lunedì 9 giugno 2025

Curto si qualificò come comunista, responsabile delle formazioni partigiane che agivano nella zona

Rezzo (IM). Fonte: mapio.net

In quel periodo ero venuto a conoscenza di uno scontro di ribelli imperiesi a Montegrazie; a Rezzo erano stati disarmati i Carabinieri. Ma non riuscii a sapere niente di più delle forze partigiane che erano state protagoniste dei due episodi. Perciò a febbraio [1944] decisi di recarmi in Provincia di Cuneo con l'obiettivo di arruolarmi nelle formazioni G.L. Messomi in cammino al mattino presto, mi trovavo già nei pressi di San Bernardo di Conio, sul versante di Rezzo e scendevo di buon passo, quando incontrai un uomo che salutai col buongiorno, senza fermarmi: era Curto [n.d.r.: Nino Siccardi, futuro comandante della I^ Zona Operativa Liguria], che io ancora non conoscevo. Lui, con una voce pacata e lenta, disse qualcosa sul mio passo spedito, io gli risposi che ero nativo di Cipressa e che dove andavo a lui certo non doveva interessare. Sempre parlando in dialetto, mi rispose: «Io sono di Artallo, ma mi farebbe piacere sapere dove vai». 
Ero armato di una pistola Beretta calibro 9 corto e di due bombe a mano Breda; non avevo ancora 23 anni e avevo detto il nome del mio Paese quasi come un atto di sfida; ma adesso, se volevo rispondere sinceramente, lui sapeva dove trovare la mia famiglia: chissà chi era e come la pensava; perciò decisi di andarci cauto e gli dissi: «Vedete, brav'uomo, se non vi avessi risposto sinceramente sul paese dove sono nato, potrei dirvi anche dove vado, ma a casa ho lasciato mia madre e mio fratello più giovane di me; mio padre è morto il mese scorso e non voglio che abbiano altri guai». Nel dir questo avevo messo la mia mano nella tasca del giubbotto e tolto la sicura della Beretta. Lui aveva certamente notato il mio gesto, ma non disse niente, e iniziò a parlare dicendo che, dato che io ero più giovane, sarebbe stato giusto che mi spiegassi per primo, ma che capiva la mia situazione e che si sarebbe fidato di me. Tolsi la mano dalla tasca del giubbotto.
Si qualificò come comunista, responsabile delle formazioni partigiane che agivano nella zona. Io gli raccontai le mie brevi esperienze di ribelle e la mia intenzione di raggiungere le formazioni G.L. nel cuneese. Si informò sulla mia vita militare, sulle mie esperienze sui vari fronti e mi disse, con la più grande naturalezza: «Invece di andare nelle formazioni G.L. sarebbe meglio che tu ti presentassi alla «milizia fascista» per arruolarti; con le tue campagne di guerra ti accoglierebbero a braccia aperte». Era intenzione di Curto sfruttare la mia esperienza inviandomi come infiltrato per poter organizzare un colpo di mano per rifornirci di armi e munizioni. «Dopo che ti sarai ambientato, ti faremo avvicinare da un nostro uomo col quale studierete il modo migliore per fare un colpo di mano nella caserma, per impadronirvi delle armi. Abbiamo bisogno di armi e munizioni!»
«Non posso farlo» gli dissi «prima di tutto perché esporrei mia madre e mio fratello alle rappresaglie dei fascisti e poi anche perché non mi sento di indossare la camicia nera, neanche per fare il doppio gioco». Allora mi disse: «Torna a casa, ti farò sapere se intendiamo affidarti un incarico a Imperia, con una copertura adeguata per il servizio in città. Oppure, se quanto ti verrà proposto non fosse di tuo gradimento, potrai sempre andare nelle G.L. come era nelle tue intenzioni, o in un nostro Distaccamento».
Gli dissi che mi sarei fermato a Carpasio, presso un conoscente (Paolo Gallo detto Paulò), e lì avrei aspettalosue notizie. Ritornammo a San Bernardo di Conio insieme; l'uomo mi piaceva e mi pareva convincente anche la sua fede comunista; il comunismo avrebbe risolto tutti i problemi del mondo, ne era certo, di una certezza matematica che mi affascinava. Ci separammo: lui scese verso Conio, io salii verso Colle d'Oggia a Carpasio.
Lo incontrai ancora alcuni giorni dopo; la proposta era accettabile, mi sarei dovuto presentare al Comando dei Vigili del Fuoco, dove avevano bisogno di autisti, e sarei stato arruolato immediatamente. Il mio nome era già stato segnalato: in seguito sarei stato avvicinato da un rappresentante del P.C.I. Mi diede le istruzioni per il riconoscimento. Accettai: unica mia condizione fu di avere un solo contatto. Certo: mi disse che era giusto e prudente comportarsi così.
Mi presentai al Comando dei Vigili del Fuoco e fui arruolato immediatamente. Per alcuni mesi feci tutto quanto mi venne ordinato. Avevo una fifa da matti; chiesi ripetutamente di lasciare l'incarico per tornare in montagna, ma per un motivo o per l'altro la autorizzazione non arrivava mai. Allora un giorno, piantai tutto e mi presentai a Makallé, un Comandante di Distaccamento, nativo di Costa di Carpasio.
Il Distaccamento era di base in alta Val Prino. Poco tempo dopo venni eletto capo squadra. Il nostro raggio d'azione era la Via Aurelia: dal Prino ad Arma di Taggia-Taggia (il mio nome di battaglia era Negro). Ci spostavamo sulla via Aurelia dopo una marcia di tre e anche di quattro ore: il che naturalmente voleva dire altrettanto tempo per il ritorno. Avevamo un mitragliatore Saint'Etienne: lo adoperava in maniera perfetta Giacò, col quale avevo fatto le prime esperienze da ribelle nel gruppo di giovani e meno giovani del mio paese.
I pochi mesi di tensione continua che avevo passato nei Vigili del Fuoco, col pensiero fisso alle torture che mi avrebbero inflitto i fascisti se mi avessero catturato per farmi parlare, avevano creato in me uno stato di bisogno d'agire che si calmava soltanto durante l'azione. 
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo) *, Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994, pp. 74-76

* [n.d.r.: Garibaldi fu il comandante della Brigata "Val Tanaro", la quale nell'ultimo mese di guerra divenne la IV^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Domenico Arnera", sempre della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"]