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giovedì 28 gennaio 2021

I partigiani imperiesi alla battaglia di Pizzo d'Evigno

Il Pizzo d'Evigno - Fonte: Gulliver

L'alba del 19 giugno 1944 sembra dare inizio ad una delle solite, meravigliose giornate, tutto splendore di prati e chiarore di cielo, che si protrarranno per tutta la successiva estate.
La primavera incantevole e varia delle nostre valli sembra, al suo morire, seminare a piene mani i suoi doni più belli perché l'uomo possa gioirne e serbarne un buon ricordo. Ma, in quel giorno, per vasto tratto, nella zona d'Evigno, non s'avverte il respiro profumato dei prati in fiore, né c'è tempo per osservare il chiarore del cielo.
Nel luogo hanno la loro base due distaccamenti garibaldini: quello comandato da Silvio Bonfante (Cion) è a Cian Bellotto <1 e controlla tutto il pendio nord del Pizzo d'Evigno; quello di Massimo Gismondi (Mancen) è lungo i fianchi rivolti a sud, in località «Fussai». Dal primo, s'abbraccia con lo sguardo la Valle dell'Arroscia, i selvosi monti a catena dell'entroterra delle province d'Imperia e di Savona, i sinuosi sentieri, la bianca strada serpeggiante Albenga  Pieve di Teco e, sparsi qua e là, abbarbicati ai degradanti dossi, i borghi, i paesi, i campanili, che offrono uno spettacolo da presepe, con quell'acqua dell'Arroscia che scorre nell'alveo ebbro di sole per gettarsi nel Centa presso Albenga, voglioso di baciare il mare. Dall'altro distaccamento s'osservano le valli dell'Impero e dello Steria, quasi parallele e divise fra loro da una cresta collinosa.
Pizzo d'Evigno ci conduce, attraverso dossi verdeggianti, a 980 metri sul livello del mare, al suo cocuzzolo dominatore di ogni altra cima all'intorno e forma con i monti Penna, Ceresa e Pizzo Aguzzo, una breve catena posta quasi trasversalmente alle vallate dell'Impero e dello Steria, come a volerle resecare. Tale catena converge poi a semicerchio verso sinistra, ed accenna a dirigersi verso il  mare. I monti e le zone nominate sono, appunto il 19 giugno, teatro di una delle battaglie più accanite avvenute fra le truppe nazifasciste e i garibaldini del solo distaccamento di «Cion», essendo impossibilitato a partecipare alla lotta quello di «Mancen», tagliato fuori dallo strano e repentino svolgersi delle operazioni. «Mancen», con vari uomini, si era recato a Diano Gorleri per disarmare un presidio della Guardia di Finanza. Compiuta felicemente l'azione, di ritorno verso l'accampamento, trova tutti i percorsi sbarrati per il rastrellamento nazifascista già iniziato.
Riportiamo, per intero, il rapporto del comandante «Cion » sullo svolgimento del combattimento <2: «Giorno 19 giugno. Ore 6,45, il distaccamento viene messo in allarme dalle sentinelle che sentono alcuni colpi di fucile e movimenti di camion sulla strada Alassio-Testico. Ore 7, disposizione delle squadre per il combattimento. Il Distaccamento viene attaccato da sinistra e di fronte da forze nazifasciste di gran lunga superiori alle nostre (numero finora accertato degli attaccanti: 1.200). Noi attacchiamo senza esitare le forze nemiche che tentano l'accerchiamento di fronte al Distaccamento, per poterle fare ripiegare verso sinistra dove si trovano già altre loro forze: il tentativo riesce. Portatici sulle immediate alture, cerchiamo il tutto per tutto per far allontanare sempre più le forze tedesche dal Distaccamento. I nazi-fascisti (per paura o per tentativo di sorprenderci alle spalle) tentano di raggiungere le vette del Pizzo e del Pizzo della Ciliegia; però non tutto gli riesce perchè il Pizzo della Ciliegia era già saldamente tenuto da una nostra squadra. Spostamento immediato della nostra mitraglia verso il Pizzo della Penna, piccoli duelli della nostra mitraglia contro due postazioni più avanzate nemiche, intervallo di 40 minuti e tentativo da parte nemica di circondare i compagni delle postazioni del Pizzo della Ciliegia. Immediato ritiro delle nostre forze dalla suddetta postazione e contemporaneo attacco della nostra mitraglia. I tedeschi (solo tedeschi) ripiegano verso il Pizzo. A questo punto vengo avvisato dalla pattuglia spostatasi verso Gazzelli che forze numerose salgono da Chiusanico e da Torria mentre altre forze provenienti da Cesio avevano già raggiunto Passo San Giacomo. Avevo già disposto la ritirata nostra per paura che nostri compagni cadessero. Visto che avevamo ancora alcuni caricatori della mitraglia decido di rimanere con due compagni mitraglieri a sparare sino all'ultimo colpo per poi rendere l'arma inutilizzabile e ritirarci in posti sicuri: ma, purtroppo, ci tocca lasciare un caricatore e mezzo perchè sottoposti al tiro dei mortai da 81. Rientro in serata al distaccamento, ancora intatto, con alcuni compagni e riprendo la nostra attività sempre più spietata contro i maledetti tedeschi e i loro schiavi fascisti. Da segnalare il comportamento esemplare di 4 compagni: Federico, Germano, Carlo II, Aldo Fiume <3. Dapprima Germano (Giuda), attualmente Commissario politico, che con una squadra di 10 uomini (nuovi) trovandosi in pessima posizione di ripiegamento, sottoposto alle raffiche nemiche, riesce a tenere in pugno i suoi uomini, rincuorandoli affinché non abbandonino il posto senza mio ordine. Federico con 4 uomini tenta di raggiungere per la seconda volta, armato di mitragliatore, il Pizzo della Ciliegia. Impossibile l'azione perché raggiunto il Pizzo per primi, i tedeschi dirigono verso di lui e i compagni un nutrito fuoco di mitraglia. Rimasto ferito, tenta ugualmente di raggiungere la posizione della nostra mitraglia. Carlo (Siciliano) [Calogero Madonia], che da solo, con mitragliatore, spara contro i nostri nemici, impedendo loro di raggiungere il Distaccamento. Aldo (Fiume) che, aiutante mitragliere, prende di mano al compagno, feritosi ad un piede, la mitraglia e sfida con esemplare eroismo ogni attacco nemico. Esemplare, inoltre, il comportamento di tutti i compagni della vecchia Volante ed alcuni dei nuovi. Con compagni di questa tempra la vecchia e la nuova Volante non perirà mai! Accertamento dei molti nemici, da fonte competente n. 62 (tra i quali un capitano tedesco e un tenente fascista). Un secondo fascista è diventato pazzo. Gloria al nostro fuoco. Il Commissario politico Giuda - Il Comandante Cion".
Ma, nel rapporto, «Cion» ha omesso la cosa più importante: il suo grande coraggio, profuso generosamente, come sempre, nell'epica battaglia. Quando, da varie ore, la lotta infuria feroce contro l'esiguo numero di garibaldini, egli, pressato da ogni parte da soverchianti forze nazifasciste armate di mitragliatrici e mortai ed attaccanti in continuità, comincia a sentirsi provato e stanco, centuplica energie e coraggio.
Con pochi altri ardimentosi, piazzato su Pizzo della Penna, impugnando stretta la sua Hotchiss, mitraglia con una continuità sconcertante, anche irritante, gli invasori esasperati. Calmo, come sempre, «Cion» risponde con precisione al fuoco dei nemici incalzanti. Oltre diecimila colpi vomita la sua prodigiosa mitragliatrice. 
«Fiume», aiutante mitragliere, che ogni tanto deve orientare la direzione dell'arma a seconda degli spostamenti dello schieramento nemico, si trova le braccia ustionate dalla canna arroventata dell'arma e deve infine sostituire «Federico», il compagno mitragliere rimasto ferito.
Enormi lingue di fuoco, ininterrotte raffiche di mitragliatrici e mitragliatori, squarci di mortai, si accaniscono contro poche, irriducibili squadre di «Cion».
I Tedeschi non passano che a sera, dopo aver pagato a caro prezzo la padronanza del campo di battaglia e tutti i partigiani protetti dai compagni più valorosi, primo fra tutti il loro Comandante, si sono ormai sganciati e messi in salvo.
Tutti meno uno: Silvano Belgrano che, col suo parabellum ancora stretto in pugno, col bel viso immobile rivolto al sole, pare osservare la sua fiorente, esuberante giovinezza allontanarsi per sempre, verso orizzonti senza confini. 
(1) «Cion» in dialetto imperiese significa chiodo. 
(2) Il manoscritto originale è stato conservato dai familiari di Silvio Bonfante. 
(3) Trattasi di Federico Sibilla (Federico), Germano Belgrano (Giuda), Calogero Madonia (Carlo Siciliano o Carlo II), Aldo Bukovic (Fiume). 
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, pp. 87-90
 
