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martedì 17 settembre 2024

Due capi banda si suicidarono per non cadere nelle nostre mani

Villatalla, frazione di Prelà (IM). Fonte: ErmaAnna/Flickr

Il 25 gennaio, il partigiano Ferrero (Tom o Staffetta Gambadilegno), del X° Distaccamento "Walter Berio", catturato dal nemico il giorno 17 (come abbiamo già ricordato) e rimasto ferito, viene medicato, sottoposto a  duri interrogatori, tradisce i compagni poiché conduce i fascisti nella tana che nascondeva il Distaccamento e che lui stesso aveva aiutato a costruire. Così cadono in mano al nemico ben undici garibaldini, tra cui il comandante Vittorio Aliprandi (Dimitri) e il commissario Nello Bruno (Merlo), i quali preferiscono togliersi la vita piuttosto di arrendersi. Sette di loro saranno fucilati ad Oneglia e due a Torretta di Vasia.
[...] Ma vediamo nei dettagli il triste episodio dalla relazione del vice commissario della IV° Brigata Gino Gerini.
“La Brigata è in stato di sfacello, in un solo mese ha avuto quasi un centinaio di caduti, più di un terzo dei suoi effettivi, già ridotti dalle gravi perdite precedenti e da alcuni defezioni. Tutto intorno ai superstiti, il nemico aveva posto un cordone di sicurezza; li aveva tagliati in tronconi, senza possibilità di ricongiungersi o mantenere i collegamenti. Si era infiltrato dappertutto presidiando i centri vitali. Fu il momento più terribile della lotta. I partigiani prevedevano l'annientamento definitivo poiché non avevano quasi più munizioni, nè viveri, nè indumenti. Non erano più una formazione, ma una massa di poveri esseri laceri e sfiniti in cui soltanto lo spirito continuava a vivere indomabile. Si erano divisi in gruppi per sfuggire alla continua sorveglianza nemica. Gruppi di cinque o sei uomini, dieci o dodici al massimo, che si aggiravano senza meta fra i boschi, rupi e burroni, come fantasmi. Il X Distaccamento “Walter Berio” era stato decimato come tutti gli altri. Un piccolo gruppo del Distaccamento stesso, undici uomini in tutto, con a capo “Dimitri” e “Merlo” (quest'ultimo uno dei più vecchi garibaldini), si era portato in una località tra Pantasina e Villatalla [frazione del comune di Prelà (IM)], in un fondovalle presso un ruscello incassato tra pendii scoscesi, rivestiti di boschi, dove era stata adattata una caverna a rifugio. Il luogo sembrava sicuro, un muro a secco era stato eretto all'entrata della tana, ove la vita trascorreva orribile per il fango e l'umidità. Ma gli uomini resistevano nella speranza di poter ricongiungersi ai compagni e riprendere la lotta interrotta. Il famigerato capitano Giovanni Ferraris, con i suoi uomini della compagnia “Senza Patria”, rastrellatori di Imperia, battevano la campagna. Era un feroce masnadiero ed i suoi sgherri formavano la più spietata banda di aguzzini. Derubavano i contadini, terrorizzavano, seviziavano ed uccidevano con un sadismo inumano.Naturalmente le spie e i traditori non mancavano. Erano in ogni luogo: gente che si vendeva per denaro sempre, tavolta per odio. Il giorno 25 gennaio 1945, Ferraris va su a Villatalla con le squadre. Le notizie che egli ha sono sicure, perché circonda il vallone dove stavano i partigiani ed incomincia a batterlo. Il Distaccamento si rifugia nella caverna: pensare di resistere è impossibile, non vi sono armi automatiche, i fucili sono scarichi, le sole rivoltelle, alcune delle quali inservibili, hanno qualche pallottola. I giovani si uniscono e attendono nella speranza di non venire scoperti. Sentono i passi dei fascisti che vanno avanti e indietro e ne seguono con ansia tutti i movimenti. Poi odono il rumore delle pietre smosse e vedono filtrare nella tana la luce del giorno: è la fine! Impugnano le armi e tirano, dal di fuori si risponde con il lancio di bombe a mano che feriscono quasi tutti i partigiani. Le munizioni sono esaurite. “Dimitri” e “Merlo” sono per una sortita in massa, ma gli altri non si reggono in piedi, alcuni non possono più muoversi. Il nemico, che fuori schiamazza e insulta, ma non osa entrare, esulta perché sa di aver vinto. I due capi compiono il gesto eroico: salutano i compagni uno ad uno, poi, addossatisi alla parete della caverna, si sopprimono con i due ultimi colpi rimastigli. Il nemico sente i colpi. Intuisce quello che sta avvenendo. Dopo aver esitato ancora e quindi scaricate le armi all'interno della caverna senza avere ottenuto risposta, irrompe fulmineamente nel rifugio. Vi trova due partigiani morti e altri nove feriti. Ma né  l'eroismo né la maestà della morte valgono a mitigare la loro ferocia. I garibaldini, vivi o morti, sono spogliati, insultati e percossi. I superstiti vengono legati e, tra gli scherni della soldataglia, avviati verso il paese. Due giorni dopo un gruppo di partigiani, informati dell'accaduto, si recano a recuperare le salme dei due compagni caduti. “Dimitri” e “Merlo” giacevano ove si erano uccisi, quasi nudi e senza scarpe. Sul corpo di “Dimitri” c'era un pezzo di carta con scritte poche e turpi parole che dicevano: “Questa è la sorte che toccherà a tutti i banditi”. E più sotto il nome di un partigiano con la postilla: “Anche tu farai la stessa fine”. Le salme furono poste sopra due barelle fabbricate con rami intrecciati e portati nel cimitero di Villatalla dove vennero seppellite. Gli accompagnatori andavano su per un sentiero alpestre, muti e commossi. A metà strada un vecchio andò loro incontro, fu riconosciuto, era il padre di “Dimitri”. Si fermò,i suoi occhi erano fissi, sbarrati, sulle rozze portantine. Intuì che suo figlio era lì, esanime. Senza un grido, senza una lacrima, come se il dolore lo avesse impietrito, con un balzo si gettò sul corpo del figlio e lo abbracciò. Poi cadde svenuto. I nove prigionieri furono trasportati ad Imperia, torturati e in seguito fucilati...".
Tra questi ricordiamo: Carletti Doriano (Misar), Giuseppe De Lauro (Venezia), Luigi Guareschi (Camillo), Vincenzo Faralli (Camogli), il russo Nicolay Gabrielovic Poronof (Tenente Nicolay). Di essi daremo altri ragguagli in seguito.
Il 27 il tempo si guasta, piovaschi e nebbia. Si sente una sparatoria, il nemnico rastrella Pietrabruna e dintorni. Partigiani del primo Battaglione, che si trovano nella zona, si portano in cresta dove preparano una postazione per la mitragliatrice che hanno in dotazione.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 89-92

Annibale Agostini, nato a Genova il 13 maggio 1911, agente in servizio presso la Squadra Antiribelli della Questura di Imperia
Interrogatorio del 10.10.1945:
"[...] Ammetto di aver preso parte al rastrellamento avvenuto a gennaio u.s. in Villatalla ove furono catturati 9 partigiani e due capi banda si suicidarono per non cadere nelle nostre mani. Tale rastrellamento venne effettuato su indicazioni fornite da un partigiano a nome Ferrero, il quale ci accompagnò sul posto. I 9 partigiani catturati nella predetta azione erano 7 italiani e due russi. Gli italiani furono consegnati alla Questura e nei verbali vennero indicati come prigionieri dei partigiani da noi liberati, in quanto appartenenti all’esercito repubblicano. Seppi in seguito che cinque dei fermati vennero uccisi dai tedeschi per rappresaglia come da manifesti affissi sui muri della città [Imperia]. Non sapevo che anche i due russi vennero fucilati dai tedeschi. Dall’esame degli atti della questura sarà possibile accertare che cercai di salvare i predetti facendoli figurare come elementi prelevati e tenuti prigionieri dai partigiani.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia,  StreetLib, Milano, 2019

... un reparto della Brigata Nera con elementi della polizia dipendenti dalla Questura eseguiva azione di rastrellamento in territorio di Vasia, Pantasina, Arborei, riuscendo a catturare nove partigiani, fra cui due di nazionalità russa. Un capo banda ed un commissario politico per evitare l'arresto si suicidavano, sparandosi un colpo di pistola alla tempia.
Sergiacomi, Questore di Imperia, Al capo della Polizia - Sede di campagna (visto di arrivo del Ministero dell'Interno della RSI in data 7 marzo 1945), Relazione mensile sulla situazione politica, militare ed economica della Provincia di Imperia, 1 febbraio 1945  - XXIII°

domenica 9 giugno 2024

Portare nottetempo agenti segreti tedeschi

Fonte: Giulio Gavino, art. cit. infra
 
Il "Molch" era dunque un sottomarino monoposto armato con due siluri da 533 millimetri. Il primo prototipo fu sperimentato a Eckernförde, una cittadina dello Schleswig-Holstein in Germania, il 12 giugno 1944 ed in seguito furono realizzati un totale di 363 "Molch" (fino al gennaio 1945). La torretta aveva due finestre ed era coperta da una cupola in plexiglass. Poteva viaggiare a due sole velocità e la retromarcia non era prevista. Scomodo da manovrare, in combattimento risultò un grosso fiasco e fu principalmente utilizzato per addestramento. La prima unità operativa dotata di "Molch" fu la K-Flottille 411. Il dimensionamento della prima flottiglia (sessanta "Molch" e trecentocinquanta uomini) si dimostrò eccessivo: durante gli spostamenti la lunga colonna fu spesso bersaglio degli attacchi della aviazione alleata e dei partigiani. Fu perciò deciso di ridurre le dimensioni delle successive flottiglie. Durante i primi test molti "Molch" affondarono col proprio pilota. Quando dodici "Molch" vennero impiegati per la prima volta contro le pattuglie alleate al largo di Mentone e Nizza; fu un disastro: la flotta alleata non subì alcun danno, mentre soltanto due "Molch" ritornarono solo per essere distrutti successivamente dal bombardamento di San Remo. Le operazioni della KF-411 furono interrotte. Il 20 settembre 1944 il resto della KF-411 fu trasferito a Trieste e dislocata a Sistiana.
Paolo Geri, Scampoli di storia: La base dei sommergibili a Sistiana durante la seconda guerra mondiale (1943-1945), Bora.La, 5 settembre 2010 
 
