mercoledì 13 gennaio 2021

Sul rastrellamento di San Romolo

Uno scorcio di San Romolo, Frazione di Sanremo (IM), situata a 768 metri s.l.m.

È «Lori» Dario Rovella che racconta:
Il 10 novembre 1944 dopo un colloquio con Mimosa [Emilio Mascia, ufficiale della Brigata SAP "Giacomo Matteotti"] e Ludovisi il CLN di Sanremo, che intendeva creare in collina una nuova brigata GAP comprendente i vecchi e gloriosi distaccamenti dei GAP cittadini, comandati da (Riccardo) Adriano Siffredi, Aldo Baggioli [Cichito], dal ten. Ricò e da Leone (Jaure Sughi), mi nominava comandante della brigata e mi inviava con lettere credenzialia San Romolo [Frazione di Sanremo (IM)]. M'incontrai il 15 con Cichito (Baggioli) in attesa di vedere Riccardo, che era partito per il Gran Mondo. Gli uomini del GAP erano stati decentrati perchè si vedeva un rastrellamento tedesco in forza: soltanto il Comando restava a San Romolo in attesa di spostarsi.
Nella notte ci rifugiamo nel dopolavoro della borgata per riposarci. Eravamo in 5: io, Cichito, Tunin il Verde (Fiorillo), Comandante della banda locale, il Ten. Jugoslavo Miscia e Giordano.
Erano le 6.30 circa del mattino del 15 novembre, quando Tunin ci sveglia improvvisamente. Faceva freddo e la stanza era ancora immersa nel buio. Fuori si udivano voci e rumori come uomini in marcia. E tutto ad un tratto si scatenò l'inferno: da tutte le parti ci giungevano urla e spari.
Aprimmo: lo spiazzo antistante è occupato da tedeschi armati che corrono tirando e grugnendo come maiali inferociti.
Tre dei miei compagni, Cichito, Tugnin e Giordano si precipitano fuori fuggendo verso Monte Bignone.
Il nemico li scorge subito e raffica contro di loro: vediamo Cichito, Giordano e Tugnin cadere: un istante dopo quest'ultimo si rialza e fugge benchè ferito.
La mia posizione e quella di Miscia è disperata: siamo circondati senza via di scampo. Richiudiamo. Miscia si nasconde nel gabinetto. Io nascondo la pistola mia e quella di Cichito tra una coperta, la chiudo in un armadio e butto le carte compromettenti nella stufa che avevamo lasciato ardere tutta la notte.
Nello stesso tempo sette od otto uomini sfondano la porta e vi irrompono con le armi spianate. Alzo le mani in segno di resa. Mi frugano e a colpi di calcio di moschetto nella schiena mi portano fuori.
Sulla piazzetta del paese erano assembrate un cinquantina di persone, abitanti del luogo, fra le quali conobbi Giuseppe Bramé, fratello di “Orsini” [n.d.r.: Agostino Bramè, commissario politico della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni", membro del C.L.N. circondariale di Sanremo (IM)] e l'avvocato Carlo Bensa, guardati a vista dai tedeschi con i mitra imbracciati.
Da qualche casa, sparsa fra gli alberi, cominciavano ad alzarsi fiamme e colonne di fuoco: l'opera di distruzione era cominciata.
Pochi minuti di attesa, poi un tedesco giunge con due pistole: le riconosco, son quelle nascoste da me, evidentemente scoperte. I prigionieri vengono passati in rivista, mi riconoscono, mi fanno uscire dal gruppo e comincia l'interrogatorio mentre altri due tedeschi giungono spingendo innanzi a pedate Piombo che casca esausto al mio fianco.
Di fronte a me, a pochi passi, erano i corpi straziati di Baggioli e Giordano. Baggioli era steso supino, il collo sfigurato dai colpi; Giordano giaceva bocconi con le braccia aperte.
Spiego al capitano che m'interroga che io sono salito a San Romolo per cercare dell'olio per la mia famiglia. Mi ordinano di marciare: pochi passi e sono davanti al plotone di esecuzione - composto da tre uomini, uno armato di machine pistola e due di mitra - ove Piombo mi segue.
Un maresciallo tedesco mi parla: "qui casa tua". Io spiego che abito a Sanremo. Il maresciallo chiama la sorella di Franco Giordano che è tra la folla e le chiede se mi conosce. Ella risponde: "No, non l'ho mai visto".
Le armi sono sempre puntate su di me a cinque passi di distanza ed io mi attendo di secondo in secondo una scarica mortale.
Alla fine il maresciallo mi dice: "tu conoscere partigiani, domani a Sanremo parlare... se non parlare... caput...". Domani a Sanremo: respiro: la morte mi ha appena sfiorato.
Mi portano indietro: sento una scarica: mi volto e scorgo Piombo, fucilato, steso nel suo sangue.
Ci ordinano di salire sul camion con urla, pugni e minacce.
Intanto prima di partire, venne dato fuoco al dopolavoro.
Miscia era dentro: vedemmo ad un tratto la sua nera figura balzare tra le fiamme e correre come il vento verso il bosco.
Gli spararono dietro numerose scariche: seppi poi che la sua giacca, aperta dal vento, venne ridotta come una schiumarola, ma egli si salvò.
Giunsero altri tedeschi carichi di galline e conigli razziati e si partì.
E così ebbe termine il rastrellamento di San Romolo nel corso del quale vennero uccisi cinque partigiani dei GAP.
Del centinaio di prigionieri catturati la maggior parte venne rilasciata, otto furono trucidati nelle prigioni di S. Tecla e buttati in mare ed il resto, tra cui io, inviati a Genova, a Marassi o alla Casa delle Studente, e poi avviati ai campi di concentramento in Germania.
Per parte mia restai in prigione circa cinque mesi, fuggii definitivamente e raggiunsi le formazioni pochi giorni prima della fine, aggregandomi nuovamente ai GAP del CLN di Sanremo con i quali partecipai all'occupazione della città, il 25 aprile.
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. A.L.I.S., 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, pp. 285,286,287,288

È allora che avvampa il tuo generoso furore, indimenticabile Aldo Baggioli, eroe bello e spietato, e ti porta sfidando ogni pericolo a scaricare il tuo revolver nel petto dei traditori. Dietro a te Riccardo socchiude l’occhio mefistofelico: i fascisti hanno paura, sanno che a uno a uno cadranno sotto il tuo piombo giustiziere. Ma purtroppo presto sospireranno di sollievo sapendoti caduto crivellato dalle raffiche sul prato di S. Romolo.
Italo Calvino, articolo pubblicato sul numero 13 de “La voce della democrazia”, Sanremo, martedì 1 maggio 1945


Sanremo (IM): l'ex Forte di Santa Tecla

[...] un nutrito di prigionieri che furono condotti alle carceri di Sanremo. Qui Aldo Pettenati e G. Battista Buschiazzo vennero lo stesso giorno fucilati e gettati in mare. Altri, tra cui l’avvocato Bensa e Dario Rovella condotti alla Casa dello Studente a Genova. Negli stessi giorni seguirono la sorte di Pettenatti e Buschiazzo anche i prigionieri politici che si trovavano in carcere. I lavoratori della funivia (durante un rastrellamento vennero requisiti i telefoni e fermati quattro operai, mentre un altro operaio e l'ing. Groff, il direttore degli impianti, nonché la famiglia di quest'ultimo, si salvarono miracolosamente calandosi nel vano contrappesi, profondo 18 metri), Bombardieri Mario, Luison Carlo, Negro Antonio e il civile Semeria Giobatta vennero fucilati il 16 novembre 1944 e gettati in mare. Il giorno dopo la stessa sorte toccò a Pietro Bonfante, ostaggio politico. Dall’interrogatorio del maresciallo Schifferegger si acquisiscono altri particolari relativi al rastrellamento di San Romolo. L’operazione venne condotta dalla GNR e dagli uomini del capitano di corvetta Forster. A guidarli O. [un certo Ormea], un partigiano che era stato precedentemente arrestato e dopo un solo giorno di detenzione inviato tra i partigiani di San Romolo. Durante l’operazione vennero uccisi sul posto cinque partigiani (così racconta Schifferegger, ma in realtà i caduti furono tre), circa un centinaio furono gli arrestati che vennero condotti all’Albergo Imperiale (sede dell'Orstkommandantur), dove sopraggiunsero anche tre membri dell’SD sanremese, Reiter, Schmidt e Schifferegger stesso, i quali controllarono i documenti di tutti gli arrestati, mentre l’informatore M. indicava quali tra questi fossero i partigiani. M. ne riconobbe sette, che furono messi da parte, mentre altri trenta giovani, ritenuti renitenti, furono messi a disposizione della GNR. Nel frattempo il capitano della GNR Sainas mi pregò, è sempre Schifferegger che rilascia la dichiarazione, di accompagnarlo a Santa Tecla perché desiderava conferire con il comandante Forster circa la sorte del professor Calvino e di suo figlio, arrestati e colà detenuti. Giunto al cospetto di Forster, era presente anche O. al quale il capitano chiedeva se fosse stato possibile ottenere la liberazione di due militari tedeschi che erano stati catturati due giorni prima mentre con la funivia raggiungevano Monte Bignone. Stando al brogliaccio della brigata nera sanremese a catturarli fu Laura Maria (nata a Bajardo il 9/11/1923, partigiana combattente). L’O. rispose positivamente, anzi fece uno schizzo che indicava il luogo in cui i due militari erano trattenuti. In seguito Forster acconsentì a consegnare il prof. Calvino e il figlio a disposizione della GNR.
Nella stessa riunione l’O. consegnò a Forster una lista con i principali sovvenzionatori sanremesi del movimento partigiano.
Contrariamente ai dati sopra esposti che rimandano a giorni diversi le fucilazioni dei sette giustiziati, secondo Schifferegger l’esecuzione avvenne nello stesso momento [...]
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020
 
[   n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea… memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019;  La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016   ]

