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domenica 27 marzo 2022

Entrammo dunque in Ormea il 27 di aprile, pomeriggio, del 1945

Ormea (CN) - Fonte: Mapio.net

Dopo il primo lancio degli aerei alleati a Pian Rosso sopra Viozene ottenemmo due bazooka e diversi Bren e un buon numero di Sten, un discreto quantitativo di plastico con relativi detonatori, miccia di diversi tipi e l'occorrente per perfezionare le «Cipolle». Le cosiddette «cipolle» erano composte da un aggeggio che svitando un tappo gli si inseriva il detonatore: avvitando il tappo serviva anche da sicura, dall'altro lato dell'aggeggio era un pezzo di stoffa confezionato a forma di cipolla che, all'ultima estremità, era ristretto da un elastico; si riempiva questo involucro di plastico (poteva contenere anche mezzo chilo di esplosivo) e, quando si lanciava, la sua esplosione era veramente terrificante. Ottenemmo anche munizioni in abbondanza, dopodichè lasciammo Viozene. Una parte del materiale la lasciammo a un contadino di Alto che, assieme ad altri della Val Pennavaire e della Val d'Arroscia, si trovava a Viozene per caricare sui muli quanto non era possibile trasportare individualmente. Con tutto ciò eravamo notevolmente carichi e, per questo, si procedeva lentamente.
Alla sera anzichè trovarci sopra Eca Nasagò [Frazione di Ormea (CN)], eravamo ancora sopra Ormea; allora Arturo, un giovane ormeasco disse: "Se passiamo da Eca Nasagò dovremmo attraversare la statale di giorno e, con il carico che abbiamo, è da imprudenti e per questo sarà necessario aspettare la notte. Se invece scendiamo verso Ormea, transitiamo nei pressi del castello diroccato e attraversiamo il Tanaro nei pressi del paese e arriviamo al distaccamento di «Plastico» inosservati". Quest'ultimo era il Comandante del distaccamento di Ormea, che si trovava a poca distanza dalla cittadina.
Arturo conosceva bene la zona; certamente non ci avrebbe proposto quella strada se non fosse stato convinto di poter attraversare il Tanaro con facilità. Dopo esserci consultati, decidemmo di approvare la sua proposta. Era notte quando arrivammo nei pressi del castello. Guidava la piccola colonna Arturo, io subito dietro. Tutto sembrava procedere nel migliore dei modi, quando udimmo uno scoppio simile ad un colpo di pistola, subito seguito da una luce intensa come quella di un bengala. Qualcosa bruciava a poca distanza da noi. Ci acquattammo sul terreno in attesa delle prime raffiche; ma non successe nulla. Però i ragazzi che erano alla fine della colonna iniziarono a ripiegare abbastanza rumorosamente. Lasciai il mio carico ad Arturo dicendogli: "Devo raggiungerli e fermarli, non conoscono la zona!" e così feci.
Ritornammo sui nostri passi e pernottammo in un fienile di una frazione di Ormea. La sera seguente proseguimmo attraverso la statale per Eca Nasagò, senza altri incidenti. Lello Nante, con il suo solito umorismo, iniziò allora a sfottere Arturo dicendo che il motivo per il quale egli voleva guadare il Tanaro era che aveva i piedi sporchi, dato che non se li lavava mai....... Per tutta la durata della guerra Arturo restò «l'uomo dai piedi sporchi» che, per lavarseli, aveva bisogno di compagnia.
Il traffico nemico sulla statale era sempre molto intenso. Di giorno disturbavamo il transito con le mitragliatrici pesanti; di notte, con i bazooka, colpivamo la prima macchina della colonna, se di colonna si trattava. Al contrario, se era un veicolo isolato, non davamo neanche il tempo ai sopravvissuti, se ce n'erano, di reagire, perché colpivamo con numerose raffiche di sten. Poi prendevamo le armi e quant'altro c'era di utile a bordo degli automezzi e ci ritiravamo. Col bazooka il migliore era Lazzaro il redivivo: lasciava avvicinare l'automezzo a brevissima distanza e lo centrava con il suo tiro preciso. L'attività della nostra Brigata, dopo la prima decade di aprile, divenne intensa; durante il giorno era un susseguirsi continuo di vetture e autocarri che viaggiavano sempre in discreto numero, ma anche di colonne di carri trainati dai muli, cavalli e asini che il nemico aveva razziato nella zona.
Intorno al quindici di aprile, due squadre di un Distaccamento avevano attaccato una colonna di vetture tedesche, scortate da alcune autoblindo, armate da mitragliere antiaereo e da mascin-gavert. Su una vettura, occupata da ufficiali superiori nazisti, vennero trovate due grosse valigie di orologi di svariate marche e molte pezze di stoffa per vestiti da uomo e da donna, tutte in pura lana, a quanto dicevano gli intenditori.
Questo materiale fu caricato in seguito su due muli e, personalmente coadiuvato dai garibaldini Athos e Scalabrino, lo consegnai al Comando di Divisione «Silvio Bonfante». Allora non ci passò neanche per la mente di dividere questo bottino fra i componenti della Brigata che pure ce n'era bisogno: tutto quanto preso al nemico era ritenuto dovesse appartenere alla collettività, era di tutti e pertanto era sacro, più ancora delle vacche in India, come dicevamo allora.
Al mio ritorno dal Comando di Divisione, dove avevo consegnato il bottino di guerra, anzichè rientrare al Comando Brigata, allungai il mio giro nel territorio per vedere e sentire le novità nei vari Distaccamenti: tutte le notizie confermavano quelle del Comando di Divisione che prevedevano il ritiro dei nazifascisti entro il mese stesso. Il traffico sulla statale era ormai a senso unico: tutto in direzione del Colle di Nava e oltre, mentre i tedeschi di Pieve di Teco requisivano tutti i carri e tutte le bestie che riuscivano ancora a scovare.
Riferii ai vari Distaccamenti quello che avevo saputo al Comando di Divisione (il Comando Divisione era puntualmente informato degli eventi bellici in Europa dalla Missione alleata che era presso il Comando della Prima zona Liguria), raccomandai a tutti, in special modo ai comandanti la massima prudenza: era inutile rischiare più del necessario: avevamo dei fucili mitragliatori meravigliosi con abbondanti munizioni. Dovevamo usarli, ma a distanza di sicurezza, cambiando continuamente di posizione affinché il nemico non potesse localizzarli e fare uso dei mortai. Nel caso fossero stati sottoposti al tiro dei mortai, dovevano allontanarsi immediatamente. L'azione doveva essere continua, ma con una squadra in azione e le altre tre di riserva. Non dovevamo più adoperare i mitra, gli sten, se non per difenderci, oppure per occupare i paesi; dovevamo colpire i tedeschi e i loro alleati fascisti, ma niente eroismi; troppi compagni avevamo già perso, le nostre madri ormai ci aspettavano a casa da un momento all'altro. Era nostro dovere colpire il nemico in ritirata, ma era anche nostro dovere tornare alle nostre case.
Rientrai al Comando di Brigata dopo aver visitato tutti i Distaccamenti della stessa e dopo aver ripetuto a tutti le stesse cose. Quando giunsi al Comando Brigata, Osvaldo e Lello mi informarono di aver dato le stesse disposizioni che avevo dato io a voce, per lettera ai vari Distaccamenti; questo sempre a mezzo di staffette.
Chissà se un giorno qualcuno scriverà qualche cosa sulle nostre staffette; ... Alle volte ho l'impressione che il compito delle stesse sia stato sottovalutato (forse anche dagli stessi partigiani), invece era un compito di grande importanza e pericolosissimo. Andavano sempre da soli e nell'incerto, pressoché disarmati, forniti solo di rivoltelle di dubbia efficienza; dovevano recapitare ordini e istruzioni urgentissime dalle quali alle volte dipendeva la sopravvivenza di intere formazioni, le quali per i più svariati motivi nel frattempo potevano aver anche cambiato sede. Ma loro dovevano trovarle ugualmente, non potevano assolutamente cadere prigionieri del nemico con la posta e siccome in tal caso non serviva più alcuna copertura, i nazifascisti li avrebbero torturati fin tanto che non avessero parlato oppure fossero morti. L'indirizzo era sempre lo stesso: al Comando del Distaccamento oppure di Battaglione, o di Brigata, o di Divisione, sua sede, Vattelapesca. Pertanto era chiaro che questa sede bisognava saperla o cercarsela e comunque non denunciarla.
Se venivano catturati, seguiva pena la tortura e una morte atroce, il che purtroppo spesso capitava, appunto, alle nostre eroiche staffette che non tradirono mai.
Continuammo a colpire il nemico in ritirata sino al 27 aprile nel pomeriggio, quando entrammo in Ormea.
Forse qualcuno criticherà il nostro colpire il nemico in ritirata, sparare su gruppi di uomini in fuga, su carri, su camion, sui più svariati mezzi di trasporto; non è certamente da soldati agire così, si dice. Ma noi non eravamo più dei soldati, eravamo dei «Ribelli», e loro ci chiamavano addirittura banditi; come tali (e ancora peggio) ci avevano trattato. Ci chiamavano banditi e traditori, ma i veri traditori erano invece proprio loro, i fascisti che avevano tradito il 25 Luglio Mussolini, giurando fedeltà a casa Savoia e poi, all'8 settembre, dietro le baionette tedesche, avevano ripresentato giuramento di fedeltà al loro duce. I tedeschi invece facevano la guerra per il loro Führer e noi rendevamo loro quanto loro ci avevano dato in tutto quel periodo di lotta senza quartiere. Eravamo anche dei ribelli alla guerra, ma facevamo la guerra perchè avevamo capito che questo era il prezzo che si doveva pagare per quanto era successo dal 1922 al 1945 nel nostro paese.
Entrammo dunque in Ormea il 27 di aprile, pomeriggio, del 1945.
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994, pp. 188-192