Verso la fine del 1944 una Germania sull’orlo della sconfitta continuava a riporre tutte le proprie speranze nelle nuove tecnologie, a partire dalle V1 e V2, arrivando alle wunderwaffen, quest’ultime niente più che capolavori di propaganda, pericolose e inefficienti.
I sommergibili Molch rientravano in questa categoria: erano costrutti scomodi e inaffidabili, mini sottomarini comandati da un’unica persona. Dopo aver constatato in mare la sconfitta degli U-Boot, la Kriegsmarine aveva iniziato a sperimentare con le K-flottiglie, ovvero reparti di mini sommergibili sull’esempio italiano della Decima Mas. Incursioni fulminee e notturne, capaci di sorprendere le flotte degli Alleati. I Molch - noti anche come Salamandre o Squali da Posta - presentavano un posto guida con una piccola torretta, dotata di due finestre e una cupola di plexiglass, a sua volta con funzione di portello di entrata. La torretta era anche dotata dell’indispensabile periscopio, mentre nel corpo inferiore della macchina erano situati i due siluri, agganciati con speciali staffe. I piloti assumevano Pervitin per rimanere svegli anche quarantotto ore di fila, fino a raggiungere il bersaglio, colpire e ritornare alla base. Proprio al momento di sganciare il siluro, il Molch palesava l’ennesimo difetto: il sommergibile doveva riemergere in superficie, esponendo così il pilota allo sguardo (e alle armi) delle navi nemiche.
Le prime prove non furono infatti brillanti: i Molch avevano solo due velocità, erano scomodissimi da manovrare e l’unico modo per orientarsi era guardare il cielo stellato dalla cupola. L’impossibilità di usare la retromarcia li rese presto letali più per i piloti che per i nemici, con alcuni, mortali, incidenti persino durante l’addestramento. Eppure, se il Fuhrer lo desiderava, doveva essere fatto.
Fu così che dodici Molch s’inabissarono diretti verso il nemico il 25 e il 26 settembre 1944, al largo di Mentone e Nizza. Le navi che avrebbero dovuto affondare scatenarono tutto il proprio arsenale di bombe di profondità, distruggendo dieci Molch su dodici. I restanti riuscirono a tornare, salvo poi venire distrutti dal bombardamento di Sanremo.
Sistiana iniziò così a interessare non solo l’esercito di terra, ma la stessa marina, perchè divenne, dall’11 novembre 1944, la sede dei rimanenti Molch, all’incirca una trentina.
Zeno Saracino, I Molch di Sistiana. L’eredità sommersa dei mini sottomarini nazisti, Triestenews, 20 luglio 2019

Alla fine del 1944 la disfatta della Germania appariva inevitabile ed i tedeschi stavano disperatamente giocando quelle che ritenevano le loro carte migliori e più ingegnose. Sono di questo periodo le temibili V1 e V2 che pur rappresentavano un ingannevole successo.  Gli Alleati ormai erano superiori sia in terra che in aria. Ma anche in mare i tedeschi non se la passavano bene e gli U-Boot erano ormai fortemente penalizzati dalle tecnologie di localizzazione delle forze alleate. In uno scenario disperato ed ormai senza speranza furono create le K-Flottiglie: reparti per attacchi notturni con mini sommergibili  che si riteneva difficile da localizzare e che replicavano le strategie della Decima Mas Italiana. A poppa vi era il posto di guida sormontato da una piccola torretta che aveva due finestre ed era coperta da una cupola in plexiglass che faceva anche da portello di entrata. Sulla torretta era posizionato un periscopio per l’osservazione in immersione. Sotto, erano agganciati a speciali staffe, due siluri.
In combattimento, peraltro, i molch si rivelarono un fallimento totale. I piloti navigavano pressoché alla cieca e spesso usando come riferimento le sole stelle visibili tramite la cupola in plexiglass sulla torretta. Il lancio dei siluri poteva avvenire solo a pelo d’acqua rendendo sostanzialmente vulnerabile il sottomarino proprio nel momento più cruciale. Il Molch poteva viaggiare a due sole velocità e la retromarcia non era prevista. Scomodo da manovrare, il Molch in combattimento risultò un grosso fiasco e fu principalmente utilizzato per addestramento. Già durante i primi test, molti Molch affondarono con il proprio pilota. Il 25 e 26 settembre 1944, 12 Molch vennero impiegati per la prima volta contro le pattuglie alleate al largo di Mentone e Nizza. Fu un disastro! La flotta alleata non subì alcun danno, mentre soltanto due Molch ritornarono solo per essere distrutti successivamente dal bombardamento di Sanremo. L’11 novembre 1944, i Molch rimanenti furono trasferiti a Trieste e dislocati a Sistiana dove i tedeschi costruirono appositamente una base nella  piccola baia sormontata dal romantico sentiero Rilke. La montagna che arriva fino alla spiaggia era un riparo ideale e fu "scavata" per aprire gallerie e sale a custodire i molch. Ancora oggi si vedono i varchi sulla montagna utlizzati per le  mitragliatrici ed i cannoni. Fu costruito anche un largo scivolo per mettere in mare i mezzi subacquei.
Redazione, I sommergibili tedeschi Molch, Sommozzatori Rari Nantes
 
Colpi di cannone, raffiche di mitragliatrice, motori lanciati alla massima velocità, scafi che sfiorano i campi minati a pelo d’acqua. Le immagini che emergono dall’archivio del Naval History and Heritage Command statunitense raccontano la storia poco conosciuta della battaglia navale di Sanremo, combattuta tra la notte e l’alba del 2 ottobre 1944. Uno scontro che portò le forze Usa impegnate nel Mediterraneo a catturare per la prima volta due barchini esplosivi MTM (acronimo di Motoscafo da Turismo Modificato), vanto delle forze anfibie della Regia Marina prima e della Repubblica di Salò poi, affidate ai marinai della Kriegsmarine che nella città dei fiori erano arrivati un mese prima per sperimentare i mini sottomarini “Molch”, fallimentare arma segreta di Hitler [...]
Dall’archivio Usa, dissequestrato qualche anno fa, emergono anche i documenti relativi all’impiego delle flottiglie naziste nel Ponente Ligure, i verbali di interrogatorio dei prigionieri, l’attività di intelligence e ricognizione. I tedeschi avevano i mini sottomarini “Molch” e “Mader” da testare ma la Kriegsmarine si occupava anche di altro. Come ad esempio portare nottetempo agenti segreti dell’Abwehr reclutati dal maggiore Karl Sessler [n.d.r.: in effetti, Georg Sessler, che non era un operativo dell'Abwehr - vedere infra] tra la comunità internazionale che ancora viveva a Sanremo, a Marsiglia e Nizza per raccogliere informazioni sulle forze alleate sbarcate nella Francia del Sud con l’operazione “Dragoon”. Berlino voleva sapere quali e quante navi da guerra ci fossero e come poterle colpire.
I dettagli di quella notte di combattimenti sono custoditi nei registri di bordo dell’USS Gleaves [...] Nel frattempo un colpo di 88 dalla costa raggiunge il Gleaves provocando lievi danni e una mezza dozzina di feriti lievi. La nave intanto per sfuggire ai barchini ha iniziato a procedere a zig zag e il comandante ha dato piena potenza alle macchine. Dopo alcune salve esplose verso la costa si allontana dal golfo di Sanremo con la copertura delle motosiluranti che intanto hanno intercettato altri due barchini arrivati di rinforzo. La cattura avviene in quel frangente. I marinai americani circondano i due scafi degli MTM (uno, colpito, poco dopo affonderà) e recuperano i piloti tedeschi che si erano lanciati in mare con le tute da sommozzatori. Alle luci dell’alba il Gleaves torna indietro, la preda di guerra viene caricata a bordo e portata in Costa Azzurra. Scattano le indagini per scoprire il funzionamento dei barchini.
Giulio Gavino, 1944, battaglia in mare a Sanremo: barchini esplosivi all’attacco, Il Secolo XIX, 3 marzo 2023
 
Nell’agosto del 1944 Georg Sessler fu inviato a dirigere l'ufficio di Sanremo che si occupava principalmente di intercettare le trasmissioni radio alleate ma venne incaricato dal suo superiore, il Colonello Engelmann, di reclutare agenti da inviare oltre le linee nemiche. A Sanremo assunse il nome di Doctor Steinbacher.
I diretti collaboratori di Sessler erano Leon Jacobs alias Felix, l’operatore radio Wihlelm Schönherr alias William e il tuttofare Widenmeyer, oltre ad alcuni agenti di nazionalità italiana e francese.
L’ordine ricevuto da Engelmann di occuparsi anche delle infiltrazioni di agenti oltre le linee nemiche mise l’ufficio di Sessler in concorrenza con un’altra struttura presente a Sanremo, retta dallo Sturmannführer Helmut Gohl della Sicherheitspolizei e SD, l’"ufficio VI", la cui attività era dedita al sabotaggio e allo spionaggio diretta contro le forze alleate presenti in Provenza e in Costa Azzurra. La sede sanremese dell’Ufficio VI della S.D. si trovava a Villa Araga, di fronte alla stazione del filobus. Dell’ufficio di Gohl, oltre al suo stretto collaboratore Selm, facevano parte gli Obersturmführer Senner alias Sommer e Werner Neissen e si avvaleva di più di un centinaio di membri del Parti Populaire Français, P.F.F., collaborazionisti durante la stagione del maresciallo Petain, in quel periodo pronti a tornare in Francia per spiare la dislocazione delle forze alleate e compiere azioni di sabotaggio. La missione che coinvolgeva questi esuli fancesi prendeva il nome di operazione Bertram e Tosca.
A Sanremo un altro ufficio della Sicherheitspolizei e SD, che si occupava principalmente di repressione delle bande partigiane e dei reati di natura politica e di repressione del mercato nero, era retta dall’Oberschführer Josef Reiter, che non mancava di inserirsi a gamba tesa anche nelle attività degli uffici precedentemente descritti. Reiter era alle dirette dipendenze del comando di Genova, retto da Friedrich Wilhelm Konrad Sigfrid Engel (Warnau am der Havel 11/2/1909 - Amburgo 4/2/2006), condannato all’ergastolo in contumacia per le stragi del Turchino, della Benedicta, di Portofino e di Crevasco dove, nel complesso, furono fucilati ben duecentoquarantotto tra partigiani e antifascisti.
Giorgio Caudano, Appunti, 2020
 
[ n.d.r.: alcuni lavori di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano (con Paolo Veziano), Dietro le linee nemiche. La guerra delle spie al confine italo-francese 1944-1945, Regione Liguria - Consiglio Regionale, IsrecIm, Fusta editore, 2024; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]
 
Il 1° ottobre i piloti dell'Army Cub scoprirono i MAS tedeschi nel porto di San Remo. Un bombardamento ben mirato, nonostante il forte fuoco di risposta, provocò la distruzione di almeno tre di queste imbarcazioni e la demolizione delle strutture per la riparazione delle barche e di altre installazioni portuali. L'incrociatore USS Gleaves trovò anche il tempo di distruggere almeno una batteria da 88 mm (3 pollici), che si era rivelata pericolosa durante l'attacco. Il giorno successivo, assistito da aerei della USS Brooklyn, bombardò gli stabilimenti costieri, le postazioni delle batterie e le navi nel porto di Oneglia, facendo gravi danni a due grandi navi mercantili nemiche, distruggendo una batteria di difesa costiera e una batteria antiaerea vicino al porto. Durante quell'azione il Gleaves ricevette alcuni dei pochi colpi della sua carriera quando un proiettile da 88 millimetri perforò il suo scafo con le schegge.
Durante la notte, mentre pattugliava al largo di Sanremo, il radar di Gleaves individuò tre navi nemiche che si muovevano lungo la costa. Senza assistenza, si avvicinò a loro, nonostante sapesse della presenza di campi minati, e riuscì a distruggerne uno, costringendo gli altri due al ritiro. Più tardi, quella notte, i restanti due furono nuovamente individuati mentre cercavano di raggiungere Sanremo. Ancora una volta, Gleaves attaccò e questa volta distrusse una seconda nave del gruppo e riportò la terza a Genova, probabilmente in condizioni danneggiate.
Mentre tornava alla sua posizione iniziale al largo di San Remo, quella notte il Gleaves fu ingaggiato per la terza volta a battaglia poiché divenne oggetto di un attacco da parte di almeno cinque motoscafi esplosivi con equipaggio suicida. L'uso accorto e combinato di colpi di cannone, di bombe di profondità e di forti virate alla massima velocità lo misero in salvo, lasciando quattro imbarcazioni affondate nella sua scia. La mattina seguente, tornanto in zona, l'equipaggio catturò il quinto motoscafo intatto e con ancora a bordo due operatori. Per quanto è noto, quella fu la prima imbarcazione di quel tipo catturata ai tedeschi e fornì preziose informazioni tattiche alle forze alleate nella zona.
Nel dicembre 1944 il Gleaves fu assegnato come nave di supporto antincendio vicino alle posizioni alleate sulla frontiera franco-italiana e svolse questo compito fino alla partenza per gli Stati Uniti nel febbraio 1945.
Redazione, USS Gleaves, Wikipedia
 

