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venerdì 24 dicembre 2021

L'alta Val Tanaro non deve essere un elemento di discordia tra partigiani

Uno scorcio di Val Casotto - Fonte: Mapio.net
 
Nella provincia di Cuneo, tra la fine del '43 e l'inizio del '44, le bande più organizzate sono quelle guidate da Ignazio Vian, l'eroe di Boves, Piero Cosa e Franco Ravinale, ufficiali dell'ex esercito. Questi, che occupano le valli Casotto, Corsaglia, Mongia, Tanaro, Ellero e Pesio, a partire dal febbraio decidono di affidare al maggiore “Mauri”, che dal dicembre guida una banda nella val Maudagna, il comando dell'area alpina. <209
[...] Per tutto il mese di gennaio, le vallate alpine vengono colpite dai tedeschi, che adottano un nuovo tipo di rastrellamento, basato sullo scontro frontale e sull’accerchiamento. Le postazioni partigiane vengono assalite, tanto da disperdere i partigiani e metterli in fuga, come documenta “Mauri” nel suo diario dopo il rastrellamento in val Maudagna, il 14 gennaio: <217
"Siamo rimasti in trentacinque. Saliamo sull'alto, al rifugio di Prel, sopra Frabosa. Ma rimanere lassù non è possibile; è un posto ideale per villeggiare, ma non va bene per fare il partigiano. Troppo lontano dalle strade". <218
Dopo il rastrellamento, “Mauri” con i pochi uomini rimasti è costretto a spostarsi in Val Casotto, e a unirsi ai gruppi lì presenti.
[...] Come “Mauri” stesso scrive nella relazione sui fatti d'arme di val Casotto, in pochissimi giorni giungono al comando «circa un migliaio di uomini che non costituivano che un peso»: <221 l'impossibilità di armarli e la previsione di un'imminente rastrellamento tedesco nella zona aggravano in questo modo una situazione già precaria. Simile circostanza si verifica presso altri comandi partigiani, come ad esempio in quelli GL posizionati in valle Stura. <222
[NOTE]
209 G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, cit., p. 319
217 Per i rastrellamenti di gennaio '44 vedi M. Giovana, La Resistenza in Piemonte, cit., p. 53, in particolare nota 26; D. L. Bianco, La guerra partigiana, cit., pp. 37-41; e 25 aprile. La Resistenza in Piemonte, ANPI Torino, Orma, 1946
218 E. Martini, Con la libertà e per la libertà, cit., p. 32
221 “Relazione sui fatti d'arme dal 13 al 17 marzo nelle valli Casotto, Mongia e Tanaro”, Dalle Langhe, 9 aprile 1944 - I° della Liberazione, in G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, cit., doc. 2, p. 340
222 M. Giovana, “Popolazioni alpine nella guerra partigiana del Cuneese”, cit., p. 89

Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013 
 
La “concorrenza partigiana” era invece determinata dalle voci, veridiche ma gonfiatesi a dismisura passando di bocca in bocca, dell’esistenza di un solido nucleo di resistenza militare attestato in Val Casotto, non lontano da Mondovì. Non furono pochi i savonesi che, fino al marzo del ’44, accorsero lassù lasciando i pochi ribelli della provincia ligure, tanto più che si vociferava di migliaia di militari italiani del Regio Esercito con armi pesanti e regolari rifornimenti aerei, comandati da ufficiali alleati. La realtà era meno rosea, e più d’uno ne fece le spese, come i vadesi fratelli Valvassura, Domenico, fucilato a Mellea di Fossano il 29 dicembre 1943, ed Enrico, ucciso a Ceva il 27 marzo 1944 <61.
61 cfr. G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Farigliano (CN), Milanostampa, 1965-69, vol. I, p. 84. Vedi ad esempio la testimonianza di Mario Savoini “Benzolo” in id., Cosa è rimasto. Memorie di un ribelle, Savona, Editrice Liguria, 1997, pp. 39-66
Stefano d’Adamo, "Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45)", Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000  

I tedeschi avevano nel frattempo posto un loro importante quartiere generale nell'Albergo Miramonti di Garessio (CN).
Da questo centro i nazisti organizzarono un forte rastrellamento contro le bande badogliane di Val Casotto, nelle quali militava anche un noto attore, Folco Lulli.
I nazisti furono, tuttavia, attaccati proprio nell'Albergo dai "ribelli", badogliani, ma non solo da questi. L'11 marzo 1944 nello scontro nella zona di Nava, nel comune di Pornassio (IM), perirono altri due patrioti imperiesi, Olivio Livio Fiorenza e Giovanni Ramò. Al fatto d'armi parteciparono partigiani autonomi di Martinengo [anche Capitano Martinengo, Eraldo Hanau] e gruppi di resistenti del posto non ancora collegati con le organizzazioni antifasciste
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
Napolitano Luigi "Gino", nato a Sanremo il 1.1.1924. Nel 1943 è militare nel Regio Esercito in Istria. Dall'8 Settembre al 15 Dicembre 1943 è nella Resistenza istriana. Dalle formazioni autonome di "Mauri" a marzo 1944 passò definitivamente alle formazioni Garibaldi dell'estremo ponente ligure. Per le sue doti di coraggio e spirito combattivo veniva subito nominato comandante di un Distaccamento che, per l'aumentato numero di volontari, divenne poi Battaglione. Come risulta da un rapporto, era considerato dai nazi-fascisti "elemento assai pericoloso". Protagonista di un gran numero di battaglie tra le quali: Carpenosa, Giugno 1944; Badalucco, 29 giugno 1944; Ceriana, Agosto 1944; Carmo Langan, 8 ottobre 1944 e febbraio 1945; Baiardo, marzo 1945. Ferito in combattimento a Baiardo. A dicembre 1944 commissario del I° Battaglione "Mario Bini" della V^ Brigata. In seguito vice comandante della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" [...]
Vittorio Detassis

[...] i tedeschi sono in agguato alla ricerca di arruolamenti di militari sbandati o fuggiti. Il compagno Pino mi ospita a casa sua. Non devo farmi vedere. I compagni cercano di farmi raggiungere i primi nuclei partigiani che si vanno formando. Vi è discussione tra i compagni, in quanto alcuni ritengono che dovrei lavorare per il P.[ artito ] in città. Insisto per andare in montagna. Prima tappa, accompagnato dal panettiere Floriardo, è Garessio, per raggiungere Valcasotto. Dopo Valcasotto, Valle d'Inferno, Trappa. Dopo uno sbandamento della formazione, raggiungo Alto e nuovamente la zona di San Remo. Il compagno Manetti Oreste mi accompagna a Molini dal farmacista, nel cui negozio ha sede di riferimento la formazione partigiana organizzata da Vittò. Gino Napolitano
(a cura di) Saverio Napolitano, Gino Napolitano, La semplicità della politica. Scritti autobiografici, lettere, immagini,  Arma di Taggia, 2012
 
Verda Francesco "Franco", nato a Pieve di Teco il 26.12.1924
Contadino, riceve la cartolina di precetto per partire militare il 5.8.43. Convalescente nell'ospedale di Pieve, non si presenta e viene considerato disertore.
Nascosto nella carbonaia dell'ospedale da una suora, sfugge all'arresto da parte dei tedeschi e, appena rimessosi in salute si rifugia con altri giovani ai casoni di Tetti Parodo, sulle alture della zona.
Da qui passa con altri a Viozene, dove c'è un gruppo di partigiani "badogliani", e poi in Val Pennavaira.
In seguito all'arresto del padre ed alla sua carcerazione nel penitenziario di Oneglia, si presenta al reparto T.O.D.T. di Albenga, e viene impiegato nella costruzione delle fortificazioni costiere.
Fuggirà definitivamente in montagna ai primi del 1944 in seguito a minacce di superiori che ne sospettavano le simpatie per i patrioti.
Dal 15 maggio al 10 ottobre 1944 farà parte delle formazioni autonome "Martinengo", nella Divisione "Mauri", brigata "Val Tanaro".
Passa quindi alle formazioni "Garibaldi" in Val Pennavaira, nella VI^ Divisione "Silvio Bonfante", II^ Brigata "Nino Berio" comandata da "Basco" Giacomo Ardissone.
Partigiano combattente, dal gennaio 1945 sarà Commissario e poi Comandante di una Squadra stanziata a Castelbianco, da dove controlla le attività antipartigiane di tedeschi e fascisti.
Partecipa costantemente alle attività militari nella sua zona operativa fino alla liberazione, quando scenderà con gli altri ad Albenga.
Vittorio Detassis
 
Levio Vitali, nato il 25 ottobre 1925 a Mezzani (Parma), nel 1942 si trasferì da Cologno Monzese alla Cascina Gaggiolo di Cernusco sul Naviglio [...] Chiamato alle armi in marina nell'estate del 1943, Levio Vitali non si presentò; si recava, invece, a Ospedaletti da un suo cugino che era lì impiegato presso la Todt, per farsi rilasciare una falsa tessera di servizio presso quell'organizzazione del lavoro. Ma il sotterfugio durò poco, perché era diventato troppo pericoloso per il cugino rinnovare la falsa tessera Todt. Così, un giorno, dopo l'8 settembre '43, Vitali non riusciva a scendere da un convoglio fermo alla stazione ferroviaria di Genova per la vigilanza di una pattuglia di militari fascisti. Un portabagagli notò i suoi tentativi: salito sulla carrozza si avvicinò al Vitali e gli chiese se era uno "sbandato"; alla sua risposta affermativa, egli gli chiese se voleva unirsi ai partigiani. Pronto a compiere quel passo, Vitali rispose di sì; allora il portabagagli, scansando la vigilanza della pattuglia fascista, lo fece scendere e lo nascose in un magazzino; giunta la notte lo portò fuori Genova, dai partigiani. Levio Vitali, salito in montagna, fu accolto da una famiglia contadina. Dopo un paio di settimane entrò in contatto con un gruppo di partigiani comunisti che operavano nell'alta Val Tanaro, in provincia di Cuneo. Il controllo di quella valle era molto importante, soprattutto per la linea ferroviaria che collega i porti di Imperia e Savona con Torino; compito prioritario dei partigiani era quello di ostacolare le comunicazioni con i sabotaggi. Tra Ormea e Bagnasco, la valle rimase per alcuni mesi sotto il controllo delle bande partigiane. Levio Vitali ricorda che in zona operò per qualche settimana, prima di organizzare la resistenza in Valsesia, anche Cino Moscatelli, che ebbe occasione di conoscere personalmente; infatti, di sera, Moscatelli teneva alle giovani reclute lezioni di politica: «Da lui ho appreso cos'era il comunismo», racconta il Vitali. Quando si seppe che i tedeschi sarebbero arrivati in forze per riprendere il controllo della Val Tanaro, Vitali e diciotto suoi compagni salirono nei pressi di una chiesetta: da lì, annidati in una grotta, puntarono sulla valle una mitragliatrice da 20 mm. Dopo diversi, cruenti scontri con i nazifascisti, la sua brigata si sciolse e Vitali, con alcuni compagni, camminando per tre notti e due giorni, si trasferì nelle alture più a ovest, in un'altra formazione garibaldina. Dopo circa un mese, quando egli e i suoi compagni ritornarono nella Val Tanaro, tutta la zona era ormai sotto il controllo delle formazioni autonome del maggiore Mauri, e così essi vennero inglobati nella 14ª brigata Val Mongia. Sul rapporto dei partigiani con la popolazione locale, Vitali dice: «Esso era di reciproco aiuto. Ad esempio, l'alimentazione di quei contadini era limitata alle castagne, al latte e al formaggio che forniva qualche capra o mucca. La fame, insomma, si faceva sentire, anche perché nelle zone dei "ribelli" non venivano mandate le tessere alimentari. Così i partigiani, che ricevevano alimenti dai contadini, contraccambiavano, appena potevano, con altri prodotti, quali lo zucchero e la pasta, presi con azioni di guerra». Vitali aveva 18 anni e in quell'anno di vita partigiana passata tra le valli del cuneese ha compiuto una ventina di azioni militari, di cui sette d'assalto. Ha visto la morte da vicino più d'una volta: in un attacco contro i fascisti della X Mas; nell'assalto a un mulino dove i tedeschi macinavano il frumento (azione pericolosissima, ma con la quale i partigiani riuscirono a impossessarsi di una notevole quantità di farina) e nell'assalto a una caserma di tedeschi. È su quest'ultima azione che egli particolarmente si sofferma:«Un mattino all'alba, saranno state le quattro, siamo andati ad attaccare i tedeschi. Tra tedeschi e fascisti, nella caserma c'erano circa 200 soldati; noi eravamo una quarantina. Circondata la caserma abbiamo aperto il fuoco; presi di sorpresa, i nemici hanno avuto molti morti. Abbiamo combattuto senza interruzione fino alle tredici. Noi abbiamo avuto sei morti, due dei quali erano stati fatti prigionieri; uno era gravemente ferito, morente; l'altro era molto giovane: i fascisti lo uccisero sotto i nostri occhi legandolo dietro un camion e trascinandolo per le vie. Fu straziante sentire le sue urla».
Giorgio Perego, Cernuschesi partigiani della montagna. Il nostro Antonio Benelli nelle pagine di Beppe Fenoglio, Comune di Cernusco sul Naviglio (MI), 2011
 