6 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava l'elenco del materiale ricevuto con il 3° lancio alleato, avvenuto [a Pian Rosso] nella stessa data, materiale in cui figuravano soprattutto 18 Sten con 8000 munizioni, 2 lanciagranate con 28 munizioni, diversi capi d'abbigliamento.
15 aprile 1945 - Dal commissario [Mario, Carlo De Lucis] della VI^ Divisione al comando della VI^ Divisione - Informava che: "... Cimitero [Bruno Schivo] ha attaccato il 4 aprile i tedeschi a Borghetto d'Arroscia: si parla di 4 morti e 6 feriti; Basco [Giacomo Ardissone] non è intenzionato a lasciare il Battaglione 'Turbine'"; Osvaldo [Osvaldo Contestabile, commissario della costituenda IV^ Brigata "Domenico Arnera", già Brigata "Val Tanaro"], che è guarito, probabilmente rientrerà in formazione; Fra Diavolo [Giuseppe Garibaldi, comandante della IV^ Brigata, già a capo nell'autunno 1943 di un piccolo gruppo partigiano in Cipressa (IM)] ha attaccato nei giorni scorsi una macchina tedesca ferendo un tenente colonnello: la formazione colà stanziata funziona bene e continua ad arruolare nuovi volontari...".
16 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" alla formazione garibaldina in Val Tanaro - Comunicava che "Fra Diavolo" [Giuseppe Garibaldi] era nominato comandante - commissario "Lello" [Raffaele Nante], responsabile politico "Barba" - della Brigata "Val Tanaro", dalla quale dovevano ormai dipendere il I° Distaccamento "Mario Longhi" con comandante "Franco" [Franco Bonello] e commissario "Romolo" [Romolo Gandolfo], il II° Distaccamento "Giuseppe Maccanò" con comandante "Arturo", il III° Distaccamento "Ormea", nome dato spontaneamente dai garibaldini che lo componevano, con comandante "King Kong" [Secondo Bottero] e con commissario un partigiano designato da "Lello", il IV° Distaccamento "Garessio" i cui uomini dovevano eleggere il proprio comandante ed il proprio commissario, che i 4 Distaccamenti dovevano "inviare rapportini giornalieri", che la formazione "Val Tanaro" doveva stabilire contatti con il comando della VI^ Divisione tramite la II^ Brigata "Nino Berio".
17 aprile 1945 - Dal comando della II^ Brigata "Nino Berio" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" alla "formazione in Val Tanaro" [non era ancora stata ufficializzata la IV^ Brigata "Domenico Arnera"] - Chiedeva la presenza del comandante "Fra Diavolo" [Giuseppe Garibaldi] ad una riunione ad Alto per discutere un piano con "Basco" [anche "Blasco", Giacomo Ardissone, vice comandante della II^ Brigata].
23 aprile 1945 - Da "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della VI^ Divisione - Scriveva che "Frà Diavolo ha effettivamente 150 uomini... la val Tanaro è completamente nostra politicamente, lo deve essere anche militarmente".
24 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 340, al comando della formazione "Val Tanaro" - Comunicava la nuova denominazione della formazione, IV^ Brigata "Domenico Arnera".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia - Anno Accademico 1998 - 1999

lunedì 27 settembre 2021

Pupazzi tedeschi con elmetti

Una vista verso ponente dal Monte Faudo - Fonte: Mapio.net

27 febbraio 1945 - Da "Cardinale" [Roberto Cortenova] alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che il 26 febbraio erano transitati verso Diano Marina 19 soldati tedeschi in bicicletta, equipaggiati con le sole armi personali, e che alle ore 15 erano passati a piedi in direzione Andora 21 tedeschi; che il giorno 28 sarebbero rientrati a Cervo 30 soldati tedeschi della 7^ compagnia.
 
27 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 149, al comando della III^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Libero Briganti" della I^ Divisione "Gin Bevilacqua" [II^ Zona Operativa Liguria] - Comunicava che in vista degli sviluppi militari era opportuno intensificare i rapporti, soprattutto per organizzare azioni comuni sulla carrozzabile Albenga Garessio. Sostenendo che forse per "poter defluire dalla Liguria" i tedeschi avrebbero imposto un coprifuoco di 72 ore insisteva a proporre azioni di sabotaggio sulla strada già menzionata, imboscate che avrebbero anche potuto essere condotte insieme, dato che il tratto di costa di competenza della I^ Zona andava dal fronte italo-francese a Ceriale (SV).

27 febbraio 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/72, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava quanto riferito da "Cardinale" [Roberto Cortenova] con lettera del 21 febbraio relativa alla situazione nella città di Imperia, confermando l'arrivo di 300 soldati della 34^ Divisione tedesca, forse di passaggio, perché diretti a Pieve di Teco.
 
28 febbraio 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" - Convocazione per una riunione che si sarebbe tenuta a Ginestro il 1° marzo  alle ore 14 per i comandanti "Mancen", "Germano", "Bill", "Russo" [Tarquinio Garattini] ed i commissari politici "Federico", "Brilla", "Billi" [Roberto Amadeo], "Verrina" [Angelo Spilla] e "Athos" [forse Pellegrino Caregnato].
 
1 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Si ufficializzava la composizione dei comandi delle Brigate dipendenti: I^ Brigata "Silvano Belgrano" comandante "Mancen" [Massimo Gismondi], vice comandante "Gordon" [Germano Belgrano], commissario "Federico" [Federico Sibilla], vice commissario "Loris" [Carlino Carli], capo di Stato Maggiore "Cis" [Giorgio Alpron]; II^ Brigata "Nino Berio" comandante "Gino" [Giovanni Fossati], vice comandante "Basco" [Giacomo Ardissone], commissario "Athos" [Pellegrino Caregnato], vice commissario "Franco" [Giovanni Trucco]; capo di Stato Maggiore "Vincenzo"; III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" comandante "Fernandel" Mario Gennari; vice comandante "Leo" Leone Basso; commissario "Gapon" Felice Scotto; vice commissario "Megu" Ugo Rosso.

1 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/73, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Si comunicava che informatori della Sezione avevano riferito notizie relative al'arrivo di nuove truppe tedesche in Pieve di Teco (IM) e circa le richieste tedesche agli olivicoltori.

1 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Si riferiva che i nazisti avevano costruito ai piedi del Monte Faudo trincee e camminamenti che erano sorvegliati da soldati, ma che erano stati anche messi dei pupazzi con elmetti; che il 28 febbraio erano transitati circa 400 tedeschi provenienti da Ventimiglia e diretti a Pontedassio, tutti giovani appartenenti alla Flak, la contraerea; che continuava la ricerca di informatori ad Alassio (SV) e a Chiusavecchia (IM).

1 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" al signor Aicardi - Faceva divieto al signor Aicardi di abbandonare l'abitazione senza aver prima ottenuto, previa istanza con specificati motivi, luoghi e durate delle uscite, il consenso del comando partigiano e di avere rapporti con tedeschi e fascisti; gli si ricordava che necessitava di autorizzazione per ogni ritiro delle propria pensione ad Alassio; lo si avvisava che in caso di inadempienze alle richiamate disposizioni sarebbe stato sottoposto ad una nuova inchiesta.

1 marzo 1945 - Circolare che trasmetteva un documento del CLNAI a tutti i CLN in cui si affermava che continuavano l'avanzata sovietica ed il "martellamento" anglo-americano ai danni dei tedeschi, "che ora comprendono cosa significa avere la guerra nelle proprie città"; che il CLNAI e tutti i partigiani "attendono l'ora della riscossa contro il predone tedesco ed il suo servo fascista che gli ha spalancato le porte: dietro ai patrioti sta tutto il popolo italiano che vuole dimostrare che esso non ha nulla a che fare con la guerra di aggressione imposta dal fascismo".

1 marzo 1945 - Dal comando del Distaccamento "Angiolino Viani" al comando I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Si comunicava che il 6 febbraio erano stati catturati ed uccisi 2 militari della San Marco provenienti da Andora per acquistare olio, ricavando un bottino consistente in 1 cavallo, 1 domatrice, 2 tapum, 1 pistola, 3 coperte e 95 kg. di olio d'oliva, e che il 18 febbraio erano stati uccisi altri 2 soldati repubblichini.

1 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM del C.L.N. di Sanremo, prot. n° 346, alla Sezione SIM della V^ Brigata - Si informava che il 27 febbraio si era verificato un rastrellamento a San Giacomo, Frazione di Sanremo, ed il 28 c'era stato un altro rastrellamento a Verezzo, altra Frazione di Sanremo; che a Bussana, sempre Frazione di Sanremo, vigeva il coprifuoco; che a Sanremo si stava intensificando l'attività spionistica dei tedeschi; che alcuni partigiani, caduti prigionieri, interrogati dal tenente Crotta, non avevano rivelato nulla; che a Bordighera i tedeschi avevano iniziato ad asportare le rotaie della ferrovia tramite una macchina speciale già sul luogo dal dicembre scorso; che era inutile l'attacco contro il "sarto Sofia".

1 marzo 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 352, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava l'invio di 150.000 lire, consegnate dal CLN provinciale, cifra alla quale si sarebbero presto aggiunte 400.000 lire.

1 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della II^ Divisione ai responsabili SIM della IV^ Brigata e della V^ Brigata - Comunicava che ai responsabili SIM di Brigata sarebbero state assegnate, una per formazione, squadre adibite al servizio di polizia e divise in 2 nuclei formati da 5 partigiani, squadre che avrebbero dovuto "procedere agli arresti di tutti gli individui segnalati dal CLN" e controllare gli arresti effettuati dalle SAP.

1 marzo 1945 - Dal comando della II^ Brigata al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Elenco delle armi in dotazione ai reparti della II^ Brigata: 16 armi pesanti o mitragliatori, 12 armi automatiche, 74 tra fucili e moschetti.

1 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della II^ Divisione al comando della II^ Divisione - Comunicava che il garibaldino "Deri", austriaco, aveva esclamato, prima di essere fucilato, "dite al Curto che moriamo come siamo vissuti!" e che un comandante di Brigata SAP, un certo "Mercurio", dopo essere stato arrestato, girava mascherato per segnalare ai fascisti i suoi ex compagni.

1 marzo 1945 - Da "Ernesto" alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che da notizie carpite alle Brigate Nere pareva imminente un rastrellamento nella zona tra Albenga e Andora e che un imminente coprifuoco di 72 ore sembrava servisse ai tedeschi per evacuare la zona.

1 marzo 1945 - Da "K. 20" alla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che il 27 febbraio erano rientrati a San Bartolomeo al Mare dalle esercitazioni tenute a Pontedassio (IM) 32 militari tedeschi muniti di armi individuali, mitraglie e mortai; che i militari di stanza a Cervo e a San Bartolomeo al Mare erano quasi tutti prussiani e di un'età compresa tra i 20 ed i 25 anni; che il morale dei tedeschi era in ribasso, anche se "una buona parte è ancora convinta di un esito a loro favorevole per la fine della guerra".