venerdì 2 febbraio 2024

I partigiani imperiesi alla fine di maggio 1944

Imperia: uno scorcio di Capo Berta

Come nelle altre zone liguri, anche ad Imperia i bandi di arruolamento della R.S.I. determinarono un notevole afflusso di reclute alle formazioni di montagna aumentandone gli effettivi ed impegnando i comandi in un'opera più attenta di inquadramento e di organizzazione.
Contemporaneamente venne predisposto un piano che stabiliva per il 25 maggio [1944] - data di scadenza dei bandi e dell'ultimatum fascista, per la quale era quindi prevedibile l'inizio di una offensiva nemica -  un attacco simultaneo in tre punti contro le posizioni germaniche e fasciste ed una nuova dislocazione difensiva dei reparti partigiani.
Il piano fu puntualmente eseguito nella data stabilita e sugli obiettivi fissati: il 25, i distaccamenti di Cion [Silvio Bonfante] e di Ivan attaccarono con successo rispettivamente le postazioni difensive nemiche di Capo Berta e di Garbella <7, mentre gli uomini di Mirko [Angelo Setti] sorprendevano con una violenta sparatoria il posto di blocco di Cesio, che poteva salvarsi - dopo due ore di combattimento e notevoli perdite - solo con l'arrivo di rinforzi germanici.
Quindi i reparti raggiunsero le nuove posizioni: mentre il distaccamento di Mirko e quello di Tito restavano a Bregalla e al Bosco Nero, Ivan si spostava a Fontanin (Costa di Carpasio) e Cion si piazzava con i suoi nomini a Casoni, a ridosso del Pizzo d'Evigno.
A giugno il movimento di resistenza imperiese, forte dei nuovi effettivi e già provato da importanti esperienze, si pose a sua volta il problema di unire in forma più organica - sotto un solo comando e con un nuovo inquadramento militare - tutte le formazioni e le bande operanti nell'entroterra.
La prima unità combattente risultato di questo impegno - regolarmente inserita nell'organico delle Brigate Garibaldi e del Comando Militare Ligure - fu la IX Brigata d'Assalto, che costituì la base da cui si sarebbe sviluppato successivamente tutto l'esercito partigiano della zona.
Benché il comunicato ufficiale della sua costituzione fosse stato diramato solo il 14 giugno - con una circolare a firma dell'Ispettore Pio - la Brigata funzionava già come tale dal primo giorno dello stesso mese.
Raggiungere l'accordo tra i vari reparti ed i gruppi sparsi nel vasto territorio della provincia non era stato - a quanto risulta - molto difficile data l'unità operativa già esistente tra le diverse formazioni e dato che gran parte dei vari comandanti e commissari provenivano dalla prima banda di Felice Cascione: più difficile fu - senza dubbio - ottenere un inquadramento disciplinare e tattico conciliando le esigenze generali con il mantenimento della massima autonomia di manovra possibile ai singoli reparti.
Il risultato fu tuttavia in gran parte positivo: ne risultò una Brigata piuttosto agile negli spostamenti, in grado di controllare una grande zona di operazioni, abbastanza efficiente nei servizi.
La sede del Comando fu stabilita nella casa di Bacì di Fundeghé, nel bosco di Rezzo; Curto (Nino Siccardi) fu designato comandante della Brigata, vice comandante Mario (Mario De Lucis), commissario Giulio (Libero Briganti), vice commissario Grosso (Luigi Nuvoloni) e ispettore di Brigata Pio.
[...] Collegata alla IX Brigata - ma mantenendo una propria autonomia di comando e di azione - operò anche in quel periodo una formazione denominata «Banda Matteotti» <8, che si era formata agli ordini del capitano Franco (capitano Franco Faverio).
Un così rapido aumento del potenziale dell'organico nel movimento militare di resistenza non poteva non avere delle immediate ripercussioni sulle autorità occupanti che del movimento clandestino avevano rilevato i progressi sia dalle notizie di numerosi informatori sia dall'aumentato numero e ritmo dei sabotaggi e degli attacchi portati contro le loro truppe.
Contromisure nemiche
Occorreva quindi predisporre non solo più munite difese nei punti nevralgici delle vie interne di comunicazione e della stessa via Aurelia ma anche - e soprattutto - effettuare alcune grosse operazioni di rastrellamento che liberassero il territorio alle spalle delle truppe germaniche operanti al confine francese e di quelle poste a vigilare contro sbarchi Alleati la Riviera Ligure di ponente.
Vennero dunque - nello stesso mese di giugno - aumentati gli organici della 33^ Legione della G.N.R. di stanza ad Imperia e del IX Battaglione G.N.R. di stanza ad Albenga, mentre nella zona si installavano grossi reparti della 41^ Divisione germanica Alpenjager i cui obbiettivi di impiego - al di fuori dei compiti delle truppe presidiarie <9 - erano appunto le operazioni antiribelli.
Tali misure consentirono ai comandi germanici e fascisti di effettuare nel solo mese di giugno circa 50 puntate di rastrellamento contro le forze partigiane: puntate rese del resto necessarie per l'aumentata combattività dei reparti di volontari della provincia e delle zone confinanti, che in breve erano giunti ad occupare una vasta zona del Colle di Nava a Garessio, controllando per un certo periodo di tempo anche Bagnasco e la strada Ceva-Ormea. <10
L'asprezza assunta dai nuovi scontri col nemico in ogni parte della provincia contribuì certamente in modo determinante a rafforzare la omogeneità e lo spirito combattivo dei reparti della IX Brigata operando una selezione che ne migliorò l'assetto militare e conferì agli effettivi la necessaria esperienza nello sviluppo della strategia partigiana.
Anche la parte logistica della formazione potè migliorarsi con la creazione di alcuni servizi indispensabili - quali l'intendenza, il Servizio Informazioni Militari, il Servizio Sanitario e il reparto Stampa e Propaganda - che se in quella prima fase non risolsero, tuttavia avviarono a soluzione i principali problemi relativi alla vita dell'unità combattente.
[NOTE]
7 In questa azione venne ferito il partigiano Emiliano Mercati.
8 Più tardi gli effettivi della Banda Matteotti vennero assorbiti in parte dalle formazioni garibaldine, in parte dalle formazioni Autonome del Basso Piemonte. (Documentazione Rubaudo).
9 Fra le truppe presidiarie della R.S.I. nella zona cominciavano a verificarsi numerosi episodi di diserzione; vi fu persino il caso di un rifiuto collettivo a partecipare ad un rastrellamento: a seguito di ciò 500 soldati furono disarmati e inviati a Genova a disposizione delle autorità germaniche. Un reparto della R.S.I. di presidio a Caramagna passò invece - al completo - alle forze della resistenza. Anche tra i militi della G.N.R. e gli agenti della P.S. erano cominciate le diserzioni ed i contatti con il movimento clandestino. (Documentazione Rubaudo).
10 L'occupazione avvenne nei giorni tra l'll e il 16 giugno.
Giorgio Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Istituto Storico della Resistenza in Liguria, 1969, pp. 240-246

giovedì 26 ottobre 2023

Il Vescovo di Albenga conosceva bene e approvava la collaborazione dei suoi sacerdoti a favore delle formazioni partigiane

Albenga (SV): Cattedrale di San Michele. Foto: Eleonora Maini

Ricorderò sempre con rimpianto le lunghe notti di novembre-dicembre del '44, le lunghe chiacchierate sul proclama degli Alleati che ci invitava a sospendere la lotta per il periodo invernale, come se la cosa fosse di estrema facilità. Per loro quella decisione era considerata come scegliere di cambiarsi d'abito: faceva freddo, e allora semplicemente si cambiavano i vestiti estivi con quelli invernali. Questi ordini assurdi anzichè demoralizzare gli uomini, cementarono fra noi la vera amicizia, e sopratutto la volontà comune di continuare la lotta. Quando poi sistemai i meno validi presso le famiglie dei dintorni, non fu cosa facile far loro capire che quello era un provvedimento temporaneo e che dopo sarebbero ritornati a far parte delle varie formazioni in primavera, ma che comunque sarebbero stati ritenuti sempre in servizio, come se si fossero trovati ancora nei Distaccamenti.
Dovevo ridurre gli effettivi nei Distaccamenti stessi per renderli più agili e manovrieri. C'erano con noi due fratelli gemelli sanmarchini, di cognome Baroni, nativi dei dintorni di Milano: uno era ammalato di polmoni e il medico (Dr. Lai) ne consigliava l'allontanamento dalle formazioni, perchè poteva essere infettivo. Non potevo sistemarlo presso qualche famiglia sapendo che poteva essere contagioso; allora li fornimmo tutti e due di carte d'identità rilasciate da un Comune della valle e, con gli abiti avuti da alcuni giovani del paese e qualche chilogrammo d'olio donato loro dai contadini, partirono per la Lombardia dalla stazione di Albenga e riuscirono ad arrivare a casa (quello ammalato morì di t.b.c. alcuni anni dopo la fine della guerra, senza purtroppo aver potuto ottenere il riconoscimento e la relativa pensione).
Il loro ritorno fu fortunato, ma noi non potevamo saperlo e allora, nelle interminabili sere davanti al fuoco dei casoni, ci soffermavamo a parlare delle probabilità che avrebbero avuto di riuscire ad arrivare a casa. Lì iniziò il gioco dei perché: perché erano partiti? Perché uno dei due era ammalato? Perché uno dei due era di costituzione delicata? Perché era stato arruolato nel sanmarco? e a forza di perché, si arrivava al perché della guerra, al perchè del fascismo, fino a che, vicino al fuoco, non rimaneva più nessuno.
Altre volte si parlava di calcio e i più preparati in materia iniziavano a ricordare i componenti delle squadre di serie A, e i loro ruoli; finita la serie A, iniziavano con la serie B. Fino a che non riuscivano a ricordare gli undici uomini titolari e le riserve, non passavano ad un'altra squadra. Da diverse sere cercavano di ricordare il nome di un terzino senza riuscirci; i più ostinati nella ricerca erano Lello [Raffaele Nante] e un ragazzo dei dintorni di Milano, il cui nome di battaglia «Disdot» (diciotto) derivava da una partita di calcio della squadra del suo paese, in cui questa aveva subito ben diciotto goal.
Una sera, vicino al fuoco, erano rimasti Lello e Disdot, che non riuscivano a ricordare il nome di un terzino. Andarono a coricarsi senza averlo trovato. Durante la notte, uno dei due, rannicchiato nella sua cuccia, pronuncia un nome e l'altro, situato all'estremità della baita, gli risponde: «Hai ragione, è proprio lui il tertino che ci mancava!» Chissà se erano rimasti svegli tutti e due a pensare, oppure se nel sogno avevano ricordato quel nome.
In uno di quei giorni di novembre ero andato con l'intendente Bergamini a Ortovero per cercare di convincere il nostro fornitore di tabacco a praticare un prezzo a noi più favorevole; ma il commerciante riuscì a convincerci che il prezzo da lui praticato era giusto e che, per causa di quello, avrebbe lavorato in perdita. Io approfittai dell'occasione per fare avere notizie alla mia ragazza e il risultato fu che un bel giorno ella arrivò a Ubaghetta dopo aver peregrinato chissà come e chiedemmo a Don Rembado di sposarci. Don Rembado chiese l'autorizzazione al Vescovo di Albenga, che allora non la concesse per motivi certamente validi (il Vescovo di Albenga che conosceva bene e approvava la collaborazione dei suoi sacerdoti a favore delle formazioni partigiane, temeva che se i nazifascisti fossero venuti a conoscenza del matrimonio, avrebbero infierito più di quanto stavano facendo sul clero in generale).
Decidemmo così di sposarci solo civilmente, ci avrebbe sposato il nuovo Commissario di brigata [la IV^ della Divisione "Silvio Bonfante"] (nel frattempo ero stato nominato Comandante di brigata) e Federico [Federico Sibilla], il commissario, era passato alla I brigata ["Silvano Belgrano"], sostituito da Calzolari (un ragazzo di Bergamo) ex sanmarchino. Riporto copia conforme dell'atto di matrimonio: l'originale è ancora in possesso di Fanin uno dei testimoni.
Era stato un ben triste dicembre; i tedeschi a Pieve di Teco, con l'ausilio di delatori, riuscivano spesso a sorprendere i partigiani nei loro rifugi. Le prigioni del piccolo centro erano colme di ragazzi che, in grosso numero, vennero prima torturati e poi fucilati.
Al servizio dei tedeschi erano purtroppo anche due uomini del mio vecchio distaccamento «C. Maccanò», Walter e Bol, anche loro provenienti dalla liberazione dei prigionieri delle carceri di Oneglia come il prof. Come lui facevano le spie, non avendo però la capacità e tanto meno la libertà della quale godeva il prof. (non mi ero mai fidato infatti di loro completamente).
Erano poi riusciti a sganciarsi durante quel combattimento nella nebbia avvenuto a Cosio, ed erano ritornati a collaborare col nemico riferendo quanto erano riusciti a sapere nel periodo che restarono con noi.
Per Natale Bergamini era riuscito a procurarsi della carne di maiale, senza danno per i contadini. Era riuscito infatti a sapere che i maiali esistenti nei paesi della Val d'Arroscia erano per la maggior parte di un commerciante che li aveva dati ai contadini con l'accordo che, quando fossero stati ingrassati, li avrebbe divisi in parti uguali fra loro.
Bergamini ne fece uccidere uno per il Distaccamento, lasciando ai contadini la loro metà e pagando il resto a prezzo di mercato. Tutti i Distaccamenti per Natale ebbero così mezzo maiale e ne venne fuori un pranzo natalizio davvero sontuoso.
Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo), Dalla Russia all'Arroscia. Ricordi del tempo di guerra, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1994, pp. 151-153

