; ma lui continuava a dire di no, che lì c'era per conto suo e basta; poi lo torturarono con accanimento avendo perso la pazienza, per fargli dire del comando e dei comandanti.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 23-24

Fonte: I Partigiani d'Italia

Giorgio Carrara, nato a Garessio il marzo 1925, allievo meccanico. Partigiano del distaccamento del Colle di Casotto, il 27 febbraio 1944 scende in Garessio accompagnato da un partigiano del luogo con l’intento di recuperare armi abbandonate ed assumere notizie sulle intenzioni dei nazifascisti. Compiuto il recupero, i partigiani si avvicinano al piazzale dell’albergo Miramonti, (sede del comando tedesco), fanno fuoco sui tedeschi, quindi risalgono la "costa della battagliera" verso regione Campi. I tedeschi allertati li inseguono: Carrara è colpito all’addome da una raffica, mentre il suo compagno riesce a fuggire. Catturato da due soldati, è condotto prima al comando del Miramonti, poi verso la strada di Valsorda sino all’incrocio con quella delle Fonti. In tale località gli sparano in fronte con il mitra. Mostrando il tricolore che gli orna il risvolto della giacca, pronuncia le sue ultime parole: "Viva l’Italia!".
È insignito di Croce di guerra alla memoria: "Partigiano ardito e coraggioso, già ripetutamente distintosi in precedenti circostanze, durante un aspro combattimento per la conquista di un importante centro abitato, trovava morte gloriosa alla testa dei suoi compagni". Garessio 1° febbraio - 26 febbraio 1944
A Giorgio Carrara venne intitolato un distaccamento della Brigata "D. Arnera" - Divisione d’assalto Garibaldi "Silvio Bonfante".
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011
 
Cuneo
Nelle prime ore del 1° corrente elementi ribelli, per mezzo di cariche esplosive, abbatterono la linea primaria elettrica della sottostazione di Celibusca, distruggendo quattro pali di sostegno della linea stessa.
Verso le ore 12, altri ribelli, in numero imprecisato, ma che si fanno ascendere a circa 1000, irruppero nell'abitato di Garessio.
Alle 14,30 altri ribelli, montati su autocarro, assalirono la stazione ferroviaria di Ceva, devastandola completamente e asportando armi e tre militi della ferroviaria e ferendo gravemente un sottufficiale che reagì.
Nello stesso comune i ribelli disarmarono sette militari tedeschi e i carabinieri, prelevando il sottufficiale comandante. Poscia devastarono il Municipio e, al ritorno, con tre mine, fecero saltare un ponte della strada provinciale. Malmenarono il Segretario del Fascio e danneggiarono la sua abitazione.
Infine, verso le ore 18, in regione Piantei, elementi ribelli, in numero imprecisato, assalirono un autocarro con a bordo dieci fascisti, tre dei quali rimasero uccisi e tre feriti. Non si conoscono le perdite inflitte agli aggressori.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del giorno 3 marzo 1944, pp. 38-39,  Fondazione Luigi Micheletti
 
[n.d.r: l'alta Val Tanaro, la Val Casotto ed alcuni territori limitrofi furono poco dopo le date qui riportate area operativa anche delle formazioni garibaldine della I^ Zona Operativa Liguria, segnatamente da dicembre 1944 della Divisione "Silvio Bonfante"; del resto diversi partigiani, che erano stati dapprima con i badogliani, confluirono in seguito tra i garibaldini del ponente ligure: ad esempio Bruno Schivo (Cimitero), che divenne capo squadra del Distaccamento "Filippo Airaldi" della II^ Brigata "Nino Berio" della Divisione "Silvio Bonfante"]