Prima pagina del dossier Schifferegger cit. infra

4°) Circa l'attività di certo ORMEA, di S.Remo, preciso quanto segue: l'Ormea, in epoca imprecisata, fu arrestato dalla G.N.R. come partigiano. Dopo un giorno di detenzione, egli venne inviato fra i partigiani di S. Romolo con incarichi spionistici per conto della G.N.R. Qualche giorno dopo, egli fece ritorno alla G.N.R. con tutte le informazioni necessarie. Fu allora eseguito un rastrellamento al quale, oltre alla G.N.R. presero parte gli uomini del reggimento FORSTER. Nello scontro che ne risultò, cinque partigiani rimasero uccisi in combattimento e 200 persone furono catturate. Tutte furono poi portate all'albergo IMPERIALE, sede dell'Orstkommandantur. Fu allora avvisato l'ufficio nostro ed io, unitamente a REITER e SCHMIDT, mi recai sul posto per controllare i documenti degli arrestati e vedere se fra di essi vi erano dei partigiani. Fu proceduto al controllo dei documenti, mentre MICELONI, già nominato nel verbale, era presente ed indicava quali erano partigiani. Egli ne riconobbe sette. Non posso precisare dove in quel momento si trovasse ORMEA, in quanto non lo vidi. I sette partigiani furono messi da una parte, mentre altri 30 giovani, riconosciuti come renitenti alla leva, furono consegnati al comando provinciale. In quel frattempo, il capitano della G.N.R. mi pregò di accompagnarlo a S. TECLA, dove desiderava conferire col comandante FORSTER circa la sorte del prof. CALVINO e suo figlio arrestati e colà detenuti. In seguito al colloquio, il prof. CALVINO ed il figlio passarono a disposizione del capitano SAINA [Sainas] (1) della G.N.R. Dopo di ciò, feci da interprete fra il comandante FORSTER ed il sig. ORMEA. Il FORSTER desiderava sapere se il sig. ORMEA era in grado di fargli riavere i due militari tedeschi, catturati alcuni giorni prima mentre sulla funivia si recavano a monte Bignone. L'ORMEA rispose affermativamente, anzi fece vedere al FORSTER uno schizzo di dove si trovavavano i due militari catturati. Aggiunse di essere in grado di far catturare i partigiani che avevano prelevato i due tedeschi. Nella stessa occasione l'ORMEA mostrò al FORSTER un elenco di nomi di sovvenzionatori di partigiani. Dopo di ciò, essendo egli considerato prigioniero, fu ricondotto in cella. L'ORMEA fu poi passato al carcere di ONEGLIA. Qualche tempo dopo mi recai ad ONEGLIA, dove feci da interprete fra l'ORMEA ed il maggiore GOHL (2). Quest'ultimo chiedeva all'Ormea se era disposto a recarsi in Francia per una missione per conto dei tedeschi. Anche questa volta la risposta fu affermativa. Se poi l'ORMEA sia stato o meno inviato io non l'ho mai saputo. Altre attività specifiche di Ormea non ne conosco, come pure non sono in grado di confermare se effettivamente l'ORMEA si trovasse ad una finestra dell'albergo IMPERIALE e segnalasse ai tedeschi quali dei duecento partigiani catturati a S. Romolo erano partigiani. Dall'ultima interpretazione con il maggiore GOHL, non ebbi più l'occasione di vedere l'Ormea né so quale fine abbia fatto. 5° In merito alla fucilazione dei sette partigiani indicati da MICELONE e fucilati a S. TECLA contrariamente a quanto dichiarato a pag. 12 del verbale, ero a S.Tecla quando i sette partigiani vennero accompagnati colà. Come ho già detto mi trovavo a S. Tecla per accompagnare il capitano SAINA [Sainas]. Nell'ufficio di FORSTER, presente, io, il FORSTER, il capitano della marina HUSTEGE e, se ben ricordo, il capitano SAINA [Sainas], fu effettuato un nuovo confronto fra i sette partigiani ed il MICELONE. Questi confermò nuovamente che gli stessi erano partigiani. Il FORSTER allora, confermata la loro appartenenza al movimento partigiano, diede ordine di fucilarli subito. Mentre io rimasi nell'ufficio di FORSTER, un plotone di esecuzione formato da uomini da lui dipendenti prese i sette partigiani e portatili nel cortile li fucilò.  Io udii gli spari in quanto mi trovavo vicinissimo al luogo dell'esecuzione, ma non presi parte né vidi l'esecuzione. Lasciai poi l'ufficio di FORSTER per ritornare al mio comando, senza vedere i corpi dei giustiziati nè ho mai saputo come essi si chiamassero e dove furono sepolti. Circa l'affermazione che i giustiziati furono gettati in mare, nulla posso dire in quanto nulla so a questo riguardo. Ernest Schifferegger, * già SS ed interprete, in un verbale di reinterrogatorio  confluito in un documento del 2 giugno 1947 [se ne veda qui sopra la prima pagina] redatto dall’OSS statunitense, antenata della CIA  [ * n.d.r.: Ernest Schifferegger era un italiano altoatesino che in occasione del referendum del 1939 aveva optato, come tutti i membri della sua numerosa famiglia, per la nazionalità tedesca. Entrato nelle SS, operò - a suo dire - solo nella logistica, su diversi punti del fronte occidentale. Era, tuttavia, a Roma come interprete, quando partecipò al prelievo di un gruppo 25 prigionieri politici italiani condotti a morte nella strage delle Fosse Ardeatine. Fece in seguito l’interprete per i nazisti anche a Sanremo. Il rapporto dell’OSS riporta che alla data del 2 giugno 1947 Schifferegger era ancora in custodia alla Corte d’Assise Straordinaria di Sanremo ]

(1) 

Esemplare a riguardo quanto accade nella notte tra il 24 e il 25 aprile 1944 a Monte Castelluccio di Norcia: qui un un reparto della Gnr di Perugia utilizzato per la controguerriglia, denominato significativamente compagnia della morte e comandato dal capitano Sainas e dai tenenti Facioni e Vannucci, dopo un breve scontro a fuoco catturò il partigiano spoletino Paolo Schiavetti Arcangeli e due prigionieri di guerra di nazionalità sudafricana, tutti furono uccisi a sangue freddo dopo la cattura. La stessa compagnia, particolarmente attiva nella primavera 1944 nei rastrellamenti condotti in collaborazione con reparti tedeschi nella zona di Nocera Umbra e Cascia, fu protagonista a Marsciano, della fucilazione dei fratelli Ceci, fornendo i volontari per costituire il plotone di esecuzione e assicurando il servizio d’ordine.
Angelo Bitti, La guerra ai civili in Umbria (1943-1944). Per un Atlante delle stragi naziste, ISUC, 2007

Personaggi: un capitano tedesco, un tenente dell’Upi e un capitano della Gnr; per essere più precisi, il capitano Sainas. Ancora una volta la barbara legge tedesca delle rappresaglie sta per essere messa in atto: il capitano tedesco chiede al tenente dell’UOI dodici ostaggi da fucilare. Ma il numero dei prigionieri a disposizione del tenente è solo di otto.
Il tedesco s’intestardisce: “Ho detto dodici, Se no ci rimetto”. Il tenente non sa come fare. Il tedesco minaccia di far arrestare e fucilare le prime persone che incontra per la strada. Alla fine consultando le liste e le pratiche il tenente riesce a trovare altri tre candidati alla morte. Ne manca ancora uno, ma il tedesco è irremovibile. Si fa avanti il cap. Sainas e dice al tenente: “Se vuoi te ne presto uno io, ma poi tu me lo restituisci”.
Italo Calvino, articolo pubblicato senza firma sul numero 5 di “La nostra lotta”, giovedì 9 maggio 1945

Capitano Sainas comandante del presidio della G.N.R. di Sanremo. Non aveva speciali rapporti con l'ufficio di Reiter. Qualche volta coi suoi uomini ha preso parte a rastrellamenti con le truppe del comandante Forster. Fatti specifici sul suo conto il soggetto sostiene di non conoscerli.
Dalle note di accompagnamento dei verbali degli interrogatori subiti da Ernest Schifferegger (altoatesino, interprete, ex sergente SS, presente anche a Sanremo) - personaggio già citato -, confluiti in un documento del 2 giugno 1947 - già menzionato - redatto dall’OSS statunitense

Maselli Pietro: nato a Bussana il 16 agosto 1923, squadrista della Brigata nera “Padoan”, distaccamento di Sanremo
Interrogatorio di Maselli Pietro del 14.7.1945:
[...] Poco dopo sopraggiunse il Capitano Sainas della GNR, il quale con i suoi militi si recò a cercare il Modena che fu rintracciato dopo circa una mezz’ora e subito udimmo degli spari. Quando i militi vennero sul posto dove eravamo noi, portarono il Modena ferito ad una gamba. Non posso dire se il Modena venne ferito da noi o dai militi della GNR. Rimasi nella brigata nera fino al 13 dicembre 1944 [...] Nel febbraio del 1945 ho preso parte ad un rastrellamento effettuato in regione Pamparà di Ceriana. Dirigeva il servizio il Capitano Sainas della GNR [...]
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9,  StreetLib, Milano, 2019

(2)

Il maggiore SS Helmuth Gohl, SS-Sturmführer, Angehöriger des Sicherheitsdienst-Einsatzkommandos I, venne indagato, finita la guerra, anche, ad esempio, per crimini già commessi in Polonia nel 1939. Venne accusato, tra l'altro, di avere contribuito nel 1944 in Italia ad organizzare l'invio di gruppi di sabotaggio e di spionaggio dietro le linee alleate: alcuni documenti parlano in proposito di rete Zypres, specificando che il Piemonte e la Liguria fecero da base all’attività dell’ufficio VI (Amt VI) nel territorio francese liberato. Da Sanremo, dove era arrivato a gennaio 1945, Gohl operava con le organizzazioni Beltram e Tosca, il cui scopo era quello di raccogliere informazioni oltre le linee del fronte, inviando in Francia agenti reclutati tra collaborazionisti e fuoriusciti francesi.
Giorgio Caudano

[...] l’organizzazione Zypresse (la Z stava per Zerstörung, distruzione). Si trattò, insieme a Ida, di una delle maggiori reti stay behind impiantate dai servizi segreti tedeschi nel nostro paese e tra le più temute dai servizi alleati [...]
Carlo Gentile, Intelligence e repressione politica. Appunti per la storia del servizio di informazioni SD in Italia 1940-1945, in Paolo Ferrari/Alessandro Massignani (Eds.), Conoscere il nemico. Apparati di intelligence e modelli culturali nella storia contemporanea, Milano 2010, p. 459-495

Il 15 novembre i nazifascisti danno il via al rastrellamento di San Romolo, che parte dalle valli sottostanti e dura una decina di giorni. Alcuni partigiani (tra cui Floriano Calvino) riescono a fuggire, altri (tra cui Aldo Baggioli) vengono uccisi sul posto, parecchi vengono catturati. Italo [Calvino], risvegliato all'alba del 15 novembre dal rumore delle porte sfondate nei casolari dei dintorni, viene catturato mentre si allontana da San Giovanni [n.d.r.: Frazione di Sanremo situata molto più in basso di San Romolo] in compagnia di Juarès Sughi: si salva dalla fucilazione immediata grazie a un foglio di licenza che porta con sé [...] Insomma Italo, non riconosciuto o per lo meno non denunciato come partigiano, fu considerato uno dei tanti renitenti alla leva [...] egli fu arruolato d'ufficio nella Repubblica Sociale e relegato per qualche tempo nel Deposito Provinciale di Imperia. Nessun documento attesta per quanti giorni sia rimasto a Imperia, né quando sia riuscito a scappare. Su tutte le vicende calviniane comprese fra il 19 novembre 1944 e il 1° febbraio 1945 anche le testimonianze offerte da quanti vissero quel difficile periodo sono manchevoli o troppo vaghe o contraddittorie.
Claudio Milanini, Appunti sulla vita di Italo Calvino, 1943-1945, «Belfagor», LXI, 1, 2006

lunedì 4 gennaio 2021

Chiappa: eliminazione delle postazioni "San Marco"

