domenica 15 gennaio 2023

Torre Paponi brucia

La vallata del torrente San Lorenzo con al centro Torre Paponi ed in alto a sinistra Pietrabruna

E’ stato uno dei peggiori eccidi di cui si macchiarono le truppe d'occupazione naziste durante la Guerra di Liberazione che divise l'Italia nel tragico triennio 1943-1945. E' l'eccidio di Torre Paponi il cui orrore, senza nulla togliere alle stragi di Marzabotto o Sant'Anna di Stazzema, ha colpito nei decenni dell'Italia repubblicana l'immaginario collettivo dei tanti studiosi che si sono applicati allo studio della Resistenza in Italia.
I fatti accaddero esattamente settant'anni fa, il sedici dicembre del 1944. Inverno duro e tragico quello che precedette la Primavera di Liberazione, soprattutto nell'estremo Ponente ligure. Già era caduto in quel di Alto, combattendo, il "mitico" capo partigiano Felice Cascione ma nell'Imperiese, la cui Provincia non a caso si fregia della Medaglia d'oro al valore militare, le bande partigiane davano parecchio filo da torcere ai nazi-fascisti per i quali l'entroterra rappresentava una vera e propria incognita. Fu così che i comandi tedeschi escogitarono la rappresaglia contro i molti contadini che nei paesi abbarbicati alle pendici delle Alpi liguri solidarizzavano con i combattenti per la libertà, di qualsiasi credo politico fossero.
La mattina del sedici, credendo di trovare a Torre Paponi, oggi frazione del Comune di Pietrabruna, gruppi partigiani, i tedeschi risalirono armati sino ai denti la stretta valle alle spalle di San Lorenzo al Mare. Molti civili, vedendoli salire determinati, si diedero alla macchia nei boschi quasi presagendo quella che sarebbe stata la tragica fine di molti loro compaesani. I nazisti occuparono in una manciata di minuti il borgo, poi radunarono gli abitanti rimasti (molti erano donne e bambini) nella barocca chiesa parrocchiale. Qui condussero anche, orribilmente torturato, il curato Don Vittorio De Andreis che ritenevano un fiancheggiatore delle bande partigiane.
A questi affiancarono il parroco, Don Pietro De Carli, reggiano di Guastalla. Incendiarono poi gran parte di Torre Paponi distruggendola. Non paghi di tanto orrore diedero fuoco pure ai due sacerdoti che morirono tra sofferenze atroci. Parimenti furono uccise altre ventisei persone del paese. Le uccisioni proseguirono, pure, il dì appresso [...]
Sergio Bagnoli, Settant’anni fa Torre Paponi, una delle peggiori stragi naziste del secondo conflitto mondiale, Agora Vox Italia, 15 dicembre 2014