venerdì 23 luglio 2021

Circa il boia di Albenga

Albenga (SV) - Fonte: Wikipedia

È utile a questo punto tracciare una breve biografia di Luciano Luberti, battezzato durante la guerra, quando indossava la divisa nazista, il boia di Albenga.
Finito il liceo, il giovane fascista si iscrisse alla facoltà di Scienze politiche.
Non prese la laurea e nel 1941, chiamato alle armi, dopo essere stato cacciato per indegnità dalla scuola allievi ufficiali di Spoleto, fu assegnato al terzo reggimento artiglieria celere di stanza a Milano.
Il giovanotto rientra subito a Roma e prende a collaborare con i tedeschi, arruolandosi addirittura nella Wermacht e vestendo la divisa della Kriegsmarine, la marina da sbarco di Hitler.
Combatte a Nettuno e a Livorno. Ma poiché parla perfettamente tedesco, viene usato come interprete nelle operazioni di rappresaglia. È soldato semplice, diventa presto caporale.
La sua carriera nell’esercito tedesco comincia immediatamente rastrellando partigiani italo-francesi in Corsica e meritandosi la croce di ferro di seconda classe. Quindi viene destinato alle costiere di Alassio e in ultimo trasferimento ad Albenga dove c’è la sede del comando della Feldgendarmerie, la polizia militare tedesca.
Qui la sua macabra ideologia e la sua malvagia natura si scatenano.
Ecco la deposizione della signora Ernesta Spalla, vedova del sindaco di Albenga, Emidio Viveri:
“Un giorno si presentò a casa mia alla testa di un gruppetto di nazisti. Fecero una perquisizione ed in una camera trovarono mio figlio Angelo, di 15 mesi, che dormiva. Il Luberti afferrò il bambino per i piedi e, tenendolo sospeso nel vuoto, minacciò di lasciarlo cadere dalla finestra se non avessi smesso di piangere. Benché anziani, i miei genitori furono brutalemte percossi, io venni portata alla gendarmeria e chiusa in una stanzetta buia dove erano rinchiuse altre 14 donne. Ricordo che una delle mie compagne di sventura tentò di suicidarsi, ingoiando degli anelli e che un’altra non venne neppure portata in ospedale benché fosse in stato interessante e avesse abortito”.
I partigiani della zona dicono che Luciano Luberti si rese responsabile, sia pure non come esecutore diretto, di innumerevoli stragi.
Uno dei suoi divertimenti preferiti consisteva nel recarsi in un piccolo centro abitato, di raggruppare un bel numero di uomini e di donne e di sottoporli a sevizie. Ad Albenga c’è ancora chi non ha fugato quegli incubi.
Sulla coscienza di Luberti grava la barbara esecuzione di 59 ostaggi, donne e uomini, compiuta alle foci del fiume Centa tra il 1944 ed il 1945.
Bruno Mantero, un albergatore ligure, riferisce: “A mio fratello, davanti ai miei occhi, strappò le orecchie, le unghie, i denti e infine gli cavò gli occhi”.
Un’altra vittima, Bartolomeo Panizza, aggiunge:
“Era il 12 gennaio del 1945. Con altri 11 ostaggi ci stavano portando al fortino del Centa per fucilarci. In attesa dell’esecuzione, il Luberti, che montava la guardia con il suo vice, Luciano Zambianchi (il quale venne fucilato subito dopo la Liberazione) ci sottoponeva ad ogni sorta di sevizie. Io sono stato l’unico di quei famosi sessanta prigionieri a salvarsi. E’ stata una pura fortuna”.
Il luciferino e furbissimo boia di Albenga riuscì a cavarsela quando un suo “scagnozzo” tentò di farlo fuori. L’episodio ebbe come protagonista un ex saltimbanco, tale Carletto, suo collaboratore che egli era riuscito ad infiltrare nelle file partigiane. Carletto venne scoperto e fatto prigioniero, ma riuscì a scappare e a rimettersi in contatto con Luberti. Era l’inverno del 1944 [inverno 1944-1945]. Il saltimbanco sentiva odor di Liberazione e, per mettersi in buona luce con i futuri vincitori, per farsi perdonare delle orrende malefatte, meditò di uccidere il boia. Prese il suo fucile Thompson e lo puntò contro Luberti. Ma questi, che aveva intuito il voltafaccia del subalterno, si era premunito, svuotando le cartucce dalla polvere da sparo. Quello tirò il grilletto davanti al riso sguaiato del capo, il quale, subito dopo, lo freddò con la rivoltella.
Terminata la guerra, i partigiani si misero alla caccia della belva. Ma lo presero soltanto il 17 maggio del 1946, mentre stava andando in Francia per arruolarsi nella Legione straniera, come fecero tanti altri collaborazionisti che cercavano di scamparla.
Al processo i giudici lo condannarono a morte, ma la sentenza non fu eseguita subito. Così quando, in applicazione della nuova Costituzione, fu abolita la pena di morte, quella venne tramutata in ergastolo.
Luciano Luberti stesso racconta, con un pizzico di disprezzo per la novella Repubblica, come accadde poi che da condannato all’ergastolo si ritrovò a godere della piena libertà:
“La Cassazione giostrò tra testo costituzionale ed indulgenze varie al fine di ridurre le pene. E così il mio ergastolo fu trasformato in venti anni; si trattò di un’operazione portata avanti sotto banco, senza clamore… Infine il ministro Pella aveva accordato un ulteriore condono di dieci anni, ma ne sarebbero restati da scontare due o tre… ma il procuratore generale di Genova, con arditissima piroetta giuridica, ci mise fuori subito” [...]
Fonte: Amare fino alla morte, suppl. Il Messaggero 1994
Vincenzo Cerami, Cenni biografici di un boia, Misteri d'Italia  