La battaglia di Pizzo d'Evigno, comune di Diano Arentino (IM), mise in luce le brillanti qualità del comandante Silvio Cion Bonfante.
Il suo Distaccamento, Volante, era dislocato in quella zona.
All'alba del 19 giugno 1944 numerosi reparti tedeschi, arrivando in parte da Cesio (IM), ed in parte da Chiusanico (IM), tentarono l'accerchiamento dei garibaldini.
Gli uomini di Cion, seppur inferiori per numero e per armamento, riuscirono a sganciarsi con astuzia.
Senonché in questo scontro cadde il partigiano Silvano Belgrano.
Nella sua relazione Bonfante scrisse che le perdite in campo tedesco ammontavano a 62 unità, tra cui un capitano tedesco ed un tenente fascista. [...]
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
Silvano Belgrano "Silvano".
Nato ad Imperia il 5 agosto 1924. Appartenente al Distaccamento "Volante". All’alba del 19 giugno 1944 il distaccamento di Silvio Bonfante "Cion", di stanza ad Evigno [Diano Arentino (IM)], venne attaccato da forze nemiche, numericamente di gran lunga superiori, che ne tentarono l’accerchiamento. I partigiani si portarono sulle alture e combatterono strenuamente a lungo: i tedeschi non passarono che a sera. I garibaldini, protetti dai loro compagni, si misero in salvo. Tutti, ad eccezione di Silvano Belgrano. In seguito si appurerà che a causarne la morte era stata una spia infiltratasi tra le fila dei garibaldini. A Silvano Belgrano venne intitolata la I^ Brigata della VI^ Divisione "Silvio Bonfante". da Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011
 
Silvano Belgrano fu uno dei primi partigiani che aderirono alla lotta in montagna. Amico e componente della banda del Cion (Silvio Bonfante) e di Mancen (Massimo Gismondi), proprio a fianco di Cion cadde, forse colpito a freddo da un infiltrato che aveva approfittato dell'infuriare della battaglia per eliminare una delle figure più carismatiche della Resistenza imperiese della prima ora. Sicuramente a conoscenza delle posizioni tenute dal distaccamento "Volante" di Cion e del distaccamento "Volantina" di (Mancen), il comando provinciale della GNR di Imperia aveva pianificato un'azione tesa a separare i due distaccamenti. Il distaccamento di Cion si trovava sul Monte Ceresa, quello di Mancen in zona Fussai, sopra Evigno, pronti a darsi manforte reciproca in caso di attacco nemico. La GNR mise in campo, tra le altre, la compagnia operativa del capitano Ferraris, sostenuta da un plotone tedesco di cacciatori della 42a Jäger-Division appena giunta in Liguria dalla Garfagnana. Ferraris, ricco dell'esperienza fatta nei Balcani contro i titini, aveva concepito l'operazione incuneandosi tra le due formazioni partigiane per evitare che potessero operare in sinergia. Una colonna, per lo più composta da tedeschi, salì dalla rotabile Alassio-Testico, mentre un'altra proveniente da Cesio, superò il Passo San Giacomo. L'attacco venne diretto contro gli uomini di Cion, che in evidente inferiorità numerica riuscirono a tener testa ai nemici per parecchie ore per poi sbandarsi quando la pressione avversaria divenne insostenibile.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

Nel mese di giugno, con la costituzione della «Volantina», la «Volante» che nel maggio era a Stellanello (SV) si trasferisce a Pian Bellotto (9). L'accampamento è composto da tre stanze con funzioni di dormitori, deposito armi e cambusa-viveri. Ci sono, inoltre, la tenda per il Comando, qualche altra tenda-dormitorio, ed una radio sempre tenuta ad alto volume ed udibile a lunga distanza, in segno di sicurezza e di sfida al nemico. Pian Bellotto è alle falde del ripido pendio del monte Ceresa ed è circondato, ai suoi fianchi, da boschi e rocce. Su una di queste è piazzata una mitragliatrice. La «Volante» possiede un discreto armamento; ma le sempre nuove esigenze ne rivelano l'insufficienza anche se attraverso le quotidiane azioni i garibaldini, via via, si procurano le armi sottraendole al nemico. Citiamo un fatto narrato da «Magnesia»: «Mi disse un partigiano: "Vedi quel fucile «Mauser» con cannocchiale? Il Calabrese ne desiderava uno; poi ha saputo che un Tedesco di Andora lo possedeva ed allora, l'altro giorno, è partito da solo. È ritornato con questo"».
Il vitto, per quanto i rifornimenti lo permettano, è cucinato all'aperto: poche pietre disposte a focolare protette da qualche ramo. Il cuoco non può mai conoscere in tempo il numero dei presemi essendovi sempre nella formazione un via vai di partigiani, di passaggio o in arrivo. Comunque, la quantità di cibo è sufficiente all'alimentazione degli uomini.
Il numero dei componenti la «Volante», a seguito della creazione del distaccamento affidato a «Mancen», è ridotto ad una quarantina; ma nuovi giovani continuano ad affluirvi.
Verso passo San Giacomo ha sede una banda di badogliani e sovente, la sera, s'odono degli spari d'esercitazione.
La «Volantina» di «Mancen» prende posizione alla base del monte Torre ma dalla parte opposta a quella della «Volante», cioè sul lato sud. La zona è quella già citata di «Fussai» ed è soprastante ad Evigno, nel comune di Diano Arentino. «Mancen» controlla, perciò, la zona dello Steria e dell'Impero. In caso d'attacco nemico, compito della «Volantina» è l'occupazione di Pizzo d'Evigno a protezione della postazione «Volante», sul monte Ceresa. Il piano prevede, dunque, il dominio delle alture da parte dei garibaldini.
Aggiungiamo ora qualche particolare sullo svolgimento dello scontro così ben sintetizzato, come abbiamo visto, dal bollettino di «Cion».
Alle 7 circa del mattino è dato l'allarme, con una lunga raffica di mitragliatrice, mentre parte dei partigiani, già svegli, sta facendo colazione. Tutti afferrano le armi e si raggruppano intorno al casone principale dell'accampamento per prendere ordini. A quanto è dato supporre dalle raffiche che si susseguono, i nemici si spingono verso Stellanello. Non è ancora possibile conoscere la consistenza delle forze nemiche, sia riguardo al numero, sia all'armamento, sia anche alla direzione in cui agiranno. Contrariamente al solito, però, si intuisce che stavolta la cosa si presenta seria; ma la fiducia nella loro forza e la coscienza dell'andamento favorevole degli avvenimenti fino a quel giorno, preparano i garibaldini ad una lotta da cui, come sempre, i nazifascisti usciranno sconfitti.
«Cion», con gli uomini armati, parte incontro al nemico, mentre i nuovi arrivati, in maggioranza ancora privi di armamento e, conseguentemente ancora inutili sul fronte dello scontro a fuoco, si disperdono nei boschi vicini con l'intenzione di svolgere funzioni di staffetta e di collegamento fra le varie postazioni partigiane combattenti, e di avvistamento del nemico. Un gruppo di essi raggiunge la vetta del monte Ceresa. Le notizie si fanno sempre più precise: un'imponente forza di circa milleduecento nazifascisti, disposta su varie colonne, si avvia all'assalto delle due bande partigiane partendo dalle varie direzioni di San Damiano, Testico, Stellanello, Chiusanico, Pairola.
La situazione dei garibaldini diventa rapidamente molto difficile poiché è esclusa ogni possibilità d'aiuto da altre formazioni.
«Cion» stima la vetta del Ceresa la posizione più opportuna per la difesa: lassù, il nemico concentrerà i suoi attacchi che potranno essere contenuti poiché «Mancen» occuperà la vetta del Pizzo d'Evigno, come previsto nei precedenti piani, e proteggerà di lassù il fianco sinistro della «Volante».
Ma, come abbiamo già riferito, la« Volantina» è impossibilitata all'appuntamento. Sicchè quando il gruppo dei partigiani di monte Ceresa è fatto segno di raffiche di mitragliatrice dalla vetta di Pizzo d'Evigno, si comprende allora che, in quel luogo ci sono i Tedeschi.
La situazione si aggrava ulteriormente. Non resta, comunque, che l'unica soluzione: il proseguimento del combattimento, imperniato sulla strenua resistenza partigiana.
Lo scontro diventa progressivamente ancor più selvaggio con l'attacco concentrico delle varie colonne nemiche. I garibaldini rafficano e gli assalitori si buttano tutti a terra; le raffiche cessano e gli assalitori operano un balzo avanti e così via, per lungo tempo. Ogni tanto qualche Tedesco colpito non si rialza più.
Infine, le posizioni delle armi garibaldine sono localizzate con precisione ed inizia il bombardamento con i mortai.
«Federico» è ferito ad un braccio da una pallottola esplosiva; un colpo di mortaio tramortisce «Fiume». Resiste sempre «Cion » con la pesante Hotchiss. La sua terribile arma trattiene ancora gli assalitori che avanzano a sbalzi ed affannosamente e, ad ogni balzo, sono per loro feriti e morti. Non scomparirà mai quel sorriso ironico, a labbra socchiuse, del Comandante, ormai solo contro tutti. Come in seguito «Cion» confesserà, questo fu, per lui, il momento più difficile; ma la calma non l'abbandona. Infine, considerata inutile la prosecuzione della lotta, smonta l'arma automatica, la priva dell'otturatore e lanasconde. Quindi, ripiega nel bosco, tra i suoi uomini, ma a malincuore perché, purtroppo deve  abbandonare un caricatore e mezzo!
Fase finale della battaglia: i garibaldini si disperdono in piccoli nuclei, ormai isolati tra loro. Avvengono piccoli scontri in ogni luogo della zona, nei boschi e nei dirupi. I Tedeschi stanno rastrellando il campo ed i garibaldini tirano sporadicamente su di essi con moschetti, mitra, bombe a mano, finché s'ode soltanto l'eco delle lunghe raffiche degli assalitori indirizzate nei cespuglie lungo i fianchi del Ceresa, riecheggianti di monte in monte e nelle vallate circostanti.
I partigiani sono stremati: ognuno si cerca un rifugio tra i roveti, i cespugli, gli anfratti del terreno, sfruttando la conoscenza dei luoghi. Molti, nell'eventualità di essere catturati, sono determinati a suicidarsi per evitare di subire le torture e gli inevitabili strazi.
L'azione dei Tedeschi non è rapida perchè anch'essi sono prudenti anche se, ormai, sono assoluti padroni del campo. Poi, si preparano il rancio. Molti garibaldini nascosti li sentono vicini. I Tedeschi riprendono a sparare perchè, malgrado gli avvenimenti, non li abbandona il timore degli agguati partigiani. Verso le 16 è l'epilogo ed i nazifascisti s'allontanano.
L'azione e lo scontro sono durati, dunque dalle 7 alle 16!
Scende lentamente la sera con la sua pace. Con circospezione, i garibaldini, nascosti nei luoghi più vicini, escono cauti e silenziosi, nell'incertezza del momento. Alcuni sono rimasti feriti nel corso del combattimento. L'unico partigiano caduto è, come si è detto, Silvano Belgrano <10.
Durante il rastrellamento i nazifascisti catturano il parroco di Stellanello, don Pietro Enrico «votato con il suo popolo al sostegno coraggioso di chi lottava per la libertà ed un mondo migliore» <11, il quale si lascerà barbaramente uccidere a Molino del Fico
[n.d.r.: oggi nel comune di San Bartolomeo al Mare (IM)] in Val Steria, rifiutando di fornire al nemico informazioni sui «ribelli».
Ognuno interroga e chiede notizie, che sono riferite varie ed incerte: «... I Tedeschi sono partiti, i Tedeschi sono nascosti in agguato, i Tedeschi attraversano la zona in gruppi compatti ...».
Tutti sono digiuni dal giorno precedente. Alcuni raggiungono Pian Bellotto sperando di vedervi «Cion», e constatano che i nazifascisti non hanno trovato il luogo dell'accampamento. Ma c'è chi dice che lo hanno individuato e che potrebbero ritornare all'improvviso. Occorre, dunque, salvare tutto da un eventuale saccheggio. Con grande rapidità sono asportate tende, coperte, gavette e viene distrutta la radio.
Numerosi garibaldini, da pochissimo venuti in banda, sono scossi dagli avvenimenti della giornata. Quella notte ed il giorno successivo rimangono nascosti e temono un'altra incursione nemica. Infine alcuni di essi ritornano alle loro case.
Ma, in soli due o tre giorni, la «Volante» si ricostituisce e, arricchita di esperienza, si accampa nello stesso luogo, a Pian Bellotto, lassù, a quattro passi dal mare. Rientrano gli sbandati, tornano ad affluire nuove reclute.
Va notato che lo scontro si è svolto secondo i canoni della strategia voluta dai Tedeschi: il campo aperto e lo scontro frontale, che la Resistenza imperiese ha dimostrato di non temere perché ha supplito col valore e la conoscenza dei luoghi alla stragrande differenza numerica e di mezzi.
Il timore iniziale di una strage di partigiani presto svanisce dall'animo della gente, soprattutto contadina, delle zone circostanti.
Per lungo tempo sono state osservate le strade percorse da teorie lunghe di camion carichi d'armi e di Tedeschi e di fascisti ed udito lo strepito ininterrotto di un grande scontro.
Poi, l'annunzio della lotta e della Resistenza partigiana, passa di borgo in borgo, percorre tutta la provincia e, come portato da creature invisibili ed inarrestabili, raggiunge le città ed i paesi. Nella popolazione nasce la coscienza di una nuova realtà: le formazioni partigiane, per il valore dei loro uomini, superato il periodo di formazione e di sviluppo, stanno passando ad una nuova fase poiché, oltre ad assolvere ai loro naturali compiti, pur già gravosi, dell'interruzione di vie di comunicazioni e di ponti, dei sabotaggi e degli agguati, hanno dimostrato a Pizzo d'Evigno di non voler rinunciare tanto facilmente alle loro posizioni resistendo agli invasori anche in campo aperto.
Ma il Comando tedesco ha compreso che le bande partigiane sopravvissute alla morte di Cascione hanno superato il periodo critico invernale e si stanno rafforzando, minacciando tutta la sua organizzazione militare nella zona. E' prevedibile, perciò, un riaccendersi furioso della lotta in ogni luogo attraverso le forme più varie, dall'imboscata fino alla battaglia campale ed al rastrellamento su vasta scala. Sicché, diventa necessario che, nelle formazioni garibaldine, ognuno sia efficiente ed efficace nell'azione.
I partigiani disarmati e quelli timorosi possono creare più difficoltà che vantaggi. Occorre il tempo per formarne il carattere e renderli validi anche per le prove più ardue.
Dopo lo scontro, «Cion» ha sentito discorsi e notato gli sguardi dei suoi uomini; comprende che una parte di essi non può non essere uscita scossa da quella prima vera battaglia. Perciò invita i garibaldini a discutere sul da farsi. Chiede se intendono spostarsi in qualche altra località ritenuta più sicura, come Testico o Degna. Ma tutti convengono nel ritenere Pian Bellotto la località migliore per la loro sede. Informa che il CLN ha fornito informazioni su un nuovo progettato rastrellamento tedesco e che occorrono decisioni rapide e dichiarazioni aperte e sincere. Ognuno è libero di restare o di partire, essendo la partecipazione alla lotta partigiana del tutto volontaria e senza costrizione  alcuna.
C'è chi propone allora di ritirare il distaccamento nel bosco di Rezzo; ma «Cion» respinge decisamente la proposta: «... Qui siamo una cinquantina e sono venuti in duemila; là saremo tanti e verranno in ventimila. Questa è la zona a noi destinata; di qui, in due ore di cammino possiamo raggiungere il mare ed attaccare là il nemico nella battaglia finale. Anche se dovessi restare solo, resterò lì; ma sono sicuro che c'è chi resterà con me. Chi ha paura lo dica e si trasferisca pure; potrà essere accompagnato da una staffetta che parte per il bosco di Rezzo. Con me deve restare chi ha del fegato!... » <12.
Nessuno proferisce parola, anche se l'indomani avrebbe potuto essere la fine per tutti. Ma nessuno, malgrado lo stato d'animo, vuole deludere il Comandante manifestandogli sentimenti di timore. Egli comprende. Di sua iniziativa fa una cernita ed invia una parte di uomini con la staffetta diretta al bosco di Rezzo. Egli resta al suo posto con gli altri.
(9) In dialetto «Cian Belotto»
(10) Si appurerà in seguito che il valoroso giovane è stato ucciso a tradimento da una spia tra le fila partigiane.
(11) Cfr.: F. Biga, «Diano e Cervo nella Resistenza», Ediz. Milano Stampa, 1975, pag. 98. Tesi di laurea della suora Franca Nurisso, Il clero nella I Zona Operativa Liguria, anno accademico 1975/1976, Istituto Universitario pareggiato di Magistero «Maria SS. Assunta», Roma, pag. 117
(12) Dal diario di Gino Glorio.

