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martedì 31 agosto 2021

Giunge voce che i tedeschi, scesi dal San Bernardo, si stiano dirigendo verso Garessio

La stazione ferroviaria di Pievetta, Frazione di Priola (CN) - Fonte: Wikipedia

Il distaccamento “Volantina” si trovava a Pievetta, tra Priola e Bagnasco, lungo la statale 28 Ormea-Ceva. Quando una colonna tedesca guidata da due autoblindo cercò di raggiungere Garessio ebbe inizio un conflitto a fuoco che vide gli uomini di Massimo Gismondi "Mancen" in evidente inferiorità di uomini e di mezzi. Durante il combattimento venne ferito in modo serio il caposquadra Agostino Moi. Mancen capì che le condizioni non gli permettevano di portare al sicuro il suo uomo e decise di nasconderlo sul posto per poi tornare a riprenderlo. I partigiani si ritirarono e i tedeschi entrarono in paese. All'improvviso, due aerei alleati attaccarono i reparti motorizzati nazisti sulla strada proveniente da Ceva; un'autoblinda venne colpita e la colonna sbandò: questo permise all’intero reparto partigiano di disimpegnarsi e attestarsi sulle alture. Nella notte tra il 25 ed il 26 luglio 1944 Mancen ritornò insieme a un gruppo di volontari, ma le ricerche di Moi furono vane. Il suo corpo venne ritrovato casualmente soltanto nel 1976 da un contadino di Pievetta e riconosciuto dalla sorella per i due denti d’oro presenti sui poveri resti.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, Edito dall'Autore, 2020

[ n.d.r.: tra i lavori di Giorgio Caudano: a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016  ]   
 
Pievetta. Fonte: mapio.net

Siamo al primo mattino del 25 luglio 1944. Giunge voce che i tedeschi, scesi dal San Bernardo, si stiano dirigendo verso Garessio, mentre un altro reparto, già in sosta a Ceva, si sta avviando verso l’Alta Val Tanaro, controllata da oltre un mese da un gruppo partigiano che ha stabilito un piccolo presidio in Pievetta, frazione di Priola. Verso le ore 16:00 in paese si sentono  raffiche di mitraglia provenienti dalla strada di Roccaprencisa, distante circa due Km dall’abitato  di Pievetta. Si tratta di un attacco partigiano, durante il quale resta ucciso un soldato tedesco. La popolazione di Pievetta, poco più di 550 anime, in massima parte donne e anziani, è in subbuglio. Chi può scappa nei boschi, altri si rifugiano nelle cantine. Intanto la colonna tedesca munita di carri armati e mortai continua l’avanzata verso il paese e, senza un apparente motivo, inizia la terribile rappresaglia. Fuoco dei mortai e raffiche di mitra contro la Chiesa e le case circostanti, bombe a mano lanciate a casaccio nelle finestre delle case e nei cortili terrorizzano la popolazione, causando anche le prime vittime. Dopo questa prima esibizione selvaggia, segue il rastrellamento di uomini, donne, bambini. Mentre i primi vengono rinchiusi in una cappella sconsacrata, donne e bambini sono condotti in Chiesa e, nella notte, rilasciati. 26 luglio 1944. Di prima mattina viene chiesto agli uomini, ai quali si è già lasciato capire che saranno destinati a un “campo di lavoro”, se “sono pronti a partire”. Alla loro risposta affermativa, sono fatti uscire e viene formato un gruppo di nove uomini tra i 28 e 65 anni che, avviati verso un prato, a circa 50 mt. dalla chiesa, vengono trucidati a raffiche di mitra alla nuca. In concomitanza a questo terribile evento, altri sono assassinati nelle case o per le strade mentre viene appiccato il fuoco a fabbricati rustici e civili. Entrano nella Casa Canonica dove, non trovando l’Arciprete, freddano suo padre di 68 anni che stava dormendo e poi incendiano il letto. Di lui non rimane neppure il cadavere. E il massacro di innocenti continua fino al pomeriggio. Contemporaneamente squadre apposite iniziano a incendiare le case, in breve il fuoco si propaga ovunque. E’ vietato ogni tentativo di spegnimento. Colonne dense di fumo si innalzano verso il cielo e ricoprono la vallata per vari chilometri. Vecchi, donne e bambini sono obbligati a lasciare il paese, mentre l’opera di distruzione viene ripresa con più metodico accanimento. 27 luglio 1944. Le rovine delle case fumano ancora, i morti giacciono insepolti nei prati, sulla strada, nelle case. E’ terribile il bilancio di queste giornate: un villaggio di circa 550 abitanti e 80 case viene punito, senza motivo, con 18 vittime e 50 fabbricati distrutti. Le vittime assassinate il 25 luglio: Bonardo Vincenzo di anni 60 vedovo (pensionato ex ferroviere). De Matteis Domenico di anni 43 coniugato con tre figli (falegname). Facchinetti  Marino di anni 35 celibe (capostazione). Guido Luciano di Berna di anni 33 coniugato con un figlio (operaio ferroviere). Roberi Natale di anni 60 coniugato con cinque figli (contadino). Bertino Pietro di anni 28 celibe (studente) . Massironi Guglielmo di anni 39 celibe. vittime correlate all'eccidio Roberi Natale di anni 61 coniugato con tre figli (contadino), ucciso la sera precedente; Roberi Vincenzo di anni 79, coniugato con due figli (contadino),oppresso dall'asma,muore colpito da una bomba a mano scagliata dalla finestra; Roberi Mario e Alfonso di anni 45 e 41 (contadini), sorpresi intorno alla salma del padre, vengono trascinati  attraverso l'aia nel vicino seccatoio, sono trucidati in presenza dei famigliari; Canavese Giuseppe di anni 35 coniugato con 4 figli (contadino), tornato al paese per vedere la famiglia , viene ucciso sul pianerottolo di casa; Bruno Giuseppe di anni 57 coniugato con 2 figli (contadino), dopo essere uscito dal fienile nel quale si era nascosto, viene sbeffeggiato e in seguito ucciso Roberi Benone di anni 52 (contadino), mentre tenta di trarre in salvo il bue, viene ucciso e il suo cadavere viene rinvenuto bruciato e irriconoscibile; Civalleri Paolo di anni 68 (padre del parroco), viene ucciso nel suo letto e in seguito bruciato, lasciando di lui solo pochi resti; Francesia Carlo di anni 41 (invalido), menomato di un braccio, pensa di essere risparmiato per la sua condizione, viene ucciso spietatamente.
Redazione, in memoria degli "Altri" dal 25 al 27-07-1944 Pievetta, VB Studio Fossano
 

Fonte: VB Studio Fossano cit. supra

Dal 25 al 29 luglio 1944 l’Alta Valle Tanaro, in provincia di Cuneo, fu oggetto di una serie di rastrellamenti da parte dell’occupante tedesco che cercava uomini da deportare in Germania come forza lavoro, sfruttando la presenza di fabbriche chimiche e meccaniche e di miniere con manodopera specializzata. In più voleva riaprire la fondamentale strada di collegamento tra Piemonte e Liguria e con una manovra a tenaglia eliminare le forze partigiane presenti.
I primi scontri a fuoco furono sul Colle San Bernardo a Garessio con i partigiani costretti a ripiegare. Con l’ingresso in città ci furono i primi morti (Piantino Dionigi freddato da un cecchino tedesco appostato sul Castello del Borgo, la tabacchina Aurelia Salvatico uccisa senza motivo davanti alla Lepetit e il cantoniere del Colle San Bernardo Luigi Giuseppe Correndo accusato di essere un partigiano).
Iniziarono così giorni di orrore anche a Nucetto, Bagnasco e Priola, che culminarono nell’eccidio di Pievetta del 25 luglio con la frazione incendiata e ben 17 vittime civili. I numeri sono impietosi: 30 fucilati, 430 ostaggi catturati, 122 partiti per la Germania di cui 54 fortunosamente riescono a fuggire durante il lungo viaggio. Saranno 68 i deportati nei campi di lavoro tedeschi, la grande maggioranza in quello di Kahla in Turingia nel complesso denominato Reimahg e di questi morirono in 17.
In due giorni (27-28 luglio) gli ex alleati cercarono in ogni casa di Garessio tutti gli uomini, ottenendo scarsi risultati; uno dei fuggitivi, il partigiano garibaldino Oreste Petacchi morì colpito da un cecchino vicino al fiume Tanaro.
L’ordine dato era perentorio: portare tutti nel salone dell’Albergo Miramonti, sede del comando tedesco ed ora rudere dopo un violento incendio. Così alle 7 del mattino del 28 luglio, due ufficiali della Gestapo entrarono nella Lepetit, storica fabbrica chimica di Garessio - il cui proprietario Roberto Lepetit era accusato di aiutare la Resistenza - dove iniziarono dei lunghi interrogatori. I dipendenti furono chiusi nel magazzino e solo gli ultracinquantenni furono liberati.
Cinque i condannati alla fucilazione, indicati come partigiani, nel cortile del Miramonti: Stefano Gazzano, Anselmo Battaglia, Domenico Salvatico, Giacomo Odello e il fortunato Giuseppe Campero che si salvò miracolosamente sotto la pioggia. Il mattino successivo, il 29 luglio, la partenza in treno verso la Germania: ai 44 garessini si unirono i 30 rastrellati delle frazioni di Piangranone e Mursecco e della vicina Priola, una quarantina di persone a Bagnasco e 12 di Nucetto.
Molti riuscirono a scappare dal treno e nei modi più diversi, a Savona furono costretti a firmare un foglio in bianco di lavoro, poi subirono il carcere di San Vittore a Milano, dove la signora Hilde Lepetit, moglie di Roberto, morto a Mauthausen nel maggio 1945, portò loro un prezioso pacco di indumenti e viveri che li aiutò durante l’internamento.
Al Brennero erano rimasti in 68, una decina di loro fu spedita nel bacino del Reno, gli altri a Kahla. Abbiamo raccolto le loro testimonianze dai libri di Renzo Amedeo, storico e partigiano, ex sindaco di Garessio, che aveva intervistato molti dei sopravvissuti e per il Giorno della Memoria 2020 sentito alcuni figli di deportati, come Giuseppe Canavero, Giovanni Chiotti e Elvio Marchetto. Nei loro ricordi quei tristi momenti in cui avevano detto addio ai loro padri e l’infinita gioia nel vederli tornare, magri, feriti nell’animo e malati, ma vivi.
I loro racconti erano terribili: turni di lavoro massacranti, la solidarietà tra compagni e tanta sofferenza. Freddo, fame, pidocchi ed anche una misteriosa malattia dopo un lauto pranzo. I lavoretti nelle famiglie tedesche nei paesini vicini al campo e qualche piccolo segnale di amicizia. Il 16 aprile la liberazione da parte degli Americani ed inizia un lento e difficile ritorno a casa durato anche mesi (alcuni addirittura a luglio o agosto). Molti di loro morirono di malattia in Germania o anche al ritorno in patria.
Diciassette i deportati del Reimahg scomparsi. I sei garessini: Adelmo Anfosso, lasciato nel campo di Kahla in stato di deperimento a soli 17 anni il 18 luglio morì nell’ospedale di Hummelshain; Luigi Cadenasso caduto da un’impalcatura non molto alta a 43 anni; Alfredo Giacomo Cristoforetti suo coetaneo deceduto a fine dicembre 1944 nell’infermeria dov’era ricoverato in gravissime condizioni; Germano Severino Fazio leva 1900 caduto sul lavoro ucciso dai suoi aguzzini a inizio dicembre; Antonio Reggio, 1901, trovato morto al mattino del 10 febbraio nella sua branda sfinito dalla sofferenza; e il cameriere Giovanni Rossella scomparso a 31 anni per via di un’infezione al piede nell’agosto ’45 nell’ospedale di Steintal.
Con loro due abitanti di Casario, frazione di Priola: Giulio Stellardo 42 anni e Angelo Alessandro Rosso, 43 anni morto al ritorno in Italia per via dei maltrattamenti subiti. Altri tre, nati a Garessio e rastrellati a Bagnasco, morirono a Kahla nei primi mesi del 1945: Giovanni Battista Giacomo Borgna 34 anni, Domenico Bozzolo di soli 19 anni e Giovanni Corrado 36 anni.
Della Valle Tanaro anche Luigi Ingaria, nativo di Massimino, 39 anni; i bagnaschesi Carlo Boffredo, classe 1900, morto nell’ospedale di Wilmer a fine aprile, ed Edmondo Mazza 44 anni caduto a maggio; nello stesso mese scomparve anche Carlo Parino di Nucetto, ugual sorte per Giuseppe Aschieri 40 anni e per il 19enne Giovanni Mattei.
Redazione, Garessio, Walpersberg Memorial

