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venerdì 4 giugno 2021

Sottoposto a barbare sevizie nulla svelava sul movimento partigiano

Moltedo, Frazione di Imperia - Fonte: Mapio.net

[...] Il giorno 22 luglio 1944 a Moltedo sono catturati dalle brigate nere tre partigiani della II Divisione Garibaldi F. Cascione. I partigiani Nino Gazzano di anni 19 e Elsio Guarrini di anni 18, appartenenti alla IV brigata, sono fucilati immediatamente sulla piazza del paese. Il partigiano Francesco Gazzano di anni 28, staffetta delle SAP che teneva i collegamenti con la IV brigata, è fucilato il giorno 23 nei pressi del cimitero di Porto Maurizio.
Nino Gazzano, era sceso dalla montagna il giorno prima per conoscere il fratello che era nato da pochi giorni e che non aveva ancora visto. Era sera e così, assieme al compagno Elsio Guarrini decidono di dormire in un fienile vicino al paese. La mattina seguente i due partigiani sono circondati dalle brigate nere e catturati. Vengono immediatamente portati sulla piazza di S. Caterina, in centro paese, e fucilati all’alba del 22 luglio.
La gloriosa IV brigata ha preso il nome di Elsio Guarrini, medaglia d’argento al Valor Militare.
Redazione, La Resistenza imperiese ricorda i Partigiani caduti per la libertà a Moltedo, Riviera24.it, 25 luglio 2015

Elsio Elsio Guarrini. Nato ad Imperia il 15 agosto 1925. Partigiano dal 24 settembre 1943. Vice comandante di Battaglione al momento della morte. A seguito di una delazione venne sorpreso nel sonno in un fienile; con lui venne catturato anche il compagno Nino Stella Gazzano. 
Guarrini e Gazzano chiesero ed ottennero la fucilazione nel petto dopo avere esclamato perché noi non siamo traditori e morirono gridando Viva i partigiani. Furono fucilati nella piazza della vicina Moltedo, Frazione di Imperia.
Furono fucilati dai militi Amleto Alunni - poi fucilato insieme al tenente Salerno alle Ferriere di Imperia il 29 aprile 1945 - e Antonio Cartonio - giustiziato a Castellamonte (TO) il 3 maggio 1945 -, entrambi protagonisti di altre esecuzioni, entrambi della Compagnia Ordine Pubblico (O.P.) Imperia, comandata dal famigerato capitano Giovanni Daniele Ferraris.
Nello stesso rastrellamento venne catturato anche il partigiano Francesco Bruna Gazzano (della S.A.P. locale, incaricato di mantenere i contatti con la IV Brigata, catturato a Moltedo il 22 luglio 1944, il quale fu condotto nella caserma Ettore Muti di Imperia Porto Maurizio, dove fu interrogato e torturato, prima di essere fucilato il 23 luglio 1944 in Via Artallo nei pressi del cimitero di Porto Maurizio. 
Elsio Guarrini venne decorato di Medaglia d'Argento al Valor Militare alla Memoria con la seguente motivazione: Giovane e fervente patriota, durante una pericolosa missione assieme ad un compagno di fede, si impegna in aspro combattimento contro preponderanti forze nemiche, finché, rimasto privo di munizioni, veniva sopraffatto e catturato. Sottoposto a barbare sevizie nulla svelava sul movimento partigiano. Condannato a morte, affrontava il plotone di esecuzione con eroica fermezza cadendo al grido di Viva l'Italia. Moltedo (Imperia), 22 luglio 1944
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, Edito dall'Autore, 2020  [ n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016  ]

[...] Elenco delle vittime decedute
Gazzano Francesco Mario (nome di battaglia “Bruna”) di Francesco, nato a Moltedo superiore (Imperia) il 28.02.1916, anni 28, Partigiano, (II Div. “F. Cascione” IV Brig.) dall'01.05.1944 al 23.07.1944 n° dichiaraz. Integrativa 3034. Catturato a Moltedo il 22.07.1944 trasferito nella Caserma “Ettore Muti” di Imperia Porto Maurizio, torturato, fucilato il 23.07.1944 in Via Artallo nei pressi del Cimitero di Porto Maurizio (Imperia). Successivamente la salma sarà trasportata nel Cimitero di Moltedo e quivi seppellita con Guarrini Elsio e Gazzano Nino.
Gazzano Nino (nome di battaglia “Stella”) di Emilio, nato a Moltedo (Imperia) il 20.03.1925, anni 19, Partigiano, (II Div. “F. Cascione” IV Brig.) dal 10.05.1944 al 22.07.1944 n° dichiaraz. Integrativa 2529. A seguito di una delazione, mentre dorme in un fienile con il compagno Guarrini Elsio è sorpreso da una squadra di fascisti comandata dal Ferraris. Fucilato a Moltedo nella piazza Santa Caterina il 22.07.1944.
Guarrini (Guarini) Elsio (nome di battaglia “Elsio”) di Carlo, nato a Imperia il 15.08.1925, anni 18, Partigiano, Vice com.te Battaglione (II Div. “F. Cascione” IV Brig.) dal 24.09.1943 al 22.07.1944 n° dichiaraz. Integrativa 6160. A seguito di una delazione, mentre dorme in un fienile con il compagno Gazzano Nino è sorpreso da una squadra di fascisti comandata dal Ferraris. Fucilato a Moltedo nella piazza Santa Caterina il 22.07.1944. Decorato di Medaglia d'Argento al Valor Militare alla Memoria con la seguente motivazione:
“Giovane e fervente patriota, durante una pericolosa missione assieme ad un compagno di fede, si impegna in aspro combattimento contro preponderanti forze nemiche, finché, rimasto privo di munizioni, veniva sopraffatto e catturato. Sottoposto a barbare sevizie nulla svelava sul movimento partigiano. Condannato a morte, affrontava il plotone di esecuzione con eroica fermezza cadendo al grido di “Viva l'Italia”. Moltedo (Imperia), 22 luglio 1944
[...]
Durante il rastrellamento avvenuto a Moltedo (frazione di Imperia) il 22 luglio 1944 i militi Amleto Alunni e Antonio Cartonio della GNR Compagnia Ordine Pubblico Imperia (Comandata dal capitano Giovanni Daniele Ferraris) fucilano sulla piazza di Moltedo i partigiani Gazzano Nino e Guarrini Elsio. Sono caduti chiedendo la fucilazione nel petto “perché noi non siamo traditori” e morivano gridando “Viva i partigiani”.
Nello stesso rastrellamento viene catturato anche il partigiano Gazzano Francesco, condotto nella caserma “Ettore Muti” di Imperia Porto Maurizio, interrogato e torturato verrà fucilato il 23 luglio 1944 in via Artallo nei pressi del Cimitero di Imperia Porto Maurizio [...]
Roberto Moriani, Episodio di Moltedo - Artallo, Imperia, 22-23.07.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