Carlo Rubaudo, Op. cit., pp. 95-100

martedì 10 novembre 2020

Agguato garibaldino in Località Sgorreto

Ponti sul torrente Impero all'altezza di Castelvecchio di Imperia

Non è molto ridente la località che porta il nome, acquisito dall'omonimo rio che la percorre, di Sgorreto [nel comune di Imperia]. È posta sulla strada statale n. 28, fra Pontedassio e Castelvecchio, un pò più vicina a questo che a quello.
A sinistra di chi procede per Pontedassio, la strada è limitata dal torrente Impero, non ben delineato per il greto irregolare in cui s'alternano, o si fanno compagnia, zone di ghiaia, canneti, tratti sassosi, ciuffi erbosi e, tra essi, con percorso a zig-zag, scende l'acqua cupa, color marrone, indice della presenza di frantoi più a nord.
Lo stesso torrente, che nel suo percorso verso il mare poco prima è decisamente rivolto a sud-ovest, improvvisamente, per una delle sue bizzarrie, come di chi muta sovente parere, s'impenna a sinistra e ci mostra, slargato, quel letto descritto. Quindi, sarà un'altra ansa, e così via fino al mare.
D'intorno i colli, a catena o solitari, simulano il gioco del rimpiattino, disposti come sono e quasi divertiti d'interrompersi l'un l'altro. Sullo sfondo, a nord, si staglia, per breve tratto, la salita del colle San Bartolomeo.
Qualche casa sparsa, piccola e modesta, e basta. Ormai, la zona è stata ritoccata da lavori e costruzioni che hanno mutato l'aspetto primitivo.
Al lato destro, una parete strapiomba sulla strada; è alta quattro o cinque metri, tutta sassi, sterpi, pianticelle selvatiche ed arse, salvo una ridente macchia di mandorli, e, tra il tutto, qualche punto in cui poter poggiare il piede di chi intenda scalarla, ma più adatto alle zampe delle capre che al piede dell'uomo. La parete accompagna la strada a rettilineo per un buon tratto.

Il giorno 28 giugno 1944, cinque garibaldini del 10° distaccamento della IX Brigata, guidati dal comandante Umberto Cremonini (Folgore) (1) e dal commissario Fernando Bergonzo (Nando), sono appostati presso il rio Sgorreto. Hanno avuto notizia che il Generale tedesco, comandante del presidio, passa giornalmente in macchina. È intenzione dei partigiani di catturarlo. Da cinque ore attendono, l'attesa è snervante. Hanno fucili e bombe a mano preparate a grappolo in modo da scoppia temporaneamente dopo il disinnesco di una sola sicurezza.
Finalmente è in vista un camion: «Nando» scruta col binocolo; sono Tedeschi e fascisti. Tutti pronti. Il camion, che non è però quello del Generale, avanza finchè giunge nei pressi: i partigiani ordinano l'alt, ma l'autista accelera ed accosta l'automezzo ancora più a destra della stra da per ostacolare la visuale dall'alto e rendere impossibile il tiro.
Ma le bombe precipitano e, con incredibile precisione, centrano il veicolo. Uno spianto! All'intorno morti e moribondi. I superstiti fuggono all'impazzata e i garibaldini, svelti come le capre, scendono lungo la parete.
«Folgore» spara con la pistola a due Tedeschi che corrono a saltelloni nel greto dell'Impero; «Nando» afferra una machinen-pistole abbandonata a terra da un nemico e raffica quelli che fuggono, sempre nel greto verso sud.
I garibaldini raccolgono le armi e si ritirano per il sopraggiungere della macchina del Generale il quale, alla presenza di quello spettacolo, s'infuria ed intende vendicare i suoi soldati morti. Mobilita ingenti forze che, in breve, giungono con autoblinde e mortai, e sparano in direzione dei garibaldini ormai in marcia verso le zone dell'interno.