1 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava, con dicitura "Urgentissima", che pareva assodato che elementi fascisti vestiti in borghese, forse O.P., avevano eseguito un controllo nella zona Triora-Molini di Triora, individuando le postazioni della Divisione "Felice Cascione", per cui riteneva prossimo un grande rastrellamento nemico in quelle località.
 
2 marzo 1945 - Dal commissario [Mario, Carlo De Lucis] della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Nel corpo di questa relazione politica sull'attività svolta nel mese di febbraio 1945, "un mese denso di lavoro e soddisfazioni", si possono notare la lunga malattia di "Osvaldo" (Osvaldo Contestabile); la riorganizzazione, dopo i rastrellamenti di fine gennaio, ai primi di febbraio dei Distaccamenti, con il Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" il più provato; un rapporto positivo con il clero, nonostante il fatto che il parroco di Onzo si fosse per timore dei nazifascisti rifiutato di dare gli ultimi conforti religiosi ad un partigiano morente; l'invio di "Fra Diavolo" in Alta Val Tanaro per riorganizzare i gruppi garibaldini; una sorta di contenzioso con il CLN di... [timoroso di rappresaglie nemiche sui civili?].

3 marzo 1945 - Da "K. 20" della Sezione SIM "Fondo Valle" della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava la relazione di "S. 22" ricevuta il 1° marzo, in cui tra l'altro si può leggere che "in località Priola a Cervo sono giunti 2 soldati tedeschi radiotelegrafisti appartenenti all'80° Battaglione, armati di pistol-machine e di moschetto, i quali si sono sistemati in una casa di un privato da dove fanno esercitazioni".
 
4 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 161, al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava che il comando di Divisione era in attesa di conoscere la data dell'aviolancio alleato nella zona di cui aveva già inviato una cartina topografica.
 
4 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/76, a "Nemo" [Aldo Galvagno] - Comunicava che "Livio" [Ugo Vitali] aveva preso il suo posto come responsabile SIM, che "Citrato" [Angelo Ghiron] era diventato vice responsabile SIM, che la Sezione SIM si era maggiormente ramificata stante l'aumento del numero di informatori a disposizione dalla montagna al mare nella zona di competenenza, che...
 
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
 
25 febbraio 1945 - È giunta da Imperia una colonna tedesca di circa 300 uomini, con relative salmerie. Da mezzogiorno alle quattro pomeridiane si verifica un ininterrotto transito di formazioni aeree. Il terribile maresciallo Grot, che se ne era andato, è ritornato a Pieve da quattro giorni e stamattina, con una cinquantina di uomini, è partito per una operazione di rastrellamento verso Mendatica.
26 febbraio 1945 - I tedeschi distendono per Pieve e giù per il borgo inferiore, fino a S. Lazzaro, nuovi fili telefonici; a quanto si dice sembra che il Comando ledesco abbia scelto Pieve come centro di depositi di vario genere, cioè di tutto il materiale che ivi portano dal litorale, per sottrarlo all'azione dei bombardamenti. Da stamattina soldati tedeschi si aggirano per tutti i vicoli in cerca di stalle o fondi di ogni sorta, per cavalli e carriaggi.
27 febbraio 1945 - Da mezzogiorno alle quattro pomeridiane si verifica un intenso passaggio di formazioni aeree. Dalle 9,30 alle 10,30 si sono sentiti in lontananza come dei boati. Venivano dalle parti del litorale.
28 febbraio 1945 - Si nota un maggior movimento di truppa tedesca dal mare al Piemonte e anche stanotte un frequente passaggio di carriaggi. Questa sera, provenienti dalla valle Argentina, sono giunte truppe tedesche in azione di rastrellamento. Avevano seco quattro borghesi giovani, due dei quali erano ammanettati; i due, che erano liberi, si dice siano di nazionalità olandese. Questa notte sono pure giunti 300 soldati tedeschi giovanissimi, cioè dai 15 ai 18 anni.
1° marzo 1945 - Nel dopopranzo sono arrivati altri 200 di questi giovanotti tedeschi e si parla di altri arrivi. Vengono da Sanremo; si dice siano tutti paracadutisti volontari.
2 marzo 1945 - I due partigiani, portati ammanettati l'altro ieri, alle ore 8 e trenta di stamattina sono stati fucilati nel solito prato. Il movimento di truppa tedesca è sempre più accentuato - il movimento è veramente insolito - Per la prima volta i giustiziati di ieri sono stati accompagnati al Cimitero dal sacerdote.
3 marzo 1945 - Sono le 7,30 e passa un gran camion carico di truppa fascista diretta al mare. La truppa tedesca e repubblichina è in continuo movimento, lasciando l'impressione della incertezza, cioè che non sappiano neanche più loro dove dirigersi.
Questa mattina si sono udite raffiche di mitraglia e colpi di fucile: con tutta probabilità si trattava di raffiche estemporanee, fatte ad arte, per tenere a bada i partigiani, affinché non scendano a molestare le truppe di passaggio.
4 marzo 1945 - I due olandesi sono stati trasportati ad Ormea, dove è il comando tedesco presidiato da un generale. La truppa tedesca presente in Pieve si può oggi calcolare sui 200 uomini, cioè: 60 giovani ultimi arrivati e gli altri tutti conducenti. Tranne però i graduati, che sono effettivamente tedeschi, la ciurma è tutta composta da prigionieri russi e croati. In Ormea, il generale con l'intero Comando occupa villa Bianchi - La gendarmeria occupa villa Pittavino. Il Comando, in un primo tempo, occupava la mia casa, ma a seguito del bombardamento che ha distrutto quasi tutti i caseggiati di Via alle Scuole, si è trasferito in villa Bianchi.
5 marzo 1945 - Un reparto di 36 pionieri mi hanno occupato la casa di Muzio. Ho potuto parlare con un sorvegliante tedesco che capiva assai bene la nostra lingua e gli feci presente che detta casa occorreva a noi per ragione di lavori agricoli e di altre necessità. Mi assicurò che avrebbe pro seguito senz'altro per Vessalico, e me ne andai.
6 marzo 1945 - Il movimento della truppa è sempre in aumento; non in grandi masse, ma con molta frequenza.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994
 
Come era stato segnalato, nelle prime ore del 2 marzo 1945, una colonna tedesca di circa seicento uomini, entra nella Valle Pennavaira attraverso il passo di Caprauna. Le pattuglie partigiane avvistano il nemico per cui mettono in stato d'allarme la zona. In breve tempo il personale dell'intendenza nasconde i viveri, ma non si può evitare che due garibaldini, il russo Andrivich e “Alpino”, siano catturati dal nemico in seguito ad un breve ma duro combattimento. Questi sfoga la sua ira contro la popolazione civile, è uccisa una donna che aveva aiutato i partigiani. I Distaccamenti riescono a sottrarsi allo scontro per la scarsissima dotazione di armi automatiche e di munizioni. Lagorio Enrico (Enrico) e Giovanni Olivo (Gianni), altri due partigiani catturati, sono condotti a Pieve di Teco ed ivi fucilati.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Da Gennaio 1945 alla Liberazione, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, p. 192 

Giovanni Olivo

Per la prima volta parlo pubblicamente di mio fratello Giovanni Olivo, eroe della Resistenza. Lo faccio con pudore, perché nessuna parola è efficace per esprimere il senso della sua grande e breve esistenza. Giovanni aveva 21 anni quando il 2 Marzo 1945, fucilato dai tedeschi a Pieve di Teco, donò la propria vita per un grande ideale. A me non fu concessa la gioia della condivisione come sorella: ci ha separato la differenza di età. Infatti avevo dieci anni quando lui, studente in medicina all’Università di Bologna, si rifugiò a Rezzo, dove aderì alla lotta partigiana, donando la propria giovinezza. Il suo nome è inciso sui Cippi che ricordano tutti i caduti: Arezzo, Pieve di Teco, Imperia e Bordighera.
La sua assenza-presenza è incisa nel mio cuore. La sua testimonianza è stata per me un faro di luce nei momenti in cui la vita mi ha dato modo di svolgere ruoli delicati, prima come insegnante ed educatrice, in seguito nel ruolo delicatissimo di pubblico amministratore, quale Sindaco della nostra amata Bordighera.
Ho accettato e affrontato situazioni impegnative, spesso laceranti, guardando a Lui, a mio fratello Giovanni, che offrì se stesso perché altri avessero la Vita. Ho voluto che da Rezzo, dove era stato tumulato dopo la sua morte, ritornasse a Bordighera, rispettando il desiderio dei nostri genitori.
E tornò in un giorno speciale: il 14 Maggio 1996, festività di S. Ampelio [...]
Renata Olivo in Paize Autu, Periodico dell’Associazione “U Risveiu Burdigotu”, Anno 7, nr. 4, Aprile 2014
 
Giovanni Olivo: Titolo di "Dottore Honoris Causa" in Scienze Agrarie firmato dal rettore Edoardo Volterra. Fonte: Storia e Memoria di Bologna cit. infra

Giovanni Olivo di Matteo ed Eleonora Magaglio; nato il 18 Novembre 1923 a Bordighera (IM). Militò nella V brigata della Divisione 'Felice Cascione' Liguria. Fucilato a Pieve di Teco (IM).
Riconosciuto partigiano dal 27 Luglio 1944 al 2 Marzo 1945.
Fu insignito del titolo di "Dottore Honoris Causa" in Scienze Agrarie dall'Università di Bologna.
E' ricordato nel Sacrario di Piazza Nettuno.
Redazione, Giovanni Olivo, Storia e Memoria di Bologna

lunedì 5 luglio 2021

Il Marinaio Rinaldo Delbecchi morì fucilato dai Tedeschi a Nava all'età di 26 anni