Torre Paponi

Torre Paponi [Frazione di Pietrabruna (IM)] è un piccolo paese nell'immediato retroterra imperiese, sulla strada che da San Lorenzo al Mare conduce a Pietrabruna, nella vallata del torrente San Lorenzo, a 210 metri di altitudine. La popolazione (n. 150 abitanti) è composta, in stragrande maggioranza, di contadini olivicoltori piccoli proprietari e di qualche artigiano.
Durante l'occupazione nazifascista, senza essere un centro di reclutamento o base partigiana, è stato tuttavia un paese benemerito nella lotta di liberazione per i molti aiuti in denaro e viveri concessi ai partigiani di “Curto” [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Liguria], al distaccamento di “Mancen” [Massimo Gismondi], “Peletta” [Giovanni Alessio], “Artù” [Arturo Secondo], “Danko” [Giovanni Gatti], al distaccamento “Fenice” e ad altri più piccoli. Anche muli e bestiame vario furono imprestati o venduti o donati ai partigiani nel periodo novembre 1943 a dicembre 1944 (1).
Proprio nel dicembre del 1944 Torre Paponi viene a trovarsi al centro di una vasta zona partigiana.
Il nemico è a conoscenza di grossi concentramenti di garibaldini della IV brigata [d'Assalto Garibaldi "Elsio Guarrini"] sulle alture comprese tre la valle Argentina e la val Prino. Per l'ennesima volta tenta di distruggerli mettendo in esecuzione i piani prestabiliti.
Dal mattino del 13 al pomeriggio del 18 di dicembre i Comandi tedeschi di Taggia, di villa Cepollina e di Sanremo, rimangono quasi completamente privi di truppa inviata in rastrellamento nelle suddette zone.
L'azione dovrebbe iniziare con un fulmineo attacco al paese di Badalucco per mezzo di artiglieria e di reparti di guastatori con l'incarico di distruggere completamente il paese, reo di accogliere e rifornire giornalmente i garibaldini. Ma l'azione, per cause imprecisate, viene alquanto ridotta. (2)
Il primo contatto tra i garibaldini e tedeschi in fase di rastrellamento avviene alle ore 22 del 13, quando il garibaldino “Baffino” del 2° Distaccamento “Italo” (1° Battaglione, IV^ brigata), addetto alle spese viveri, scaglia una lanterna contro due Tedeschi sbucati tra le case inferiori del paese di Pietrabruna. Raggiunto l'accampamento verso l'una dopo mezzanotte e dato l'allarme, gli uomini nascondono tutto il materiale pesante del distaccamento.
Presa la decisione di imboscare il nemico, 25 garibaldini guidati dal comandante “Curto”, che occasionalmente aveva pernottato presso il distaccamento, con passo celere raggiungono la strada ad un chilometro da Pietrabruna e attendono in agguato tutta la notte invano.
Ormai è iniziata la giornata del 14, il sole s'innalza, ma il nemico non transita. Quattro borghesi, incontrati nei pressi del luogo dell'agguato, affermano che in Pietrabruna non vi sono Tedeschi, però, ripresa la via del ritorno, i garibaldini vengono investiti da raffiche di “Mayerling” partite dalle prime case del paese.
La reazione è pronta ed efficace, ma rimane ucciso sul posto Giuseppe Sciandra (Matteo) fu Matteo, nato a Pamparato (Cuneo) il 12-09-1907, garibaldino della IV^ brigata, mentre il garibaldino “Lolli”, colpito in modo grave alla schiena, non può più camminare, però alcuni animosi riescono a porlo in salvo. (3)
Sganciatosi, il gruppo di “Curto” insiste nell'agguato presso il paese di Torre Paponi fino a tarda sera, ma invano, il nemico è transitato altrove. Già nelle prime ore del mattino altri piccoli gruppi di partigiani passano per Torre Paponi, senza tuttavia fermarsi, perché avevano preso la direzione di San Salvatore.
Inspiegabilmente qualche ora dopo giungono i Tedeschi. Un piccolo gruppo di rastrellatori, forse di passaggio per caso o forse anche inviati sul luogo su segnalazione di qualche spia locale.
Intimorite dalla ostentata grinta dei nazisti, alcune donne del paese accennano o confermano (non è stato possibile accertare con precisione quale delle due versioni sia l'esatta) il passaggio dei gruppi partigiani. I tedeschi non fanno commenti e si avviano in direzione del paese di Lingueglietta.
Giunti sulla collina che separa i due paesi, ecco che compiono la prima rappresaglia su alcuni ostaggi che si portavano dietro da chissà dove. Fucilano i civili Francesco Guasco fu Domenico, Carolina Guasco fu Domenico, Agostino Ballestra di Ventimiglia e il pastore Pietro Lanteri nato a Realdo nel 1884, che col suo gregge svernava in Pietrabruna.
Costui portava a tracolla un sacco con del pane nero; gli sgherri ne prendono un pezzo e glielo infilano in bocca, quindi proibiscono di toccare il cadavere e ingiungono di lasciarlo per la strada a tempo indeterminato. Però dopo poco tempo il comandante “Curto”, di passaggio, ordina il recupero della salma ed il parroco la fa seppellire.
Alle ore 14.30 del giorno stesso i nazisti ritornano in forze su una quindicina di autocarri e circondano il paese.
Dopo un'intensa sparatoria eseguita con armi automatiche, restringono la morsa; ad un certo momento entrano nel paese e sparano a zero su un gruppo di giovani colti di sorpresa. Maurizio Papone, Pasquale Malafronte, Andrea Ascheri, Paolo Papone, Antonio Barla e quattro militari di stanza alle vicine polveriere, riescono a stento a mettersi in salvo. Rimane ucciso un giovinetto di quindici anni che stava rientrando in paese portando sulle spalle una fascina, non del paese ma profugo da Ventimiglia, in quei giorni battuta dai bombardamenti navali alleati.
Anche due donne, madre e figlia, colpevoli solo di aver chiamato ad alta voce il rispettivo figlio e fratello, bimbo di pochi anni, sembrando forse ai Tedeschi che esse cercassero di mettere sull'avviso ipotetici partigiani, vengono abbattute a raffiche di mitra.
Successivamente il paese subisce un iniziale incendio, prologo a quello ben più terribile appiccato due giorni dopo; vengono arse due case ed alcuni fienili.
A tarda sera, allorché i rastrellatori ritornano al loro Comando di Arma di Taggia con gli ostaggi Luigi, Stefano, Egidio, tutti di cognome Papone, e due profughi ventimigliesi, la popolazione riesce a circoscrivere l'incendio.
Però non tutti i Tedeschi lasciano la zona; alcuni piccoli gruppi si occultano, si pongono in osservazione e rimangono in contatto con eliografisti che, dalla località Castelletti, trasmettono segnali verso San Salvatore, davano disposizioni relative allo sviluppo che doveva assumere il rastrellamento nei giorni successivi.
All'alba del 15 altri fascisti e tedeschi rastrellano nuovamente le zone Circostanti Torre Paponi, Pietrabruna, Lingueglietta e rinforzano una loro batteria piazzata a Pian del Drago. Per rifarsi dei magri risultati ottenuti nella caccia ai partigiani, razziano tutto il bestiame che trovano.
L'esasperazione è al colmo ed una squadra di garibaldini del primo battaglione, messa al corrente della situazione dai contadini, per liberare il bestiame attacca senza indugio il nemico che, sorpreso, si ritira in direzione San Lorenzo al Mare per chiedere rinforzi al Comando locale. (4)
Il distaccamento “Italo” rientra in stato d'allarme, il nemico è scorto in lontananza.
Nonostante le lievi perdite subite, il comando tedesco ordina immediatamente di condurre una rappresaglia su Torre Papponi il giorno seguente con l'impiego di formazioni S.S. altoatesine e di brigatisti neri.
Gli ostaggi portati ad Arma di Taggia vengono rilasciati con la pura e semplice raccomandazione di non offrire più ospitalità ai partigiani e di rimanere tranquilli nelle loro case.
Ciò risulterà una menzogna ignobile a cui viene prestato credito per la sprovvedutezza del momento dettata dalla paura.
Con questo stratagemma i nazifascisti riescono a dissipare momentaneamente le apprensioni e ad affievolire la diffidenza degli abitanti di Torre Paponi, per poter mettere in esecuzione il loro insidioso piano, in particolare, per poter catturare più uomini possibile al momento opportuno, quando non guarderanno più di stare all'erta, premunirsi o nascondersi nei rifugi che si erano scavati per la campagna.
Anche l'accusa, che si sentirà ripetere poi dai fascisti con insistenza per giustificare la strage, che Torre Paponi ere un centro di banditi, sarà ben lungi da essere provata poiché il paese non è mai stato tale e tanto meno un centro di comando.
Nella notte colonne tedesche di rinforzo partono da Castellaro e salgono in direzione del monte Faudo e del passo Vena, rastrellano passo Follia e San Salvatore, si scontrano con pattuglie del distaccamento di “Italo” sotto il monte Faudo e sparano nell'oscurità, alla cieca, con mitraglie a canne da 20 mm. (5)
All'alba del 16 le S.S., accompagnate da una spia in borghese, investono il distaccamento “Nino Stella”, distruggono i casoni dell'accampamento, qualche arma e vari equipaggiamenti (una cassetta di munizioni per “Mayerling” con circa 200 colpi, cinque moschetti, otto coperte, la macchina da scrivere e un fagotto di Farina). I partigiani si ritirano presso il distaccamento di “Pancio” che non viene investito;però in giornata cade il garibaldino della IV brigata Antonio Novella “Novella” fu Giovanni, nato ad Arma di Taggia il 12-02-1923.
Altre forze nemiche occupano la valle di Dolcedo; sei autocarri carichi di truppa raggiungono il paese, poi il borgo di Bellissimi e Santa Brigida, quindi lanciano razzi bianchi; è il segnale dell'attacco. Rastrellano la valle sotto Santa Brigida, le zone a monte, Lecchiore e San Bernardo; lunghe raffiche di mitragliatrice e colpi di mortaio si ripercuoteranno per la vallate fino alle ore 19.00 (6)
Contemporaneamente a Lingueglietta, dove sostano per poco, le S.S. altoatesine arrestano il parroco del paese don Vittorio De Andreis, ritenuto colpevole di aver avvertito i partigiani con i rintocchi del mattino della presenza nemica. Dopo aver incendiato molte case di campagna e prelevano ventotto ostaggi (che tradurranno alle carceri di Oneglia e quattro saranno inviati in Germania di cui uno non tornerà più), proseguono il cammino e raggiungono Torre Paponi che si sveglia al crepitio delle armi automatiche.
Oltre 800 uomini tra Tedeschi e fascisti stringono in un cerchio di ferro e fuoco il paese impegnandosi in una delle più sanguinose imprese che la storia della Resistenza in Liguria ricordi.
Investono l'abitato con una valanga di proiettili, sparano con artiglierie pesanti e leggere, con razzi e proiettili traccianti, mettono in azione lanciafiamme e mortai che iniziano la loro opera di demolizione.
Sospeso il fuoco dopo circa mezz'ora, con mitra alla mano si lanciano nel paese. La prima vittima dello sterminio è Antonio Fossati di anni 43, ucciso a bruciapelo sulla soglia di casa. Il Fossati non è un partigiano o un particolare amico dei partigiani. Nessuno di quelli che saranno le innocenti vittime dell'infamia nazifascista potrà mai essere incolpata, a parziale discolpa per legge di guerra, di aver direttamente appartenuto al movimento di liberazione nazionale.
Colpito da una raffica di mitra al ventre, il sedicenne Giacomo Papone riesce a trascinarsi per una ventina di metri invocando disperatamente la madre, finché una seconda raffica sparata da un Italiano in divisa tedesca e che gli grida “te la diamo noi ora la mamma”, non lo inchioda definitivamente al suolo.
Matteo Temesio, decoratore di 41 anni, catturato presso la sua casa e condotto un po' fuori del paese, è ucciso con un colpo di rivoltella alla nuca.
Ernesto Pagani, Valentino Gonella, Luigi Papone (uno degli ostaggi rilasciato il giorno precedente), Bartolomeo Papone e Francesco Barla, vengono trucidati in gruppo in mezzo alle vie del paese. Si proibisce alla popolazione di rimuovere i loro corpi abbandonati sul posto, spostarli o pietosamente coprirli con un lenzuolo.
Sorte analoga subisce un altro Bartolomeo Papone, padre di famiglia numerosa, selvaggiamente ucciso ed abbandonato per la scala della propria abitazione.
Stefano Papone quindicenne (secondo ostaggio rilasciato), è ucciso poco distante, nella piazza ove era solito giocare a bocce.
Pure colpito Cosimo Papone, ma con scarso successo perché, con mossa prontamente eseguita, riesce ad offrire un bersaglio soltanto parziale ai mitra delle S.S. Per cui, ferito di striscio, se la caverà con un braccio amputato.
Dalla chiesa, dove erano stati sospinti ed ammassati dopo la cattura avvenuta nelle loro abitazioni, vengono prelevati Egidio Papone (terzo ostaggio rilasciato), don Pietro Carli parroco del paese, don Vittorio De Andreis canonico-vicario di Lingueglietta, Andrea Ascheri, due profughi di Ventimiglia di cui uno dodicenne, ed Antonio Geranio; i civili sono immediatamente Trucidati lungo la rampa che immette alla mulattiera per Boscomare, invece i due religiosi, condotti in un fienile e uccisi, vengono cosparsi di benzina e bruciati.
Solo l'Ascheri, a cui si parla in francese e lo si invita a discolparsi, dopo aver subito una specie di processo farsa e dopo essere stato posto davanti al plotone di esecuzione per un po' di tempo, è rilasciato incolume, con minacce e l'ingiunzione di non muoversi dalla chiesa fino a nuovo ordine.
Compiuta la strage, gli assasini pongono mano al fuoco per cui ben poche case del paese rimangono indenni. Volutamente risparmiano la chiesa, la canonica, l'oratorio dei SS Cosma e Damiano ed alcune case site alla perifferia, invece incendiano tutte le altre case, la scuola e l'asilo, i fienili ele stalle.
Una densa nube di fumo si leva in aria e ben presto ricopre l'intero paese. Le case crollano con grande schianto in una scena apocalittica di desolazione e di morte. I superstiti, ancora ammassati in chiesa, vengono ammoniti a non uscire per le vie, pena la morte. I Tedeschi ed i fascisti, accampati in Torre Paponi, lasceranno l'abitato soltanto il giorno dopo, alle ore 11.30 circa (7)
La suora Giovanna Simondini, rimasta ferita durante il bombardamento di Pietrabruna, morirà ad Imperia nei giorni successivi. Ballestra Francesco, Maccario Domenico e Maccario Mario sono gli altri ventimigliesi della frazione Torri, uccisi nell'incursione di Torre Paponi.
[NOTE]
(1) (Gran parte dei tragici episodi di Torre Paponi narrati in questo capitolo sono stati tratti dalla testimonianza di Andrea Ascheri, nativo del luogo, menzionato nella narrazione come protagonista, miracolosamente scampato alla strage).
(2) (Da una relazione del responsabile S.I.M. del 3° Battaglione “Artù” al comando della IV^ brigata, del 17-12-1944, prot.n. 86/E/5).
(3) (Da una relazione di Maurizio Massabò “Italo” comandante del 2° distaccamento [I° Battaglione "Carlo Montagna"] al Comando della IV brigata, del 16-12-1944. Il garibaldino Luigi Rovatti “Lolli” sarà trasportato nell'ospedale partigiano di Tavole ove rimarrà fino al 28 gennaio 1945 e poi in quello di Arzene (Carpasio) ove guarirà).
(4) ( Da una relazione di “Gianni”, responsabile S.I.M., al comando della V brigata [d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni"], del 18-12-1944).
(5) (Da una relazione di Francesco Bianchi “Brunero”, responsabile S.I.M. al Comando della V brigata, del 19-12.1944 n. 217).
(6) (Da una relazione di Italo Bernardi “Montanara”, responsabile S.I.M., al Comando della IV brigata, del 16-12-1944, prot. n. 360/N/12).
(7) Col titolo “Fremete”, riportiamo dal giornale provinciale “Fronte della Gioventù d'Imperia” anno I n. 5 (1944) la narrazione dei tragici fatti di Torre Paponi: "... Ancora non sono dimenticati (e quando mai potranno obliarsi) gli insani terrorismi effettuati dai Tedeschi a Lingueglietta, Poggio, Stellanello, ed ecco nuovi e sempre più barbari eccidi ai danni delle nostre innocenti e pacifiche popolazioni contadine. A Torre Paponi, paese che conta 150 abitanti, incredibile a dirsi, i nazisti piazzarono la mitraglia antiaerea contro la popolazione e ne fecero strage orrenda: ventiquattro sono per ora le vittime accertate. Ci è stato descritto lo spettacolo: appena entrati nel paese i militi dell'UNPA videro corpi orribilmente maciullati, uomini, donne, giovinetti. E non solo, ma l'ira dei teutoni si riversò pure su due sacerdoti che sono stati buttati in una casa in fiamme e quindi carbonizzati. La popolazione è in preda al panico più atroce. Appena gli uomini dell'UNPA comparvero davanti ad essa, tutta raccolta in chiesa, furono scambiati per Tedeschi, videro tutta la gente terrorizzata alzare le mani; però quando, con buone maniere, fecero loro comprendere che erano amici, gli infelici contadini li abbracciarono invocando soccorso. Contemporaneamente Pietrabruna veniva bombardata dai folli, barbari Tedeschi, che uccisero tre persone, finché una loro concittadina residente nel paese riuscì a farli desistere dal massacro. E Villa-Talla? Pure incendiata dai massacratori di Hitler. Questi gli atti continui, tristi e feroci, degni soltanto di belve, compiuti nei nostri paesi.  Imperiesi, Italiani, meditate! Le ombre delle povere vittime implorano ven detta! Il loro sangue innocente, i Tedeschi lo devono mordere nella polvere. Giustizia sarà!...".
Francesco Biga,
Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977

