Visualizzazione post con etichetta Aldorino Iezzone. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Aldorino Iezzone. Mostra tutti i post

martedì 5 maggio 2020

I partigiani alla battaglia di Sella Carpe ed il ferimento del comandante Erven

Sella Carpe
Sul finire del giugno 1944, protagonista il 16° distaccamento della neo costituita IX^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione", ebbe luogo una battaglia combattuta all'altezza del bivio di Sella Carpe, da cui partono le ramificazioni che conducono l'una a Monte Ceppo, l'altra a Vignai e Badalucco.
I garibaldini che si accingevano ad attaccare alcuni camion tedeschi diretti a Carmo Langan [località di Castelvittorio (IM)], erano divisi in due squadre nascoste nel fitto bosco a pochi metri dal bivio.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

La battaglia di Sella Carpe segna l'inizio d'una serie di dieci giorni tempestosi per tutta la Resistenza della nostra provincia.
In modo particolare, l'uragano di ferro e di fuoco nazifascista s'abbatte sulle formazioni partigiane della IX Brigata e sugli abitanti del territorio occidentale della provincia, dalla valle dell'Impero fino al confine francese. 
 
Ventisette giugno [1944]: nella zona i Tedeschi si trovano in difficoltà. La loro sola guarnigione stabile è localizzata sul monte Ceppo, che domina Carmo Langan; ma ogni via d'accesso è chiusa o minacciata dalle forze garibaldine, ed i nazisti non intendono rimanere in quella precaria situazione.
Il 16° distaccamento, costituito fresco fresco, si trova a Pian Colombo, vicino a Vignai [Frazione di Baiardo (IM)]; ma, in quel mattino, è ridotto rispetto al numero dei suoi effettivi perché, sul far dell'alba, un gruppo, composto dal capo squadra tenente Giulio Ferrari (Burdelusu) e dai garibaldini «Milano» e «Lingera», aveva accompagnato Candido Bertassi (Capitano Umberto) [di una formazione autonoma] dal comandante «Vittò» [Ivano/Vitò, Giuseppe Vittorio Guglielmo]. 
Un'altra squadra è in missione, alla volta della Maddalena. 
Una terza, infine, è partita il giorno precedente per far saltare il ponte di Isolabona. 

Il lavoro non manca, dunque, per questa nuova formazione tanto che nell'accampamento sono presenti in tutto circa venti­cinque uomini.

Ore undici: una staffetta giunge da Baiardo ed annuncia l'arrivo di quattro camion tedeschi. 
Gli uomini rimasti a Pian Colombo vengono divisi in due squadre dal comandante Bruno Luppi (Erven), che considera quell'arrivo come dei rinforzi nazisti destinati probabilmente alla guarnigione di monte Ceppo.
La prima squadra è agli ordini di Aldorino Iazzone (Argo) e la seconda sotto la guida di Carlo Peverello (Assalto).
Gli uomini partono dall'accampamento, a circa un quarto d'ora di cammino dal luogo stabilito, per attaccare gli automezzi tedeschi.
Il Comandante dispone gli uomini in luogo immediatamente soprastante il bivio della strada proveniente da Baiardo, da cui partono due ramificazioni che conducono l'una al monte Ceppo, l'altra a Vignai e Badalucco.

Il bivio è quello di Sella Carpe.