Nonostante le precauzioni dei comandi, si verificano episodi come quello di Bucciol Gino, della brigata Alta Val Tanaro, che spara per sbaglio a un proprio compagno ferendolo. Nelle dichiarazioni del Bucciol si parla di uno sbaglio, ma altre dichiarazioni e le circostanze del fatto fanno invece pensare a uno scherzo finito male.
In questi casi, la legislazione partigiana prevederebbe la pena di morte, ma la sentenza viene sospesa per richiesta di grazia al maggiore “Mauri” da parte dell'imputato. La grazia pare essere stata concessa, anche se “Mauri” in una lettera al comando della brigata val Tanaro precisa che la grazia sarebbe stata concessa solo se la II divisione Garibaldi, presso le cui file Bucciol aveva militato e compiuto «atti in corso di accertamento», avesse dato riscontro positivo. [...] “Mauri” esprime le sue preoccupazioni in una circolare del 15 giugno '44 scrivendo che con «l'afflusso di nuovi elementi é [sic] assolutamente indispensabile provvedere al loro immediato inquadramento per evitare quelle sensazioni di disordine» che danneggerebbero il movimento partigiano. Il maggiore vuole evitare che chi sale in montagna abbia «l'idea che al “ribelle” tutto sia lecito» e avverte che sarà «inesorabile contro chiunque» metta a repentaglio la vita dei suoi compagni. Persiste la paura infatti che tra i giovani saliti in montagna possano nascondersi spie o, più semplicemente, immaturi che «chiaccherano [sic] troppo», non rendendosi conto dell'insidia dell'ambiente in cui opera il partigiano. Inoltre, ragazzi giovani, per nulla smaliziati, potrebbero cascare in tranelli come quello orchestrato dalle brigate nere di Ceva, che utilizzano come spia la moglie di un comandante repubblicano facendola passare per «cugina del comandante Mauri».
Giampaolo De Luca, Op. cit.
 
Entra [Italo Calvino] a far parte di una formazione partigiana denominata Brigata Alpina, che è stanziata in località Beulla o si muove nei territori dei Comuni di Baiardo e di Ceriana. La formazione è comandata da Candido Bertassi detto "Capitano Umberto”. Calvino vi rimane finché non inizia il suo graduale sfaldamento. 
Francesco Biga, A 20 anni dalla morte del grande scrittore. Italo Calvino, il partigiano chiamato "Santiago", Patria Indipendente, 29 gennaio 2006 

Inoltre, la posizione del «Capitano Umberto» [Candido Bertassi] appare alquanto confusa con quell'aderire alla IX Brigata e, contemporaneamente, col volersi considerare autonomo. Tale aggettivo, infatti, figura sovente accanto alla denominazione della formazione «Brigata Alpina».
Questa posizione assumerà il massimo dell'anacronismo a proposito della battaglia sostenuta il 25 luglio 1944 nell'Alta Val Tanaro, quando, già costituitasi la II Divisione «F. Cascione», la I^ Brigata «Silvano Belgrano», sotto il comando del «Cion», sosterrà duri combattimenti contro i Tedeschi. In tale occasione, come più diffusamente vedremo, il «Capitano Umberto» emetterà, non si sa a quale titolo, un suo comunicato sugli scontri.
Infine, va considerato che nelle zone montane estreme della nostra provincia e di quelle limitrofe savonesi, confinanti con l'Alta Val Tanaro, sono presenti alternativamente formazioni della XIII Brigata Val Tanaro alle dipendenze di Eraldo Hanau (Capitano Martinengo), che effettuano varie azioni contro i presidi nazifascisti, soprattutto a Nava. Dette formazioni sono autonome e denominate «badogliane». Alcune bande, distanti dal loro comando centrale, passano a volte sotto l'influenza delle forze garibaldine a seconda della massiccia presenza, o meno, degli uomini di «Curto» nella loro zona.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, pp. 46,47

[...] nel corso dell'estate del '44, nella fase di espansione del movimento, i comandi [garibaldini] di divisione tentano, laddove sia possibile, di occupare nuove aree. La linea di confine tra la Liguria e il Piemonte sembra essere la sede predestinata a questo genere di confronto. Nel luglio infatti, un'unità garibaldina guidata da un certo “Bartali”, «sedicente inviato dal Comitato Ligure di Liberazione Nazionale», aveva disarmato alcuni reparti della Val Tanaro. Il comitato politico e quello militare di Torino rispondevano alla denuncia fatta da “Mauri”, assicurando di non aver mai consentito a un passaggio della val Tanaro alle dipendenze del comitato ligure e, provvedendo a denunciare il fatto alle autorità centrali, lasciava il maggiore libero di «adottare quelle altre misure contingenti che risultassero indispensabili per il ripristino della situazione».
Giampaolo De Luca, Op. cit.
 
Da almeno un mesetto la nostra squadra, vale a dire quella di Nino Micheletti, prestava servizio al posto di blocco avanzato operante sulla strada provinciale a valle di Frabosa Sottana (CN).
Verso il 24/25 settembre 1944 Micheletti venne convocato dai Dirigenti Divisionali (Cosa e Giocosa), per urgenti, indifferibili motivi.
[...] Il Comando divisionale, forse rassicurato dalla notizia che la squadra di Micheletti si era procurato tutto l’armamento rastrellando periodicamente l’area monregalese e quella tendasca, non esitò ad affidare a Micheletti e compagni il gravoso incarico di scortare i due messaggeri, Bessone e Astengo, oltralpe, per consentir loro di accedere all’aeroporto di Nizza, da pochi giorni liberata dagli alleati anglo-americani, e di lì raggiungere la meta prefissata. In realtà, i quattro partigiani della scorta, Micheletti, Mondino, A. Clerico e Maccalli, ignoravano totalmente le caratteristiche di quella zona alpina che avrebbero dovuto affrontare.
[...] Nel frattempo, prima della partenza, dietro insistenza degli stessi interessati, al nostro gruppetto vennero aggiunti una decina di militari alleati desiderosi di rientrare nei rispettivi organismi e due civili, un giornalista canadese (Morton) e l’italiano radiotelegrafista (Biagio).
[...] Partimmo da Rastello, piccolo borgo della Valle Ellero, il giorno 27 settembre 1944. A motivo delle precarie condizioni di salute del prof. Bessone, fummo accompagnati dal giovane medico monregalese Serafino Travaglio sino alla Frazione Piaggia di Briga Marittima, ove pernottammo.
[...] A Pigna ci accorgemmo che la frontiera, sia quella marina, che l’adiacente territorio montano, pullulava di militari repubblichini e di tedeschi. Noi ignoravamo al momento della partenza da Rastello, l’avvenuto potenziamento di quel tratto di confine, conseguente al recente sbarco delle truppe alleate nella vicina Provenza e la liberazione di Nizza.
[...] Ci furono due-tre giorni di combattimenti, ai quali partecipammo anche noi della Val Corsaglia. Gli assalitori, come già una quindicina di giorni prima, vennero respinti. Trascorse poche ore e ritornata un po’ di quiete, il gruppetto che aveva scelto l’espatrio “via mare”, si attivò affidandosi ai due robusti rematori citati.
[...] Dopo l’attenuarsi degli attacchi nazisti, ma ancora prima di conoscerne con assoluta certezza la fine, i Comandanti locali (Curto e Vittò) ci consigliarono fraternamente, per non mettere in gioco la nostra esistenza, di abbandonare la Valle e ritornare nella nostra Divisione monregalese.
Nel ringraziarci per la collaborazione prestata, espressero gratitudine e riconoscenza al Capitano Piero Cosa ed alla Valle Corsaglia per il grande aiuto concesso alle loro Formazioni in un momento tragico e disperato.
Decidemmo di rientrare. Insieme a noi c’erano 4/5 superstiti alleati che avevano rifiutato di tentare il passaggio della frontiera italo-francese.
Luigi Mondino, L'avventura della squadra Micheletti, in Libertà dal Popolo, Notiziario della F.V.L., n° 2 del 2010
 
Dopo diverse ore di cammino tra il 18 ed il 19 ottobre 1944 i partigiani giunsero a gruppi a Fontane, [Frazione di Frabosa Soprana (CN)].
I comandanti iniziarono a smistare gli uomini, che poterono usufruire delle scorte alimentari, delle coperte e degli abiti, che il garibaldino Domenico Arnera (Aldo) aveva da mesi con impegno e sagacia messo da parte nelle vicinanze. Arnera, capo di Stato Maggiore della I^ Brigata "Silvano Belgrano", a quel tempo ancora incorporata nella II^ Divisione, venne arrestato in Val Tanaro il 18 dicembre a seguito di un'involontaria delazione e fu fucilato a Mondovì (CN) il 27 dicembre 1944. A lui venne intitolata la IV^ Brigata della nuova Divisione "Silvio Bonfante". Si presero contatti anche con le formazioni autonome di "Mauri".
Rocco Fava, Op. cit. , Tomo I
 