Elenco delle vittime decedute
Amoretti Giovanni, civile.
Balestra (o Ballestra) Giovanni Battista, civile anni 55, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz. di Pietrabruna.
Ballestra Agostino, civile, anni 17, deceduto il 14.12.1944 a Torre Paponi fraz. di Pietrabruna.
Ballestra Francesco, civile, anni 44, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz. di Pietrabruna.
Barla Francesco, civile, deceduto il 14.12.1944 a Torre Paponi fraz. di Pietrabruna.
De Andreis Don Vittorio, canonico vicario di Lingueglietta fraz. di Cipressa, anni 72, ucciso e bruciato il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz. di Pietrabruna.
De Carli Don Pietro. Parroco di Torre Paponi, anni 68, ucciso e bruciato il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz. di Pietrabruna.
Fossati Antonio, civile, anni 43, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Geranio Antonio, civile, anni 40, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz. di Pietrabruna.
Gonella Valentino, civile, anni 34, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz. di Pietrabruna.
Guasco Carolina, civile, anni 45, deceduto il 14.12.1944 a Torre Paponi fraz. di Pietrabruna.
Guasco Francesco Giocondo, civile, infermo di mente deceduto il 14.12.1944 probabilmente presso il Cimitero di Costarainera.
Lanteri Pietro, civile, deceduto il 14.12.1944 a Pietrabruna.
Maccario Domenico, proveniente da Ventimiglia (fraz. Torri) sfollato a Pietrabruna, civile, anni 29, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Maccario Mario, proveniente da Ventimiglia (fraz. Torri) sfollato a Pietrabruna, civile, anni 17, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Novella Antonio (nome di battaglia “Novella”) di Giovanni, nato a Arma di Taggia il 12.02.1913, anni 21, contadino, partigiano (II Divis. iV Brig.) dal 14.05.1944 al 16.12.1944, n° dichiaraz. Integrativa 10511, deceduto il 16.12.1944 a Pietrabruna.
Pagani Valente (o Ernesto), civile, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Papone Bartolomeo di Giacomo, civile, anni 37, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Papone Bartolomeo di Maurizio, civile, anni 52, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Papone Egidio, civile, anni 40, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Papone Giacomo, civile, anni 16, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Papone Ida (figlia di Guasco Carolina), civile, anni 20, ferita il 14.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna, deceduta ad Imperia il 16.12.1944.
Papone Luigi, civile, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Papone Stefano, civile, anni 17, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Ranise Gio Battista, civile, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Sciandra Giuseppe (nome di battaglia “Matteo”) di Matteo, nato a Pamparato il 12.10.1907, anni 37, partigiano (II Divis. IV Brig.) dal 11.08.1944 al 14.12.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3068, fucilato il 14.12.1944 a Pietrabruna (da documento partigiano), deceduto presso cimitero di Costarainera (da opuscolo ”L'eccidio di Torre Paponi”), deceduto il 17.12.1944 a Cipressa (da certificato di morte rilasciato dal Comune di Imperia del 3.08.1945).
Simondini Suor Giovanna, ferita il 16.12.1944 a Pietrabruna, morirà a Imperia il 17.12.1944 per le ferite riportate.
Temesio Matteo, civile , anni 41, deceduto il 16.12.1944 a Torre Paponi fraz Pietrabruna.
Altre
Papone Cosimo, civile, rimane ferito ma si salva, (braccio amputato).
Sabina Giribaldi, Episodio di Torre Paponi, Pietrabruna, 14-16.02.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia
 
Sono stato a Torre Paponi in questi giorni per ricostruire, nella sua dure e tragica realtà: le giornate di terrorismo vissute da quella onesta e laboriosa popolazione, che fu certamente la più martoriata di tutta la provincia; ne faccio ora una breve relazione, mettendo in rilievo soprattutto la figura dei due venerandi vecchi Sacerdoti, che in quella circostanza vennero bruciati vivi dagli sgherri sacrileghi di Hitler e Mussolini. Gli abitanti del paese rievocano le gesta di quei barbari con le lacrime agli occhi e sotto l'impressione di un diabolico terrore, che ancor oggi sembra li riempa di spavento. Pare incredibile che degli uomini abbiano potuto compiere atti selvaggi e crudeli! Quello che hanno fatto a Torre Paponi è una conferma sicura di tutto quello che i sicari di Satana hanno perpetrato nei campi di concentramento e nelle camere della morte in Italia, in Germania e nella Polonia. Qui mi fermo a descrivere le gesta sanguinarie di Torre Paponi, e lo faccio rapidamente, ma con precisione e chiarezza. Le giornate del terrore si aprono per quella gente pacifica e buona il 14 dicembre 1944. Al mattino per tempo passano nel paese nazisti e fascisti, che salgono sui monti in cerca di patrioti. La sera, al ritorno, entrano a Torre Paponi sparando all'impazzata e assassinano due donne e un uomo. Il 16 sabato ritornano fin dal mattino con diversi camion, provenienti da San Lorenzo, mentre altri scendevano dalla montagna, passando da Lingueglietta e da Boscomare. Erano senza dubbio insieme nazisti e fascisti, perché parlavano correntemente l'italiano e anche il nostro dialetto ligure! Iniziano la giornata con una sparatoria indiavolata, mettendo tutte le loro armi in azione: rivoltelle, moschetti, mitra, mortai e cannoni. La valle di San Lorenzo sembrava una bolgia infernale. Le donne, i vecchi e i fanciulli vengono chiusi nella Chiesa Parrocchiale dei Santi Cosma e Damiano. Intanto fuori i predoni e gli assassini compiono brutalmente i loro misfatti, svuotano le case di tutto ciò che potevano avare qualche valore, compreso mucche, capre, muli; e poi appiccarono il fuoco ai fienili, alle stalle, alle legnaie e uccidono tutti gli uomini e giovani che trovano in paese, sottoponendoli a orribili e strazianti torture. La piccola frazione di Torre Paponi viene così trasformata in un teatro di guerra, lasciando tutte le contrade seminate di morti. Di fatti ne uccidono 22 sopra 40 uomini, quanti ne poteva contare allora il piccolo paesetto. Solo uno Papone Marco, è riuscito a salvarsi dalla morte, perché quelle belve lo credevano morto. Gli hanno tagliato un braccio, gli hanno strappato i capelli e lo Hanno lasciato sulla strada! Do qui i nomi delle vittime, che saluto con l'anima commossa e piena di indignazione contro quelle tigri e quelle iene che godevano come demoni nell'orgia sanguinaria. Scriviamo questi nomi nei nostri cuori e custodiamoli come una cosa sacra, in modo indelebile, come i nomi dei caduti sull'altare della Patria e per la conquista di una vita civile e libera. Il loro sangue, è il sangue di tutti i nostri morti, valga a cementare l'unione e la fraternità del popolo italiano, che è riuscito a prezzo di tanto sacrificio, a spezzare le catene, che, per oltre un ventennio, lo tennero legato alla più obbrobriosa schiavitù.
Don Vittorio De Andreis, Parroco e Vicario Foraneo di Lingueglietta;
Don Pietro Carli, Parroco di Torre Paponi
Papone Ida
Guasco Carolina Papone
Amoretti Giovanni
Gonella Martino
Barla Francesco
Papone Bartolomeo fu Maurizio
Papone Bartolomeo di Giovanni
Papone Stefano
Papone Giacomo
Papone Luigi
Fossati Antonio
Papone Egidio
Temesio Matteo
Valencia Gonelli
Geranio Antonio
Pagani Valente
Macario Luigi
Macario Mario
Balestra Agostino
Balestra Francesco
Ma soprattutto è contro i due venerandi Sacerdoti che quei sacrileghi banditi usarono tutta la loro ferocia di barbari, indegni del nome di uomini. Il povero Don Pietro Carli, parroco di Torre Paponi, un bravo sacerdote milanese, sempre buono e affabile con tutti, fu sorpreso all'altare, mentre stava preparando per la celebrazione della Messa. Erano le 6.30. Lo strapparono all'altare, Obbligandolo a sedersi nei banchi della Chiesa con la popolazione, che nel frattempo entrava terrorizzata e piangente. Il bravo e pio sacerdote Incominciò a pregare insieme ai suoi parrocchiani recitando il Santo Rosario. Passò appena mezz'ora ed ecco gli sbirri che vengono a prenderlo. A pugni e calci lo spingono fuori della Chiesa. poi lo prendono per le gambe e per le braccia e lo portano di peso, percuotendolo brutalmente, fino alla porta del fienile di un certo Ascheri Matteo, dove giunti si fermano, lo percuotono ancora con pugni, calci e bastonate, lo gettano in mezzo alle fiamme, che divampano e crepitano come da una bolgia infernale. I resti, consistenti in poche ossa, vennero ritrovati soltanto dopo un mese dalla macabra giornata tra le ceneri dell'immenso braciere. L'altro venerando e santo sacerdote, conosciuto ed apprezzato in tutta la diocesi per le sue preclare virtù di santità e scienza , vecchio di 72 anni, il Rev. Don De Andreis, Parroco e Vicario Foraneo di Lingueglietta, arrivò a Torre Paponi verso le 8. Lo presero i banditi nazi-fascisti nella sua Chiesa Parrocchiale mentre suonava le campane per la Messa. A pugni e calci, apostrofandolo con ogni sorta d'improperii, lo spinsero attraverso aspri sentieri, fino a Torre Paponi, accompagnandolo in chiesa, dove giunse sfinito, senza poter pronunciare una parola. Cadde a terra e poi si riebbe, mettendosi a sedere sui banchi; la corona del Rosario in mano pregava, recitando il S. Rosario. Dopo una mezz'ora, ecco nuovamente gli sgherri che entrarono in Chiesa e prelevano il Santo Sacerdote. Alzatosi, giunge le mani verso l'altare, poi getta uno sguardo sul popolo come per salutare tutti l'ultima volta, e viene spinto fuori, nelle vie del paese, a calci e pugni, giù giù dalla parte di Pietrabruna, sulla strada carrozzabile, dove stava il comando di quei maledetti. Laggiù non si sa come venne trattato; ma possiamo immaginarlo benissimo, perché fu riportato quasi subito in paese, sempre a calci e pugni, fino alle prime case, che ardevano da enorme incendio.
Qui una donna, esterrefatta dalla paura, che stava sulla strada accanto al marito, vecchio e paralitico, certa Maddalena Re mi racconta come ha potuto assistere all'ultima scena dell'orribile esecrando sacrilego delitto. Giunti alla porta della stalla di Papone Domenico, trasformata in fienile e legnaia, si fermarono, intimando alla donna di allontanarsi e andare in Chiesa. Ma la povera donna fece notare che aveva il marito infermo, in condizioni pietose, sulla strada, e non si sentiva di lasciarlo. Allora il pio Sacerdote a supplicare quelle tigri che avessero compassione di questa povera donna, perché in verità il marito si trovava da tempo in quello stato pietoso. Uno di quei sgherri afferra la donna per un braccio e le dice: “vieni con me”. Essa rispose: “ma io ho paura a venire con voi, perché voi mi uccidete”. Nelle strade, dappertutto, c'era già pieno di morti! “”No risponde il manigoldo, non è per uccidervi, ma perché non vediate ciò che faremo al prete”. Proprio in quel momento essa guardava e vedeva il sacerdote, le mani giunte gli occhi verso il cielo, e i sacrileghi assassini che lo prendono a forza e lo gettano nella fornace, spingendolo con lunghi bastoni, mentre cercava istintivamente di uscire da quel fuoco d'inferno. In seguito la popolazione andò ad intingere pannolini e fazzoletti nel sangue del martire per conservare la reliquia di un santo come i primi cristiani. Non posso dimenticare un povero padre, che mi raccontava piangendo come gli trucidarono il figlio Papone Stefano dinanzi ai suoi occhi e presente la mamma e la sorellina di 12 anni. Un altro giovane 15 anni quasi morente, il ventre squarciato (e gli uscivano le budella) invocava piangendo la mamma, e quelle belve vestite da uomini gli spararono un colpo alla testa, dicendogli beffardamente: “Te la diamo noi la mamma. Prendi”. Alle 10 tutto era finito. I camion, carichi della refurtiva, compreso mucche, capre e muli si allontanarono verso San Lorenzo, mentre un gruppo saliva a Pietrabruna a seminare altri lutti ed altre rovine. La popolazione rimase così esterrefatta e sbalordita che non seppe più uscire di Chiesa, dove sostò spaventata dal terrore per diversi giorni. Questa la tragica storia delle terroristiche giornate di Torre Paponi.
Tratto dalla relazione del teologo Mons. G.B. Revelli
Redazione, La strage di Torre Paponi, Pietrabruna me amù
 

venerdì 6 gennaio 2023

Disertori della Wehrmacht tra i partigiani dell'Imperiese

Dolceacqua (IM)