venerdì 24 marzo 2023

Sull'atlantino dei partigiani la mia matita annerisce giorno per giorno le regioni della Germania che sfuggono al Terzo Reich

Andora (SV): dintorni. Foto: Eleonora Maini

Il problema degli effettivi venne risolto in pratica da ogni capobanda a suo piacimento. Le disposizioni del Comando lasciarono largo margine d'interpretazione e furono solo abbastanza precise nello sconsigliare l'arruolamento di repubblicani. Quasi tutti i comandanti ingrossarono la propria banda, poiché comandare molti uomini era ambizione diffusa.
Solo pochi come Stalin [Franco Bianchi, comandante di un Distaccamento] e qualche altro preferirono un pugno d'uomini decisi anteponendo la qualità alla quantità. Quando i distaccamenti si ingrossarono eccessivamente intervennero i comandi brigata e li scissero in due.
In Val Tanaro Fra' Diavolo operava del tutto autonomo inviando notizie saltuarie della sua attività. L'attrazione del suo nome era tale che la IV Brigata «D. Arnera», che dipendeva da lui, e che era agli inizi composta del solo distaccamento «M. Longhi», ai primi di aprile 1945 conterà ben cinque bande.
La I Brigata portò anch'essa il numero dei propri distaccamenti da tre a cinque assumendo uno schieramento a parziale difesa della valle d'Andora.
A nord la II e la III  Brigata si riprendevano più lentamente, date la crisi dei comandi e la mancanza di servizi efficienti.
Il 24 marzo 1945 l'attenzione si porta nuovamente su Alto perché pare imminente un lancio di maggiore importanza. Lo schieramento di difesa è meno imponente. Pensiamo che ciò sia dovuto alla rapidità con cui si è svolta la raccolta del primo lancio e alla lentezza della reazione nemica. Un rapido abbassarsi della temperatura e una ripresa delle piogge sui monti impone un nuovo duro sacrificio alle bande di presidio sulle cime. Il morale degli uomini, già duramente colpito dalla morte di Rostida [Costante Rustida Brando], subisce una nuova prova: l'aspetto della valle è tornato ad essere invernale, l'incubo del rastrellamento si alterna alla speranza del lancio imminente.
Torno ad Alto dal 24 al 28. Vi trovo Libero [Paolo Aicardi] con i resti del «G. Maccanò» salvatisi un mese prima dal rastrellamento di Aurigo. Gli uomini sono profondamente demoralizzati, il commissario li ha piantati. «Mi ha mandato lo Sten ed i soldi e non si è fatto più vedere», diceva Libero ai compagni. «E' stato galantuomo che ti ha mandato i soldi», lo consolava Turbine. C'era poi la faccenda del manifesto di mobilitazione di Aurigo. «Mi hanno dato gli arresti per la quarta volta», diceva Turbine. «Adesso però sono innocente. Non mi sono mai mosso da Alto da un mese ed un tipo strano che passa per Aurigo fa un manifesto e lo firma Turbine. Il Comando mi manda una lettera: Turbine agli arresti. Per fortuna che sono parole» Il tipo strano che aveva avuta la geniale idea del manifesto era Libero.
Il G. Maccanò venne sciolto, gli uomini aggregati alla brigata di Fra' Diavolo ed una nuova banda G. Maccanò, formata da nuove reclute, farà parte della IV Brigata.
La banda di Trucco o distaccamento M. Agnese che, dai tempi di Upega, ridotto a dodici uomini, vivacchiava nella Val di Mendatica, invitato più volte ad unirsi al grosso della Divisione, passò la «28» il giorno 25 fermandosi presso Moano [Frazione di Pieve di Teco (IM)].
I giorni passavano lenti tra la pioggia ed il fango nell'inutile attesa. Spesso il cavo a bassa tensione che collegava Alto con la dinamo in fondo al torrente aveva dispersioni e le trasmissioni radio subivano forti abbassamenti di volume. Cambiando rapidamente la spina del trasformatore riuscivamo a riprendere l'ascolto, ma ogni volta sfuggivano intere frasi ed ogni parola poteva essere quella del lancio da noi atteso. Al pomeriggio, alle 20.30, dopo cena ad ogni trasmissione gli incaricati dal comando, circondati dai compagni ascoltano parole e parole. Coi messaggi speciali giungono le notizie delle armate del Reno: l'offensiva finale è in corso, città e città, chilometri e chilometri di Germania vengono occupati dagli alleati: sull'atlantino dei partigiani la mia matita annerisce giorno per giorno le regioni della Germania che sfuggono al Terzo Reich. La fine del nazismo non è ormai più lontana, è però sempre più per noi un'incognita l'atteggiamento che terrà l'esercito tedesco in Italia. La disfatta in Germania rende sempre meno sicura la ritirata dall'Italia. Se gli alleati non sfonderanno sull'Appennino non diverrà l'Italia del nord una grande sacca come Creta, il fronte di Curlandia, i porti francesi sull'Atlantico? Assieme alla Norvegia ed alla Boemia non sarà la nostra terra l'ultimo rifugio del nazismo morente? Comunque il momento decisivo è vicino e noi siamo ancora terribilmente impreparati.
Ricordavo lo scorso autunno... I piani per l'occupazione di Imperia... Quanto siamo mutati da allora. Il passato tornava sempre alla nostra mente, parlando con i compagni si ricordavano episodi noti, si apprendevano particolari sconosciuti.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980


22 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 234, al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" [comandante "Mancen" Massimo Gismondi] - Disponeva il passaggio di 10 Kg. di plastico con miccia e detonatore da "Ciccio" a "Marco" e di altri 10 Kg. da consegnare a "Mario".

23 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 238, al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" [comandante "Mancen" Massimo Gismondi] - Chiedeva di completare i preparativi per andare a ritirare il materiale in arrivo con un aviolancio alleato; di sospendere il colpo progettato contro il posto di blocco di Cervo ed ogni altra azione; di sottrarsi al nemico in caso di attacco, ma, se obbligati, di reagire.

24 marzo 1945 - Dal comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava l'assegnazione degli encomi solenni alla memoria a "Rustida" ed a "Remo", sottolineando che "Rustida", Costante Brando, era nato a Milano il 25 ottobre 1925, mentre di "Remo" non si conoscevano i dati biografici.

25 marzo 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che il 20 marzo 1945 alle ore 7 forze nemiche, provenienti da Pornassio, San Bernardo di Garessio, Cerisola, Acquetico e Castel Bianco, avevano effettuato un rastrellamento in Val Pennavaira; che i garibaldini di Caprauna, avvisati da una sentinella appostata sul Passo dei Pali, si erano spostati sulle rocche sovrastanti Alto; che il Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" era stato sorpreso e nella fuga aveva lasciato nel casone il mitragliatore Breda 1930 e diverso materiale di casermaggio; che i garibaldini "Rustida" [Costante Brando] e "Remo" [Francesco Pescatore] avevano aperto il fuoco, ma erano stati feriti da un colpo di mortaio; che "Rustida" dopo qualche minuto decedeva e "Remo" si suicidava per non cadere vivo in mano ai tedeschi; che i nemici avevano abbandonato la Val Pennavaira alle ore 22; che il servizio di sentinella di Alto-Caprauna aveva funzionato bene mentre quello di Nasino "pur avendo funzionato non ha preso sul serio l'allarme facendo giungere i nemici vicino ai casoni"; che stava per dare disposizione al comandante ["Gino", Giovanni Fossati] della II^ Brigata "Nino Berio" "di infliggere 12 ore di palo ai responsabili del cattivo funzionamento del servizio di guardia". Comunicava, poi, le situazioni di alcune formazioni: il Distaccamento "Giuseppe Maccanò" era privo di comandante perché "Riva" [Stefano Polini] si era rifugiato nelle Langhe ed aveva bisogno anche di un commissario; la stessa situazione si presentava al Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" che aveva perso un mitragliatore; il comandante "Basco" [Giacomo Ardissone] aveva formato un altro Distaccamento che avrebbe preso probabilmente il nome di "Rustida" [Costante Brando]; una squadra del Distaccamento "Igino Rainis" aveva recuperato in Piemonte 1 mitragliatore pesante americano, 1 fucile inglese ed 1 Sten; il 22 marzo 1945 "Fra Diavolo" aveva compiuto un attentato sulla strada statale 28 in cui avevano trovato la morte la morte un maggiore tedesco ed altri soldati. Informava che era stato il comandante "Libero" [Paolo Aicardi] a firmare in modo arbitario a nome di "Turbine" [Alfredo Coppola] il manifesto del reclutamento non volontario di Aurigo e che i garibaldini della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni", condannati a morte dai tedeschi a Pieve di Teco, erano riusciti a fuggire e, avendolo richiesto, erano stati inquadrati nel Distaccamento "Igino Rainis" della II^ Brigata "Nino Berio".