Elsio Elsio Guarrini. Nato ad Imperia il 15 agosto 1925. Partigiano dal 24 settembre 1943.Vice comandante di Battaglione al momento della morte. A seguito di una delazione venne sorpreso nel sonno in un fienile; con lui venne catturato anche il compagno Nino Stella Gazzano. Furono entrambi fucilati nella piazza della vicina Moltedo, Frazione di Imperia, dai militi Amleto Alunni e Antonio Cartonio della G.N.R. (Compagnia Ordine Pubblico Imperia), comandata dal famigerato capitano Giovanni Daniele Ferraris. Chiesero ed ottennero la fucilazione nel petto perché noi non siamo traditori e morirono gridando Viva i partigiani. Nello stesso rastrellamento venne catturato anche il partigiano Francesco Bruna Gazzano, il quale fu condotto nella caserma Ettore Muti di Imperia Porto Maurizio, dove fu interrogato e torturato, prima di essere fucilato il 23 luglio 1944 in Via Artallo nei pressi del cimitero di Porto Maurizio. Elsio Guarrini venne decorato di Medaglia d'Argento al Valor Militare alla Memoria con la seguente motivazione: Giovane e fervente patriota, durante una pericolosa missione assieme ad un compagno di fede, si impegna in aspro combattimento contro preponderanti forze nemiche, finché, rimasto privo di munizioni, veniva sopraffatto e catturato. Sottoposto a barbare sevizie nulla svelava sul movimento partigiano. Condannato a morte, affrontava il plotone di esecuzione con eroica fermezza cadendo al grido di Viva l'Italia. Moltedo (Imperia), 22 luglio 1944 - Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011

giovedì 26 novembre 2020

I partigiani se ne tornarono alla base di Ormea...

Illustrazione di Marisa Contestabile in Osvaldo Contestabile, Op. cit. infra

Ceva (CN): Stazione Ferroviaria. Fonte: Wikipedia

Alcuni giorni dopo dal Comando ci giunse l'ordine di trovarci alla stazione ferroviaria di Pievetta ben armati e con le mitragliatrici pesanti che avevamo in dotazione. L'azione da compiersi era un attacco alla città di Ceva.
Ciò ci sorprese non poco perché sapevamo che la località, essendo un centro logistico importante per il nemico, era ben presidiata. Quando giunse [20 luglio 1944] il treno da Ormea, sul quale era già la Volante, ci imbarcammo anche noi (complessivamente eravamo una ottantina di partigiani).
In questa occasione l'ilare "Raspin", il quale aveva già fatto in precedenza degli apprezzamenti sul modo di muoverci, di cui abbiamo fatto cenno, mi disse: «A Pievetta ci hanno portato con l'autocarro, a Ceva ci portano col treno, ma che partigiani siamo diventati? Speriamo che la prossima volta ci  portino in aereo».
Il discorso non poteva non essere accompagnato da una risata generale che distese la nostra tensione nervosa. Eravamo preoccupati per l'avventura cui andavamo incontro, ma non sapevamo che il nostro Comando ci mandava a Ceva in quanto informato che, da alcuni giorni, la città era sgombrata dai soldati nemici.
II treno si arrestò alla periferia di Ceva, dove fu piazzata una mitragliatrice pesante con la presenza di una decina di partigiani, pronti ad entrare in azione se fossero giunte forze nemiche da Savona o da Mondovì.
Quando il treno giunse alla stazione, scendemmo.
Un gruppo si recò in una grande caserma (che trovò vuota).
Invece alla stazione noi, più fortunati, trovammo in alcuni vagoni, riso, farina, grano ed altri generi alimentari, che provvedemmo a caricare su due camioncini, avviati poi verso la nostra zona di provenienza.
Perquisimmo i treni viaggiatori che in ore successive giunsero da Torino e da Savona, prendemmo prigionieri alcuni soldati fascisti e tedeschi, che, sbiancati in volto per lo stupore, non riuscivano a raccapezzarsi per quanto stava loro accadendo; alcuni viaggiatori, che mi sembravano "borsaneristi", approvavano la nostra azione, poiché a loro spesso veniva sottratta la merce durante questi viaggi.
Alcuni "borsaneristi" erano di Oneglia e ci riconobbero.
Chiesi a qualcuno di loro di informare i miei genitori che stavo bene.
Mia madre, credendo che io fossi di stanza a Ceva, pensò di venirmi a trovare.
La poveretta, giunta nella città alcuni giorni dopo i fatti che ho raccontato, incappò in un brutto bombardamento aereo e si salvò, col treno, perché la galleria, che serviva da rifugio, era a poca distanza dalla stazione.
Logicamente a Ceva non mi trovò e, non sapendo dove trovarmi, decise di ritornare a Oneglia delusa e amareggiata.
Ma non rinunciò mai a creare le condizioni per incontrarmi (come vedremo).
Mi fece gradite sorprese, anche se per due volte si imbattè in brutte situazioni.                                       Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998

 

Ceva (CN). Fonte: Wikipedia

La locomotiva sotto la tettoia della stazione di Ormea, lì come nuova, l'avevano già vista con tutti i comandi funzionanti; e non gli pareva giusto che non se ne servissero.
Per funzionare funzionava, niente da dire; bisognava soltanto trovare uno capace a manovrarla, per farla partire.
Uno che se ne capiva un po' di come trafficarci, lo trovarono subito più o meno disponibile e la mise in moto.
- Allora andiamo, che così ci arriviamo prima tutti insieme: non se lo credono mai più che ci arriviamo col macchinista -, risposero al Cion [Silvio Bonfante] che stava ad aspettare per la partenza.
Di ribelli sbrindellati e variopinti, ce n'erano aggrappati dappertutto su quella locomotiva in corsa, e bisognava vederli com'erano combinati; cantavano e sbandieravano come alla festa grande sulla fiera, con l'aria fresca della valle in poppa.
La sbarra di confine tra fascisti e partigiani per traverso sui binari, la trovarono dopo Bagnasco, quando il macchinista se ne accorse che ormai la vide in pezzi senza fermarsi, alé sempre avanti così: ma dalle due parti in fila lungo la ferrovia, intanto i borghesi si sbracciavano, che di là c'erano i tedeschi; perdio stessero attenti, e fermassero il treno; volevano dire di stare attenti e di fermarsi subito, perché più in là c'erano eccome, coi posti di blocco le pattuglie le mitraglie puntate e le sentinelle all'erta in postazione.
A Ceva invece, quando arrivarono nella stazione sono la pensilina con gli stantuffi ancora in moto, manco per l'antonia i tedeschi ci pensavano a una faccenda così balorda e poco militare.
Il fatto sta che se ne accorsero soltanto troppo tardi, quando sentirono le raffiche concentrate nelle saracinesche del posto di controllo per la truppa.
Sentirono anche lo stridio dei freni sulle rotaie, locomotiva in abbrivio per inerzia, gente in confusione a gridare dappertutto, chissà cosa succede.
Non era facile capire sotto la pensilina o tra i binari, cosa succedeva all'improvviso in quella gran confusione nella sparatoria garibaldina; cosa succedeva con quel treno che non c'era sul tabellone dell'orario, e quei ribelli vestiti a quel modo, tutti sbrindellati che lì non ne avevano mai visto; ma che adesso andavano svelti coi mitra tra i vagoni.
Non c'era tempo nemmeno per spiegarlo ai viaggiatori, alla gente del posto e ai trafficanti indaffarati tra sacchi di farina cereali e recipienti d'olio pei baratti.
La fucileria rompeva subito i contratti della borsa nera, ciascuno ritrovandosi così d'amblé, alla malparata; chissà come finirà con questi qui; capita poi che il treno da Savona, lì in sosta per caso, è carico soltanto di contrabbandieri; meno male pochi i tedeschi di scorta non ce la fanno a sparare subito, cosicché se ne stanno quieti tra i sedili e i malloppi di merce.
La spedizione finì poco dopo, col subitaneo svuotamento della stazione ferroviaria; ma senza risarcimenti per le confische agli accaparratori di passaggio.
I partigiani se ne tornarono alla base di Ormea con due autocarri carichi di tutto, dopo le ricerche svelte nelle case dei fascisti tra i vicoli del paese; se ne tornarono prima che sentissero dalle creste, da una parte e dall'altra, fuoco d'inferno distante tra le curve, col vento forte della valle. 
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 60, 63