Un vero e proprio passaggio è quello che interessa il gruppo di Arturo Pelazza. Fino alla fine di settembre [1944], la banda, che opera nella zona intorno a Ormea, fa parte delle formazioni garibaldine dell'Imperiese, presumibilmente della Divisione “F. Cascione”. Da una comunicazione di “Mauri” a Ezio Aceto, comandante della IV divisione Alpi, si evince che Pelazza ha chiesto direttamente al secondo di poter entrare a far parte delle autonome. “Mauri” non ha nulla in contrario, ma, come nel caso di “Bacchetta” e di Montefinale, agisce con prudenza nei confronti dei comandi garibaldini. Gli uomini del Pelazza possono essere inquadrati purché dichiarino che intendono passare a far parte delle formazioni “Autonome” e abbiano il nullaosta del Comando Garibaldino. “Mauri”, che nello stesso periodo sta vivendo insieme le conseguenze della cattiva gestione della vicenda "Devic-Biondino", l'esplosione dei contrasti nell'Astigiano per il caso Scotti e l'inizio del dissidio con Cosa  per l'inquadramento delle loro brigate nelle formazioni autonome, sembra ormai aver adottato e accettato le disposizioni del comitato, rinunciando, almeno per il momento, alla creazione di un organismo fuori dai partiti del CLN. D'altra parte, il rapido procedere degli eventi crea un crescente fermento nelle formazioni partigiane del basso Piemonte [...] Nel corso dell'inverno i continui sbandamenti mettono in allarme i diversi gruppi, che vivono nascosti nei paesi di montagna per sfuggire ai rastrellamenti tedeschi. La situazione di tensione è riportata anche da episodi come quello che coinvolge “Primo” Rocca e reparti della II divisione Langhe. Questi ultimi, in seguito a un'azione compiuta dai tedeschi nella zona di Rocca, accorrono in suo aiuto. Qui però vengono accolti da un'imboscata compiuta dagli stessi garibaldini di Rocca, che nella confusione, temendo un ritorno dei tedeschi, avevano scambiato i reparti autonomi per nemici. <795
Nel mese di novembre, “Mauri” e i suoi sono costretti a rifugiarsi nella zona della VI divisione Garibaldi, non ancora colpita direttamente dai rastrellamenti. Qui affluiscono anche sbandati dalla Liguria e da Asti, già raggiunte dalle operazioni tedesche. <796 Dopo pochi giorni i partigiani radunati a Feisoglio, sede del comando della VI divisione, sono costretti a rifugiarsi altrove.
[NOTE]
795 La sera del 5 dicembre, sulla strada che Canelli-Nizza, una pattuglia del reparto della II divisione «viene investita da raffiche di sten operate da un posto di blocco garibaldino […] senza che fossero richiesti la parola d'ordine e intimato il chi va là». Nello scontro muore purtroppo un partigiano autonomo e viene ferito gravemente il padre di “Poli”, “Appendice all'attività svolta dalla II^ divisione Langhe nel mese di dicembre 1944 (azioni non comprese nella precedente relazione)”, f.to “Mauri”, in AISRP, B 45 b
796 Garibaldini provenienti dalla Liguria: «Nella Valle Bormida sono pure giunti centosessanta garibaldini della 5ª brigata ligure con parte del Comando. Anche loro hanno subito forti attacchi ed hanno dovuto sganciarsi. Abbiamo provveduto per quanto loro abbisogna, viveri e alloggiamenti, resta però inteso che appena la situazione lo permette ritorneranno alle loro basi», “Cari compagni”, 11.12.44 in C. Pavone (a cura di), Le Brigate Garibaldi, Vol. III, cit., doc. 482 “Il commissario politico della 6ª divisione Langhe, Remo, alla Delegazione per il Piemonte”, p. 57

Giampaolo De Luca, Op. cit.
 
19 aprile 1945 - Dal Comando [comandante Curto Nino Siccardi] della I^ Zona Operativa Liguria al comandante Martinengo [Eraldo Hanau, della Brigata 'autonoma' Val Tanaro della IV^ Divisione Alpi del Iº Gruppo Divisioni Alpine 'autonome' che facevano riferimento al maggiore Enrico Martini 'Mauri'] -  Si rispondeva ad una comunicazione affermando che "l'offerta delle munizioni per i St. Etienne è la più bella dimostrazione dello spirito di collaborazione e amicizia che ci lega e che deve essere sempre più perfezionato. L'alta Val Tanaro non deve essere un elemento di discordia, ma il campo per la lotta comune per poi ricostruire insieme la pace".
19 aprile 1945 - Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria al comandante della IV^ Divisione  'autonoma' Alpi - Venivano affrontati diversi aspetti. Che il capitano Bentley [ufficiale alleato di collegamento con la I^ Zona] aveva richiesto le armi nascoste a Viozene. Che le armi, anche se recuperate, non erano mai state consegnate al richiedente. Che non era veritiera l'affermazione del "maggiore" secondo la quale "disposizioni superiori stabiliscono che tutto il Piemonte è di giurisdizione dei gruppi 'Mauri'. Che le suddivisioni amministrative non risultavano attendibili quanto "la demarcazione fisica" rappresentata dalle Alpi. Che tutta la zona a sud delle Alpi era indispensabile alle formazioni Garibaldi per poter difendere l'Alta Val Tanaro. Che nella Val Tanaro le richiamate organizzazioni autonome non avevano organici sufficienti per procedere ad un'adeguata occupazione del territorio. Che di conseguenza lo scrivente comando della I^ Zona aveva deciso di fare agire alcune sue strutture nella zona di Garessio-Ormea-Ponti di Nava. Che prendeva nota del desiderio di collaborare fraternamente nella lotta. Che il capitano Bentley era già addivenuto tramite incontro ad un accordo con la missione inglese presso le formazioni 'Mauri' per ottenere una proficua collaborazione più generale.
19 aprile 1945 - Dal Comando [comandante Curto Nino Siccardi] della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione d'assalto Garibaldi "Silvio Bonfante" - Segnalava che aveva stabilito di inviare presso le formazioni 'Mauri'  un ufficiale di collegamento, pensando di conferire tale incarico a Giovanni 'Gino' Fossati, comandante della II^ Brigata "Nino Berio", da sostituire con Giacomo 'Basco' Ardissone o "altro elemento capace".
23 aprile 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che "data la particolare situazione creatasi ad Oneglia e lungo la strada n° 28 la squadra partita per ritirare le munizioni presso 'Martinengo' [Eraldo Hanau, comandante della 13^ Brigata 'autonoma' Val Tanaro del gruppo divisioni alpine guidato dal maggiore Enrico Martini 'Mauri'] non ha potuto effettuare l'azione".
1 maggio 1945 - Dal comando della IV^ Brigata "Domenico Arnera" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della IV^ Divisione Autonoma "Alpi" - Comunicava che i Distaccamenti della IV^ Brigata "Domenico Arnera" sarebbero rimasti per ordine del comando della VI^ Divisione in Alta Val Tanaro finché il Comando Unificato non avesse disposto altrimenti, criticava il termine "arbitrariamente", aggiungeva che l'Italia era finalmente libera per cui era naturale che formazioni partigiane di diversa estrazione collaborassero nella stessa zona, ricordava che le formazioni partigiane [secondo gli autonomi, quelle garibaldine] "arbitrariamente" presenti in Val Tanaro erano quelle che avevano provocato maggiori danni ai nemici, rimarcava che un Distaccamento della IV^ Divisione Autonoma "Alpi", stanziata a Nava, intendeva comandare in Alta Valle Arroscia [zona di competenza dei garibaldini].
da documenti Isrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), “La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

domenica 28 novembre 2021

Il comando partigiano si spostò a Poggio Bottaro

Poggio Bottaro, Frazione di Testico (SV)

Verso la sera del 26 gennaio 1945 il Distaccamento "Giuseppe Catter" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della Divisione "Silvio Bonfante" si portò con una marcia di quasi cento chilometri dalla Val Pennavaira alle pendici del Monte Torre. Giunti nei pressi della Cappella Soprana di Stellanello (SV), quattro garibaldini si accantonarono in un casone da cui avvistarono una colonna della Divisione repubblichina Monte Rosa.
Il commissario Gapon Renzo Scotto, il caposquadra Bruno Bruno Amoretti, i partigiani Marat Renzo Arbotti e Franco Dante del Polito combatterono eroicamente uccidendo il tenente a capo del pattuglione nemico, un sottufficiale e 4 soldati. Nel corso dello sganciamento morì Marat per le ferite riportate nello scontro.
[...] Durante le prime ore dell'11 febbraio 1945 una colonna di soldati tedeschi operò un rastellamento nella zona di Aurigo nella Valle del Maro, parte orientale della provincia di Imperia.
Il nemico riuscì ad accerchiare il Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della Divisione "Silvio Bonfante", il quale si sottrasse all'attacco ma riportando un morto ed un ferito grave.
I nazisti subirono "dure perdite di cui non è possibile accertare l'entità".
[...] La sera del 12 febbraio, inoltre, un altro contingente di soldati tedeschi abbandonò la provincia dirigendosi in Piemonte.
Si trattava degli uomini del presidio di Borgo di Ranzo, che era l'unico rimasto in Valle Arroscia dopo i rastrellamenti di fine gennaio 1945.
Con la partenza di questi militari la zona Ortovero (SV)-Vessalico (IM) risultava sgombera, tanto che 'Pantera' [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] potè scrivere: "la situazione nemica nella zona della Divisione è molto precaria. I tedeschi si schierano lungo le vie di comunicazione principali allo scopo di proteggere il transito delle colonne ripieganti".
Infatti, i nazisti rinforzarono i presidi di Pieve di Teco e di Garessio (CN), paesi posti rispettivamente a sud e a nord del Colle di Nava lungo la statale n° 28.
[...] Elenco dei caduti della Divisione Bonfante nei primi giorni di febbraio 1945: Mario Michele Miscioscia (Mario), Redavelli, "Marat" [Renzo Arbotti, nato a Reggio Emilia nel 1920], Giuseppe, "Assassino" [Calcedonio Riccobono], "Brescia" [Matteo Zanoni], "Raspin" [Franco Piacentini], "Villa" [Antonio Gioffé], "Luis" [Luigi Vaghi], "Stendal", Gioé" [Joe, Giorgio Parmeggiani], "Lorano", "Bagatto" [Antonino Amato].
Rocco Fava di Sanremo (IM), “La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)” - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

14 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava un rastrellamento avvenuto nella zona del I° Distaccamento con i nemici che arrivavano da tre direzioni, da Via Colletto di Pairola, da Diano Castello e da Chiusavecchia e che, individuato il nascondiglio i nemici, avevano prelevato 5 garibaldini in seguito fucilati a Chiusavecchia: Raspin, Luis, Stendhal, Joe ed un certo Villa.