Pairola, Frazione del Comune di San Bartolomeo al Mare (IM). Fonte: Mapio.net

Prima di descrivere la brillante operazione dei partigiani che, attraverso varie e fulminee fasi, ha inferto un grave colpo al nemico, è utile fare una premessa che permetterà una più precisa comprensione del fatto e delle sue cause.
Il mese di agosto [1944] rappresenta il culmine della forza partigiana.
Già in precedenza sono state ricordate le modifiche in atto nelle fila della Resistenza, il progressivo potenziamento che, timidamente iniziato nel mese di marzo con l'afflusso di giovani alle formazioni partigiane, si è molto accentuato negli ultimi mesi primaverili e nell'estate.
L'esercito nazista è incalzato in ogni luogo, pressato ed in ritirata da tutti i fronti di guerra, è quotidianamente attaccato e colpito all'interno dei territori occupati dalla crescente forza ed aggressività dei partigiani e dalla resistenza delle popolazioni oppresse. Gli ordini impartiti in forme sempre più decise e minacciose dai Comandi militari e delle SS non ottengono ormai più che scarsi effetti (1).
Vero è che, giornalmente, patrioti o semplici cittadini subiscono infamie e torture a non finire; è pure vero che s'intensifica l'attività delle organizzazioni spionistiche tedesche e fasciste che sarà fatale per tanta gente e che le carceri ed i concentramenti sono pieni zeppi di prigionieri destinati alla morte. Ma la situazione è quella che è: un crollo può avvenire da un momento all'altro e molti militanti nelle fila della Repubblica di Salò, inquadrati in vari reparti ben distinti da quelli famigerati delle Brigate Nere, sono ormai stanchi di restare passivi di fronte agli avvenimenti, d'attendere la fine della guerra con una divisa che sanno indegna e che hanno indossato a seguito di situazioni in cui non avevano chiari i concetti di onore e di patria. Pian piano schiudono gli occhi alla realtà. Una parte di questi giovani vorrebbe disertare, nascondersi e raggiungere la propria casa; un'altra parte, invece, intenderebbe disertare e passare nelle fila della Resistenza. Conseguentemente gli esodi diventano sempre più frequenti, onde fughe e segreti accordi con i partigiani per organizzare prelevamenti di reparti ed il loro trasferimento ai distaccamenti.
Naturalmente, queste azioni non sono facili e comportano dei rischi. C'è sempre, nel numero dei militari, chi la pensa diversamente; ci sono degli ufficiali e, insieme a loro, quasi sempre dei Tedeschi. È possibile incontrare una reazione, subire delle perdite, fallire lo scopo.
Ma l'azione del 28 agosto riesce a perfezione. È condotta da garibaldini coraggiosi, esperti e collaudati ai rischi.
Il 24 agosto dalla base di Valcona partono il Comandante «Cion» [Silvio Bonfante] con il vice commissario Ivar Oddone (Kimi), i garibaldini «Fiume», Ettore Bacigalupo, Agostino Calvo (Il Rosso), «Vittorio il Biondo» ed un nucleo d'assalto con «Mancen» [Massimo Gismondi].
La meta è Chiappa [Frazione del Comune di San Bartolomeo al Mare], in Val Steria, dove vi sono forti e munitissime postazioni della divisione «San Marco» (2), che rappresentano un notevole intralcio alle azioni volanti delle squadre partigiane operanti nella zona. Il fine consiste nell'eliminazione delle postazioni stesse.
I partigiani giungono sul luogo stabilito. Sono poco più di una decina e sanno, da informazioni, che la loro impresa si presenta di non facile attuazione. Ma «Cion» non è un comandante da intimorirsi, coraggioso com'è fino alla temerarietà, ed insiste verso gli altri affinché non deflettano dallo scopo. Infine, decisi, s'avviano verso il caposaldo dopo essersi uniti ad un'altra decina di garibaldini in missione nella zona.
La formazione si scinde e dà origine a due gruppi: il primo, guidao da «Cion» e da «Mancen», scende verso il paese percorrendo la via centrale; il secondo, al comando di «Kimi», prende la strada che fiancheggia l'abitato dalla parte destra. I due nuclei giungono alla prima posta quasi contemporaneamente al tramonto del sole verso le 19.
L'assalto è rapido ed i ventidue della «San Marco», sorpresi, neppure osano opporre resistenza.
L'altra postazione è ad un chilometro di distanza e consta di ventiquattro uomini.
«Kimi», «Mancen», «Ettore», «Grillo», «Totò», «Il Rosso» s'avviano veloci e, in breve tempo, saltando di fascia in fascia raggiungono il luogo.
Due sentinelle, atterrite dall'improvvisa comparsa dei Partigiani, si arrendono.
Nel frattempo, ignaro della presenza dei garibaldini, giunge un militare che è subito accerchiato e disarmato. Trattasi di Silvio Paloni il quale fornisce tutte le informazioni necessarie: precisa che la batteria è alla Rocca, che gli uomini sono ventiquattro e che alcuni Tedeschi alloggiano in due case, in posizione ben difendibile.
I partigiani si dividono in due gruppi di tre uomini ciascuno ed avanzano fino al luogo indicato. Si appostano e vedono i nemici intenti al rancio serale.
Paloni, poiché considera impossibile un attacco diretto, consiglia di parlamentare e si offre di fare da intermediario. Parte e ritorna con alcuni militi e con il sergente Facta, il quale chiede di quanta forza dispongano i garibaldini. Gli è risposto che all'esterno, ben appostati, stazionano molti partigiani!
Il sergente si avvia verso i suoi che si riuniscono in fretta nelle stanze inferiori, mentre alcuni aprono il fuoco nella direzione del gruppo di «Mancen».
I patrioti rispondono con raffiche di mitragliatore ed i sanmarchini cominciano a raccogliere le loro cose ed a fuggire. Alcuni abbandonano anche il fucile.
I garibaldini li inseguono e li catturano quasi al completo, senza subire alcuna perdita. Poi si dirigono verso la batteria e rendono inservibili i due cannoncini, privandoli dei pezzi necessari al funzionamento.
I tedeschi ed il tenente riescono a dileguarsi.
Sei partigiani hanno catturato una ventina di militari! Quindi si dirigono verso il gruppo comandato da «Cion » e tutti manifestano entusiasmo.
Ma non basta. A Pairola [Frazione del comune di San Bartolomeo al Mare], con lo stesso sbrigativo metodo, fanno venti prigionieri, si impadroniscono di due mortai e requisiscono alcun muli per il trasporto.
Il giorno dopo partono tutti per San Bernardo di Conio. La colonna è imponente: i garibaldini procedono con oltre sessanta prigionieri e con i muli carichi di armi, viveri, munizioni nonché di due mortai (4).
Quei due mortai, azionati dagli stessi uomini della «San Marco» con abilità eccezionale, alcuni giorni dopo, ed esattamente il 5 di settembre, contribuiranno in modo determinante alla vittoria garibaldina nella battaglia di Montegrande.
(1) Nel mese di agosto, da parte del Comando Tedesco viene affisso nella Provincia di Imperia il seguente manifesto:
«Italiani,
è volontà delle forze armate germaniche di portare la pace nel paese: tranquillità e ordine devono tornare ovunque. A questo scopo è stabilito che tutte le persone tornino entro il 1° settembre alle loro residenze abituali. In caso di disobbedienza a questa ordinanza le forze armate germaniche prenderanno le misure adatte contro le case e gli averi dei non ottemperanti.
Attraverso Badoglio che ha sospinto gli Italiani al fratricidio, un piccolo gruppo di senza onore, si è fatto spingere ad uccidere alle spalle portando nel popolo italiano la vergogna del banditismo di pretta marca slavo-comunista. Contro questi ribelli e contro tutti i sovversivi le forze armate germaniche attueranno i mezzi più repressivi e più duri. Chiunque sia in possesso di armi senza permesso sarà  fucilato sul posto. Consegnate le armi nascoste, segnalate i possessori di armi e i nascondigli nei quali esse sono occultate. Chiunque aiuti i banditi, chiunque lavori per i ribelli, li provveda di viveri, vestiti e alloggio, sarà fucilato sul posto.
Tutti gli italiani devono riprendere immediatamente il lavoro.
L'armata germanica ha dimostrato di aver mantenuto la promessa data agli italiani alleati di combattere a fianco di essi, per assicurare con questa lotta l'amicizia del popolo italiano e germanico.
Collaborate con essa per il bene della vostra Italia.
Agosto 1944                                                                                Il Comandante Germanico
(2) La Divisione fascista «San Marco», addestrata in Germania, prima al comando del generale Princivalle e poi del generale Amilcare Farina, collegata alla 341 Divisione germanica del generale Won Lieb che operava nell'imperiese, era stata dislocata fra Genova e Ventimiglia ai primi di agosto 1944. Alcuni suoi reparti erano giunti nel dianese il giorno 7 (vedasi F. Biga, Diano e Cervo nella Resistenza, pag. 118).
(3) Silvio Paloni entrerà nelle fila della Resistenza con lo pseudonimo di «Romano» e morirà a Ginestro il 27 gennaio 1945.
(4) Dalla relazione stilata dal comandante «Cion» alcuni giorni dopo l'azione risulta il seguente bottino: due mortai da 81 mm con un centinaio di granate, ottanta fucili ta-pum, moschetti e trenta pistole di calibro vario. Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, pp. 366-369

Altura vicina a Chiappa, Frazione del Comune di San Bartolomeo al Mare (IM). Fonte: Mapio.net

Kimi
(Ivar Oddone) racconta:
Nella zona di Chiappa sopra Pairola stazionava un fortissimo gruppo del battaglione San Marco che vi aveva preso posizione ed aveva creato un munitissimo caposaldo.
Io e Cion ci trovavamo nella zona con una decina di uomini: era stato sempre nostro desiderio eliminare la postazione nemica che costituiva per le nostre squadre volanti una minaccia permanente, ma sapevamo, anche attraverso il rapporto  di due sanmarchini che avevano disertato unendosi a noi, che l'impresa non era di facile attuazione.
Ma Cion, sempre fiducioso nella sua buona stella e coraggioso fino alla temerarietà, insisteva nel tentare il colpo. Ci convinse alla fine: incorporammo nella nostra formazione altri dieci garibaldini che si trovavano in missione nella zona e si partì decisi a raggiungere il nostro scopo.
A poca distanza dal paese ci dividemmo. Cion, Mancen e alcuni altri scesero verso il paese per la strada di mezzo ed io col resto ci portammo alla destra dell'abitato. Giungemmo quasi contemporaneamente sulla prima postazione nemica. Erano le 7,30 pomeridiane ed il sole tramontava. Nella luce dorata balzammo sugli uomini, 22 in tutto, e li costringemmo alla resa senza che osassero opporre resistenza.
A un Km. circa di distanza vi era una seconda postazione con 24 uomini. Io, Mancen, Ettore Bacigalupo, Grillo, Totò e Rosso si partì di corsa. In pochi minuti, balzando di fascia in fascia, giungemmo sul posto. Due sentinelle ci videro sbucare come demoni dagli alberi al di sopra della postazione, che non avevamo ancora individuato, e, annichiliti, si arresero.
Nello stesso istanie scorgemmo un uomo venir verso di noi ignaro di ciò che stava accadendo. Lo circondammo e lo disarmammo. Era Romano un milite della Sanmarco che passò nelle nostre file e cadde da eroe l'inverno successivo.
Romano si unì a noi e ci informò che la batteria era a Roccà e gli uomini, 24 militi e alcuni tedeschi, alloggiavano in due case in posizione molto forte. Ci dividemmo in due piccoli gruppi di tre uomini ciascuno ed avanzammo.
Giunti sul posto ci appostammo fra le fasce: vedevamo le teste dei nemici affaccendati intorno al loro rancio serale. Romano ci consigliò di parlamentare: tentare un attacco gli pareva impossibile. Acconsentimmo. Egli discese e ritornò poco dopo col sergente Facta e due uomini. Cominciarono le trattative. Il sergente ci chiese qual'era la nostra forza: risposi, con una faccia tosta invidiabile, che si era 250, ben armati ed in ottima posizione. Il sergente ritornò alla postazione e subito dopo scorgemmo gli uomini raccogliersi in fretta sulle fasce basse mentre alcuni tiravano nella nostra direzione. Rispondemmo: poche scariche e poi i Sanmarchini cominciarono a far fagotto ed a fuggire, taluni abbandonando anche il fucile. Noi uscimmo dai nostri rifugi e li inseguimmo per poco lungo le fasce e li catturammo quasi tutti senza subire alcuna perdita. Solo i pochi tedeschi ed il tenente riuscirono a dileguarsi.
Coi nostri prigionieri ritornammo alla postazione e catturammo i due cannoncini della batteria che smontammo e rendemmo inservibili.
In sei avevamo catturato quasi venti uomini che uniti agli altri presi in precedenza costituivano un gruppo di oltre 40 prigionieri, il doppio della nostra forza complessiva.
Ci riunimmo a Cion e, entusiasmati dal successo, decidemmo di portarci a Pairola dove con lo stesso metodo sbrigativo catturammo quella postazione impadronendoci di un mortaio e di altri 20 prigionieri.
Requisimmo alcuni muli, li caricammo delle armi, munizioni e viveri catturati, inquadrammo i prigionieri e ci avviammo verso Stellanello.
Intanto Cion con un gruppo di pochi uomini decise di tentare un altro colpo per completare la vittoria.
Era una notte soffocante di agosto, senza luna: si marciava a fatica sui sentieri tortuosi e bui: impiegammo un tempo interminabile per raggiungere Stellanello: qui ci raggiunse Cion con due mortai e altri 18 decimini catturati.
L'indomani raccogliemmo sul posto numerose squadre di garibaldini e partimmo verso la base.
Formavamo una colonna imponente: 130 garibaldini, 80 prigionieri, 2 mortai e numerosi muli carichi.
Sfilavamo lungo le creste montane cantando: era in noi il presagio della vittoria e su di noi vegliava lo spirito glorioso dei nostri morti.
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, pp. 167,168 
 