La zona Ponte di Nava, nel comune di Ormea (CN) - Fonte: Mapio.net

Intanto i Tedeschi, che si preparavano a schiacciare in Piemonte la I e la V brigata, accortisi del deflusso degli uomini verso la Liguria, anticipando i piani strategici, attaccano il 12 di novembre [1944] nella valle Ellero.
Le prime forze impegnate sono i partigiani badogliani delle brigate "Mauri", a cui i garibaldini della Cascione si erano collegati.  
Furono queste le iniziali avvisaglie di un gigantesco rastrellamento che, come vedremo, doveva terminare il 20 di dicembre con la conseguente distruzione, pressoché totale, delle formazioni badogliane nel basso Piemonte.
Le formazioni avevano resistito validamente all'urto, ma il giorno successivo i nazifascisti riuscivano ad occupare parte della valle Ellero con lo scopo di ottenere il controllo della strada Mondovì-Cuneo.
I badogliani sgomberano definitivamente la valle il 12 ritirandosi in val Corsaglia (11), mentre tutte le formazioni garibaldine si pongono in stato d'allarme.
Durante la notte e il mattino seguente forze fasciste si spingono fino a Frabosa Sottana, ma un contrattacco le costringe a ripiegare sulle posizioni di partenza. Sul limite del versante ligure pattuglie tedesche, già spintesi da Garessio fino a Ponte di Nava, avevano tentato di intercettare il 10 di novembre le formazioni garibaldine in movimento.
Il distaccamento d'assalto "G. Garbagnati" con alla testa «Mancen», comandante della I brigata, lascia Fontane di Frabosa alle 7,30 del 13, ma a Pornassio il trasferimento viene funestato dallo scoppio accidentale di una bomba a mano greca custodita nello zaino del viceresponsabile S.I.M. "Rinaldo" (12) che ferisce in modo grave e uccide il garibaldino austriaco Franz Mottl (Carlo), nato a Vienna il 20-10-1917, capace armaiolo, venuto in banda da Diano quando "Cion" [Silvio Bonfante] il 10 luglio l944 aveva attaccato le caserme locali.
[NOTE]
(11) Da relazione del S.I.M. di brigata al Comando II divisione F. Cascione (prot. N 174, 12/11/1944): Informatori comunicano che formazioni nazifasciste hanno attaccato le posizioni dei patriotti di Martello (Valle Ellero). Il combattimento è proseguito per tutta la notte e sembra continui nella mattinata. Operazioni di rastrellamento sono state compiute ieri a Mondovì, dove molti sono i mezzi meccanici colà accentrati. Sembra che i nazifascisti abbiano intenzione di eseguire un rastrellamento in grande stile (nota del red.: questi attacchi furono l'inizio del grande rastrellamento di Fontane descritto da Gino Glorio (Magnesia), nel capitolo che segue).
(12) Ferito il 13 novembre 1944 a Pian Soprano (Ponti di Pornassio), Rinaldo Delbecchi (Rinaldo), viceresponsabile del S.I.M. I brigata, veniva affidato dai compagni di lotta, disperati per i continui rastrellamenti, ai contadini di Pornassio. Riportiamo qui l'episodio della sua morte tratto dal Corriere d'Imperia del 4/8/1945, organo ufficiale del C.L.N. provinciale.
" ...  Da  Oliveto arriva la sposa Maria, veramente sempre pensata e adorata, e trova Rinaldo dagli occhi senza splendore e senza speranza, e sente che non possiede più una grande riserva d'energia. Ella, la sposa di un eroe, è forte e il suo viso chiaro e biondo si china benefico sulle ferite e aiuta Rinaldo a portare per qualche giorno la sua carne dilaniata e dolorante da rifugio a rifugio. È la notte del 17 di novembre e il silenzio desolato è interrotto, tratto tratto, dal malinconico e sinistro grido di uccelli notturni. Rinaldo e  Maria sono soli col buio, con il dolore e con la morte. Improvviso e martellante si ode, incerto prima e poi distinto, un rumore di scarponi. - Rinaldo! - grida spaventata la sposa - Rinaldo, i Tedeschi! - Era vero, e mentre Rinaldo le fa coraggio i nazisti buttano giù la porta e dopo un lento girare nel buio, eccoli, e appena arrivati maltrattano la carne già maltrattata. Quando un bieco e  briaco soldato del nord picchia la sposa, Rinaldo freme, si getta disperatamente dal giaciglio per difenderla..., non regge e sviene. Lo battono e ritorna in sé; il giovane sente vicina la morte e abbraccia la sposa, le affida il dolore della mamma, parla del fratello, dei compagni patriotti e della sua casa lontana... e non curante di sé: - fatti coraggio - dice alla sposa: - ricordami come il tuo migliore compagno. Addio! - E, mentre i loro cuori si chiamano disperatamente, Rinaldo è strappato a viva forza dalle braccia della sposa e gettato su un carro; dopo un po' di strada un soldato tedesco lo fredda con alcuni colpi di rivoltella al capo. Vicino, la sposa e gli abitanti di Pornassio. Nella triste e sanguinosa aurora tremano, piangono e pregano per il giovane eroe...".

Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977, pp. 317-319                                                               

Verso il 10 novembre giunse l'ordine di ritornare in Liguria. Io partii con un gruppo formato da una decina di uomini, tra cui mio cugino "Nino", Rinaldo Delbecchi, Gustavo Berio ("Boris"), due ex sanmarchini, il maresciallo austriaco Carlo ed alcuni altri.
Giunti al passo del Bochin d'Azeo, che attraversammo durante una bellissima giornata, anche se fredda, assistemmo ad uno spettacolo per me mai visto (lo rividi nel 1989 quando per la prima volta viaggiai in aereo). Sul versante della Liguria scorgemmo una massa di nubi bianche che copriva monti e valli, e sopra un sole tinto di rosso pieno che illuminava e arrossava tutta quella distesa bianca. Era uno stupendo panorama e in quel momento pensai quanto sarebbe stato bello il mondo se non fosse continuamente insultato da uomini criminali assetati di potere e di ambizioni.
Due  giorni dopo stavamo per giungere a "Cian Survan" (Pian Soprano), situato in un bel pianoro, a monte del paese di Ponti di Pornassio. Marciavamo come sempre in fila indiana poiché non sapevamo se nel pianoro ci fossero dei nemici. Ad un tratto sentimmo una forte esplosione e immediatamente ci sparpagliammo nei dintorni, preparandoci alla difesa.
Pensavamo che il nemico ci avesse scagliato contro una bomba a mano.
Non seguirono altre esplosioni, però sentimmo dei lamenti come se qualcuno fosse rimasto ferito. Infatti Rinaldo era a terra e perdeva sangue dalla schiena: gli togliemmo lo zaino dalle spalle e constatammo che era seriamente ferito.
Invece Carlo, che durante la marcia camminava dietro Rinaldo, ricevette in pieno viso lo scoppio di una bomba di fabbricazione greca, che lo stesso Rinaldo aveva nello zaino, rimanendo ucciso sul colpo.
Alcuni rimasero feriti lievemente, tra cui un sanmarchino che perse la punta del naso.
Provvedemmo a trasportare Rinaldo nel pianoro e con acqua gli pulimmo le brutte ferite. Non gli potemmo dare niente, nemmeno un antidolorifico. In qualche modo seppellimmo Carlo. Questi era un austriaco che, quando "Mancen" l'll luglio 1944 con il distaccamento "Volantina" aveva attaccato la caserma di Diano Castello (la "Camandone"), a differenza di altri, era passato dalla parte dei partigiani; aveva sublto parecchi rastrellamenti, era rimasto sbandato più di una volta, ma era sempre rientrato nei ranghi; era un abilissimo armaiolo, prezioso quando si dovevano riparare le nostre armi.
Rimanemmo qualche giorno a Pian Soprano.
Nel frattempo era arrivato da Albenga a visitare Rinaldo un medico il quale ci disse che bisognava portare il ferito all'ospedale di Pieve di Teco per estrargli delle schegge dalla schiena e dai reni (urinava sangue).
Chiedemmo aiuto agli uomini delle SAP locali: infatti ne giunsero quattro che, in un telo da tenda, trasportarono il ferito a Ponti di Pornassio e poi, in giornata, a Pieve di Teco.
Ma le spie erano già in funzione.
Infatti il partigiano Zanazzo, che lavorava in un bar, udì alcuni soldati tedeschi che, seduti ad un tavolo, parlottando tra di loro, dicevano che all'alba del giorno successivo si sarebbero recati a Pian Soprano per sorprendere alcuni partigiani che avevano dei feriti.
Lo Zanazzo si premurò di informarci.
ln conseguenza di ciò, nel pomeriggio, io e il commissario Osvaldo Contestabile cercammo nel bosco un luogo ove nasconderci. Trovammo una grotta quasi inaccessibile che, però, stillava acqua dalla volta. Pensammo che l'umidità era meglio dei tedeschi e perciò ritornammo nella baita per cenare e dormire, ma con l'intendimento di tornare a nasconderci nella grotta.
All'alba svegliai i presenti per incamminarci verso il luogo sicuro, ma "Boris", che non so bene come fosse capitato lì, disse che c'era tempo. Probabilmente aveva un appuntamento con Carlo Carli, che operava con i badogliani e che qualche tempo prima, mentre ero di guardia, avevo visto in compagnia di un partigiano, forse accompagnato dove eravamo dalla ragazza Nelly che, sfollata a Ponti di Pornassio, collaborava con la SAP locale.
Dissi a "Boris" e agli altri che, se volevano restare, restassero pure nella baita. Io mi incamminai verso il rifugio e notai, però, che, tosto, tutti mi seguivano. Fatto sta che avevamo appena oltrepassato il pianoro quando sentimmo il vociare dei tedeschi accompagnato da spari. Erano circa una trentina e, non trovando nessuno, incendiarono la baita.
Anche questa volta salvai la pelle.
Semidisarmati come eravamo, non avremmo potuto far fronte al nemico armatissimo. In seguito due pastori, che avevano le greggi nei dintorni, ci raccontarono che i tedeschi erano giunti sul luogo con gli scarponi imbottiti di stracci per non farsi sentire e che, nell'occasione, si erano impadroniti di una dozzina di pecore.
Purtroppo Rinaldo Delbecchi venne catturato, portato a Pieve di Teco sopra un carretto, e dopo poco tempo, benché ferito, fucilato.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998, pp. 67-69
 
Rinaldo Delbecchi - Fonte: Giorgio Caudano

Durante il ritorno in Liguria, dopo le settimane in cui gran parte della Cascione aveva trovato rifugio a Fontane, Rinaldo Delbecchi rimase seriamente ferito dallo scoppio accidentale di una bomba a mano che teneva nel proprio zaino, deflagrazione che costò la vita al disertore austriaco Franz Mottl. Delbecchi venne affidato a dei contadini di Pornassio. Nella notte del 17 novembre i tedeschi fecero irruzione nel casone dei Ponti di Pornassio, dove Delbecchi aveva trovato rifugio e, benché ancora con le ferite aperte, venne trascinato fuori e ucciso con alcuni colpi di pistola alla nuca.
Giorgio Caudano, , Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020

Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021;  La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna,  IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016 ]

Non meno marcata ed efficace è l'attività delle spie nella zona di Pieve di Teco ove operano con rapidità. Di conseguenza, la notte del 16 novembre 1944 i Tedeschi spingono una colonna di 60 uomini fino a Ponti di Pornassio. Cercano il Comando della I brigata, come primo obiettivo, ed un partigiano ferito, come secondo. Perquisiscono alcune case; poi la spia, accertato il nascondiglio di Rinaldo Delbecchi (Rinaldo) fu Carlo, nato a Castelvecchio il 19.8.1916, di cui abbiamo già descritto l'episodio, lo fa catturare e massacrare.
Francesco Biga, Op. cit., p. 347

Imperia. Nei giorni scorsi l’allieva della scuola Pantà Musicà, Salwa Amillou, ha superato brillantemente l’esame pre-accademico del corso di violino al Conservatorio Paganini di Genova. Molto spesso succede che allievi modello del corso superino brillantemente esami impegnativi come questo. Inoltre durante questa difficile prova l’allieva ha suonato un strumento di enorme prestigio: il violino che fu di Rinaldo Delbecchi, il partigiano che perse la vita durante la Resistenza. Il violino appartiene ora alla famiglia Bruzzone che lo ha gentilmente concesso alla bravissima Salwa così come a Marko Kurtinovich, un altro allievo della scuola Pantà Musicà, che ha suonato a San Bernardo di Conio (Comune di Borgomaro), lo scorso 3 settembre in occasione del 73mo Anniversario della “Battaglia di Montegrande“, una manifestazione dedicata ai caduti per la Libertà. La Storia, discreta, ci sussurra i suoi insegnamenti anche attraverso la musica e i suoi strumenti, che sopravviveranno certamente all’inevitabile decadimento della tradizione orale.
Redazione, La giovane Salwa Amillou supera l’ammissione al conservatorio Paganini suonando il violino del partigiano Rinaldo Delbecchi, Riviera24.it, 3 ottobre 2017

[...] Seguiranno quelli della Campagna di Russia: il Fante Wamoes Zaffoni, della Divisione di Fanteria ‘Sforzesca’, caduto ventenne in azione e tre Alpini del Battaglione ‘Pieve di Teco’, morti durante la ritirata (il Tenente Rodolfo Beraldi, ventisettenne, e gli Alpini Paolo Berio, ventunenne e Attilio Schivo, ventisettenne). Ultimo della lista il Marinaio Rinaldo Delbecchi, imbarcato sull'Incrociatore ‘Duca degli Abruzzi’, che dopo l'8 settembre si unì alla Resistenza e morì fucilato dai Tedeschi a Nava all'età di 26 anni [...]
Redazione, Imperia: sabato prossimo, inaugurazione della nuova lapide ai Caduti della frazione di Oliveto, Sanremo news.it, 9 dicembre 2015

martedì 18 maggio 2021

Con dei trucchi e con i travestimenti, avrebbero catturato due partigiani

Chiusavecchia (IM) - Fonte: Wikipedia

Giovanni Nino/Tracalà Berio, nato ad Imperia il 24 aprile 1924; comunista. Già a settembre del 1943 è attivo nella lotta partigiana recuperando armamenti abbandonati dai militari che consegna a Felice Cascione e ai suoi uomini di stanza nell’entroterra dianese. A fine febbraio 1944 si unisce con Massimo Gismondi “Mancen” ed altri a Silvio Bonfante “Cion”. Il 23 settembre 1944 a Pieve di Teco (IM) un consistente numero di elementi della banda di fuoriusciti italo-francesi e di esaltati fascisti del capitano Giovanni Ferraris, travestiti da partigiani, ostentano la loro presenza compiendo soprusi e violenze con lo scopo di attirare i ribelli. La notizia mobilita alcuni partigiani che scendono per una ricognizione; sul posto si trovano in missione Menini e Calderoli. Nino Berio, zoppicando perché ferito in un precedente combattimento, si trasferisce in bicicletta. Arrivato a Pieve di Teco cade nell’imboscata e fatto prigioniero dai fascisti è condotto a piedi nudi a Chiusavecchia dal capitano Ferraris. Legato alla porta di un casone a braccia nude con filo spinato e torturato per un giorno intero con percosse e colpi di pugnale, viene infine portato presso il ponte di Garzi e fucilato. Dalla lettera del commissario divisionale Carlo De Lucis “Mario” ai commissari di distaccamento (21 novembre 1944): “Invitato a tradire i compagni in cambio della libertà, Nino rifiuta. Atrocemente torturato con ferri roventi al viso e col pugnale, risponde cantando l’inno della Guardia Rossa. Queste furono le sole parole che i suoi carnefici poterono strappare”. 
Redazione, Giovanni Berio, A.N.P.I. Leca, 8 maggio 2014
 
Giovanni Daniele Ferraris fu comandante della Gnr Compagnia Ordine Pubblico Imperia. Dopo la dissoluzione della 4a Armata molti nizzardi lasciarono il loro territorio ed aderirono alla RSI. In duecento ad Imperia si arruolarono nel 627° CP GNR, potenziando presso la caserma Ettore Muti a Porto Maurizio la Compagnia O.P. (Giovanni Ferraris) oppure contribuendo a formare con i superstiti del Btg. GNR Nizza in ritirata alla fine del 1943 dalla Provenza il Btg GNR Borg Pisani (Massimo Di Fano). Altri furono incorporati nel 626 CP GNR  di Savona e in cento costituirono la Compagnia Nizza della 27a BN di Parma. Il Btg. Borg Pisani da aprile a novembre 1944 si pose nelle casermette della Guardia alla Frontiera di Taggia e di Arma di Taggia partecipando insieme alla 34a ID e a Reparti della RSI al presidio della costa ligure allo sbocco di Valle Argentina. Tutti aspetti che il Ferraris riportò in certe sue memorie scritte del tutto omissive delle efferatezze da lui commesse.
Adriano Maini
 
... banda Ferraris, il famigerato capitano Ferraris, ma allora ancora tenente. Un nome, quello di Ferraris, temuto: dotato di coraggio e di capacità militari, anima di tanti rastrellamenti, l'ideatore della Controbanda, l'uccisore di Nino Berio (Tracalà) a Chiusavecchia. Egli si era guadagnato la fiducia delle S.S. Tedesche, tanto da essere da loro decorato con la croce di ferro di II^ classe, per la spietatezza delle sue azioni.
Attilio Mela, Aspettando aprile, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1998   