25 marzo 1945 - Da "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione "Silvio Bonfante"] a "Mario" [Carlo De Lucis, commissario della Divisione "Silvio Bonfante"] ed a "Giorgio" [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] - Comunicava che rispetto a quando "Giorgio" era stato in visita in Val Pennavaira il morale della popolazione era mutato perché il rastrellamento del 3 marzo, nonostante la buona notizia del riuscito primo aviolancio alleato, l'aveva gettata nello sconforto; che dal citato lancio i partigiani si aspettavano almeno uno Sten; che il recente rastrellamento del 20 marzo avevano addirittura terrorizzato la popolazione per la minaccia tedesca di bruciare tutte le case. Segnalava "la non esemplare combattività" dei Distaccamenti "Igino Rainis" della II^ Brigata "Nino Berio" e "Giuseppe Maccanò" e l'efficienza delle altre formazioni della II^ Brigata "Nino Berio"; la formazione del Distaccamento "Costante Brando", dedicato alla memoria di "Rustida", per il quale proponeva "Meazza" [Pietro Maggio] come comandante; che "Fra Diavolo" nonostante le difficoltà che incontrava in Val Tanaro teneva "alto l'onore dei garibaldini".

26 marzo 1945 -Dal Comando Operativo [comandante "Curto", Nino Siccardi] della I^ Zona Liguria al comando [comandante "Giorgio", Giorgio Olivero] della Divisione "Silvio  Bonfante" - Comunicava che per ordine del Comando Militare Unificato Regionale [CMURL] la Divisione veniva rinominata "VI^ Divisione d'assalto Garibaldi Silvio Bonfante" e chiedeva notizie sull'imminente riunione tra CLN e garibaldini.

27 marzo 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" all'Intendenza della I^ Brigata - Comunicava la forza effettiva dei Distaccamenti della Brigata "per regolare la distribuzione dei viveri": Distaccamento "Francesco Agnese" 36 uomini, Distaccamento "Marco Agnese" 21 uomini, Distaccamento "Giovanni Garbagnati" 37 uomini, Distaccamento "Franco Piacentini" 15 uomini, Distaccamento "Angiolino Viani" 29 uomini, Comando Brigata 8 uomini.

28 marzo 1945 - Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - In considerazione del fatto che il campo di lancio scelto offriva maggiori possibilità di ricezione per un grande lancio diurno, si reputava positivamente il fatto di traferire per il momento parte della VI^ Divisione nella zona di lancio di Pian Rosso [Località di Viozene, Frazione di Ormea (CN)], mentre l'altra componente avrebbe dovuto attendere il lancio notturno già programmato [a Pian dell'Armetta nella zona di Caprauna (CN)]. Direttiva di effettuare sollecitamente il richiamato trasferimento, attesa l'imminenza del lancio.
28 marzo 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 254, al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" [comandante "Mancen", Massimo Gismondi] - Comunicava che il Distaccamento "Giovanni Garbagnati" [comandato da "Stalin", Franco Bianchi] doveva trasferirsi a Testico con le sue 3 squadre; che "Zuvenotto" [Giovanni Tabbò] aveva riconsegnato lo Sten; che a partire da quel giorno le posizioni assegnate ai Distaccamenti dovevano avere postazioni coperte con feritoie per le armi ed essere anche adibite a dormitori.

28 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al capo di Stato Maggiore della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" ed ai comandi della I^ Brigata "Silvano Belgrano", della II^ Brigata "Nino Berio", della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo", tutte della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che i comandanti delle formazioni in indirizzo dovevano far sapere alla popolazione "tramite la voce dei parroci" che chiunque avesse fatto trapelare informazioni sui garibaldini sarebbe stato processato, correndo anche il rischio di essere fucilato; che chi si fosse autoproclamato capo o rappresentante di una formazione garibaldina sarebbe stato punito con un numero di ore di palo, ancora da determinare e da scontare presso un Distaccamento; che quelle dispizioni entravano in vigore il 1° aprile 1945.

28 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al vice comandante ed al vice commissario della VI^ Divisione - Comunicava che il comandante della VI^ Divisione "Giorgio" [Giorgio Olivero] aveva trovato con la sua visita molto efficiente la I^ Brigata "Silvano Belgrano" [comandante "Mancen", Massimo Gismondi]. Sottolineava che occorreva riunire al più presto "il Tribunale Militare per analizzare e sanzionare i fatti di Nasino". Chiedeva di sollecitare il rientro di "Trucco" [vice commissario della II^ Brigata "Nino Berio"]. Informava che "Fra Diavolo" [in Val Tanaro] chiedeva rinforzi. Proponeva di formare un nuovo Distaccamento intitolato al caduto partigiano "Rustida" [Costante Brando] con "Libero" quale comandante. Segnalava che la III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" "non funziona come dovrebbe".

28 marzo 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava che... il 22 marzo il Distaccamento divisionale "Mario Longhi", comandato da "Fra Diavolo" aveva ucciso sulla strada statale 28 in Val Tanaro un maggiore tedesco e 3 soldati.

28 marzo 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione relativa alla proposta di assegnazione della medaglia d'oro al valor militare al caduto Roberto di Ferro.

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

venerdì 20 gennaio 2023

Stamattina alle ore 10 le forze di Turbine sono state attaccate a Garessio da forze tedesche

Garessio (CN)

9-7-44 - I tedeschi provenienti da Val Neva eseguono una puntata offensiva contro il Distaccamento Matteotti di presidio sul Colle S. Bernardo di Garessio. Avviene uno scontro nel quale il nemico riporta alcuni feriti.
10-7-44 - Una squadra del Distaccamento «Volante» in risposta ad un attacco precedente esegue al tramonto un colpo di mano contro il presidio tedesco di Erli (Savona) dal quale era partita la puntata del 9.
Il furioso fuoco di mitragliamento dei partigiani causa alle forze nemiche, adunate per il rancio serale, diversi morti e feriti.
10-7-44 - Una squadra del Distaccamento «Matteotti» provoca il ribaltamento di una camionetta tedesca lungo la strada Erli-Albenga. I 4 occupanti vengono uccisi. Bottino: 1 M.P., 2 fucili.
12-7-44 - Il Distaccamento «Volante» agli ordini di «Cion» [Silvio Bonfante] asporta dalla Stazione di Andora, da un treno merci tedesco, il seguente materiale: q.li 13 di zucchero, q.li 7 grano, q.li 114 di riso, q.li 1 di avena. Buona pane delle derrate vengono distribuite alla popolazione civile.
13-7-44 - Tre garibaldini della 4^ Brigata del Distaccamento Gar. «Libertas» si recano in frazione Romita a Porto Maurizio per ritirare 1700 colpi di mitra.
15-7-44 - In uno scontro con i tedeschi del presidio di Pogli (Savona) cade il garibaldino Cassiani Domenico.
15-7-44 - A conoscenza che in Via Romita a Porto Maurizio stanziano tre soldati russi armati di fucile «ta-pum» a guardia di sei cavalli, 4 uomini del distaccamento «Libertas» della 4^ Brigata si recano sul posto e, benché sorpresi dall'allarme aereo si impossessano dei «ta-pum» e di altro materiale ritornando alla base con i russi che già avevano espresso il desiderio di fuggire. La stessa pattuglia disarma della pistola un brigadiere di P.S.
20-7-44 - Tre Distaccamenti: «Volante», «ex Volantina», «Pelazza», agli ordini del Comandante Cion [Silvio Bonfante] entrano in Ceva nascosti nel treno della linea Ormea-Ceva. Il debole presidio tedesco si eclissa. La città viene rastrellata. I treni di passaggio in stazione perquisiti. Vengono catturati: 4 spie nazi-fasciste, un tedesco ed un italiano delle SS. Il magazzino militare viene vuotato.
23-7-44 - Dal 1° Distaccamento del Comando 4^ Brigata viene comunicato al Comando di Divisione:
«Diamo il nominativo di due splendide figure di partigiani immolatisi per la libertà dei popoli. Sono stati brutalmente assassinati sulla piazza di Moltedo per mano dei cani fascisti. Sono caduti chiedendo la fucilazione nel petto «perché non siamo dei traditori» e morivano gridando «Viva i partigiani».
Eccovi i nominativi:
GUARRINI ELSIO da Oneglia, classe 1925 - GAZZANO GIOVANNI da Moltedo, classe 1925.
23-7-44 - Una pattuglia di partigiani della 5^ Brigata comandata da «Ivano» viene attaccata da forze tedesche e deve ritirarsi dopo breve lotta. Al rientro alla base si nota la mancanza di due uomini. Da pronte indagini si viene a conoscere che, feriti alle gambe, sono stati fatti prigionieri dai tedeschi, portati a Tenda ed ivi passati per le armi. Ecco i nominativi:
PASTOR LUIGI di Luigi e di Borfiga Caterina, nato a Buggio (Frazione Pigna) il 21-10-1922, ivi residente in Via Carriera Piana n. 55, di professione infermiere, partigiano dal 2-6-44 - APOLLONIO ANGELO, di Pietro e di Baccolo Luigia, nato a Salò (Brescia) il 25-4-1925, ivi residente in Via Francesco Calzani n. 468, di professione pittore, partigiano dal 2-5-44.
23-7-44 - Una pattuglia di partigiani del 5° Distaccamento, durante la notte apre il fuoco di disturbo contro una postazione nemica che mette in allarme tutta la zona.
24-7-44 - Nella notte tra il 23 ed il 24 il 4° Distaccamento della 4^ Brigata in unione al 1° Distaccamento si porta in regione Garbella [di Imperia] nel tentativo di far saltare la galleria della strada ferrata. Colà si incontra col 3° Distaccamento che agisce sul medesimo obbiettivo. Malgrado un precedente accordo con un caporale e un soldato austriaci, l'azione non può essere effettuata: vengono comunque disarmati i 7 soldati di guardia; 4 di essi sono accolti nel 1° Distaccamento e 2 nel 4°. Bottino: due pistole automatiche, 3 canne per mitragliatori, 6 caricatori «Maxim», tre cassette munizioni per mitragliatore tedesco. Nessuna perdita.
25-7-44 - Il Comandante della Brigata Alpina (Capitano Umberto) comunica:
«Stamattina alle ore 10, le forze di «Turbine» sono state attaccate a Garessio da forze tedesche. I primi feriti sono arrivati qui da noi. Invieremo rinforzi».
Il nemico, proveniente da Albenga e Ceva, effettua un violentissimo rastrellamento nell'alta Val Tanaro. Il Distaccamento «Volante» di Garessio si porta sul Colle S. Bernardo di Garessio, in rinforzo al presidio ridotto agli estremi. Arrivati al Colle, gli uomini del Distaccamento sono costretti ad uscire di strada essendo il crinale già occupato dag1i attaccanti.
Operata una diversione, si spostano per un attacco laterale attendendo - per accerchiare il nemico - l'arrivo di rinforzi da Pivetta che, a loro volta attaccati, non giungono. Avvertiti del motivo del ritardo gli uomini della «Volante» attaccano ugualmente sostenendo un combattimento impari, con un avversario munito di armi pesanti ed ormai attescato. Dopo 4 ore di fuoco, centrati dal tiro delle armi pesanti e scarseggiando le munizioni, i partigiani debbono ritirarsi: Garessio è perduta.
Giorgio Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Istituto Storico della Resistenza in Liguria, 1969, pp. 299-301    