Contemporaneamente, i nazisti bruciano tutte le case all'intorno e catturano una ventina d'ostaggi, terrorizzando la gente del luogo.
I partigiani, intanto, giungono in salvo a Pian Bellotto, nella zona di Pizzo d'Evigno, presso il distaccamento «Volante» di «Cion» [Silvio Bonfante]; poi raggiungono la loro formazione.
Notiamo: la coraggiosa azione è stata compiuta da cinque uomini a quattro chilometri dal mare! (2).

(1) Quel «Folgore» che, nel precedente mese di maggio, militando nelle fila del distaccamento del comandante Vittorio Guglielmo (Ivano o Vittò) e del commissario Bruno Luppi (Erven) aveva da solo disarmato una postazione della RSI a Santa Brigida (Andagna) e catturato dieci soldati del presidio (G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, vol. 2°, pag. 240).
(2) Testimonianza orale di Fernando Bergonzo, commissario di distaccamento

Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

 

domenica 1 novembre 2020

Nei primi di ottobre 1943 Erven dopo varie peripezie raggiunge la sua abitazione a Taggia

Taggia (IM): uno scorcio

Bruno "Erven" Luppi. Nato a Novi di Modena l'8 maggio 1916. Figlio di un antifascista, fin da ragazzo prese parte alla lotta clandestina contro il regime fascista e, nel 1935, venne arrestato e incarcerato a Modena.  Trasferitosi a Taggia (IM), si inserì nell'organizzazione comunista clandestina di Sanremo (IM). L'8 settembre 1943 era ufficiale dell'esercito quando venne catturato dai tedeschi. Riuscì però a fuggire a Roma dove partecipò ai combattimenti di Porta San Paolo. Tornato nuovamente in Liguria, fu tra gli organizzatori della lotta armata ed entrò a far parte del C.L.N. di Sanremo. Per incarico della Federazione Comunista di Imperia il 20 giugno 1944 organizzò, con altri dirigenti del partito, la prima formazione regolare partigiana del ponente ligure, la IX^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione", con sede nel bosco di Rezzo (IM), la quale diventò a luglio 1944 la II^ Divisione "Felice Cascione".  Il 27 giugno 1944 da comandante di Distaccamento venne gravemente ferito nella battaglia di Sella Carpe tra Baiardo (IM) e Badalucco (IM). Per mesi riuscì avventurosamente, ancorché costretto alla macchia pur nelle sue tragiche condizioni di salute, a sottrarsi alla cattura da parte del nemico. In seguito, appena guarito, assunse la carica di vice commissario della I^ Zona Operativa Liguria.  Vittorio Detassis su Isrecim

Nei primi di ottobre 1943 [Bruno Erven Luppi] dopo varie peripezie raggiunge la sua abitazione a Taggia per prendere contatto con i vecchi compagni e con i quali organizza a monte della città, in località Beusi, una prima banda armata composta da una ventina di giovani, in gran parte militari sbandati. Ma la banda ha vita breve poiché si scioglie nel novembre successivo. In quel periodo entra a far parte del Comitato di Liberazione di Sanremo, come rappresentante insieme al Farina del PCI, con l’incarico di addetto militare. Organizza pure il CLN di Taggia e una cellula del PCI ad Arma, coadiuvato dai compagni Mario Cichero, Candido Queirolo, Mario Guerzoni e Mario Siri. Con i Sanremesi dà vita ad un giornale  clandestino quindicinale dal titolo "Il Comunista Ligure", ciclostilato nel retro del negozio del Cichero stesso. Il gruppo prende pure contatto con la banda armata di Brunati [n.d.r.: Renato Brunati, arrestato il 6 gennaio 1944, deportato a Genova e fucilato dalle SS il 19 maggio 1944 sul Turchino], dislocata a Baiardo e con altre formatesi in Valle Argentina.  
Francesco Biga, Ufficiali e soldati del Regio Esercito nella Resistenza imperiese in Atti del Convegno storico LE FORZE ARMATE NELLA RESISTENZA di venerdì 14 maggio 2004, organizzato a Savona, Sala Consiliare della Provincia, dall'Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona (a cura di Mario Lorenzo Paggi e Fiorentina Lertora)
 
Erven... È della preparazione del movimento partigiano che voglio parlare, cioé di quello che é stato prima. Il C.L.N. venne costituito solo nel novembre 1943. Vi era il C.L.N. a Taggia (IM) che era formato dal senatore Anfossi, da Aliprandi, da altri che adesso non ricordo e da me. Poi c'era un C.L.N. a Sanremo (IM), nel quale figuravano tra gli altri Maifré, Bobba, Farina, Nuvoloni, Ferraroni... Nell'ottobre 1943 a Taggia c'erano due gruppi di partigiani in formazione, uno in una vallata dietro il cimitero ed un secondo in regione Beusi. Con questi gruppi avevo anch'io dei rapporti. Ricordo che si era associato anche il maresciallo Genova. Erano una ventina, ma non erano organizzati... E nei suoi ricordi appare Arma di Taggia. Anche ad Arma di Taggia si formava un C.L.N. con Candido Queirolo, Mario Cichero, Mario Siri, Mario Verzoni. Quest'ultimo andrà poi a Milano e là proseguirà la sua azione partigiana. Candido Queirolo si spingerà sino a Firenze e vi rimarrà per un lungo periodo di tempo. 
don Ermando MichelettoLa V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero - Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975
 