[n.d.r.: seguono alcune note sulla spia Carletto, detto anche 'Carletto il cantante', al secolo Amleto De Giorgi, spia sopra citata]

31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione sui rastrellamenti subiti il 10 ed il 20 gennaio 1945 "nelle valli di Caprauna, Arroscia, Lerrone e Andora. Dopo l'arresto del comandante Menini ebbe inizio l'atteso rastrellamento nelle valli suddette. Il 10 gennaio una colonna di tedeschi, partita da Pieve di Teco, circonda Gavenola e rastrella il paese, catturando il garibaldino 'Carletto', il quale ha tradito i propri compagni facendo giungere i tedeschi presso la sede del capo di Stato Maggiore ma con esito per loro sfavorevole...
5 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione - Informava che i tedeschi, guidati da "Carletto", avevano eseguito una puntata su Nasino per sorprendere il Distaccamento "Giannino Bortolotti" della II^ Brigata "Nino Berio" ma senza causare perdite tra i partigiani...
6 marzo 1945 - Dal comando [comandante "Domatore" Domenico Trincheri] della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo", prot. n° 4, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che alcuni reparti tedeschi, accompagnati da alcuni delatori, tra cui "Carletto"ed il "Boia", erano arrivati da Albenga e da Ponti di Nava in Val Pennavaira, dove si erano "limitati a rastrellare il fondo valle senza avventurarsi nelle campagne"...
21 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/107, al capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della VI^ Divisione - Comunicava che il dottor Massone, di cui si era disposto l'arresto, si era nascosto; che occorreva vagliare attentamente, sentiti i testimoni e studiati attentamente i fatti concreti addebitatigli, la posizione del podestà di Ortovero (SV); che occorreva fermare ed interrogare la signora Maria Raffaello che a Ceriale (SV) svolgeva attività filo-fascista; che era necessario indagare sulla signora Scialdema di Ortovero, vista insieme alla probabile spia filotedesca "Carletto".
30 marzo 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione - Avvertiva che "... l'ex garibaldino 'Carletto' è stato ucciso il 24 u.s." ad Albenga"...
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
[...] A questo punto si pone il problema di definire soggetti come Luberti che, oltre a mostrare una personalità sadica e tratti di sadismo sessuale, svolgono anche una attività che giustifica queste caratteristiche. Accanto al soggetto che agisce come sicario o torturatore al semplice scopo di ottenere un vantaggio concreto (denaro, status…) senza trarne piacere, è presente un più esiguo gruppo di criminali che sceglie una attività perché sintonica col proprio io e con le proprie esigenze perverse. Guadagno o vantaggi materiali, a questo punto, costituiranno un tornaconto aggiuntivo e collaterale alla primaria fonte di soddisfazione: l’uccisone, la tortura e lo stupro.
Per esprimere il concetto con le parole di un sadico “Lo scopo è la sofferenza perché non c’è maggior potere su un’altra persona di quello derivato dall’infliggerle dolore, dal forzarla a subire sofferenze senza essere in grado di difendersi. L’essenza dell’impulso sadico, quindi non è altro che il piacere della completa dominazione su di un’altra persona”….”stava fremendo dal dolore, e mi è piaciuto. In quel momento stavo unendo il culmine del godimento sessuale con lo stupro ed il culmine del mio potere con la paura la somma di tutto ciò è al di la di ogni spiegazione… io ero vivo per il solo scopo di causare sofferenza e riceverne gratificazione sessuale. Mi stavo godendo il dolore come anche il sesso…” (Mike De Bardeleben)
Dalle narrazioni dei superstiti di Albenga, l’attività di Luberti sembra includere anche il  sadismo sessuale. Il compiacimento che provava nella sua attività di torturatore, infatti, era noto. Come lo era la sua sete di crudeltà. Luberti non mostrerà mai pentimento o rimorso per gli atti commessi, anzi, durante una intervista televisiva del 1997 (organizzata dal sociologo Sabino Acquaviva), ricorderà con malcelato orgoglio i tempi della Wehrmacht.
Chiara Camerani
(Psicologa, criminologa e direttrice Cepic) direzione@calasandra.it, Luciano Luberti: un possibile caso di psicopatia, www.cronaca-nera.it, 22 marzo 2013