giovedì 16 luglio 2020

Un fallito reclutamento dei partigiani alla caserma di Santa Lucia in Oneglia


[...] con questa azione [incursione a fine giugno 1944 nella caserma Siffredi di Oneglia ad Imperia] guadagnai molta simpatia da parte di quelli che provavano diffidenza nei miei riguardi, essendo stato nella organizzazione tedesca TODT.
Ritornando al racconto di prima, una volta giunti a destinazione con il carico dei fucili, trascorremmo alcuni giorni come sono soliti fare i militari: pulizia alle armi, guardia, corvée in cucina, spaccatura della legna da ardere, qualche riunione di carattere politico e simili.
Ma, dopo qualche giorno, "Merlo" [Nello Bruno caduto il 25 gennaio 1945 da commissario di un Distaccamento della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione Felice Cascione"] mi chiamò nel suo ufficio io e lui soli, facendomi questo discorso: "Visto che alla Siffredi hai fatto un buon lavoro e siccome sono stato informato che nella caserma di Santa Lucia hanno dislocato un ventina di militari comandati da un sergente maggiore, il quale pare non sia convinto di servire ancora la Repubblica di Salò e si dimostra desideroso di sapere come vanno le cose in montagna, dovresti con grande prudenza prendere contatto in qualche modo con il militare e creare le condizioni per compiere un'azione come alla caserma Siffredi".
Risposi che non avevo nulla in contrario; sarei andato prima a parlare con la persona che avrebbe potuto aiutarmi [...] mi sembra che tale persona sia stata Guerrino Peruzzi, ancora vivo, fidatissimo antifascista (due suoi fratelli, Armando e Luigi, avevano combattuto nelle Brigate Internazionali contro Franco in Spagna durante la guerra civile 1936 - 1939. Armando cadde in combattimento durante l'offensiva fascista nel levante, nel marzo 1938).
Il Peruzzi mi dava la massima garanzia. Perciò decisi di scendere ad Oneglia insieme al partigiano Carlo, detto "Gallo du Bimbu", la cui fidanzata abitava vicino alla caserma di Santa Lucia. Il mattino seguente partimmo per la città scendendo dalla parte delle Cascine.
Inizialmente Carlo raggiunse la sua fidanzata ed io la mia casa destando sorpresa e contentezza in famiglia. Contentezza che si tramutò in preoccupazione quando illustrai ai miei familiari  il motivo della mia venuta in città. Li tranquillizzai dicendo loro che l'azione era già stata concordata con il sergente maggiore. Mangiai e per una notte dormii bene.
Il mattino successivo raggiunsi con Carlo la sua fidanzata mettendola al corrente dell'operazione che intendevamo compiere. Ci disse che probabilmente qualche soldato repubblichino voleva fuggire, compreso il sergente. Infatti, le avevano chiesto se aveva notizie dei partigiani, dove e quanti erano, come erano armati, ecc.
Domande che assumevano duplice interpretazione: conoscere, nel caso fossero fuggiti, dove sarebbero potuti finire, oppure carpire notizie sui partigiani. Erano tempi nei quali bisognava stare attenti: era sempre meglio essere più diffidenti che creduloni.
Chiesi alla fidanzata di Carlo di trovare un modo per avvicinare e parlare con il sergente maggiore, magari invitandolo nel pomeriggio a prendere un caffé (di surrogato). Lei mi rispose che non sarebbe stata cosa difficile dato che lo conosceva bene e sovente parlavano del più e del meno. Le suggerii di non avere fretta, di non dargli l'impressione che fosse una cosa urgente, insomma, di non allarmarlo. [...]
Il sergente, già veterano d'Africa, di Grecia e della Jugoslavia, di età sulla trentina, annuiva. Forse, più stufo di noi, e sposato, sperava che tutto finisse al più presto per tornarsene a casa. A questo punto, con accortezza, gli feci capire che forse i partigiani erano dalla parte giusta e potevano con le loro azioni accelerare la fine dell'inutile guerra. [...] Cercavo di rendere più credibile il discorso, anche con bugie, perché fino a quel momento gli angloamericani non ci avevano rifornito di niente.
Mi parve che il sergente rimanesse positivamente impressionato dalle mie dichiarazioni, tanto che la soluzione di andare in montagna gli sarebbe piaciuta, ma disse che prima avrebbe dovuto convincere i suoi soldati ad andare con lui, senza che si verificassero delle defezioni [...] aggiunsi che io ed il mio amico Carlo ci saremmo aggregati a loro [...]
Ma la mattina del giorno in cui dovevamo compiere l'operazione - erano circa le ore sei - venne correndo a casa mia la mamma di Carlo e concitatamente mi informò che alla caserma di Santa Lucia era giunto un autocarro con soldati tedeschi, i quali avevano disarmato i militari della Repubblica Sociale Italiana ivi accantonati e li stavano caricando sull'autocarro come bestie.
Mi disse che suo figlio, a scanso di pericoli, era già fuggito in montagna e mi consigliava di fare altrettanto, avendo avuto paura che il sergente maggiore avesse raccontato tutto ai tedeschi (cosa inverosimile perché la famiglia della fidanzata di Carlo non ebbe nessun fastidio). Di fronte a questa situazione raccolsi alla svelta i miei indumenti, salutai i miei cari e mi diressi verso la montagna. Quando giunsi al distaccamento raccontai tutto a "Merlo", il quale mi disse che avevo agito bene e che probabilmente il fallimento dell'operazione era dovuto a qualche chiacchiera di troppo di una delle due giovani; l'importante era che l'operazione fosse terminata senza danni per me e per Carlo, sperando che altrettanto avvenisse per quei poveri soldati.

Sandro Badellino *, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998

* Sandro Sandro Badellino. Entrò a far parte della Resistenza il 10 Maggio 1944, nella squadra comandata da Angelo Setti "Mirko", che operava nella zona del Monte Acquarone, tra la Valle Impero e la Val Caramagna. Quasi subito partecipò ad una prima fortunata azione alla Caserma "Siffredi" di Oneglia, che comportò un buon bottino di armi. In seguito passò nella formazione "Volante" di Silvio Bonfante "Cion" che agiva nella Val Steria (Testico, Rossi, Stellanello), e nella "Volantina" del Comandante "Mancen" Massimo Gismondi [in seguito comandante della I^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"]. Ai primi di agosto 1944, durante uno scontro, Badellino subì varie ferite che lo costrinsero convalescente per un mese dopo essere sfuggito alla cattura. Costretto nuovamente alla fuga dal suo rifugio in seguito ad una spiata, raggiunse il Bosco di Rezzo nella circostanza del famoso rastrellamento che si concluderà con la Battaglia di Monte Grande. Sebbene ferito, vi partecipò affiancando la squadra di mortaisti che, colpendo le postazioni tedesche da San Bernardo di Conio [Borgomaro (IM)], ebbe un ruolo determinante nella riuscita dell’operazione. In seguito ricoprì l'incarico di intendente presso il Distaccamento "Comando" di Mancen. Il 25 Aprile 1945 scese ad Andora (SV) in qualità di Commissario di Brigata.
da Vittorio Detassis su Isrecim

martedì 5 maggio 2020

I partigiani alla battaglia di Sella Carpe ed il ferimento del comandante Erven

Sella Carpe
Sul finire del giugno 1944, protagonista il 16° distaccamento della neo costituita IX^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione", ebbe luogo una battaglia combattuta all'altezza del bivio di Sella Carpe, da cui partono le ramificazioni che conducono l'una a Monte Ceppo, l'altra a Vignai e Badalucco.
I garibaldini che si accingevano ad attaccare alcuni camion tedeschi diretti a Carmo Langan [località di Castelvittorio (IM)], erano divisi in due squadre nascoste nel fitto bosco a pochi metri dal bivio.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

