Visualizzazione post con etichetta partigiani. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta partigiani. Mostra tutti i post

sabato 28 settembre 2024

Ai primi di dicembre 1944 i partigiani imperiesi si riorganizzarono

Marmoreo, frazione di Casanova Lerrone (SV). Fonte: mapcarta.com

Il giorno dopo [30 novembre 1944], verso sera, lasciammo Casanova diretti a Marmoreo: Sandro, il dattilografo, aveva trovato una casa tra gli ulivi a qualche chilometro dal paese, forse sarà adatta per noi. Mentre seguivamo il mulo con i materassi, pareva che lassù non vi fosse fieno, una voce mi chiamò tra gli alberi. Mi voltai e vidi un giovane con la vanga: «Livorno, come mai sei qui?» gli chiesi. Mi fermai con lui per qualche minuto. Livorno, un ex S. Marco, ai tempi di Piaggia era conducente di muli. Quando il clima era peggiorato mi aveva chiesto più volte come avrebbe potuto raggiungere la Toscana per passare le linee. Lo avevo consigliato di accompagnare Citrato che andava periodicamente di staffetta alla Divisione di Savona. Di banda in banda avrebbe potuto arrivare fino a La Spezia e forse più oltre, ma il coraggio del primo passo gli era mancato. Nello sbandamento di Piaggia era scomparso. Ora lo rivedevo contadino a Casanova: era riuscito a salvarsi ed ora lavorava da una famiglia che lo nutriva e gli aveva fornito un vestito borghese. Non lo vedrò più nè saprò nulla di certo di lui. Qualche tempo dopo il Comando denuncerà il tradimento di un partigiano di nome Livorno.
Dopo qualche giorno di permanenza nelia nuova base presso Marmoreo il Comando si accorse di non aver raggiunto la sicurezza cercata. Per la necessità di rifornirsi di viveri al vicino distaccamento di Domatore [Domenico Trincheri], per l'atteggiamento di Mancen [Massimo Gismondi] che conduceva in sede partigiani in ogni occasione, fu in breve noto a partigiani e borghesi che il Comando Brigata era nei dintorni di Marmoreo.
Trovare una nuova sistemazione non era semplice, sperammo così che la voce si diffondesse con una certa lentezza, che il nemico non ne venisse presto informato. Continuammo a lavorare nella stessa sede, solo verso l'alba, l'ora più pericolosa, vedevo che spesso Gigi si svegliava ed usciva: tra noi ed il nemico non c'era nessuna banda né alcuna sentinella. Gigi che, più anziano, aveva il sonno più leggero di noi e forse anche più giudizio, montava spontaneamente la guardia per i compagni che dormivano.
La nuova situazione venne esaminata a fondo da Giorgio, vicecomandante della Cascione [n.d.r.: a quella data la I^ Zona Operativa Liguria coincideva con la menzionata Divisione; la I^ Brigata "Silvano Belgrano", alla quale appartenevano molti dei partigiani qui citati dall'autore del diario - ed egli stesso - si sarebbe trasformata il 19 dicembre 1944 nella Divisione "Silvio Bonfante" con comandante Giorgio, Giorgio Olivero], che giunse a Casanova in quei giorni portando la circolare 23 del 24 novembre. Le disposizioni dei Comandi superiori erano precise: la meta non era più l'occupazione imminente della costa, con l'appoggio degli alleati avanzanti, bensì la sopravvivenza come movimento organizzato. Non più quindi aumentare il numero, l'armamento, la coesione dei reparti, ma conservare fino alla primavera un minimo di effettivi, di armni, di quadri intorno a cui ricostruire rapidamente le bande onde esser pronti quando, tornato il buon tempo, i giovani sarebbero riaccorsi sui monti. Era necessario superare i rastrellamenti, i disagi, resistere alla stanchezza, alla demoralizzazione. Era urgente adottare una nuova tattica, l'esperienza del passato inverno era stata tragica: le bande badogliane che avevano mantenuto fino a marzo l'organizzazione autunnale erano state disfatte: solo adottando nuovi metodi di guerriglia potevamo sperare di salvarci.
Il Comando doveva limitare ulteriormente gli effettivi e suddividersi in gruppi. Un gruppo: comandante e vicecomandante, commissario e vicecommissario doveva stabilirsi in una sede segreta appoggiandosi ad una famiglia sicura. Venivano eliminati cuoco e dattilografo. Due componenti del comando a turno avrebbero dovuto restare in sede, gli altri due avrebbero ispezionato i distaccamenti. In caso di rastrellamento ci si sarebbe uniti alla banda più vicina o ci si sarebbe organizzati in precedenza scavando un rifugio sotterraneo.
Altro gruppo sarebbe stato il S.I.M., che avrebbe dovuto spingersi il più possibile verso la costa. I due gruppi sarebbero stati collegali fra loro e con le bande per mezzo del recapito staffetta. L'amministratore [n.d.r.: nel caso della Brigata Belgrano l'autore del diario, "Magnesia"] sarebbe stato autonomo girando per i pagamenti per i paesi ed i distaccamenti, e fissando la sua base dove gli sarebbe parso meglio l'arrivo dei fondi e i contatti col C.L.N. sarebbero stati curali dal S.I.M.
Disposizioni analoghe erano state adottate dal Comando divisionale e dal comando zona, si riteneva quindi che fossero possibili.
Per quanto riguardava le bande era necessario ridurre gli effettivi. Tutti coloro che per la stanchezza e la demoralizzazione erano ormai un elemento disgregatore per le bande venissero pure congedati; era però opportuno non perdere definitivameme i contatti con questi elementi. Le disposizioni del Comando ci parvero poco chiare su questo punto. Si parlava di costituire squadre di riserva agli ordini di un comandante di valle, persona di valore, posata, già facente parte del movimento. Il garibaldino che lasciava la banda avrebbe consegnato l'arma al comandante di valle che ne avrebbe curato la custodia, indi avrebbe potuto tornare al proprio paese o impiegarsi presso qualche famiglia locale per il raccolto delle olive.
I commissari avrebbero dovuto mettersi in contatto con le giunte comunali, che si andavano organizzando, per sapere quanta mano d'opera avrebbe potuto assorbire ogni paese. Lo scopo di tutto ciò era che i partigiani che chiedevano il congedo non si sentissero abbandonati alla loro sorte e si trattenessero nella zona da noi controllata. In caso di bisogno un capobanda in transito avrebbe potuto rivolgersi al comandante di valle per ottenere la collaborazione degli ex partigiani presenti per un servizio di guardia o un appoggio armato. Per essere in grado di appoggiare i compagni che continuavano la lotta armata il garibaldino delle squadre di riserva, con l'eventuale collaborazione delle S.A.P. locali, avrebbe dovuto scavare un rifugio per sè e per i compagni delle bande armate, impratichirsi dei sentieri e del terreno onde poter guidare in caso di bisogno i compagni in missione.
Per coloro che restavano nelle bande a continuare la lotta armata era necessario ad ogni costo rialzare il tenore di vita, fornire vitto abbondante, vestiario e tabacco. Le bande armate avrebbero avuto il distintivo di reparti d'assalto mentre, per quelli passati alla riserva, i mesi di licenza sarebbero stati calcolati come mesi di appartenenza al movimento. Come si vede il progetto era ben studiato e la collaborazione dei partigiani di riserva nei paesi avrebbe potuto riuscirci preziosa come lo era stato l'appoggio che ci avevano fornito a Carnino Rico e gli altri ex partigiani di Umberto quando avevamo recuperato i feriti da Upega.
Se un difetto si può trovare a questo progetto era che difficilmente sarebbe stato possibile applicarlo integralmente. Vi sarebbe stata una inevitabile dispersione di coloro che lasciavano le bande armate e l'autonomia riacquistata li avrebbe portati a subire influenze diverse e maggiori dell'autorità del comandante di valle. La maggior parte dei congedati sarebbe stata inevitabilmente sottratta all'ambiente partigiano. Era poi necessario un tempo abbastanza lungo per prendere contatto con le giunte, scegliere i comandanti di valle, scavare i rifugi, provvedimenti che, quasi tutti, avrebbero dovuto precedere il congedo degli uomini.
In base alle notizie recate da Giorgio questo tempo pareva mancare: il concentramento di sempre nuove forze nemiche faceva prevedere l'inizio di un nuovo rastrellamento prima di Natale.
Dopo il rastrellamento, che avrebbe coinvlto tutta la nostra zona, il nemico avrebbe tentato di riaprire al traffico la Albenga-Pieve interrotta da noi in più di nove punti. I tedeschi avrebbero posto presidi in quasi tutti i paesi per requisire tutto il raccolto dell'olio, poiché la Liguria era ormai l'ultima regione occupata dalla Germania che producesse olio d'oliva.
Per evitare che il nemico conoscesse le nostre basi avremmo dovuto attaccarlo solo a distanza da esse ed occultarci evitando la lotta, se colonne nemiche fossero passate a breve distanza dalle nostre sedi. Nei giorni immediatamente prima del rastrellamento tutte le azioni avrebbero dovuto esser sospese.
C'era il pericolo che tali misure, interpretate oltre il loro significato letterale, inducessero ad astenersi comunque dalla lotta con conseguenze morali imprevedibili.
All'inizio del rastrellainento era previsto un ripiegamento generale oltre la carrozzabile Albenga-Garessio nel territorio della divisione di Savona.
Sarebbe stata una manovra molto difficile perché tutte le carrozzabili erano perpendicolari alla direzione di marcia, pure tornare oltre il Mongioie non sarebbe staro possibile per la neve ormai alta, né ritornare nella zona di Piaggia priva di risorse alimentari.
Era necessario che la riduzione degli effettivi e l'applicazione della organizzazione invernale precedessero l'attacco nemico.
Appena partito Giorgio le conseguenze delle nuove disposizioni furono chiare quasi subito. Mancen rifiutò in pratica di adottare la tattica cospirativa e comparve al Comando solo saltuariamente; non c'era quindi la possibilità di alternarsi. Il S.I.M. si trasferì a Poggio, a fondo valle sotto Casanova, sottraendosi così alla diretta influenza del comando. Abbandonati a loro stessi, i vari uffici, invece di riorganizzarsi, entrarono in una specie di letargo. Appena giunta la circolare i capibanda invitarono chi voleva ad andarsene immnediatamente.
A metà dicembre, giunse un contrordine: un supplemento alla circolare 23, ma in parte era tardi.
La circolare nuova rettificava ed in gran parte modificava radicalmente le disposizioni precedenti. Dallo stile e dallo spirito che l'animava era chiaramente opera di Simon.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 62-65