Esigenza primaria dei tedeschi era mantenere libere le comunicazioni tra Piemonte sud-occidentale e Liguria di Ponente, cioè la strada statale n° 28 della Valle Tanaro, ma anche la strada del colle S. Bernardo tra Garessio e Albenga. A questi obiettivi, si aggiunga un vero piano tedesco per il reperimento di mano d’opera da inviare in Germania che individua nella Valle Tanaro, industrializzata, le maestranze già addestrate. Tra il 25 e il 28 luglio irrompono in valle, risalendo da Ceva e da Albenga, la 34.Infanterie-Division con le Kampfgruppen Klingemann (I./Grenadier-Regiment 253) e Henning (Panzerjäger-Abteillung 34. I tedeschi selezionano i prigionieri fucilando e rinchiudendo gli altri nei vari paesi rastrellati, manifestando l’intenzione di sterminare e bruciare i villaggi. Il 26 luglio, infatti, le squadre incendiarie tedesche si mettono al lavoro per ridurre il villaggio di Pievetta (comune di Priola) ad un cumulo di macerie, saccheggiano e incendiano con i lanciafiamme (55 case incendiate, 500 persone dovranno vivere per 2 anni tra le macerie). Partita da Bagnasco una colonna tedesca risale la valle fino a Garessio, un’altra colonna giunta da Albenga scende direttamente su Garessio e in ogni paese si ripete la caccia all’uomo o il suo annientamento. Un gran numero di prigionieri viene realizzato tra gli operai dell’industria chimico-farmaceutica Lepetit e non solo. Dalla valle furono deportati complessivamente 243 uomini, ridottisi a 64 di cui 62 finirono a Kalha (in Turingia) ove ne morirono (a nostra conoscenza) 17. Per fortuna, durante le soste e il lungo tragitto ferroviario verso la Liguria e poi verso Milano e oltre, parecchi riuscirono a fuggire.
Elenco delle vittime decedute
1. Salvatico Aurelia. Nata Garessio (CN) 25/02/1898, residente Garessio, casalinga, uccisa Garessio 25/07/1944;.
2. Piantino Dionigi, nato Chiusa Pesio (CN) 05/07/1915, residente Garessio (CN), muratore, ucciso Garessio 25/07/1944, VI Divisione Autonoma, 13ª brigata “Val Tanaro”;
3. Correndo Luigi, nato Fossano (CN) 11/08/1897, residente Garessio (CN), cantoniere, ucciso Garessio 26/07/1944, VI Divisione Autonoma, 13ª brigata “Valle Tanaro”;
4. Battaglia Anselmo, nato Garessio (CN) 09/08/1909, residente Garessio, chimico, fucilato Garessio 28/07/1944, IV Divisione Autonoma, 13ª brigata “Valle Tanaro”;
5. Gazzano Ilario, di Celestino. Nato a Garessio (CN/I) il 11/03/1927. Ucciso il 28 luglio 1944.
6. Odello Giacomo, nato Garessio (CN) 15/01/1888, residente Garessio, macellaio, fucilato Garessio 28/07/1944, IV Divisione Autonoma, 13ª brigata “Valle Tanaro”;
7. Petacchi Oreste, nato Massa Carrara (MS) 23/09/1916, residente Garessio (CN), manovale, ucciso Garessio 28/07/1944, II Divisione Garibaldi Cascione, 1ª brigata “Belgrano”; partigiano
8. Salvatico Domenico, nato Garessio (CN) 23/03/1907, residente Garessio, operaio, fucilato Garessio 28/07/1944, IV Divisione Autonoma, 13ª brigata “Valle Tanaro”
Michele Calandri e Livio Berardo, Garessio, 25-28.07.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

Un esame più dettagliato del materiale processuale «provvisoriamente archiviato» dalla Procura generale militare può essere condotto attraverso lo studio a campione di quattro fascicoli rappresentativi della gran massa della documentazione occultata, relativi ad aree geografiche eterogenee e a fasi differenti della campagna militare: gli incartamenti intestati rispettivamente al maggiore Alfred Grundmann (fascicolo numero 1191 del ruolo generale), al capitano Richard Henning (n. 192), al tenente colonnello Karl Ortlieb (n. 657) e al sottufficiale Fritz Wunderle (n. 1954).
L’ultima settimana del luglio 1944 due reparti della divisione Brandenburg effettuarono una manovra a tenaglia nell’alta valle Tanaro, in provincia di Cuneo, per distruggere le formazioni partigiane autonome e garibaldine che minacciavano la sicurezza della strada statale n. 28. Secondo i piani concepiti dalla Geheime Feldpolizei 751 di stanza a Savona, la 13a compagnia Panzerjàger al comando del capitano Josef Tochtrop sarebbe scesa su Garessio dal Colle San Bernardo, mentre la 6' compagnia, guidata dal capitano Richard Henning, avrebbe inve­stito la cittadina dalla parte meridionale della vallata.’ Il 25 luglio 1944 questo secondo reparto, proveniente da Ceva, travolse le linee partigiane nei pressi della frazione Pievetta (comune di Priola), rastrellò casa per casa l’abitato e si macchiò di violenze efferate:
Uccisione di un vecchio di 80 anni da parte di un soldato tedesco.
Uccisione di un uomo di 61 anni e ferimento di un altro di 50 anni da parte di un ufficiale.
Ferimento di un uomo di 65 anni.
Uccisione di 9 uomini tra i 28 e i 65.
Uccisione di altri 2 uomini, uno di 45 e l’altro di 41, mentre si trovavano presso la salma del padre, poco prima ucciso dai tedeschi.
Uccisione e distruzione del cadavere di un uomo di 52 anni, sorpreso dai tedeschi mentre cercava di mettere in salvo le sue bestie.
Uccisione di un uomo di 36 anni, in presenza della moglie, mentre cer­cava di accompagnarla in un luogo sicuro.
Uccisione di un uomo di anni 57.
Uccisione di un uomo di anni 41, per giunta mutilato a un braccio.
Uccisione di un uomo di anni 46, trasportato in Bagnasco e poscia impiccato al balcone soprastante la porta d’ingresso alla farmacia di quel comune.
Inoltre due donne vennero violentate.
Le 19 uccisioni si accompagnarono a distruzioni e a ruberie di ogni genere, il paese fu dato alle fiamme (bruciarono 55 case su 80) e ai civili fu intimato di non spegnere l’incendio, a meno di incorrere nella più dura repressione.
I tedeschi mediante fosforo ed altre sostanze infiammabili incendiarono l’abitato, dopo averlo suddiviso in tre zone e vietarono ogni tentativo di spegnimento del fuoco.
Furono così distrutte moltissime case, tra cui quella parrocchiale, ed altre furono gravemente danneggiate, nonché mobili e masserizie. Infine i tedeschi saccheggiarono le abitazioni, rimaste incustodite, asportandovi tutti gli oggetti di maggior valore ed anche vini e liquori, con i quali si ubriacarono. Considerando tutto il paese preda di guerra, i tedeschi s’impossessarono anche di macchinario, di viveri e di capi di bestiame.
Ai rastrellamenti seguì una massiccia deportazione di forza-lavo­ro in Germania: circa quattrocento civili dell’alta valle Tanaro furono catturati e inviati nel Reich.
Il 10 maggio 1945 il comune di Priola e l’ANPI di Cuneo denunziarono al ministero della Guerra l’incendio e il massacro di Pievetta, «onde giustizia sia resa a questa popolazione». Le prime testimonianze furono raccolte dalla Commissione alleata d’indagine. L’incartamento predisposto nel 1945-46 per la Commissione delle Nazioni Unite per i delitti di guerra rimarcò la responsabilità di Henning, «tanto più che egli, quale comandante della colonna, dette ai suoi dipendenti l’ordine di essere "spietati" nei riguardi della popolazione civile della borgata Pievetta». Le imputazioni a carico del capitano concernevano la violazione degli articoli 185, 187 e 187 del Codice penale militare di guerra: violenza con omicidio contro privati nemici, saccheggio, incendio, distruzioni e gravi danneggia­menti; il caso ricadeva nella disciplina prevista dall’articolo 6 dello statuto del Tribunale militare internazionale sui crimini di guerra. [...]
Redazione, Le Stragi nascoste - Cuneo, Resistenza, 27 ottobre 2017