Almeno 170 garibaldini internazionali entrarono a far parte delle due divisioni Garibaldi «F. Cascione» e «S. Bonfante»; parecchi persero la vita sulla nostra terra, per la liberazione dell'Italia, e per contribuire alla liberazione della loro Patria vicina o lontana. Fra questi, più della metà furono sovietici, che raggiunsero le formazioni partigiane imperiesi con vero slancio, con la piena consapevolezza di un dovere da compiere verso la propria Patria, indimenticabile ed indimenticata, per condurre a migliaia di chilometri di distanza una titanica lotta contro il nemico comune.
Quelli con cui si riuscì, con grandi difficoltà, a stabilire il contatto, appena poterono fuggirono senza esitare un solo istante, con decisione e fermezza, mettendo a rischio la vita pur di raggiungere le formazioni. Già nel maggio del 1944 si era sentito parlare di prigionieri sovietici e polacchi nella I Zona Liguria che, inquadrati nella Wehrmacht, erano adibiti alla costruzione di fortificazioni lungo la costa. Mal nutriti, malmessi e bastonati o puniti con la morte, erano inavvicinabili da coloro che, con simpatia, avrebbero voluto dar loro un pezzo di pane.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977
 
Il contributo dei disertori della Wehrmacht alla Resistenza, segnatamente a quella della I^ Zona Liguria, è argomento degno di nota. Si trattava di uomini di nazionalità russa, polacca, serba ed austriaca, anche se non mancarono tedeschi che spesso si autodefinirono austriaci. I soldati di origine slava erano presenti in quasi tutti i presidi montani dell'esercito tedesco, soprattutto in Val Roia ed in Val Nervia. Furono numerosi, infatti, a Briga Marittima, San Dalmazzo di Tenda, Pigna, Isolabona, Dolceacqua, Carmo Langan, Perinaldo. I soldati non tedeschi dovevano in genere adempiere a compiti meno bellici, quali accudire i cavalli, numerosi soprattutto nei presidi germanici in Val Nervia, occuparsi della ricostruzione dei ponti distrutti affiancando i civili, condurre, spesso privi di scorta, carriaggi carichi di materiale.
Russi, serbi, polacchi, arruolati nella Wehrmacht, venivano sovente inviati in prima linea e, se accennavano a ritirarsi, divenivano oggetto di colpi di armi da fuoco degli altri soldati tedeschi.
Furono spesso, poi, questi soldati allogeni gli ultimi a lasciare l'imperiese, come nel caso di Apricale, dove di 18 soldati rimasti a presidiare il paese il solo di nazionalità tedesca era il maresciallo che li comandava.
Le diserzioni di soldati dell'Europa orientale, inquadrati nell'esercito tedesco, che si erano verificate già nel 1944, si intensificarono a gennaio e febbraio 1945, allorché diversi contingenti contattarono i garibaldini per trattare il loro passaggio nelle file della Resistenza, ma fu durante gli ultimi giorni di marzo  ed i primi giorni di aprile che si registrò un netto aumento di arrivi tra i partigiani di disertori dell'esercito tedesco.
Fatta eccezione per rari casi, come quello dei due soldati olandesi che indicarono ai tedeschi un nascondiglio di armi dei partigiani o quello dell'infermiere "Antonio", che guidò i suoi (ex) commilitoni nella strage della zona di Testico del 15 aprile 1945, i soldati di nazionalità non tedesca che entrarono nelle formazioni della I^ zona Liguria parteciparono con onore alle azioni di guerriglia. Molti di loro perirono in combattimento e spesso, per le difficoltà di comprensione della lingua, di loro rimase solo una scarsa traccia anagrafica, come per il russo "Gospar" fucilato con altri 3 garibaldini italiani il 19 gennaio 1945 in una frazione di Albenga o dell'altro russo "Androschi", il quale, catturato, fu capace di non rivelare nulla ai tedeschi.
Questi disertori della Wehrmacht erano in maggioranza di nazionalità russa o polacca. I comandi partigiani, per metterli maggiormente a loro agio, li inserirono in genere in formazioni in cui si trovavano già loro connazionali: poteva così accadere, come nel caso del V° Distaccamento "Felice Paglieri" del II° Battaglione "G.B. Rodi" della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione "Felice Cascione", che su 38 garibaldini 6 fossero dei russi.
Si verificarono anche episodi poco bellici, come nel caso del maturo russo "Miscia", il quale chiese al comando della I^ Brigata di essere trasferito in altro Distaccamento perché mal sopportava gli scherzi dei suoi compagni più giovani.
Al termine della guerra, giunto il momento di rientrare nei rispettivi paesi di origine, molti garibaldini dell'Europa orientale chiesero ai comandi partigiani il rilascio di certificati che attestassero la loro partecipazione alla lotta partigiana in Italia.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

La vallata di Apricale

Nel novembre 1943 una dozzina di ex-prigionieri jugoslavi, capitanati dall’ufficiale Ilija Radović, si aggregò alla Brigata Valcasotto: lavoravano con le squadre di guastatori e logistici e nell’ambiente partigiano vennero presto denominati “legione straniera”. “Sono gentiluomini e godono, come i partigiani, della simpatia della popolazione”, scrisse nelle sue memorie don Emidio Ferraris, parroco di Pamparato. Della “legione straniera” si perdono poi le tracce nella documentazione, probabilmente a seguito dello sbandamento della brigata dopo la tragica battaglia della Valcasotto del marzo 1944. Il gruppo riappare però in scena nove mesi dopo, nel corso di un rastrellamento dei nazisti nella vicina Val Corsaglia.
Ma nelle valli di basso Piemonte e ponente ligure, i nomi di partigiani provenienti da oltre Adriatico e passati per Garessio affiorano un po’ ovunque, spesso a fianco di altri nomi francesi, polacchi, tedeschi, sovietici.
Alfredo Sasso, Lo stesso destino: resistenza internazionale, civile e partigiana tra Val Tanaro e Jugoslavia, OBCT, 24 aprile 2020  

Uno scorcio di Alpi Marittime

Un episodio significativo era stata la ricerca di tre ufficiali jugoslavi prigionieri, evasi dal campo di concentramento di Garessio e rifugiatisi sul Monte Galero, saltuariamente soccorsi da Rina Bianchi di Nasino [in provincia di Savona, Val Pennavaira]. Pippo Arimondo con alcuni albenganesi... coronavano la ricerca, aggregando i tre slavi Milan R. Milutinovic (Mille), Obren L. Savic (Vincenzo) e Mihajlo Kavagenic (Michele o Dabo) al distaccamento ribelle. I tre jugoslavi combatteranno con i partigiani fino alla fine del conflitto. Arimondo (Pippo) nel gennaio 1944 scendeva ad Alassio per organizzare, come detto, il trasporto di armi e di munizioni. Nella sosta di alcuni giorni in Riviera incontrava in una casa privata di via Diaz, assieme a Virgilio Stalla, Angelo Martino e Giovanni Sibelli, il dirigente comunista Giancarlo Pajetta (Nullo o Mare), ispettore militare in viaggio lungo la costa ligure per coordinare le prime squadre partigiane comuniste, le Stelle Rosse. Avuto l'assenso per la disponibilità degli armamenti, Pippo ritornava ad Alto per riferire l'esito della missione. A quel punto Viveri (Umberto) e il comando partigiano rimandavano Pippo ad Alassio... Nel frattempo da Alto arrivava la tragica notizia della morte di Felice Cascione e la conseguente dispersione dei garibaldini verso il Piemonte.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016

L'avvicinamento a Vessalico è compiuto all'indomani [8 ottobre 1944] alle 6 antimeridiane [...] Attuato da Cion (Silvio Bonfante) un lancio di manifestini invitanti alla resa gli Slavi e gli Austriaci presenti nel presidio - desiderosi di disertare - e inviata la ragazza Domenica Delfino per persuaderli a farlo veramente, viene sferrato un attacco violentissimo.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977

Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN)

Il distaccamento Garbagnati con alla testa Massimo Gismondi (Mancen), comandante della I^ Brigata "Silvano Belgrano", lasciò Fontane di Frabosa Soprana (CN) il 13 novembre 1944 per ritornare in Liguria. Giunti a Pornassio, il trasferimento venne funestato dallo scoppio accidentale di una bomba a mano greca custodita nello zaino del vice responsabile del S.I.M. Rinaldo Delbecchi, che uccise Franz Mottl (Carlo), un disertore austriaco che aveva abbandonato nel mese di luglio il suo reparto per raggiungere il distaccamento di Silvio Bonfante (Cion), servendo fedelmente nei mesi che seguirono i suoi nuovi compagni.
[...] Il 24 novembre 1944 tre di questi vennero fucilati in località San Giacomo a Sanremo e gli altri al Poggio di Sanremo. Tra i caduti del Poggio ci fu anche una vittima rimasta ignota: potrebbe trattarsi di Jean Bertrand, disertore alsaziano giunto a Pigna nel settembre 1944 durante l’esperienza della repubblica partigiana insieme alla missione alleata composta, tra gli altri, dai capitani Long e Morton, questi un giornalista canadese, Bertrand abbandonato al proprio destino dagli altri che, attraverso strade diverse, raggiunsero la Francia ormai liberata.
[...] Domenico Arnera (Aldo), a fine ottobre è capo di Stato Maggiore della Brigata “Belgrano” della Divisione Garibaldi “Felice Cascione”, rifugiata a Fontane dopo il grande rastrellamento di ottobre. E' arrestato a Corsaglia il 18 dicembre 1944, a seguito di una involontaria delazione di un abitante del luogo che, vedendolo passare scortato da un tedesco armato, pare abbia commentato: “Hanno preso Aldo,il capo della Stella Rossa”. In realtà Arnera, in compagnia di Fred Sutterline (disertore tedesco ancora in divisa, appena arruolatosi con i partigiani) era in viaggio verso l'ospedale di Mondovì per ricevere cure appropriate e debellare un'infezione. Condotto a Corsaglia, quindi a Mondovì Piazza venne rinchiuso nelle carceri della caserma Galliano e fucilato il 27 dicembre 1944.
[...] Su indicazione di una spia il mattino del 31 dicembre un centinaio di tedeschi proveniente da Pieve di Teco investirono la zona. Alcuni garibaldini sfuggirono al rastrellamento, altri (tra cui tre austiaci disertori) caddero prigionieri. Menini riuscì a far fuggire due suoi uomini, esponendosi all'arresto. Portati al comando di Pieve di Teco vennero riconosciuti come partigiani. Dopo tre giorni di percosse e un processo farsa in cui confessò di essere un partigiano, venne emessa per lui e per altri tre partigiani della II^ Brigata d'Assalto Sambolino della Divisione Garibaldi “Gin Bevilacqua” operante nella II^ Zona Liguria, G.B. Valdora, Ezio Badano e Lorenzo Cracco, la sentenza di morte.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; (a cura di) Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944-8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]
 