Pieve di Teco (IM) - Fonte: Mapio.net


Piaggia - Foto di Fabrizio Benedetto via Mapio.net

Il mattino del 23 settembre [1944] alcuni abitanti di Pieve di Teco raggiungono Piaggia [Frazione di Briga Alta (CN)] per protestare presso il Comando divisione per il fatto che gruppi di garibaldini, sfoggiando molti fazzoletti rossi con sopra la scritta «Cion» [Silvio Bonfante] e proferendo minacce, erano entrati nelle trattorie e nelle botteghe per mangiare e prelevare merce senza pagare, avevano gozzovigliato per le strade e manifestato l'intenzione di cercare il battaglione «Lupi» di Pelazza per disarmarlo (1).
«Simon» [Carlo Farini] e il Comando divisionale, seriamente preoccupati dalla notizia, ordinano di inviare squadre di polizia: una trentina di uomini armati solo di moschetti al comando del commissario «Mario» [Carlo De Lucis] che possedeva molto ascendente sui garibaldini, per indagare sui fatti e prendere provvedimenti.
Partiti da Piagga e attraversato San Bernardo di Mendatica, scendono verso Pieve di Teco. Con loro è Nino Berio (Tracalà), l'unico armato di mitra che, zoppicante per antica ferita (2), presa in prestito una bicicletta a Cosio, fila rapido verso Pieve da solo per ordinare il pranzo per le squadre in arrivo. Sul luogo erano già in missione Ugo Calderoni (Ugo), comandante del distaccamento mortai «E. Bacigalupo», «Menini» e «Staffetta di legno».
Quasi a Pieve gli uomini delle squadre, scorti sull'asfalto della strada alcuni bossoli di mitra e macchie di sangue, rimangono un attimo perplessi.
Cosa sarà capitato...? Qualche metro avanti, al lato della strada, il cadavere di Ugo Calderoni (Ugo) di Achille, nato a Genova il 25.3.1923, giace supino ancora caldo. Lo sbigottimento è enorme, poi tutto diventa chiaro. I partigiani in Pieve sono fascisti travestiti che tendono imboscate. Con questo timore e per prudenza i garibaldini si nascondono rapidi tra gli alberi delle «fasce» soprastanti la strada.
Frattanto giunge rapida una ragazza informatrice, racconta che a Pieve una cinquantina di fascisti in divisa partigiana avevano arrestato e disarmato alcuni garibaldini, tra cui Nino Berio mentre osservava una vetrina di un negozio, puntandogli il mitra nella schiena.
Reagì esclamando: - Compagni, non fate scherzi! - allorché i fascisti si palesarono. Lei intervenne dichiarandosi del S.I.M. e pertanto avente diritto di conoscere la causa dell'arresto di Nino.
- Vattene! - le risposero - se non vuoi guai -. Capì l'imprudenza commessa, gli uomini non sapevano cosa fosse il S.I.M.; non erano certo partigiani ma fascisti camuffati, per questo era fuggita.
Inoltre la ragazza informa i garibaldini che i fascisti, nascosti per le strade di Pieve in agguato, attendevano i partigiani.
Dopo un rapido scambio di idee «Mario» e i compagni si convincono che non possono più sorprendere il nemico armato con numerosi mitra e sarebbe mancato il tempo necessario per raggiungere la statale 28 prima del colle San Bartolomeo e attenderlo per affrontarlo e liberare i compagni. Per chiedere rinforzi ormai era tardi. Conveniva ritirarsi e preparare qualche piano più concreto.
Il ritorno a Piaggia è doloroso e l'ira è grande. Se «Ugo» fosse stato assassinato in luogo nascosto, l'imboscata avrebbe avuto esito inesorabile e mortale.
Alcuni distaccamenti  partigiani, alla notizia si lanciano su Pieve armati fino ai denti, ma non vi trovano più alcun fascista.
Oltre a «Ugo» e a Nino, cadono nel tranello e vengono catturati i garibaldini Franco Luigino Bellina (Bellina) nato a Udine il 3.9.1924, ucciso a pugnalate, Antonino Alessi (Nino) di Antonino, nato a Messina il 3.3.1925 e Pasquale  Tirella (Pasquale) di Francesco, nato a Ragusa il 7.2.1920, uccisi mediante impiccagione a colle San Bartolomeo; Giacomo Carinci (Scotto) fu Virgilio, nato ad Albenga il 15.6.1920 e Nino Berio vengono condotti a piedi nudi a  Chiusavecchia dove è il capitano F. della  brigata nera (3).
Giacomo Carinci cade trucidato sotto i colpi dei carnefici. Nino Berio (Tracalà) di Giuseppe, nato a Imperia il 24.4.1924, legato alla porta di un casone a braccia nude con filo spinato e torturato per un giorno intero con percosse e colpi di pugnale, viene infine portato presso il ponte di Garzi e fucilato. Il nemico stesso ammira il suo coraggioso comportamento (4) .
Nei pressi di Muzio anche il garibaldino Quinto Molli (Bosches) s'imbatte nei falsi partigiani, i medesimi che erano stati in Pieve di Teco. Accortosi dell'inganno apre il fuoco. Saltato nel torrente Arroscia ferito, riesce a mettersi in salvo aiutato dalle sorelle Giacomina e Pierina Pescio.
(1) I fascisti sapevano del dissenso esistente tra il Comando I^ brigata ed Eraldo Pelazza, comandante del battaglione «Lupi»; altro caso che testimoniava l'esistenza di una spia nel Comando garibaldino.
(2) Il coraggioso Nino Berio, partigiano dal settembre 1943, zoppicava perché era stato ferito a metà luglio circa da un proiettile alla gamba sinistra. Il mitra di cui era dotato durante la sua missione a Pieve di Teco era stato portato in montagna (a Piaggia) qualche giorno prima da Giorgio Alpron (Cis), la cui moglie lo aveva recuperato in una soffitta della casa in Peagna (Albenga)
[nd.r.: invero Frazione  del comune di Ceriale (SV)] di proprietà di una certa signora Roggero.
(3) Il capitano della brigata nera locale F., abile rastrellatore e uomo crudele, in coppia con M. Z. di F. detta la «Francese» o la «Donna Velata» simile a lui, diventerà tristemente famoso nel dicembre 1944 e nei primi mesi del 1945 per le sue azioni antipartigiane.
(4) Invitato a tradire i compagni in cambio della libertà Nino Berio rifiuta. Atrocemente torturato con ferri roventi al viso e col pugnale, risponde cantando l'inno della «Guardia Rossa» (lettera del commissario divisionale «Mario» ai commissari di distaccamento del 21.11.1944). Queste furono le sole parole che  i suoi carnefici poterono strappare dalla sua bocca. Il 28.9.1944 il C.L.N. provinciale inviò alla famiglia Berio la seguente lettera di cordoglio: «
A nome di tutti i partigiani componenti il C.L.N. vi porgiamo le più sentite condoglianze. Il nome del vostro caro figliolo sarà eternato  sul bronzo, accanto agli altri eroi della nuova Italia. L'olocausto della sua vita e il suo martirio serviranno di esempio a tutti noi e stimoleranno il nostro spirito combattivo per essere più degni dei nostri giovani eroi immolatisi  per un avvenire di libertà e di pace. Il vostro Nino non è morto invano, noi lo vendicheremo. La pietà oggi e domani può rappresentare un delitto: saremo spietati per vincere e far scomparire dalla faccia della terra tutti coloro che  oggi sono i nostri carnefici. L'aiuto che noi vi porgiamo non è certo il prezzo del suo sacrificio ma è l'infinitesimale attestato di solidarietà...».
Lettera del 4.10.1944 in risposta al C.L.N., dei famigliari di Nino: «
...La famiglia Berio, sinceramente commossa, ringrazia in codesto Comitato tutti i partiti dell'antifascismo e con essi tutti i compagni, gli amici e le buone persone che li compongono, per le prove di affettuoso cordoglio dimostratole in occasione della perdita del suo adoratissimo figlio Nino...».

Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977, pp. 81,82,83
 
Valfrè Carlo, nato a Ventimiglia il 7 luglio 1921, milite della Compagnia OP di Imperia.
Interrogatorio di Valfrè Carlo del 7.5.1946:
[...] Nego di aver partecipato al rastrellamento avvenuto nel mese di settembre 1944 a Villa San Pietro dove il Ferraris con la Squadra Comando si travestì da partigiano. Non ho partecipato al rastrellamento in borghese a Pieve di Teco, avvenuto il 22 settembre essendo rimasto di guardia al presidio di Chiusavecchia. Al ritorno della compagnia dal rastrellamento, ebbi occasione di vedere in mezzo al Ferraris e militi in borghese due partigiani che furono rinchiusi in una stanza della sede del comando compagnia... scesi ci congiungemmo con la squadra del tenente Di Carlo dove intesi dagli stessi militi che erano stati uccisi due partigiani ed il milite Zappella aveva un orologio al braccio di uno dei due uccisi. Da qui siamo rientrati a Dolcedo con il partigiano della San Marco, il quale venne poi ucciso nei pressi del cimitero dal milite Cartonio Antonio.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019 

Giovanni Nino Berio

Garzi - Fonte: mialiguria.it

Dopo pochi giorni da quando eravamo giunti a Piaggia, da Pieve di Teco giunsero alcuni civili, nostri collaboratori, per informarci che nel paese gironzolava una quarantina di partigiani che si comportavano con arroganza e prepotenza, mangiavano nei ristoranti, bevevano nei bar, prendevano oggetti ed altro nei negozi, senza pagare. La cosa ci apparve anomala e strana, per cui il Comando decise di inviare una decina di uomini per constatare come stavano le cose.
Uno dei responsabili della spedizione era Nino Berio ("Tracalà"), il quale, sapendo che a Pieve "filavo" con una ragazza, venne sotto l'albergo Pastorelli per chiamarmi, invitandomi a prendere il fucile, le munizioni, le altre cose necessarie, e a seguirlo perché si partiva subito.
Non mi feci ripetere l'invito e, in un attimo, fui per la scala che portava all'aperto.
Però in fondo alla scala incontrai il commissario "Mario", il quale, vedendomi armato di tutto punto, mi chiese dove stavo andando. Lo informai di quello che mi aveva detto "Tracalà."
Lui mi disse che la squadra era già pronta e mi invitò a ritornare sui miei passi. Senza permettermi obiezioni mi invitò a riprendere posto ìn fureria dove c'era tanto da fare. "Mario" era un uomo deciso e non accettava di essere contraddetto, ragion per cui a malincuore ritornai in ufficio. lnfatti si dovevano inviare molti ordinì che dovevo scrivere a macchina, per riorganizzare la brigata.
Quelli che scorrazzavano in Pieve di Teco erano fascisti, travestiti da partigiani, del capitano Ferraris.
Alcuni nostri compagni caddero nell'agguato. Ugo Calderoni fu ucciso per la strada, Nino Alessi venne impiccato a Colle San Bartolomeo, Nino Berio, condotto a Chiusavecchia, fu torturato e poi ucciso (fu tenuto una notte legato ad un albero con filo spinato, bruciato con ferri roventi, colpito con una decina di pugnalate non mortali, quindi fucilato quando i torturatori non provavano più divertimento); qualcun altro fece la stessa fine, dei catturati nessuno si  salvò.
Sarebbe stato meglio che si fossero tolti la vita (come fecero altri nei mesi seguenti) anziché cadere prigionieri. Avrebbero sofferto meno e dato meno soddisfazione a quei sadici carnefici.
Due giorni dopo che il triste episodio era accaduto pensai che "Mario", involontariamente, mi aveva salvato la vita. (Che, per varie circostanze, mi salvassi, non era la prima volta, e non sarà l'ultima).
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998
 
I falsi partigiani sono adesso nella zona di Pieve di Teco - è la metà settembre del 1944 - ne uccidono parecchi di quelli veri, Ugo Calderoni, 21 anni, di Genova, e Franco Luigino Bellina, 20 anni, di Udine, a pugnalate, Antonino Alessi, di Messina, e Pasquale Ticella, 24 anni di Ragusa, impiccati, Giacomo Carinci, di Albenga, e Nino Berio, 20 anni, di Imperia, fucilati. Ci vorrà del tempo prima che siano neutralizzati.
Ricciotti Lazzero, Le Brigate Nere, Rizzoli, 1983
 