venerdì 23 luglio 2021

Circa il boia di Albenga

Albenga (SV) - Fonte: Wikipedia

È utile a questo punto tracciare una breve biografia di Luciano Luberti, battezzato durante la guerra, quando indossava la divisa nazista, il boia di Albenga.
Finito il liceo, il giovane fascista si iscrisse alla facoltà di Scienze politiche.
Non prese la laurea e nel 1941, chiamato alle armi, dopo essere stato cacciato per indegnità dalla scuola allievi ufficiali di Spoleto, fu assegnato al terzo reggimento artiglieria celere di stanza a Milano.
Il giovanotto rientra subito a Roma e prende a collaborare con i tedeschi, arruolandosi addirittura nella Wermacht e vestendo la divisa della Kriegsmarine, la marina da sbarco di Hitler.
Combatte a Nettuno e a Livorno. Ma poiché parla perfettamente tedesco, viene usato come interprete nelle operazioni di rappresaglia. È soldato semplice, diventa presto caporale.
La sua carriera nell’esercito tedesco comincia immediatamente rastrellando partigiani italo-francesi in Corsica e meritandosi la croce di ferro di seconda classe. Quindi viene destinato alle costiere di Alassio e in ultimo trasferimento ad Albenga dove c’è la sede del comando della Feldgendarmerie, la polizia militare tedesca.
Qui la sua macabra ideologia e la sua malvagia natura si scatenano.
Ecco la deposizione della signora Ernesta Spalla, vedova del sindaco di Albenga, Emidio Viveri:
“Un giorno si presentò a casa mia alla testa di un gruppetto di nazisti. Fecero una perquisizione ed in una camera trovarono mio figlio Angelo, di 15 mesi, che dormiva. Il Luberti afferrò il bambino per i piedi e, tenendolo sospeso nel vuoto, minacciò di lasciarlo cadere dalla finestra se non avessi smesso di piangere. Benché anziani, i miei genitori furono brutalemte percossi, io venni portata alla gendarmeria e chiusa in una stanzetta buia dove erano rinchiuse altre 14 donne. Ricordo che una delle mie compagne di sventura tentò di suicidarsi, ingoiando degli anelli e che un’altra non venne neppure portata in ospedale benché fosse in stato interessante e avesse abortito”.
I partigiani della zona dicono che Luciano Luberti si rese responsabile, sia pure non come esecutore diretto, di innumerevoli stragi.
Uno dei suoi divertimenti preferiti consisteva nel recarsi in un piccolo centro abitato, di raggruppare un bel numero di uomini e di donne e di sottoporli a sevizie. Ad Albenga c’è ancora chi non ha fugato quegli incubi.
Sulla coscienza di Luberti grava la barbara esecuzione di 59 ostaggi, donne e uomini, compiuta alle foci del fiume Centa tra il 1944 ed il 1945.
Bruno Mantero, un albergatore ligure, riferisce: “A mio fratello, davanti ai miei occhi, strappò le orecchie, le unghie, i denti e infine gli cavò gli occhi”.
Un’altra vittima, Bartolomeo Panizza, aggiunge:
“Era il 12 gennaio del 1945. Con altri 11 ostaggi ci stavano portando al fortino del Centa per fucilarci. In attesa dell’esecuzione, il Luberti, che montava la guardia con il suo vice, Luciano Zambianchi (il quale venne fucilato subito dopo la Liberazione) ci sottoponeva ad ogni sorta di sevizie. Io sono stato l’unico di quei famosi sessanta prigionieri a salvarsi. E’ stata una pura fortuna”.
Il luciferino e furbissimo boia di Albenga riuscì a cavarsela quando un suo “scagnozzo” tentò di farlo fuori. L’episodio ebbe come protagonista un ex saltimbanco, tale Carletto, suo collaboratore che egli era riuscito ad infiltrare nelle file partigiane. Carletto venne scoperto e fatto prigioniero, ma riuscì a scappare e a rimettersi in contatto con Luberti. Era l’inverno del 1944 [inverno 1944-1945]. Il saltimbanco sentiva odor di Liberazione e, per mettersi in buona luce con i futuri vincitori, per farsi perdonare delle orrende malefatte, meditò di uccidere il boia. Prese il suo fucile Thompson e lo puntò contro Luberti. Ma questi, che aveva intuito il voltafaccia del subalterno, si era premunito, svuotando le cartucce dalla polvere da sparo. Quello tirò il grilletto davanti al riso sguaiato del capo, il quale, subito dopo, lo freddò con la rivoltella.
Terminata la guerra, i partigiani si misero alla caccia della belva. Ma lo presero soltanto il 17 maggio del 1946, mentre stava andando in Francia per arruolarsi nella Legione straniera, come fecero tanti altri collaborazionisti che cercavano di scamparla.
Al processo i giudici lo condannarono a morte, ma la sentenza non fu eseguita subito. Così quando, in applicazione della nuova Costituzione, fu abolita la pena di morte, quella venne tramutata in ergastolo.
Luciano Luberti stesso racconta, con un pizzico di disprezzo per la novella Repubblica, come accadde poi che da condannato all’ergastolo si ritrovò a godere della piena libertà:
“La Cassazione giostrò tra testo costituzionale ed indulgenze varie al fine di ridurre le pene. E così il mio ergastolo fu trasformato in venti anni; si trattò di un’operazione portata avanti sotto banco, senza clamore… Infine il ministro Pella aveva accordato un ulteriore condono di dieci anni, ma ne sarebbero restati da scontare due o tre… ma il procuratore generale di Genova, con arditissima piroetta giuridica, ci mise fuori subito” [...]
Fonte: Amare fino alla morte, suppl. Il Messaggero 1994
Vincenzo Cerami, Cenni biografici di un boia, Misteri d'Italia  

[n.d.r.: seguono alcune note sulla spia Carletto, detto anche 'Carletto il cantante', al secolo Amleto De Giorgi, spia sopra citata]

31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione sui rastrellamenti subiti il 10 ed il 20 gennaio 1945 "nelle valli di Caprauna, Arroscia, Lerrone e Andora. Dopo l'arresto del comandante Menini ebbe inizio l'atteso rastrellamento nelle valli suddette. Il 10 gennaio una colonna di tedeschi, partita da Pieve di Teco, circonda Gavenola e rastrella il paese, catturando il garibaldino 'Carletto', il quale ha tradito i propri compagni facendo giungere i tedeschi presso la sede del capo di Stato Maggiore ma con esito per loro sfavorevole...
5 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della Divisione - Informava che i tedeschi, guidati da "Carletto", avevano eseguito una puntata su Nasino per sorprendere il Distaccamento "Giannino Bortolotti" della II^ Brigata "Nino Berio" ma senza causare perdite tra i partigiani...
6 marzo 1945 - Dal comando [comandante "Domatore" Domenico Trincheri] della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo", prot. n° 4, al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che alcuni reparti tedeschi, accompagnati da alcuni delatori, tra cui "Carletto"ed il "Boia", erano arrivati da Albenga e da Ponti di Nava in Val Pennavaira, dove si erano "limitati a rastrellare il fondo valle senza avventurarsi nelle campagne"...
21 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 1/107, al capo di Stato Maggiore ["Ramon", Raymond Rosso] della VI^ Divisione - Comunicava che il dottor Massone, di cui si era disposto l'arresto, si era nascosto; che occorreva vagliare attentamente, sentiti i testimoni e studiati attentamente i fatti concreti addebitatigli, la posizione del podestà di Ortovero (SV); che occorreva fermare ed interrogare la signora Maria Raffaello che a Ceriale (SV) svolgeva attività filo-fascista; che era necessario indagare sulla signora Scialdema di Ortovero, vista insieme alla probabile spia filotedesca "Carletto".
30 marzo 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"] alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione - Avvertiva che "... l'ex garibaldino 'Carletto' è stato ucciso il 24 u.s." ad Albenga"...
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
[...] A questo punto si pone il problema di definire soggetti come Luberti che, oltre a mostrare una personalità sadica e tratti di sadismo sessuale, svolgono anche una attività che giustifica queste caratteristiche. Accanto al soggetto che agisce come sicario o torturatore al semplice scopo di ottenere un vantaggio concreto (denaro, status…) senza trarne piacere, è presente un più esiguo gruppo di criminali che sceglie una attività perché sintonica col proprio io e con le proprie esigenze perverse. Guadagno o vantaggi materiali, a questo punto, costituiranno un tornaconto aggiuntivo e collaterale alla primaria fonte di soddisfazione: l’uccisone, la tortura e lo stupro.
Per esprimere il concetto con le parole di un sadico “Lo scopo è la sofferenza perché non c’è maggior potere su un’altra persona di quello derivato dall’infliggerle dolore, dal forzarla a subire sofferenze senza essere in grado di difendersi. L’essenza dell’impulso sadico, quindi non è altro che il piacere della completa dominazione su di un’altra persona”….”stava fremendo dal dolore, e mi è piaciuto. In quel momento stavo unendo il culmine del godimento sessuale con lo stupro ed il culmine del mio potere con la paura la somma di tutto ciò è al di la di ogni spiegazione… io ero vivo per il solo scopo di causare sofferenza e riceverne gratificazione sessuale. Mi stavo godendo il dolore come anche il sesso…” (Mike De Bardeleben)
Dalle narrazioni dei superstiti di Albenga, l’attività di Luberti sembra includere anche il  sadismo sessuale. Il compiacimento che provava nella sua attività di torturatore, infatti, era noto. Come lo era la sua sete di crudeltà. Luberti non mostrerà mai pentimento o rimorso per gli atti commessi, anzi, durante una intervista televisiva del 1997 (organizzata dal sociologo Sabino Acquaviva), ricorderà con malcelato orgoglio i tempi della Wehrmacht.
Chiara Camerani
(Psicologa, criminologa e direttrice Cepic) direzione@calasandra.it, Luciano Luberti: un possibile caso di psicopatia, www.cronaca-nera.it, 22 marzo 2013