I partigiani fanno la strada in salita per raggiungere il punto stabilito prima dell'arrivo dei Tedeschi, i cui camion, ormai, sono vicini.
«Erven» ordina ad una squadra di appostarsi sopra la strada, a circa 150 metri dal bivio, sulla diramazione che porta al monte Ceppo. 
La squadra di «Argo» è allineata prima del bivio per proteggere quella appostata per l'agguato. In mezzo allo schieramento è piazzato il mitragliatore. Sono circa le dodici; spuntano i primi due camion, pieni zeppi di Tede­
schi, con le mitragliatrici pesanti sulla torretta.
Segnale d'attacco nel campo garibaldino. Una pioggia di bombe a mano e raffiche nutrite di armi automatiche. Un quarto d'ora di fuoco infernale.
Le perdite naziste sono ingenti, l'autista del primo automezzo è colpito a morte ed i Tedeschi, stipati nei camion, in parte sono uccisi o feriti, in parte sono colpiti mentre stanno a cavalcioni lungo le fiancate degli automezzi.
Qualcuno tenta l'ultima difesa, altri l'ultima fuga, ma ancora sono colpiti. I camion sono crivellati di colpi.
La battaglia prosegue accanita. Infine, anche gli ultimi Tedeschi soccombono scoraggiati.
Il garibaldino austriaco «Marx» intima la resa ai nazisti: una trentina di essi alza le mani.
I partigiani galvanizzati si precipitano sulla strada per impadronirsi dell'ingente armamento che è sui camion, tanto necessario alla formazione.
Con le armi conquistate, sette machinen-pistole, tre sputafuoco, un thompson, numerosi ta-pum, il distaccamento avrà risolto il problema dell'armamento, con l'orgoglio di esserselo procurato da solo.

Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) Vol. II: Da giugno ad agosto 1944, volume edito a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

Verso le undici antimeridiane del 27 giugno, una vedetta arriva trafelata all’accampamento con l’annuncio che quattro grossi camions tedeschi stanno risalendo la strada proveniente da Baiardo. Erven raduna tutti i presenti; sono ventisette, li divide in due squadre: una al comando di Argo *, l’altra al comando di Assalto e con essa si dirige al bivio di Sella Carpe a circa un quarto d’ora dall’accampamento. Al bivio di Sella Carpe la strada proveniente da Baiardo si biforca in due direzioni: un ramo sale verso monte Ceppo, l’altro verso Vignai e Badalucco. È nell’intenzione di Erven appostarsi prima del bivio; ma quando egli, con i suoi uomini, giunge, è già troppo tardi: gli autocarri si stanno avvicinando. Erven sale allora per la strada di monte Ceppo e fa appostare i suoi garibaldini in un punto adatto, a circa centocinquanta metri dal bivio. Prima del bivio lascia la squadra di Argo per proteggere le spalle della postazione dell’arrivo di altri camions. Gli uomini si sono appena appostati, quando sulla strada appaiono i primi due autocarri stracarichi di tedeschi. Sono le undici e mezzo. Il momento è emozionante: non c’è tempo di attendere: un copioso getto di bombe a mano, un fitto rafficare di mitragliatrici investe i malcapitati invasori che, stipati nei camions, parte soccombono massacrati o feriti, parte tentano un’estrema resistenza e parte saltano giù e si danno alla fuga. Allora i garibaldini si arrampicano sui camions grondanti sangue per fare bottino. La conquista delle armi era il principale obbiettivo dei combattimenti, e i garibaldini della zona possono vantarsi di non avere atteso l’armamento come manna che piove dal cielo, ma d’esserselo saputo guadagnare in combattimento. Sette machine-pistole, tre sputafuoco, un Tompson e un numero imprecisato di Ta-Pum formano il bottino di quella azione. Ma, mentre i partigiani sono sui camions, intenti al rastrellamento delle armi, odono crepitare raffiche di mitraglia provenienti dal bivio. Gli altri autocarri tedeschi, che anziché due erano cinque, vinta la resistenza di Argo, battono con le loro mitragliatrici la strada di monte Ceppo, tagliando ai garibaldini le vie di ritirata. Argo, al secolo Arduino Jassone, è caduto da eroe alla testa dei suoi uomini. La situazione è grave: non resta che appostarsi nel fossatello che segue la strada dalla parte a monte e puntare i mitragliatori in modo da battere il bivio. I garibaldini che già avevano dato prova, durante l’attacco agli autocarri, di un coraggio e di un entusiasmo senza limiti, continuano a combattere con un valore difficilmente riscontrabile in un esercito regolare e militarmente addestrato. L’ardimento di Assalto, di Aldo Baggioli, di Marx, di Gigi, di Max, di Loré, di Sanremo, di Fiorista, di Maliacoff, di tutti insomma gli uomini di Erven, è quello degli uomini che sanno perchè combattono. […] Bisogna ad ogni costo eliminare le mitragliatrici che bloccano ogni via di scampo ai partigiani. […] Le sorti della battaglia sono ormai decise. Non resta ad Erven che dare ordine ai suoi uomini di ritirarsi individualmente.
La carrozzabile, in basso, con la fila dei tedeschi che sale guardinga, e il battito del cuore contro il calcio del mitragliatore, attendendo, e ogni cespuglio che fiorisce d’occhi in agguato. Poi un crepitare fitto che dà il via, un polverone dorato che s’alza sulla carrozzabile, sui tedeschi che s’abbattono, che si gettano fuori strada, comandi urlati dalle voci rauche dei capibanda che s’incrociano con quelli bestemmiati in tedesco, con le voci venete e lombarde dei bersaglieri, raffiche, ta-pum, bombe a mano, partigiani stracciati che dilagano sulla strada a far bottino verso gli autocarri grondanti di sangue.
Italo Calvino in Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia

Ma la rovina è in agguato, presso il bivio. Sopravvengono di sorpresa altri cinque automezzi carichi di truppa, protetti da un'autoblinda.
La squadra di «Argo» tenta di fermarli: infine, deve ritirarsi. «Argo», che finora ha sparato col mitra, tenta di riparare il mitragliatore che si è inceppato, ma è colpito alla gola da una raffica di Majerling.
Un altro garibaldino, Giacomo Raineri (Rolando), è freddato da una pallottola di ta-pum.
La situazione è rovesciata e notevolmente aggravata.
Avviene una scena indescrivibile: ferro e fuoco tempestosi si rovesciano sui partigiani che si appostano, così come possono, in un fossatello e puntano i mitragliatori sul bivio stradale.
La lotta è furibonda: il piccolo gruppo di patrioti combatte furiosamente contro preponderanti forze tedesche, armate fino ai denti, appoggiate dal fuoco dell'autoblinda.
L'impegno di Massimo Porre (Max) e di Lodovico Millo (Sanremo), come di «Assalto» [Carlo Peverello, nato a Castelvittorio il 28 febbraio 1923], «Cichito», «Gigi», «Loré», «Fiorista», «Maliacoff», è al massimo.
«Marx» striscia lungo il fossato per insegnare ai compagni il funzionamento delle armi automatiche prese ai Tedeschi.
Questi, ora, giungono al bivio. Piazzano i mortai. Un fuoco infernale s'aggiunge a quello già fittissimo.
Altri Tedeschi s'arrampicano verso la strada: Renzo Barbieri (Bigi), studente in farmacia ed infermiere del distaccamento, segnala la loro presenza e spara col ta-pum.
«Erven» s'affaccia sul ciglio e, subito, una raffica di Majerling lo colpisce alla coscia, mentre alcune schegge gli si conficcano nel corpo. 
«Bigi» applica una fascia alla ferita.
Siamo all'epilogo dello scontro, ma non dell'odissea. Il Comandante ed otto partigiani sono feriti. Ordine di ritirarsi sparsi, strisciando alla ricerca dei cespugli per nascondersi ai nazisti.
«Erven» raggiunge, con l'ausilio di Renzo Barbieri [Bigi] e di Massimo Porre, un ginepraio e tenta di frenare l'emorragia stringendosi la coscia con una cinghia.
Vicino a lui è il fedelissimo «Max», studente di Sanremo, che segue il suo Comandante anche a rischio della morte, ed insieme, strisciano verso la vegetazione.
Ma a nord è una parete rocciosa, a sud il percorso è battuto dalle mitragliatrici naziste.
Ogni via di scampo sembra preclusa. All'improvviso, come per un miracolo, un banco di nebbia s'interpone fra i Tedeschi ed i partigiani.
Questi, lesti, attraversano il tratto e si pongono momentaneamente in salvo tra i cespugli.