Nei primi giorni di luglio [1944] giunse l'ordine di partire per la Val Tanaro (Ormea, Garessio, Pievetta), in quanto in quella zona erano sorti dei dissidi tra le formazioni badogliane e i garibaldini della zona.
Dissidi che si trasformarono in gravi contrasti a tal punto da provocare in una settimana l'uccisione di alcuni garibaldini da parte dei badogliani stessi.
Tra gli uccisi ricordiamo il garibaldino detto "Dino", comandante di distaccamento.
Data la situazione, era necessario che si andasse a rinforzare le nostre esigue formazioni.
Il distaccamento "Volante" (che aveva per comandante "Cion" e per commissario "Germano") si stabilì a Garessio.
Il distaccamento "Matteotti" con comandante "Turbine" (Pasquale Muccia) a San Bernardo di Garessio, e noi della "Volantina", con comandante "Mancen" [Massimo Gismondi], nel paese di Pievetta.
Giungemmo nella località sopra un autocarro (dopo aver camminato per dodici ore a piedi).
Fu in questa occasione che "Raspin" [Franco Piacentini] mi disse: "In Piemonte va meglio, ci fanno viaggiare bene, speriamo sia sempre così".
Stabilimmo ottimi rapporti con la popolazione e con le ragazze del paese.
Ci accasermammo nelle scuole ed attendemmo nuovi eventi dopo la pacificazione raggiunta tra noi e i badogliani.
Intorno al 15 luglio [1944] si presentò al nostro distaccamento un ex ufficiale del Regio Esercito, giunto da Albenga per inquadrarsi nelle nostre formazioni.
Di nome Giorgio Olivero, ci informò che sia in Normandia che nell'Italia centrale, dopo i primi successi, il fronte si era stabilizzato, per cui le nostre speranze sulla fine del conflitto entro breve tempo si affievolirono, anche se continuammo a sperare.
Il fatto che Giorgio volesse fermarsi con i garibaldini ci sorprese un poco. Nella zona gli ex ufficiali del Regio Esercito erano nelle file dei badogliani di tendenza monaichica. In base a queste considerazioni, per un certo periodo di tempo lo tenemmo sotto controllo e in questo clima non poteva non crearsi un certo costume d'ambiente. Il partigiano "Grillo", osservando i magnifici scarponi che aveva ai piedi, gli faceva allusioni poco benevoli; gli chiedeva che numero avessero, diceva che forse gli andavano bene e che intendeva prenotarli in caso gli fosse successo qualcosa. Fatto sta che il mattino dopo Giorgio era sparito; con grande preoccupazione lo mandammo a cercare. Ma il giorno successivo venimmo a sapere che lui si era recato al nostro Comando a conferire con Nino Siccardi ("Curto"), per chiedere sicurezza e tranquillità. In seguito, grazie ai suoi meriti e alla sua esperienza militare, diventerà il comandante della I^ brigata d'assalto Garibaldi "Silvano Belgrano".
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998  

La zona di Imperia assume nella primavera/estate del '44 un particolare rilievo strategico. Qui si sono concentrati numerosi gruppi partigiani, decisi a ostacolare le forze naziste in prevedibile ritirata attraverso i valichi alpini. Nonostante la complicità di due soldati austriaci nella notte fra il 23 e il 24 luglio '44 a Imperia in regione Garbella fallisce il tentativo di un gruppo di partigiani della II Divisione Garibaldi "F. Cascione" di far saltare un tratto di strada precedentemente minato dai tedeschi. I sette soldati di guardia vengono comunque disarmati e quattro di loro passano con i partigiani.
La reazione tedesca non si fa attendere. Il 25 i nazisti risalgono la Valle del Prino e raggiungono Vasia, un piccolo centro dell'entroterra.
[...] Così nella drammatica testimonianza di un ragazzo dell'epoca la rievocazione dei fatti che hanno portato alla morte di due civili e di cinque partigiani impegnati, pare, a mettere a segno l'assalto alla Questura di Imperia per impossessarsi di armi automatiche.
I partigiani caduti sono Salvatore Filippone, nome di battaglia "Mariella", nato a Palmi (RC) il 24 giugno 1920, Carmine Saffioti, nome di battaglia "Carmé", nato a Palmi il primo aprile 1925, Stefano Danini di Rivarolo (GE), Igino Rainis di Treppo Carnico (UD) e Vincenzo Raho di Ruffano (LE).
Pino Ippolito Armino, Storia della Calabria Partigiana, Pellegrini, 2020 

Interrogatorio di Valfrè Carlo del 7.5.1946:
[...]  Il 2 novembre 1943 entrai a far parte della GNR e assegnato alla Compagnia OP, comandata dal Tenente Ferraris.
[...] nei primi di luglio, unitamente alla compagnia, partimmo per un' azione di rastrellamento nei comuni di Vasia e Montegrazie. Prima di giungere a Vasia il Capitano Ferraris divise la compagnia in varie squadre. Durante il rastrellamento vennero catturati due partigiani (da una delle squadre) che vennero in seguito fucilati per ordine del Ferraris ma non posso precisare da chi in quanto la mia squadra si trovava più avanti.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019

Il nostro Comando, visto che la prima incursione nella città di Ceva era andata bene, volle ritentare l'operazione dopo alcuni giorni. Ma questa volta andò diversamente. Giunti sul piazzale della stazione, fummo accolti da un nutrito fuoco nemico (per fortuna di armi leggere) proveniente dall'interno dell'edificio. Constatata la difficile situazione nella quale ci trovammo coinvolti, decidemmo di ritornare alla base di partenza. Comunque il fatto che noi fossimo padroni di una parte della strada statale 28 (Imperia-Ceva ) metteva i tedeschi in crisi, sia per il traffico stradale, sia per il prestigio. Allora con una poderosa azione decisero di farci sloggiare.
Il 25 luglio 1944 iniziarono un rastrellamento in grande stile; avanzarono con autoblinde da Ceva e dal Colle di San Bernardo di Garessio. Venendo da Ceva, prima di Pievetta vi sono le Rocche di Santa Giuditta, (o Prancisa, o Recisa) costituite da due "spontoni" posti uno sopra la statale a sinistra e l'altro sopra il Tanaro a destra.
Il primo occupato dai nostri uomini, tra cui Tino Moi, capo squadra, e "Mancinotto", fratello di "Mancen" [Massimo Gismondi], con il compito di bloccare con una mitragliatrice pesante i tedeschi provenienti da Ceva, che mantenevano in avanscoperta due  autoblinde.
Il secondo occupato dai badogliani.
Quando i tedeschi giunsero a tiro, sia i nostri che i badogliani aprirono il fuoco di sbarramento, che costrinse il nemico a ritirarsi dietro una curva della strada, dando l'impressione di desistere. Ma non fu così perché, dopo una decina di minuti, iniziò a picchiare forte sulle due postazioni partigiane con i mortai da 81 millimetri. I nostri furono più fortunati perché non vennero colpiti, a differenza dei badogliani centrati al primo colpo, per cui la loro postazione fu messa a tacere.
Constatata la situazione veramente pericolosa, e visto cosa era successo ai badogliani, il comandante "Mancen" diede immediatamente l'ordine del ripiegamento.
Mentre ciò avveniva, i nostri furono individuati da una delle due autoblinde che stavano avanzando, la quale iniziò un fuoco infernale.
Fu in quel momento che Tino Moi venne colpito al petto in modo grave. "Mancen" e i compagni presenti cercarono di portare fuori tiro il ferito.
L'autoblinda continuava a sparare loro addosso in modo rabbioso.
Non rimase altra possibilità che mettere il ferito al riparo di una roccia, e quindi ritirarsi verso Pievetta, dove io e una seconda squadra eravamo appostati con un'altra mitragliatrice pesante sulla piazzetta della chiesa, in modo da prendere di infilata, se fosse stato necessario, il rettilineo che ci si presentava davanti e, al tempo stesso, tenere sotto tiro anche il letto del Tanaro.
Col cuore trepidante, attendevamo che comparissero i tedeschi. Dopo alcuni minuti scorgemmo dei tedeschi avanzare nel letto del fiume; iniziammo a sparare contro di loro, costrigendoli a eclissarsi nella vegetazione.
Intanto venne avanti l'autoblinda sparando raffiche a casaccio in tutte le direzioni. Il fuoco continuò ancora per qualche minuto, poi l'autoblinda si fermò, smettendo di sparare.
Noi non riuscivamo a spiegarci il perché.
Ben presto, però, capimmo la mossa del nemico, quando in alto a mezza costa "Mancen" iniziò a gridare di ritirarci in collina perché i tedeschi stavano giungendo, sopra di noi, nella nostra stessa direzione, mentre noi li attendevamo sulla strada o nel letto del fiume. Ci ritirammo con fatica e appena in tempo, per non rimanere circondati, portandoci dietro la mitragliatrice pesante.
Il grido di "Mancen" ci aveva salvato dall'annientamento.
Capimmo che l'autoblinda si era fermata ed aveva cessato il fuoco per non colpire i suoi e con la speranza di prenderci alle spalle.
Ci ritirammo a circa duecento metri sopra Pievetta e piazzammo la mitragliatrice, azionandola contro i soldati che stavano giungendo sulla piazzetta della chiesa. Erano convinti di catturarci, invece si trovarono sotto il nostro fuoco; si ripararono dietro la chiesa e nei vicoli vicini.
Però noi, consapevoli della precarietà della nostra posizione (sì che avevamo una mitragliatrice, ma essa era senza una idonea protezione), pensammo che era meglio ritirarci più in alto ancora, e facemmo bene perché, fatta una cinquantina di metri, arrivò un colpo di mortaio proprio nel punto dove eravamo stati piazzati, seguito da alcuni altri.
Raggiungemmo la cima della collina dove si era già ritirato il grosso del nostro distaccamento.
Nel frattempo giunse anche "Mancen", insieme agli altri.
Prendemmo posizione disponendoci in una lunga fila per essere meno esposti, scavando delle fosse ove piazzare meglio le nostre armi pesanti.
I tedeschi giunsero ad un centinaio di metri dalla nostra posizione; ma dopo un breve scambio di raffiche si ritirarono nel paese e lì si concentrarono.
Subito lo smacco, presi dalla solita ira sanguinaria, iniziarono a compiere i soliti eccidi di cittadini inermi. Passarono per le armi una ventina di civili locali e alcuni partigiani che avevano catturato dalle parti di Priola. La loro rappresaglia ci fece supporre che avessero avuto delle perdite durante gli scontri.
Dopo una breve consultazione decidemmo di spostarci sulle colline di Garessio o di Ormea per cercare notizie sulla "Volante" di "Cion". Ci dirigemmo verso la località Croce di Nascio e, sul far della notte, giungemmo sul Bricco Mindino (1879 metri sul livello del mare).
Sandro BadellinoOp. cit.  