[...] Un documento straordinario, spaventoso, ma anche carico di insidie per il "fascino sinistro" che emana dal personaggio - il massacratore charmeur è ben tratteggiato da una delle sopravvissute - e non solo per questo: ma di ciò parleremo più avanti. Chi cerchi nell' intervistato la freddezza o il gesto trattenuto di un Priebke rimarrà deluso. Niente in Luberti tradisce contrizione. Non la voce né lo sguardo sornione né il ghigno perpetuo. Un personaggio inquietante, che sintetizza anche nella figura falstaffiana ferocia nazista e teatralità all' amatriciana. "Gli ho fatto un buco così, gli ho fatto, a Giovanni il Siciliano", ripete disegnando nell' aria un melone. "L' ho beccato dopo che aveva fatto fuori quel poveretto delle Brigate Nere. Gli ho scaricato in testa dieci bossoli, un buco così gli ho fatto a Giovanni il Siciliano...". Non la banalità, ma la voluttà del male. Prima di affrontare i rischi di questa operazione televisiva (che potrebbe sollevare le stesse perplessità che sollevò due anni fa Combat Film), converrà ricordare chi è il Boia d' Albenga, un personaggio romanzesco su cui s' è esercitato anche uno scrittore come Vincenzo Cerami. Fascista innamorato del Fuhrer, a ventidue anni s' arruola direttamente nella Wehrmacht. La sua brillante carriera nell' esercito tedesco comincia con il rastrellamento di partigiani italo-francesi in Corsica: è determinato, efficiente, merita la croce di ferro di seconda classe.
Quindi nel dicembre del 1944 il trasferimento ad Albenga, un paesino vicino a Savona che ospita il comando della Feldgendarmerie, la polizia militare del Fuhrer. Sevizie d' ogni genere. Torture. Anche stupri con bottigliette di gassosa infilate a calci. Capezzoli tagliati. Pareti imbrattate di sangue. "Beh, certo, la Feldgendarmerie lavorava sodo", dice ora il Boia un tantino compiaciuto. "Stavamo sulle palle anche ai camerati di Savona. Ma - che volete? - interpretavamo la legge, eravamo fedeli al regolamento". Dopo la guerra, la foce del fiume Centa restituirà cinquantanove cadaveri. "Befehl ist Befehl, l' ordine è ordine", continua a ripetere oggi il Boia, scuotendo la candida barba che va giù a cascata. "E io, al contrario di Priebke, ho obbedito senza lacrimare... Povero Priebke, ha 82 anni: finge un po' di pentimento, scarica su Kappler, ma se l' ha fatto è perché sentiva di obbedire volentieri a quell' ordine. Che me stanno a cantà?". Nell' aprile del 1945, Luberti riesce a fuggire. Prima Torino, poi Napoli, il tentativo di arruolarsi nella Legione Straniera. Il 17 maggio del 1946, sulla banchina del porto di Genova, viene riconosciuto da una sua vittima. Al processo i giudici lo condannano a morte. L' anno successivo la Corte d' Appello di Genova trasforma la sua pena prima in ergastolo, poi in 19 anni e sei mesi di carcere. L' amnistia del 1953 gli toglie ancora dieci anni. Nel luglio del 1956 il Boia torna libero. Possibile? Sentiremo ancora parlare di lui [...]
Simonetta Fiori, Sevizie e stupri. Torna l'incubo del boia di Albenga, la Repubblica, 11 febbraio 1997

Luciano Luberti, classe 1921, nacque a Roma, nell'infanzia si trasferì a Padova, dove dapprima frequentò le scuole elementari all'Istituto Pestalozzi, in via Montebello. Effettuò successivamente studi commerciali, diventando ragioniere.
Il Luberti è stato personaggio dagli aspetti psicologici inquietanti, frequentazioni spesso eccellenti hanno caratterizzato la sua ambigua esistenza. Ammise di avere avuto una relazione con un omosessuale appartenente ad una famosa famiglia ebraica.
IL BOIA DI ALBENGA
Partecipò alla Seconda Guerra Mondiale, dopo non aver portato a termine il corso per Allievi Ufficiali, prestando servizio, sino all' 8 settembre 1943, nell'Artiglieria.
Successivamente entrò nella Wehrmacht: si arruolò dapprima nella Guardia costiera ma poi fu inviato nella Feldgendarmerie.
Fremeva d'ammirazione per i nazisti (i fascisti gli parevano troppo “molli”). Combatté a Nettuno (RM), poi venne trasferito ad Alassio (SV), addetto alle batterie costiere; di lì, grazie alla conoscenza della lingua, passò al servizio, dapprima quale interprete quindi come alter ego, del maresciallo Strupp, comandante della Feldgendarmerie di Albenga, cioè il luogo dove venivano interrogati i partigiani, o i presunti tali, molto spesso davanti a padri, madri, figli, mogli o sorelle che non di rado subivano torture per far parlare i parenti inquisiti.
Si rese responsabile di torture, maltrattamenti, persecuzioni personali, abusi sessuali ed esecuzioni nei confronti non solo di partigiani ma anche di civili.
Così Luberti venne battezzato col sinistro epiteto di "Boia" di Albenga (SV), perché ritenuto torturatore e massacratore di una sessantina di albenganesi.
Molti testimoni, alcuni dei quali ancora viventi, ricordano che Luberti, la mattina, soleva leggere brani della Bibbia, mentre il pomeriggio andava a torturare i prigionieri dentro ad un bunker. Violenze di ogni genere, senza mai pentirsi o provare rimorso, pietà per le vittime; in uno speciale televisivo organizzato dal sociologo Sabino Acquaviva (nel 1997), ricordò con malcelato orgoglio: "Beh, certo, la Feldgendarmerie lavorava sodo.".
Altro tragico fatto il tradimento dell'amico d'infanzia ebreo Umberto Spizzichino.
Umberto Spizzichino e Luciano Luberti erano amici fin dalle scuole elementari all'Istituto Pestalozzi, in via Montebello.
Nel 1944 Umberto decise di fuggire in Svizzera e chiese aiuto all'amico. Luciano gli diede appuntamento in viale Manzoni. Dove le SS lo portarono in via Tasso, poi a Fossoli, poi ad Auschwitz dove morì il 28 agosto 1944.
Terminata la guerra, ad Albenga, in una fossa comune alla foce del Centa vennero riesumate ed identificate 59 salme.
Il 10 giugno 1946 tutte le 59 bare furono portate in Piazza San Michele, ad Albenga, ove si svolse una solenne cerimonia funebre; 2 lapidi vennero apposte alle pareti del bunker ove avvennero le torture e gli assassinii:
- la prima da parte dell'Unione Donne Italiane (U.D.I);
- la seconda da parte dell'Amministrazione comunale e di varie altre associazioni antifasciste.
Luberti, insieme al "boia di Genova" Friedrich Engel, è stato considerato dagli storici un "dio del male". Catturato nel 1946, riconosciuto da un prigioniero cui aveva torturato ed ucciso il fratello, mentre tentava di espatriare da Ventimiglia per arruolarsi nella Legione Straniera, fu accusato di cinquantanove delitti (tra torture ed omicidi).
Sottoposto a processo nel 1946 per i delitti nazifascisti, fu dapprima condannato alla pena di morte, «mediante fucilazione alla schiena», il 24 luglio 1946. La sentenza venne emessa dalla Corte d'Assise straordinaria di Savona, e fu l'ultima tra l'entrata in vigore dell'amnistia e la fine del 1947, anno in cui la Corte cessò le sue funzioni.
Per Luberti successivamente, facendo leva sull'infermità mentale, la condanna fu tramutata in ergastolo e quindi con l'amnistia (concessa dal guardasigilli Palmiro Togliatti e secondo una fonte opportunamente teleguidata da uno zio cardinale) a 7 anni di carcere militare. [...]
PUBBLICAZIONI
- Lionarto Kreyscaps, Luciano Luberti: assassino per onore
- Luciano Luberti, In difesa del popolo dei pazzi, programma in 7 puntate dalla rubrica televisiva - La gente scomoda (Telecittà, Bologna) febbraio-aprile 1982 / Luciano Luberti (M.T.), Luberti (Collana di documentazione sul nostro tempo; 9. ), Padova, 1982. BN 83-12359
- Vincenzo Cerami, Fattacci. Il racconto di quattro delitti italiani, Einaudi (Einaudi Tascabili. Stile libero n.483) , Torino, 1997, ISBN 88-06-14598-3
- Gianfranco Simone, Il boia di Albenga. Un criminale di guerra nell'Italia dei miracoli, Mursia, Vicenza, 1998, ISBN 884252378X
- Pier Mario Fasanotti e Valeria Gandus, Bang Bang, Marco Tropea Editore, 2004, ISBN 88-438-0422-7
- Giuliana Giani e Massimo Michelini, Luciano Luberti: il fiore putrefatto dell'amore, dal n° 3 di "M Rivista del mistero" , Alacran Edizioni, 2007
- Nanni De Marco, 1940-1945: La guerra dei Savonesi, ANPI Legino e Archivio del Partigiano Ernesto, Savona, 2002
- Luciano Luberti, La preghiera d'Ignazio e altre poesie, Organizzazione Editoriale Luberti, 1969
- Giuliano Luberti, Annali del debito pubblico / Giuliano Luberti, Roma: Organizzazione editoriale Luberti, 1966. BN 665881
- Renzo Vanni, Trent'anni di regime bianco, Giardini, 1976
- Petra Rosenbaum, II nuovo fascismo: da Salò ad Almirante: storia del MSI, Feltrinelli, 1975
- Luciano Luberti, Affaire Luberti, 1982-1984, Organizzazione Editoriale Luberti, 1987
- Application No. 9019/80: Luciano Luberti Against Italy: Report di Luciano Luberti - 1982
- Max Trevisan, Lukas, Organizzazione Editoriale Luberti, 1965
- Luciano Luberti, Le vacanze / grottesco di Max Trevisant, Roma: OEL, 1967 BN 677971.
- Luciano Luberti, I camerati / Luciano Luberti, Roma: Organizzazione editoriale Luberti, 1969,BN 709294
- Luciano Luberti, Israele : Appunti sulla crisi del Medio Oriente, Roma: Luberti, 1967, BN 6710260.
- Luciano Luberti, L'ebreo e il nazista, Roma: Organizzazione editoriale Luberti, 1968, BN 6814035.
- Luciano Luberti, La preghiera d'Ignazio, 2. ed., Roma: Organizzazione editoriale Luberti, 1975,BN 769984.
- Luciano Luberti, Altri dialoghi: gli assassini, Roma: Organizzazione editoriale Luberti, 1969, BN 7010974.
- Luciano Luberti, Furia, Roma: Organizzazione Luberti, 1964. BN 647002.
Armati Cristiano e Selvetella Yari, Roma Criminale, Newton & Compton, 2005

Fabio, Luciano Luberti..., crimeworld.forumcommunity.net, 31 dicembre 2011

Dottor Luberti, dovrei odiarla, ma non posso. Lei uccise mio cugino Esildo Simone. Non ricorda quando mia zia, una bella ragazza bionda, s'inginocchiò davanti alla Kubelwagen del capitano che aveva arrestato Esildo? II tedesco stava per cedere, conosceva mia zia perché occupava la sua casa, ma gridò: «Nein!».
Non ricordo né sua zia, né suo cugino.
Certo, visto che ne avete uccisi 59, stando ai nomi sulla lapide del bunker, alla spiaggia.
Erano di più.
Per gli Alleati erano duecento. E' vero?
Ridacchia. Usciamo insieme dal misero bilocale. Mi offro di portarlo in auto a ritirare le analisi.
Lei è sempre stato nazista, non fascista?