La battaglia di Sella Carpe segna l'inizio d'una serie di dieci giorni tempestosi per tutta la Resistenza della nostra provincia.
In modo particolare, l'uragano di ferro e di fuoco nazifascista s'abbatte sulle formazioni partigiane della IX Brigata e sugli abitanti del territorio occidentale della provincia, dalla valle dell'Impero fino al confine francese. 
 
Ventisette giugno [1944]: nella zona i Tedeschi si trovano in difficoltà. La loro sola guarnigione stabile è localizzata sul monte Ceppo, che domina Carmo Langan; ma ogni via d'accesso è chiusa o minacciata dalle forze garibaldine, ed i nazisti non intendono rimanere in quella precaria situazione.
Il 16° distaccamento, costituito fresco fresco, si trova a Pian Colombo, vicino a Vignai [Frazione di Baiardo (IM)]; ma, in quel mattino, è ridotto rispetto al numero dei suoi effettivi perché, sul far dell'alba, un gruppo, composto dal capo squadra tenente Giulio Ferrari (Burdelusu) e dai garibaldini «Milano» e «Lingera», aveva accompagnato Candido Bertassi (Capitano Umberto) [di una formazione autonoma] dal comandante «Vittò» [Ivano/Vitò, Giuseppe Vittorio Guglielmo]. 
Un'altra squadra è in missione, alla volta della Maddalena. 
Una terza, infine, è partita il giorno precedente per far saltare il ponte di Isolabona. 

Il lavoro non manca, dunque, per questa nuova formazione tanto che nell'accampamento sono presenti in tutto circa venti­cinque uomini.

Ore undici: una staffetta giunge da Baiardo ed annuncia l'arrivo di quattro camion tedeschi. 
Gli uomini rimasti a Pian Colombo vengono divisi in due squadre dal comandante Bruno Luppi (Erven), che considera quell'arrivo come dei rinforzi nazisti destinati probabilmente alla guarnigione di monte Ceppo.
La prima squadra è agli ordini di Aldorino Iazzone (Argo) e la seconda sotto la guida di Carlo Peverello (Assalto).
Gli uomini partono dall'accampamento, a circa un quarto d'ora di cammino dal luogo stabilito, per attaccare gli automezzi tedeschi.
Il Comandante dispone gli uomini in luogo immediatamente soprastante il bivio della strada proveniente da Baiardo, da cui partono due ramificazioni che conducono l'una al monte Ceppo, l'altra a Vignai e Badalucco.

Il bivio è quello di Sella Carpe.

I partigiani fanno la strada in salita per raggiungere il punto stabilito prima dell'arrivo dei Tedeschi, i cui camion, ormai, sono vicini.
«Erven» ordina ad una squadra di appostarsi sopra la strada, a circa 150 metri dal bivio, sulla diramazione che porta al monte Ceppo. 
La squadra di «Argo» è allineata prima del bivio per proteggere quella appostata per l'agguato. In mezzo allo schieramento è piazzato il mitragliatore. Sono circa le dodici; spuntano i primi due camion, pieni zeppi di Tede­
schi, con le mitragliatrici pesanti sulla torretta.
Segnale d'attacco nel campo garibaldino. Una pioggia di bombe a mano e raffiche nutrite di armi automatiche. Un quarto d'ora di fuoco infernale.
Le perdite naziste sono ingenti, l'autista del primo automezzo è colpito a morte ed i Tedeschi, stipati nei camion, in parte sono uccisi o feriti, in parte sono colpiti mentre stanno a cavalcioni lungo le fiancate degli automezzi.
Qualcuno tenta l'ultima difesa, altri l'ultima fuga, ma ancora sono colpiti. I camion sono crivellati di colpi.
La battaglia prosegue accanita. Infine, anche gli ultimi Tedeschi soccombono scoraggiati.
Il garibaldino austriaco «Marx» intima la resa ai nazisti: una trentina di essi alza le mani.
I partigiani galvanizzati si precipitano sulla strada per impadronirsi dell'ingente armamento che è sui camion, tanto necessario alla formazione.
Con le armi conquistate, sette machinen-pistole, tre sputafuoco, un thompson, numerosi ta-pum, il distaccamento avrà risolto il problema dell'armamento, con l'orgoglio di esserselo procurato da solo.

Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) Vol. II: Da giugno ad agosto 1944, volume edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