È l'inizio di una lunga, travagliata odissea.

Intanto «Argo» * tenta di guadagnare, armato, l'accampamento. Ma la ferita alla gola è grave e ne esaurisce le energie. S'abbatte, esausto, presso un pino. Lo trova un Tedesco che lo finisce sparandogli un colpo alla tempia con la P 38.

L'autoblinda, dal bivio di Sella Carpe, vomita un fuoco di sbarramento col cannoncino da 47/32, accompagnato dallo schianto degli ordigni di mortai tedeschi da 82 mm.
Precedentemente all'azione, il garibaldino Pietro Schiappacasse (Pedro), partito dall'accampamento di Pian Colombo [località di Molini di Triora (IM)], era andato con due muli a reperire il tritolo destinato a fare saltare il ponte di Vignai allo scopo di impedire il passaggio di automezzi nemici. Quando ritorna, trova l'ac­campamento abbandonato. 
Giunge un altro garibaldino e gli riferisce dello scontro. 
Allora «Pedro» porta i due muli in un casone appartato dove deposita il tritolo.
Intanto, alcuni superstiti della battaglia giungono a Langan e chiedono rinforzi a «Ivano» [Vitò/Vittò. Giuseppe Vittorio Guglielmo].
Nella notte sono pronti circa trenta uomini: i resti del 16° distaccamento, integrati da elementi del 5°, denominato «La Valanga», calano da San Bernardino alla ricerca dei compagni rimasti feriti il giorno precedente.
Sono scoperti e li accoglie un uragano di fuoco: mitragliatrici, cannoncini, mortai, armi automatiche, tutto crepita e romba contro di loro.
Occorre ritirarsi per risparmiare altre vittime. S'odono ordini rabbiosi in lingua tedesca. Si scorge un bagliore seguito da un boato: l'osteria di Vignai è in preda alle fiamme.
Termina, così, la prima fase di un'odissea allucinante.
Per tutto il pomeriggio e la notte del 28, «Erven» è nel ginepraio con i due fedeli compagni «Max» e «Bigi», senza cibo, con la ferita sporca e sanguinante.
Sono lunghissime, interminabili ore diurne e notturne dominate da ansie, paure, angoscia.
Braccato come una lepre, il ferito vede sfilare davanti ai suoi occhi i calci dei fucili nemici.
Trattiene le urla laceranti che gli salgono dal petto per il terribile dolore.
Esausto, striscia sul terreno scosceso, si nasconde, digiuna, imbratta zolle e foglie del suo sangue, osserva il chiaro cielo della nostra Liguria.
I pensieri tortuosi s'accavallano, le idee si confondono, le prospettive sono nere, intorno tutto è buio.
Ma «Erven» è nella sua terra e sa che mille cuori battono per lui ed è certo che i suoi partigiani lo cercano notte e giorno e lo ritroveranno e lo porteranno al sicuro in un luogo ospitale presso la nostra gente, presso i nostri meravigliosi contadini [...] 

[...] ancora il campo di battaglia è tenuto dai Tedeschi. 
Non si possono, però, abbandonare i feriti al loro destino.
Ogni sacrificio dev'essere sopportato, ogni rischio affrontato. 
«Marussia» [anche Maruska, Mario Lantero] e «Burdelusu», capisquadra, con dodici volontari, alcuni del 16° distaccamento, partono ancora alla ricerca.
Verso le otto sono a San Bernardino e scrutano la strada e la montagna. 
Silenzio. La ricerca è lunga.
Giungono all'accampamento e trovano cinque partigiani che forniscono notizie: Erven, stremato e dissanguato, è stato portato nella zona «X» e si trova in pericolo di vita