Domenico Arnera, nato a Savona il 25 aprile 1917, aiuto disegnatore, già sottoufficiale di marina. Come molti savonesi di Villapiana, quartiere dove abita, aderisce al movimento della Resistenza. Agli inizi di luglio 1944 è tra gli organizzatori delle formazioni garibaldine liguri in Val Tanaro, comandante del Distaccamento "Bellina", dislocato a Fontane di Frabosa Soprana: è attivissimo nella raccolta di derrate alimentari, coperte ed abiti per i distaccamenti. A fine ottobre è Capo di Stato Maggiore della Brigata "Belgrano" della Divisione Garibaldi "Felice Cascione". È arrestato in Val Corsaglia il 18 dicembre 1944, a seguito di una involontaria delazione di un abitante del luogo che, vedendolo passare scortato da un tedesco armato, pare abbia commentato: "Hanno preso Aldo, il capo della Stella Rossa". In realtà Arnera, in compagnia di Fred Sutterline (disertore tedesco ancora in divisa, appena arruolatosi con i partigiani) è in viaggio verso l'ospedale di Mondovì per ricevere cure appropriate e debellare un'infezione. È condotto a Corsaglia, quindi a Mondovì Piazza e rinchiuso nelle carceri della Caserma Galliano. I tentativi dei comandi partigiani per uno scambio di prigionieri non danno l'esito sperato; Aldo viene fucilato il 27 dicembre 1944.
Decorato alla memoria di medaglia di bronzo al valor militare: "Durante un forte rastrellamento da parte del nemico, incurante del pericolo, sotto l'imperversare di un'intensa azione di fuoco, provvedeva ad occultare un ingente quantitativo di viveri evitando che cadesse in mani nemiche. Sebbene ferito, rimaneva ancora per cinque giorni al suo posto di lotta, finché sfinito di forze, veniva fatto prigioniero; sottoposto a torture e sevizie le sopportava fieramente destando l'ammirazione dello stesso avversario. Affrontava serenamente la morte senza svelare alcuna notizia". Val Corsaglia-Mondovì, 10-27 dicembre '44
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011 


Arnera, capo di Stato Maggiore della I^ Brigata "Silvano Belgrano", a quel tempo ancora incorporata nella II^ Divisione, venne arrestato in Val Tanaro il 18 dicembre 1944 a seguito di un'involontaria delazione e fu fucilato a Mondovì (CN) il 27 dicembre 1944. A lui venne intitolata la IV^ Brigata della nuova Divisione "Silvio Bonfante".
Si presero contatti anche con le formazioni autonome di "Mauri".
Rocco Fava, Op. cit.

Sascia (Ada Pilastri) racconta:
«Ultimi di novembre [1944]. La I Brigata è tornata da poco da Fontane [Frazione di Frabosa Soprana in provincia di Cuneo], dove si era spostata durante il rastrellamento di Upega. Il problema dei rifornimenti diventa sempre più difficile: saremo costretti a mandare una parte degli uomini a casa. Tentiamo un ultimo espediente: una spedizione con i muli nella zona di Fontane per poter raccogliere dei viveri [...] C'è già parecchia neve. I muli si ricongiungono con noi a Falcone ove momentaneamente si trova il comando. Prima di entrare nell'abitato incontriamo un distaccamento di russi da Menini, un nostro eroico compagno ucciso in seguito dai nazisti. Tre russi armati vennero con noi. Andiamo avanti di pattuglia avanzata [...]»
Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia  

Un scorcio di Val Roia

31 gennaio 1945 - Dalla Sezione SIM Fondo Valle della II^ Divisione "Felice Cascione" all'Ufficio informazioni e spionaggio della I^ Zona Operativa Liguria - Segnalava che "[...] il morale delle truppe tedesche è bassissimo: moltissimi quelli che si spacciano per austriaci. Molti i polacchi che piangono, pensando che avendo servito il nemico non potranno più ritornare in patria".
31 gennaio 1945 - Da "Laios" al comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione Garibaldi "Felice Cascione" - Informava che a Briga [n.d.r.: La Brigue, Alpes-Maritimes, Vallée de la Roya. In tutta la zona di confine, in particolare attraverso la Val Roia, proprio in quel periodo si intensificarono gli sforzi per fare penetrare agenti francesi] si trovavano 30-40 tedeschi, 50 russi ed alcuni militari della RSI e che "Natalin della Gamba" aveva riferito che i russi di Briga gli avevano chiesto l'ubicazione delle forze partigiane, "pregandolo di aiutarli a scappare per raggiungere la zona partigiana".
16 febbraio 1945 - Dal comando del I° Battaglione "Mario Bini" della V^ Brigata, prot. n° 45, al comando della V^ Brigata  e al comando della II^ Divisione - Comunicava...  che a Briga Marittima erano stanziati circa 100 uomini tra tedeschi e russi, oltre a 40 genieri della RSI; che sempre da Briga erano fuggiti una ventina di soldati, in prevalenza russi, ricercati dai tedeschi; che Tenda era stata bombardata da aerei alleati, che avevano causato la morte anche di 2 ufficiali; che Fontan, Saorge, Forte Tirion e San Michele  [Frazione di Olivetta San Michele (IM)] erano occupati da tedeschi, che Breil, Libri, Piena e Olivetta [il borgo principale di Olivetta San Michele] erano terra di nessuno.
17 febbraio 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata, prot. n° 289, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava che "... a Pigna il presidio è composto da 200 uomini, in prevalenza russi, polacchi e sloveni..."
20 febbraio 1945 - Dalla Sezione SIM del II° Battaglione "Marco Dino Rossi", prot. n° 4, al comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione Garibaldi "Felice Cascione" - Comunicava che "a Briga si trovano 40 tedeschi, 40 soldati repubblichini, 100 militari russi e slavi, i quali ultimi sono disarmati e adibiti alla cura dei cavalli. Da Briga partono alcune pattuglie dirette a Sanson, da dove controllano la linea telefonica Pigna-Briga ora interrotta [...]"
26 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 138, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - [...] segnalava che si avevano speranze di fare passare nelle fila partigiane un contingente di polacchi sin lì al servizio dei nazisti
23 marzo 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" [comandante "Gino" Giovanni Fossati] della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che alcuni soldati serbi avrebbero forse abbandonato il servizio prestato ai tedeschi e cercato di salire in montagna per unirsi ai garibaldini. Riferiva che anche soldati repubblichini di stanza nella caserma Crespi di Imperia avrebbero presto potuto raggiungere i partigiani.
24 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 109, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Riferiva che ad Ortovero (SV) si trovavano un ufficiale, 5 sottufficiali e 54 militari nemici, oltre a 40 cavalli e 15 carri e che da Nava giungevano una volta a settimana a Pontedassio (IM) circa 10 carri che, dopo un pernottamento, ripartivano per il Piemonte con viveri procurati sulla costa, formando una colonna priva di scorta, mentre gli uomini addetti a quel trasporto erano quasi tutti polacchi, serbi, sloveni, russi.
2 aprile 1945 - Da "K. 20" alla Sezione SIM della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che [...] nella casa di capitan "Paella" [il fascista Attilio Calvo] vi erano alcuni soldati slavi con 2 cavalli e 5 muli addetti al trasporto di mortai e munizioni
6 aprile 1945 - Dalla Sezione [responsabile "Brunero" Francesco Bianchi] S.I.M. della V^ Brigata, prot. n° 373, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria ed al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Segnalava che [...] stavano continuando da parte di una ventina di tedeschi e di una decina di polacchi i lavori di ricostruzione dei ponti della Valle Argentina
15 aprile 1945 - Da "Biscio" alla Sezione SIM della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che il traffico sulla strada n° 28 era limitato; che a Pieve di Teco il presidio tedesco era ridotto a 100 giovani soldati dell'aviazione e a circa 80 uomini, in gran parte russi, addetti ai carriaggi [...]
17 aprile 1945 - Dal Distaccamento di "Franco" al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Comunicava che negli ultimi 2 giorni erano arrivati al Distaccamento come volontari 4 russi e 3 slavi... che sembrava certo che il fronte si fosse spostato verso Fontan, Breil-sur-Roya e zone limitrofe...
18 aprile 1945 - Dall'informatore "Max" [Massimo Porre] al comando della II^ Divisione "Felice Cascione" - Comunicava che da Briga [La Brigue, Val Roia] erano arrivati dai garibaldini 7 prigionieri russi, di cui 4 armati di ta-pum, i quali, con l'aiuto come interprete di "Andrey" avevano riferito che non c'erano più SS nella zona Briga-San Dalmazzo-Tenda e che i tedeschi avevano terrore dei partigiani al punto che avrebbero voluto compiere una resa alle truppe inglesi. Segnalava, poi, [...] che alcuni tedeschi erano saliti a Cima Marta a cercare 8 soldati russi evasi il 17 aprile da Briga [La Brigue, Val Roia]... che alcuni prigionieri serbi sostenevano che sul fronte italiano i tedeschi stavano mandando in prima linea i loro prigionieri russi e slavi facendo fuoco su di loro se recalcitranti o in procinto di darsi prigionieri agli alleati; che 5 militari slavi erano appena giunti tra i partigiani.
24 aprile 1945 - Dal comando [comandante "Fragola Doria" Armando Izzo] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. n° 225, al comando [comandante "Vittò/Ivano" Giuseppe Vittorio Guglielmo] della II^ Divisione - Comunicava che [...] ad Apricale la Wermacht aveva ancora 18 uomini, tutti polacchi e russi, tranne il maresciallo, tedesco
28 aprile 1945 - Dal comando [comandante "Gino", Giovanni Fossati - commissario "Athos", Pellegrino Caregnato - vice commissario "Tino", Agostino Salvo - capo di Stato Maggiore "Sirio", Antonio Di Stefano] della II^ Brigata "Nino Berio" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della VI^ Divisione - Comunicava che tre partigiani di origine slava, Obren L. Savic (Vincenzo), Milan R. Milutinovic (Mille), Mihail V. Kovacevic (Daba), avevano chiesto il riconoscimento di avere militato, dopo avere disertato dalle file tedesche, nelle formazioni garibaldine, precisando che "possiamo attestare che corrisponde a verità quanto risulta nella copia della dichiarazione".da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II

Agostini Annibale: nato a Genova il 13 maggio 1911, agente in servizio presso la Squadra Antiribelli della Questura di Imperia
Interrogatorio del 10.10.1945: [...] Ammetto di aver preso parte al rastrellamento avvenuto a gennaio u.s. in Villatalla ove furono catturati 9 partigiani e due capi banda si suicidarono per non cadere nelle nostre mani. Tale rastrellamento venne effettuato su indicazioni fornite da un partigiano a nome Ferrero il quale ci accompagnò sul posto. I 9 partigiani catturati nella predetta azione erano 7 italiani e due russi. Gli italiani furono consegnati alla Questura e nei verbali vennero indicati come prigionieri dei partigiani da noi liberati, in quanto appartenenti all’esercito repubblicano. Seppi in seguito che cinque dei fermati vennero uccisi dai tedeschi per rappresaglia come da manifesti affissi sui muri della città. Non sapevo che anche i due russi vennero fucilati dai tedeschi. Dall’esame degli atti della questura sarà possibile accertare che cercai di salvare i predetti facendoli figurare come elementi prelevati e tenuti prigionieri dai partigiani.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia,  StreetLib, Milano, 2019 