14 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Relazione sull'attività svolta a gennaio dai Distaccamenti dipendenti dalla Brigata, nella quale si riferiva che il 9 gennaio 1945 una squadra sulla strada 28 nei pressi di Pontedassio aveva attaccato una pattuglia tedesca, uccidendo 3 soldati e ferendone 2; che il 20 una squadra al comando di 'Gordon' [Germano Belgrano] aveva assalito una pattuglia tedesca uccidendo un soldato; che, ancora il giorno 20, il Distaccamento "Giovanni Garbagnati" aveva ferito 2 tedeschi facendo scoppiare delle mine.

14 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 116, al comando della I^ Brigata - Convocazione del comandante "Mancen" [Massimo Gismondi] e del commissario "Federico" [Federico Sibilla] per concertare l'impiego di alcuni Distaccamenti.

14 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Informava che presto avrebbe potuto avere luogo un lancio di materiale nella zona indicata da quel comando di Divisione, ma aggiungeva che occorrevano dati più precisi sulla natura del terreno, sulla distanza dai presidi militari più vicini e dalle abitazioni. Concludeva invitando a comunicare la lista del materiale ricevuto, per il quale aggiungeva la raccomandazione di un trasferimento in luogo sicuro.

15 febbraio 1945 - Dal comando della I^ brigata al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva dell'attacco subito il 9 gennaio 1945 dal Distaccamento "Giovanni Garbagnati" a Casanova Lerrone (SV) ad opera di reparti della Divisione repubblichina "Monterosa" e di quello del 27 gennaio, effettuato da reparti sia della "Monterosa" che della "Muti", che aveva causato la morte dei partigiani Mario Longhi (Brescia) e Silvio Paloni (Romano).

15 febbraio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Silvio Torcello" della III^ Brigata Garibaldi "Libero Briganti" della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che 6 ex appartenenti alla Brigata scrivente, fuggiti a dicembre dopo il rastrellamento nemico, razziavano, continuando ad autodefinirsi garibaldini, civili, per cui, siccome "da ottime segnalazioni" risultava che i 6 si aggirassero nella zona della Bonfante, si chiedeva di arrestare quei sei, "Maciste", "Salvatore", "Cancarin", "Morello", "Brindisi", "Pianta", e di trasferirli nelle mani della Briganti.

15 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", Sezione SIM, a "Citrato" [Angelo Ghiron] - Comunicava che era stato nominato vice responsabile del servizio SIM e che in tale veste avrebbe dovuto "carpire notizie" sulle truppe tedesche dei vari presidii ed in transito sulla Via Aurelia, con particolari indagini sul semaforo di Capo Mele e sui posti di ascolto di Albenga (SV), Alassio Capo Mele e Capo Berta, nonché scoprire se il fiume Centa [ad Albenga] era nel suo ultimo tratto minato.

15 febbraio 1945 - Dal comando della I^ brigata "Silvano Belgrano" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Avvertiva che la famiglia di "Elettrico" aveva comunicato che l'abitazione era stata perquisita dai fascisti, che avevano asportato anche delle fotografie del partigiano.

15 febbraio 1945 - Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Trasmetteva i ringraziamenti del "Capitano Roberta" [Robert Bentley, ufficiale alleato di collegamento] per la prontezza con cui il comando della Divisione aveva realizzato il collegamento con il colonnello Stevens ed il suo impegno a fare prendere in considerazione l'ipotesi di bombardare Ormea (CN), "in cui si trovano importanti obiettivi militari" e ribadiva la necessità di fare propaganda tra i soldati repubblichini per indurne il più alto numero possibile a passare con le armi nelle fila della resistenza.

da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II


Il 18 febbraio giunse a tutti i distaccamenti il proclama del comando della Bonfante:
«Garibaldini, ormai insistente è la voce messa in giro dai nostri nemici, dai loro giornali, dalle loro radio, che i partigiani sono stati distrutti. Gongolano nelle loro caserme i traditori repubblicani. Abbiamo distrutto i partigiani e i nuovi partigiani, quelli che saranno stati i più furbi, saremo noi! Essi dicono. Così questi bastardi insultano i nostri morti, così questi rapinatori, che la nostra popolazione ha ben dolorosamente riconosciuti, credono di aver trovato la loro salvezza nel nostro sangue. Ma non è per loro che sono caduti i nostri compagni.
Tedeschi e fascisti sono riusciti a cacciarci dai paesi e ci siamo rifugiati nelle capanne, ci hanno incendiato le capanne, ma abbiamo dormito nella neve. Nulla potrà mai la loro ira bestiale contro la nostra fede. Sono i nostri caduti che ci indicano la via da seguire, sono i nostri fratelli che giacciono a centinaia nei crepacci gelati del Mongioie, ancora stretti l'uno all'altro per mano, quelli che riposano sotto la neve a piccoli gruppi e sparsi lontano a passo Saline.
Aspettare con calma, come belve in agguato, questo è il nostro compito ora. Rivelarci è fare il gioco tedesco. Troppo vale per loro aver la strada della ritirata libera, quella strada che hanno agognato per sei anni per non usare ogni mezzo per raggiungere i loro scopi. Invece dobbiamo aspettare silenziosi, non visti da nessuno, ignoti. E poi scatteremo con la violenza della nostra passione, con i nostri vent'anni, in giù verso il mare, combatteremo ovunque, nessuna tregua daremo ai fascisti, ai traditori, a tutti coloro che hanno tradito il popolo, che hanno scavato trincee contro di noi. E tutta questa sbirraglia, quando si sentirà ormai sola, senza l'appoggio tedesco, cadrà ai nostri piedi implorando quella pietà che loro hanno cancellato dalla nostra anima. Un pugno d'acciaio tratterà i vinti. Guai a loro!
Garibaldini! Questo è il momento del silenzio, dell'attesa! Ogni imprudenza può rovinare i nostri piani. Sparite dai paesi, marciate solo di notte. Eseguite gli ordini con la massima esattezza. Siete rimasti in pochi, i migliori. Unici tra le formazioni partigiane siamo riusciti con la nostra tattica ed una buona applicazione degli ordini a superare questo periodo tremendo con pochissime perdite che sarebbero state irrisorie se gli ordini fossero stati eseguiti a   tempo, anche là dove ciò non è avvenuto.
In alto gli sguardi, la nostra ora non può tardare. Morte all'invasore tedesco! Morte ai traditori!
P.S.: Distruggete il presente appena data lettura nei distaccamenti.
Il COMANDANTE
Giorgio [Giorgio Olivero
Dal proclama [n.d.r.: documento (Isrecim in Rocco Fava, Op. cit.) in data 17 febbraio 1945, Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 124, a tutte le formazioni dipendenti] di Giorgio possiamo vedere quale era lo stato d'animo del Comando e di parte della Bonfante superato il rastrellamento, quali erano le direttive immediate, quale il giudizio che dava il Comando sul rastrellamento.
Malgrado le recenti prove subite si vede che il dramma dei badogliani di Fontane era sempre assai vivo nel nostro cuore che non dimenticava il sacrificio di tanti fratelli di lotta.
Le direttive della  tattica invernale semicospirativa venivano ribadite e rafforzate nella loro necessità dalla recente esperienza.
Più importante è l'ultima parte del proclama: le nostre perdite erano state esigue ed avrebbero potuto essere minori: merito degli ordini dati e colpa degli errori fatti.
Più di due terzi delle perdite ci furono inflitte infatti nel primo giorno. Ciò è imputabile al mancato funzionamento delle sentinelle di Degna, alla inerzia delle staffette del recapito e di ciò non è responsabile il Comando divisionale. E' imputabile al mancato pattugliamento della cresta che era stato ordinato alla III Brigata e di ciò è responsabile Fra' Diavolo [Giuseppe Garibaldi] che disse a sua discolpa che aveva gli uomini senza scarpe idonee. In realtà vedemmo come il 19 gennaio fossimo alla ricerca affannosa di una partita di scarpe.
La sorpresa è imputabile al tradimento di Carletto [Amleto De Giorgi, un ex partigiano passato alle dipendenze della Feldgendarmerie di Albenga] che condusse le colonne nemiche alle spalle dei nostri, che segnalò l'intendenza di Ubaghetta, ciò il comando avrebbe potuto impedire sopprimendo Carletto senza indugio la sera del processo. E' però da tener presente che, anche in tale ipotesi, parte delle informazioni Carletto le aveva già date. Sarebbe stato bene cambiare posizioni alle intendenze: ed alle squadre e ciò non venne fatto. Se i partigiani avessero  adottato già in precedenza le misure precauzionali prese in seguito, avessero dormito nei rifugi o all'aperto, la sorpresa sarebbe mancata. La data precisa del rastrellamento era stata comunicata alle bande, bisogna però riconoscere che  erano mesi che la minaccia si rinnovava periodicamente.
Un buon servizio di guardia avrebbe potuto salvare le squadre? Forse, ma sarebbe stato necessario che le sentinelle fossero numerose e controllassero tutte le vie di accesso e poste in modo tale da avvistare il nemico a sufficiente  distanza, in modo da dare il tempo ai compagni di prepararsi a resistere o ad occultarsi. Ciò non era mai stato nelle abitudini partigiane ed era ancor più difficile ora con le squadre ad effettivi ridotti.
«Se pensassimo che ogni notte rischiamo la vita e che il nemico può ucciderci nel sonno non chiuderemmo occhio», mi disse un partigiano in quei giorni. L'abitudine al pericolo era un bene, perché altrimenti la nostra vita sarebbe diventata insostenibile; era però un danno perché ci portava a trascurare precauzioni essenziali. Era necessario arrivare ad un compromesso che fu raggiunto da qualche banda e solo in parte, tra queste fu il Garbagnati.
Se le squadre di Bosco e di Degolla avessero avuto la combattività del Garbagnati o del Catter avrebbero potuto sganciarsi? Forse a Degolla Franco con i suoi tentò un'estrema difesa. Il fatto però che due terzi degli effettivi venissero fucilati a Pieve di Teco fa supporre che dopo la morte di Franco la lotta disperata venisse abbandonata.
L'esempio della banda di Stalin [Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano"] ci fa pensare che una decisione estrema avrebbe permesso uno sfondamento, sicuramente avrebbe inflitto al nemico perdite gravi.
Bisogna però riconoscere che quei di Bosco e Degolla non disponevano del volume di fuoco del Garbagnati e vennero colti completamente di sorpresa, perché nessuno di loro sospettava un attacco alle spalle, ciò non accadde più alle altre bande.
Avrebbe potuto il nemico infliggerci perdite maggiori, annientarci?
Commise errori gravi e fatali alla buona riuscita dell'operazione?
Non credo. Se avesse prolungato il rastrellamento nel tempo, se avesse intensificato le puntate, adottato la tattica della controbanda certo la nostra situazione si sarebbe aggravata, ma tenendo conto che la sorpresa del primo giorno non poteva ormai più ripetersi, che la probabilità di incontrare i partigiani in transito sulle mulattiere era minima, credo di poter concludere che le nostre perdite non sarebbero state molto maggiori.
Avrebbe potuto crollare il nostro morale? Portarci allo sbandamento definitivo, alla resa? Non era la minaccia di un rastrellamento, sempre limitata nel tempo,    che avrebbe potuto piegarci.    
Ricordo una minaccia ben più grave che mi aveva fatto meditare in quei mesi. Ero a Pairola per Natale, quando era giunta la notizia della controffensiva tedesca sul fronte belga. Le notizie come al solito erano state ingrandite, si diceva cbe i tedeschi avessero sfondato e puntassero sul mare e su Parigi, che avanzassero anche sul nostro fronte ed avessero ripreso Nizza, che avessero impiegato nuove armi misteriose e decisive.
«Che farai figlio? - mi chiese mia madre portandomi queste belle notizie - se i tedeschi vinceranno ci sarà sicuro qualche amnistia e tu potrai tornare a casa». Sentii un brivido interno. In tanti mesi non avevo mai considerato l'ipotesi di una vittoria tedesca.
«Vedremo - risposi - non è ancora detto che vincano. Una sola cosa posso dirti fin d'ora, se dovessero vincere a casa non ci torno mai più. Cercheremo di sconfinare in Francia, piomberemo su Oneglia e ci impadroniremo di qualche nave per andare in Corsica, ma la resa mia e dei miei compagni non l'avranno mai». Sentivo che se non proprio tutti, la maggioranza l'avrebbe pensata come me.
Il nostro morale malgrado tutto era ancora abbastanza saldo per non considerare la possibilità di una resa. Certo, senza il bando emesso nelle vallate, molti partigiani sarebbero tornati alla vita civile, si sarebbero confusi con i giovani che lavoravano nei paesi, ma finito il pericolo, forse dopo soli pochi giorni, sarebbero riaccorsi nelle bande. Il nemico ci aveva tolto anche questa possibilità contribuendo a mantenerci uniti, armati e vigilanti.
Il nemico fu sorpreso di non scontrarsi con uno schieramento difensivo, di non subire un contrattacco organizzato: i Cacciatori degli Appennini erano un corpo specializzato in rastrellamenti: era la prima volta, dicevano, che i  partigiani non reagivano. Un nostro contrattacco fu temuto a lungo, ciò impedì al nemico di aumentare il numero dei presidi a scapito della loro forza numerica, di operare in colonne più numerose, ma meno forti, di disperdere sentinelle e pattuglie a tutti gli incroci, sui passi, nei passaggi obbligati, occultandole e tendendoci agguati.
Il nemico comprese che i colpi che ci aveva inflitto avevano eliminato due o al massimo tre squadre e che tutte le altre nostre bande erano intatte ed inafferrabili. Non comprese la nostra tragica debolezza, la mancanza di capi, di armi e di collegamenti.
Certo che se avessimo usato di tutte le nostre forze, se tutte le bande, le squadre ed i partigiani isolati avessero sempre agito con freddezza e coraggio come i quattro di Cappella Soprana ed avessimo attaccato il nemico ad ogni occasione, avremmmo potuto infliggergli duri colpi se avesse commesso l'imprudenza di lasciare nuclei esigui ed isolati. Ciò lo indusse alla prudenza e contribuì alla nostra salvezza.
Il nemico volle attaccarci contemporaneamente alla Cascione per impedire uno spostamento, un appoggio reciproco che in pratica non sarebbero stati possibili, ciò ridusse gli effettivi impiegati.
Questo il giudizio che è possibile dare del rastrellamento di gennaio, atteso da molti mesi come il colpo di grazia della Bonfante.   
In conclusione le nostre possibilità di resistenza avevano superato le previsioni.
Terminato il rastrellamento, il Comando cercò di prendere in mano la Divisione. Giorgio e Boris [Gustavo Berio, vice-commissario della Divisione] tornarono dal territorio della Cascione confermati nei loro incarichi. In base a quali elementi il Comando Zona abbia operato la sua scelta  non saprei dire. E' probabile che abbia tenuto conto che le difficoltà erano sorte in massima parte proprio per la decisione di Giorgio di rendere operanti le circolari e le disposizioni del Comando Zona, sostituirlo avrebbe minato per sempre l'autorità dei comandi superiori. Giorgio, Boris e Pantera [Luigi Massabò, vice-comandante della Divisione] si unirono al S.I.M. nella sede di Poggiobottaro o Poggio Bottaro, nel comune di Testico (SV)], che d'ora in avanti sarà la nuova base clandestina del Comando della Bonfante. Osvaldo [Osvaldo Contestabile], ancora malato, venne ricoverato  a Meneso presso privati e sostituito da Mario [Carlo De Lucis, commissario]  [...]
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980,  pp. 163-167