[...] Un documento straordinario, spaventoso, ma anche carico di insidie per il "fascino sinistro" che emana dal personaggio - il massacratore charmeur è ben tratteggiato da una delle sopravvissute - e non solo per questo: ma di ciò parleremo più avanti. Chi cerchi nell' intervistato la freddezza o il gesto trattenuto di un Priebke rimarrà deluso. Niente in Luberti tradisce contrizione. Non la voce né lo sguardo sornione né il ghigno perpetuo. Un personaggio inquietante, che sintetizza anche nella figura falstaffiana ferocia nazista e teatralità all' amatriciana. "Gli ho fatto un buco così, gli ho fatto, a Giovanni il Siciliano", ripete disegnando nell' aria un melone. "L' ho beccato dopo che aveva fatto fuori quel poveretto delle Brigate Nere. Gli ho scaricato in testa dieci bossoli, un buco così gli ho fatto a Giovanni il Siciliano...". Non la banalità, ma la voluttà del male. Prima di affrontare i rischi di questa operazione televisiva (che potrebbe sollevare le stesse perplessità che sollevò due anni fa Combat Film), converrà ricordare chi è il Boia d' Albenga, un personaggio romanzesco su cui s' è esercitato anche uno scrittore come Vincenzo Cerami. Fascista innamorato del Fuhrer, a ventidue anni s' arruola direttamente nella Wehrmacht. La sua brillante carriera nell' esercito tedesco comincia con il rastrellamento di partigiani italo-francesi in Corsica: è determinato, efficiente, merita la croce di ferro di seconda classe.
Quindi nel dicembre del 1944 il trasferimento ad Albenga, un paesino vicino a Savona che ospita il comando della Feldgendarmerie, la polizia militare del Fuhrer. Sevizie d' ogni genere. Torture. Anche stupri con bottigliette di gassosa infilate a calci. Capezzoli tagliati. Pareti imbrattate di sangue. "Beh, certo, la Feldgendarmerie lavorava sodo", dice ora il Boia un tantino compiaciuto. "Stavamo sulle palle anche ai camerati di Savona. Ma - che volete? - interpretavamo la legge, eravamo fedeli al regolamento". Dopo la guerra, la foce del fiume Centa restituirà cinquantanove cadaveri. "Befehl ist Befehl, l' ordine è ordine", continua a ripetere oggi il Boia, scuotendo la candida barba che va giù a cascata. "E io, al contrario di Priebke, ho obbedito senza lacrimare... Povero Priebke, ha 82 anni: finge un po' di pentimento, scarica su Kappler, ma se l' ha fatto è perché sentiva di obbedire volentieri a quell' ordine. Che me stanno a cantà?". Nell' aprile del 1945, Luberti riesce a fuggire. Prima Torino, poi Napoli, il tentativo di arruolarsi nella Legione Straniera. Il 17 maggio del 1946, sulla banchina del porto di Genova, viene riconosciuto da una sua vittima. Al processo i giudici lo condannano a morte. L' anno successivo la Corte d' Appello di Genova trasforma la sua pena prima in ergastolo, poi in 19 anni e sei mesi di carcere. L' amnistia del 1953 gli toglie ancora dieci anni. Nel luglio del 1956 il Boia torna libero. Possibile? Sentiremo ancora parlare di lui [...]
Simonetta Fiori, Sevizie e stupri. Torna l'incubo del boia di Albenga, la Repubblica, 11 febbraio 1997