Capita un giorno che le staffette vengono a dire al comando, di una faccenda dei bottegai di Pieve, per questi buoni.
Al comando decidono che bisogna vederci chiaro, con una squadra apposta in ricognizione.
- È strano però - dicono al comando,- non sembra vero se ci sono quelli di Pelazza e i mortaisti di Menini, gente come si deve -; ma mandano lo stesso a vedere, non si sa mai.
Nino Berio il Tracalà, zoppicante per ferita, scende per primo sullo stradale a prendersi la bicicletta, - ho il mitra - dice, - e intanto vado a vedere.
Gli altri vengono dietro tutti tranquilli in fila indiana, e parlano tra loro delle cose della banda.
Ma eccoti di colpo sulla strada, prima delle case, luccicare al sole bossoli di mitra e sangue di traverso sul pietrisco, fino alla cunetta.
Più in là rigido disteso, eccoti il corpo crivellato di Ugo Calderoni, caposquadra mortaista.
Allora perdio, tutti presto sotto la scarpata giù al coperto e subito colpo in canna, pancia a terra col sole di striscio; ma stai fermo lo stesso dove ti trovi.
Eppure, non si riesce proprio a capire com'è successa senza spari e movimenti o altro bordello intorno, sta faccenda strana; com'è possibile insomma, se tutto è a posto e anche nelle case o per le strade non c'è traffico di niente; com'è possibile che sia successa sta cosa strana, che non si riesce a spiegare.
Invece, cos'è successo veramente, col sole di striscio e tutto alla svelta, lo dice propriamente adesso con l'affanno una donna ancora malmessa, che arriva dal paese tutta agitara e con la paura addosso.
Mentre lo dice, si guarda ingiro, e per spiegare come può tutto dal principio, si inciampa un po' nel parlare - macché, manco la gente se n'era accorta subito, perché nessuno se ne poteva accorgere; sì che c'erano delle facce nuove e c'era della stranezza: ma lo dico adesso; invece quando arrivarono, nessuno se ne accorse; come fai a capirlo lì sul momento, se li vedi vestiti proprio uguali, perfino coi fazzoletti rossi i moschetti a tracolla con lo spago e le braghe corte di teli mimetici? Dicevano i nomi giusti dei posti, litigando coi bottegai, e gridavano forte; era proprio tutto uguale e nessuno se ne è accorto, macché.
Così, quando il Tracalà saltò dalla bicicletta, se lo misero in mezzo senza farsene accorgere, parlando uno sull'altro.
- È proprio bello sto mitra corto; scommetto che spara ancora più preciso, fammi vedere.
Ma ci fu ben poco da vedere, quando gli vennero ancora più addosso, col mitra puntato nella schiena.
- Basta scherzi, ragazzi - diceva il Tracalà; ma diventava serio e sempre più pallido.
Si sentiva il sudore freddo, mentre vedeva all'ingiro soltanto facce nuove con le smorfie dei fascisti e il ghigno della morte. Per il trucco del travestimento, era troppo tardi ormai, quando il Tracalà capì che non lo era uno scherzo dei compagni; non lo era proprio: capì che invece senza sbaglio, era il ghigno della morte con la brigata nera di Ferrari addosso, più niente da fare.
Anche quel caposquadra mortaista, quando lo presero, lo presero a tradimento che non ci pensava nemmeno; si divincolò, che quasi ce la fece alla disperata; e così gli spararono lì sul momento.
Lo bruciarono nella rincorsa su per lo stradale, poi lo scansarono nella cunetta a pedate, rotolandolo nel pietrisco.
Invece a Nino Berio il Tracalà, che era stato uno dei primi partigiani salito in banda con Cascione, e Ferrari lo sapeva, gli fecero del resto prima di ammazzarlo come un cane; gli fecero di tutto lungo la strada.
Carico di un treppiedi, camminando scalzo a colpi nella schiena su per la salita e sempre più forte giù per la discesa, legato col filo spinato, glieli fecero fare tutti i tornanti della 28 che non finiscono mai.
Lo sfigurarono da capo a piedi per quel che gli fecero andando, finché lo ammazzarono soltanto in fondovalle ai Garzi, prima di Chiusavecchia; ma non parlò.
Un altro, portandoselo dietro che si impuntava, lo pugnalarono su per la salita finendolo a poco a poco e non lo trascinarono più, basta così.
Due li impiccarono a dei ganci da macellai, proprio in cima al Colle lasciandoli appesi; li lasciarono appesi per la gola bene in vista della gente, e su ciascuno ci attaccarono il cartello - questo è un bandito - legato sui garretti.
Dopo quella notte dei carnefici, il mattino fu diverso con le urla che si sentivano giù giù dal Colle all'intorno dei paesi, per tutta la valle; coi rintocchi dei campanili, prima che all'alba i preti potessero prendersi i cadaveri per le esequie, la gente chiusa in casa sentì ancora la brigata nera tutta sgonguaiata in guarnigione, che cantavano come all'osteria.
Fu in quella notte che, ciascun uomo sentendosi un brivido lungo nella schiena, i cani continuarono ad abbaiare alla catena, quasi a strapparla, per tutta la valle com'è lunga fino al mare.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 70,71
 
Ugo Calderoni

Ugo Calderoni. Nato a Genova il 25 marzo 1923. Mortaista, amico fraterno di Menini Lionello, è con lui nel settembre 1944 nel tentativo di liberare K13, agente SIM recluso a Castelvecchio di Imperia  nella sede OP GNR di Giovanni Ferraris.
E’ in ricognizione a Pieve di Teco il 23 settembre 1944 quando viene catturato a tradimento; cerca di reagire, ma è circondato da quattro militi della GNR che lo uccidono.
Il suo corpo è preso a calci dal milite della GNR Antonio Cartonio e fatto rotolare in una cunetta tra sterpaglie e pietrisco per un sommario occultamento.
Accusato della sua morte, oltre al già citato Cartonio, è Emanuele Cremonesi.
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto "2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011
 
Pieve di Teco (IM) - Fonte: Mapio.net

22 settembre 1944 - Circolano in Pieve [di Teco] dei Sanmarchini che, da quanto si vocifera, sarebbero qui venuti per presentarsi ai partigiani. Questa è l'unica constatazione della giornata.
23 settembre 1944 - Giorno di sabato, ore 10,30: scendono dal Colle S. Bartolomeo truppe composte da reparti di Sanmarchini. La popolazione è tutta in subbuglio e frastornata; molti si dileguano per le campagne. Queste temute forze di Sanmarchini pare si siano poi ridotte ad una trentina di Repubblichini che, mascherati, sono transitati per le vie di Pieve. Si dice che fra essi via sia pure il figlio primogenito del Dott. Viale e, a quanto pare, con dei trucchi e con i travestimenti, avrebbero catturato due partigiani. Quello che si attraversa è un periodo assai preoccupante perché si va accentuando la caccia all'uomo con mezzi assolutamente proditori e spregiudicati [...]
25 settembre 1944 - [...] Ore quattro e trenta: del centinaio di patrioti giunti stamane in Pieve, una metà sono andati al Colle S. Bartolomeo a prendere il cadavere di un patriota lassù impiccato proprio innanzi all'entrata dell'albergo Belvedere; l'altra metà son partiti per l'alta Valle Arroscia [...]
26 settembre 1944 - Sono le 10 e dal mio studio assisto al passaggio del feretro del patriota impiccato al Colle S. Bartolomeo. Benché ormai si sia usi a questi spettacoli di pietà, non si può trattenere un senso di sdegno per l'efferatezza oggi così diffusa.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994  

mercoledì 28 aprile 2021

Esecuzione di partigiani al Prato San Giovanni

Lionello Menini - Fonte: Giorgio Caudano, Op. cit. infra

27 dicembre 1944 - Alle 7,30 la compagnia dei pionieri tedeschi e parte di quelli acquartierati nel palazzo scolastico [di Pieve di Teco] partono per Chiusavecchia. Portano con sé anche sei partigiani fatti prigionieri nei pressi di Ormea.
28 dicembre 1944 - Anche i nostri due ospiti tedeschi se nesono andati. Fino al 20 corrente le ulive erano pagate L.800 al doppio decalitro, ora sono ribassate alla metà. Tale fatto va attribuito non al deprezzamento della moneta (chè non è più possibile conoscerne il giusto valore) ma al fatto che, per essere eccezionale il movimento della truppa tedesca nelle nostre vallate e per il freddo veramente siberiano, il traffico per le nostre strade si è fatto addirittura impossibile; la borsa nera è diminuita di oltre la metà. Sia i posti di blocco, situati nei punti obbligati di transito, sia le truppe stesse, rendono assai improbabile la viabilità per ogni tipo di approvvigionamento.
29 dicembre 1944 - Questa notte intenso passaggio di automezzi e carriaggi in marcia verso Nava.
30 dicembre 1944 - Rastrellamento in Armo. Hanno portato a Pieve 11 patrioti e 2 civili, cioè Beppe Cacciò e Giovanni Ferrari (Giuanollu di Zerbi) nella cui casa era alloggiato mio figlio. Per il paese di Armo è stata una giornata di grande emozione, avendo i tedeschi radunati sul piazzale della Chiesa tutti gli uomini validi per il controllo dei documenti. Poi li rilasciarono dopo averli, però, portati fino a Pieve; questo fatto ha impressionato molto la popolazione già molto impaurita.
31 dicembre 1944 - Giornata caratterizzata dal terrore da cui è invasa la popolazione per tutti gli arresti di ieri. Si teme che gli undici partigiani, fatti prigionieri, debbano essere fucilati. I due civili sono trattenuti e sorvegliati in Municipio. Si dice debbano essere ancora sottoposti a rigoroso interrogatorio.
1 gennaio 1945 - Corre voce che gli arrestati del 30 scorso, siccome erano tutti disarmati, debbano solo essere trasportati in una Casa di lavoro, perché non rappresentano per i tedeschi un giustificato pericolo. Certo è che, se così fosse, il male sarebbe minore, ma io personalmente dubito molto su tanta generosità, perché troppo rigorosa era la sorveglianza che io stesso vidi attorno a loro, quando giunsero in Pieve.
2 gennaio 1945 - I tedeschi sono ritornati in Armo, dove hanno circondato la casa di Giuvanollu Ferrari e hanno portato al Comando in Pieve il padre e la figlia Pierina. Qui sono sottoposti a stringenti interrogatori, sempre per il sospetto che abbiano occultato nella propria abitazione, o nelle adiacenze, dei patrioti.
3 gennaio 1945 - Nel solito prato, oltre torrente, questa mattina sono stati giustiziati quattro dei patrioti catturati ieri l'altro in Armo. Il prato, detto di San Giovanni, dove vengono giustiziati questi eroi, è di proprietà di Augusto Gandolfo. La popolazione è terrorizzata.
4 gennaio 1945 - Due agenti della polizia annonaria sono stati accompagnati a casa da noi e vi hanno pernottato. Sono le 9 e comincia a nevicare.
5 gennaio 1945 - La neve stamattina misura uno spessore di 20 cm.; gli alberi d'ulivo però non hanno ancora subito danni, essendo neve asciutta e leggera. Verso mezzogiorno si è levato un vento leggero che è stato sufficiente però per liberare le piante dal loro peso.
6 gennaio 1945 - È una giornata caratterizzata da una intensa ricerca di alloggi per ufficiali e sottufficiali di truppa tedesca e repubblichina, proveniente dal Piemonte e diretta al litorale. Questa mattina i quattro superstiti degli arrestati in Armo, sono stati tradotti in Ormea, ov'è il Tribunale militare tedesco.
7 gennaio 1945 - Ieri sera, verso le 10, è giunto da Ormea un battaglione di truppa repubblichina che ha passato la notte qui in Pieve e stamattina alle 9 è ripartito verso la riviera.
8 gennaio 1945 - Nulla di speciale da segnalare, tranne il «lanciatore di grida» che ha chiamato i civili per la guardia ai fili telegrafici e telefonici in Val di Lavina.
9 gennaio 1945 - Giuvanollu Ferrari d'Armo è stato lasciato libero ieri verso le ore 6 dal Comando tedesco. È venuto a salutarmi. È in un vero stato di prostrazione, giustificato dall'arresto e dalla deportazione della figlia Pierina. Il Comando tedesco continua a chiedere alloggi.
10 gennaio 1945 - Nulla da segnalare, tranne un forte passaggio di truppa tedesca nella notte. Non è possibile accertare qualsia stata la loro direzione.
Nino Barli, Vicende di guerra partigiana. Diario 1943-1945, Valli Arroscia e Tanaro, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 1994, pp. 143,144
 