martedì 17 settembre 2024

Due capi banda si suicidarono per non cadere nelle nostre mani

Villatalla, frazione di Prelà (IM). Fonte: ErmaAnna/Flickr

Il 25 gennaio, il partigiano Ferrero (Tom o Staffetta Gambadilegno), del X° Distaccamento "Walter Berio", catturato dal nemico il giorno 17 (come abbiamo già ricordato) e rimasto ferito, viene medicato, sottoposto a  duri interrogatori, tradisce i compagni poiché conduce i fascisti nella tana che nascondeva il Distaccamento e che lui stesso aveva aiutato a costruire. Così cadono in mano al nemico ben undici garibaldini, tra cui il comandante Vittorio Aliprandi (Dimitri) e il commissario Nello Bruno (Merlo), i quali preferiscono togliersi la vita piuttosto di arrendersi. Sette di loro saranno fucilati ad Oneglia e due a Torretta di Vasia.
[...] Ma vediamo nei dettagli il triste episodio dalla relazione del vice commissario della IV° Brigata Gino Gerini.
“La Brigata è in stato di sfacello, in un solo mese ha avuto quasi un centinaio di caduti, più di un terzo dei suoi effettivi, già ridotti dalle gravi perdite precedenti e da alcuni defezioni. Tutto intorno ai superstiti, il nemico aveva posto un cordone di sicurezza; li aveva tagliati in tronconi, senza possibilità di ricongiungersi o mantenere i collegamenti. Si era infiltrato dappertutto presidiando i centri vitali. Fu il momento più terribile della lotta. I partigiani prevedevano l'annientamento definitivo poiché non avevano quasi più munizioni, nè viveri, nè indumenti. Non erano più una formazione, ma una massa di poveri esseri laceri e sfiniti in cui soltanto lo spirito continuava a vivere indomabile. Si erano divisi in gruppi per sfuggire alla continua sorveglianza nemica. Gruppi di cinque o sei uomini, dieci o dodici al massimo, che si aggiravano senza meta fra i boschi, rupi e burroni, come fantasmi. Il X Distaccamento “Walter Berio” era stato decimato come tutti gli altri. Un piccolo gruppo del Distaccamento stesso, undici uomini in tutto, con a capo “Dimitri” e “Merlo” (quest'ultimo uno dei più vecchi garibaldini), si era portato in una località tra Pantasina e Villatalla [frazione del comune di Prelà (IM)], in un fondovalle presso un ruscello incassato tra pendii scoscesi, rivestiti di boschi, dove era stata adattata una caverna a rifugio. Il luogo sembrava sicuro, un muro a secco era stato eretto all'entrata della tana, ove la vita trascorreva orribile per il fango e l'umidità. Ma gli uomini resistevano nella speranza di poter ricongiungersi ai compagni e riprendere la lotta interrotta. Il famigerato capitano Giovanni Ferraris, con i suoi uomini della compagnia “Senza Patria”, rastrellatori di Imperia, battevano la campagna. Era un feroce masnadiero ed i suoi sgherri formavano la più spietata banda di aguzzini. Derubavano i contadini, terrorizzavano, seviziavano ed uccidevano con un sadismo inumano.Naturalmente le spie e i traditori non mancavano. Erano in ogni luogo: gente che si vendeva per denaro sempre, tavolta per odio. Il giorno 25 gennaio 1945, Ferraris va su a Villatalla con le squadre. Le notizie che egli ha sono sicure, perché circonda il vallone dove stavano i partigiani ed incomincia a batterlo. Il Distaccamento si rifugia nella caverna: pensare di resistere è impossibile, non vi sono armi automatiche, i fucili sono scarichi, le sole rivoltelle, alcune delle quali inservibili, hanno qualche pallottola. I giovani si uniscono e attendono nella speranza di non venire scoperti. Sentono i passi dei fascisti che vanno avanti e indietro e ne seguono con ansia tutti i movimenti. Poi odono il rumore delle pietre smosse e vedono filtrare nella tana la luce del giorno: è la fine! Impugnano le armi e tirano, dal di fuori si risponde con il lancio di bombe a mano che feriscono quasi tutti i partigiani. Le munizioni sono esaurite. “Dimitri” e “Merlo” sono per una sortita in massa, ma gli altri non si reggono in piedi, alcuni non possono più muoversi. Il nemico, che fuori schiamazza e insulta, ma non osa entrare, esulta perché sa di aver vinto. I due capi compiono il gesto eroico: salutano i compagni uno ad uno, poi, addossatisi alla parete della caverna, si sopprimono con i due ultimi colpi rimastigli. Il nemico sente i colpi. Intuisce quello che sta avvenendo. Dopo aver esitato ancora e quindi scaricate le armi all'interno della caverna senza avere ottenuto risposta, irrompe fulmineamente nel rifugio. Vi trova due partigiani morti e altri nove feriti. Ma né  l'eroismo né la maestà della morte valgono a mitigare la loro ferocia. I garibaldini, vivi o morti, sono spogliati, insultati e percossi. I superstiti vengono legati e, tra gli scherni della soldataglia, avviati verso il paese. Due giorni dopo un gruppo di partigiani, informati dell'accaduto, si recano a recuperare le salme dei due compagni caduti. “Dimitri” e “Merlo” giacevano ove si erano uccisi, quasi nudi e senza scarpe. Sul corpo di “Dimitri” c'era un pezzo di carta con scritte poche e turpi parole che dicevano: “Questa è la sorte che toccherà a tutti i banditi”. E più sotto il nome di un partigiano con la postilla: “Anche tu farai la stessa fine”. Le salme furono poste sopra due barelle fabbricate con rami intrecciati e portati nel cimitero di Villatalla dove vennero seppellite. Gli accompagnatori andavano su per un sentiero alpestre, muti e commossi. A metà strada un vecchio andò loro incontro, fu riconosciuto, era il padre di “Dimitri”. Si fermò,i suoi occhi erano fissi, sbarrati, sulle rozze portantine. Intuì che suo figlio era lì, esanime. Senza un grido, senza una lacrima, come se il dolore lo avesse impietrito, con un balzo si gettò sul corpo del figlio e lo abbracciò. Poi cadde svenuto. I nove prigionieri furono trasportati ad Imperia, torturati e in seguito fucilati...".
Tra questi ricordiamo: Carletti Doriano (Misar), Giuseppe De Lauro (Venezia), Luigi Guareschi (Camillo), Vincenzo Faralli (Camogli), il russo Nicolay Gabrielovic Poronof (Tenente Nicolay). Di essi daremo altri ragguagli in seguito.
Il 27 il tempo si guasta, piovaschi e nebbia. Si sente una sparatoria, il nemnico rastrella Pietrabruna e dintorni. Partigiani del primo Battaglione, che si trovano nella zona, si portano in cresta dove preparano una postazione per la mitragliatrice che hanno in dotazione.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005, pp. 89-92