Fra gli antifascisti di Taggia egli ["Erven", Bruno Luppi ] aveva conosciuto, ancora prima della guerra, il veterinario Giovanni Neri, già sopra menzionato. Ora il Neri mette in contatto Erven col farmacista di Molini di Triora, anch'egli antifascista. Dietro indicazione del farmacista di Molini, Erven va da un negoziante di Sanremo, per avere denari per l'organizzazione delle bande, e il negoziante lo manda da un certo Parodi, già membro del Gran Consiglio del fascismo, e residente in Sanremo, in Corso Matteotti. Erven non sa se vi sia stato uno sbaglio da parte del negoziante, oppure da parte sua. Egli si presenta, fa la sua richiesta, e il Parodi lo minaccia e gli intima di presentarsi immediatamente, come ufficiale, al Comando tedesco. Erven esce; ma subito ritorna, dice di avere avvertito i suoi amici, che lo aspettavano in fondo alla scala, i quali lo vendicheranno, se gli verrà fatto del male; afferra quindi l'apparecchio telefonico del Parodi, e lo rompe, buttandolo a terra.
Dopo il Congresso fascista di Verona (14 novembre 1943), i fascisti avevano fatto venire dalla Francia dei militi, giovani quasi tutti dai 15 ai 17 anni, che dicevano essere figli di emigrati italiani. Questi militi fascisti, assai numerosi, avevano preso sede nella Caserma Revelli di Arma di Taggia.
Dopo vario tempo, vi erano stati degli arresti fra gli antifascisti: in Taggia erano stati arrestati l'avv. Secondo Anfossi e Vivaldi Giacomo, verso la fine del dicembre '43.
Altri antifascisti erano stati costretti a fuggire.
Viene arrestato il Brunati, che era specialmente in rapporti di amicizia con Calvini G.B. e con la sig.na Meiffret.
Vi sono degli arresti anche fra i membri del già citato Comitato interpartitico che teneva le sue riunioni nel palazzo della sig.na Meiffret, e di cui faceva parte Erven.
Sono arrestati l'avv. Nino Bobba (poi rilasciato) e Calvini G.B.
Erven, mentre era di passaggio in Sanremo con armi nascoste nelle pieghe degli abiti, incontra in un bar il figlio di Umberto Farina, il quale lo informa di alcuni arresti, e gli raccomanda di avvertire Calvini G.B.
Erven va da Calvini G.B. in Bussana, a tarda sera, forse intorno alle 20,30-21, gli dice che vi sono stati degli arresti, e lo esorta a fuggire. Calvini, tuttavia, pensa che il pericolo non sia imminente, non fugge subito, e la notte stessa viene arrestato.
Frattanto Erven, dopo avere avvertito il Calvini, attraversando la campagna si porta in una località sotto Beusi, dove pernotta presso un piccolo gruppo alla macchia da lui precedentemente costituito.
Da un po' di tempo Erven aveva costituito il suddetto gruppo, formato di otto o dieci giovani. Erven, in genere, pernotta presso il gruppo stesso, mentre di giorno, sia pure con cautela, continua a svolgere il suo lavoro organizzativo in città.
In detto gruppo vi era pure, con un figlio e col genero, il maresciallo del disciolto esercito Genova Carmelo (chiamato «Radio» per nome di battaglia). Il maresciallo Genova aveva aiutato Erven per il fatto della farina presa in Taggia, nei magazzini dei Del Pietro. Insieme col genero, il maresciallo Genova fu ucciso dai nazifascisti durante la guerra partigiana: la moglie e la figlia del Genova rimasero ciascuna con alcuni figli assai piccoli.
Altre persone, allora presso Beusi, e più tardi cadute per mano dei nazifascisti, sono: Candido Queirolo, di cui si tornerà a parlare fra poco, e Lanteri Francesco (Chiccò), nella casa del quale i giovani alla macchia solevano riunirsi.
I fatti, che sopra sono stati riferiti, portano un certo rallentamento, e qualche pausa, nell'azione dei gruppi dei quali faceva parte Erven; e, da un certo momento in poi, l'azione organizzativa e l'attività in generale verranno intensificate dal gruppo di Arma di Taggia, fra i componenti del quale vi erano: Bruno Luppi (o «Erven»), Mario Cichéro (o «Peccivò»), Mario Guerzoni, Mario Siri, Candido Queirolo («Marco»), nonché i fratelli Lantrua Francesco e Giuseppe, che avevano il servizio delle corriere nella Valle Argentina.
Tale gruppo si pose specialmente il compito di mandare aiuti di viveri e di altri generi vari al farmacista di Molini di Triora, affinché li recapiti al gruppo partigiano di Vittò [Giuseppe Vittorio Guglielmo] e di Tento; Simi Domenico, invece, quando gli era possibile venire in Taggia, teneva specialmente i contatti fra il fondo valle e il gruppo presso Beusi, nel quale vi era Onorato Anfossi.
Pare opportuno, a questo punto, fare un passo indietro nel tempo. Erven, che fin dall'inizio della sua attività dopo l'8 settembre '43 si era adoperato per creare gruppi in montagna, aveva incontrata una certa difficoltà, che - in sostanza - si riscontrava un poco dovunque; fra i giovani, fuggiti in montagna subito dopo l'armistizio, alcuni erano tornati in città, dopo una breve permanenza alla macchia; altri si limitavano a tenersi nascosti ma non erano disposti a formare gruppi di combattimento; altri ancora erano scettici circa la possibilità di creare un'organizzazione efficiente.
Erven, infine, aveva fatto puntate nei villaggi; e a persone fidate aveva dato l'incarico di informarlo, qualora nella loro zona si fossero formati dei gruppi, con i quali trattare.
Dopo qualche attesa, il farmacista di Molini di Triora aveva comunicato a Erven che finalmente un gruppo deciso si era formato in montagna, presso Triora (poi risultò essere il gruppo di Vittò e di Tento). Tale comunicazione fu fatta direttamente a Erven dal farmacista di Molini, probabilmente nel gennaio del '44, verso la fine del mese (il farmacista di Molini di Triora scendeva in Taggia ogni settimana per prendere farmaceutici e altra roba varia, e si recava anche da Erven).
Erven, per esortare maggiormente il farmacista di Molini di Triora, aveva alquanto esagerato nel descrivere la consistenza e l'efficienza dell'organizzazione militare in generale; in verità, i mezzi erano pochi. Tuttavia il Comitato di Arma di Taggia, appoggiato dai comunisti di Sanremo, si mette all'opera, per reperire aiuti, e mandarli a Tento e a Vittò, pur non avendo ancora avuto diretti contatti con essi. Come già detto, il materiale sarà inviato al farmacista di Molini di Triora, per mezzo delle corriere Lantrùa; il farmacista di Molini farà avere il materiale a Vittò e a Tento.
Gli aiuti suddetti, però, dapprima erano assai limitati; e cominciarono ad essere più consistenti dopo qualche tempo.
Nel marzo '44 sorgono nuove difficoltà. Luigi Nuvoloni è costretto a fuggire, perché ricercato dalla Gestapo. Fugge con una carta di identità falsa, e con un libretto di commerciante ambulante, il tutto fatto da Erven, con materiale e con timbri del Comune di Taggia.
Nuvoloni non salirà ancora in montagna; si recherà in altra zona, pare nella zona di Andora, presso una famiglia amica, e continuerà a lavorare per il Partito. Erven lo ritroverà solo nella seconda quindicina di giugno, durante la battaglia di Carpenosa. Partito Nuvoloni, delle persone, che erano state specialmente in contatto con lui, erano rimaste, fra gli altri: Ferraroni, Farina Umberto, Manetti Oreste, Pippo Anselmi. Nuvoloni cadrà il 24-6-44 nel bosco di Rezzo.
Anche Candido Queirolo (Marco), nei primi giorni del marzo '44 lascia la zona di Imperia, e va per qualche tempo a Firenze, dove aveva un fratello, Mario.
In questo periodo Erven era solito pernottare ancora presso Beusi, mentre di giorno operava in città, col gruppo di Arma di Taggia e con quello di Sanremo.
Frattanto Erven, per incarico del Partito (PCI), si era incontrato con Curto [Nino Siccardi]. L'incontro, con espedienti vari per il reciproco riconoscimento, era avvenuto in Artallo [Frazione di Imperia], dopo un primo appuntamento mancato a causa di un disguido.
Durante l'incontro si era stabilito che Curto avrebbe preso contatto specialmente con i gruppi di montagna dislocati nella zona di Imperia, mentre Erven viene specialmente incaricato di prendere contatto con gli eventuali gruppi dislocati nella Valle Argentina.
Col gruppo di Vittò e Tento, Erven - come si è detto - aveva già presi contatti indiretti, tramite il farmacista di Molini di Triora, prima del ferimento di Vittò, avvenuto nella battaglia di Gavano del 26-3-44.
Dopo il ferimento di Vittò, Curto, che era già stato informato dal Partito e da Erven dell'esistenza di quel gruppo, ritiene che si debba prendere diretto contatto con Vittò e con Tento, e ne dà incarico a Erven.                                                                                                                                                        Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 268-272

[…] uno scritto che dietro mia richiesta è stato gentilmente preparato dal dottor Ilo Martini, ex ufficiale dell’esercito, nominato Comandante della Divisione SAP “G.M. Serrati”. Lo scritto ciclostilato è intitolato Appunti, memorie e ricordi del Comandante Ilo Martini (Rolando) e porta la data dell’ottobre 1969: […] In primavera [del 1944] mi recai verso Arma di Taggia ove, tramite il CLN provinciale e quello locale, era stato fissato un incontro con il comandante ed il commissario di quel gruppo di azione partigiana […] Era importante prendere accordi sul piano operativo, coordinando le azioni con il CLN locale, il CLN provinciale, il Comando di zona delle formazioni partigiane e il nostro Comando Divisione “G.M. Serrati” […] Insistetti sulla necessità dei collegamenti zonali e settoriali, oltreché centrali, e diedi le istruzioni per prendere contatto con le formazioni di Sanremo, Bordighera, Ventimiglia, Riva e San Lorenzo, sino ad Imperia. Diedi incarico di organizzare un incontro con il Comando delle formazioni SAP di Sanremo e con quello di Bordighera e di Ventimiglia-confine. Fu anche ipotizzato un incontro con le forze operanti sulla costa francese di Mentone e Villafranca sino a Nizza […]” 
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

giovedì 22 ottobre 2020

Il giornalino partigiano stampato nella tipografia del parroco di Realdo

Fonte: Rete Parri

L'organizzazione partigiana era ormai efficiente; i collegamenti fra i vari gruppi erano armoniosi ed efficaci. I vari attacchi ai gruppi dei nazifascisti avevano reso la zona dell'Alta Valle Argentina sufficientemente sicura. Era anche possibile, con discreta facilità, raggiungere la zona delle formazioni di Imperia. Il numero dei partigiani era aumentato e l'armamento quasi completo. Mancava un giornalino di propaganda.
Dice Vitò [Giuseppe Vittorio Guglielmo]: «Dal Comando di Divisione era venuto l'invito di trovare un mezzo per organizzare un giornalino. Non c'era possibile andare in città per cercare una tipografia accondiscendente. Eravamo troppo distanti e bisognava attraversare alcuni territori tenuti dai nazifascisti. Sapevo che a Realdo [Frazione di Triora (IM), Alta Valle Argentina] vi era un parroco che aveva macchine per stampare. Anche se il macchinario era un po' antiquato, poteva benissimo servire per stampare il nostro giornalino, che prima che nascesse l'avevamo già battezzato "Garibaldino". Ma ero veramente preoccupato sul come presentarmi a quel sacerdote. Se andavo io, un comunista, avrei potuto far fallire l'impresa. Era con noi Don Armando Micheletto (Domino nero) e fu questa una combinazione favorevole e risolutiva. Pregai lui di prendere contatti con Don Peitavino e gli raccomandai di riuscire anche mediante accordi. Fragola-Doria [Armando Izzo] si associò a Domino nero e partirono per la missione. Fu presto vinta la resistenza del parroco con argomentazioni che trovavano una base di serietà sulla richiesta che veniva a lui da un suo confratello sacerdote, che viveva in mezzo ai partigiani. Un altro fattore che contribuì a rassodare la richiesta fu la presentazione a Don Peitavino, di un suo nipote partigiano, del suo stesso paese natio, Isolabona, che avrebbe preso la direzione della redazione del giornalino».
Don Armando e Fragola-Doria comunicarono a Vitò le promesse fatte al parroco che concedeva la tipografia. Un certo aiuto economico a lui che era poverissimo tra i poveri ed il rispetto per la sua casa e per i suoi macchinari.
Accettate le condizioni, Vitò fu generoso come sempre e come con tutti, tanto da suscitare nel parroco entusiasmo per il lavoro di tipografia. Lui stesso rifornì carta, inchiostro, lavoro. Passava alcune notti a lavorare coi giovani chiamati a collaborare; insegnava l'arte della stampa.
Fragola-Doria e Peitavino (Silla) furono i primi compilatori del giornalino, dalla testata che era un programma ed una bandiera: «Il Garibaldino».
Ora Silla è preside nel liceo di Cavour in Piemonte. A lui domandate come faceva a bere il vino della S. Messa dello zio prete e come sapeva sottrarre le formaggette tenute in gran conto.
Vitò era soddisfatto della riuscita e desiderava che il giornalino si propagandasse ovunque. Anche nell'intervista a distanza di tanti anni mi confidava: «Così potemmo dimostrare che tutte le forze vive erano state chiamate all'intervento e che si davano da fare per ottenere quanto il Comando di Divisione voleva. Quel prete, nonostante le marachelle che gli combinavano i nostri partigiani, capitanati da Silla, era felice di averci aiutato e di essere aiutato da noi. Era tremendamente povero ed isolato anche dalla popolazione. Lui faceva da maestro nella stamperia. Il primo numero uscì nella prima quindicina di settembre».
Fragola-Doria era il moderatore delle marachelle dei partigiani della stamperia e quando Don Peitavino aveva qualche lamento da fare, si rivolgeva a lui. Gli si era talmente affezionato che quando seppe che era stato colpito a Pigna e lo credeva morto, aveva celebrato delle messe per lui. Ma non era morto e lo andò a trovare per confermargli la sua riconoscenza: «Mio caro, ti credevo morto, ed ho celebrato messe in suffragio per l'anima tua».
«Grazie, reverendo, le messe fanno bene anche ai vivi».
Vi era una simpatia fra i due per vicendevoli servizi resi e Don Peitavino lo stimava e lo rispettava. Per lui e per le affettuose cure avute dai partigiani della tipografia, era un convinto assertore della bontà della lotta dei partigiani contro tedeschi.
don Ermando Micheletto * La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di Domino nero Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1973, pp. 110, 111
* ... Don Micheletto per tutta la guerra si adoperò per i partigiani, generalmente in contatto con i gruppi di Vitò, che accompagnò spesso nei loro spostamenti. Esplicherà la sua attività specialmente nell'assistenza e per captare messaggi radio. Giovanni  Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia
 