Negli ultimi giorni di gennaio [1945] in una meravigliosa giornata di sole (con noi c'era anche Rustida [Costante Brando] che coi suoi ci aveva nel frattempo raggiunto) andavamo verso Nasino [(SV)] senza nessuna meta particolare, quando vediamo venire verso di noi un uomo. Lello [Raffaele Nante, in seguito vice comandante della IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Domenico Arnera" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] con il suo solito umorismo dice: «Sento odore di C.L.N. Questo qua è uno di loro».Quando lo incrociamo si ferma e domanda di Fra Diavolo [Giuseppe Garibaldi, già a capo nell'autunno 1943 di un piccolo gruppo partigiano in Cipressa (IM), poi comandante della IV^ Brigata]. A mia volta gli chiedo cosa vuole.  Replica che può dirlo solo all'interessato.Uno dei ragazzi allora gli chiese se era del C.L.N. di Albenga [(SV)] e lui rispose di no, che era un rappresentante del C.L.N. di Ormea [(CN)]. Tutti scoppiammo in una grossa risata, che disorientò alquanto il nostro amico.Allora mi presentai e gli spiegai il motivo di tanta ilarità. Ci aveva portato alcuni pacchetti di sigarette e ce li offrì. Mi appartai con lui, che era latore di una lettera del Comandante della I^ Zona Liguria, una lettera di Curto [Nino Siccardi]. Prima di aprirla gli chiesi se ne conosceva il contenuto. «Parzialmente sì» mi rispose. Gli dissi che quello che non conosceva non mi interessava, perché certamente sarebbero state parole poco lusinghiere per me. Aggiunse che era certo che mi sbagliavo e iniziò a spiegarmi il perché della sua visita.Il Comitato Liberazione Nazionale di Garessio [(CN)] e quello di Ormea [(CN)] avevano deliberato di dar vita ad una formazione Garibaldina Ligure-Piemontese che operasse nell'alta Val Tanaro e nell'alta Val d'Arroscia, nella quale far confluire tutti i giovani desiderosi di combattere contro i tedeschi e i fascisti, ma che per vari motivi non intendevano farlo nelle formazioni Autonome (che noi allora chiamavamo Badogliani, come loro ci chiama­vano Stelle Rosse). Tradotto in pratica, tutto questo poteva voler dire che gli Autonomi non davano grande importanza al C.L.N. e che, per questo motivo, molto probabilmente, lo stesso aveva deciso di creare o di favorire la formazione di una Brigata garibaldina. E proprio a me, che ero il «rompiballe» della I^ Zona Liguria, affidava la gatta da pelare. Giuseppe Garibaldi (Fra' Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994, p. 166

martedì 31 agosto 2021

Giunge voce che i tedeschi, scesi dal San Bernardo, si stiano dirigendo verso Garessio

La stazione ferroviaria di Pievetta, Frazione di Priola (CN) - Fonte: Wikipedia

Il distaccamento “Volantina” si trovava a Pievetta, tra Priola e Bagnasco, lungo la statale 28 Ormea-Ceva. Quando una colonna tedesca guidata da due autoblindo cercò di raggiungere Garessio ebbe inizio un conflitto a fuoco che vide gli uomini di Massimo Gismondi "Mancen" in evidente inferiorità di uomini e di mezzi. Durante il combattimento venne ferito in modo serio il caposquadra Agostino Moi. Mancen capì che le condizioni non gli permettevano di portare al sicuro il suo uomo e decise di nasconderlo sul posto per poi tornare a riprenderlo. I partigiani si ritirarono e i tedeschi entrarono in paese. All'improvviso, due aerei alleati attaccarono i reparti motorizzati nazisti sulla strada proveniente da Ceva; un'autoblinda venne colpita e la colonna sbandò: questo permise all’intero reparto partigiano di disimpegnarsi e attestarsi sulle alture. Nella notte tra il 25 ed il 26 luglio 1944 Mancen ritornò insieme a un gruppo di volontari, ma le ricerche di Moi furono vane. Il suo corpo venne ritrovato casualmente soltanto nel 1976 da un contadino di Pievetta e riconosciuto dalla sorella per i due denti d’oro presenti sui poveri resti.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, Edito dall'Autore, 2020

[ n.d.r.: tra i lavori di Giorgio Caudano: a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016  ]   
 