Il rastrellamento della valle Tanaro tra il 25 e il 29 luglio 1944 fece 8 caduti civili e 24 partigiani nei comuni di Bagnasco, Garessio, Priola, ma tra i 24 riconosciuti partigiani si celano molti civili, di oltre 60 anni, il cui riconoscimento è dovuto soltanto a motivi pensionistici.
(a cura di) Aa.Vv., Il Piemonte nella guerra e nella Resistenza: la società civile (1942-1945), Consiglio Regionale del Piemonte, 2015 

sabato 29 ottobre 2022

È una vera e propria arma contro i fascisti





[...] banda [...] guidata dal giovane medico Felice Cascione, per tutti “u megu”. Inizialmente essa è stanziata in località “Magaietto” nel comune di Diano Castello, dove si raccolgono e si organizzano i gruppi di giovani che per primi vi affluiscono.
Verso la fine di novembre 1943 le condizioni del momento consiglieranno lo spostamento della banda in via di formazione in una zona ritenuta più sicura dietro la montagna del Pizzo d’Evigno, che sovrasta le Valli di Oneglia, di Diano e di Andora, in alcuni casoni nella zona del “Passu du Beu” sopra la frazione Duranti nel Comune di Stellanello (SV) in Val Merula dove resterà fino al 20 dicembre.
Durante questo periodo [...] nei periodi di calma, alla sera intorno al fuoco nasceranno le prime strofe della canzone “Fischia il  vento”,  destinata  in  breve  tempo  a  diventare, attraverso la sua diffusione spontanea, l’inno di tutta la Resistenza. [...]
Tra questi giovani volontari c’è il partigiano “Ivan”, Giacomo Sibilla, reduce dalla campagna di Russia dove aveva imparato una popolare canzone, “Katiuscia”, che parlava della nostalgia di una ragazza per il suo soldato al fronte.
Il motivo suonato con la chitarra da “Ivan” è orecchiabile e accattivante per tutti e, le stesse condizioni di questi partigiani e la dura vita che conducono, assieme all’anelito che li spinge, suggeriscono all’animo sensibile del Comandante Cascione le parole ed i primi versi del loro inno. “Fischia il vento, urla la bufera, scarpe rotte eppur bisogna ardir, a conquistare la rossa primavera, in cui sorge il sol dell’avvenir”. [...]
In seguito alla Battaglia di Colla Bassa, detta anche di Montegrazie, del 13 e 14 dicembre 1943, la sede del comando della banda di Felice Cascione al Passu du Beu divenne insicura, troppo esposta alla prevedibile reazione fascista. [...]
All’alba del 21 dicembre 1943 iniziò il trasferimento verso la nuova destinazione. 
Si discese al paese di Testico (SV) e da qui verso il fondovalle del torrente Lerrone passando da Poggio Bottaro. 
Giunti sotto il paese di Casanova Lerrone i partigiani di Cascione risalirono la montagna verso Nord [...]
La Notte di Natale del 1943 gli abitanti della frazione Curenna del Comune di Vendone, uscendo dalla messa di mezzanotte, avranno la sorpresa di trovare il gruppo dei partigiani armati sul sagrato della chiesa, ad intonare la loro nuova canzone “Fischia il vento” nella sua primitiva stesura, che verrà rifinita e completata nel Casone dei Crovi i giorni seguenti.
Ogni partigiano fu accolto il giorno di Natale presso le famiglie del paese che si strinsero a loro in un abbraccio fraterno e solidale. [...]
Il 6 gennaio 1944 Felice Cascione e buona parte della banda in pieno assetto si portano a scopo esplorativo al paese di Alto dove vengono accolti dagli altri partigiani e da parte della popolazione. Viene improvvisata una piccola festa nel corso della quale verrà cantato ufficialmente l’inno della  banda  nel  suo  testo  definitivo.
Roberto Moriani, Tra quei sentieri nacque “Fischia il vento, Patria Indipendente, n° 1, gennaio 2013
 
Fonte: Eppur bisogna andar

È una vera e propria arma contro i fascisti. Li fa impazzire, mi dicono, solo a sentirla. Se la cantasse un neonato l’ammazzerebbero col cannone.

(B. Fenoglio, “Il partigiano Johnny”)
Tra i boschi, nel Comune di Stellanello (SV), coperto dalla vegetazione incolta, sorge un vecchio casolare. All’apparenza non è che un rudere, ma sul finire del 1943 il casone di “Passu du Beu” fu il rifugio della banda di partigiani di Felice Cascione e proprio lì fu ideato “Fischia il vento”, inno dapprima della Divisione Garibaldi e poi della Resistenza tutta. A riscoprire il luogo è stata l’associazione “Eppur bisogna andar”, che si propone di recuperare e valorizzare i siti, i sentieri, i manufatti che hanno segnato il difficile cammino di giustizia e dignità dei partigiani della “I Zona Operativa Liguria”.
[...] Nel dicembre del 1943, poco più di venti giovani partigiani della divisione garibaldina al comando di Felice Cascione - per tutti “u Megu” (il medico) - cominciano a percorrere un sentiero che sale da Casanova Lerrone, entroterra di Albenga, verso le prime pendici delle Alpi Marittime. Su quel sentiero, questo gruppo di ventenni alla guerra cammina di notte, si ferma di giorno, nei casoni dove si ripara il bestiame, o dove i contadini tengono gli attrezzi o qualcosa per affrontare la fame della guerra.
Cascione ha solo 25 anni, bello e carismatico come dev’essere un eroe; orfano di padre in tenera età, cresce con la madre, maestra elementare determinata e antifascista, che riesce a farlo studiare. È uno sportivo, campione italiano di nuoto e pallanuoto: capitano della squadra imperiese del Gruppo Universitario Fascista e secondo ai Mondiali con la nazionale universitaria, lascia Genova per la Sapienza a Roma e infine si laurea in Medicina a Bologna nel ’42, in fuga dalla burocrazia fascista che lo ostacolava negli esami e nelle graduatorie per un posto alla Casa dello Studente.
Il giovane Felice era nel mirino per le sue frequentazioni, che lo avevano introdotto nel partito comunista clandestino e presentato a Natta e Pajetta: decide di aderire al partito ancora prima di essere medico, la sua scelta di vita. Appena laureato, diventa subito popolare a Oneglia perché non fa pagare medicine né visite a chi ha bisogno e non ha soldi. Arrestato con la madre durante le manifestazioni successive alla caduta di Mussolini, nell’agosto del ‘43 sconta venti giorni di prigione per adunata sediziosa e, dopo l’armistizio, si rifugia sui monti coi compagni.
Tra loro c’è Giacomo Sibilla detto Ivan, operaio che ha fatto la campagna di Russia e porta una chitarra a tracolla accanto al mitra. È lui che la sera, nei casolari diroccati, strimpella Katjuša, la celebre melodia popolare russa; il testo del poeta Isakovskij parlerebbe di meli e peri in fiore, ma già i soldati italiani nella steppa l’avevano storpiato con riferimenti al vento e alle loro scarpe di cartone. “U Megu” s’ingegna a riadattarlo, per questa nuova guerra.
La canzone viene scritta su un foglietto staccato da un ricettario medico, il suo; nevica, fa freddo, la tramontana scura urla sui costoni.
“Soffia il vento, urla la bufera, scarpe rotte eppur bisogna agir / a conquistare la nostra (?) primavera in cui sorge il sol dell’Avvenire”, recitava la prima strofa a matita, in calligrafia ordinata.
Cascione la spedisce dai monti liguri alla mamma Maria, che gliela fa riavere corretta e dattiloscritta: soffia è diventato fischia, agir è ardir, e la primavera non ha più punto interrogativo, non è più nostra ma rossa. La prima volta viene intonata dalla brigata di Cascione davanti al portone della chiesa di un borgo isolato in valle Arroscia, dopo la messa della vigilia di Natale, davanti a un pentolone di castagne; la ricanteranno, questa volta completa, davanti alla chiesa di Alto, il giorno dell’Epifania del ‘44.
Pochi giorni più tardi Cascione viene trucidato dai fascisti, dopo solo 141 giorni di lotta partigiana, mentre i suoi versi, cantati di bosco in bosco, diventano l’inno ufficiale della Resistenza, prima ancora della più trasversale “Bella ciao”.
Alberto Quattrocolo, 1944, viene ucciso il partigiano Felice Cascione, autore di "Fischia il vento", Me.Dia.Re., 27 gennaio 2019 

Alla fine di novembre del 1943, Felice Cascione e la sua banda di partigiani, sempre più braccati dai nemici nazisti e fascisti, dal casone di Magaietto (Diano Castello) si spostarono a nord, per trovare un luogo più sicuro nella boscaglia, dove, in considerazione dell’arrivo della fredda stagione, dovettero prendere strategiche decisioni di attacco al nemico.
Trovarono nella zona di Stellanello, sopra Andora, il casone a due piani di “U Passu du Beiu”. In questo luogo impervio dei monti liguri, in un momento epico e decisivo della guerra, il comandante Felice Cascione, insieme ai compagni della sua banda, decise di scrivere una canzone come “inno” alla Resistenza italiana: “Fischia il Vento”.
Alla presenza di Cascione, la canzone fu poi cantata per la prima volta dai partigiani ad Alto (CN) il giorno dell’Epifania del 1944.
Tre settimane dopo Felice Cascione, nel tentativo di salvare i suoi compagni da una imboscata nazifascista, perse la vita da eroe.
Christian Flammia, Alle origini della nostra civiltà: il casone di “U Passu du Beiu” dove fu scritta la canzone “Fischia il Vento”. Un luogo leggendario per la Liguria, Rete Genova, 22 settembre 2018
 
Il monumento dedicato alla canzone "Fischia il vento", realizzato dall'artista Flavio Furlani. Foto: Trucioli art. cit. infra