Il 24 agosto 1944 dalla base di Valcona partirono il Comandante “Cion” con il vice commissario, alcuni garibaldini, tra cui Ettore Bacigalupo, ed un nucleo d’assalto di “Mancen” alla volta di Chiappa in Val Steria con l’intento di eliminare le postazioni della San Marco che erano di notevole intralcio alle azioni delle squadre partigiane operanti in zona. I partigiani, dopo essersi uniti ad un’altra decina di garibaldini in missione in zona, si avviarono verso il caposaldo. La formazione si divise in due gruppi e, percorrendo strade diverse, raggiunsero la postazione quasi contemporaneamente intorno alle 19. L’assalto fu talmente rapido che i ventidue sanmarco non riuscirono ad opporre resistenza.
Capitanati da “Mancen” cinque partigiani si avviarono verso l’altra postazione distante circa un chilometro; anche in questo frangente le sentinelle, colte di sorpresa, si arresero. Nel frattempo, ignaro della presenza dei partigiani, giunse il militare Silvio Paloni: venne disarmato e fornì le informazioni necessarie. Poiché ritenne impossibile un attacco diretto, consigliò di parlamentare e si offrì di fare da intermediario. Partì e ritornò con due militi e un sergente il quale si informò sulla forza numerica dei garibaldini. Gli venne risposto che, bene appostati, stazionavano 250 partigiani. Il sergente si avviò verso i suoi che si riunirono nelle fasce e aprirono il fuoco in direzione del gruppo di “Mancen” il quale rispose con raffiche di mitragliatore. I sanmarchini si dettero alla fuga; i garibaldini li inseguirono, li catturarono quasi al completo, senza subire alcuna perdita; inoltre resero inservibili due cannoncini sottraendone alcuni pezzi. (Sei partigiani catturarono una ventina di militari). A Pairola, applicando lo stesso metodo, i partigiani fecero venti prigionieri e si impadronirono di due mortai. Il giorno dopo partirono tutti per San Bernardo di Conio con sessanta prigionieri, armi, viveri, munizioni e due mortai che, azionati dagli stessi uomini della San Marco, alcuni giorni dopo contribuirono in maniera determinante alla vittoria garibaldina nella battaglia di Montegrande.
Redazione, Arrivano i Partigiani. Inserto 2. "Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona", I Resistenti, ANPI Savona, numero speciale, 2011

sabato 2 gennaio 2021

Uccidetemi, i miei compagni mi vendicheranno

Trovasta - Fonte: Mariojk66/Wikiloc

Il 28 marzo del 1945 muore fucilato a Pieve di Teco (Imperia) dopo essere stato lungamente torturato dai tedeschi ROBERTO DI FERRO (15 anni, nome di battaglia Baletta) apprendista meccanico e Partigiano.
Di Ferro nacque a Malvicino ( Alessandria) ed aveva quattro fratelli. I genitori si trasferirono per lavoro ad Albenga (Savona) e Roberto cominciò giovanissimo a lavorare come apprendista meccanico per aiutare la famiglia. Già dall’8 settembre 1943 a soli 13 anni decise d’interessarsi della Resistenza insieme al fratello più grande Guido e fu tra i primi a darsi alla macchia dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.
Anche se i genitori erano contrari vista la giovane età il 2 settembre 1944 Di Ferro inizia a collaborare fattivamente con i partigiani con il nome di battaglia Piccinen o Baletta che nel dialetto ligure è traducibile come pallina ed indica il comportamento tipico dell’età adolescenziale. Raggiunta una formazione partigiana sull’Appennino Ligure “Baletta” fu inizialmente impiegato come staffetta. Col passare dei mesi fu difficile impedirgli di partecipare anche alle più rischiose operazioni della sua formazione.
La Liberazione sembrava essere ormai imminente quando il 27 marzo 1945 una colonna motorizzata tedesca forte di duecento uomini irruppe nella zona di Tovrasta sopra Pieve di Teco (Imperia). Guidava gli uomini della Wermacht un delatore. Un gruppo di partigiani del distaccamento “Marco Agnese” appartenente alla Brigata “Silvano Belgrano” (VI Divisione Garibaldi d’assalto “Bonfante”) fu colto di sorpresa. Nell’impossibilità di rompere l’accerchiamento i partigiani si difesero sino all’ultimo. Il loro comandante GIOVANNI TRUCCO fu ucciso con altri suoi compagni nel conflitto. “Baletta“ con nove superstiti fu catturato dai tedeschi.
Gruppo Laico di Ricerca

Nelle prime ore del 27 marzo 1945, accompagnati dalla spia Angela Bertone di Pieve di Teco, già fidanzata con uno dei partigiani destinato a morire in seguito all'agguato qui descritto, una colonna tedesca di duecento uomini si inoltrava nella zona di Trovasta, Frazione di Pieve di Teco (IM), per catturare un piccolo presidio partigiano. Il casone era la sede provvisoria del Distaccamento “Marco Agnese” della VI° Divisione “Silvio Bonfante”. Pochi giorni prima una squadra del Distaccamento era stata inviata in missione, mentre dodici uomini rimasero nel casone. Mentre gli uomini in servizio di sentinella davano l'allarme ai compagni, la colonna nemica si era già divisa in tre gruppi per giungere al casone da diverse direzioni. Vista l’impossibilità di sganciarsi, il comandante Giovanni Trucco "Franco" [n.d.r.: vice commissario della II^ Brigata "Nino Berio"], ordinava di difendersi con ogni mezzo possibile, ma cadeva per primo, seguito dal garibaldino Angelo Volpari "Sceriffo" e da Antonio De Negri (un civile, padre di Nino e Lino: era salito nella notte per avvisare del pericolo incombente). Tutti gli altri nove, finivano presto le munizioni e si dovevano arrendere. Condotti a Pieve di Teco dove la mattina del 28, otto di loro, Lino De Negri Nino De Negri (Nino) fratelli Elio Galvani (Elio) Antonio Lancella (Caramba) Luciano Saldo (Bab) Giovanni Saldo (Naia) fratelli Giuseppe Moraca (Zai) Giovanni Saldo (Faen), vengono fucilati a Prato Sertorio e Prato San Giovanni sulla sponda destra del torrente Arroscia. Il giovane partigiano Roberto Di Ferro (Baletta) non fu subito fucilato con i suoi compagni, ma interrogato tutto il pomeriggio dal Maresciallo tedesco Kroth. In serata venne messo sopra un carretto, portato in Prato San Giovanni, e passato per le armi.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020  

[ n.d.r.: tra le pubblicazioni di Giorgio Caudano: a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016;  Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]


Il 26 marzo 1945 il Distaccamento "Marco Agnese" della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante", Distaccamento comandato da "Franco" [Giovanni Trucco], il quale era impossibilitato a muoversi a causa di una slogatura ad un piede, catturò 2 tedeschi. I tedeschi per rappresaglia catturarono 3 persone tra cui il fratello di "Franco".
Nelle prime ore del 27 marzo 1945, accompagnata da una spia, "una colonna tedesca di 200 uomini si inoltrava nella zona di Trovasta [Frazione di Pieve di Teco (IM)] per catturare il piccolo presidio (momentaneamente composto da 12 garibaldini, in quanto altri 10 erano in missione) partigiano. La pattuglia preposta per il servizio di vigilanza avvistava una colonna, in quanto il nemico qualche centinaio di metri prima del paese si era suddiviso in tre parti, per entrare da diverse direzioni. Il comandante Trucco Giovanni, vista l'impossibilità di sganciarsi, iniziò con tutte le armi un furioso combattimento... caddero sul campo dell'onore il comandante Trucco Giovanni ed il partigiano Volpari Angelo. Gli altri 10 partigiani, fra i quali il quattordicenne Di Ferro Roberto, esaurite le munizioni, vennero catturati dal nemico e condotti a Pieve di Teco" (da una relazione senza data del comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria). Il casone nel quale si erano asserragliati i 12 uomini del Distaccamento "Marco Agnese" era lo stesso nel quale tre mesi prima era stato arrestato il comandante "Menini": un rifugio inadatto ad accogliere i garibaldini perché visibile da tutte le parti. Secondo quanto sosteneva l'informatore dei partigiani "Giglio", Antonio e Lino De Negri (padre e figlio) avevano cercato di avvisare "Franco" dell'imminente attacco tedesco, ma era stati prima intercettati. E "Giglio" avanzò l'ipotesi che i tedeschi fossero stati indirizzati per vendetta dalla concubina di Lino De Negri. Il 28 aprile "Basco" ["Blasco", Giacomo Ardissone], "Ramon" e "Biscio" tentarono di intavolare una trattativa con i tedeschi cercando di scambiare i garibaldini prigionieri con due sergenti tedeschi trattenuti da "Basco". Tutti i tentativi si dimostrarono inutili ed i partigiani arrestati vennero fucilati il 28 aprile alle ore 20 a Pieve di Teco: De Negri Antonio, De Negri Lino, De Negri Nino, Trucco Giovanni, Saldo Giovanni, Saldo Luciano, Galvani Elio, Langella Antonio, Monaco Giuseppe, Volpari Angelo e Di Ferro Roberto (Baletta, medaglia d'oro alla memoria al valor militare).
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Roberto di Ferro, "Baletta"