Pievetta. Fonte: mapio.net

Siamo al primo mattino del 25 luglio 1944. Giunge voce che i tedeschi, scesi dal San Bernardo, si stiano dirigendo verso Garessio, mentre un altro reparto, già in sosta a Ceva, si sta avviando verso l’Alta Val Tanaro, controllata da oltre un mese da un gruppo partigiano che ha stabilito un piccolo presidio in Pievetta, frazione di Priola. Verso le ore 16:00 in paese si sentono  raffiche di mitraglia provenienti dalla strada di Roccaprencisa, distante circa due Km dall’abitato  di Pievetta. Si tratta di un attacco partigiano, durante il quale resta ucciso un soldato tedesco. La popolazione di Pievetta, poco più di 550 anime, in massima parte donne e anziani, è in subbuglio. Chi può scappa nei boschi, altri si rifugiano nelle cantine. Intanto la colonna tedesca munita di carri armati e mortai continua l’avanzata verso il paese e, senza un apparente motivo, inizia la terribile rappresaglia. Fuoco dei mortai e raffiche di mitra contro la Chiesa e le case circostanti, bombe a mano lanciate a casaccio nelle finestre delle case e nei cortili terrorizzano la popolazione, causando anche le prime vittime. Dopo questa prima esibizione selvaggia, segue il rastrellamento di uomini, donne, bambini. Mentre i primi vengono rinchiusi in una cappella sconsacrata, donne e bambini sono condotti in Chiesa e, nella notte, rilasciati. 26 luglio 1944. Di prima mattina viene chiesto agli uomini, ai quali si è già lasciato capire che saranno destinati a un “campo di lavoro”, se “sono pronti a partire”. Alla loro risposta affermativa, sono fatti uscire e viene formato un gruppo di nove uomini tra i 28 e 65 anni che, avviati verso un prato, a circa 50 mt. dalla chiesa, vengono trucidati a raffiche di mitra alla nuca. In concomitanza a questo terribile evento, altri sono assassinati nelle case o per le strade mentre viene appiccato il fuoco a fabbricati rustici e civili. Entrano nella Casa Canonica dove, non trovando l’Arciprete, freddano suo padre di 68 anni che stava dormendo e poi incendiano il letto. Di lui non rimane neppure il cadavere. E il massacro di innocenti continua fino al pomeriggio. Contemporaneamente squadre apposite iniziano a incendiare le case, in breve il fuoco si propaga ovunque. E’ vietato ogni tentativo di spegnimento. Colonne dense di fumo si innalzano verso il cielo e ricoprono la vallata per vari chilometri. Vecchi, donne e bambini sono obbligati a lasciare il paese, mentre l’opera di distruzione viene ripresa con più metodico accanimento. 27 luglio 1944. Le rovine delle case fumano ancora, i morti giacciono insepolti nei prati, sulla strada, nelle case. E’ terribile il bilancio di queste giornate: un villaggio di circa 550 abitanti e 80 case viene punito, senza motivo, con 18 vittime e 50 fabbricati distrutti. Le vittime assassinate il 25 luglio: Bonardo Vincenzo di anni 60 vedovo (pensionato ex ferroviere). De Matteis Domenico di anni 43 coniugato con tre figli (falegname). Facchinetti  Marino di anni 35 celibe (capostazione). Guido Luciano di Berna di anni 33 coniugato con un figlio (operaio ferroviere). Roberi Natale di anni 60 coniugato con cinque figli (contadino). Bertino Pietro di anni 28 celibe (studente) . Massironi Guglielmo di anni 39 celibe. vittime correlate all'eccidio Roberi Natale di anni 61 coniugato con tre figli (contadino), ucciso la sera precedente; Roberi Vincenzo di anni 79, coniugato con due figli (contadino),oppresso dall'asma,muore colpito da una bomba a mano scagliata dalla finestra; Roberi Mario e Alfonso di anni 45 e 41 (contadini), sorpresi intorno alla salma del padre, vengono trascinati  attraverso l'aia nel vicino seccatoio, sono trucidati in presenza dei famigliari; Canavese Giuseppe di anni 35 coniugato con 4 figli (contadino), tornato al paese per vedere la famiglia , viene ucciso sul pianerottolo di casa; Bruno Giuseppe di anni 57 coniugato con 2 figli (contadino), dopo essere uscito dal fienile nel quale si era nascosto, viene sbeffeggiato e in seguito ucciso Roberi Benone di anni 52 (contadino), mentre tenta di trarre in salvo il bue, viene ucciso e il suo cadavere viene rinvenuto bruciato e irriconoscibile; Civalleri Paolo di anni 68 (padre del parroco), viene ucciso nel suo letto e in seguito bruciato, lasciando di lui solo pochi resti; Francesia Carlo di anni 41 (invalido), menomato di un braccio, pensa di essere risparmiato per la sua condizione, viene ucciso spietatamente.
Redazione, in memoria degli "Altri" dal 25 al 27-07-1944 Pievetta, VB Studio Fossano
 

Fonte: VB Studio Fossano cit. supra

Dal 25 al 29 luglio 1944 l’Alta Valle Tanaro, in provincia di Cuneo, fu oggetto di una serie di rastrellamenti da parte dell’occupante tedesco che cercava uomini da deportare in Germania come forza lavoro, sfruttando la presenza di fabbriche chimiche e meccaniche e di miniere con manodopera specializzata. In più voleva riaprire la fondamentale strada di collegamento tra Piemonte e Liguria e con una manovra a tenaglia eliminare le forze partigiane presenti.
I primi scontri a fuoco furono sul Colle San Bernardo a Garessio con i partigiani costretti a ripiegare. Con l’ingresso in città ci furono i primi morti (Piantino Dionigi freddato da un cecchino tedesco appostato sul Castello del Borgo, la tabacchina Aurelia Salvatico uccisa senza motivo davanti alla Lepetit e il cantoniere del Colle San Bernardo Luigi Giuseppe Correndo accusato di essere un partigiano).
Iniziarono così giorni di orrore anche a Nucetto, Bagnasco e Priola, che culminarono nell’eccidio di Pievetta del 25 luglio con la frazione incendiata e ben 17 vittime civili. I numeri sono impietosi: 30 fucilati, 430 ostaggi catturati, 122 partiti per la Germania di cui 54 fortunosamente riescono a fuggire durante il lungo viaggio. Saranno 68 i deportati nei campi di lavoro tedeschi, la grande maggioranza in quello di Kahla in Turingia nel complesso denominato Reimahg e di questi morirono in 17.
In due giorni (27-28 luglio) gli ex alleati cercarono in ogni casa di Garessio tutti gli uomini, ottenendo scarsi risultati; uno dei fuggitivi, il partigiano garibaldino Oreste Petacchi morì colpito da un cecchino vicino al fiume Tanaro.
L’ordine dato era perentorio: portare tutti nel salone dell’Albergo Miramonti, sede del comando tedesco ed ora rudere dopo un violento incendio. Così alle 7 del mattino del 28 luglio, due ufficiali della Gestapo entrarono nella Lepetit, storica fabbrica chimica di Garessio - il cui proprietario Roberto Lepetit era accusato di aiutare la Resistenza - dove iniziarono dei lunghi interrogatori. I dipendenti furono chiusi nel magazzino e solo gli ultracinquantenni furono liberati.
Cinque i condannati alla fucilazione, indicati come partigiani, nel cortile del Miramonti: Stefano Gazzano, Anselmo Battaglia, Domenico Salvatico, Giacomo Odello e il fortunato Giuseppe Campero che si salvò miracolosamente sotto la pioggia. Il mattino successivo, il 29 luglio, la partenza in treno verso la Germania: ai 44 garessini si unirono i 30 rastrellati delle frazioni di Piangranone e Mursecco e della vicina Priola, una quarantina di persone a Bagnasco e 12 di Nucetto.
Molti riuscirono a scappare dal treno e nei modi più diversi, a Savona furono costretti a firmare un foglio in bianco di lavoro, poi subirono il carcere di San Vittore a Milano, dove la signora Hilde Lepetit, moglie di Roberto, morto a Mauthausen nel maggio 1945, portò loro un prezioso pacco di indumenti e viveri che li aiutò durante l’internamento.
Al Brennero erano rimasti in 68, una decina di loro fu spedita nel bacino del Reno, gli altri a Kahla. Abbiamo raccolto le loro testimonianze dai libri di Renzo Amedeo, storico e partigiano, ex sindaco di Garessio, che aveva intervistato molti dei sopravvissuti e per il Giorno della Memoria 2020 sentito alcuni figli di deportati, come Giuseppe Canavero, Giovanni Chiotti e Elvio Marchetto. Nei loro ricordi quei tristi momenti in cui avevano detto addio ai loro padri e l’infinita gioia nel vederli tornare, magri, feriti nell’animo e malati, ma vivi.
I loro racconti erano terribili: turni di lavoro massacranti, la solidarietà tra compagni e tanta sofferenza. Freddo, fame, pidocchi ed anche una misteriosa malattia dopo un lauto pranzo. I lavoretti nelle famiglie tedesche nei paesini vicini al campo e qualche piccolo segnale di amicizia. Il 16 aprile la liberazione da parte degli Americani ed inizia un lento e difficile ritorno a casa durato anche mesi (alcuni addirittura a luglio o agosto). Molti di loro morirono di malattia in Germania o anche al ritorno in patria.
Diciassette i deportati del Reimahg scomparsi. I sei garessini: Adelmo Anfosso, lasciato nel campo di Kahla in stato di deperimento a soli 17 anni il 18 luglio morì nell’ospedale di Hummelshain; Luigi Cadenasso caduto da un’impalcatura non molto alta a 43 anni; Alfredo Giacomo Cristoforetti suo coetaneo deceduto a fine dicembre 1944 nell’infermeria dov’era ricoverato in gravissime condizioni; Germano Severino Fazio leva 1900 caduto sul lavoro ucciso dai suoi aguzzini a inizio dicembre; Antonio Reggio, 1901, trovato morto al mattino del 10 febbraio nella sua branda sfinito dalla sofferenza; e il cameriere Giovanni Rossella scomparso a 31 anni per via di un’infezione al piede nell’agosto ’45 nell’ospedale di Steintal.
Con loro due abitanti di Casario, frazione di Priola: Giulio Stellardo 42 anni e Angelo Alessandro Rosso, 43 anni morto al ritorno in Italia per via dei maltrattamenti subiti. Altri tre, nati a Garessio e rastrellati a Bagnasco, morirono a Kahla nei primi mesi del 1945: Giovanni Battista Giacomo Borgna 34 anni, Domenico Bozzolo di soli 19 anni e Giovanni Corrado 36 anni.
Della Valle Tanaro anche Luigi Ingaria, nativo di Massimino, 39 anni; i bagnaschesi Carlo Boffredo, classe 1900, morto nell’ospedale di Wilmer a fine aprile, ed Edmondo Mazza 44 anni caduto a maggio; nello stesso mese scomparve anche Carlo Parino di Nucetto, ugual sorte per Giuseppe Aschieri 40 anni e per il 19enne Giovanni Mattei.
Redazione, Garessio, Walpersberg Memorial