Annibale Agostini, nato a Genova il 13 maggio 1911, agente in servizio presso la Squadra Antiribelli della Questura di Imperia
Interrogatorio del 10.10.1945:
"[...] Ammetto di aver preso parte al rastrellamento avvenuto a gennaio u.s. in Villatalla ove furono catturati 9 partigiani e due capi banda si suicidarono per non cadere nelle nostre mani. Tale rastrellamento venne effettuato su indicazioni fornite da un partigiano a nome Ferrero, il quale ci accompagnò sul posto. I 9 partigiani catturati nella predetta azione erano 7 italiani e due russi. Gli italiani furono consegnati alla Questura e nei verbali vennero indicati come prigionieri dei partigiani da noi liberati, in quanto appartenenti all’esercito repubblicano. Seppi in seguito che cinque dei fermati vennero uccisi dai tedeschi per rappresaglia come da manifesti affissi sui muri della città [Imperia]. Non sapevo che anche i due russi vennero fucilati dai tedeschi. Dall’esame degli atti della questura sarà possibile accertare che cercai di salvare i predetti facendoli figurare come elementi prelevati e tenuti prigionieri dai partigiani.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia,  StreetLib, Milano, 2019

... un reparto della Brigata Nera con elementi della polizia dipendenti dalla Questura eseguiva azione di rastrellamento in territorio di Vasia, Pantasina, Arborei, riuscendo a catturare nove partigiani, fra cui due di nazionalità russa. Un capo banda ed un commissario politico per evitare l'arresto si suicidavano, sparandosi un colpo di pistola alla tempia.
Sergiacomi, Questore di Imperia, Al capo della Polizia - Sede di campagna (visto di arrivo del Ministero dell'Interno della RSI in data 7 marzo 1945), Relazione mensile sulla situazione politica, militare ed economica della Provincia di Imperia, 1 febbraio 1945  - XXIII°

domenica 8 settembre 2024

Andava in giro col biroccio a raccogliere armi per i primi partigiani imperiesi

Cervo (IM)