Intanto altre squadre sono alla ricerca dei feriti: quella di «Vittò», scesa da Langan, e quella di «Assalto». 
Chiamano «Erven»; ma né lui, né altri osano rispondere per la presenza del nemico.
«Max» e «Pino» cercano di raggiungere Baiardo per chiedere rinforzi sebbene in quel paese ci siano i Tedeschi.
Finalmente, dopo tre notti e tre giorni trascorsi nei cespugli, lacero e sfinito, coperto di foglie da «Lorè» [forse Lorenzo Acquarone] durante il giorno per proteggerlo dai brucianti raggi del sole, quasi dissanguato, «Erven» è trovato da cinque uomini venuti da Baiardo.
Li capeggia Mario De Miglié (Piccun) e con loro è Pasquale Ormea (Lino) che ha combattuto la tragica battaglia di Sella Carpe.
«Erven» è a metà strada tra Baiardo e Carmo Langan.
«Burdelusu» e Mario Lantero (Marussia) scendono a trovarlo ed il ferito chiede notizie di tutti i suoi uomini, i suoi fratelli. 
Poi, ringrazia i garibaldini e si dichiara fiero di loro.
Quindi, è trasportato e medicato a Fontana Vecchia; poi a Castelvittorio, presso Caterina e Giovanni Orengo, è visitato dal prof. Moro che stima urgente un'operazione.
Con un viaggio di nove ore in barella, il ferito raggiunge l'ospedaletto di Triora, dove gli è praticata finalmente l'antitetanica.
[...] Dopo il ricovero e l'antitetanica, il dott. Giuseppe Bottari e il dott. Ferrero praticano al ferito l'ipodermoclisi.
Ma siamo al 2 di luglio, l'inizio di uno dei più vasti e feroci rastrellamenti nazifascisti nella nostra provincia.
Epicentro: Valle Nervia e Valle Argentina.
I pochi feriti gravi dell'ospedaletto di Triora, fra cui «Erven», sono portati in barella nel bosco del monte Trono... «Erven» [anni dopo scriverà] ... Nel primo mattino del 2 luglio 1944 i tedeschi in rastrellamento cominciarono a bombardare "con cannoni l'ospedale di Triora. Fu un fuggi, fuggi: in breve rimanemmo nell'ospedale solo cinque feriti gravi, il dottor Ferrero, il dottor Bottari, la Suora superiora dell'Ospedale e l'infermiere partigiano Battista. Il frastuono sempre più vicino delle armi tedesche, e le voci dei rastrellatori che già si udivano dal fondo valle dove Molini di Triora già era data alle fiamme...".

Carlo Rubaudo, Op. cit.

* Encomio alla memoria al garibaldino Aldorino Iazzone (Argo) [ma Altorino Iezzoni per Ilsrec, Altorino Iezzoni, nato ad Atri (TE), il 26/04/1914, già caporale del Regio Esercito, commissario di Distaccamento della neoformata (il 20 giugno) IX^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione”, o Arduino Jassone per Giovanni Strato]
Comandante di squadra, incaricato dal Comandante di distaccamento di proteggere a tergo gli uomini che attaccavano autocarri tedeschi su Sella Carpe, investito da un numero soverchiante di nemici, organizzava una accanita resistenza con pochi uomini a disposizione ed impugnava egli stesso il mitragliatore, infliggendo perdite sensibili al nemico e tenendolo a bada fino a che una raffica di mitraglia non lo colpiva mortalmente alla gola. Rimaneva impavido al suo posto ed invitava il suo portamunizioni a mettersi in salvo, ed indicava ancora il nemico che in numero soverchiante avanzava. (Combattimento del 27.6.1944 - Monte Ceppo).

… Quando giungemmo sopra Castelvittorio, ci venne incontro un partigiano, un militare unitosi alla resistenza dopo l’8 settembre, tale Iezzoni “Argo”, che ci accompagnò fino a Langan, dove c’era il “quartier generale” e dove si concentravano tutti i neo-partigiani. Salutandoci, il partigiano Iezzoni ci disse che l’indomani probabilmente sarebbero sbarcati gli alleati... Otto giorni dopo “Argo” moriva in un’operazione a Baiardo. Fu il primo schiaffo che ricevetti dalla realtà della mia guerra da partigiano…           
Renato Dorgia “Plancia” in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia <ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia - Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM)>