Esigenza primaria dei tedeschi era mantenere libere le comunicazioni tra Piemonte sud-occidentale e Liguria di Ponente, cioè la strada statale n° 28 della Valle Tanaro, ma anche la strada del colle S. Bernardo tra Garessio e Albenga. A questi obiettivi, si aggiunga un vero piano tedesco per il reperimento di mano d’opera da inviare in Germania che individua nella Valle Tanaro, industrializzata, le maestranze già addestrate. Tra il 25 e il 28 luglio irrompono in valle, risalendo da Ceva e da Albenga, la 34.Infanterie-Division con le Kampfgruppen Klingemann (I./Grenadier-Regiment 253) e Henning (Panzerjäger-Abteillung 34. I tedeschi selezionano i prigionieri fucilando e rinchiudendo gli altri nei vari paesi rastrellati, manifestando l’intenzione di sterminare e bruciare i villaggi. Il 26 luglio, infatti, le squadre incendiarie tedesche si mettono al lavoro per ridurre il villaggio di Pievetta (comune di Priola) ad un cumulo di macerie, saccheggiano e incendiano con i lanciafiamme (55 case incendiate, 500 persone dovranno vivere per 2 anni tra le macerie). Partita da Bagnasco una colonna tedesca risale la valle fino a Garessio, un’altra colonna giunta da Albenga scende direttamente su Garessio e in ogni paese si ripete la caccia all’uomo o il suo annientamento. Un gran numero di prigionieri viene realizzato tra gli operai dell’industria chimico-farmaceutica Lepetit e non solo. Dalla valle furono deportati complessivamente 243 uomini, ridottisi a 64 di cui 62 finirono a Kalha (in Turingia) ove ne morirono (a nostra conoscenza) 17. Per fortuna, durante le soste e il lungo tragitto ferroviario verso la Liguria e poi verso Milano e oltre, parecchi riuscirono a fuggire.
Elenco delle vittime decedute
1. Salvatico Aurelia. Nata Garessio (CN) 25/02/1898, residente Garessio, casalinga, uccisa Garessio 25/07/1944;.
2. Piantino Dionigi, nato Chiusa Pesio (CN) 05/07/1915, residente Garessio (CN), muratore, ucciso Garessio 25/07/1944, VI Divisione Autonoma, 13ª brigata “Val Tanaro”;
3. Correndo Luigi, nato Fossano (CN) 11/08/1897, residente Garessio (CN), cantoniere, ucciso Garessio 26/07/1944, VI Divisione Autonoma, 13ª brigata “Valle Tanaro”;
4. Battaglia Anselmo, nato Garessio (CN) 09/08/1909, residente Garessio, chimico, fucilato Garessio 28/07/1944, IV Divisione Autonoma, 13ª brigata “Valle Tanaro”;
5. Gazzano Ilario, di Celestino. Nato a Garessio (CN/I) il 11/03/1927. Ucciso il 28 luglio 1944.
6. Odello Giacomo, nato Garessio (CN) 15/01/1888, residente Garessio, macellaio, fucilato Garessio 28/07/1944, IV Divisione Autonoma, 13ª brigata “Valle Tanaro”;
7. Petacchi Oreste, nato Massa Carrara (MS) 23/09/1916, residente Garessio (CN), manovale, ucciso Garessio 28/07/1944, II Divisione Garibaldi Cascione, 1ª brigata “Belgrano”; partigiano
8. Salvatico Domenico, nato Garessio (CN) 23/03/1907, residente Garessio, operaio, fucilato Garessio 28/07/1944, IV Divisione Autonoma, 13ª brigata “Valle Tanaro”
Michele Calandri e Livio Berardo, Garessio, 25-28.07.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

Un esame più dettagliato del materiale processuale «provvisoriamente archiviato» dalla Procura generale militare può essere condotto attraverso lo studio a campione di quattro fascicoli rappresentativi della gran massa della documentazione occultata, relativi ad aree geografiche eterogenee e a fasi differenti della campagna militare: gli incartamenti intestati rispettivamente al maggiore Alfred Grundmann (fascicolo numero 1191 del ruolo generale), al capitano Richard Henning (n. 192), al tenente colonnello Karl Ortlieb (n. 657) e al sottufficiale Fritz Wunderle (n. 1954).
L’ultima settimana del luglio 1944 due reparti della divisione Brandenburg effettuarono una manovra a tenaglia nell’alta valle Tanaro, in provincia di Cuneo, per distruggere le formazioni partigiane autonome e garibaldine che minacciavano la sicurezza della strada statale n. 28. Secondo i piani concepiti dalla Geheime Feldpolizei 751 di stanza a Savona, la 13a compagnia Panzerjàger al comando del capitano Josef Tochtrop sarebbe scesa su Garessio dal Colle San Bernardo, mentre la 6' compagnia, guidata dal capitano Richard Henning, avrebbe inve­stito la cittadina dalla parte meridionale della vallata.’ Il 25 luglio 1944 questo secondo reparto, proveniente da Ceva, travolse le linee partigiane nei pressi della frazione Pievetta (comune di Priola), rastrellò casa per casa l’abitato e si macchiò di violenze efferate:
Uccisione di un vecchio di 80 anni da parte di un soldato tedesco.
Uccisione di un uomo di 61 anni e ferimento di un altro di 50 anni da parte di un ufficiale.
Ferimento di un uomo di 65 anni.
Uccisione di 9 uomini tra i 28 e i 65.
Uccisione di altri 2 uomini, uno di 45 e l’altro di 41, mentre si trovavano presso la salma del padre, poco prima ucciso dai tedeschi.
Uccisione e distruzione del cadavere di un uomo di 52 anni, sorpreso dai tedeschi mentre cercava di mettere in salvo le sue bestie.
Uccisione di un uomo di 36 anni, in presenza della moglie, mentre cer­cava di accompagnarla in un luogo sicuro.
Uccisione di un uomo di anni 57.
Uccisione di un uomo di anni 41, per giunta mutilato a un braccio.
Uccisione di un uomo di anni 46, trasportato in Bagnasco e poscia impiccato al balcone soprastante la porta d’ingresso alla farmacia di quel comune.
Inoltre due donne vennero violentate.
Le 19 uccisioni si accompagnarono a distruzioni e a ruberie di ogni genere, il paese fu dato alle fiamme (bruciarono 55 case su 80) e ai civili fu intimato di non spegnere l’incendio, a meno di incorrere nella più dura repressione.
I tedeschi mediante fosforo ed altre sostanze infiammabili incendiarono l’abitato, dopo averlo suddiviso in tre zone e vietarono ogni tentativo di spegnimento del fuoco.
Furono così distrutte moltissime case, tra cui quella parrocchiale, ed altre furono gravemente danneggiate, nonché mobili e masserizie. Infine i tedeschi saccheggiarono le abitazioni, rimaste incustodite, asportandovi tutti gli oggetti di maggior valore ed anche vini e liquori, con i quali si ubriacarono. Considerando tutto il paese preda di guerra, i tedeschi s’impossessarono anche di macchinario, di viveri e di capi di bestiame.
Ai rastrellamenti seguì una massiccia deportazione di forza-lavo­ro in Germania: circa quattrocento civili dell’alta valle Tanaro furono catturati e inviati nel Reich.
Il 10 maggio 1945 il comune di Priola e l’ANPI di Cuneo denunziarono al ministero della Guerra l’incendio e il massacro di Pievetta, «onde giustizia sia resa a questa popolazione». Le prime testimonianze furono raccolte dalla Commissione alleata d’indagine. L’incartamento predisposto nel 1945-46 per la Commissione delle Nazioni Unite per i delitti di guerra rimarcò la responsabilità di Henning, «tanto più che egli, quale comandante della colonna, dette ai suoi dipendenti l’ordine di essere "spietati" nei riguardi della popolazione civile della borgata Pievetta». Le imputazioni a carico del capitano concernevano la violazione degli articoli 185, 187 e 187 del Codice penale militare di guerra: violenza con omicidio contro privati nemici, saccheggio, incendio, distruzioni e gravi danneggia­menti; il caso ricadeva nella disciplina prevista dall’articolo 6 dello statuto del Tribunale militare internazionale sui crimini di guerra. [...]
Redazione, Le Stragi nascoste - Cuneo, Resistenza, 27 ottobre 2017

martedì 19 gennaio 2021

Su piloti ed ufficiali alleati in fuga verso la libertà con l'aiuto dei partigiani imperiesi

Una vista da Ceriana (IM) - Foto: Alessandro Spataro

Un ufficiale di collegamento americano della Missione Alleata, di nome Walker Harris, abbattuto con il suo apparecchio nel novembre del 1944 sopra Casale Moferrato, preso prigioniero e portato a Genova dai Tedeschi, riuscì a fuggire e dopo varie peripezie raggiunse in dicenbre il 3° battaglione "Candido Queirolo" comandato da "Gori" [Domenico Simi] (V^ Brigata), ove rimase fino alla Liberazione perché non si riuscì a trasportarlo in Francia, come aveva ordinato il comandante "Vittò" alla V^ Brigata il 3 gennaio 1945. (Lettera del 3-1-1945, prot. n. 496/F/6 Isrecim).
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con patrocinio Isrecim, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977
 
[ n.d.r.: le vicende riguardanti in Piemonte piloti e prigionieri alleati e partigiani hanno avuto spesso incroci con l'attività dei garibaldini della I^ Zona Operativa Liguria, come nel caso di una parte della Missione Flap ]

L'operazione più importante alla quale partecipai fu la fuga dei 5 prigionieri alleati che trasportammo in Francia. I 5 soldati erano 2 americani, 2 inglesi e un francese. Gli inglesi erano: Michael Ross, capitano del Welch Regiment; Cecil "George" Bell, tenente della Highland Light Infantry. Il francese era Fernand Guyot, pilota. Gli americani erano i piloti Erickson e Klemme: non ne so né il nome, né il reparto, né altri dettagli, solo che erano piloti [n.d.r.: da ricerche fatte compiere presso l'Istituto Storico dell'US Air Force, Giuseppe Mac Fiorucci (vedere infra) appurò che si trattava di Lauren Erickson, tenente pilota di P38 Lightnings, 1° Gruppo 270° Squadrone, e Ardell Klemme, tenente pilota di bombardieri B25, 340° gruppo, 489° Squadrone]. Dopo l'8 settembre 1943 erano fuggiti dai campi di prigionia e avevano vagato per l'Italia settentrionale alla ricerca di un passaggio per la Svizzera o per la Francia liberata. La Resistenza li nascose a Taggia (IM) per qualche tempo, sperando nell'arrivo di un sottomarino per metterli in salvo. Nel febbraio del 1945 il Comando decise di tentare da Vallecrosia [...] Renato Dorgia, "Plancia" *, in Gruppo Sbarchi Vallecrosia di Giuseppe Mac Fiorucci, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia - Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale "Il Ponte" di Vallecrosia (IM), 2007> * insignito di Croce al Merito di guerra per attività partigiana

Il 24 gennaio [1945] il dott. Marchesi precipitatosi in casa mia [Villa Llo di mare in zona Arziglia a Bordighera (IM)] comunicò che i tedeschi dovevan partire entro 2 giorni, prelevando tutti i designati ostaggi di cui io risultai capolista. Si impose una fuga generale; Marchesi collocò altrove cognata e nipote, noi ci rifugiammo nella villa di Kurt Hermann… nazista, naturalmente a sua insaputa: i 2 ufficiali inglesi, guidati da mio figlio pei monti, di notte, raggiunsero rifugi ignoti, mentre mio figlio scendeva la costa in attesa degli avvenimenti. La notizia dataci risultò imprecisa, chè la fuga tedesca tardò ancora 3 mesi. Ma i 2 inglesi dopo romanzesche avventure in montagna e sulla costa di Vallecrosia raggiunsero la Francia e si misero finalmente al sicuro. Oggi scrivono dall’Inghilterra […] I 2 ufficiali inglesi si chiamano: Michael Ross e George Bell. Altro aiuto avemmo nell’occultamento dei 2 inglesi dal compagno Luigi Negro, autista della villa Hermann alla Madonna della Ruota. Egli ospitò una notte i 2 alleati nella detta villa, nonostante la permanenza di scolte tedesche nelle adiacenze e la possibilità di sorprese da parte del padrone e dei suoi accoliti.
Giuseppe Porcheddu, manoscritto (copia anche presso il già citato Isrecim - Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia - )
edito in Francesco Mocci (con il contributo di Dario Canavese di Ventimiglia), Il capitano Gino Punzi, alpino e partigiano, Alzani Editore, Pinerolo (TO), 2019 