Fascista mai. I fascisti non mi piacciono, erano spacconi, ma non li disprezzo, ne sono stati uccisi tanti. E quelli dall’altra parte non erano migliori di noi. Sparavano alle spalle. Comunque nel ‘40 già capivo che avremmo perso, perché frequentavo gli ambienti vaticani e loro sapevano tutto.
Ecco perché Luberti, liberato, trovò un posto alle Acli. Ad Albenga dicono che lo proteggeva uno zio cardinale. C'era un suo parente fra quei prelati?
Mio nonno era un abate. Mio padre non me l'ha mai fatto conoscere. Lo odiava.
Simone Gianfranco, Io, boia di Albenga. Colpevole senza rimorsi, Corriere della Sera, 16 gennaio 1995

Luciano Luberti detto il Boia di Albenga (Roma, 25 aprile 1921 - Padova, 10 dicembre 2002) è stato un militare e criminale italiano e collaborazionista con il regime nazista durante l'occupazione tedesca dell'Italia. Fu responsabile di diversi crimini e dell'uccisione di almeno 59 persone durante la guerra, episodio conosciuto come strage di Albenga.
Biografia
Nacque da padre meccanico a Roma dove frequentò le elementari all'Istituto Pestalozzi. Divenne poi ragioniere, lavorando anche come commesso in un negozio. Soldato di leva della classe 1921, venne ammesso al ritardo alla leva perché impegnato negli studi universitari di Economia e Commercio.
Secondo il suo foglio matricolare il 4 marzo 1941 fu arruolato nel 3º reggimento Artiglieria Celere motorizzata. Fatti alcuni corsi militari, il 16 aprile divenne caporale e il 16 giugno fu promosso sergente. Venne inserito nel corso per Allievi ufficiali, ma il 16 novembre venne ritrasferito al Deposito del 3º Reggimento Artiglieria Celere per completare i suoi obblighi di servizio militare perché dichiarato non idoneo ad allievo ufficiale. Il 3 maggio 1942 venne denunciato al tribunale di Spoleto per furto e pertanto fu sospeso dal grado di sergente; il reato fu poi amnistiato l'8 ottobre 1945.
Dopo l'armistizio
Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 Luberti lavorò per le SS di Roma. Tuttavia Luberti molte volte negò quanto detto, dicendo di non essere mai stato nel Regio esercito, ma che quello era solo un omonimo.
Nel novembre del 1943 entrò in contatto con Umberto Spizzichino, che era stato suo compagno alle scuole elementari Pestalozzi. Secondo la ricostruzione dei carabinieri effettuata nel dopoguerra, nel gennaio 1944 Spizzichino chiese a Luberti un nascondiglio sicuro per sfuggire ai rastrellamenti tedeschi. Luberti si offrì di farlo fuggire in Svizzera, dove sarebbe stato in contatto con un altro ebreo che in Italia lo aveva incaricato di acquistare preziosi. Luberti gli diede appuntamento per il 23 gennaio 1944 in viale Manzoni per consegnargli i documenti per l'espatrio in Svizzera; in realtà Spizzichino venne consegnato alle SS dallo stesso Luberti. Il 22 febbraio Umberto Spizzichino riuscì a inviare al fratello Alessandro una lettera in cui comunicava che si trovava nel carcere di Regina Coeli, formulando il dubbio che Luberti fosse il responsabile del suo arresto. Infatti secondo Spizzichino i due dopo essersi incontrati si recarono presso il comando delle SS che si trovava in via Tasso dove furono entrambi tratti in arresto, ma il fatto che poi Luberti non fosse stato portato anch'esso a Regina Coeli gli fece sospettare il tradimento. Nello stesso mese Umberto Spizzichino fu trasferito nel campo di prigionia di Fossoli vicino a Modena, poi ad Auschwitz dove morì il 28 agosto 1944. Nella lettera scritta al fratello raccontò il tradimento:
Dopo un periodo di addestramento nella Wehrmacht Luberti fu assegnato alla Marina costiera tedesca, di Capo di Santa Croce di Alassio come addetto alle batterie costiere. Poi fu inviato alla Feldgendarmerie di Albenga come traduttore.
Il boia di Albenga
In seguito Luberti fu impiegato come traduttore presso la Feldgendarmerie di Albenga e successivamente presso il tribunale militare di guerra della 34 Infanterie-Division, che fu insediato nella palazzina dove aveva sede la locale Brigata Nera che faceva da carceriere. Il tribunale era solitamente composto dal maresciallo capo Friedrich Strupp che comandava la Feldgendarmerie e svolgeva il ruolo di accusatore, dai sergenti maggiori Fuchs e Nusslein. Luberti fungeva da traduttore, limitandosi a tradurre le domande agli imputati e riferire le risposte ai membri del tribunale. I processi si concludevano di solito con la condanna a morte e i prigionieri venivano condotti presso la foce del fiume Centa dove venivano allineati presso una fossa e uccisi con un colpo alla nuca. L'esecuzione della sentenza veniva assolta dal maresciallo Strupp e da Luberti.
La prima esecuzione presso la foce del fiume Centa avvenne il 3 dicembre 1944 quando furono fucilati quattro civili contigui alla resistenza. Secondo alcune testimonianze, mentre si trovavano prigionieri nella Feldgendarmerie furono torturati da Strupp e da Luberti. Il 16 dicembre avvenne una nuova fucilazione in cui trovarono la morte i due fratelli Gandolfo e un altro civile. Il marchese Andrea Rolandi Ricci, che divenne poi commissario prefettizio della città, ne perorò inutilmente la grazia.
Luberti fu responsabile di torture, maltrattamenti, persecuzioni personali, abusi sessuali ed esecuzioni nei confronti di circa una sessantina di partigiani e di civili tanto che fu soprannominato il "boia" di Albenga. Partecipò anche a molti rastrellamenti nei comuni vicino ad Albenga. Il 13 dicembre 1944 a Lusignano fece un rastrellamento che portò all'uccisione di due civili. Fu più volte interrogata la moglie del partigiano Libero Emidio Viveri. Per costringerla a confessare dove fosse nascosto il marito, Luberti prese per una gamba Angelo il figlio duenne, tenendolo appeso nel vuoto fuori dal balcone del quarto piano, e minacciando la madre di lasciarlo cadere nel vuoto; pur non ottenendo le informazioni non realizzò la minaccia. La signora Viveri venne torturata dallo stesso Luberti e detenuta sette giorni nelle carceri di Via Trieste. Durante il processo, molti testimoni raccontano che di ritorno in gendarmeria dopo le fucilazioni, ogni volta il Luberti era solito lasciarsi andare a manifestazioni rumorose di allegria per le avvenute morti.
Molti testimoni ricordano che Luberti, la mattina, soleva leggere brani della Bibbia pur professandosi non credente, mentre il pomeriggio andava a torturare i prigionieri dentro al bunker presso la foce del fiume Centa. In uno speciale televisivo organizzato dal sociologo Sabino Acquaviva (nel 1997), ricordò con orgoglio: "Beh, certo, alla Feldgendarmerie si lavorava sodo."
Fine della guerra e primo processo
Terminata la guerra, ad Albenga, in una fossa comune alla foce del Centa vennero riesumate e identificate 59 salme. Il 10 giugno 1946 tutte le 59 bare furono portate in Piazza San Michele, ad Albenga, dove si svolse una solenne cerimonia funebre. Due lapidi vennero apposte alle pareti del bunker dove avvennero le torture e le fucilazioni: una da parte dell'Unione Donne Italiane e la seconda da parte dell'Amministrazione comunale e di varie associazioni antifasciste.
Il 25 aprile 1945 Luberti si unì alle 34° Infanterie-Division che dopo aver lasciato la Liguria si stava spostando verso il Piemonte per poi dirigersi in Germania. A Torino trovò dei falsi documenti tedeschi e si fece ricoverare per farsi estrarre una scheggia di granata, ma venne preso dagli alleati e portato nel carcere di Ivrea. Un partigiano, Bruno Schivo detto Cimitero, al quale il boia aveva ucciso il padre e la fidanzata, lo riconobbe nel carcere in mezzo agli altri, ma il comandante del campo non glielo consegnò, ritenendo che fosse un tedesco. Luberti fuggì a Portici, dove si nascose da un panettiere, e dopo qualche tempo decise di arruolarsi nella Legione Straniera. A Napoli, occupata dai francesi, gli venne detto di dirigersi verso Marsiglia per arruolarsi. Venne catturato nel 1946, riconosciuto da Bruno Mantero, un poliziotto, che si era arruolato proprio per catturare Luberti, che anni prima gli aveva torturato e ucciso il fratello accusato di essere un partigiano. Stava tentando di espatriare da Ventimiglia [...]
Redazione, Luciano Luberti, owlapps

mercoledì 13 maggio 2020

L'uccisione di "Rino" Stenca e di altri valorosi partigiani

 
Imperia: Capo Berta

[...] val la pena di segnalare l’operazione antipartigiana, avvenuta tra il 6 ed il 29 gennaio 1945 in provincia di Imperia, sotto il comando della 34ª divisione di fanteria; sul terreno furono impegnati l’80° reggimento granatieri e il gruppo di combattimento Klingelmann per i tedeschi; per i salodiani il raggruppamento Cacciatori degli Appennini. Il risultato sarebbe stato di 17 morti, 1 ferito, 14 prigionieri tra i partigiani, unitamente alla cattura di 200 renitenti alla leva.
Fiammetta Balestracci, Rastrellamenti e deportazione in Kl nell'Italia occupata. 1943-1945 in Il libro dei deportati, Vol. 4: L'Europa sotto il tallone di ferro. Dalle biografie ai quadri generali, Ugo Mursia Editore, 2015
 