Luciano Luberti, classe 1921, nacque a Roma, nell'infanzia si trasferì a Padova, dove dapprima frequentò le scuole elementari all'Istituto Pestalozzi, in via Montebello. Effettuò successivamente studi commerciali, diventando ragioniere.
Il Luberti è stato personaggio dagli aspetti psicologici inquietanti, frequentazioni spesso eccellenti hanno caratterizzato la sua ambigua esistenza. Ammise di avere avuto una relazione con un omosessuale appartenente ad una famosa famiglia ebraica.
IL BOIA DI ALBENGA
Partecipò alla Seconda Guerra Mondiale, dopo non aver portato a termine il corso per Allievi Ufficiali, prestando servizio, sino all' 8 settembre 1943, nell'Artiglieria.
Successivamente entrò nella Wehrmacht: si arruolò dapprima nella Guardia costiera ma poi fu inviato nella Feldgendarmerie.
Fremeva d'ammirazione per i nazisti (i fascisti gli parevano troppo “molli”). Combatté a Nettuno (RM), poi venne trasferito ad Alassio (SV), addetto alle batterie costiere; di lì, grazie alla conoscenza della lingua, passò al servizio, dapprima quale interprete quindi come alter ego, del maresciallo Strupp, comandante della Feldgendarmerie di Albenga, cioè il luogo dove venivano interrogati i partigiani, o i presunti tali, molto spesso davanti a padri, madri, figli, mogli o sorelle che non di rado subivano torture per far parlare i parenti inquisiti.
Si rese responsabile di torture, maltrattamenti, persecuzioni personali, abusi sessuali ed esecuzioni nei confronti non solo di partigiani ma anche di civili.
Così Luberti venne battezzato col sinistro epiteto di "Boia" di Albenga (SV), perché ritenuto torturatore e massacratore di una sessantina di albenganesi.
Molti testimoni, alcuni dei quali ancora viventi, ricordano che Luberti, la mattina, soleva leggere brani della Bibbia, mentre il pomeriggio andava a torturare i prigionieri dentro ad un bunker. Violenze di ogni genere, senza mai pentirsi o provare rimorso, pietà per le vittime; in uno speciale televisivo organizzato dal sociologo Sabino Acquaviva (nel 1997), ricordò con malcelato orgoglio: "Beh, certo, la Feldgendarmerie lavorava sodo.".
Altro tragico fatto il tradimento dell'amico d'infanzia ebreo Umberto Spizzichino.
Umberto Spizzichino e Luciano Luberti erano amici fin dalle scuole elementari all'Istituto Pestalozzi, in via Montebello.
Nel 1944 Umberto decise di fuggire in Svizzera e chiese aiuto all'amico. Luciano gli diede appuntamento in viale Manzoni. Dove le SS lo portarono in via Tasso, poi a Fossoli, poi ad Auschwitz dove morì il 28 agosto 1944.
Terminata la guerra, ad Albenga, in una fossa comune alla foce del Centa vennero riesumate ed identificate 59 salme.
Il 10 giugno 1946 tutte le 59 bare furono portate in Piazza San Michele, ad Albenga, ove si svolse una solenne cerimonia funebre; 2 lapidi vennero apposte alle pareti del bunker ove avvennero le torture e gli assassinii:
- la prima da parte dell'Unione Donne Italiane (U.D.I);
- la seconda da parte dell'Amministrazione comunale e di varie altre associazioni antifasciste.
Luberti, insieme al "boia di Genova" Friedrich Engel, è stato considerato dagli storici un "dio del male". Catturato nel 1946, riconosciuto da un prigioniero cui aveva torturato ed ucciso il fratello, mentre tentava di espatriare da Ventimiglia per arruolarsi nella Legione Straniera, fu accusato di cinquantanove delitti (tra torture ed omicidi).
Sottoposto a processo nel 1946 per i delitti nazifascisti, fu dapprima condannato alla pena di morte, «mediante fucilazione alla schiena», il 24 luglio 1946. La sentenza venne emessa dalla Corte d'Assise straordinaria di Savona, e fu l'ultima tra l'entrata in vigore dell'amnistia e la fine del 1947, anno in cui la Corte cessò le sue funzioni.
Per Luberti successivamente, facendo leva sull'infermità mentale, la condanna fu tramutata in ergastolo e quindi con l'amnistia (concessa dal guardasigilli Palmiro Togliatti e secondo una fonte opportunamente teleguidata da uno zio cardinale) a 7 anni di carcere militare. [...]
PUBBLICAZIONI
- Lionarto Kreyscaps, Luciano Luberti: assassino per onore
- Luciano Luberti, In difesa del popolo dei pazzi, programma in 7 puntate dalla rubrica televisiva - La gente scomoda (Telecittà, Bologna) febbraio-aprile 1982 / Luciano Luberti (M.T.), Luberti (Collana di documentazione sul nostro tempo; 9. ), Padova, 1982. BN 83-12359
- Vincenzo Cerami, Fattacci. Il racconto di quattro delitti italiani, Einaudi (Einaudi Tascabili. Stile libero n.483) , Torino, 1997, ISBN 88-06-14598-3
- Gianfranco Simone, Il boia di Albenga. Un criminale di guerra nell'Italia dei miracoli, Mursia, Vicenza, 1998, ISBN 884252378X
- Pier Mario Fasanotti e Valeria Gandus, Bang Bang, Marco Tropea Editore, 2004, ISBN 88-438-0422-7
- Giuliana Giani e Massimo Michelini, Luciano Luberti: il fiore putrefatto dell'amore, dal n° 3 di "M Rivista del mistero" , Alacran Edizioni, 2007
- Nanni De Marco, 1940-1945: La guerra dei Savonesi, ANPI Legino e Archivio del Partigiano Ernesto, Savona, 2002
- Luciano Luberti, La preghiera d'Ignazio e altre poesie, Organizzazione Editoriale Luberti, 1969
- Giuliano Luberti, Annali del debito pubblico / Giuliano Luberti, Roma: Organizzazione editoriale Luberti, 1966. BN 665881
- Renzo Vanni, Trent'anni di regime bianco, Giardini, 1976
- Petra Rosenbaum, II nuovo fascismo: da Salò ad Almirante: storia del MSI, Feltrinelli, 1975
- Luciano Luberti, Affaire Luberti, 1982-1984, Organizzazione Editoriale Luberti, 1987
- Application No. 9019/80: Luciano Luberti Against Italy: Report di Luciano Luberti - 1982
- Max Trevisan, Lukas, Organizzazione Editoriale Luberti, 1965
- Luciano Luberti, Le vacanze / grottesco di Max Trevisant, Roma: OEL, 1967 BN 677971.
- Luciano Luberti, I camerati / Luciano Luberti, Roma: Organizzazione editoriale Luberti, 1969,BN 709294
- Luciano Luberti, Israele : Appunti sulla crisi del Medio Oriente, Roma: Luberti, 1967, BN 6710260.
- Luciano Luberti, L'ebreo e il nazista, Roma: Organizzazione editoriale Luberti, 1968, BN 6814035.
- Luciano Luberti, La preghiera d'Ignazio, 2. ed., Roma: Organizzazione editoriale Luberti, 1975,BN 769984.
- Luciano Luberti, Altri dialoghi: gli assassini, Roma: Organizzazione editoriale Luberti, 1969, BN 7010974.
- Luciano Luberti, Furia, Roma: Organizzazione Luberti, 1964. BN 647002.
Armati Cristiano e Selvetella Yari, Roma Criminale, Newton & Compton, 2005