Verso le undici antimeridiane del 27 giugno, una vedetta arriva trafelata all’accampamento con l’annuncio che quattro grossi camions tedeschi stanno risalendo la strada proveniente da Baiardo. Erven raduna tutti i presenti; sono ventisette, li divide in due squadre: una al comando di Argo *, l’altra al comando di Assalto e con essa si dirige al bivio di Sella Carpe a circa un quarto d’ora dall’accampamento. Al bivio di Sella Carpe la strada proveniente da Baiardo si biforca in due direzioni: un ramo sale verso monte Ceppo, l’altro verso Vignai e Badalucco. È nell’intenzione di Erven appostarsi prima del bivio; ma quando egli, con i suoi uomini, giunge, è già troppo tardi: gli autocarri si stanno avvicinando. Erven sale allora per la strada di monte Ceppo e fa appostare i suoi garibaldini in un punto adatto, a circa centocinquanta metri dal bivio. Prima del bivio lascia la squadra di Argo per proteggere le spalle della postazione dell’arrivo di altri camions. Gli uomini si sono appena appostati, quando sulla strada appaiono i primi due autocarri stracarichi di tedeschi. Sono le undici e mezzo. Il momento è emozionante: non c’è tempo di attendere: un copioso getto di bombe a mano, un fitto rafficare di mitragliatrici investe i malcapitati invasori che, stipati nei camions, parte soccombono massacrati o feriti, parte tentano un’estrema resistenza e parte saltano giù e si danno alla fuga. Allora i garibaldini si arrampicano sui camions grondanti sangue per fare bottino. La conquista delle armi era il principale obbiettivo dei combattimenti, e i garibaldini della zona possono vantarsi di non avere atteso l’armamento come manna che piove dal cielo, ma d’esserselo saputo guadagnare in combattimento. Sette machine-pistole, tre sputafuoco, un Tompson e un numero imprecisato di Ta-Pum formano il bottino di quella azione. Ma, mentre i partigiani sono sui camions, intenti al rastrellamento delle armi, odono crepitare raffiche di mitraglia provenienti dal bivio. Gli altri autocarri tedeschi, che anziché due erano cinque, vinta la resistenza di Argo, battono con le loro mitragliatrici la strada di monte Ceppo, tagliando ai garibaldini le vie di ritirata. Argo, al secolo Arduino Jassone, è caduto da eroe alla testa dei suoi uomini. La situazione è grave: non resta che appostarsi nel fossatello che segue la strada dalla parte a monte e puntare i mitragliatori in modo da battere il bivio. I garibaldini che già avevano dato prova, durante l’attacco agli autocarri, di un coraggio e di un entusiasmo senza limiti, continuano a combattere con un valore difficilmente riscontrabile in un esercito regolare e militarmente addestrato. L’ardimento di Assalto, di Aldo Baggioli, di Marx, di Gigi, di Max, di Loré, di Sanremo, di Fiorista, di Maliacoff, di tutti insomma gli uomini di Erven, è quello degli uomini che sanno perchè combattono. […] Bisogna ad ogni costo eliminare le mitragliatrici che bloccano ogni via di scampo ai partigiani. […] Le sorti della battaglia sono ormai decise. Non resta ad Erven che dare ordine ai suoi uomini di ritirarsi individualmente.
La carrozzabile, in basso, con la fila dei tedeschi che sale guardinga, e il battito del cuore contro il calcio del mitragliatore, attendendo, e ogni cespuglio che fiorisce d’occhi in agguato. Poi un crepitare fitto che dà il via, un polverone dorato che s’alza sulla carrozzabile, sui tedeschi che s’abbattono, che si gettano fuori strada, comandi urlati dalle voci rauche dei capibanda che s’incrociano con quelli bestemmiati in tedesco, con le voci venete e lombarde dei bersaglieri, raffiche, ta-pum, bombe a mano, partigiani stracciati che dilagano sulla strada a far bottino verso gli autocarri grondanti di sangue.
Italo Calvino in Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Ma la rovina è in agguato, presso il bivio. Sopravvengono di sorpresa altri cinque automezzi carichi di truppa, protetti da un'autoblinda.
La squadra di «Argo» tenta di fermarli: infine, deve ritirarsi. «Argo», che finora ha sparato col mitra, tenta di riparare il mitragliatore che si è inceppato, ma è colpito alla gola da una raffica di Majerling.
Un altro garibaldino, Giacomo Raineri (Rolando), è freddato da una pallottola di ta-pum.
La situazione è rovesciata e notevolmente aggravata.
Avviene una scena indescrivibile: ferro e fuoco tempestosi si rovesciano sui partigiani che si appostano, così come possono, in un fossatello e puntano i mitragliatori sul bivio stradale.
La lotta è furibonda: il piccolo gruppo di patrioti combatte furiosamente contro preponderanti forze tedesche, armate fino ai denti, appoggiate dal fuoco dell'autoblinda.
L'impegno di Massimo Porre (Max) e di Lodovico Millo (Sanremo), come di «Assalto» [Carlo Peverello, nato a Castelvittorio il 28 febbraio 1923], «Cichito», «Gigi», «Loré», «Fiorista», «Maliacoff», è al massimo.
«Marx» striscia lungo il fossato per insegnare ai compagni il funzionamento delle armi automatiche prese ai Tedeschi.
Questi, ora, giungono al bivio. Piazzano i mortai. Un fuoco infernale s'aggiunge a quello già fittissimo.
Altri Tedeschi s'arrampicano verso la strada: Renzo Barbieri (Bigi), studente in farmacia ed infermiere del distaccamento, segnala la loro presenza e spara col ta-pum.
«Erven» s'affaccia sul ciglio e, subito, una raffica di Majerling lo colpisce alla coscia, mentre alcune schegge gli si conficcano nel corpo. 
«Bigi» applica una fascia alla ferita.
Siamo all'epilogo dello scontro, ma non dell'odissea. Il Comandante ed otto partigiani sono feriti. Ordine di ritirarsi sparsi, strisciando alla ricerca dei cespugli per nascondersi ai nazisti.
«Erven» raggiunge, con l'ausilio di Renzo Barbieri [Bigi] e di Massimo Porre, un ginepraio e tenta di frenare l'emorragia stringendosi la coscia con una cinghia.
Vicino a lui è il fedelissimo «Max», studente di Sanremo, che segue il suo Comandante anche a rischio della morte, ed insieme, strisciano verso la vegetazione.
Ma a nord è una parete rocciosa, a sud il percorso è battuto dalle mitragliatrici naziste.
Ogni via di scampo sembra preclusa. All'improvviso, come per un miracolo, un banco di nebbia s'interpone fra i Tedeschi ed i partigiani.
Questi, lesti, attraversano il tratto e si pongono momentaneamente in salvo tra i cespugli.

È l'inizio di una lunga, travagliata odissea.

Intanto «Argo» * tenta di guadagnare, armato, l'accampamento. Ma la ferita alla gola è grave e ne esaurisce le energie. S'abbatte, esausto, presso un pino. Lo trova un Tedesco che lo finisce sparandogli un colpo alla tempia con la P 38.

L'autoblinda, dal bivio di Sella Carpe, vomita un fuoco di sbarramento col cannoncino da 47/32, accompagnato dallo schianto degli ordigni di mortai tedeschi da 82 mm.
Precedentemente all'azione, il garibaldino Pietro Schiappacasse (Pedro), partito dall'accampamento di Pian Colombo [località di Molini di Triora (IM)], era andato con due muli a reperire il tritolo destinato a fare saltare il ponte di Vignai allo scopo di impedire il passaggio di automezzi nemici. Quando ritorna, trova l'ac­campamento abbandonato. 
Giunge un altro garibaldino e gli riferisce dello scontro. 
Allora «Pedro» porta i due muli in un casone appartato dove deposita il tritolo.
Intanto, alcuni superstiti della battaglia giungono a Langan e chiedono rinforzi a «Ivano» [Vitò/Vittò. Giuseppe Vittorio Guglielmo].
Nella notte sono pronti circa trenta uomini: i resti del 16° distaccamento, integrati da elementi del 5°, denominato «La Valanga», calano da San Bernardino alla ricerca dei compagni rimasti feriti il giorno precedente.
Sono scoperti e li accoglie un uragano di fuoco: mitragliatrici, cannoncini, mortai, armi automatiche, tutto crepita e romba contro di loro.
Occorre ritirarsi per risparmiare altre vittime. S'odono ordini rabbiosi in lingua tedesca. Si scorge un bagliore seguito da un boato: l'osteria di Vignai è in preda alle fiamme.
Termina, così, la prima fase di un'odissea allucinante.
Per tutto il pomeriggio e la notte del 28, «Erven» è nel ginepraio con i due fedeli compagni «Max» e «Bigi», senza cibo, con la ferita sporca e sanguinante.
Sono lunghissime, interminabili ore diurne e notturne dominate da ansie, paure, angoscia.
Braccato come una lepre, il ferito vede sfilare davanti ai suoi occhi i calci dei fucili nemici.
Trattiene le urla laceranti che gli salgono dal petto per il terribile dolore.
Esausto, striscia sul terreno scosceso, si nasconde, digiuna, imbratta zolle e foglie del suo sangue, osserva il chiaro cielo della nostra Liguria.
I pensieri tortuosi s'accavallano, le idee si confondono, le prospettive sono nere, intorno tutto è buio.
Ma «Erven» è nella sua terra e sa che mille cuori battono per lui ed è certo che i suoi partigiani lo cercano notte e giorno e lo ritroveranno e lo porteranno al sicuro in un luogo ospitale presso la nostra gente, presso i nostri meravigliosi contadini [...] 