Il foglio "Il Garibaldino" nasce ad opera della sezione “agitazione e propaganda” della IX^ Brigata “Felice Cascione” - poi divenuta nel luglio 1944 la II^ Divisione d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione” - con l’intento di essere la voce dei Garibaldini della provincia di Imperia.
Gli articoli affrontano vari argomenti, tra i quali si segnalano: l’andamento della situazione politica e militare; i commenti delle azioni compiute dai vari distaccamenti; gli atti di eroismo individuali; le informazioni sulla vita interna dei distaccamenti, con particolare risalto al morale e alla disciplina dei partigiani; l’incentivazione dello spirito di emulazione fra i singoli combattenti.
Detti contenuti sono indicati dall’Ispettore di Zona Carlo Farini, “Simon”, in una sua lettera circolare del 14 giugno 1944.
Gli articoli essenzialmente politici sono scritti dal Commissario politico della divisione Libero Briganti, “Giulio”, e da Agostino Bramé, “Orsini”.
I primi due numeri del 14 luglio e del 6 agosto 1944, sono tirati in 400 copie ciascuno e sono stampati presso la tipografia di Villatalla, situata nel comune di Prelà. Responsabili della stamperia sono Giovanni Acquarone, “Barba”, e Riccardo Parodi, “Ramingo”.
 

Fonte: Rete Parri

Il primo numero è distribuito nella provincia di Imperia e parte del basso Piemonte, mentre il secondo circola prevalentemente tra i distaccamenti della brigata.
Il terzo numero esce invece il 20 settembre 1944, come primo di una nuova serie promossa dalla II^ Divisione d’Assalto “Felice Cascione”, con cadenza periodica - almeno nelle intenzioni -, in 8 facciate. 

Fonte: Rete Parri

È stampato presso la tipografia di Realdo, frazione del comune Triora in Valle Argentina. La costituzione di tipografia è stata promossa da: Armando Izzo, “Doria Fragola”, Commissario di divisione; Vittorio Guglielmo, “Vittò”; Comandante del gruppo divisionale; Ferdinando Peitavino, “Silla”, nipote del parroco Don Luigi Peitavino, il quale ha messo a disposizione i macchinari tipografici installati nella canonica del paese.
L’idea è di stampare il periodico con cadenza quindicinale, ma per varie vicissitudini “Il Garibaldino” non sarà più pubblicato se non dopo la Liberazione, con l’uscita di alcuni numeri dedicati soprattutto alla commemorazione dei caduti.
Istituto Nazionale "Ferruccio Parri"
 
Come afferma il garibaldino Gino Glorio (Magnesia) amministratore della brigata, la prima copia de Il Garibaldino fu stampata il 14.7.1944 e distribuita a San Bernardo di Garessio, nell'alta val Tanaro e nella parte orientale della Provincia, dal Comando della I brigata con sede a Lovegno. La stessa cosa si ripeté nella parte occidentale.
Il giornale era formato  da  due pagine stampate in modo primitivo; vi si parlava del rastrellamento di Stellanello (battaglia di Pizzo d'Evigno del 19.6.1944) e si citavano le azioni principali delle varie brigate. Un articolo commentava in modo ottimistico le operazioni alleate, un altro esaminava la nuova situazione creatasi in seguito all'occupazione garibaldina dell'interno (Pieve, Ormea, Garessio): raccomandava il comportamento corretto, cordiale dei partigiani con la popolazione dei grossi centri perché in essi doveva vedere i suoi figli, la propria difesa. Solo in questo modo sarebbero stati degni di liberare le città della costa. Inoltre si deplorava la leggerezza con cui alcuni  partigiani raccontavano le azioni eseguite o progettate. Concludeva ricordando che il silenzio e la sorpresa erano le migliori garanzie per il successo. Il 6 agosto 1944 fu distribuito tra i distaccamenti delle brigate il secondo numero de Il  Garibaldino. Come il precedente, conteneva un commento sulla situazione militare, le principali azioni del mese di luglio, accennava ad un distintivo che sarebbe stato consegnato a  tutti i partigiani: la stella rossa con l'effige di Garibaldi. In agosto Libero Briganti (Giulio) commissario della II^ divisione F. Cascione, non solo faceva produrre materiale vario di propaganda stampato dalla tipografia di Villa Talla, ma anche dal suo commissariato con la macchina da scrivere per cui, durante il mese, vennero lanciati i seguenti dattiloscritti intitolati come segue:
Direttive per l'insurrezione nazionale e per l'organizzazione di organi di potere popolare (7 fogli, del 6.8.1944), Sulla via dell'insurrezione (8 fogli, del 10.8.1944), La disciplina che vuole il soldato del popolo (3 fogli, del 19.8.1944), Difendiamoci dal nemico (2 fogli, del 22.8.1944), Chi siamo, cosa vogliamo (2 fogli, del 24.8.1944), Garibaldini e popolo (2 fogli, del 28.8.1944.
Il presidente del C.L.N. provinciale Gaetano Ughes (Giorgio), in una sua relazione scriveva che il servizio stampa e  propaganda del C.L.N. era stato affidato all'organizzazione comunista, la più preparata ed organizzata, che già funzionava a pieno ritmo da molti anni. Essa fu diretta da numerosi compagni e particolarmente da Ernesto Baldini (Leandro, poi Serra), segretario della Federazione comunista d'Imperia, inviato da Genova e che restò alla Federazione dalla fine di agosto 1944 al marzo 1945.
Le squadre S.A.P. della divisione G.M. Serrati alle dirette dipendenze della Delegazione Militare provvedevano all'affissione notturna e diurna ed alla distribuzione in città e nel circondario del materiale propagandistico. Altro materiale di propaganda veniva inviato dal C.L.N. di San Remo (dirigenti: Rovelli e Mascia),  che ne curava la distribuzione nei diversi piccoli e grandi centri abitati.
A proposito, Mario Mascia ci ricorda che il C.L.N. di San Remo spese circa 150.000 lire per la stampa e propaganda; organizzò il servizio stampa e propaganda nella parte occidentale della Provincia con l'aiuto del P.C.I. che mise a disposizione tutti i suoi mezzi;  pose mano alla pubblicazione di manifesti di propaganda di varie dimensioni, lanciandone circa 30 tipi per un numero complessivo di circa 25.000 copie.
Il C.L.N. provinciale provvide a far stampare 40 tipi differenti di manifestini (nella tipografia di Villa Talla) per complessive 50.000 copie e ne curò l'affissione e la distribuzione.
Altre 20.000 copie di volantini diversi giunsero da Savona e da Genova. Furono diffuse parecchie migliaia di opuscoli di propaganda; stampigliate sui muri della città varie scritte antifasciste ed antitedesche.
A metà settembre 1944 il Comando della divisione Cascione, dislocato a Piaggia, trasferì il tipografo Enrico Amoretti dalla tipografia di Villa Talla a quella di Realdo in valle Argentina, piccola tipografia parrocchiale installata nella canonica del paese, dove si stampavano foglietti a carattere religioso.
Per convincere il parroco don Peitavino a mettere a disposizione della Resistenza la tipografia, il comandante della V brigata Vittò aveva mandato don Micheletto (Domino Nero), parroco di Cetta [in effetti, prima di entrare in clandestinità, Don Micheletto era a Camporosso], a parlamentare con lui.
Il parroco di Realdo mise a disposizione il macchinario al quale s'impegnò personalmente, coadiuvando nel lavoro di stampa Ferdinando Peitavino (Silla) di San Remo [in effetti di Isolabona, in Val Nervia], Lorenzo Musso (Sumi) e l'Enrico Amoretti, il dottor Millo e un compagno di Pigna. Così il 20 di settembre, come periodico della II^ divisione Cascione, uscivano il primo numero del giornaletto Il Garibaldino  (3° della serie), su otto facciate, ed il primo quantitativo di tesserini di riconoscimento da distribuire ai garibaldini.
Il 26 ed il 27 del mese stesso i responsabili dei settori A, B, C (San Remo, Imperia, Albenga), informavano la Federazione del P.C.I. d'Imperia ed il Comando della Cascione di aver ricevuto i plichi contenenti i giornaletti Il Garibaldino, l'Unità del 19.9.1944 (edizione imperiese) e il volantino Ordine di mobilitazione volontaria con l'invito di rientro a tutti i partigiani che si erano allontanati. Gli addetti dei tre settori provvedevano subito a distribuire il materiale di propaganda.
Durante il grande rastrellamento di Pigna-Upega dell'8-22 ottobre 1944, il tipografo Enrico Amoretti, che aveva seguito il Comando della divisione garibadina, fu catturato ad Upega dai Tedeschi, ma dopo due giorni, liberato, ritornò alla tipografia di Realdo dove trovò le SS tedesche che stavano confrontando i caratteri tipografici con quelli dei giornaletti; però, siccome quelli usati per la stampa clandestina erano tenuti nascosti, non scoprirono il corpo del reato [...]
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura Amministrazione Provinciale di Imperia e con patrocinio Isrecim, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977