Fabio, Luciano Luberti..., crimeworld.forumcommunity.net, 31 dicembre 2011

Dottor Luberti, dovrei odiarla, ma non posso. Lei uccise mio cugino Esildo Simone. Non ricorda quando mia zia, una bella ragazza bionda, s'inginocchiò davanti alla Kubelwagen del capitano che aveva arrestato Esildo? II tedesco stava per cedere, conosceva mia zia perché occupava la sua casa, ma gridò: «Nein!».
Non ricordo né sua zia, né suo cugino.
Certo, visto che ne avete uccisi 59, stando ai nomi sulla lapide del bunker, alla spiaggia.
Erano di più.
Per gli Alleati erano duecento. E' vero?
Ridacchia. Usciamo insieme dal misero bilocale. Mi offro di portarlo in auto a ritirare le analisi.
Lei è sempre stato nazista, non fascista?

Fascista mai. I fascisti non mi piacciono, erano spacconi, ma non li disprezzo, ne sono stati uccisi tanti. E quelli dall’altra parte non erano migliori di noi. Sparavano alle spalle. Comunque nel ‘40 già capivo che avremmo perso, perché frequentavo gli ambienti vaticani e loro sapevano tutto.
Ecco perché Luberti, liberato, trovò un posto alle Acli. Ad Albenga dicono che lo proteggeva uno zio cardinale. C'era un suo parente fra quei prelati?
Mio nonno era un abate. Mio padre non me l'ha mai fatto conoscere. Lo odiava.
Simone Gianfranco, Io, boia di Albenga. Colpevole senza rimorsi, Corriere della Sera, 16 gennaio 1995