[Roberto Di Ferro] nato a Malvicino (Alessandria) il 7 giugno 1930, trucidato a Pieve di Teco (Imperia) il 28 marzo 1945, operaio, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria. È, con Filippo Illuminato, uno dei più giovani partigiani decorati di Medaglia d’Oro al Valor Militare. La motivazione della ricompensa alla memoria di “Baletta”, questo il nome di battaglia di Roberto Di Ferro, suona: “Primo fra i primi nelle più audaci e rischiose imprese, ardente di fede ed animato dal più puro entusiasmo, appena quattordicenne partecipava alla dura lotta partigiana, emergendo in numerosi fatti d’arme per slancio leonino e per supremo sprezzo del pericolo. Dopo strenuo combattimento contro preponderanti forze nazifasciste, in cui ancora una volta rifulse il suo indomito valore, esaurite le munizioni, veniva catturato e condotto dinanzi ad un giudice tedesco. Benché schiaffeggiato e minacciato di terribili torture, si manteneva fiero e sereno non paventando le barbare atrocità dell’oppressore. Le sue labbra serrate in un tenace e sprezzante silenzio, nulla rivelarono che potesse nuocere ai compagni di fede ed alla causa tanto amata. Condannato a morte rispondeva: «Uccidetemi, i miei compagni mi vendicheranno». La brutale rabbia nemica stroncava la sua giovane esistenza interamente dedicata alla liberazione della Patria. Magnifico esempio di valore e di giovanile virtù”. Il ragazzo lavorava già nonostante la giovanissima età, per aiutare la famiglia che si era trasferita dall’Alessandrino ad Albenga e fu tra i primi a darsi alla macchia dopo l’armistizio. Raggiunta una formazione partigiana sull’Appennino Ligure, “Baletta” fu, inizialmente impiegato come staffetta. Col passare dei mesi, fu difficile impedirgli di partecipare anche alle più rischiose operazioni della sua formazione. La Liberazione sembrava essere ormai imminente quando, il 27 marzo 1945, una colonna motorizzata tedesca, forte di duecento uomini, irruppe nella zona di Tovrasta, sopra Pieve di Teco. Guidava gli uomini della Wermacht un delatore. Un gruppo di partigiani del distaccamento “Marco Agnese”, appartenente alla Brigata “Silvano Belgrano” - VI^ Divisione d’Assalto Garibaldi “Silvio Bonfante“ - fu colto di sorpresa. Nell’impossibilità di rompere l’accerchiamento, i partigiani si difesero sino all’ultima cartuccia. Il loro comandante, Giovanni Trucco, fu ucciso nel conflitto, con altri suoi compagni. “Baletta”, con nove superstiti, fu catturato dai tedeschi. Inutile il tentativo del vicecomandante della VI^ Divisione Garibaldi, Luigi Massabò, di salvarli: la proposta di uno scambio con due ufficiali nazisti fu respinta dai tedeschi, che trucidarono i dieci prigionieri. La memoria della giovane Medaglia d’oro della Resistenza è ancora molto viva nell’Alessandrino, nell’Imperiese e nel Savonese. Un importante contributo a non dimenticare il ragazzo partigiano di Albenga è stato dato da Daniele La Corte col suo libro Diventare uomo - La Resistenza di Baletta (prefazione di Alessandro Natta), che nel 2006 è giunto, per i tipi della Totalprint di Genova, alla terza ristampa.
Redazione, Roberto di Ferro "Baletta", I RESISTENTI, Anno VIII, n° 1/2015, ANPI Savona
 
A Malvicino nacque Roberto Di Ferro “Baletta”, giovanissimo partigiano, crudelmente ucciso dai tedeschi, a soli 14 anni, il 28 marzo 1945, a Pieve di Teco, nell’Imperiese. Di Ferro, trasferitosi ad Albenga con la famiglia, dopo l’Armistizio aderì subito ai gruppi partigiani, dapprima come staffetta, per la sua giovane età. Col passare dei mesi, però fu difficile impedirgli di partecipare anche alle più rischiose operazioni della sua formazione, nel corso delle quali si distinse per entusiasmo, determinazione e coraggio.
Il 27 marzo 1945, una munita colonna nazifascista, irruppe nella zona Pieve di Teco e “Baletta”, in forza al Distaccamento “Agnese” della VI^ Divisione Garibaldi “Bonfante”, combattè sino all’esaurimento delle munizioni. Catturato, con altri 9 compagni, sebbene percosso e torturato, nulla rivelò al nemico. La proposta di uno scambio con due ufficiali nazisti, prigionieri dei ribelli, fu respinta dai tedeschi, che trucidarono tutti i partigiani, riservando al ragazzino acquese il supplizio della crocifissione sulla pubblica piazza. 


Roberto di Ferro è una delle più giovani Medaglie d’Oro al Valor Militare della lotta di Liberazione. Nato a Malvicino in Provincia di Alessandria il 7 giugno del 1930, è stato fucilato dai nazi-fascisti a Pieve di Teco (Imperia) il 28 marzo 1945: a Roberto mancavano tre mesi per compiere quindici anni.
Nel 1943 la famiglia si era trasferita ad Albenga dove Roberto aveva completato l’obbligo scolastico ed aveva iniziato a cercare lavoro. Ad Albenga, dopo l’8 settembre 1943, aveva conosciuto il movimento di resistenza e vi aveva aderito con l’incarico di staffetta. Poi, nell’estate del 1944, era entrato a far parte di una formazione partigiana dell’entroterra savonese, come combattente ed aveva assunto lo pseudonimo di “Balletta” che in dialetto locale vuoi dire “pallina”, in considerazione della sua giovane età e della vivacità atletica del suo comportamento.
Malgrado i ripetuti richiami dei genitori, che lo avrebbero voluto con loro e da loro protetto, restò con i suoi amici, manifestando la ferma volontà di opporsi all’invasore e la speranza di un avvenire di giustizia e libertà. Con questo animo partecipò a diversi scontri a fuoco.
Nella notte tra il 24 e il 25 marzo 1945, Roberto e altri dieci partigiani vennero attaccati da preponderanti forze nazi-fasciste e, dopo forte resistenza, finite le munizioni, furono catturati.
Dieci di loro furono immediatamente trucidati. Roberto fu risparmiato nella speranza che rivelasse posizioni ed entità della sua formazione e condotto nel Municipio di Pieve di Teco. Qui, per tre giorni, fu sottoposto ad interrogatori e torture ma non parlò. Vista inutile ogni violenza, fu trascinato sulla riva di un torrente e nelle prime ore del 28 marzo 1945 (a meno di un mese dalla fine del secondo conflitto mondiale) fu fucilato.
IL NASTRO AZZURRO, n° 3-2007

Sul luogo del martirio di Baletta - Fonte: ANPI Milano

Mancava meno di un mese alla Liberazione, Roberto Di Ferro venne fucilato e poi crocefisso dai nazisti, non aveva ancora 15 anni. Nel numero di ANPI news 157 del 31 marzo-7 aprile è stata pubblicata la nota del Presidente Smuraglia, che qui sotto riportiamo e vogliamo tenere in evidenza, per tenere a mente il sacrificio suo e quello dei tanti partigiani che ci hanno donato Libertà. Repubblica e Costituzione, soprattutto ora che si avvicina il 70° della Liberazione.
Smuraglia già una volta concluse una commemorazione ufficiale a Pieve di Teco con queste parole “ Io a vent’anni ho dovuto compiere una scelta: o fare parte della repubblica di Salò o scegliere la via delle montagne. Ho fatto una scelta che non fu difficile e io spero che non sia mai difficile per un giovane una scelta del genere perché a mio parere un giovane a vent’anni dovrebbe essere istintivamente rivolto verso la libertà e non verso la dittatura e mi auguro che i nostri giovani, in futuro, se si troveranno a dovere fare scelte diverse, sappiano sempre scegliere la strada giusta, che è quella della libertà e quella della democrazia. Da ANPI news: 'Si trattava di un ragazzo che già era impegnato nel lavoro e che si unì subito ai partigiani, “pretendendo” fermamente di essere impiegato come combattente. E così avvenne: il ragazzo dimostrò coraggio e ardimento; quando fu sorpreso, a seguito di una delazione, con altri, e fu arrestato e sottoposto a violenze e torture perché, parlasse, sopportò tutto con la fermezza di un adulto, e fu barbaramente fucilato dai componenti di una colonna motorizzata di tedeschi. Il ricordo di “Baletta” è vivissimo ancora oggi, tant’è che gli sono stati dedicati libri, c’è un cippo che lo ricorda, assieme ad un monumento, che riguarda anche altre vittime della ferocia nazista. Ogni anno la memoria viene attivata con una serie di manifestazioni, che poi culminano in una pubblica celebrazione ed un corteo nelle vie di Pieve di Teco. Anche domenica scorsa, c’è stata la celebrazione, particolarmente partecipata da gente venuta anche dal savonese e dall’imperiese, ancora una volta commossa nel ricordo di quel ragazzo a cui fu attribuita una medaglia d’oro al valor militare, con una bellissima motivazione, che esalta il coraggio, l’ardimento e la fermezza di quel “magnifico esempio di valore e di giovanile virtù' [...] Roberto Di Ferro: il più giovane fucilato d’Italia è una delle più giovani Medaglie d’Oro al Valor Militare della lotta di Liberazione. Nato a Malvicino in Provincia di Alessandria il 7 giugno del 1930, è stato fucilato dai nazi-fascisti a Pieve di Teco (Imperia) il 28 marzo 1945: a Roberto mancavano tre mesi per compiere quindici anni. Nel 1943 la famiglia si era trasferita ad Albenga dove Roberto aveva completato l’obbligo scolastico ed aveva iniziato a cercare lavoro. Ad Albenga, dopo l’8 settembre 1943, aveva conosciuto il movimento di resistenza e vi aveva aderito con l’incarico di staffetta. Poi, nell’estate del 1944, era entrato a far parte di una formazione partigiana dell’entroterra savonese, come combattente ed aveva assunto lo pseudonimo di “Baletta” che in dialetto locale vuoi dire “pallina”, in considerazione della sua giovane età e della vivacità del suo comportamento. Nella notte tra il 24 e il 25 marzo 1945, Roberto e altri dieci partigiani vennero attaccati da preponderanti forze nazi-fasciste e, dopo forte resistenza, finite le munizioni, furono catturati. Dieci di loro furono immediatamente trucidati. Roberto fu risparmiato nella speranza che rivelasse posizioni ed entità della sua formazione e condotto nel Municipio di Pieve di Teco. Qui, per tre giorni, fu sottoposto ad interrogatori e torture ma non parlò. Vista inutile ogni violenza, fu trascinato sulla riva di un torrente e nelle prime ore del 28 marzo 1945 (a meno di un mese dalla fine del secondo conflitto mondiale) fu fucilato e crocefisso.
ANPI Milano, 4 aprile 2015

Il suo soprannome era Baletta, pallina, perchè si muoveva velocemente. Ma il suo nome era Roberto di Ferro, che a soli 14 anni fu fucilato dai tedeschi a Pieve di Teco, il 28 marzo 1945, perchè partigiano.
Riviera Time ha incontrato sua sorella Wanda, che ci ha raccontato la storia di Roberto.
Nel 2016 è stato pubblicato un fumetto della storia di Baletta, il partigiano Di Ferro.
Daisy Parodi, Riviera Time, 30 Ottobre 2017

Fonte: Patria Indipendente art. cit. infra

La genesi della graphic novel dedicata alla breve vita e alla fulminea morte di Roberto Di Ferro, uno dei più giovani resistenti, decorato con Medaglia d’Oro al Valor Militare, è un esempio di collaborazione che ha coinvolto l’intera comunità di Albenga per non far cadere nell’oblio e relegare a un nome su una targa l’inaudita vicenda. Tutto nasce da un libro del giornalista e scrittore Daniele La Corte che nel 1999 la riporta alla luce indagando le fonti locali della Resistenza nel Ponente ligure.
[...] Invece la storia del partigiano “Baletta” (‘pallina’, come si chiamano i ragazzini da quelle parti) è presto detta, purtroppo. Nato nel 1930, Roberto termina la scuola dell’obbligo e inizia l’apprendistato da meccanico. Nel ’43, dopo l’8 settembre, il fratello maggiore Guido prende contatto con i resistenti e l’anno dopo, quattordicenne, malgrado la contrarietà dei genitori, lui stesso inizia ad operare come staffetta, partecipando poi anche alle azioni più rischiose di sabotaggio ai nazifascisti. Nella notte tra il 24 e il 25 marzo ’45, tre colonne motorizzate della Wermacht, guidate da una spia fascista, accerchiano un casolare sopra Pieve di Teco: dopo una strenua difesa, esaurite le munizioni, i partigiani sopravvissuti sono fatti prigionieri, alcuni fucilati sul posto, Roberto portato via, interrogato e torturato. Non parla e tre giorni dopo è condotto sul greto di un fiume e fucilato. Doveva ancora compiere i suoi primi 15 anni e mancava meno di un mese al 25 aprile.
[...] Settant’anni dopo, anniversario della Liberazione, il Presidente dell’ANPI Carlo Smuraglia ha ricordato la sua “scelta non isolata, che lo unisce, assieme a tanti altri che hanno partecipato alla Resistenza, benché giovanissimi, agli ‘scugnizzi’ delle Quattro Giornate di Napoli”.
 