Il 31 gennaio 1945 due colonne militari congiunte di tedeschi e italiani (approssimativamente 200 militari) risalirono all'alba le colline, scontrandosi con un gruppo di partigiani posizionato in località “Nicuni”, presso Tavole (frazione di Prelà). Nello scontro morirono sei partigiani: Tommaso Ricci, Manfredo Raviola, Bartolomeo Dulbecco e Ernesto Ascheri (tutti originari di Imperia), Matteo Zanoni (di Brescia), e Ivan Polesciuk (quest'ultimo russo).
Rocco Fava, Op. cit. Tomo I

Era il 5 febbraio 1945. Al sorgere dell'alba ci incamminammo verso Diano San Pietro [...] Invece l'altro rifugio che si trovava nei pressi non venne individuato e gli occupanti (tra cui Peccenen e tre soldati russi), salvatisi, ci raccontarono che i nostri compagni erano stati quasi massacrati di botte [...] che Raspen si era rifiutato di arrendersi sparando dal rifugio un colpo di rivoltella contro il brigatista nero della compagnia Ferraris (tra le bande fasciste, la più sanguinaria), probabilmente ferendolo ad una mano.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998

4 marzo 1945 - I due olandesi sono stati trasportati ad Ormea, dove è il comando tedesco presidiato da un generale. La truppa tedesca presente in Pieve si può oggi calcolare sui 200 uomini, cioè: 60 giovani ultimi arrivati e gli altri tutti conducenti. Tranne però i graduati, che sono effettivamente tedeschi, la ciurma è tutta composta da prigionieri russi e croati. Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994 

Alle formazioni partigiane si unirono anche disertori delle forze armate tedesche, come emergerà più dettagliatamente nel quinto capitolo.
[...] Benjamin Ziemann <51 in particolare ha offerto una sintesi puntuale circa gli aspetti di maggiore importanza relativi al tema della diserzione nella seconda guerra mondiale. L'autore, oltre ad affermare che totalmente sconosciuta, ma probabilmente notevole, è la cifra di quanti, in Francia e in Italia, passarono nelle fila degli alleati, così come le motivazioni per cui venne compiuta questa scelta, rileva la mancanza di un'analisi che prenda in considerazione e offra un'interpretazione complessiva dei diversi aspetti del fenomeno: il contributo dato dalla popolazione civile, le motivazioni politiche e personali dei disertori, i loro aspetti biografici quali l'età e la professione. Sulla scorta degli studi particolari, Ziemann afferma inoltre che le convinzioni politiche, l'opposizione cioè alla politica nazista, rappresentarono solamente nella minoranza dei casi il motivo che spinse i soldati a disertare. Più frequentemente giocavano invece in tal senso un ruolo importante motivazioni legate alla nostalgia per la famiglia, alla passione per una donna, alla “stanchezza nei confronti della guerra” (Kriegsmüdigkeit) e alle preoccupazioni circa il suo sviluppo (soprattutto a partire dall'estate 1943), al timore di essere impiegati sul fronte orientale, alla discriminazione subita da quanti, di origine non germanica, servivano nella Wehrmacht.
A loro si affiancava un'altra categoria di persone, quantificabile nel 15-20 % del totale, che era rappresentata da soldati nei confronti dei quali erano stati presi provvedimenti disciplinari per reati minori, come allontanamento non autorizzato, infrazioni al turno di guardia, ritardo nel rientro dalla licenza; per sfuggire alla giustizia militare sceglievano la via della diserzione. Allo stesso modo anche Dieter Knippschild individuava alcuni gruppi di persone maggiormente rappresentate all'interno di quanti disertarono e invitava anche a valutare quanti si sottrassero al servizio militare tramite il suicidio <52.
Ziemann concludeva anche considerando come, tutte le ipotesi di quantificazione e gli studi condotti, portassero a ritenere che il fenomeno della diserzione, i casi di quanti si rifiutarono di eseguire gli ordini e di quanti si rifiutarono di prestare il proprio servizio militare, fu decisamente minoritario se rapportato ai 20 milioni di uomini circa che prestarono servizio nella Wehrmacht.
[...] La consistenza dell'esercito tedesco andò aumentando nel corso dei mesi: se nell'estate del 1943 i soldati della Wehrmacht in Italia erano 195000, divennero 412000 nel maggio del 1944; nell'autunno del '44 fu raggiunto il massimo della presenza militare della Wehrmacht, con tre armate, otto corpi d'armata e 32 divisioni. Ad inizio aprile del 1945 nelle tre armate tedesche (10ª Armata, 14ª Armata, Gruppo d'armate Liguria) militavano complessivamente 439334 soldati della Wehrmacht e 160180 soldati italiani delle formazioni della Rsi <88. A tale crescita quantitativa non era però corrisposto un aumento delle capacità belliche. I reparti erano infatti stati indeboliti negli armamenti e negli equipaggiamenti e si era anche abbassata la qualità della truppa: molti militari erano di età avanzata e numerose unità erano di etnia straniera, composte da soldati Volksdeutsche o della Deutsche Volksliste III arruolati spesso forzatamente <89; complessivamente, alla data dell'1 settembre 1943 gli appartenenti alla Deutsche Volksliste III inseriti nell'esercito tedesco, erano circa 56.000 <90. Nel corso del 1944 i soldati che, reclutati nei territori occupati dall'esercito, prestavano servizio nella Wehrmacht erano in tutto 763000 (circa l'8 % della forza complessiva) <91. Se si aggiungono a questa cifra i 370.000 “Hiwi” (ausiliari volontari) italiani e russi e 122.000 militari appartenenti a formazioni straniere, a metà 1944 la percentuale dei soldati non tedeschi nella Wehrmacht saliva almeno al 12 % <92.
[...] Karlo Hlana, caporalmaggiore, motivò invece diversamente la sua decisione di disertare. Arruolato il 28 ottobre del 1942, aveva combattuto due anni in Francia e si trovava da circa cinque mesi in Italia. Era stato prima a Ventimiglia e poi sul fronte della Garfagnana. Fuggito da Barga (Lucca), portando con se anche il fucile Mauser e 30 colpi, era stato trovato dalle formazioni S.A.P di Sillano
[...] Anche nelle formazioni della provincia di Imperia, alle dipendenze del comando operativo I zona-Liguria, è segnalata la presenza di partigiani stranieri, tra cui anche disertori tedeschi e austriaci, nella brigate sottoposte alla 2ª divisione garibaldina “Felice Cascione” e alla 6ª, “Silvio Bonfante” <468.
[...] A margine del documento stilato in occasione del suo interrogatorio i partigiani scrivevano: “risultano le seguenti informazioni di carattere generale sull'esercito tedesco: la 34ª divisione […] é un organismo militare dislocato nella Liguria e di esse fanno parte delle più svariate nazionalità in proporzione del 20/100 di Tedeschi e tutto il resto ossia l'80/100 di polacchi, russi, francesi, cecoslovacchi ecc. Riguardo al resto nessuna informazione si è potuta sapere data la loro condizione speciale che li faceva considerare da parte dei tedeschi quasi come prigionieri di guerra senza possibilità di venire a contatto con la popolazione civile e di essere al corrente della situazione politica e militare dell'Europa” <488.
[NOTE]
51 Benjamin Ziemann, Fluchten aus dem Konsens, cit. Dello stesso autore anche Gewalt im Ersten Weltkrieg. TötenÜberleben-Verweigern, Klartext, Essen, 2013 all'interno del quale un paragrafo è dedicato alla diserzione dei soldati dell'esercito tedesco durante la prima guerra mondiale (Fahnenflucht im deutschen Heer 1914-1918, pp. 91-119.)
52 Dieter Knippschild, »Für mich ist der Krieg aus«. Deserteure in der Deutschen Wehrmacht, in Norbert Haase - Gerhard Paul (Hrsg.), Die anderen Soldaten, cit., pp. 123-138.
88 Wolfgang Schumann e Olaf Groehler, Deutschland im zweiten Weltkrig.-Band VI-Die Zerschlagung des Hitlerfaschismus und die Befreiung des deutschen Volkes (Juni 1944 bis zum 8.Mai 1945), Akademie Verlag, Berlin, 1988, p. 152.
89 Andreas S. Kunz, Wehrmacht und Niederlage. Die bewaffnete Macht in der Endphase der nationalsozialistischen Herrschaft 1944 bis 1945, Herausgegeben vom Militärgeschichtlichen Forschungsamt, R. Oldenbourg Verlag, München, 2005, pp. 151-239.
90 Bernhard R. Kroener, Menschenbewirtschaftung, Bevölkerungverteilung und personelle Rüstung in der zweiten Kriegshälfte (1942-1944), in Das Deutsche Reich und der Zweite Weltkrieg, Herausgegeben vom Militärgeschichtlichen Forschungsamt, Deutsche Verlags-Anstalt, Stuggart, 1999, Band 5/2, pp. 982-983.
91 Andreas Kunz, Wehrmacht und Niederlage, cit., p. 267. Riguardo la presenza di combattenti stranieri arruolatisi volontariamente nell'esercito tedesco si veda anche Rolf-Dieter Müller, An der Seite der Wehrmacht. Hitlers auslandisches Helfer beim kreuzzug gegen den Bolschewismus« 1941-1945, Ch.Links Verlag, Berlin, 2007, o ancora per un esempio di formazione Waffen-SS formata da soldati provenienti dall'Albania: Franziska A. Zaugg, Albanische Muslime in der Waffen-SS.Von Großalbanien zur Division Skanderbeg, Ferdinand Schöning, Paderborn, 2016. Inoltre sulla composizione delle formazioni anche Carlo Gentile, I crimini di guerra, cit., pp. 282-307 per quanto riguarda le Waffen-SS e pp. 390-413 per quanto riguarda invece le formazioni dell'esercito regolare. Le differenze tra soldati tedeschi e austriaci in termini di mentalità e convinzione nella guerra sono trattate anche in Hans Burtscher, Die politisch Unzuverlässigen. Dokumentarische Tagebuchaufzeichnungen 1933-1946, Voralberger Verlagsanstalt, Bludenz, 1985.
92 Bernhard R. Kroener, 'Menschenbewirtschaftung', cit., pp. 983-984.
468 Francesco Biga, Storia della Resistenza imperiese (I zona Liguria), edizioni Isrecim, Farigliano, 1978, vol. III, pp. 495-507. A pp. 506-507 l'autore scrive anche che a seguito dell'eccidio di Testico causato sembra dalla delazione di un disertore tedesco che si era aggregato al distaccamento partigiano G. Garbagnati, il comando Iª zona Liguria aveva dato ordine a tutte le brigate di fucilare i soldati tedeschi presenti nelle formazioni che fossero in qualche modo sospetti.
488 Verbale dell'interrogatorio fatto il sabato 28 ottobre 1944 a due prigionieri catturati a Beinette, ivi.