Luciano Luberti detto il Boia di Albenga (Roma, 25 aprile 1921 - Padova, 10 dicembre 2002) è stato un militare e criminale italiano e collaborazionista con il regime nazista durante l'occupazione tedesca dell'Italia. Fu responsabile di diversi crimini e dell'uccisione di almeno 59 persone durante la guerra, episodio conosciuto come strage di Albenga.
Biografia
Nacque da padre meccanico a Roma dove frequentò le elementari all'Istituto Pestalozzi. Divenne poi ragioniere, lavorando anche come commesso in un negozio. Soldato di leva della classe 1921, venne ammesso al ritardo alla leva perché impegnato negli studi universitari di Economia e Commercio.
Secondo il suo foglio matricolare il 4 marzo 1941 fu arruolato nel 3º reggimento Artiglieria Celere motorizzata. Fatti alcuni corsi militari, il 16 aprile divenne caporale e il 16 giugno fu promosso sergente. Venne inserito nel corso per Allievi ufficiali, ma il 16 novembre venne ritrasferito al Deposito del 3º Reggimento Artiglieria Celere per completare i suoi obblighi di servizio militare perché dichiarato non idoneo ad allievo ufficiale. Il 3 maggio 1942 venne denunciato al tribunale di Spoleto per furto e pertanto fu sospeso dal grado di sergente; il reato fu poi amnistiato l'8 ottobre 1945.
Dopo l'armistizio
Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 Luberti lavorò per le SS di Roma. Tuttavia Luberti molte volte negò quanto detto, dicendo di non essere mai stato nel Regio esercito, ma che quello era solo un omonimo.
Nel novembre del 1943 entrò in contatto con Umberto Spizzichino, che era stato suo compagno alle scuole elementari Pestalozzi. Secondo la ricostruzione dei carabinieri effettuata nel dopoguerra, nel gennaio 1944 Spizzichino chiese a Luberti un nascondiglio sicuro per sfuggire ai rastrellamenti tedeschi. Luberti si offrì di farlo fuggire in Svizzera, dove sarebbe stato in contatto con un altro ebreo che in Italia lo aveva incaricato di acquistare preziosi. Luberti gli diede appuntamento per il 23 gennaio 1944 in viale Manzoni per consegnargli i documenti per l'espatrio in Svizzera; in realtà Spizzichino venne consegnato alle SS dallo stesso Luberti. Il 22 febbraio Umberto Spizzichino riuscì a inviare al fratello Alessandro una lettera in cui comunicava che si trovava nel carcere di Regina Coeli, formulando il dubbio che Luberti fosse il responsabile del suo arresto. Infatti secondo Spizzichino i due dopo essersi incontrati si recarono presso il comando delle SS che si trovava in via Tasso dove furono entrambi tratti in arresto, ma il fatto che poi Luberti non fosse stato portato anch'esso a Regina Coeli gli fece sospettare il tradimento. Nello stesso mese Umberto Spizzichino fu trasferito nel campo di prigionia di Fossoli vicino a Modena, poi ad Auschwitz dove morì il 28 agosto 1944. Nella lettera scritta al fratello raccontò il tradimento:
Dopo un periodo di addestramento nella Wehrmacht Luberti fu assegnato alla Marina costiera tedesca, di Capo di Santa Croce di Alassio come addetto alle batterie costiere. Poi fu inviato alla Feldgendarmerie di Albenga come traduttore.
Il boia di Albenga
In seguito Luberti fu impiegato come traduttore presso la Feldgendarmerie di Albenga e successivamente presso il tribunale militare di guerra della 34 Infanterie-Division, che fu insediato nella palazzina dove aveva sede la locale Brigata Nera che faceva da carceriere. Il tribunale era solitamente composto dal maresciallo capo Friedrich Strupp che comandava la Feldgendarmerie e svolgeva il ruolo di accusatore, dai sergenti maggiori Fuchs e Nusslein. Luberti fungeva da traduttore, limitandosi a tradurre le domande agli imputati e riferire le risposte ai membri del tribunale. I processi si concludevano di solito con la condanna a morte e i prigionieri venivano condotti presso la foce del fiume Centa dove venivano allineati presso una fossa e uccisi con un colpo alla nuca. L'esecuzione della sentenza veniva assolta dal maresciallo Strupp e da Luberti.