lunedì 12 ottobre 2020

Testaverde Alfonso alias Tullio è stato inquadrato nelle forze di questo comando sin dalla fase cospirativa




La signora Angela Maria Calvi Testaverde

La signora Angela Maria Calvi Testaverde

Una cerimonia del 90° Reggimento, cui appartenne l'allora tenente Alfonso Testaverde

[  Vengono qui pubblicati due documenti ed alcune fotografie inviate dal signor Franco Testaverde, figlio di Alfonso Testaverde, ufficiale di carriera, e di Angela Maria Calvi, nata a Sanremo il 16 gennaio 1925, di storica famiglia della Città dei Fiori, all'epoca dei fatti qui di seguito tracciati non ancora sposati, entrambi ferventi patrioti antifascisti, la signora quale staffetta partigiana. Per una migliore comprensione del contesto si aggiungono, inoltre,  alcune debite informazioni   ]

Nei primi di ottobre 1943 Bruno "Erven" Luppi dopo varie peripezie raggiunge la sua abitazione a Taggia … In quel periodo entra a far parte del Comitato di Liberazione di Sanremo, come rappresentante insieme al Farina del PCI, con l’incarico di addetto militare. Organizza pure il CLN di Taggia … Il gruppo prende pure contatto con la banda armata di Brunati, dislocata a Baiardo e con altre formatesi in Valle Argentina.                                                                                               Francesco Biga in Atti del Convegno storico LE FORZE ARMATE NELLA RESISTENZA di venerdì 14 maggio 2004, organizzato a Savona, Sala Consiliare della Provincia, dall’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona (a cura di Mario Lorenzo Paggi e Fiorentina Lertora)

[…] l’eroica Meiffret, nella cui villa di Baiardo si costituirono le prime bande armate della zona e che in seguito doveva subire la tortura e gli orrori del campo di concentramento in Germania; il giovanissimo poeta Brunati spentosi nelle prigioni di Genova [in effetti dalle carceri prelevato per essere fucilato dalle SS il 19 maggio 1944 sul Turchino] […] il pittore Porcheddu; il Maggiore Enrico Rossi […] Chi potrà enumerare gli episodi infiniti, talvolta veramente eroici, di cui questi uomini, ai quali era solo compenso la coscienza del dovere adempiuto, furono i protagonisti nei lunghi mesi del terrore nazifascista? Le riunioni segrete sotto l’incubo della delazione […]                                         Mario Mascia, L’epopea dell’esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975

Viene arrestato il Brunati, che era specialmente in rapporti di amicizia con Calvini G.B. e con la sig.na Meiffret. Vi sono degli arresti anche fra i membri del già citato Comitato interpartitico che teneva le sue riunioni nel palazzo della sig.na Meiffret, e di cui faceva parte Erven [...] ...] Renato Brunati … sig.na Meiffret (che risiedeva in Sanremo, ma lavorava per l’antifascismo particolarmente in collegamento con Renato Brunati) [...]                                                                                                         Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Editrice Liguria, Savona, 1976, ristampa del 2005 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia 

 

Pagina del Notiziario GNR cit. infra - Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

Imperia - Giunge ora notizia che il 5 corrente la G.N.R. dopo lunghe e laboriose indagini ha arrestato il maggiore Enrico ROSSI, il tenente Alfonso TESTAVERDE e il tenente Angelo BELLABARBA *. I tre ufficiali, provenienti dal servizio permanente dell'ex esercito regio, avevano tenuti contatti con la professoressa Emanuela MAIFRETT e con l'amante di lei, Renato BRUNATI, già arrestati dalla G.N.R. il primo marzo c.a. e consegnati alle S.S. di Genova, perché responsabili di attività sovversiva [...] i tre arrestati distribuivano stampati di licenza illimitata ad ex militari non in regola, arruolavano persone per un costituendo battaglione "Principe di Piemonte", sovvenzionavano ex militari, facevano parte del comitato direttivo di liberazione nazionale. I tre ufficiali sono stati consegnati alle S.S. germaniche di Imperia. Le indagini proseguono per scoprire eventualmente altri correi.                                                                                                                                              Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del giorno 11-06-1944, p. 27, Fondazione Luigi Micheletti    
 
[ n.d.r.: * Angelo Bellabarba, nato a Montegiorgio (AP) l'11 ottobre 1913, domiciliato in  Vallecrosia, deportato per motivi di sicurezza, giunse a Flossenbürg il 07/09/1944, fu trasferito a Hersbruck e Dachau, fu liberato dagli americani, morì a Monaco di Baviera il 26 luglio 1945 per malattia contratta durante la detenzione. Il padre di Bellabarba, Carlo, in un documento (analizzato di recente presso l'Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia da Giorgio Caudano) inviato da Roma in data 28 agosto 1947 all'ANPI  provinciale di Imperia per il riconoscimeto dei meriti patriottici del figlio scomparso, fornì ulteriori importanti informazioni:"... Bellabarba Angelo faceva parte del Movimento Clandestino con le mansioni di rilevare i piani delle fortificazioni costiere nella zona di Ventimiglia-S.Remo. Fu arrestato nei primi giorni di aprile 1944 dalle forze di polizia nazifasciste in Vallecrosia e trasportato nelle carceri di Marassi Genova...". Tra le persone indicate come possibili testimoni a favore della sua istanza il signor Carlo Bellabarba indicava Emilio Biancheri di Bordighera, Tommaso Frontero, barbiere di Bordighera, arrestato nel corso della grande retata di maggio 1944 nella zona di confine, tornato miracolosamente incolume dalla detenzione in Germania, Pietro Marcenaro di Vallecrosia, uno dei protagonisti del Gruppo Sbarchi, la vedova di Ettore Renacci, fucilato a Fossoli, dopo essere stato catturato nel corso della richiamata operazione repubblichina ] 


[...] Oggetto: Magg. ftr.spe.TESTAVERDE Alfonso - classe 1915 - In relazione alla nota sopra distinta, si comunica che risulta quanto segue: "Testaverde Alfonso di Ettore e di Virginia Romano, nato a Napoli il 29-5-1885 [data errata: l'anno di nascita era, come scritto poco sopra, il 1915], domiciliato in Sanremo, di professione Capitano Esercito, arrestato il 6-5-944 in S.Remo per ordine del Comando Provinciale. Introdotto in questo carcere il 7-5-944 proveniente da S.Remo e consegnato dall'Arma dei carabinieri per rimanere a disposizione del C.P.G.N.R. [Comando Provinciale della Guardia Nazionale Repubblicana], anzi SS Tedesca, per misure di pubblica sicurezza. Rilasciato il 28-7-944 a seguito di ordine della SS Tedesca. IL DIRETTORE SUPERIORE (Dr. G. Puggioni) [...]                                                                                                                                                      Direzione Carceri di Imperia, 23 marzo 1960

COMITATO DI LIBERAZIONE NAZIONALE   Corpo Volontari della Libertà   Comando Brigate Cittadine "Giustizia e Libertà"  SANREMO  Si certifica che Testaverde Alfonso alias Tullio è stato inquadrato nelle forze di questo comando sin dalla fase cospirativa e cioé dal febbraio del 1944 quale organizzatore. Ha preso anche parte come sapista alla insurrezione iniziatasi il 24 aprile 1945 [...] IL COMANDO BRIGATE CITTADINE G. L. (Lanero Gerolamo) (Garbarino Francesco Maria) [...]