Francesco Corniani, "Sarete accolti con il massimo rispetto": disertori dell'esercito tedesco in Italia (1943-1945), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2016-2017

sabato 24 dicembre 2022

Li invio dalla SS germanica a prendere ordini in merito

Sanremo (IM): tratto iniziale della vallata lungo la quale si sale a Verezzo

Verbale d'interrogatorio
L'anno 1945 addì 27 del mese di maggio negli uffici della Questura di Savona, innanzi a noi sottoscritti Funzionari e agenti di P.S. si è fatto presentare il detenuto MACCAFERRI Edoardo di Gustavo e Hegji Magda, nato a Bordighera il 17/12/1929, ivi residente in Via L. Cadorna n. 15, ex milite della brigata nera di Imperia, il quale opportunamente interrogato dichiara quanto appresso:
"Il 21 gennaio 1945 presentai ad Alassio domanda per essere arruolato volontario nelle brigate nere e immediatamente fui assunto
[...] Ero a conoscenza del fatto che la brigata nera dipendeva direttamente dal comando SS Tedesche dal quale ricevevamo ordini in proposito".
Documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo 
 
24 dicembre 1944 XXIII
Si fa l'azione di rastrellamento in Montà Magnan Collabella [a Sanremo] alla casa di Zoccarato ed a quella più sotto alla distanza di 10-15 metri dalla prima. Questa ultima è la sede abituale della banda Borgogno (figlio) di cui fa pure parte il padre. Si tratta di un complesso di una decina di banditi che infettano la Villetta, S. Pietro, Verezzo. Sono gli stessi che hanno spogliato il camerata Rubi Tullio di ogni suo avere, nella casa di Verezzo dove trovasi sfollato. Partecipano all'azione anche otto soldati germanici al Comando di un maresciallo. L'operazione si svolgerà secondo il piano precedentemente studiato dal vicecomandante Ravina sui dati forniti dal Rubi e altro contadino che vuole conservare l'incognito. Per raggiungere maggiore efficacia e rendere la sorpresa più perfetta, gli uomini avvolgeranno le scarpe chiodate con stracci e bende onde evitare ogni rumore. Sarà di guida il milite n.n. I Legionari partono alle 19 circa. Giunti all'altezza della strada Magnan incrocio Via Goethe sopra le Carmelitane, un ribelle, evidentemente di guardia, dà l'alt ai nostri uomini, ma subito dopo se la dà a gambe, inseguito a tutto fiato. La pattuglia giunge così sul luogo d'un baleno e circonda le case. Dalle fasce circostanti sbucano due banditi e fuggono, ma vengono freddati con raffiche brevi di mitra (1). Altri due seguono la stessa sorte, colpiti dai tedeschi (2). E così altri due, uno dei quali prelevato in casa. Si tratta del Borgogno padre (3) [n.d.r.: seguono, in corsivo, le note originali in fondo alla pagina del brogliaccio] (1) Sono i fratelli Zoccarato. (2) Uno è Barbieri, il fratello dell'Avvocatessa. (3) Uno di questi non è stato identificato ancora e così un sesto. Tutti avevano rivoltelle e, parecchi, bandoliere di cuoio stile artiglieria. Avevano anche barbe lunghe e zazzere alla nuca come si usa tra ribelli, segni e caratteristiche inconfondibili. In casa sono pure state trovate varie donne e molta refurtiva, tra cui tutti gli oggetti rubati la notte prima al camerata Rubi, spogliati a Verezzo. Alte le urla e le imprecazioni delle donne. Tutti, banditi e invitate, avrebbero dovuto, stando all'evidenza dei preparativi riscontrati in casa, consumare un lauto banchetto a base di maiale e di agnello. L'operazione ha potuto avere un esito quasi insperato per i seguenti fattori: 1°. La rapidità dello spostamento degli uomini che non hanno dato tempo alle sentinelle avanzate di dare l'allarme alla banda. 2°. Il silenzio con cui hanno operato per via dell'involto di stracci applicati alle calzature, sì che anche a distanza di pochi metri dal covo dei banditi questi non si sono accorti della presenza dei nostri Legionari. 3°. La estrema decisione e precisione del tiro, soprattutto dei mitra dimostratisi eccellenti per operazioni del genere. 4°. Il chiarore lunare che ha permesso di individuare con relativa facilità i bersagli mobili anche se fra gli alberi. Tutti i documenti personali dei banditi uccisi sono stati raccolti dai germanici e portati al loro comando. Il maresciallo tedesco che ha diretto l'azione si è complimentato ripetutamente coi nostri Legionari. Gli uomini sono rientrati alle 22,45 senza avere subito alcuna perdita. Molto probabilmente i germanici torneranno sul posto domattina presto forse anche per prelevare le donne, non foss'altro per interrogarle e ricavarne dati preziosi sulle altre bande di banditi coi quali la banda Borgogno doveva necessariamente essere collegata. Il Vice Comandante, Aldo Ravina - Visto, il Comandante Angelo Mangano  
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan, Documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo

I Tedeschi, invece, con il metodo delle puntate improvvise continuavano le loro azioni. Il 20 dicembre, giunti a San Romolo con automezzi, rastrellano nuovamente il paese appiccando il fuoco a due ville e il 24 dicembre 1944 fucilano a San Remo, nei pressi della loro abitazione, in presenza della madre e delle sorelle, i fratelli Ugo (Attilio) e Giovanni (Giovanni) Zoccarato, rispettivamente di anni 22 e 20, componenti della brigata cittadina, catturati in rastrellamento.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977
 
La zona di Sanremo più prossima al Rondò Garibaldi - cit. infra - dal lato di levante, in un rilievo topografico realizzato dalle SAP alla vigilia della Liberazione. Fonte: Augusto Miroglio, La Liberazione in Liguria, Forni, Bologna, 1970

Interrogatorio di domenica 26 maggio 1945
Si domanda al sig. Rubbi [Rubi] se  è mai stato alla villa Fiorentina.
Egli nega.
A.D.R.: Nega di aver denunciato il prelevamento di vestiario alle brigate nere.
A nuova richiesta se lui ha denunciato il prelevamento nega sempre.
A domanda se conosce un contadino che ha denunciato ai tedeschi e fascisti il gruppo Borgogno, lui nega sempre.
In seguito a domanda se ha ancora la ricevuta rilasciatagli dal Renatino dice di averla stracciata. Tale ricevuta (dice la signorina Anna Borgogno [n.d.r.: su cui si torna infra, sorella di Renatino Borgogno e figlia di G.B. Borgogno] che fu mostrata nella villa Fiorentina dai tedeschi). Ammette di aver avuto la ricevuta dal Borgogno.
"Ammetto che Tito è stato il primo a venirmi a dire che ero stato derubato. L'unica persona a saperlo in un primo tempo era il Tito Calvini, in quanto la merce fu consegnata dal Calvini stesso al Borgogno" [n.d.r.: corsivo e virgolette - non presenti nell'originale - intorno alle parole pronunciate dal Rubi, per una maggiore scorrevolezza del testo].
Di fronte alle persistenti negazioni del Rubbi viene chiamato a confronto Pelucchini Dario.
Il Pelucchini ammette che durante il pomeriggio del 24 Dicembre Mangano diceva: "Quel belinon insiste perché vada a fare un rastrellamento e io non ne ho voglia, perché oggi vigilia di Natale non si deve andare a fare azioni".
"La sera del 24 verso le ore 18,30 mentre ci radunavamo come solito alla Villa Diana trovammo tutto un picchetto di tedeschi che evidentemente attendevano il nostro ritorno. Vidi il Rubbi nella caserma Diana accanto ai tedeschi. Mangano telefonò subito alla Villa Giulia perché gli mandasse un milite. Poco dopo arrivò questo milite di cui non conosco il nome ma che se dovessi rivedere lo riconoscerei. Il Rubi era presente mentre si preparava la spedizione che doveva concludersi con l'uccisione del Borgogno e dei fratelli Zuccherato [n.d.r.: Zoccarato: non l'unico milite fascista a storpiare il cognome di questi martiri partigiani]. Verso le ore 20 ci incaminammo verso il Rondò Garibaldi. Di fianco il giardino delle Carmelitane iniziammo la stradetta che sale fino Via Goethe e dopo pochi passi sentimmo il 'chivalà'. La squadra che di punta andava avanti era composta di tedeschi con Siri e Nicò. Rimanemmo indietro io, Rubi e due tedeschi. E Luciani Bartolomeo [n.d.r.: invece si trattava, in tutta evidenza, di Bartolomea Luciano, Ausiliaria S.A.F., in forza alla richiamata Brigata Nera "Padoan", che venne poi fucilata dai partigiani presso il cimitero della Foce di Sanremo il 26 aprile 1945 insieme - si può ritenere - ad Ambrogio Carlo Nicò, detto "Gin Mano Nera" e ad altri ex militi]. Ad un certo momento sentimmo in lontananza alcuni spari. Noi si proseguì ancora molto avanti. A un tal punto si sentì parlare. Ci fermammo e notammo un gruppo di gente i quali piangevano. Luciano e il maresciallo tedesco che erano con noi andarono a vedere cosa era successo e ritornarono dicendo "ci sono due morti che hanno la barba'. Vidi della gente di cui delle ragazze che piangevano. Ritornammo in Sanremo e al crocevia il Siri disse: 'sono ben dei delinquenti quei tedeschi'. Quando fummo dinanzi al Vittoria Roma il Rubi si fece accompagnare da un tedesco a casa. Affermo che fu il milite ad accompagnare la squadra al rastrellamento. Ne dedussi che lui conosceva i luoghi dove si rifugiavano i Borgogno e gli altri" [n.d.r.: virgolette e corsivo anche in questo caso nostri, per rimarcare le parole di Dario Pelucchini].
[n.d.r.: seguono le firme di Dario Pelucchini e di Anna Borgogno, che, fatta prigioniera sarà liberata con il "colpo partigiano" all'ospedale di Sanremo]
Io sottoscritto Rubi Tullio, ammetto che la deposizione del Pelucchini è vera e che io denunciai alle brigate nere il furto patito. Ammetto di essere stato insieme per tutta la durata della spedizione insieme al Pelucchini e al Bartolomeo Luciani [Bartolomea Luciano].
[n.d.r.: segue la firma di Tullio Rubi].
Documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo
 
Sanremo (IM): ex Parco delle Carmelitane

25 dicembre 1944 XXIII
Vengono al Comando due donne e un uomo per chiedere di coprire e se possibile rimuovere il cadavere del Borgogno che giace nella strada a pochi metri dinanzi all'ingresso della loro casa.
Li invio dalla SS germanica a prendere ordini in merito. Questo Comando non può dare disposizioni essendo l'azione stata diretta dal Comando Tedesco.
Il Vice Comandante, Aldo Ravina - Visto, il Comandante Angelo Mangano
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan, Documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo
 