Klemme, caduto al confine con il Piemonte, fu dunque indirizzato verso il Monferrato e si ritrovò con Walker Harris. Entrambi, purtroppo, persero il volo del 19 novembre [1944]. Il giorno successivo, i tedeschi attaccarono il campo d’aviazione di Vesime, se ne impadronirono e dissestarono il terreno di volo arandolo ripetutamente. I partigiani sarebbero nuovamente riusciti a rimetterlo in funzione, ma non prima della primavera successiva. Sfumata questa possibilità, Augusto Bobbio decise di trasferire Harris e Klemme a Prea, nella zona di Cuneo.
I due aviatori, marciando sempre di notte, giunsero a Prea tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre del 1944. Furono presi in consegna dai partigiani di un’altra formazione autonoma, la Divisione Alpi di Pietro Cosa, che operava in collegamento con una Missione militare [
Flap] anch’essa britannica.
Di quest’ultima Missione aveva fatto parte, tra agosto e ottobre, un singolare personaggio, il capitano canadese Paul Morton. Morton era un giornalista ed era stato paracadutato con il compito di inviare corrispondenze di guerra al Toronto Star. Esibire un corrispondente dietro le linee nemiche era una mossa di forte impatto propagandistico, come ben sapevano le autorità britanniche, attente a questi dettagli. Morton era stato tra i primi a contribuire al passaggio in Francia di aviatori ed ex prigionieri attraverso un sentiero che si inerpicava sul Colle di Tenda. Dopo lo sbarco alleato in Provenza, infatti, le forze tedesche erano state respinte da un’ampia parte della Francia meridionale.
Nelle memorie scritte dopo la guerra, Morton ricorda <un pilota da caccia del Nebraska> che gli diede non pochi grattacapi: <mi annunciò che, poiché il suo addestramento era costato al suo governo più di centomila dollari, lui era l’uomo di maggior valore tra tutti noi, e perciò avrebbe dovuto andare in Francia per primo>. Morton diede una lunga occhiata alle vette innevate delle Alpi, quindi ribattè che, per parte sua, il pilota poteva andarsene in Francia anche subito [15]. Quel pilota era certamente Reginald Jacobson, nato, appunto, in Nebraska nel 1921 e abbattuto in settembre presso Saluzzo.
Quando Harris arrivò a Prea, Paul Morton era già stato richiamato. Il mutato clima politico-militare nei confronti della Resistenza aveva indotto le autorità britanniche a censurare i suoi articoli e a rispedirlo in Canada [16]. Intanto, era ancora a mordere il freno Reginald Jacobson, malgrado nel frattempo almeno due gruppi fossero passati in Francia.
Non vi fu tempo per organizzare la partenza di un nuovo gruppo. Il 2 dicembre le forze tedesche attaccarono le zone libere del Piemonte Meridionale. Gli aviatori vennero separati: Harris e Jacobson furono avviati in direzione Sud, verso la Liguria. L’estremo Ponente ligure, infatti, dopo l’arrivo delle forze alleate nella Costa Azzurra, era diventato un importante punto di partenza per chi volesse tentare di passare le linee.
Molti aviatori caduti in Piemonte o in Liguria venivano indirizzati verso l’Imperiese: tra di essi, anche Ian Smith, futuro presidente della Rhodesia, all’epoca pilota da caccia nella RAF [17]. La Resistenza italiana attivò addirittura un Gruppo Sbarchi: piccole imbarcazioni prendevano il largo dal litorale di Vallecrosia per poi sbarcare sulla Costa Azzurra [18].
Walker Harris fu aggregato al Battaglione Garibaldi Candido Queirolo, comandato da Domenico Simi Gori, che affiancò il Gruppo Sbarchi nell’organizzare il passaggio in Francia di ex prigionieri e aviatori alleati. Harris trascorse circa due mesi sui monti nell’entroterra di Taggia: era iniziato l’inverno, un inverno particolarmente aspro, che coincideva con una fase critica per la Resistenza. Successivamente fu nascosto in una cava nei pressi di Ceriana, in mezzo agli ulivi.
Qui lo vennero a stanare i soldati tedeschi, informati da una delazione. Harris venne pertanto incarcerato a Sanremo. Lo interrogò un ufficiale della Kriegsmarine, Georg Sessler, <che ci ha sempre trattati bene, nei limiti della sua autorità e delle circostanze>, ricorda l’aviatore. Di quei giorni, ad Harris rimase impresso anche il bombardamento navale [a febbraio 1945] subito dalla città: un incrociatore francese, infatti, il Jeanne D’Arc, periodicamente compariva al largo e cannoneggiava Sanremo [19]. In seguito, Harris venne tradotto a Genova e rinchiuso nel carcere di Marassi.
L’odissea del giovane aviatore durava ormai da mesi. La campagna d’Italia volgeva al termine e la Resistenza si preparava all’insurrezione finale. Il comando tedesco dispose di trasferire Harris e altri prigionieri in Germania, ma il veicolo su cui erano stati caricati fu bloccato dai partigiani e l’aviatore recuperò la libertà. Il 27 aprile le truppe americane entravano a Genova.
Harris si riunì ai suoi e rientrò negli Stati Uniti, dove ha vissuto sino al 3 giugno 2008, data della sua scomparsa. Negli anni della maturità era tornato più volte in Italia, ad incontrare ex partigiani e i loro discendenti, a ripercorrere i luoghi delle sue avventure di gioventù e a fare scorta di spumante. Nel 2003 è stato intervistato dalla Stampa, che lo ha promosso ufficiale pilota e messo ai comandi del suo B-25, e ha ringraziato gli italiani che lo avevano aiutato [20].
[15] Paul Morton, Missione Inside tra i partigiani del Nord Italia, Cuneo, L’Arciere, 1979, p. 91.
[16] In tempi recenti, un altro giornalista canadese, Dan North, ha svolto una ricerca storica per ricostruire la vicenda di Morton, venendo anche in Italia: Alberto Papuzzi, Sulle tracce di Paul Morton, il reporter partigiano che il Toronto Star censurò, “La Stampa”, 8 luglio 2008. Dalla ricerca è nato il libro Inappropriate conduct, pubblicato nel 2009.
[17] Ian Smith, ufficiale pilota di uno Spitfire, fu abbattuto il 22 giugno 1944 e precipitò in località Vallescura, nel Savonese: Bruno Chionetti-Riccardo Rosa-Gianluigi Usai, Aerei su Savona. Storie di piloti ed aerei caduti in provincia di Savona, Voghera, Marvia, 2010.
[18] Giuseppe Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, Imperia, ISREC, 2007.
[19] Secondo il diario di guerra di Giuseppe Biancheri, messo in rete nel sito www.cumpagniadiventemigliusi.it., l’incrociatore cannoneggiò Sanremo il 6 febbraio, il 2, il 20 e il 31 marzo, il 12 e il 15 aprile 1945.
[20] Così bombardai il ponte di Casale, “La Stampa”, edizione di Alessandria, 6 maggio 2003.

Alberto Magnani, I sentieri della salvezza. Aviatori americani e resistenza italiana tra Piemonte e Liguria, in Gruppo Ricercatori Aerei Caduti Piacenza (Grac) 

Walker Harris con la moglie, durante una visita nel 2000 alla casupola dove era situata la base della Missione Flap. In mezzo, Pietro Cosa, il figlio di Piero Cosa, comandante della Divisione Autonoma "Alpi" - Fonte: Grac

Da informazioni non controllate o da semplici supposizioni popolari sembra invece che Dell Klemme si sia salvato […] passare e ripassare più volte a volo radente su Pecetto un aereo il quale, raggiunta l'altezza del Castello, avrebbe effettuato alcune scivolate d'ala per trasmettere l'ultimo saluto ai suoi amici di un tempo. Il pilota di quell'aereo sarebbe stato Dell Klemme. Osvaldo Mussio, Tra lo Scrivia e il Po. Uomini e episodi della Resistenza, Edizioni dell'Orso, 1982

[ n.d.r.: Ross, Michael Ross, nel suo From Liguria with love. Capture, imprisonment and escape in wartime Italy, Minerva Press, London, 1997 (aggiornato di recente dal figlio, David Ross, The British Partisan, Pen & Sword, London, 2019), raccontò in modo dettagliato anche la permanenza sua e di Bell tra i partigiani imperiesi. Dei patrioti non fece mai nomi veri o di battaglia, ad eccezione del sopra citato Giuseppe Porcheddu e della sua famiglia, presso i quali idue ufficiali britannici trovarono ospitalità clandestina per circa un anno, di Renato Brunati, martire della Resistenza, e Lina Meiffret, tornata salva dalla deportazione in Germania, ma tormentata, a dir poco, nello spirito, i quali per primi sul finire del 1943 diedero loro rifugio ai due ufficiali in Baiardo, di Vito - Vitò, Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo, comandante della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione" - di Achille - identificabile in Achille "Andrea" Lamberti del Gruppo Sbarchi Vallecrosia - e di Giuseppe Porcheddu, colui che li tenne nascosti per circa un anno e che tentò di aiutarli in varie maniere. Di questo libro qui si vogliono citare solo alcuni fatti immediatamente antecedenti la fuga finale. Che per tre volte,  a seguito delle comunicazioni via radio fatte dal telegrafista dell'ufficiale di collegamento alleato, il capitano del SOE britannico Robert Bentley, un sommergibile inglese si avvicinò alla costa vicino a Taggia - forse alla Curva del Don di Riva Ligure, già altre volte pensata per simili missioni; che che per due volte la scorta dei partigiani ed il gruppetto degli alleati - tra i quali i sopra menzionati Erickson e Klemme - che dovevano imbarcarsi dovettero fuggire perché trovarono i tedeschi che li mitragliarono con l'ausilio di bengala; che all'ultimo appuntamento con il natante i nazisti attesero invano, perché nel frattempo i garibaldini avevano individuato la spia che aveva messo in allarme il nemico, una giovane donna, di probabile origine iugoslava, prontamente giustiziata. Che risultarono dispersi, poco prima della loro partenza, due partigiani e due americani, indicati come Ricky e Reg. E che alla fine si compose la squadra che, come già detto qui all'inizio, marciò verso Vallecrosia ]

Giorni dopo recuperammo altre due barche dal solito deposito […] finalmente portammo i battelli al mare e i 7 passeggeri (i 5 alleati e i 2 "passeur"). Prima di partire uno dei "passeur" volle collaudare le barche per verificare che tenesso il mare. Imbarcati tutti, partirono in 9 guidati da Achille e un altro, non ricordo se "Gireu" [Pietro Gerolamo Marcenaro] o Renzo Rossi o altri. Credo Renzo Rossi, che era il capo di tutta l’organizzazione sbarchi. Arrivarono sani e salvi e questa operazione accrebbe non poco la considerazione degli alleati per la Sezione Sbarchi di Vallecrosia.
Renato Dorgia in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.