Sulla mia supposta "amicizia" con Italo Calvino sono circolate a Sanremo molte innecessarie dicerie. Alcuni trovavano incredibile che, dato lo scarto di età, un’amicizia fra di noi fosse possibile. L’argomento, di per sé, non è affatto probante, perché ero un ragazzo precoce i cui amici furono quasi sempre maggiori di età, con differenze che andavano dall’uno ai cinque anni, rispettivamente con Mario Mignone, Renato Zaccari, Giuliano Martini, Guido Giorgi (il fratello Giorgio era invece uno dei pochi ad essere piú giovane di me), Carlo Mager (che frequentavo piú del fratello Paolo, pur mio coetaneo), Franco Martini, Franco Giordano, Libereso Guglielmi), con punte sino ai sette anni (Gerolamo Lanero) o addirittura ai sedici anni di scarto che mi separavano da Luciano Sceriffo [...] Quando, il Primo Maggio 1986, chiacchierai per parecchie ore con la vedova Calvino nel suo appartamento romano, Le spiegai che non ero mai stato un "amico intimo" di suo marito, anzi, dissi un po' in tono di celia, piuttosto un "nemico intimo". Prima che le potessi raccontare come l'inimicizia (del tutto circostanziale e provvisoria) derivava da un opposta concezione della Rivoluzione di Ottobre, m'interruppe dicendomi che Italo le aveva rivelato l'esistenza di un "nemico", che sarebbe stato anche l'uomo piú colto di Sanremo. La rassicurai, non si trattava di me, bensí di Gerolamo Lanero e le spiegai chi fosse stato. Nei miei articoli precedenti o nel mio libro su Calvino mi limitai ad accennare ad episodi che fossero avallati da testimonianze di persone ancor vive e che potessero accomunarci nei loro ricordi: Libereso Guglielmi, Angelo Nurra, Tito Barbé, Gildo Carrugati (il quale, come me, frequentava Lanero e la ristretta cerchia degli appassionati del jazz che si riuniva periodicamente nella sua casa di San Martino, e che conosceva tutti i retroscena del suo dissidio con Calvino, risalente agli anni liceali) e qualche altro. Pietro Ferrua, Incontri e scontri con Italo Calvino, 25 aprile 2012 in Ra.forum

Luigi Asquasciati riassunse la direzione della Biblioteca nel 1949 o poco dopo, succedendo a Gerolamo Lanero. Associazione Italiana Biblioteche

[n.d.r.: la storiografia non si è mai dilungata sulle formazioni  Giustizia e Libertà nell'imperiese]          

domenica 11 ottobre 2020

Radio Londra e le reclute partigiane

Torrazza, Frazione di Imperia - Foto:
 
Cresceva l'odio verso i nazisti, a causa dei quali la situazione diventava sempre più insostenibile; si sentiva parlare di attentati contro i tedeschi, ma pochi di noi conoscevano come avvenivano.
Il 14 dicembre 1943 per la prima volta da Torrazza
[Frazione di Imperia] sento le raffiche dei mitragliatori nello scontro di Montegrazie fra partigiani e militari fascisti.
Entusiasta di quella battaglia non valutavo il pericolo che si stava creando con la guerra partigiana, e dentro di me sentivo un gran desiderio di essere uno di loro, ma non ancora chiamato alle armi continuavo il mio lavoro, esposto ai bombardamenti.
La guerra si aggravava sempre di più, mentre ogni giorno le bande partigiane crescevano di numero .
Migliaia di persone venivano deportate nei campi di concentramento e i fascisti appoggiavano i nazisti in tutte le loro azioni più criminose.
L'otto giugno 1944 appare sui muri il bando fascista che recluta la mia classe. Quel manifesto cui ero già preparato, non mi aveva sorpreso e quasi ne provai  piacere.
Molti amici mi avevano già preceduto sui monti, non mi rimaneva che seguirli.
Lasciato il lavoro, il 9 di giugno mi nascondo nella mia casa isolata di campagna.
Disapprovato dai miei genitori, mi preparavo per l'imminente partenza.
Il giorno 11 successivo ci raduniamo nell'unica osteria del paese di Torrazza; con me sono Giuseppe Baria e Raffaele, la sala è vuota, vociferando stabiliamo il giorno della partenza in modo da avvertire tutti i compagni che vogliono seguirci e, mentre continua il nostro colloquio, accendiamo la radio per sentire le ultime notizie che possono riguardarci.
Con il volume appena udibile, ci sintonizziamo su radio Londra.
L'indimenticabile "tamtam", seguito dal bollettino di guerra, annunciava le notizie del fronte, proseguendo poi con le notizie della guerra partigiana e con una serie di bollettini in codice a noi incomprensibili.

Torre antibarbaresca di Torrazza - Foto:

11/6/44
Sono alla vigilia di quella indimenticabile partenza; seduto attorno al tavolo vicino a mio padre e a mia madre, ho appena finito di cenare. In casa mia c'è silenzio, sono preoccupato, nel mio entusiasmo nascondo un po' di paura; nello sguardo dei miei genitori c'è tanta malinconia. La mamma mi volta le spalle per nascondere le lacrime; sebbene mio padre capisca che quella é l'unica via che mi rimane, nel suo sguardo leggo disapprovazione. Per alcuni minuti mi trattengo con loro, provo una voglia matta di rimanere, ma non trovo più parole per tergiversare ancora. Mi alzo di scatto, inforco lo zaino sulle spalle e senza voltarmi saluto con un nodo alla gola uscendo quasi di fretta, allontanandomi nel buio.
Mentre proseguo su di una scaletta in mezzo al vigneto, guardo ancora una volta la mia casa; attraverso l'uscio le ombre dei miei genitori sono proiettate fuori dalla luce di un lume a petrolio. Come assalito da un rimorso, mi volto verso la strada per non pensarci, mi avvio sulla mulattiera verso Torrazza, proseguo oltre il paese e raggiungo la vecchia torre, dove avevamo fissato il luogo dell'appuntamento.
Quell'antica costruzione ancora una volta serviva, se pur brevemente, per sfuggire a un nuovo invasore.
Pochi scalini pericolanti mi conducono all'entrata, resto solo nel buio per mezz'ora, dopodiché mi raggiunge Ernesto Corradi detto "Nettu", promotore dell'appuntamento. Trascorriamo quasi tutta la notte al buio nel silenzio della torre, in attesa degli altri compagni. Prima dell'alba il rumore di svariate persone ci fa capire che i nostri amici stanno arrivando; un po' guardinghi ascoltiamo le voci che si approssimano. Con loro ci sono altri compagni del vicino paese di Piani [Frazione di Imperia]. Ci salutiamo nel buio con qualche battuta scherzosa e proseguiamo subito verso i monti.
12/6/44
Siamo in diciotto, senza una meta precisa camminiamo verso un destino che ci riserverà giorni spaventosi. Fra lo scalpitio dei nostri passi, seguo i vari discorsi di quei compagni, penso alle nostre famiglie e al nostro paese che, dopo il nostro gesto, sarebbero diventati motivo di rappresaglia delle milizie fasciste. Preoccupato del nuovo giorno cui andavo incontro, mi tormentavo inutilmente per una realtà che ancora non conoscevo. Raggiunta la chiesetta di Santa Brigida, è quasi l'alba; il cielo si è tinto di rosa e lontano si scorgono nitide le cime dei monti. Proseguiamo inoltrandoci nel bosco che fiancheggia monte Faudo. Ormai si è fatto giorno, finito il bosco siamo nei prati, la visibilità è buona, camminiamo osservando lontano con la speranza di incontrare i partigiani. In prossimità di monte Moro scorgiamo in basso verso Villa Talla [Villatalla, Frazione del comune di Prelà (IM)], fra le piante, qualcosa che luccica sotto i raggi del sole: è un gruppo di uomini armati che sale verso di noi. Seduti sul prato attendiamo l'avvicinarsi di quegli uomini che, senza dubbio, dovevano essere partigiani. Dopo venti minuti il gruppo è vicino sotto di noi. Riconosco subito due compagni che mi avevano preceduto su quelle montagne. Sono Luciano Sciorato e Nardetto. Ci dicono di far parte della banda "Ivan" (Giacomo Sibilla) e che sono di ritorno da una missione. Ci aggreghiamo a quel gruppo e con loro raggiungiamo il comando della banda a Costa di Carpasio [località di Montalto Carpasio (IM)]. La presenza di tanti partigiani che mai avevo visto prima, mi faceva quasi paura. Uomini equipaggiati con poche armi, tutte di tipo diverso, sdraiati qua e là sotto le piante, vestiti con abiti civili, molti con la barba lunga, alcuni feriti. Solo al cinema avevo vi­ sto quello che in quel momento vedevo e ciò mi impressionava molto. Seduto sotto i castagni in mezzo a quegli uomini, provati da una vita impossibile, mi sentivo a disagio. La presenza di tanti partigiani che mai avevo visto prima, mi faceva quasi paura. Uomini equipaggiati con poche armi, tutte di tipo diverso, sdraiati qua e là sotto le piante, vestiti con abiti civili, molti con la barba lunga, alcuni feriti. Solo al cinema avevo visto quello che in quel momento vedevo e ciò mi impressionava molto. Seduto sotto i castagni in mezzo a quegli uomini, provati da una vita impossibile, mi sentivo a disagio. In quella banda c'era pure una giovane donna detta "Candacca" (Pierina Boeri), che il giorno prima si era battuta contro i nazifascisti nella battaglia di Badalucco. Cominciavo a capire quale era la vita e il pericolo cui andavo incontro. Sentivo parlare di guerra, di attentati e torture; discorsi che mi facevano paura, ma per nessun motivo sarei tornato indietro, e col passare delle ore mi sentivo già dei loro. Ero giunto cosi al termine di una giornata in cui mi ero fatto un'idea di quello che stavo per affrontare. Prima del tramonto la banda si trasferisce; una parte delle attrezzature è caricata sui muli e col sopraggiungere della notte partiamo verso una destinazione sconosciuta. Accodati a quella colonna in marcia, imbocchiamo al buio la strada di Carpasio; appena nel paese ci viene distribuito pane e formaggio e verso mezzanotte giungiamo a Prati Piani. La sosta per quella notte sembrava definitiva; eravamo molto stanchi, alcuni, coricati sul margine della strada, dormivano già [...] 
Giorgio Lavagna (Tigre), Dall'Arroscia alla Provenza, Fazzoletti Garibaldini nella Resistenza, Isrecim - ed. Cav. A. Dominici - Oneglia - Imperia, 1982