Bronda Aldo, abitante a Sanremo in via Corradi, 20
Interrogatorio del 28 maggio 1945 davanti ad un Vice Commissario di Polizia in Sanremo: Un giorno o due prima di Natale venne all'Ufficio della brigata nera Rubi Tullio sfollato a Verezzo a riferire che in detta zona vi erano dei banditi, i quali avevano commesso diverse rapine, anche a lui, e che andavano in Verezzo a fare delle feste; e che sapeva di certo che la vigilia di natale avrebbero fatto una baldoria in una casa, credo che sia stata la casa di Borgogno G.Batta. (Andateli a prendere perché se no io provvedo diversamente) [n.d.r.: frase pronunciata nell'occasione da Tullio Rubi]. La sera della vigilia di Natale vennero sei o otto tedeschi i quali chiesero due uomini armati e furono destinati Pelucchini e Niccò (Gin mano nera) armati di mitra; per precauzioni e per ordine dei tedeschi si fasciarono le scarpe di stracci ed andarono insieme ai tedeschi. Il giorno dopo ho scritto a macchina la relazione dell'operazione compiuta la sera del dicembre e tra l'altro c'era [scritto] che dietro informazioni di Rubbi Tullio due uomini della Brigata Nera insieme ai tedeschi avevano compiuto rastrellamenti nella zona Villetta Verezzo, sorprendendo dei partigiani che mangiavano in una casa; sentirono scappare, spararono dietro e sentirono un grido il quale dette l'allarme e gli altri scapparono inseguiti dalle scariche delle armi della pattuglia. Sono stati uccisi Borgogno Gio Batta - due fratelli Zoccarato e il fratello dell'Avv. Barbieri. Altri tre morti si trovano nel Boschetto a nord della casa.
Documento
in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo
 
Sanremo (IM): in primo piano la zona urbana subito a levante del Rondò Garibaldi

Gradi Elio, nato a Vallecrosia il 30 gennaio 1923, residente a Sanremo, in Via Bussana Vecchia n. 1, floricoltore, cannoniere della X Mas
Interrogatorio del 10 giugno 1945
nell'Ufficio del Nucleo di P.G. di Sanremo: [...] La sera della vigilia di Natale 1944, mentre rientravo da un breve permesso fruito presso la famiglia, ho visto nella sede della Brigata Nera di Sanremo, e precisamente all'Albergo Diana, 5 o 6 tedeschi i quali hanno preso con loro i militi PELUCCHINI Dario e "Gin Mano Nera", di cui non conosco il nome vero [n.d.r.: che era Ambrogio Carlo Nicò, Nicco in altri documenti, milite del distaccamento di Sanremo della brigata nera, fucilato insieme ad altri fascisti dai partigiani il 26 aprile 1945 nei pressi del cimitero della Foce di Sanremo], e sono usciti tutti completamente armati. Il giorno appresso ho saputo dai miei colleghi che i suddetti, la sera prima, si erano recati in regione Villetta (Verezzo), per effettuare un rastrellamento durante il quale erano stati uccisi i fratelli Zuccherato [Zoccarato].
Documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo 

Modena Giovanni, nato a Sanremo l'8 febbraio 1914.
Interrogatorio del 18 giugno 1945 nell'Ufficio del Nucleo di P.G. di Sanremo: La sera del 24 dicembre 1944, sarà stata l'una di notte, mentre mi trovavo nella Caserma di Villa Giulia, dove aveva sede il nostro reparto di G.N.R., venni chiamato al telefono dal comandante le brigate nere, Mangano, il quale mi disse di recarmi da lui immediatamente. Feci presente che non stavo bene, ma in seguito alle sue insistenze mi armai e ubbidii alle richieste. Giunto alla sede delle brigate nere il Mangano mi disse: "Tu che sei capace, bisogna andare a fare un rastrellamento in regione Magnan". Gli risposi che non stavo bene, ma ciononostante volle egualmente che eseguissi l'ordine. Vi erano pronti circa una quindicina di militari tedeschi e tre o quattro elementi delle brigate nere ed un borghese che conosco soltanto di vista il quale diresse l'operazione del rastrellamento. Anche gli uomini delle brigate nere mi sono noti solo di vista.
Il borghese che ci accompagnava corrisponde ai seguenti connotati: robusto, statura piuttosto alta, età circa 50 anni, colorito bruno, capelli leggermente brizzolati, barba rasa, parlava italiano.
Partimmo tutti assieme e li accompagnai fino a strada Magnan ivi mi fermai con un tedesco e gli altri proseguirono per l'operazione. Dopo circa una mezz'ora udimmo il crepitio delle armi ed al ritorno tra di noi della spedizione dissero che ne avevano ammazzati cinque, invece risultò poi che erano stati uccisi soltanto tre.
Finita così l'operazione rientrammo tutti nella sede di Sanremo delle brigate nere e di lì senza che io mi presentassi neppure al comandante Mangano rincasai presso la mia caserma di Villa Giulia.
Nel rientrare in sede, il borghese del quale ho dato i connotati, che secondo me guidava la spedizione, mi disse che era stato lui ad andare dal comando tedesco ed ottenere il rastrellamento che si era compiuto. Mi soggiunse persino che se non fosse stato per lui che era conosciuto dai tedeschi questi non avrebbero ordinato il rastrellamento. Gli uccisi durante la notte erano i fratelli Zuccherato [Zoccarato] ed uno di Baiardo. Quest'ultimo non lo conoscevo affatto, mentre i primi due erano dei miei amici.
Non ho altro da aggiungere.
Documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo 
 
Pelucchini Dario, nato a Città di Castello (Perugia) il 18 agosto 1920.
Interrogatorio del 18 giugno 1945 nell'Ufficio del Nucleo di P.G. di Sanremo: Allora il maresciallo tedesco divise le forze in due gruppi, uno avanti sempre con il Modena in testa, ed io con gli altri nel gruppetto di retroguardia.
[...] Dopo circa un quarto d'ora di strada udimmo delle donne piangere e così intuimmo che cosa era avvenuto e infatti ci rendemmo conto dell'accaduto. Notammo che a terra vi erano alcuni morti.
[...] Il Rubbi [Rubi] era rimasto sempre con me nel secondo gruppetto.
Giunti in Sanremo, come ho già deposto, il Rubbi si fece accompagnare da un tedesco a casa sua, gli altri tedeschi rincasarono per conto loro, io, il Modena, e gli altri due militi Luciano Bartolomeo [Bartolomea Luciano] e Siri G.Batta, e Nico Ambrogio proseguimmo ancora un poco assieme e poi il Siri e il Bartolomeo [la Bartolomea Luciano] si avviarono per conto proprio. Gli altri andammo direttamente dal Comandante Mangano che dormiva nel suo letto presso il comando delle brigate nere. Svegliatosi ci presentammo al suo cospetto ed il Modena fece una relazione verbale del come il rastrellamento era avvenuto, raccontando minuziosamente ogni particolare. Disse precisamente che aveva accompagnato i tedeschi e che giunti a un certo punto videro della gente scappare e spararono contro di loro uccidendone alcuni. Nella circostanza ricordo che anche Nico Ambrogio disse che anche lui aveva sparato contro quelli che scappavano. Precisò di aver riconosciuto uno dei morti nella persona di certo Barbieris.
Finita la relazione, il Mangano elogiò i presenti e disse di accompagnare il Modena con due militi, ma questo rifiutò di essere accompagnato e si avviò da solo.
Documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo 
 
27 gennaio 1945
Vicino alla casa di Marsaglia, bruciata due settimane fa, c'è una casa di Piombo. Il padrone, Piombo, ha la lebbra e la moglie si chiama "Santina". In quella casa ci vanno i ribelli [...] Taggiasco ed altri non di Borello. Ci stanno di giorno. Verso le 12 - 12,30 sono lì nel cortile della casa.
Urge prendere il nipote di Sughi Pietro che si chiama "Nini" e abita dal tabacchino di Battistotti (S. Bartolomeo). Ha 16-18 anni. Lui sa dove sta lo zio "Pier de le Vigne" (Sughi Pietro). Ha detto alla mamma di D.B.: "Gliel'ho detto che scappasse. E' uno stupido! Se ne doveva andare su".
Quella tale lettera a macchina consegnata da D.B. a me è stata mandata a D.B. da questo "Nini" al quale l'ha data lo zio Pier de le Vigne. Quest'ultimo l'ha avuta dal comando di Divisione "F. Cascione".
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan,  documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo

30 gennaio 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 238, all'ispettore della I^ Zona Operativa Liguria ed al comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Segnalava l'arresto da parte dei tedeschi di alcuni appartenenti alla "banda Buzzi", tra i quali figuravano "Borgogno" e "Taganoff" [n.d.r.: Ernesto Lanteri, furiere di battaglione nella V^ Brigata], e l'uccisione di "Tripodi". "Mentre ci riserviamo farvi tenere completo rapporto a riguardo della banda dell'avvocato Buzzi entro la settimana, v'informiamo che, in questi ultimi giorni, alcuni membri della banda Buzzi sono stati arrestati dai tedeschi o dai membri delle Brigate nere. Come già comunicatovi il nominato Tripodi, membro della banda Buzzi, venne ucciso una decina di giorni or sono a San Martino, mentre si recava a compiere un'azione di prelevamento fondi. Un altro membro, Renatuccio Borgogno, figlio di G.B. Borgogno, ucciso unitamente ai fratelli Zoccarato dalle Brigate nere alla vigilia di Natale, è stato arrestato pochi giorni or sono. Sembra, infine, che un terzo membro, "Taganoff", già appartenente alle vostre formazioni, e da qualche tempo nascosto nelle vicinanze di San Remo, sia stato arruolato dal Buzzi la settimana scorsa. Anche il "Taganoff" venne misteriosamente sorpreso dalle brigate nere alcuni giorni or sono e arrestato".
7 marzo 1945 - Dalla Federazione provinciale di Imperia del PCI al Triumvirato Insurrezionale del PCI per la Liguria - Comunicava che ... l'autorità fascista era in crisi  e lamentava "una mancanza di comando coerente"; che il prefetto, pur "consapevole dei suoi crimini, continua sulla solita linea, non affiancato dal questore, che si mantiene neutrale"; che a Sanremo il capo delle Brigate Nere, Mangano, si vantava di aver formato il suo gruppo esclusivamente con ex partigiani e che ciò era vero perché si trattava di uomini delle vecchie SAP rastrellate, inseriti nelle squadre fasciste...
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
Moretta Eugenia: nata a Torino il 28 agosto 1908, ausiliaria nella Brigata Nera "Padoan"
Interrogatorio del 28.5.45:
Sono stata nella ausiliarie negli ultimi 4 mesi e più precisamente dal 22/2/1945. Riconosco le seguenti nominate come appartenenti alle ausiliarie: Botto Angela, Minoccio Rosa (Vice Comandante), Bosso Maria anni 18 di Torino, Santinon Amalia, anni 25 timbro virile, denti guasti, Matteoni Bianca, fidanzata del Comandante Musso, grassoccia, 21 anni, sempre armata. Non ricordo di aver detto ciò che afferma il Ten. Folgore che io dissi, a villa Magnolie [n.d.r.: di Sanremo, sede della G.N.R.], che avrei avuto piacere a partecipare a rastrellamenti contro i patrioti che io consideravo delinquenti. Io prestavo servizio negli uffici del comando della brigata nera ad Imperia dove sono rimasta fino all’ultimo giorno [...]
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione. Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019