Ma scendiamo in alcuni particolari: come abbiamo sopraccitato, contemporaneamente al disfacimento delle formazioni militari italiane, il movimento delle forze antifasciste [n.d.r.: ad Imperia e dintorni] inizia la preparazione dei mezzi per la lotta armata. Giorno dopo giorno le sue forze crescono. Vecchi, giovani, donne si adoperano per essere di aiuto ai primi protagonisti. Si crea il momento favorevole per dare al movimento di Liberazione una direzione organizzativa. Sotto la guida del PCI e di altre forze democratiche è organizzato un servizio con Comitati di raccolta di vivere e indumenti per i militari italiani sbandati. Grazie a queste iniziative gli antifascisti si rendono conto della vastità delle forze che li sostengono. Cresce il loro entusiasmo. A Cervo organizzano una riunione in località "Bundai" e a San Bartolomeo presso l'oratorio di San Rocco su iniziativa di Giovanni Cotta (Karenzi), che va in giro col biroccio a raccogliere armi insieme a Giacomo Ciaccone (Semeria). Grazie ad Antonio Ghirardi, per le forze della Resistenza in due giorni si riesce a ricuperare un deposito di armi e munizioni, abbandonato in una baracca su Capo Berta. A San Bartolomeo viene costituito un deposito di derrate alimentari in un magazzino di Giuseppe Mantica, messo a disposizione dei soldati sbandati. Tramite un collegamento attuato da Amerigo Realino, il comandante la Stazione dei carabinieri di Diano Marina consegna al Cotta e al compagno Maraboli vari fucili.
Intanto sulle alture si costituiscono i primi gruppi partigiani armati. Alcuni giovani comunisti imperiesi, tra cui Angelo Setti, Carlo Delle Piane, Nino Berio, Carlo Trucco, Secondo Rovere, Tonino Bertelli, Orazio Parodi (Guan), dopo una serie di notizie contrastanti, pensano di affrontare i Tedeschi su Capo Berta. Ricuperate le armi in un ex caposaldo (due mitragliatrici Skoda, bombe a mano e alcuni fucili), salgono verso l'Alpicella, ma non fanno in tempo a bloccare il valico e perciò le nascondono in un soffitto di una casa di campagna. Un gruppo di militari che si aggira nella zona del Pizzo d'Evigno, formatosi il 9 settembre e comandato da un ufficiale di Albenga, si scioglierà dopo qualche giorno. Altri gruppi di non trascurabile importanza, costituiti da soldati e ufficiali del disciolto esercito, in generale elementi attendisti, al momento non decisi di passare all'azione, vagano nei dintorni. Un centinaio di questi elementi sostano per qualche giorno sulla collina tra Oneglia e Diano Castello, poi spariscono. Una trentina di giovani della valle Impero si rifugiano in alcuni casoni oltre il "Passo della Colla", nella "Vota Grande".
Come abbiamo in qualche modo già accennato, piano piano questi gruppi si scioglieranno come la neve al sole e nella neve rimarranno solamente quegli uomini di cui tratteremo ora, cioè piccole bande in lotta contro i nemici tedeschi e fascisti e contro quello più crudele: il freddo.
Il 10, o l'11 settembre, un gruppo di giovani, che già avevano pubblicamente dimostrato il loro antifascismo nelle giornate del 25 luglio, con la caduta di Mussolini, consci del pericolo che stanno correndo di venire arrestati dai nazifascisti, abbandonata Oneglia e altri luoghi del litorale, salgono in collina e dopo alcune ore di cammino, raggiungono la località detta "Cianassi" nel territorio del Comune di Diano Castello. Sono conoscitori dei luoghi e uomini che, in seguito, diventeranno famosi partigiani combattenti.
Il già citato Giuseppe Aicardi, cittadino di Diano Castello e fervente antifascista, guida questi giovani in un fienile di sua proprietà ove li invita a trascorrere la notte, mentre giunge sua moglie che porta loro un coniglio arrostito per cena. Il giorno successivo li conduce in località "Vivano", più nascosta e sicura dove, in una casupola coperta dall'edera, trascorrono la seconda notte di fuga. Poi lo spostamento riprende verso la località "Bestagno" o "Magaietto", dove questi primi, insieme a quelli che seguiranno nei giorni successivi, come vedremo più avanti, rimarranno circa un mese.
Cosa sorprendente: quando Aldo Gaggino, uno dei componenti la banda, nei pressi apre la porta di una casetta di campagna di proprietà del commendatore Giuseppe Quaglia, appare alla sua vista un uomo stanco, barbuto e accovacciato nella penombra, che subito si alza. Vedendolo alto e nel viso, il Gaggino, rimasto perplesso per alcuni istanti, dopo un poco esclama: "Io ti conosco, tu sei Cascione, u Megu". Questi vorrebbe negare la sua identità, ma viene riconosciuto anche dagli altri. Spiega il perché si trova in quel luogo: aveva dovuto fuggire in fretta per non essere acciuffato dai fascisti.
Quando i giovani presenti manifestano l'intenzione di formare una banda armata per fare la guerriglia ai nazifascisti, Cascione risponde: "Allora siamo tutti qui per la stessa causa, mettiamoci insieme. In quel momento giunge anche Nino Giacomelli, il compagno di Cascione, che era andato a compiere una ricognizione nei dintorni. In quel momento Felice Cascione viene acclamato capo della banda.
Francesco Biga, Felice Cascione e la sua canzone immortale, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 2007

lunedì 26 agosto 2024

Con l'arrivo del capitano Bentley tra i partigiani imperiesi...


 
Si pubblicano qui le copie di due comunicazioni inviate a gennaio 1945 da ufficiali statunitensi all'antenna OSS di Nizza. Questi documenti furono a suo tempo rinvenuti a cura di Giuseppe Mac Fiorucci in preparazione del suo Gruppo Sbarchi Vallecrosia (IsrecIm, 2007).
Adriano Maini 
 
 
S E G R E T O
Ref : OB/I/19
13 gennaio 1945

Al Capitano: G.M.T. Jones,
Collegamento delle Forze di Informazione
NIZZA

Da: Distaccamento 20
N°1 Forze Speciali

Come richiesto, per le informazioni del 6° Gruppo d'Armata dell'Esercito [statunitense], segue un resoconto delle nostre attività fino a ora.

La prima fase del nostro lavoro, ora quasi completata, fu di stabilire un contatto con le bande partigiane nell'area, e di approntare un piccolo invio di rifornimenti per soddisfare le richieste immediate.

Nella seconda fase abbiamo inaugurato il contatto radio e per corriere coi partigiani più prossimi e abbiamo inviato rifornimenti via terra su piccola scala. Un Ufficiale di Collegamento Britannico [n.d.r.: Robert Bentley] con operatore W/T è stato infiltrato via mare con il compito di organizzare il ricevimento e il successivo trasporto via terra dei rifornimenti inviati via mare.

Ci si aspetta che questi mezzi siano i più fruttiferi, sebbene la loro messa in opera sia stata ritardata dalla necessaria preparazione e dalle avverse condizioni meteorologiche.

Terremo informato il vostro ufficio circa ogni importante progresso che otterremo nella realizzazione di questi piani o di ogni altro nuovo progetto iniziato da noi.

(firmato) Betts

S/Ldr.
20° Dist. N° 1 SF




S E G R E T O
Rif: OP/I/19
30 Gennaio 1945

Capt. G.M.T. Jones,
Distaccamento OSS,
NIZZA


In riferimento al nostro OB/I/19 del 13 gennaio scorso, facciamo seguire un
ulteriore resoconto:

Due pattuglie di corrieri e una pattuglia per rifornimenti sono state inviate via terra oltre frontiera sin dal 13 gennaio; uno dei corrieri ha preso contatto con organizzazioni partigiane più remote di quelle contattate in precedenza, e ha riportato informazioni riguardo le centrali idro-elettriche e i centri di distribuzione in VAL MAIRA e in VAL VARAITA.

È nostra intenzione organizzare una squadra anti-sabotaggio con riferimento speciale per queste strutture. Il contatto radio con la nostra missione nell'area settentrionale è eccellente.

Il nostro Ufficiale di Collegamento Britannico nella Liguria Occidentale è stato disturbato dalla pressione Tedesca sulla Divisione a cui è stato inviato.

Il contatto radio è stato interrotto a causa dei suoi spostamenti, comunque un certo ammontare di informazioni tattiche ci è stato trasmesso da lui e successivamente passato a voi.

Il clima ha impedito l'arrivo clandestino a lui di rifornimenti in questo mese, ma in quello di febbraio è previsto un certo numero di operazioni al riguardo.