La prima esecuzione presso la foce del fiume Centa avvenne il 3 dicembre 1944 quando furono fucilati quattro civili contigui alla resistenza. Secondo alcune testimonianze, mentre si trovavano prigionieri nella Feldgendarmerie furono torturati da Strupp e da Luberti. Il 16 dicembre avvenne una nuova fucilazione in cui trovarono la morte i due fratelli Gandolfo e un altro civile. Il marchese Andrea Rolandi Ricci, che divenne poi commissario prefettizio della città, ne perorò inutilmente la grazia.
Luberti fu responsabile di torture, maltrattamenti, persecuzioni personali, abusi sessuali ed esecuzioni nei confronti di circa una sessantina di partigiani e di civili tanto che fu soprannominato il "boia" di Albenga. Partecipò anche a molti rastrellamenti nei comuni vicino ad Albenga. Il 13 dicembre 1944 a Lusignano fece un rastrellamento che portò all'uccisione di due civili. Fu più volte interrogata la moglie del partigiano Libero Emidio Viveri. Per costringerla a confessare dove fosse nascosto il marito, Luberti prese per una gamba Angelo il figlio duenne, tenendolo appeso nel vuoto fuori dal balcone del quarto piano, e minacciando la madre di lasciarlo cadere nel vuoto; pur non ottenendo le informazioni non realizzò la minaccia. La signora Viveri venne torturata dallo stesso Luberti e detenuta sette giorni nelle carceri di Via Trieste. Durante il processo, molti testimoni raccontano che di ritorno in gendarmeria dopo le fucilazioni, ogni volta il Luberti era solito lasciarsi andare a manifestazioni rumorose di allegria per le avvenute morti.
Molti testimoni ricordano che Luberti, la mattina, soleva leggere brani della Bibbia pur professandosi non credente, mentre il pomeriggio andava a torturare i prigionieri dentro al bunker presso la foce del fiume Centa. In uno speciale televisivo organizzato dal sociologo Sabino Acquaviva (nel 1997), ricordò con orgoglio: "Beh, certo, alla Feldgendarmerie si lavorava sodo."
Fine della guerra e primo processo
Terminata la guerra, ad Albenga, in una fossa comune alla foce del Centa vennero riesumate e identificate 59 salme. Il 10 giugno 1946 tutte le 59 bare furono portate in Piazza San Michele, ad Albenga, dove si svolse una solenne cerimonia funebre. Due lapidi vennero apposte alle pareti del bunker dove avvennero le torture e le fucilazioni: una da parte dell'Unione Donne Italiane e la seconda da parte dell'Amministrazione comunale e di varie associazioni antifasciste.
Il 25 aprile 1945 Luberti si unì alle 34° Infanterie-Division che dopo aver lasciato la Liguria si stava spostando verso il Piemonte per poi dirigersi in Germania. A Torino trovò dei falsi documenti tedeschi e si fece ricoverare per farsi estrarre una scheggia di granata, ma venne preso dagli alleati e portato nel carcere di Ivrea. Un partigiano, Bruno Schivo detto Cimitero, al quale il boia aveva ucciso il padre e la fidanzata, lo riconobbe nel carcere in mezzo agli altri, ma il comandante del campo non glielo consegnò, ritenendo che fosse un tedesco. Luberti fuggì a Portici, dove si nascose da un panettiere, e dopo qualche tempo decise di arruolarsi nella Legione Straniera. A Napoli, occupata dai francesi, gli venne detto di dirigersi verso Marsiglia per arruolarsi. Venne catturato nel 1946, riconosciuto da Bruno Mantero, un poliziotto, che si era arruolato proprio per catturare Luberti, che anni prima gli aveva torturato e ucciso il fratello accusato di essere un partigiano. Stava tentando di espatriare da Ventimiglia [...]
Redazione, Luciano Luberti, owlapps