[...] ancora il campo di battaglia è tenuto dai Tedeschi. 
Non si possono, però, abbandonare i feriti al loro destino.
Ogni sacrificio dev'essere sopportato, ogni rischio affrontato. 
«Marussia» [anche Maruska, Mario Lantero] e «Burdelusu», capisquadra, con dodici volontari, alcuni del 16° distaccamento, partono ancora alla ricerca.
Verso le otto sono a San Bernardino e scrutano la strada e la montagna. 
Silenzio. La ricerca è lunga.
Giungono all'accampamento e trovano cinque partigiani che forniscono notizie: Erven, stremato e dissanguato, è stato portato nella zona «X» e si trova in pericolo di vita

Intanto altre squadre sono alla ricerca dei feriti: quella di «Vittò», scesa da Langan, e quella di «Assalto». 
Chiamano «Erven»; ma né lui, né altri osano rispondere per la presenza del nemico.
«Max» e «Pino» cercano di raggiungere Baiardo per chiedere rinforzi sebbene in quel paese ci siano i Tedeschi.
Finalmente, dopo tre notti e tre giorni trascorsi nei cespugli, lacero e sfinito, coperto di foglie da «Lorè» [forse Lorenzo Acquarone] durante il giorno per proteggerlo dai brucianti raggi del sole, quasi dissanguato, «Erven» è trovato da cinque uomini venuti da Baiardo.
Li capeggia Mario De Miglié (Piccun) e con loro è Pasquale Ormea (Lino) che ha combattuto la tragica battaglia di Sella Carpe.
«Erven» è a metà strada tra Baiardo e Carmo Langan.
«Burdelusu» e Mario Lantero (Marussia) scendono a trovarlo ed il ferito chiede notizie di tutti i suoi uomini, i suoi fratelli. 
Poi, ringrazia i garibaldini e si dichiara fiero di loro.
Quindi, è trasportato e medicato a Fontana Vecchia; poi a Castelvittorio, presso Caterina e Giovanni Orengo, è visitato dal prof. Moro che stima urgente un'operazione.
Con un viaggio di nove ore in barella, il ferito raggiunge l'ospedaletto di Triora, dove gli è praticata finalmente l'antitetanica.
[...] Dopo il ricovero e l'antitetanica, il dott. Giuseppe Bottari e il dott. Ferrero praticano al ferito l'ipodermoclisi.
Ma siamo al 2 di luglio, l'inizio di uno dei più vasti e feroci rastrellamenti nazifascisti nella nostra provincia.
Epicentro: Valle Nervia e Valle Argentina.
I pochi feriti gravi dell'ospedaletto di Triora, fra cui «Erven», sono portati in barella nel bosco del monte Trono... «Erven» [anni dopo scriverà] ... Nel primo mattino del 2 luglio 1944 i tedeschi in rastrellamento cominciarono a bombardare "con cannoni l'ospedale di Triora. Fu un fuggi, fuggi: in breve rimanemmo nell'ospedale solo cinque feriti gravi, il dottor Ferrero, il dottor Bottari, la Suora superiora dell'Ospedale e l'infermiere partigiano Battista. Il frastuono sempre più vicino delle armi tedesche, e le voci dei rastrellatori che già si udivano dal fondo valle dove Molini di Triora già era data alle fiamme...".

Carlo Rubaudo, Op. cit.

* Encomio alla memoria al garibaldino Aldorino Iazzone (Argo) [ma Altorino Iezzoni per Ilsrec, Altorino Iezzoni, nato ad Atri (TE), il 26/04/1914, già caporale del Regio Esercito, commissario di Distaccamento della neoformata (il 20 giugno) IX^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione”, o Arduino Jassone per Giovanni Strato]
Comandante di squadra, incaricato dal Comandante di distaccamento di proteggere a tergo gli uomini che attaccavano autocarri tedeschi su Sella Carpe, investito da un numero soverchiante di nemici, organizzava una accanita resistenza con pochi uomini a disposizione ed impugnava egli stesso il mitragliatore, infliggendo perdite sensibili al nemico e tenendolo a bada fino a che una raffica di mitraglia non lo colpiva mortalmente alla gola. Rimaneva impavido al suo posto ed invitava il suo portamunizioni a mettersi in salvo, ed indicava ancora il nemico che in numero soverchiante avanzava. (Combattimento del 27.6.1944 - Monte Ceppo).

… Quando giungemmo sopra Castelvittorio, ci venne incontro un partigiano, un militare unitosi alla resistenza dopo l’8 settembre, tale Iezzoni “Argo”, che ci accompagnò fino a Langan, dove c’era il “quartier generale” e dove si concentravano tutti i neo-partigiani. Salutandoci, il partigiano Iezzoni ci disse che l’indomani probabilmente sarebbero sbarcati gli alleati... Otto giorni dopo “Argo” moriva in un’operazione a Baiardo. Fu il primo schiaffo che ricevetti dalla realtà della mia guerra da partigiano…           
Renato Dorgia “Plancia” in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia <ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia - Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM)>


mercoledì 5 febbraio 2020

La liberazione dei detenuti antifascisti ad Oneglia, 19 luglio 1944

l'Unità, ciclostilato clandestino della federazione comunista di Imperia. Luglio 1944. Prima pagina. All'interno, la notizia del colpo partigiano al carcere di Oneglia. Documento conservato presso l'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, digitalizzato da Istituto Nazionale Ferruccio Parri


Nella seconda metà di luglio del 1944 il C.L.N. sollecitò un intervento dei garibaldini per liberare un centinaio di prigionieri politici, detenuti nel carcere del capoluogo di provincia, segnatamente ad Oneglia.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 

Già da qualche tempo è segnalata al Comando partigiano la presenza di un rilevante numero di prigionieri politici e di ostaggi nelle carceri di Oneglia e corre voce di un tentativo per liberarli.
L'impresa, certamente, non è di poco conto; anzi, si tratta, addirittura, di penetrare in numero esiguo in piena città, nella tana degli armatissimi Tedeschi e fascisti, forzare gli ingressi, introdursi nella prigione, liberare i prigionieri e portarli in salvo.
Ma tant'è. Quando nel campo garibaldino si fa strada un'idea, ben difficilmente si desiste dal realizzarla senza averla almeno prima tentata. Corre voce di un diretto interessamento del comandante «Curto» [Nino Siccardi], che avrebbe incaricato lo stesso «Cion» [Silvio Bonfante] dell'impresa, ed è prevista la partecipazione di «Mancen»; ma sui due non è possibile fare assegnamento perché, come si vedrà in seguito, particolari situazioni li avevano improvvisamente trasferiti, con le loro formazioni, nell'Alta Val Tanaro.
Comunque, la notizia più certa è che, da vario tempo, il CLN di Imperia sollecita i partigiani della montagna ad un'azione tendente a liberare un centinaio di prigionieri politici rinchiusi nelle carceri. Il direttore, Salvatore Cangemi, collaboratore e patriota, aveva fornito tutte le informazioni necessarie partecipando a due colloqui, tenutisi in Villatalla (frazione di Prelà), con il Comando del 2° distaccamento, accampato a Ville San Pietro [Frazione del comune di Borgomaro (IM)].
L'azione viene quindi decisa e sarà compiuta proprio dal 2° distaccamento, denominato «Inafferrabile». Non tutti sono consenzienti a partecipare ad un'impresa tanto rischiosa in piena città. All'appello rispondono in diciannove. Si fanno i preparativi ed il 19 di luglio, verso le 15, si parte da Ville San Pietro.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992
 