Firmato: M.P. Lam Capitano

per S/Ldr,
Distaccamento OC 20
N° 1 Forze Speciali
 
 
Negi, Frazione di Perinaldo (IM): uno scorcio

Bentley nella sua lunga intervista rilasciata a Mario Mascia per L’epopea dell’esercito scalzo (A.L.I.S., 1946, ristampa del 1975 a cura di IsrecIm) parlò anche della preparazione della sua missione tra i partigiani: nel fare questo si riferì, inoltre, alla Missione Kahnemann; aggiunse che per la sua aveva preso preventivo contatto con il comandante Stefano Leo Carabalona, il quale a metà dicembre 1944 era già in Costa Azzurra; dettagliò, poi, il suo arrivo via mare del 6 gennaio 1945 a Vallecrosia, dove era atteso da uomini del Gruppo Sbarchi (S.A.P.) di questa città: di questi fa solo i nomi, anche perché erano stati di ausilio nella fase preparatoria, di Nino, Mimmo, Tonino, aggiungendo, di quest'ultimo, che lo aspettò a Negi, Frazione di Perinaldo, dove dovevano poi arrivare, per scortarlo sino al Comando Operativo della I^ Zona Liguria, i garibaldini del battaglione di Gino Napolitano Gino. In effetti, in base alle disposizioni operative del comandante Holdsworth del 6 dicembre 1944, Bentley aveva già tentato con il radiotelegrafista caporale Millington di passare le linee ed entrare in Liguria attraverso i passi alpini: recavano con loro 500.000 lire per il compimento della missione e per aiutare i patrioti. Il maltempo e l’accresciuta sorveglianza tedesca avevano impedito il successo di questa manovra. Riprovando via mare, in una missione rinominata “Chimpanzee”, veniva accompagnato invece dal radiotelegrafista caporale MacDougall.
Adriano Maini

lunedì 19 agosto 2024

Il 24 maggio 1944, in seguito a delazione, è prelevato da casa con una scusa di lavoro, incarcerato prima a Oneglia e poi a Genova

Bordighera (IM): il centro città

Tommaso Frontero [all'epoca residente in Bordighera], reduce da Mauthausen:
«Nel campo vi erano delle baracche allineate, in ciascuna delle quali dormivano circa 150 prigionieri. Vi era pure uno stanzone con attrezzature sanitarie, la cosiddetta infermeria: i medici erano detenuti ebrei. La sera i Tedeschi chiudevano le porte delle baracche dall’esterno e le riaprivano il mattino successivo. Poiché ai prigionieri era concesso passeggiare in determinate zone del campo, ed all’esterno vi erano le vaste coltivazioni di frumento, i parenti che si recavano segretamente in visita ai loro cari si nascondevano tra il grano. I detenuti politici venivano tenuti separati da quelli per reati comuni».
A Marassi, Frontero si era messo in contatto con patrioti che avevano fatto parte della già accennata organizzazione «Otto» (prof. Ottorino Balduzzi; prof. Franco Antolini, membro del CLN di Genova; prof. Eros Lanfranchi, deceduto in seguito a Mauthausen), tutti antifascisti di grande rilievo che avevano ricoperto importanti incarichi organizzativi nella Resistenza.
I Tedeschi, con tutta probabilità, erano venuti a conoscenza dell’organizzazione. Sicchè, dopo un breve periodo di permanenza dei prigionieri provenienti da Marassi, decisero di eliminare il campo di Fossoli. Fecero arrivare una colonna di camion, vi caricarono cinquecento prigionieri e li trasportarono alla stazione ferroviaria. Rimasero a terra settanta malcapitati (parte di coloro che avevano occupato le baracche n. 16 e n. 17): furono uccisi ed il campo fu chiuso.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

Rutoli Brunello (“Rino Borelli”), di San Remo (Imperia); iscritto al 2° anno di Medicina e Chirurgia; Partigiano combattente e Aiutante maggiore della Brigata “Guido Negri” n. 29 novembre 1923 - m. 10 dicembre 1944
Luogo della morte: Caduto durante un «Conflitto con un gruppo di briganti neri avvenuto a Codevigo di Piove (Padova) il 10 dicembre 1944 - Nel tentativo di prestare soccorso e vendicare un compagno caduto dopo aver disarmato due avversari cadeva colpito da una raffica» <361.
Riconoscimenti militari: 1 medaglia d’argento al v.m.
Riconoscimenti dell’Università: Laurea h.c. 11 giugno 1947.
[NOTA]
361 Dal foglio notizie contenuto in: Archivio del Novecento dell’Università degli Studi di Padova, Fascicoli personali degli studenti, Facoltà di Medicina e Chirurgia, mat. 154/34, «Rutoli Brunello».
Giacomo Graziuso, Gioventù e Università italiana tra fascismo e Resistenza: l’attribuzione delle lauree Honoris Causa nell’Archivio del Novecento dell’Università di Padova (1926 - 1956), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova,  Anno Accademico 2013-2014

INVENTARIO
SCHEDE MATRICOLARI
SCHEDE RELATIVE AI DETENUTI DEL REPARTO TEDESCO DEL CARCERE DI REGINA COELI
Schede carcerarie relative ai reclusi del reparto tedesco di Regina Coeli. Si riportano in ordine alfabetico nominativo (cognome e nome), luogo di nascita, data di nascita di ogni detenuto.
28 settembre 1943, 2 giugno 1944, 1666 originali; 1677 traduzioni in italiano; 2 copie fotografiche di originali tedeschi dispersi
[...]
Mag […]ne Asilio   Cannes   1899 dic. 30
Mag[…]tto Gloria   San Remo 1904 apr. 24
Tirabassi Vincenzo San Remo 1916 gen. 12
Alessia A. Glielmi, Guida all’archivio del Museo storico della Liberazione e inventariazione del materiale documentario delle forze tedesche di occupazione, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Udine, Anno Accademico 2011-2012

Il campo di Fossoli è noto per essere stato il Polizei- und Durchgangslager controllato dalle SS della Sicherheitspolizei und SD in Italia facenti capo a Wilhelm Harster: come tale fu un campo di transito per ebrei e politici in attesa di essere deportati nel Reich e fu attivo dal marzo del 1944 sino ai primi di agosto dello stesso anno, quando la struttura principale di raccolta dei prigionieri destinati alla deportazione divenne il campo di Bolzano.
Roberta Mira, Il campo di Fossoli e il reclutamento di forza lavoro per la Germania nazista, Fondazione Fossoli, 2019