Fonte: Patria Indipendente art. cit. infra

E guardando il visetto biondo e bellissimo di Roberto Di Ferro, come lo ha ricreato la matita di Frank Gallo, la mente va veloce a un altro volto angelico del neorealismo, quello del bambino di Germania anno zero che nella città distrutta decide di volar giù dal palazzo sventrato che è diventato la sua casa.
[...] Hanno scritto gli alunni di Albenga, pensando a Roberto: “Sì, io voglio fare del mio meglio per fare in modo che i diritti siano universali” (Marco, II C), “La Resistenza per me significa: aria pulita-libertà-fine dei soprusi e della corruzione” (Gaetano Calabrese, III B).
Daniele De Paolis, 15 anni, fucilato: il resistente di Albenga, Patria Indipendente, 31 ottobre 2016

25 aprile, la storia del partigiano Baletta: torturato a 14 anni, morì per i suoi compagni a un mese dalla Liberazione.
Alberto Marzocchi, Il Fatto Quotidiano, 24 aprile 2018

Caduti in seguito ai fatti di Trovasta
TRUCCO GIOVANNI Franco Acquetico 3/12/22 + Pieve di T./Trovasta combattimento 27/3/45
VOLPARI ANGELO Sceriffo Ticengo CR 17/12/24 + Pieve di T./Trovasta combattimento 27/3/45
DE NEGRI LINO Pieve di Teco 24/3/28 + Pieve di Teco fucilato 28/3/45
DE NEGRI NINO Acquetico 23/7/24 + Pieve di Teco fucilato 28/3/45
DI FERRO ROBERTO Baletta Malvicino AL 7/6/30 + Pieve di Teco fucilato 28/3/45
GALVANI ELIO Bondeno FE 18/2/06 + Pieve di Teco fucilato 28/3/45
LANGELLA ANTONIO Caramba Torre del Graco NA 8/11/19 + Pieve di Teco fucilato 28/3/45
MORACA GIUSEPPE Zaj S.Mango d’Aquino CZ 10/1/06 + Pieve di Teco fucilato 28/3/45
SALDO GIOVANNI Faen Pieve di Teco 26/9/18 + Pieve di Teco fucilato 28/3/45
SALDO GIOVANNI Naia Pieve di Teco 2/9/19 + Pieve di Teco fucilato 28/3/45
SALDO LUCIANO Bab Pieve di Teco 15/9/20 + Pieve di Teco fucilato 28/3/45
DE NEGRI ANTONIO (Civile) + Pieve di T./Trovasta combattimento 27/3/45
Giorgio Caudano, Op. cit.

27 marzo 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava ... che in Val Tanaro era forte la presenza garibaldina; che proponeva di sciogliere il Distaccamento "Giuseppe Maccanò" "facendo defluire gli uomini parte a 'Fra Diavolo' [Giuseppe Garibaldi] parte a 'Franco' [Giovanni Trucco]"...

27 marzo 1945 - Dal comando [comandante "Giorgio" Giorgio Olivero] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 252, al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" - Ordinava di rintracciare e fare rientrare il Distaccamento di "Franco" [Giovanni Trucco], che si trovava nella zona di Moano. Stabiliva di fare aggregare quel Distaccamento al Distaccamento di "Libero"...

27 marzo 1945 - Da "Violetta" alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava le sue scuse per la precedente sospensione del servizio informativo, dovuta alla delazione della spia "Boll"; che il giorno prima a Trovasta era stata catturata da tedeschi provenienti da Acquetico, Pieve di Teco e Nava l'intera banda di "Franco" [Giovanni Trucco], in un agguato che aveva visto cadere sul campo due garibaldini; che si poteva tentare di salvare i 10 prigionieri minacciando rappresaglie contro il presidio di Pieve di Teco; che ad Acquetico il nemico aveva prelevato 3 ostaggi tra i quali il fratello di "Franco"; che quell'azione nemica forse era stata condotta in conseguenza della "sparizione di 2 tedeschi" per opera della banda di "Franco".
               
senza data - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sul combattimento di Trovasta del 27 marzo 1945

senza data - Testimonianza di "Blasco" [anche Basco, Giacomo Ardissone, vice comandante della II^ Brigata "Nino Berio"] sui fatti di Trovasta - Relazionava di avere catturato il 26 marzo 1945 due tedeschi che aveva poi tentato di scambiare con i 13 prigionieri partigiani in mano al nemico; che al diniego ricevuto aveva tentato uno scambio di 1 a 1; che gli venne rifiutata anche questa proposta; che venne fucilato uno dei due tedeschi fatti prigionieri, perché si era annotato di nascosto tutti i nomi dei garibaldini incontrati; che l'altro tedesco venne giustiziato dopo i fatti di Ginestro del 15 aprile 1945 quando il comando della VI^ Divisione diede l'ordine di liberarsi dei prigionieri tedeschi.

28 marzo 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che forse la spia "Carletto" era stata misteriosamente uccisa ad Albenga; che i tedeschi con un attacco [nella zona di Trovasta, Frazione di Pieve di Teco (IM)] al Distaccamento "Marco Agnese" avevano ucciso dei garibaldini, forse 3, e ne avevano catturati 10; che, dato che il comandante "Basco" [Giacomo Ardissone, vice comandante della II^ Brigata "Nino Berio"] teneva prigionieri 2 sergenti tedeschi, aveva chiesto a "Ramon" [Raymond Rosso, capo di Stato Maggiore della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] di tentare uno scambio di questi prigionieri con quelli in mano ai nazisti.

28 marzo 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione relativa alla proposta di assegnazione della medaglia d'oro al valor militare al caduto Roberto di Ferro, nato a Malvicino (AL) il 7 giugno 1930. Motivazione: "la sera del 26 u.s. il Dst. "M. Agnese" partiva in missione per minare un tratto della strada n° 28 compresa tra Pieve di Teco e Ponti di Nava. Un piccolo gruppo di 12 uomini rimaneva nel casone di Trovasta [Frazione di Pieve di Teco (IM)]. All'alba del giorno successivo, accompagnata da una spia, una colonna tedesca si dirigeva verso il casone. Avvistati i nemici che provenivano da tre direzioni diverse, scattava l'allarme, ma, impossibilitati a sganciarsi, il comandante "Trucco" ordinava di resistere. Caddero sul campo il comandante "Trucco" ed il partigiano "Sicilia". Gli altri 10 uomini venivano portati, esaurite le munizioni, a Pieve di Teco. Tra questi si trovava Roberto di Ferro che, interrogato senza rispondere nulla, alla notizia della propria condanna a morte rispondeva 'uccidetemi, i miei compagni mi vendicheranno'. Il giorno 28 a Pieve di Teco venivano fucilati i 10 partigiani".

29 marzo 1945 - Da "Biscio" alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che dopo la cattura degli uomini di "Franco" aveva chiamato un interprete "cercando di intercedere presso i tedeschi, ma non c'è stato nulla da fare: il 28 u.s. ne furono fucilati 9 alle ore 20"...

30 marzo 1945 - Da "G. 20" al SIM della VI^ Divisione - Informativa sull'arresto della banda di "Franco" [Giovanni Trucco], avvenuto il 27 marzo: "il casone nel quale sono stati sorpresi i garibaldini [della costituenda IV^ Brigata "Domenico Arnera" della VI^ Divisione] è lo stesso in cui fu arrestato 'Menini'. Il casone è da tutti i punti di vista inadatto per il soggiorno delle bande perché visibile da tutti e quattro i punti cardinali. Lino De Negri ed il padre Antonio, avendo saputo da un tedesco dell'imminente rastrellamento, partirono per avvertire i compagni, ma furono anche loro sorpresi. 'Franco' e Antonio De Negri furono uccisi sul posto, mentre gli altri furono fucilati a Pieve di Teco. Pare che i tedeschi siano stati indirizzati dalla concubina di Lino De Negri, che voleva vendicarsi di quest'ultimo".

30 marzo 1945 - Da "G. 20" al SIM della VI^ Divisione - Riferiva ancora sugli avvenimenti del 27 marzo: "la famiglia De Negri ha subito la perdita del padre e di due figli; la consorte di 'Elio' [Elio Galvani] e la famiglia di Trucco versano in condizioni economiche disastrose. Si prega il comando divisionale di elargire almeno 10.000 lire per ogni famiglia".

30 marzo 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 259, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Segnalava che "il Distaccamento 'M. Agnese' è stato travolto a Trovasta. Esiste la possibilità che sotto tortura qualche garibaldino possa far trapelare notizie relative al lancio" e con questa motivazione e con quella del maltempo chiedeva di far fare nella sua zona un unico lancio, seguito da eventuali lanci più piccoli.

2 aprile 1945 - Da "Violetta" alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Chiedeva di provvedere finanziariamente alle tre famiglie dei partigiani [catturati a Trovasta ed uccisi a Pieve di Teco] già segnalate da "Giglio" ["G. 20"] perché versavano in condizioni economiche disastrose.

2 aprile 1945 - Da "Violetta" alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava... che sussistevano gravi indizi a carico della concubina del commissario "Franco" [Giovanni Trucco], signora Angiolina, che era con i tedeschi a San Luigi.

6 aprile 1945 - Da "Giglio" [G.B. Vento] alla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava... che la squadra di "Franco" [Giovanni Trucco] era stata avvisata del pericolo incombente [riferimento all'eccidio di Trovasta del 28 marzo]; che la sottovalutazione del monito ricevuto era costata la vita a quei partigiani; che la signorina Angiolina [Angela Bertone, ex fidanzata di "Franco", Giovanni Trucco] si trovava a Pornassio, trattata bene dai tedeschi.

7 aprile 1945 - Da "Biscio" alla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che dopo la cattura degli uomini del Distaccamento di "Franco", Angiolina [Angela Bertone], ex fidanzata di "Franco", aveva accompagnato i tedeschi in una puntata su Vergana con la quale i nemici avevano bruciato 25 case, tra cui quella di "Ilda" [Gilda Piana], la quale aveva già subito un arresto sempre per opera della ricordata Angiolina...