Bollettino del CLN Alta Italia del 15 settembre 1944 cit. infra

Liberazione di 95 prigionieri politici.
Il 18 luglio due squadre del II° Distaccamento si portavano nella notte al centro di Imperia e riuscivano a liberare dalle carceri giudiziarie tutti i prigionieri politici, in un'azione audace durata solo 15 minuti. Entrati con un inganno, immobilizzato il portiere, i garibaldini davano la libertà ai prigionieri che già si trovavano al completo nei corridoi a causa dell'allarme aereo avvenuto pochi minuti prima dell'azione. L'odissea dei 95 liberati e della squadra è stata terribile. Infatti, segnalati immediatamente, furono inseguiti fino alla Colla di S. Bartolomeo, luogo avanzato dei partigiani. 
CLN Alta Italia, Corpo Volontari della Libertà, Comando Generale per l'Italia occupata, Bollettino n° 9 - 15 settembre 1944 -, Dai Bollettini della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "F. Cascione" (22 giugno-27 agosto). Fonte: Fondazione Gramsci

Il giorno 19 c.m. il Distaccamento comandato da Ivan si portava ad Oneglia, quindi penetrava nelle locali carceri giudiziarie e metteva in libertà i detenuti quasi totalmente di carattere politico. Questi venivano avviati presso l'accampamento del Distaccamento stesso. Inutile dire che sui corpi di certuni di costoro risultano ancora troppo evidenti i segni dei supplizi subiti, anzi qualcuno non fu nemmeno in grado di sostenere la marcia di poche ore necessaria per raggiungere la meta e dovettero essere rilasciati in consegna di contadini lungo il percorso. Un particolare poco confortevole ci è dato dal contegno di Ufficiali che trovavasi carcerati: invitati a prendere la propria libertà questi cominciarono, e col dimostrarsi tutt'altro che entusiasti, tergiversarono accennando alla necessità di studiare bene la cosa, al pericolo che avrebbero potuto incorrere le famiglie cosicché furono lasciati liberi di seguire o rimanere il tempo non permettendo di ritardare di troppo la decisione; e questi non uscirono dalla prigione.
Tutti i detenuti liberati manifestarono la loro gioia e senso di gratitudine verso i Partigiani; gran parte di questi chiesero di rimanere con noi a continuare la lotta. In totale furono liberate circa 90 persone.
Volontario della Libertà, Organo dei Distaccamenti delle Brigate d'Assalto "Garibaldi" di Savona e Imperia, N. 2 del 21 agosto 1944, Azioni audaci della Divisione d'Assalto Garibaldi "F. Cascione" - 21/7/1944. Fonte: Fondazione Gramsci

I partigiani agirono il 19 luglio con un appoggio interno.
Il direttore della casa di pena, Salvatore Cangemi, comandante (clandestino) di una squadra delle SAP, aveva, infatti, fornito tutte le informazioni necessarie a Giacomo Ivan Sibilla [già comandante di una delle prime bande partigiane dell'imperiese, in seguito comandante della II^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Nino Berio" della Divisione "Silvio Bonfante"], comandante in quel momento del II° Distaccamento, noto come l'Inafferrabile, della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione".
In più Cangemi fece avere due divise da militi e due acconci tesserini, falsificati.
Le divise vennero indossate da Inglese, Silvano Sasso, e Pablos, Paolo De Marchi, che si avvicinarono al penitenziario insieme al partigiano Chisne, Palo Rauli, e finsero di scortare un prigioniero, il partigiano Carlo Montagna, "Milan", comandante della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione [caduto il 17 gennaio 1945 a Villatalla, Frazione di Prelà (IM)].
Tra i partecipanti all'azione anche Elio Messuia Rovaris, capo di una squadra, già attivo nella banda di Ivan.
Rocco Fava, Op. cit. - Tomo I


Gli altri rimangono all'esterno, a protezione dell'azione. «Bacistrasse» e «Messuia», armati ciascuno di un mitragliatore S. Etienne, sono piazzati ai due lati di via Magenta, proprio sopra la galleria ferroviaria.
Gli otto avanzano ancora e pervengono ai pochi scalini esterni presso i quali si fermano in tre.
Entrano nell'atrio in cinque e fingono di voler internare un prigioniero politico ammanettato. Bussano. Un Tenente li scruta attraverso lo spioncino; diffida. Lo sollecitano, dato lostato di allarme. Finalmente apre la porta. Il finto prigioniero, «Milan», fa cadere a terra le manette e punta la pistola contro il Tenente, mentre «Kisne», con mossa fulminea, introduce un piede tra la parete e la porta, per evitare l'eventualità che la stessa possa essere improvvisamente richiusa. Il Tenente chiede pietà, mentre i partigiani distruggono l'impianto telefonico e radunano i detenuti che, temendo le solite carneficine notturne da parte dei nazifascisti, creano confusione. Il momento è delicato e difficile. «Clark» [Alfredo Semeria] divide i prigionieri politici dagli altri. Suonano le 23: in venti minuti l'operazione è compiuta!
Carlo Rubaudo, Op. cit.
 
Erano appena suonato il segnale d'allarme [per un attacco aereo alleato] che si presentavano 3 borghesi tra cui uno sembrava ammanettato, il guardiano credendo trattarsi di agenti di P.S. apriva la porta e ivi i tre Garibaldini immobilizzavano il guardiano e rendevano liberi i prigionieri. Venivano segnalati immediatamente, ma i garibaldini riuscivano a portare tutti in salvo...
l'Unità, ciclostilato clandestino della federazione comunista di Imperia [n.d.r.: questo documento - di cui qui si riproduce la copia - indica in 95 il numero dei detenuti fatti evadere]

Immobilizzato il milite di guardia all'entrata e riusciti, pertanto, a penetrare nel carcere, distrussero l'impianto telefonico e radunarono i detenuti politici e gli ostaggi. 

l'Unità, ciclostilato clandestino della federazione comunista di Imperia. Documento conservato presso l'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, digitalizzato da Istituto Nazionale Ferruccio Parri. Foglio (pagina) cit. infra  

Imperia: la zona della stazione ferroviaria (in oggi dismessa dopo lo spostamento a monte della linea ferrata) di Oneglia e delle carceri

[...] Era appena suonato il segnale d'allarme che si presentavano 3 borghesi tra cui uno di essi sembrava ammanettato. Il guardiano, credendo trattarsi di agenti di P.S., apriva la porta e ivi i tre garibaldini immobilizzavano il guardiano e rendevano liberi i prigionieri. Venivano segnalati immediatamente, ma i garibaldini riuscivano a portare tutti in salvo.
l'Unità, ciclostilato clandestino della federazione comunista di Imperia. Luglio 1944. Documento conservato presso l'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, digitalizzato da Istituto Nazionale Ferruccio Parri

Escono in un numero imponente di carcerati che, come una valanga, si riversano all'aria libera, alla vita. Una parte di essi all'alba sarebbe stata destinata alla fucilazione o alla deportazione nei lager: fra questi il valoroso Angelo Balegno (Venko) che, in seguito, sarà l'intendente di tutta la I^ Zona Liguria. La lunga colonna procede speditamente sulla via del ritorno: percorre via Ghersi, salita Monti, Lagoni, Cascine, Pini Spinelli; quivi sosta per prendere fiato ed orientarsi. Poscia i fuggiaschi proseguono alla svelta, anche se con minore affanno, mentre sete e disagi si fanno sentire. Camminano per due lunghe ore. Alcuni sono scalzi. Spunta l'alba quando giungono a Gazzelli, dove la popolazione offre del pane. Intanto i Tedeschi, venuti a conoscenza della fuga, attaccano con i mortai fra Chiusanico e Torria. I prigionieri liberati sono inviati nei boschi, mentre i partigiani si dispongono a difesa. Poi i Tedeschi cessano il fuoco. I garibaldini scendono sulla Statale n. 28 per attraversarla.
Carlo Rubaudo, Op. cit.
 