I nomi
Amabile Massimo. Nato a Ospedaletti (IM) il 5/9/1928. Matricola 5759 Blocco F Vipiteno. Fonti:24. Note: 24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma, evaso da Vipiteno, tornato a casa il 23/4/1945. 
Arnaldi Bruno. Nato a Sanremo (IM) il 15/2/1927. Blocco D H Vipiteno. Evaso il 20/4/1945. Fonti: 24. Note: 24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma, triangolo rosa.   
Avena Giulio. Nato a Pieve di Teco (IM) il 5/4/1891. Deportato da Bolzano il 5/9/1944 a Flossenbürg. Deceduto a Flossenbürg il 18/12/1944. Fonti: 6.
Bernardini Pietro. Nato a Sanremo (IM) il 15/12/1891. Deportato da Bolzano il 5/10/1944 a Dachau. Deceduto a Uberlingen il 26/2/1945. Fonti: 5.
Brussa Gaddini Teresa. Matricola 6153 Blocco F Merano. Fonti: 1, 2. Note: 2: 28/3 piazza Parasio Imperia.
Caprile Carlo. Nato a Imperia (IM) il 20/5/1905. Deportato da Bolzano il 19/1/1945 a Flossenbürg. Fonti: 6, 6bis.
Carli Benedetto. Nato a Rezzo (IM) il 21/5/1923, impiegato. Deportato da Bolzano l’1/2/1945 a Mauthausen. Deceduto a Mauthausen il 2/3/1945. Fonti: 3.
Cassamagnago Fernando. Nato a Lissone (MI) il 2/6/1924. Arrestato a Sanremo (IM). Deportato da Bolzano il 5/10/1944 a Dachau. Deceduto a Dachau il 9/3/1945. Fonti: 5.
Chiesa Federico. Nato a Carmagnola (TO) il 26/8/1911. Arrestato a Olivetta S. Michele (IM). Matricola 2994 Blocco A. Deportato da Bolzano il 14/12/1944 a Mauthausen. Deceduto a Mauthausen il 15/3/1945. Fonti: 3, 23. Note: 23: Elenco C pag 161.
Chittolini Esterino. Deportato il 16/1/1945. Matricola 8499. Blocco C A. Fonti: 1, 2. Note: 2: S. Lorenzo Imperia - Oneglia.
Corbellati Michelangelo. Nato a Sanremo (IM) il 23/12/1928. Matricola 5485 Vipiteno. Fonti: 24. Note: 24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma.
Cravaschino Antonio. Nato a Sanremo (IM) il 13/9/1909, frantoiano di olive. Arrestato a Sanremo loc. Suseneo Superiore (IM) il 15/11/1944. Deportato da Genova (GE) il 7/12/1944, arrivato l’8/12/1944. Matricola 7017 Blocco G. Liberato a Bolzano il 30/4/1945. Fonti: 2, 20. Note: 2: via Palma 1 S. Remo. 20: quest. 60. Citato in Pino Da Prati, Il triangolo rosso, Gastaldi, Milano-Roma 1946.
Dall’Orto Pinuccio. Deportato l’11/11/1944. Matricola 6018 Vipiteno E. Fonti: 1, 2. Note: 2: via S. Bernardo 49 Dolceacqua (Imperia).
Forte Antonio. Matricola 5971 Blocco G. Fonti: 1, 2. Note: 2: Lingueglietta Imperia.
Fucile Rosario. Nato a Messina (ME) il 26/11/1914, meccanico. Arrestato a Porto Maurizio (IM). Deportato da Bolzano il 5/10/1944 a Dachau. Liberato a Bad Gandersheim il 4/4/1945. Fonti: 5. Note: 5: Sup.
Gazzano Mario. Matricola 9954 Blocco E B. Fonti: 1, 2. Note: 2: Carrano; Cazzano, Villa Talla Imperia.
Gianotti Pierluigi. Nato a Torino (TO) il 27/7/1916, impiegato. Arrestato a S. Lorenzo al Mare (IM) l’8/8/1944. Deportato da Genova (GE). Matricola 9087 Blocco E. Fonti: 1, 2, 32. Note: 1: Giannotti. 1, 2: Luigi. 32: quest. 226.
Lagorio Gianbattista. Nato a Imperia (IM) il 14/5/1887, agricoltore. Arrestato a Imperia (IM). Deportato da Bolzano l’8/1/1945 a Mauthausen. Deceduto a Mauthausen il 28/3/1945. Fonti: 3.
Levy Elia Amedeo. Nato a Compiegne (Francia) il 29/8/1895. Arrestato a Imperia (IM) il 30/11/1943. Deportato da Bolzano il 24/10/1944 a Auschwitz. Deceduto a Auschwitz il 24/1/1945. Fonti: 4.
Malugani Aldo. Nato a Sanremo (IM) il 28/10/1927. Matricola 5791 Blocco D H Vipiteno.
Modena Carlo. Nato a Sanremo (IM) il 26/9/1927. Blocco H. Deportato da Bolzano a Landeck-Tirol. Fonti: 24. Note: 24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma.
Morelli Giuseppe. Nato a Sanremo (IM) il 14/1/1897, interprete. Deportato da Bolzano l’8/1/1945 a Mauthausen. Liberato a Mauthausen il 5/5/1945. Fonti: 3.
Musso Maria. Nata a Diano Arentino (IM) il 4/1/1924, casalinga. Arrestata a Diano Arentino (IM) il 2/9/1944. Deportata da Genova (GE). Deportata da Bolzano il 7/10/1944 a Ravensbrück. Liberata a Bergen Belsen. Fonti: 7, 32. Note: 32: quest. 321
Nardone Leonardo. Nato a Sanremo (IM) il 15/2/1927. Blocco D H Vipiteno. Evaso da Vipiteno il 20/4/1945. Fonti: 24. Note: 24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma.
Novaro Dante. Nato a Porto Maurizio (IM) il 22/1/1912, impiegato. Arrestato a Genova (GE). Deportato da Genova (GE) il 22/10/1944. Matricola 5301 Blocco E. Deportato da Bolzano l’8/1/1945 a Mauthausen. Deceduto a Mauthausen il 20/4/1945. Fonti: 3, 23. Note: 23: Elenco P pag 174. Citato in Piero Caleffi, Si fa presto a dire fame, Edizioni Avanti!, Milano 1954.
Orengo Francesco. Nato a Badalucco (IM) il 25/12/1927. Fonti: 24. Note:24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma.
Panizzutti Ruggero. Nato a Cugliate (VA) il 2/2/1908, tecnico. Arrestato a Sanremo (IM). Deportato da Bolzano il 20/11/1944 a Mauthausen. Deceduto a Ebensee il 5/5/1945. Fonti: 3.
Paolucci Isio. Nato a Ventimiglia (IM) l’11/12/1924, macellaio. Arrestato a Ventimiglia (IM). Deportato da Bolzano l’8/1/1945 a Mauthausen. Liberato a Mauthausen il 5/5/1945. Fonti: 3. Note: 3: Sup.
Pellegrini Pietro. Matricola 9987 Blocco E M Sarentino. Fonti: 1, 2. Note: 2: 11/3 - 24/3. Villa Talla (Imperia).
Piombo Aldo. Nato a Sanremo (IM) il 14/2/1928. Arrestato a Sanremo (IM). Deportato da Genova (GE) il 15/11/1944. Matricola 7087 Vipiteno. Liberato a Vipiteno il 00/5/1945. Fonti: 24. Note: 24, Busta 4, fascicolo 3: Scheda personale, attestato della Prefettura di Imperia, copia triangolo originale.
Ruggeri Giovanni. Matricola 7075 OT. Fonti: 2. Note: 2: San Remo (...).
Saglietto Francesco. Matricola 9976 Blocco E. Fonti: 1, 2. Note: 2: via Domenico Acquarone 16 Imperia.
Semeria Angelo. Nato a Sanremo (IM) il 16/7/1891. Deportato da Bolzano il 5/9/1944 a Flossenbürg. Deceduto a Flossenbürg il 31/12/1944. Fonti: 6.
Soleri Giovanni. Nato a Bordighera (IM) l’8/4/1920. Deportato da Bolzano il 19/1/1945 a Flossenbürg. Fonti: 6, 6bis. Note: 6bis: Soleri.
Toesca Onorato. Matricola 9965 Blocco E. Fonti: 1, 2. Note: 2: Borgomaro (Imperia).
Tomasi Silvio. Nato a Trento (TN) il 23/6/1907, capitano dell’Esercito. Arrestato a Sanremo (IM) [n.d.r.: le fonti più diffuse riportano questo arresto come avvenuto nella zona di Vemntimiglia-Bordighera]. Deportato da Bolzano il 5/8/1944 a Mauthausen. Deceduto a Gusen il 5/5/1945. Fonti: 3. Intervista dell’Autore a Gianfranco Maris, 4/3/2005.
Trucco Gerolamo. Nato a Pieve di Teco (IM) il 18/9/1893. Deportato da Bolzano il 5/9/1944 a Flossenbürg. Deceduto a Flossenbürg il 24/1/1945. Fonti: 6.
Verardo Danilo. Nato a Sanremo (IM) il 9/3/1914. Deportato da Bolzano il 19/1/1945 a Flossenbürg. Fonti: 6, 6bis.
Veronesi Ugo. Nato a Imperia (IM) il 3/2/1915. Matricola 9459 Blocco D C. Liberato a Bolzano. Fonti: 1, 2.
Viale Eraldo. Nato a Ventimiglia (IM) il 18/5/1911, meccanico auto. Arrestato a Ventimiglia (IM). Deportato da Bolzano il 5/8/1944 a Mauthausen. Deceduto a Gusen il 4/3/1945. Fonti: 3.
Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini nel Lager di Bolzano. Una tragedia italiana in 7.982 storie individuali, Fondazione Memoria della Deportazione/Mimesis - Milano, Seconda edizione rivista e ampliata, aprile 2005. Ricerca realizzata con il contributo dell'Unione Europea