[...] l'80° Reggimento [tedesco] inizia i rastrellamenti anche nella zona della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" [della II^ Divisione "Felice Cascione"]. I primi movimenti sono eseguiti il 3 gennaio [1945] quando alcuni autocarri carichi di soldati giungono a Caramagna [Frazione di Imperia]. Anche Borgomaro è investita. Il nemico rastrella i dintorni del paese procedendo a razzie. Il giorno successivo, guidati da spie, altri soldati incendiano una casa con l'intento di distruggere la tipografia partigiana clandestina, ma non ci riescono perché la stessa è ben nascosta. Il giorno 5 cade molta neve. Il nemico attacca nella zona di Villatalla [Frazione di Prelà (IM)], Tavole [altra Frazione di Prelà (IM)] e passo San Salvatore [comune di Pietrabruna (IM)]. Non scopre i partigiani, nascosti nei casoni coperti di neve, e transita senza che avvengano scontri. Al termine della prima decade del mese i tedeschi investono l'area Dolcedo, Canneto [Frazione di Prelà (IM)], ancora Tavole e Villatalla, Monte Faudo e Badalucco. Con loro collabora la Gnr. Cadono a Badalucco i partigiani Giobatta Coscia, Domenico Jorfida, Paolo Merano e Giobatta Panizzi. Viene catturato qualche renitente alle chiamate della Repubblica Sociale. Due persone, Domenico Raineri e Giobatta Bianchi, catturati per la strada, sono trucidati. Anche il partigiano Lucio Ferlisi cade in mano nemica: sarà fucilato il giorno 12. Purtroppo, un altro partigiano, "Turiddu", si consegna all'Ufficio politico investigativo (Upi) dei fascisti e ciò causerà grossi problemi alla Resistenza imperiese. Durante gli scontri due tedeschi rimangono sul terreno. I partigiani li seppelliscono nelle vicinanze di Costa d'Oneglia [Frazione di Imperia]. Ma alcune spie parleranno per cui il 28 marzo le SS conoscono l'ubicazione delle salme. Ne pagheranno le conseguenze gli eroici Franco Ghiglia e Sinibaldo Martellini. Pure nella zona del Comune di Imperia il nemico compie duri rastrellamenti. Borgo Sant'Agata è investito ed alcuni partigiani e civili sono catturati. Compare tra le formazioni nemiche una donna: Maria Zucco, che sarà detta "la donna velata" per la sua abitudine per il suo coprirsi il volto per non farsi riconoscere.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Da Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005
 
La Val Prino

[...] A partire dal mese di gennaio del 1945 ci furono incessanti rastrellamenti nelle valli Impero e Prino nella zona di Imperia. La 34^ Infanterie Division tedesca, costituita nel distretto militare di Coblenza (Germania) e mobilitata il 26 agosto 1939, era formata da tre Grenadier Regiment, integrata da altri Reggimenti, tra i quali uno di artiglieria. Prese parte alla campagna di Russia del 1941 dove fu praticamente distrutta perdendo circa il 90% degli effettivi, venne ricostruita in Slesia, e nel maggio del 1944 trasferita in Italia. Nel giugno successivo andò a rinforzare il settore costiero ligure occidentale, considerato dai comandi tedeschi troppo debole, con il compito di collaborare con la San Marco, Divisione della Repubblica Sociale Italiana, addestrata in Germania. Tutte e due le Divisioni avevano il compito precipuo di operare contro le formazioni partigiane della 2^ Divisione d’Assalto Garibaldi Felice Cascione.
Si distinse nelle operazioni di rastrellamento il Kampfgruppe Klingemann con i suoi uomini affiancati dalle formazioni fasciste dei Cacciatori degli Appennini e della Compagnia Ordine Pubblico della 33^ Legione Guardia Nazionale Repubblicana d’Imperia, agli ordini del famigerato capitano Giovanni Ferraris. Queste formazioni, che nell’estate e nell’autunno si erano scontrate con la Divisione Felice Cascione subendo gravi perdite, approfittarono del crudo inverno, rinforzate dalla 34^ Infanterie Division, per attaccare i partigiani che avevano interrotto le vie di comunicazione e di rifornimento tra il Nord Italia e il fronte delle Alpi Marittime. Per questa ragione l’80° Grenadier Regiment iniziò il 3 gennaio 1945 i rastrellamenti anche nella zona della 4^ Brigata E. Guarrini.
Nella prima fase non vennero scoperti i partigiani perché nascosti nei casoni coperti di neve; però nella prima decade del mese i tedeschi si spostarono in altre zone e catturarono alcuni renitenti alle chiamate della Repubblica Sociale Italiana che furono trucidati. Anche il partigiano Lucio Ferlisi, caduto in mano nemica, venne fucilato il 12 gennaio. Un altro partigiano, Turiddu, si consegnò all’Ufficio Politico Investigativo fascista causando grossi problemi alla sicurezza dei partigiani imperiesi. Durante gli scontri due tedeschi rimasero sul terreno; i partigiani li seppellirono nelle vicinanze di Costa d’Oneglia. I rastrellamenti continuarono anche nel comune di Imperia. Si parla di una donna, Maria Zucco, che veniva chiamata la donna velata per il suo coprirsi il volto al fine di non farsi riconoscere, che aveva fatto parte delle formazioni fasciste Azione Nizzarda in Francia. Giunta nella provincia di Imperia dopo il 15 agosto 1944, spacciandosi per una patriota, fece catturare alcuni partigiani tra cui Adolfo Stenca. Nelle carceri di Oneglia il 14 gennaio 1945 venne fatto l’appello dei catturati che dovevano essere fucilati; il primo a essere chiamato fu Paolo De Marchi. L’olocausto della 4^ Brigata E. Guarrini continuò; nei giorni dall’11 al 16 gennaio caddero: Pasquale Nisco, Francesco Vernaleone, Carlo Gatti, Antonio Dagnino, Settimio Raimondi, Giovanni Cortese, Rino Guglieri e Adolfo Capovani. Il 17 i fascisti effettuarono un altro rastrellamento, durante il quale morirono Carlo Montagna, comandante della 4^ Brigata, Angelo Perrone e Sebastiano Acquarone. Nei dintorni di Tavole molti casolari furono dati alle fiamme e alcuni civili vennero arrestati. Il 25 fu catturato, quasi al completo, il 10° Distaccamento Walter Berio. Nello Bruno e Vittorio Aliprandi, rispettivamente comandante e commissario della Brigata, si suicidarono per non cadere nelle mani del nemico. In seguito alla scomparsa dei due tedeschi, della cui sorte il comando germanico non sapeva nulla, il comando annunciava che, se non si fosse provveduto alla loro liberazione, venti ribelli sarebbero stati fucilati. Successivamente i nazisti vennero a conoscenza della morte dei due soldati e mandarono perciò davanti al loro Tribunale militare venti antifascisti: Guglielmo Bosco, Francesco Garelli, Ettore Ardigò, Orlando Noschese, Giorgio Cipolla, Santo Manodi, Medardo Bertelli, Giobatta Ansaldo, Paolo De Marchi, Adolfo Stenca, Carlo Delle Piane, Vincenzo Varalla, Giacomo Favale, Luigi Guarreschi, Giuseppe De Lauro, Doriano Carletti, Ernesto Deri, Adler Brancaleoni, Biagio Giordano, Matteo Cavallero. Riconosciuta la loro colpevolezza, il Tribunale pronunciò la sentenza di morte che venne eseguita, per alcuni di loro, il 31 gennaio 1945.
Dai documenti risulta che altri furono fucilati nei giorni successivi e in luoghi diversi [...]
Redazione, 15 febbraio 1945: Il Partigiano "Oscar" Adler Brancaleoni viene torturato e fucilato dai fascisti dietro il cimitero di Oneglia (Imperia), Magazine Italia, 16 febbraio 2019
 
Il 17 gennaio 1945 il distaccamento di Mario Bruna (Falco) subisce un duro rastrellamento da parte della banda Ferraris, il famigerato capitano Ferraris [Giovanni Daniele Ferraris comandante della Gnr Compagnia Ordine Pubblico Imperia. Dopo la dissoluzione della 4a Armata molti nizzardi lasciano il loro territorio ed aderiscono alla RSI. In duecento ad Imperia si arruolano nel 627° CP GNR, potenziando presso la caserma Ettore Muti a Porto Maurizio la Compagnia O.P. (Giovanni Ferraris) oppure contribuendo a formare con i superstiti del Btg. GNR Nizza in ritirata alla fine del 1943 dalla Provenza il Btg GNR Borg Pisani (Massimo Di Fano). Altri sono incorporati nel 626 CP GNR  di Savona e in cento costituiranno la Compagnia Nizza della 27a BN di Parma. Il Btg. Borg Pisani da aprile a novembre 1944 si pone nelle casermette della Guardia alla Frontiera di Taggia e di Arma di Taggia partecipando insieme alla 34a ID e a Reparti della RSI al presidio della costa ligure allo sbocco di Valle Argentina], ma allora ancora tenente. Un nome, quello di Ferraris, temuto: dotato di coraggio e di capacità militari, anima di tanti rastrellamenti, l'ideatore della Controbanda, l'uccisore di Nino Berio (Tracalà) a Chiusavecchia. Egli si era guadagnato la fiducia delle S.S. Tedesche, tanto da essere da loro decorato con la croce di ferro di II^ classe, per la spietatezza delle sue azioni.
Si trovavano in due casoni, sopra Molini di Prelà (Case Carli), negli oliveti sul costone che fronteggia Valloria, in direzione di Villa Talla e Tavole.
Nel casone più a valle, Falco, Deri Ernesto Austriaco e Nino Peruzzi stanno dormento a pianterreno, nella stalla. Dal tavolato del solaio, adibito a fienile, saranno state le 5 del mattino, Falco è svegliato fortunatamente dal rumore di una pila ad autocarica, il caratteristico "zzz, zzz". Sente la voce di un milite che, diretto al Ferraris, dice: "Signor Tenente, qui non c'è nessuno!".
Semivestito com'è, Falco con un calcio sveglia Deri e Nino Peruzzi. Afferra il mitra che ha accanto e si precipita fuori. Sulla porta si trova di fronte un milite, un certo Allavena di Bordighera.
Senza articolare una sillaba, contemporaneamente si sparano, quasi a bruciapelo; un solo colpo.
L'Allavena cade a terra con una coscia forata dalla pallottola di Falco.
Il colpo di Allavena (non si sa per quale miracolo) colpisce il mirino del mitra di Falco, la pallottola si spappola e una scheggia lo ferisce al braccio sinistro. Un'altra scheggia lo ferisce al basso ventre, e si arresta ai limiti del peritoneo.
Deri e Peruzzi riescono a fuggire puntando a monte e raggiungendo Pantasina.
Falco invece punta a valle, salta i “Maxei”, senza capire più niente, finchè si accorge di trovarsi in mezzo a due fascisti.
Spara con il mitra ma non sa in quale direzione, probabilmente in alto, fino a svuotare il caricatore.
I fascisti scappano e lui riesce a nascondersi in un grosso roveto.
E sta lì ferito com'è, rannicchiato e morto di freddo, tutta la mattinata!
Attilio Mela, Aspettando aprile, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1998 