Intanto l'ufficio SIM della Divisione "Silvio Bonfante" viene informato che il rastrellamento nazifascista preannunciato è rinviato di qualche giorno, perché la Divisione fascista "Cacciatori degli Appennini", che avrebbe dovuto effettuarlo, si trova impegnata contro la II^ Divisione d'assalto Garibaldi "F. Cascione". La notizia è trasmessa ai Comandi delle Brigate dipendenti, che hanno il tempo, così, di mettere in esecuzione con rapidità le direttive contenute nelle circolari n. 22 e n. 23. I garibaldini meno atti sono inviati a rafforzare le squadre di riserva, passate alle dipendenze dirette del vicecomandante di Divisione Luigi Massabò (Pantera). Anche le altre disposizioni contenute nelle ricordate circolari sono messe in esecuzione.
In attesa del grande rastrellamento, i Distaccamenti della nuova Divisione cercano di infliggere in qualche modo nuovi colpi al nemico: il 2 di gennaio una squadra del Distaccamento "A. Viani", smina un campo in Valle Andora, l'esplosivo è inviato a Ubaga, al Distaccamento di Giuseppe Garibaldi; il 3 altra squadra del "G. Catter", con il comandante Mario Gennari (Fernandel), al rientro da una missione, si scontra con una pattuglia tedesca sulla strada Albenga-Garessio, il nemico lascia sul terreno un morto e un ferito. Lo stesso nemico, che pare sia in attesa di eventi, compie micidiali puntate provocando vittime tra i civili.
Nel piccolo centro di Armo, in alta Valle Arroscia, era dislocato un nucleo partigiano dell'Intendenza Divisionale, per immagazzinare rifornimenti provenienti dal Piemonte. A fine dicembre vi si trovava ammalato pure Lionello Menini, comandante del Distaccamento Mortaisti "E. Bacigalupo". Su indicazione di una spia, il mattino presto del 31 dicembre 1944, un centinaio di Tedeschi, provenienti da Pieve di Teco, investono la zona di Armo, Trovasta e Moano. Alcuni garibaldini sfuggono al rastrellamento, altri cadono prigionieri, tra cui tre Austriaci disertori, e i civili Giuseppe Cacciò e Giovanni Ferrari.
Il Menini riesce a far fuggire altri due partigiani prima di essere catturato. Portato al comando tedesco di Pieve di Teco è riconosciuto come capo partigiano. Chiuso in carcere confessa di essere partigiano ma, malgrado sia sottoposto a feroci torture, non parla, mantiene il silenzio. Il 3 di gennaio è condannato a morte. Prima di morire riesce ad inviare un biglietto al suo Commissario (Giuseppe Cognein) per informarlo che gli Austriaci avevano parlato e che non era dispiaciuto di morire per una causa giusta.
Francesco  Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 19,20 

Su indicazione di una spia il mattino del 31 dicembre 1944 un centinaio di tedeschi proveniente da Pieve di Teco investono la zona. Alcuni garibaldini sfuggono al rastrellamento, altri (tra cui tre austriaci disertori) cadono prigionieri. Menini riesce a far fuggire due suoi uomini, esponendosi all'arresto. Portati al comando di Pieve di Teco vengono riconosciuto come partigiani. Dopo tre giorni di percosse e un processo farsa in cui confessa di essere partigiano, è emessa per lui e per altri tre partigiani della II^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Sambolino" della Divisione "Gin Bevilacqua" operante nella II^ Zona Liguria G.B. Valdora, Ezio Badano e Lorenzo Cracco la sentenza di morte.
Giorgio Caudano, I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria
[ A cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016 ]
 
Ezio Badano - Fonte: Giorgio Caudano, Op. cit. infra

Lorenzo Cracco - Fonte: Giorgio Caudano, Op. cit. infra

Su indicazione di una spia il mattino del 31 dicembre un centinaio di tedeschi provenienti da Pieve di Teco investono la zona. Alcuni garibaldini sfuggono al rastrellamento, altri (tra cui tre austriaci disertori) cadono prigionieri. Menini riesce a far fuggire due suoi uomini, esponendosi all’arresto. Portato al comando di Pieve di Teco è riconosciuto come capo partigiano. Dopo tre giorni di percosse e un processo farsa in cui confessa di essere partigiano, è emessa per lui e per altri tre partigiani della II^ Brigata d’assalto “Sambolino” Divisione Garibaldi “Gin Bevilacqua” operante nella II^ Zona ligure (due savonesi: G.B. Valdora “Ferroviere” e Ezio Badano “Zio”, e un veneto Lorenzo Cracco) la sentenza di morte. Prima di morire riesce ad inviare un biglietto al suo Commissario, Giuseppe Cognein, per informarlo che gli austriaci avevano parlato e che non era dispiaciuto di morire per una causa giusta. L’esecuzione ha luogo il 3 gennaio 1945 al Prato San Giovanni.
Lionello Menini va incontro alla fucilazione cantando la canzone “La guardia rossa”. A lui viene intitolato un Battaglione della Brigata “Nino Berio” - Divisione d’assalto Garibaldi “Silvio Bonfante”.
Proposta alla memoria di Lionello Menini  la medaglia di bronzo con la seguente motivazione: “Fatto prigioniero dai Tedeschi durante un colpo di mano contro l’Intendenza Divisionale, essendosi attardato sino all’ultimo a dare ordini, si comportava sino alla sua ultima ora con la serenità dei forti, non smentendo la sua condotta da partigiano che lo aveva elevato a stima di tutti. Oltraggiato e seviziato, non mancò mai di incoraggiare i suoi compagni di sventura. Portato al luogo dell’estremo supplizio, attraversava la via di Pieve di Teco con la testa fieramente eretta, cantando le nostre canzoni. Avvicinato nella prigionia da elementi fidati, inviava informazioni utilissime. Lo stesso nemico ne elogiò la condotta. Pieve di Teco (Imperia) 30-12-1945"
Arrivano i Partigiani, I RESISTENTI,  ANPI Savona, 2011
 
Una sera, nei primi giorni del gennaio 1945, mentre mi recavo da un nostro informatore, con il quale avevo appuntamento nei pressi del cimitero di Vessalico, incontrai Bol (il socio di Walter che avevamo fucilato) il quale, non avendo notizie del suo compare, veniva a cercarlo.
Non volevo ucciderlo senza fargli un regolare processo e così gli dissi che non potevo portarlo in azione con me perché era disarmato, ma che l'avrei fatto accompagnare al Distaccamento da Libero. Incaricai un partigiano che era con me di accompagnarlo, mi allontanai, e lui seguì l'uomo incaricato da me di fargli da guida. Forse aveva già intuito dal mio comportamento che sospettavo di lui: il fatto è che chiese al suo accompagnatore notizie di Walter e questi, con la più grande ingenuità, gli disse che lo avevamo processato e condannato a morte.
Bol capì di essere stato scoperto e, approfittando dell'oscurità, si allontanò dal suo accompagnatore, il quale solo allora capì la «fesseria» compiuta; ma ormai era cosa fatta.
Al mio rientro dall'incontro con l'informatore, fui informato di quanto era accaduto e ciò mi convinse che oramai i tempi erano maturi per un rastrellamento. Chiesi al Comando di Divisione l'autorizzazione provvisoria a lasciare la zona, proponendo alcune località dove avrei potuto spostare i miei Distaccamenti. L'autorizzazione non mi venne concessa: il Comando di Divisione non aveva nessuna segnalazione di rastrellamento imminente e riteneva che era meglio non fare circolare grossi gruppi di uomini con la possibilità che venissero segnalati al nemico. Ma il nemico ormai sapeva della nostra presenza: lo provavano l'arrivo di Walter e, dopo la fucilazione, quello di Bol, che io, come un principiante, m'ero fatto scappare.
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, Istituto Storico della Resistenza di Imperia, 1994, p. 156

3 gennaio 1945 - Tribunale Militare tedesco - Copia della sentenza di condanna a morte per i garibaldini Lionello Menini Menini, comandante del Distaccamento "Bacigalupo" della I^ Zona Operativa Liguria ed Ezio Badano Zio, G.B. Valdora Ferroviere e Lorenzo Cracco della II^ Brigata "Sambolino" della Divisione d'Assalto Garibaldi " Gin Bevilacqua" operante nella II^ Zona Operativa Liguria. La sentenza del Comando Tedesco recita così:
TRIBUNALE MILITARE DEL FELDERS BLL 34 contro banditi.
Presidente Tenente e comandante di compagnia Dexheimer (ufficiale con facoltà di giudice)
1° Assessore: S. Tenente Menjen
2° Assessore: Maresciallo capo Gelhana
GLI ACCUSATI
1° Menini Lionello nato il 25.10.1919 a Siena
2° Gracco Lorenzo nato il 5.5.1921 a Valdagno
3° Valdora Giovanni nato il 1.1.1922 a Savona
4° Badano Ezio nato il 3.5.1919 a Savona
Sono condannati a morte.
Loro furono catturati il 30.12.1944 nel paese di Armo, quale resto della banda, la quale si era colà soffermata per parecchi giorni. Una parte dei banditi, dopo una breve sparatoria, riuscì a sfuggire all'attacco della compagnia tedesca su Armo del giorno 30.12.1944. Presso gli accusati non furono trovate armi. Secondo le testimonianze di tre soldati tedeschi, risulta che gli accusati appartenevano ad una banda di partigiani. L'accusato Menini, secondo la dichiarazione dei tre soldati tedeschi, è un capo bandito. Per questo motivo il Tribunale si è convinto che gli accusati hanno partecipato ad attiva lotta contro le Forze Armate Germaniche.
In campo 3 gennaio 1945

da documento IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999