Sabato 17 luglio 2021, alle 11,00 presso i Giardini “Libero Nante”, zona Pontelungo di Albenga solenne inaugurazione del Monumento “Partigiani cantano Fischia il Vento”, dell’artista Flavio FURLANI, donato al Comune dal Prof. Nicola Nante in memoria del padre.
Libero Nante, già medico condotto nell’entroterra ingauno (7 Specialità e Primario Chirurgo), partigiano e Dirigente Sanitario dell’ospedaletto da campo a Carnino e poi della Brigata Nino Berio ad Alto. Imprenditore nella ricostruzione postbellica della rete di assistenza sanitaria ingauna, fondò due Case di Cura, di cui una, la “San Michele” in attività.
[...] Il testo fu partorito sotto la regia del Capo Partigiano, Dr. Felice CASCIONE, uno dei primi martiri della Guerra di Liberazione (settembre 1943-aprile 1945), Medaglia d’Oro al Valore Militare, nelle lunghe notti passate con i compagni d’arme nei “Casoni” di montagna, baite che li ospitavano via via, in preparazione degli assalti o in fuga dalle rappresaglie nazi-fasciste. Nel “Casone di Votagrande” presso “u Passu du Beu”, alle spalle del Pizzo d’Evigno (Stellanello-SV, inizio dicembre 1943) ai gregari della banda ribelle viene l’idea di scrivere un proprio inno: Giacomo SIBILLA (IVAN), reduce dalla Campagna di Russia (agosto 1941-dicembre 1943, sempre nel contesto della Seconda Guerra Mondiale), accompagnandosi con la chitarra intona l’aria di Katiuscia (canzone popolare russa, testo di Ivan ISAKOVSKIJ, musica di Matvej BLANTER).
Felice (U MEGU - il Medico) e Silvano ALTERISO (VASSILI) scrivono i primi versi. Le strofe vengono completate tra il 15 ed il 25 dicembre, nel “Casone dei Crovi”, sul monte Castellermo (Vendone-SV), con la collaborazione di altri Partigiani della Banda; la madre di Felice, Maria BAIARDO, maestra, vi apporterà le prime correzioni. Una prima prova del testo completo avvenne a Curenna (frazione di Vendone-SV), dalle cui famiglie i Partigiani vennero ospitati la sera di Natale del ’43.
Vi furono (e vi sono) incertezze su alcune parole, in particolare sulla prima (inizialmente “soffia” oppure “urla” oppure “fischia”), ma anche tra “ardir” ed “andar”, nonché, soprattutto, sull’aggettivo “rossa” oppure “nostra”, attribuito a “primavera” e “bandiera”: chi le voleva più marcatamente di parte, chi preferiva rispecchiare in quei versi l’unione di tutte le forze partigiane, senza distinzione di colore, così da unire in una sola causa tutti i combattenti antifascisti, manifestando un sentimento universale di fratellanza e unione tra gli uomini. La canzone riceverà forma matura a “Case Fontane” (sopra il Lago della Madonna di Alto-CN, alle pendici del Monte Dubasso), dove, pochi giorni dopo, Felice CASCIONE troverà eroica morte sotto il fuoco nazi-fascista, il 27 gennaio 1944.
“Fischia il Vento” fu ufficialmente cantata per la prima volta in pubblico dalla Banda Partigiana, passata in rassegna da Felice CASCIONE, sul sagrato della Chiesa di San Michele in Alto (CN), il giorno dell’Epifania 1944, divenendo rapidamente “la canzone più nota ed importante nella Lotta di Liberazione”.
[...]
Fischia il vento, urla la bufera

Scarpe rotte e pur bisogna andar

A conquistare la nostra primavera

In cui sorge il sol dell’avvenir.

Ogni contrada è patria del ribelle

Ogni donna a noi dona un sospir

Nella notte ci guidano le stelle

Forte il cuore e il braccio nel colpir.

Se ci coglie la crudele morte

Dura vendetta verrà dal Partigian

Ormai sicura è la bella sorte

Contro il vil che ognun di noi cerchiam

Cessa il vento, calma la bufera

Torna fiero a casa il Partigian

Sventolando la nostra bandiera

Vittoriosi alfin liberi siam.

Redazione, Albenga, grata, inaugura: ‘Partigiani cantano Fischia il Vento’. Monumento di Furlani donato al Comune dal prof. Nicola Nante in ricordo del padre, Trucioli, 15 luglio 2021

mercoledì 15 giugno 2022

La meta del Distaccamento partigiano Catter è la valle di Diano

Borghetto d'Arroscia (IM) - Fonte: Wikipedia

Il 25 gennaio 1945, all’alba, tre colonne tedesche “provenienti da Borghetto d’Arroscia, Casanova Lerrone e Pieve di Teco giungono a Ubaghetta [n.d.r.: Frazione di Borghetto d'Arroscia (IM)]. La nostra pattuglia avvista il nemico ed apre il fuoco, ma il garibaldino Redaval (Cardoletti Germano) continua impavido a sparare finchè viene colpito da una raffica di mitra e catturato.” (Luigi Massabò, “Pantera”, Cronistoria militare della VI^ Divisione “Silvio Bonfante” [n.d.r.: diario inedito nel 1999, conservato presso l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia]). Redaval verrà fucilato da un plotone d’esecuzione formato dai “Cacciatori degli Appennini”. Dopo tale attacco i nemici si ritirarono sulle posizioni iniziali ed i Distaccamenti  “Giuseppe Maccanò” e “Gian Francesco De Marchi” della III^ Brigata “Ettore Bacigalupo” della Divisione "Silvio Bonfante" poterono sganciarsi.  Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Gli alpini lasciarono ancora una volta Ubaghetta spostandosi a Casanova: Tom e Boriello [Luigi Boriello] erano con loro. Il comandante italiano del reparto si era opposto alla loro fucilazione. I colpi uditi dai rifugi erano stati un'ultima minaccia:  i prigionieri furono addossati al muro di una cappella, ed invitati per un'ultima volta a parlare, poi, al loro rifiuto, gli alpini avevano sparato a pochi centimetri da loro senza colpirli. Avremo notizie incerte e saltuarie della sorte dei nostri due compagni. Sapremo che, condotti a Cuneo, passarono molti mesi in quelle carceri, poi che i tedeschi li avevano fucilati per rappresaglia. Corse voce che Boriello fosse fuggito, ma nessuno lo vide mai. Dopo la liberazione Tom tornò al nostro Comando ad Alassio. Appresi da lui i particolari della finta fucilazione, dei mesi passati a Cuneo dove i tedeschi tiravano a sorte i nomi di quelli da fucilare, come il pensiero della morte imminente fosse per lui ormai abitudine quotidiana. Poi infine la liberazione.
Tom e Boriello vennero catturati il 25, quel giorno il distaccamento Catter, al Comando di Fernandel [n.d.r.: Mario Gennari] e del commissario Gapon [n.d.r.: Felice Scotto], parte da Alto dove la situazione è diventata ormai insostenibile, dove i contadini terrorizzati dalle minacce nemiche sollecitano i partigiani a disertare o ad andarsene.
La meta del Catter è la valle di Diano: molti della banda sono nativi di quei luoghi e sperano che la valle sia ancora libera e tale possa rimanere. La banda parte dopo il tramonto, verso mezzanotte è a Lénzari, dopo una breve sosta scende a fondovalle, varca l'Arroscia in un punto incontrollato, prende la salita che porta a Montecalvo. Marciando nella neve di notte e di giorno, attraversando con infinite precauzioni il territorio dominato dal nemico, la banda si sposta verso il sud, pronta ad aprirsi il varco con la forza. Con le armi pesanti, i viveri, il materiale della banda, il Catter raggiunge la Val Lerrone all'alba del 26 gennaio.
Passando a ponente evita i paesi di Vellego, Ginestro e Tèstico e punta sul passo dei Pali. La marcia è stata lunga e faticosa per la neve, la necessità di evitare le mulattiere e le strade principali, per la tensione nervosa. Più stanco degli altri è Gapon che, come commissario della banda, sente gravare su di sè la responsabilità della salvezza di tutti, che sa quanto scarse siano le possibilità di salvezza in caso di attacco nemico. Secondo una relazione non  confermata, la banda ha con sé anche un infermo: Marat, che ha un principio di congelamento ai piedi. Giunti nell'alta Val d'Andora diviene palese che il ritmo di marcia va rallentando sempre più a causa dei compagni stremati.  Continuando così la salvezza di tutti verrebbe compromessa. Gapon non esita e chiede ai compagni di proseguire e di lasciarlo solo, poi si adagia nella neve esausto: forse un breve riposo lo rimetterà in grado di proseguire. I compagni si consultano, col commissario restano Marat, Bruno e Franco, gli altri partono uno per uno, in fila, salendo faticosamente il pendio nevoso sotto la sferza del vento invernale: al di là del passo dei Pali li attende libera, la loro terra. Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980

Il Pizzo d'Evigno - Fonte: gulliver.it

Il distaccamento della 3^ Brigata "E. Bacigalupo" comandato da Mario Gennari (Fernandel) e il Distaccamento "Giuseppe Catter", composto da una trentina di uomini al comando di Giuseppe Gennari (Gino) e dal commissario Felice Scotto (Gapon - classe 1919), decide di abbandonare Alto (CN) per ritornare verso le valli di Diano. Durante il trasferimento la banda ha con sé anche un infermo: Marat, che ha un principio di congelamento ai piedi. Giunti presso il Passo dei Pali, Gapon decide di mandare avanti il resto degli uomini e rimanere insieme a Bruno Amoretti (Bruno - classe 1921), Dante Del Polito (Franco - classe 1924) per permettere a Renzo Urbotti (Marat) di riprendere le forze e proseguire la mattina successiva. I quattro trovano rifugio in un casone isolato a Cappella Soprana e accendono un fuoco per riscaldarsi. Un gruppo di Cacciatori degli Appennini vedono il fumo levarsi dal casone. Quando i repubblichini giungono a pochi metri del casone, i quattro partigiani, che avevano scorto la colonna avanzare, aprono il fuoco uccidendo il tenente e altri cinque militari e poi tentano la fuga. Bruno Amoretti viene ferito ad una gamba ma i quattro riescono a fuggire. Urbotti morirà nella notte per congelamento. I quattro meritarono un encomio solenne che recita: “I garibaldini “Gapon”,“Bruno”, “Marat”, “Franco”, del Distaccamento “G. Catter” III^ Brigata “Ettore Bacigalupo”, sorpresi e circondati in un casone dal nemico, dove si erano fermati per il malessere manifestatosi in uno di loro, reagivano con indomabile spirito uccidendo il tenente comandante il pattuglione nemico, un sott'ufficiale e quattro soldati e ferendone un numero inprecisato. In seguito alla loro violenta reazione, riuscivano a sganciarsi e a mettersi in salvo, escluso il garibaldino “Marat”, deceduto poi nella notte per congelamento in seguito a ferite, mentre il commissario “Gapon” nuovamente appostatosi, attraeva l'attenzione su di sé, agganciando la quarantina di militi fascisti superstiti. Passo del Pizzo d'Evigno - 26 gennaio 1945. Il comandante di Divisione 'Giorgio' (Giorgio Olivero)”. Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, Edito dall'Autore, 2020  

[ n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016 ]

27 gennaio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Relazione sull'attacco subito nelle vicinanze di Ginestro dalla II^ e III^ squadra, attacco condotto da reparti della Divisione Monterosa e dalla Divisione Muti.
27 gennaio 1945 - Dal comando del Distaccamento "Giovanni Garbagnati" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava la condanna a morte di Carlo Serafini, reo di avere guidato i soldati repubblichini contro i garibaldini a Ginestro.
29 gennaio 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione sull'andamento della Divisione e sulla dislocazione dei suoi reparti, rispetto ai quali segnalava lo spostamento del Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" nella zona di Aurigo e del Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" della stessa Brigata in Val Pennavaira.
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione sui rastrellamenti subiti: "[...] Il 26 gennaio il commissario di Brigata [III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] 'Gapon' [Felice Scotto] veniva attaccato dai soldati della RSI, ma infliggeva loro la perdita di 6 uomini. I soldati repubblicani occupavano Alto, Nasino, Borgo Ranzo, Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta; il 21 gennaio occupavano altresì Casanova Lerrone, Marmoreo, Garlenda, Testico, San Damiano, Degna e Vellego. Il 27 gennaio le forze avversarie attaccavano una squadra la quale riportava la perdita di 2 garibaldini. Durante il rastrellamento il capo di Stato Maggiore della Divisione insieme ai comandanti 'Cimitero' [Bruno Schivo] e 'Meazza' [Pietro Maggio] con 2 Distaccamenti attaccavano in più punti il nemico infiggendo la perdita di 13 uomini e subendo l'uccisione di 1 solo partigiano.
2 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sui fatti di Ginestro e di Testico del 27 gennaio 1945, quando vennero attaccate 2 squadre del Distaccamento "Garbagnati" e rimasero uccisi "Brescia" [Mario Longhi] e "Romano" [Silvio Paloni].
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. - Tomo II