 
[ n.d.r.: qui sopra viene riprodotto un documento partigiano che attesta i tentativi dei patrioti di catturare qualche nemico da tenere in ostaggio in funzione di uno scambio con i compagni catturati. Lo Stalin citato era Franco Bianchi, comandante del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante". Buffalo Bill o Bill, Giuseppe Saguato, comandante del Distaccamento "Francesco Agnese" della già citata I^ Brigata "Silvano Belgrano. Guan Orazio Parodi... - documento IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II 

Il partigiano Ernesto Austriaco Deri - Fonte: Patria Indipendente, cit. infra

[...] Il 31 gennaio 1945 mio fratello Ernesto Deri fu  preso dalle SS  tedesche  e dalle Brigate Nere. Era un folto gruppo di partigiani che, in quell'inverno  tremendo di freddo e di neve, si erano  rifugiati  in  un casolare nella zona di Villatalla, località Nicuni [in effetti in Tavole, Frazione del comune di Prelà (IM)], in cerca di un po' di tepore. Dietro una  delazione  furono  accerchiati e quando si accorsero di esserlo si difesero con tutto quello che avevano. Morirono in tanti e mio fratello Ernesto, assieme a Brancaleone Adler, Matteo Cavallero, Biagio Giordano, furono presi con le armi in pugno e portati nella prigione di Oneglia, ove rimasero fino all'alba del 15 febbraio 1945. Quando venimmo a  sapere dell'arresto di mio fratello, iniziò il calvario della nostra famiglia. Cercammo di avere notizie più  precise  per  potere  agire in qualche modo. Nostra madre sapeva che Ernesto soffriva di una fistola. Si recò dal medico delle carceri per vedere se si poteva ricoverarlo  in  ospedale. Il  medico le diede poche speranze. I tedeschi sentivano che la fine era vicina e difficilmente avrebbero concesso il  ricovero. Tutti i giorni portavamo il pranzo alle carceri, sperando di avere qualche notizia. Alla fine decidemmo di affrontare la SS tedesca. Io conoscevo per motivi di lavoro un interprete e mi rivolsi a lui per avere un incontro. Decisione  un  poco incosciente, alla luce dei fatti venuti a conoscenza successivamente. Io avevo diciassette anni e mia sorella più grande venti, avevamo un fratello più piccolo di quattordici anni, ma dall'aspetto oramai di un adulto e decidemmo di lasciarlo fuori. Ottenuto il colloquio ci recammo al Comando SS. Fummo ricevute dal comandante e cominciammo a parlare di nostro fratello cercando  di ottenere clemenza, ma la risposta lapidaria fu: "Fratello grande bandito, sarà giudicato dal tribunale di Genova...". Scendendo  dal  giardino dove era ubicata  la  villa del Comando SS, un  milite della  milizia (fascista) ci chiese il  perché di quel  pianto e noi  dicemmo che avevamo capito che  nostro fratello era condannato. Lui ci guardò e disse: "Maledetti, le pagheranno tutte". Tre giorni dopo, purtroppo, furono fucilati. Mio fratello aveva ventidue anni ed era il più vecchio, il più giovane ne aveva diciotto. Lo venimmo a sapere dal fidanzato di mia sorella. Ci recammo io e le mie due sorelle al cimitero di Oneglia: lì erano stati fucilati... trovammo questi poveri giovani distesi per terra nella cappella del cimitero, la Croce  Rossa aveva loro fasciato la testa e sulla guancia di ognuno si notava il foro del colpo di grazia. Sul petto portavano un biglietto con nome, cognome e data di nascita. Trovammo dei fiori  di campo messi lì da qualche anima sensibile. L’atmosfera intorno a noi era di paura e il nostro dolore era grande. Passò  nel mentre un prete, reduce da un funerale, e lo pregammo perché impartisse una benedizione. Lo fece molto velocemente e fuggì via! La paura in quei momenti era tanta. Seppellimmo mio fratello e col pensiero li abbracciammo tutti. Venimmo a sapere, dopo la  Liberazione, da un testimone oculare che la sera precedente la fucilazione in carcere venne fatto l’appello ed attaccato sul petto dei designati il biglietto con i loro dati. Capirono che per loro la vita era finita. Salutarono tutti ribadendo che non avevano fatto nessun nome di compagni di lotta. Quando venne l’ora andarono via senza una parola e qualche attimo dopo, s’alzò solenne il loro canto partigiano Fischia il vento. Lo ascoltò una signora che abitava vicino al cimitero, svegliata dal passo cadenzato del plotone di esecuzione, e vide, attraverso le feritoie delle persiane, questi giovani che andavano a morire cantando. Era l'alba del 15 febbraio 1945 [...]
Elvira Deri, sorella di Ernesto Austriaco Deri in Francesco Biga, Una signora vide la morte di quattro partigiani dell'Imperiese. Andarono alla fucilazione cantando "Fischia il vento", Patria Indipendente,  22 gennaio 2012  

Adolfo Rino Stenca, nato a Cairo Montenotte (SV) 22.8.1906, ucciso ad  Imperia (Capo Berta) il 31.1.1945. Partigiano combattente, comunista, entrò nelle fila della Resistenza dal 9 settembre 1943 divenendo in seguito responsabile del S.I.M. (Servizio Informazioni Militari) della Prima Zona Liguria. Catturato a Sant’Agata, condotto nel penitenziario di Oneglia ad Imperia, sottoposto a feroci interrogatori, non cedette una sola informazione. Trucidato sulla strada di Capo Berta, tra Imperia e Diano Marina (IM), assieme ad altri 9 compagni. Insignito nel 1996 di Medaglia di bronzo al V.M. alla memoria con la seguente motivazione: “Responsabile SIM della Prima Zona Liguria provvedeva ad organizzare formazioni partigiane, raccogliere armi e predisporre i piani per salvare dalla distruzione, da parte dei tedeschi, di fabbriche, ponti e installazioni di pubblico interesse. Caduto prigioniero durante un rastrellamento veniva rinchiuso nelle carceri di Oneglia e selvaggiamente torturato per venti giorni. Rifiutatosi di tradire i suoi compagni di lotta, veniva barbaramente fucilato”. Capo Berta (Imperia) 31.01.1945
 
Nel gennaio del 1945 i partigiani catturano due soldati tedeschi sulle colline retrostanti Capo Berta (Diano Marina, Imperia). Il 31 dello stesso mese, alla notizia della morte dei due militi, il tribunale militare speciale decreta l’esecuzione per rappreseglia di Giovanbattista Ansaldo, Ettore Ardigò, Medardo Bertelli, Guglielmo Bosco, Adler Brancaleoni, Matteo Cavallero, Giorgio Cipolla, Giuseppe De Lauro, Carlo Delle Piane, Paolo De Marchi, Ernesto Deri, Giacomo Favale, Francesco Garelli, Domenico Garletti, Biagio Giordano, Luigi Guareschi, Santo Manodi, Orlando Noschese, Adolfo Stenca e Vincenzo Varalla. La maggior parte di costoro viene fucilata dalle SS nei pressi della vecchia torre d’avvistamento che sorge proprio sul promontorio di Capo Berta. Gli altri sono invece giustiziati nei giorni successivi e in luoghi differenti.
 
Ettore Ardigò

[...]  Ettore Ardigò (Milan) Divisione d'assalto Garibaldi Liguria Felice Cascione 2ª Commissario di distaccamento
L'archivio contiene 1 lettera di Ettore Ardigò
Lettera alla Moglie, scritta in data 13-01-1945, Carceri di Oneglia
Di anni 24. Nato il 4 dicembre 1920 a Tredossi (Cremona); residente a Cipressa (Imperia). Di professione assistente edile. Sposato e padre di un figlio. Arruolato durante la guerra con il grado di Caporale maggiore di Artiglieria, presta servizio presso la 6ª batteria del 149º Reggimento, dislocato a Lingueglietta (frazione di Cipressa). Dopo l’armistizio, rifiuta di aderire alla Repubblica sociale italiana. Il 5 maggio 1944 entra nelle fila della Resistenza, arruolandosi nella II Divisione d’assalto Garibaldi-Liguria Felice Cascione. Divenuto commissario di un distaccamento della IV Brigata, il 13 dicembre 1944 è sorpreso dalla polizia investigativa fascista a Costarainera (IM). Arrestato, viene rinchiuso nelle carceri di Oneglia. Il 9 gennaio 1945 il tribunale militare lo processa per l’omicidio di Bruno Donati, sindacalista portuale e funzionario della RSI, a cui però Ardigò si professerà sempre estraneo. Condannato a morte, il 31 gennaio viene selezionato dallo stesso tribunale militare per essere fucilato in rappresaglia all’uccisione di due soldati tedeschi da parte dei partigiani. Nella medesima circostanza viene decretata l’esecuzione anche di Giovanbattista Ansaldo, Medardo Bertelli, Guglielmo Bosco, Adler Brancaleoni, Matteo Cavallero, Giorgio Cipolla, Giuseppe De Lauro, Carlo Delle Piane, Paolo De Marchi, Ernesto Deri, Giacomo Favale, Francesco Garelli, Domenico Garletti, Biagio Giordano, Luigi Guareschi, Santo Manodi, Orlando Noschese, Adolfo Stenca e Vincenzo Varalla. Ardigò viene immediatamente fucilato dalle SS nei pressi della vecchia torre d’avvistamento che sorge sul promontorio di Capo Berta. Assieme a lui sono passati per le armi solo alcuni fra gli altri condannati; i rimanenti verranno giustiziati nei giorni successivi e in luoghi differenti.
Tradito da una delazione, è arrestato il 13 dicembre 1944 a Costarainera (IM). Incarcerato ad Oneglia, il 9 gennaio 1945 è condannato a morte con l'accusa di aver ucciso un funzionario portuale della RSI. Il 31 gennaio 1945 sarà fucilato dalle SS per rappresaglia, in località Capo Berta (Diano Marina, Imperia).