Il numero complessivo dei prigionieri liberati dovrebbe essere stato pari a 92, tra cui Angelo Balegno (Venko), che in seguito divenne intendente di tutta l'organizzazione partigiana della I^ Zona Liguria.

Torria, Frazione di Chiusanico (IM) - Fonte: Wikipedia

Il punto di arrivo della maggior parte dei detenuti liberati fu Torria, Frazione di Chiusanico (IM).
L'eclatante azione dei garibaldini venne qualche giorno dopo annunciata addirittura da Radio Londra.
Tra le persone liberate vi fu anche una spia nazi-fascista, il prof. Giuseppe Della Valle **, il quale, entrato nelle formazioni partigiane, mandò avanti la sua perniciosa attività [...]
Rocco Fava, Op. cit. - Tomo I
 

Dal suo diario [quello di Giuseppe Lacheri], che contempla il periodo 26 maggio-21 agosto 1944, emergono soprattutto il profondo affetto e l'amore per la moglie Vincenzina Sebastiani. Ciò prova, come del resto il Lacheri scrive esplicitamente, la ragione per la quale il 19 luglio non crede opportuno approfittare dell'occasione per riacquistare la libertà.
Stralciamo dal diario le note relative al 20 luglio, giorno immediatamente successivo, quindi, alla liberazione dei detenuti: «... 20/7 - Ieri sera, alle 22,40 circa, in periodo di allarme, assalto dei partigiani. Evasi 64 detenuti del giudiziario e 2 internati; rimasti 24 del giudiziario e 4 internati. Io ero a letto al 3° piano, mi sono alzato, mi sono preparato e poi ho visto la mia Vincenzina, ho pensato che non ho commesso nulla di male, che non l'avrei potuta vedere che alla fine della guerra e sono rimasto. Non ho voluto andare contro il destino. Tutta la notte siamo rimasti alzati. Sono venuti il Prefetto, il Questore ed altre autorità che ci hanno quasi promesso la liberazione. Si vedrà in seguito. Le guardie di servizio Ciardi, Cocco e Alcisi sono state messe in cella. Il S.C. Piroddi è stato arrestato ma non è qui...».
Per ultimo riportiamo il documento che i liberati dal carcere hanno inviato il 23 luglio 1944 al Comando Divisionale d'Assalto Garibaldi «F. Cascione»: "... In questo momento che le azioni delle Brigate Garibaldi si susseguono ininterrotte, non possiamo, noi ex detenuti delle Carceri di Oneglia, non citare con particolare encomio la brillante quanto temeraria impresa di liberazione condotta dai partigiani del distaccamento d'assalto Garibaldi comandato da Ivan. L'apparizione subitanea dei patrioti nelle carceri fu come il segnale di risurrezione di una vita nuova per tutti quei giovani che erano desti­nati alla deportazione in Germania o alla fucilazione. L'azione condotta con calma e coraggio si è conclusa con la liberazione di 65 fratelli che, ingrossando con entusiasmo le ben guarnite file dei volontari Patrioti, fremono d'impazienza in attesa di potere al più presto an­che lassù prendere parte attiva a nuove missioni di guerra per il riscatto dell'Italia e cacciare l'odiato tedesco dal nostro sacro suolo. Onore e gloria a questi prodi che tanto osarono nel cuore stesso dei Comandi delle forze tedesche e «repubblichine» che debbono inchinare ogni giorno di più il capo d'innanzi ai duri colpi che tutti questi bravi giovani instancabilmente loro assestano... ".
Carlo Rubaudo, Op. cit.

* [...] In quel periodo Milan [Carlo Montagna], con Bruno Battaglia, Bacistrasse [Giobatta Gustavino] ed altri valorosi, entrò nelle carceri di Imperia Oneglia e liberò i prigionieri politici e comuni, accompagnandoli al sicuro in territorio partigiano. Al Comando Divisione ne arrivarono cinque: un professore grassoccio chiamato subito prof. **, che si dichiarò comunista da sempre e che, a suo dire, era in carcere per le sue convinzioni politiche, Vengo, di Sanremo, che era stato torturato brutalmente e ancora ne portava i segni su tutto il corpo, un romano già anziano detenuto comune, ed infine altri due che erano con i prigionieri comuni: Walter e Bol (due spie dei tedeschi, come il professore). Feci notare ai componenti del comando lo stato di Vengo, e quello del Prof **. Lo stato di salute del secondo era splendido: ben pasciuto, senza un segno di percossa (quando tutti ben sapevamo come venivano trattati i sospettati di simpatie comuniste dai tedeschi e dai fascisti) perciò, a mio avviso, dovevamo diffidare di lui. Ma fu tutto inutile; il prof. fu nominato addirittura Presidente del tribunale divisionale per il suo scilinguagnolo e il suo ruffianesimo e incominciai a vederne i risultati quasi subito. [...]
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo) (1), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994
(1) Fra Diavolo, già a capo nell'autunno 1943 di un piccolo gruppo partigiano in Cipressa (IM), in seguito alla guida di formazioni partigiane sempre più importanti, poi comandante della Brigata "Val Tanaro" della Divisione "Silvio Bonfante", infine alla Liberazione comandante della IV^ Brigata "Domenico Arnera", nuova denominazione della Brigata "Val Tanaro", della VI^ Divisione "Silvio Bonfante".

** Intanto giunse a Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN), Val Corsaglia [dove erano confluiti la maggior parte dei partigiani della I^ Zona Liguria per sfuggire al tremendo rastrellamento tedesco di ottobre 1944, per l'appunto, durante il quale, trageda nella tragedia, il 17 persero la vita i valorosi comandanti partigiani Libero Briganti (Giulio) e Silvio Bonfante (Cion)] l'ex sottotenente tedesco Otto Trostel, da tempo collaboratore dei garibaldini, che portò con sé le prove del tradimento di Giuseppe Della Valle (Prof), il quale da presidente del tribunale della Divisione "Felice Cascione" aveva provocato la morte di diversi giovani patrioti il 9 agosto 1944 a nord di Pieve di Teco, il 5 settembre a San Bernardo di Conio, il 19 settembre nel bosco di Rezzo, ancora il 17 ottobre ad Upega. Della Valle, riconosciuto colpevole dal tribunale militare partigiano, venne fucilato il 4 novembre 1944 a Fontane. Il 24 ottobre analoga sorte era già stata riservata alla moglie del "Prof", che aveva fatto da tramite tra il marito ed i nazisti.
Rocco Fava, Op. cit. - Tomo I