Emilio Baletti (detto Milio), di anni 56, nato a Castelnuovo Don Bosco (Asti) il 31 luglio 1888, lattoniere, coniugato con Luigina Capra (di Chieri, provincia di Torino). Assessore comunale socialista a Chieri, è arrestato nell’aprile del 1921 per cospirazione politica, detenuto per 23 mesi nelle carceri Nuove di Torino fino al processo, quando viene assolto. Trasferitosi ad Albenga (Savona), continua l’attività politica clandestina, che intensifica dopo l’8 settembre. Il 24 maggio 1944, in seguito a delazione, è prelevato da casa con una scusa di lavoro, incarcerato prima a Oneglia e poi a Genova. Torturato dalle SS, non fa nomi. È trasferito a Fossoli ai primi di giugno, matricola 1475. Il suo corpo, contrassegnato all’esumazione col numero 57, fu riconosciuto da una carta d’identità del Comune di Albenga; l’identificazione fu confermata dalla vedova il 26 giugno 1945. La salma di Baletti fu trasportata a Chieri con un solenne funerale il 1° luglio 1945. Dall’aprile 1965 è tumulata nel Sacrario degli Eroi della Resistenza del cimitero di Chieri.
[...] Aveva compiuto da poco vent’anni, Giuseppe Palmero, manovale alle Ferrovie di Ventimiglia: era membro del gruppo “Giovine Italia”, che agiva alle dipendenze dell’omonima associazione clandestina repubblicana formata da molti ferrovieri di Ventimiglia, civili, militari e carabinieri - più di sessanta persone - che prendeva ordini dal capitano di fanteria Silvio Tommasi, anch’egli passato da Fossoli, deportato a Mauthausen, e qui deceduto. L’organizzazione aveva lo scopo di ostacolare il traffico di materiale bellico sia in Francia sia In Italia, ritenendo imminente lo sbarco alleato. Il gruppo doveva occupare militarmente la stazione ed un tratto della linea ferroviaria, per preservarle da sabotaggi delle truppe nemiche durante la prevista evacuazione. Tra il 22 e il 23 maggio 1944 una ventina di affiliati furono arrestati per la delazione di due infiltrati. Giuseppe Palmero fu arrestato a Bordighera, il 23 maggio 1944, portato a Oneglia, assieme ai fratelli Remo ed Ettore Renacci, trasferito al carcere di Marassi (Genova) e poi a Fossoli.
[...] Ettore Renacci, di anni 37, nato il 6 gennaio 1907 a Bordighera, ivi residente, calzolaio, coniugato con Gatto Maria. Arrestato a Bordighera il 23 maggio 1944, incarcerato prima a Imperia, poi a Genova, quindi trasferito a Fossoli tra il 6 e il 9 giugno, matricola campo 1455. Il suo corpo, contrassegnato all’esumazione col numero 8, fu riconosciuto dalla cognata Carmelina Gatti e da un conoscente.
Anna Maria Ori - Carla Bianchi Iacono - Metella Montanari, Uomini nomi memoria. Fossoli 12 luglio 1944, APM, 2004

Il Baletti, dopo drammatiche esperienze presso le varie polizie nazifasciste, fu inviato nel campo di concentramento di Fossoli. Tommaso Frontero (presidente del CLN cospirativo di Bordighera) compagno di prigionia del Baletti, racconta di lui con malcelata commozione che i nazifascisti lo sottoposero, per la sua fede antifascista e l’ostinato rifiuto a fare i nomi dei compagni di lotta, a dure sevizie ed a minacce severe; ma egli non venne mai meno ai suoi nobili sentimenti di altruismo. Il 12 luglio 1944 Emilio Baletti fu trucidato assieme ad altri patrioti e la Resistenza lo onorerà dando il suo nome ad una gloriosa brigata Matteotti che opererà nel Canavesano.
Di lì passò anche l’esuberanza giovanile di Bruno Gazzano di Porto Maurizio, che mi è stato caro amico di scuola.  […]
Carlo Rubaudo, Op. cit.

sabato 10 agosto 2024

Cade Romano, che si diceva avesse preso parte a Roma all'attentato di Via Rasella

Degna, Frazione del comune di Casanova Lerrone (SV). Fonte: F.A.I.