 
Paolo De Marchi

Paolo De Marchi (Pablos) Distaccamento di Giovanni Alessio (Peletta), del 1º Btg. della 4ª Brg. della 2ª Div. d’assalto Garibaldi Liguria Felice Cascione Caposquadra (dal giugno 1944)
L'archivio contiene 2 lettere di Paolo De Marchi
Lettera ai genitori (1), Carceri di Oneglia
Lettera ai genitori (2), Carceri di Oneglia
Di anni 22. Nato il 12 ottobre 1922 a Porto Maurizio (Imperia). Di professione operaio. Milite esente perché riformato alla visita di leva, dopo l’armistizio rimane estraneo alla guerra di liberazione fino al maggio del 1944. Il giorno 20 di quel mese entra ufficialmente nei ranghi del distaccamento comandato da Giovanni Alessio (nome di battaglia "Paletta"), inquadrato nel 1º Battaglione della IV Brigata della 2ª Divisione Garibaldi d’assalto "Felice Cascione", operante nell’Imperiese. Nel giugno del 44 è promosso Caposquadra. La notte del 19 luglio prende parte alla liberazione di alcuni detenuti politici dalle carceri di Oneglia (IM). Il 1º gennaio 1945 è inviato in missione dal suo comandante al cinema Centrale di Imperia. Riconosciuto da un delatore, è arrestato da alcuni elementi dell’U.P.I. (Ufficio politico investigativo). Consegnato alle SS il giorno seguente, De Marchi è incarcerato ad Oneglia e lungamente torturato. Condannato a morte, il 31 gennaio viene selezionato dallo stesso tribunale militare per essere fucilato in rappresaglia all’uccisione di due soldati tedeschi da parte dei partigiani. Nella medesima circostanza viene decretata l’esecuzione anche di Giovanbattista Ansaldo, Ettore Ardigò, Medardo Bertelli, Guglielmo Bosco, Adler Brancaleoni, Matteo Cavallero, Giorgio Cipolla, Giuseppe De Lauro, Carlo Delle Piane, Ernesto Deri, Giacomo Favale, Francesco Garelli, Domenico Garletti, Biagio Giordano, Luigi Guareschi, Santo Manodi, Orlando Noschese, Adolfo Stenca e Vincenzo Varalla. De Marchi viene immediatamente fucilato dalle SS nei pressi della vecchia torre d’avvistamento che sorge sul promontorio di Capo Berta. Assieme a lui sono passati per le armi solo alcuni fra gli altri condannati; i rimanenti verranno giustiziati nei giorni successivi e in luoghi differenti.
Tradito da una delazione, il 1° gennaio 1945 è arrestato da membri dell'UPI di Imperia durante una missione al cinema Centrale. Consegnato alle SS è rinchiuso nelle carceri di Oneglia e torturato. Condannato a morte, sarà fucilato sulla Torre di Capo Berta (Diano Marina, IM).
Igor Pizzirusso, 31/1/1945: strage di Torre di Capo Berta, comune di Diano Marina (IM), Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana   
 
Il 31 gennaio 1945 due colonne militari congiunte di tedeschi e italiani (approssimativamente 200 militari) risalirono all'alba le colline, scontrandosi con un gruppo di partigiani posizionato in località “Nicuni”, presso Tavole, frazione di Prelà. Nello scontro morirono sei partigiani Tommaso Ricci, Manfredo Raviola, Bartolomeo Dulbecco e Ernesto Ascheri (tutti originari di Imperia), Matteo Zanoni (di Brescia), e Ivan Polesciuk (quest'ultimo russo), altri quattro partigiani Ernesto Deri, Adler Brancaleoni, Matteo Cavallero, Biagio Giordano furono costretti ad arrendersi essendo rimasti senza munizioni, andando a raggiungere nella prigionia Carletti Doriano “Mizar” catturato il 25 gennaio, durante un precedente rastrellamento nella vicina frazione di Villatalla. A questi rastrellamenti partecipava anche una donna, Maria Zucco, nota come la donna velata, che collaborava coi fascisti nel riconoscere e indicare partigiani e renitenti alla leva. De Marchi fu arrestato dall’ex partigiano Turiddu e da un altro milite nei pressi della biglietteria del Cinema Centrale a Imperia. Stenca, responsabile SIM della 1a Zona Liguria, venne catturato a S. Agata il 9 gennaio 1945 nel corso di un rastrellamento. Ettore Ardigò fu arrestato a Costarainera il 31 dicembre. Il 31 gennaio il tribunale militare tedesco, atteso il non ritorno dei due militari germanici ed avendo saputo da delatori della loro uccisione, giudicava colpevoli i 20 ostaggi emettendo la sentenza di condanna a morte. I primi 11 ostaggi verranno fucilati il 31 gennaio stesso a Capo Berta, 4 lo saranno il 9 febbraio (vedi De Lauro, Favale e Guareschi, fucilati sul muro di cinta del cimitero di Oneglia), e gli ultimi 5 (Brancaleone, Carletti, Cavallero, Giordano e Deri) furono fucilati il 15 febbraio. Altri (Roberto Sordello, Faustino Zanchi) ritornarano in carcere fino alla liberazione. Per quanto riguarda Carlo Delle Piane alcuni documenti riportano la data della sua esecuzione al nove febbraio 1945. Ansaldi, Manodi e Garelli da documenti tedeschi vengono segnalati come delatori. Poco chiari la data e il luogo della fucilazione che costò la vita a Carletto Delle Piane, braccio destro e amico fraterno di "Cion" Silvio Bonfante, fucilato secondo alcuni il 31 gennaio 1945 ad Oneglia a levante della prima galleria della stazione ferroviaria, secondo altri a Capo Berta. Non manca chi indica la sua fucilazione il 9 febbraio.
Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020 

[   n.d.r.: altre pubblicazioni di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea… memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019;  La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016    ]
 
De Benedetti Alcide: nato a Imperia il 25 gennaio 1929, squadrista in servizio nella Brigata Nera “Padoan” ad Imperia.
Interrogatorio del 14.11.1945: Appena vennero istituite le brigate nere, per non essere mandato in collegio dai miei genitori, pensai di arruolarmi in detto corpo, ove anche se non ancora maggiorenne mi incorporarono lo stesso. Prima di arruolarmi in dette brigate nere ero iscritto alle fiamme bianche, le quali erano state istituite con la classifica di Moschettieri del Duce.
[...] Ho avuto modo di conoscere certo “Turiddu”, che mi era stato additato da alcuni amici per un agente di polizia e nel contempo per un ex partigiano. Per quanto concerne l’addebito che mi si muove, ovvero di essere l’artefice dell’arresto del patriota De Marchi Paolo, in seguito fucilato, e del garibaldino Abbo Lorenzo, da parte del “Turiddu”, posso affermare che non feci mai la spia al “Turiddu”. Il fatto si svolse nel seguente modo: in una domenica di un mese che non posso precisare, periodo in cui non facevo più parte delle brigate nere, mentre mi trovavo con il citato Abbo nei pressi del cinema Centrale vidi il “Turiddu”, che procedette all’arresto, nei pressi della biglietteria, del De Marchi, il quale, conoscendo il “Turiddu” e credendolo ancora un partigiano, lo aveva salutato con una strizzatina d’occhio; invece il “Turiddu” lo arrestò. Io, che mi trovavo fuori dal cinema, dissi all’Abbo di scappare, ma lui rispose che voleva stare a vedere come finiva la faccenda. Senonché il “Turiddu”, passando vicino a noi, riconosciuto l’Abbo per un partigiano, mettendogli una mano sopra la spalla, lo invitò a seguirlo, dicendogli le testuali parole “Vieni, che anche tu sei stato in banda”. Dopo alcuni giorni rividi l’Abbo che lo avevano rilasciato per la sua minore età ma nel contempo lo avevano arruolato nell’Organizzazione Paladino, dove già io mi trovavo per il servizio del lavoro.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019  
 
Il 1° gennaio c.a., mentre mio figlio si trovava nei pressi del cinema Centrale del rione di Porto Maurizio, venne arrestato da un tale di nome Turiddu e che poi seppi denominarsi Ghirlando Vincenzo. A carico di costui ho già sporta regolare denuncia.
Ora da mio nipote Lercari Armando sono venuto a conoscenza che chi quel giorno indicò mio figlio al Ghirlando per farlo arrestare fu un appartenente alla brigate nere chiamato DI BENEDETTO [n.d.r.: in altre versioni, come si è già visto, il cognome risulta De Benedetti] Alcide il quale risiede attualmente in Imperia.
Mi ha riferito tale mio nipote che il Di Benedetto sostava all'ingresso del cinema predetto in compagnia di un altro milite e che i due avevano in mano una fotografia di mio figlio. Se ciò sussiste, logicamente il Di Benedetto deve essere ritenuto copartecipante in quanto se fosse sfuggito al Ghirlando non sarebbe sfuggito a lui che era aiutao dal ritratto.
Luigi De Marchi (padre del partigiano Paolo De Marchi), Denuncia alla Questura di Imperia del 22 ottobre 1945, Documento in Archivio di Stato di Genova