8 aprile 1945 - Da "Dario" [Ottavio Cepollini] alla sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che ... era stato realizzato il soccorso alle famiglie dei patrioti caduti a Trovasta.

da documenti IsrecIm  in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II

sabato 26 dicembre 2020

Non è possibile che i partigiani mi uccidano!

llustrazione di Marisa Contestabile in O. Contestabile, Op. cit. infra

Al ritorno in Val Tanaro, a notte inoltrata, apprendemmo della morte di Rustida. Mia moglie mi disse: «Lui lo sapeva, lo sentiva; pochi giorni or sono me lo aveva detto». Non potevamo fare altro che intensificare la lotta per onorare la sua morte [...] giorni dopo, sul finire di marzo [1945], mi trovavo ad Alto con alcuni garibaldini. Mi informarono che il Vice Commissario di Divisione voleva incontrami: si trovava in una casa sopra il lavatoio che fungeva da recapito e da riparo ai partigiani di passaggio. Mi recai sul posto e il Commissario mi informò che c'era da fare il processo a due brigate nere che, in abiti civili, si erano recati nei dintorni di Ortovero armati di pistole e bombe a mano, cercando l'abitazione della zia di un partigiano per arrestarla e condurla ad Albenga. Uno dei due era già stato partigiano, facendo poi la spia per i fascisti. Con quello che sapeva arrecò notevole danno alle formazioni partigiane e a quanti collaboravano con le stesse. Il secondo era un ragazzo di circa 16 anni, di Milano. Come sua attenuante raccontava una strana storia: diceva che era stato catturato dalle brigate nere e messo in prigione nella caserma di Albenga e lì detenuto per un lungo periodo. Gli avevano proposto di accompagnare un camerata in una missione, per la quale non avrebbe corso nessun rischio e non avrebbe recato danno a chicchessia. Il tribunale, dopo aver interrogato tutti e due gli imputati e ponderato attentamente quanto questi avevano dichiarato, emise la sua sentenza all'unanimità: condanna a morte. L'ex partigiano e la brigata nera, nell'apprendere la loro condanna a morte, chiesero di potersi confessare: cosa che gli venne accordata. Mentre stavo incaricando un garibaldino di andare a chiamare il vecchio prete del paese, il Vice Commissario mi disse: «Mi faccio imprestare l'abito talare dal prete e, anzichè confessarlo lui, lo confesso io». Mi opposi allo stratagemma e mandai invece a chiamare il parroco, il quale arrivò molto rapidamente e si appartò nell'altro locale del piccolo appartamento col prigioniero. Dopo un periodo di tempo che mi sembrò troppo lungo, bussai alla porta e entrai; il prete era solo! Gli chiesi notizie del prigioniero e mi rispose: «Aveva urgente necessità di recarsi al gabinetto ed è lì che si trova». Mi ricordai allora che una finestrella di questo dava sulla strada: con una spallata aprii la porta del gabinetto. La grata della finestrella era stata strappata e il prigioniero, di esile corporatura, era riuscito a dileguarsi. Assieme ai garibaldini che avevano catturato i due brigatisti, andai alla ricerca del fuggiasco. Eravamo coadiuvati dalla gente del paese, che ben sapeva cosa sarebbe successo se il prigioniero fosse riuscito a dileguarsi.
Qualcuno di loro mi disse: «Hai voluto dargli il prete ma, se riesce a sfuggire, a quelli di noi che riuscirà a catturare stai pur certo che il prete non glielo chiamerà». Non potei rispondergli altro che «Hai ragione, ma vedrai che lo prendiamo». Dopo un po' lo scorgemmo dalla parte del ponte della mulattiera che porta al passo di S. Giacomo, e con alcune raffiche lo fermammo per sempre. Solo allora pensai che nessuno era rimasto a far la guardia all'altro prigioniero! Mi precipitai in paese e, quando lo ritrovai con la testa sul tavolo che piangeva, ma senza nessuno a fargli la guardia, non potei fare a meno di dirgli: «Sei proprio uno stupido, perché non sei scappato?» e lui mi rispose:« Vi ho detto la verità; non è possibile che i partigiani mi uccidano!», replicai:«Tu sei già morto». Arrivarono i partigiani che lo avevano catturato (non erano del mio reparto) e gli diedero una zappa e un badile che si erano fatti imprestare da un contadino e lo condussero dove si trovava il cadavere dell'altro prigioniero che aveva cercato di fuggire dicendogli: «Adesso devi scavare la fossa per te e per il tuo compagno, poi lo andrai a raggiungere». Il poveraccio iniziò la sua opera; si vedeva benissimo che non aveva mai adoperato quegli attrezzi. I garibaldini che erano con me erano tutti lombardi e mi dicevano:«Non puoi permettere questo, devi intervenire!» Ma come potevo farlo? Era triste quanto stava succedendo; ma avevo fatto parte anch'io del Tribunale che aveva condannato a morte i due: avevamo delle leggi che nessuno mai aveva scritto, ma alle quali tutti dovevano il massimo rispetto. Tutt'al più potevo risparmiargli la fatica di scavarsi la fossa; ma allora sarebbe morto prima.
Speravo che accadesse qualcosa, non sapevo neanch'io che cosa.
Senza saperlo, forse credevo ai miracoli.
Mentre pensavo a tutte queste cose, seguivo con lo sguardo uno dei garibaldini che avevano catturato i due: stava tagliando con un coltello un virgulto di castagno e poi lo puliva per bene. Finito di preparare la sferza, si avvicinò al disgraziato che cercava di scavare la sua fossa, e con quella lo colpì dicendogli: «Sbrigati, perchè non possiamo stare tutto il giorno ad aspettare che tu abbia finito! Mi avvicinai, gli tolsi a forza la sferza dalle mani e urlai: «Nella zona dove comando io, queste cose non si fanno; e questa è la zona di competenza della IV Brigata. Pertanto, se volete fucilarlo, scavategli la fossa, altrimenti lo porto con me in Val Tanaro e la fossa la scaveremo noi domani». Lui mi rispose: «Fai come credi; ricordati però che domani lo devi fucilare» e, dopo essersi consultato con i suoi compagni, mi disse con sarcasmo: «A seppellire il morto, dato che è la tua zona, devi pensarci tu!» e si allontanarono. Pregai allora alcuni uomini del paese, che avevano seguito la scena da poca distanza, di finire loro la fossa e di seppellire il brigatista morto. Noi ci avviammo verso la Val Tanaro con il prigioniero. Era buio quando raggiungemmo il Distaccamento (non mi ricordo bene chi lo comandava e neanche il nome del Distaccamento). I garibaldini che erano con me mi avevano raccomandato caldamente di fare tutto il possibile per non fucilare il ragazzo, ma per far questo ci voleva un valido motivo, e questo poteva essere costituito da una domanda di grazia formulata da tutti i componenti del Distaccamento. Il nostro prigioniero era in uno stato pietoso, e si trascinava a stento su per l'impervio sentiero, aiutato dai suoi stessi guardiani. Radunai tutti i componenti del Distaccamento e raccontai quanto era accaduto quel giorno ad Alto, informandoli che anch'io avevo fatto parte del Tribunale che aveva condannato i due fascisti. Al prigioniero ingiunsi di raccontare quanto aveva riferito lui al mattino al Tribunale che lo aveva condannato: solo se i componenti del Distaccamento avessero chiesto la sua grazia avremmo potuto trovare il sistema per salvarlo. Lasciai il poveraccio a raccontare la sua odissea e i garibaldini a decidere sulla sua sorte. Il ragazzo tremava dal freddo e dalla febbre; lo avevano fatto accomodare vicino al fuoco dove bolliva la marmitta. Poco dopo mi sedetti al suo fianco in silenzio; accesi una sigaretta e ne offrii una anche a lui, il quale terminò di raccontare la sua vicenda. Dopo il silenzio che seguì mi disse, alludendo alla sigaretta che stava fumando: «Chissà, forse sarà l'ultima». Gli risposi: «Vedi, io ho un fratello del 1928, su per giù ha la tua età, è partigiano anche lui perché i tedeschi e i fascisti volevano arrestarlo al posto mio, e questa mattina, durante il processo, pensavo a lui. Se solo ci fosse stata una minima possibilità per te, avrei cercato di salvarti; ma non ce n'erano e non ce ne sono nemmeno adesso. La tua unica possibilità può venire dai lombardi, che sono la maggioranza dei componenti di questo Distaccamento. Credo che le tue possibilità non siano molte, ma vorrei che tu mi credessi: mi dispiace farti fucilare, e se questo dovrà avvenire, comportati da uomo anche se sei solo un ragazzo. Se vuoi scrivere alla tua famiglia ti prometto che, alla fine della guerra, farò consegnare il tuo scritto». Mi ringraziò, ma mi disse: «Voglio ancora sperare» e mi chiese un'altra sigaretta. Continuammo a fumare in silenzio e aspettammo.
Il cuoco aveva tolto dal fuoco la marmitta, era andato anche lui a decidere la sorte del prigioniero. Quando tornarono, uno di loro mi disse: «Se lo uccidiamo non per questo Rustida ritorna; e allora abbiamo deciso che lui prenderà il suo posto nella lotta ai nazifascisti». Si rivolse quindi al redivivo e gli disse: «Il tuo nome di battaglia sarà "Lazzaro", perché tu come lui sei risorto». Rivolgendosi a me disse: «L'abbiamo deciso all'unanimità, tutti d'accordo. Adesso sei tu che devi pensare a sistemare ogni cosa col Comando Divisione e col Comando Zona». "Lazzaro" continuava a piangere e a dire grazie a tutti. Mangiammo e, nel mentre, il Commissario del Distaccamento mi avvicinò, chiedendo come pensavo di comportarmi con i Comandi. Gli dissi: «Adesso prepari una domanda di grazia da parte dei componenti del Distaccamento e la indirizzi al Comandante della Brigata Alpina «D. Arnera» [n.d.r.: solo il 16 aprile 1945 la IV^ Brigata della Divisione Bonfante venne ufficialmente definita "Val Tanaro" e solo il 24 aprile "Domenico Arnera": le esigenze del racconto di sicuro indussero il comandante Garibaldi a non andare troppo per il sottile sui nomi!], Fra Diavolo. La firmate tutti, ne fai due copie e una la invio al Comando di Divisione informandolo di aver concesso la grazia al condannato di cui mi assumo tutte le responsabilità. Poi farò il giro degli altri Distaccamenti e chiederò la solidarietà di tutti: sono certo che l'avrò e allora non ci sarà più da preoccuparsi!». Il mattino seguente tutti firmarono e iniziai il giro dei Distaccamenti. Tutti diedero la loro approvazione e mi confermarono la solidarietà. Alcuni giorni dopo ricevetti l'ordine di mandare un Distaccamento a Viozene, a disposizione del Comando Zona. Decisi di andare con cinque squadre, una per distaccamento e col vice Comandante di Brigata Lello [Raffaele Nante]. Credevo che Osvaldo [Osvaldo Contestabile], il Commissario, ormai completamente ristabilito, prendesse contatto con i vari Distaccamenti e anche con i componenti del C.L.N. perchè, è doveroso dirlo, i contatti con i vari componenti degli stessi non erano sempre improntati alla più schietta cordialità [...] Arrivammo a Viozene e ci sistemammo in una frazione del paese. Subito dopo mi recai a salutare Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria]. Mi feci accompagnare da alcuni garibaldini, ma lasciai Lazzaro con Lello [Raffaele Nante, in seguito vice comandante della IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Domenico Arnera" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] e gli altri, raccomandando loro di fare in modo che non rimanesse mai solo. Curto mi chiese notizie della Brigata alpina, dei Distaccamenti, dei loro Comandanti. Lo informai di Rustida, forse era stato il primo ex Sanmarco a diventare Comandante di Distaccamento [...] «Ho saputo che ora concedi la grazia ai condannati a morte da parte di un nostro Tribunale del quale anche tu hai fatto parte, e salvi la vita a una brigata nera». Gli spiegai gli eventi appena raccontati, e lo informai che Lazzaro era a Viozene, nel caso volesse parlargli; mi rispose: «Se capiterà l'occasione; ma non voglio annullare quanto hai fatto, e tanto meno approvarlo». Chiamai i ragazzi che erano venuti con me al Comando e, davanti a loro gli dissi: «Mi assumo la responsabilità totale di quanto ho fatto: se Lazzaro non si comporterà da partigiano, se dovesse fuggire a fare la spia, accetterò la mia sorte quale che essa possa essere; ma non dovrò essere giudicato da un tribunale partigiano, dovrai essere tu a decidere, soltanto tu ed è per questo che ho voluto che loro fossero presenti.» E Curto il duro, il fanatico, il terribile, mi rispose: «Hai fatto quanto credevi giusto e io lo approvo; accompagna pure da me il tuo Lazzaro, convaliderò così la tua grazia» ed ai garibaldini che gli assicuravano che nulla di male sarebbe successo a causa dell'ex prigioniero della brigata nera, rispose: «Ne sono certo!»

Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994, pp. 184, 185, 186, 187, 188

Aveva cambiato idea dopo la fuga di uno? Decisi di intervenire, l'esecuzione poteva aver luogo da un istante all'altro. Presi la lettera e mi rivolsi al commissario: «Boris, non si potrebbe aspettare? Se effettivamente avesse voluto disertare? Non ha ammesso di essere stata una Brigata Nera e forse esiste quel contadino cui ha chiesto dove fossero i partigiani e come potesse raggiungerli. Cerchiamolo e vediamo se quel che ha detto è vero. Ognuno di noi avrebbe fatto come lui se, arrestato, non avesse avuto altro mezzo per tornare libero».
Boris non rispese, rimase qualche istante sopra pensiero poi uscì.
«Anche a me secca fucilarlo specie quando ho visto che non è scappato quando, per prendere l'altro, lo abbiamo lasciato solo». Disse Turbine.
Uscimmo tutti per andare a pranzare in trattoria, la giornata movimentata ci aveva messo appetito. «Fortuna che quello che era scappato l'avete preso!» ci disse un contadino quando entrammo. «Cercate di sistemare presto l'altro prima che vi scappi». Poi visto che guardavamo tutti una porta dietro di lui tacque e si volse: era entrato Boris [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione "Silvio Bonfante"] col prigioniero: «E' stato graziato, d'ora in avanti sarà partigiano come noi: lo chiameremo Lazzaro perché era morto e adesso è vivo!».
«Se però ne combina qualcuna la responsabilità è tua!» disse Turbine rivolto a me.
Lazzaro fu accolto fraternamente, lo facemmo sedere accanto a noi, dividemmo con lui il pranzo. Libero, il dottore di brigata, gli medicò le ammaccature. Finito il pasto Fra' Diavolo lo arruolò nella sua banda rivolgendogli alcune parole di circostanza: «Devi dimenticare il passato comprese le botte che hai preso. Da oggi sei uno dei miei e sarai trattato come gli altri compagni. Se farai il tuo dovere non avrai da lamentarti, altrimenti pagherai come pagano tutti i partigiani quando mancano».
Il brusco cambiamento mi impressionò. Come era possibile che un uomo, che pochi istanti prima era odiato a morte, potesse ad un tratto esser considerato un compagno, un fratello, pure quello era l'animo partigiano: non odiavamo l'uomo ma la divisa che indossava, la parte per la quale combatteva. Se l'uomo non era stato fascista, ed anzi diventava partigiano, ogni motivo di rancore spariva. La teoria era facile, ma la pratica non cessava di meravigliarmi. E le parole di Turbine, che peso avevano? Il tono era scherzoso, ma la realtà poteva esserlo meno. Avrei voluto obiettare che io non avevo detto arruolatelo con noi, ma sospendete l'esecuzione e fate altri accertamenti. Ma compresi che non era il caso. Sarebbero stati capaci di dirmi: «Insomma decidi tu o lo teniamo con noi o lo fuciliamo...».
Non ebbi più notizie di Lazzaro fino al 15 maggio.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, p. 220

Combinazione proprio allora passò da quelle parti Fradiavolo con la sua banda al completo in trasferimento per la Val Tanaro; capitò proprio lì, quando quegli uomini della squadra comando avevano preso il prigioniero della brigata nera per farlo fuori. - Forza, fa presto battifiacca - gli dicevano picchiandolo sulla schiena ogni tanto, mentre lui piangeva e si scavava la fossa con la zappa. Fradiavolo si era fermato a vedere la scena; e intanto pensava al traffico che c'era in Val Tanaro, ai fascisti e ai tedeschi che a quell'epoca bruciavano i paesi. - E invece no, nient'affatto; via di qua e basta così - gli disse tutt'assieme a quegli uomini che picchiavano, come se si fosse svegliato lì per lì. - Adesso questo qui me lo prendo io, e la fossa gliela faremo noi; ma in Val Tanaro gliela faremo: capito? [...] Ma poi gli venne in mente che quel ragazzo non c'era ritornato dai fascisti, nemmeno quando gli lasciarono la finestra aperta dal prete; e che piangeva quando lo picchiavano; che adesso gli pareva così giovane, lì tra i suoi uomini, a scendere nella Val Tanaro sotto il sole a picco, tutto pieno di botte.
- Stammi bene a sentire - gli disse allora il capobanda riprendendo a camminare più svelto,- io mi fido di te; tu adesso basta, stai zitto e cammina; ma è meglio che fai attenzione, e che d'ora in poi tu non ti sbagli più; sennò stavolta la fossa te la scavi con tutti i sentimenti, tutta intera, e ben bene come si deve: hai capito?
Poi Fradiavolo, andando in fretta nell'erba alta, guardò gli uomini curvi sotto gli zaini: non gli disse altro al milite finché furono da quelle parti in cresta, perché prima voleva sapere di preciso se l'avevano visto nei paesi sì o no il fumo degli incendi dei fascisti; se prima di lasciare la valle di qua, la brigata nera l'aveva fatta la rappresaglia al solito.
Soltanto dopo, quando furono proprio sicuri nella valle di là, e posarono un'altra volta gli zaini nell'erba molle dei prati, gli parlò un poco al milite e ai suoi uomini che lo guardavano fisso per sapere cosa decideva.
- Alé ragazzi - , gli disse rallentando un poco il passo e guardandosi intorno; - lui adesso è diventato dei nostri, e d'ora in poi lo chiameremo Lazzaro, essendo che anche lui come quello là che dicono, è risuscitato dalla fossa: adesso ce lo teniamo con noi, e ce lo porteremo nella Val Tanaro a fare il partigiano; ragazzi, siamo d'accordo?
Dopodiché, lui davanti e tutti gli altri dietro, si misero a correre in discesa verso la Val Tanaro; parevano tutti allegri e spensierati.
Capitò così che a quel milite della brigata nera, ancora un ragazzo, facendo d'ora in poi il partigiano come si deve nella Val Tanaro, e poi anche in Valle Arroscia e in tutti gli altri posti fin dove andarono a quel modo da guerriglieri, gli rimase sempre per sé soltanto, sto nome di battaglia che se l'era guadagnato piangendo: che gli diedero quella volta come ho detto, proprio per una combinazione lì per lì, sull'orlo della fossa.

Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 214-217

29 marzo 1945 - Da "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che aveva processato due ragazzi inviati dalla Brigata Nera di Albenga; che il primo era stato fucilato; che il secondo, dissociatosi dalla missione di cui era stato incaricato, era stato aggregato alla formazione di "Fra Diavolo". Aggiungeva che la puntata tedesca tra San Calogero ed Ortovero fosse stata organizzata per recuperare la salma della spia di Ortovero, Richero.
da documento IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia, Anno Accademico 1998-1999

domenica 20 dicembre 2020

A Baiardo (IM) i giovani presentatisi vennero in parte fucilati ed in parte inviati in Germania


Baiardo (IM)
 
7 gennaio 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] di Fondo Valle della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della II^ Divisione - Avvertiva di un imminente rastrellamento ad opera della compagnia O.P. del capitano Ferraris di concerto con tedeschi di stanza a Taggia (IM) o nella Val Tanaro; comunicava che i 100 uomini della O.P. avevano morale alto ed erano forniti di armamento automatico; segnalava che la risposta di un milite, cui era stato chiesto il motivo per cui osavano avventurarsi in così pochi in zone infide, era stata che essi potevano per l'appunto contare sul supporto di forze tedesche.

7 gennaio 1945 - Dal comando della II^ Divisione al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Sulla risposta di giovani alla chiamata alle armi della Repubblica Sociale si opinava che "coloro che si sono presentati sono i giovani imboscati di sempre; gli ex garibaldini si contano sulla punta delle dita e sono quasi tutti presi [si contava sulla possibilità che questi ultimi facessero da infiltrati] e rimarcava di rammentare ai giovani quanto accaduto a Baiardo (IM) "dove i giovani presentatisi vennero in parte fucilati ed in parte inviati in Germania".

8 gennaio 1945 - Dal S.I.M. della I^ Zona al comando della Divisione "Silvio  Bonfante" - Informazioni militari: sul transito in Caramagna [Frazione di Imperia] di 2 camion con 40 tedeschi a bordo; che 3 delatori (Musso, Ozenda ed un terzo di cui veniva data solo la descrizione fisica) avevano indicato al nemico la strada per Vasia (IM); che da Ceva (CN) erano giunti 60 fascisti a Porto Maurizio [Imperia]; che ad Albenga (SV) erano arrivati molti tedeschi per un possibile rastrellamento nella zona ingauna.

8 gennaio 1945 - Dal comando della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione, prot. n° 140 segreteria, ai comandi I° Battaglione "Mario Bini", II° battaglione "Marco Dino Rossi", III° Battaglione "Orazio 'Ugo' Secondo" - Comunicava che alcuni giovani si erano presentati ai competenti uffici della RSI (Repubblica Sociale) perché i loro genitori temevano rappresaglie per cui era necessario assumere severi provvedimenti contro chiunque svolgesse propaganda contro il movimento partigiano.

8 gennaio 1945 - Dal comando della V^ Brigata, prot. n° 141 segreteria, ai comandi I° Battaglione, II° Battaglione, III° Battaglione - Veniva criticata l'azione svolta il giorno precedente contro i tedeschi a Montalto [Montalto Ligure, oggi parte del comune di Montalto Carpasio (IM)] ed a Molini di Triora in quanto i Distaccamenti avevano sparato da una distanza eccessiva.

8 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo” - Il comando rispondeva negativamente alla richiesta di armi automatiche a causa della scarsità delle medesime e segnalava che il comandante Fra Diavolo [Giuseppe Garibaldi] risultava irreperibile.

da documenti Isrecim in Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia, Anno Accademico 1998 - 1999