Il 26 gennaio 1945 riprese il grande rastrellamento ai danni delle formazioni della Divisione "Silvio Bonfante", iniziato sei giorni prima. Verso la sera del 26, infatti, il Distaccamento “Giuseppe Catter” della III^ Brigata “Ettore Bacigalupo” con una marcia di quasi cento chilometri si portò dalla Val Pennavaira alle pendici del monte Torre. Giunti nei pressi della Cappella Soprana di Stellanello (SV), quattro garibaldini si accantonarono in un sito da cui avvistarono una colonna di “Monte Rosa”. “Il commissario Gapon (Renzo Scotto), il capo squadra Bruno (Bruno Amoretti), i garibaldini Marat e Franco (Dante Del Polito) combatterono eroicamente, uccidendo il tenente comandante del pattuglione, un sottoufficiale e quattro soldati. Il nemico rimane disorientato e facilita lo sganciamento dei garibaldini”: così annotò Luigi Massabò “Pantera”, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", nella sua Cronistoria militare della VI^ Divisione “Silvio Bonfante” [n.d.r.: documento inedito perlomeno nel 1999, al momento della stesura della qui citata tesi di laurea, documento conservato presso l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia]. Tra quei partigiani vi era anche “Marat” (Renzo Urbotti, nato nel 1920 a Reggio Emilia), che dopo pochi metri morirà per le ferite riportate nello scontro. Anche il giorno 27 gennaio 1945 fu segnato da vasti rastrellamenti nemici, in particolare da formazioni della “Muti” e della “Monte Rosa”, che batterono la zona di Ginestro [Frazione di Testico in provincia di Savona]. Alle 7 del mattino “la pattuglia a fondo valle comunica che il nemico si avvicina alla nostra zona… le squadre vengono disposte in ordine di combattimento. Il garibaldino Brescia (Longhi Mario) allo scoperto, con il suo inseparabile M.G., apriva il fuoco contro il nemico avanzante. Una raffica avversaria gli asportava l’arma dalle mani… veniva colpito mortalmente alla testa”: ancora una memoria di Luigi Massabò “Pantera”, Op. cit. Durante lo stesso combattimento periva, altresì, il garibaldino “Romano” (Paloni Silvio). Le due squadre del Distaccamento “Giovanni Garbagnati” della I^ Brigata “Silvano Belgrano” della Divisione "Silvio Bonfante" riuscirono ad aprirsi la strada per la fuga perdendo un fucile tapum ed una macchina da scrivere. Il 28 gennaio le truppe addette ai rastrellamenti abbandonarono le valli presidiate nei giorni precedenti (Pennavaira, Arroscia e Lerrone), ad eccezione della valle di Andora che sarà abbandonata il giorno successivo. Unico grande presidio della zona rimarrà quello di Borgo di Ranzo, sede comunale di Ranzo (IM), che ospiterà circa centoventi soldati delle “Brigate Nere”. Cessato il pericolo costituito dai rastrellamenti dei giorni precedenti, il Comando Divisionale della “Bonfante” dispose lo spostamento nella valle d’Arroscia (parte nord) del Comando della III^ Brigata e della sua Intendenza, mentre il Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata “Ettore Bacigalupo” si spostava nella zona di Aurigo ed il Distaccamento “Gian Francesco De Marchi”, sempre dell’appena citata Brigata, in Val Pennavaira.  Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Il riposo di Gapon [n.d.r.: Felice Scotto, commissario della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della Divisione Garibaldi "Silvio Bonfante] è breve, il freddo è intenso e fermarsi all'aperto sarebbe fatale per tutti. I quattro scendono a un casone a Cappella Soprana, il pensiero dei compagni che fra poco saranno in salvo li tranquillizza in parte, ma dà anche un'acuta malinconia. Nel casone sono soli, intorno freddo, neve, squallore. Che fare? Accendono un fuoco per scaldarsi, per ravvivare l'ambiente, per asciugare gli abiti bagnati, per sentirsi meno soli.
Non saranno più soli fra poco: un gruppo di Cacciatori degli Appennini ha visto il fumo levarsi dal casone; di solito a quell'altezza i casolari sono vuoti d'inverno: quel fumo puzza di ribelli, gli alpini decidono di andare a vedere.
Gli alpini salgono lungo il pendio cauti, silenziosi: è necessario cogliere i partigiani di sorpresa e intorno il terreno è bianco di neve e scoperto; se i ribelli avessero una mitraglia pesante e sparassero sarebbero guai.
Bruno avvista gli alpini ed avverte: «Gapon, c'è la Monte Rosa!». I partigiani guardano la colonna che sale e comprendono che ormai è tardi per uscire: i fascisti sono troppo vicini e loro troppo stanchi, verrebbero colpiti agevolmente nella fuga allo scoperto. Non rimane che attendere, attendere cosa? Di essere assediati che hanno solo tre moschetti ed un mitra Mas francese, che tira solo a raffica ed a breve distanza?
Gapon ha un piano, disperato, ma il solo possibile: attendere, attendere che il nemico sia a pochi metri, che l'ufficiale in punta di piedi si avvicini ad una porta, allora Gapon si affaccia all'altra che è a fianco della prima e spara sul tenente, gli altri assieme tirano sul grosso. Il nemico è sorpreso, esita, i nostri tirano ancora, gli alpini ripiegano lasciando sul terreno il tenente e cinque morti, allora i partigiani escono e si danno alla fuga. Bruno viene ferito ad una gamba, Marat [Renzo Urbotti] cammina a stento. Allora Gapon decide di fermarsi da solo, tratterrà il nemico facendo fuoco col MAS, attirando su di sé i colpi degli alpini, darà forse agli altri la possibilità di salvarsi. Gapon ha pochi colpi, spara come può raffiche brevi, poi si ritira a balzi, inseguito dalle raffiche del nemico, fin quando un banco di nebbia provvidenziale lo mette al coperto.
Lo scontro di Cappella Soprana costò al nemico sei morti, a noi uno: Marat che non riuscì a superare i disagi della marcia e del clima, che con Bruno perse la strada e nella notte finì assiderato presso il passo di Cesio.
Nei giorni tra il 24 ed il 27 Pantera [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"], che era rimasto nascosto presso Casanova, riesce a raggiungere Osvaldo [Osvaldo Contestabile, commissario della stessa Divisione partigiana] a Segua [borgata del comune di Casanova Lerrone (SV)].
La situazione in Val Lerrone è sempre grave, pattuglioni nemici del presidio di Casanova percorrono la carrozzabile a tutte le ore, tuttavia la frazione di Segua, per la stessa vicinanza allo stradone, è trascurata dagli alpini che non sospettano che un Comando partigiano possa rimanere in una zona tanto esposta. Il Comando vi sosterebbe ancora se non gli fosse giunta una notizia di una gravità incalcolabile: a Casanova è stato catturato Pimpirinella, una staffetta che è al corrente della sede del Comando, anzi conosce la stessa ubicazione dei rifugi di Segua. Poco dopo si sparge la voce che, durante l'interrogatorio, Pimpirinella ha parlato.
Il nemico da Casanova può piombare a Segua in mezz'ora, non vi è quindi da esitare, il comando deve partire. Per dove? Si decide di andare a Ginestro: là c'è un gruppo numeroso del G. Garbagnati, la banda di Stalin; in caso di bisogno si potrà contare su uomini decisi e su armi discrete. Partono così Pantera, Osvaldo ed una staffetta, quello che rimaneva del Comando della Bonfante.
Il nemico invece di attaccare Segua aveva già come obiettivo Ginestro. Perché? Ci fu chi lo mise al corrente dello spostamento? Probabilmente no, forse la verità fu diversa da quanto avevamo supposto. E' probabile che Pimpirinella, interrogato dagli alpini su dove fosse il comando divisionale, abbia compreso che tenersi sulla negativa era rischiare la pelle o la tortura. Non volendo tradire e sapendo che era nella zona di Degna fece il nome di Ginestro. Perché proprio Ginestro? E' difficile dirlo, probabilmente perché il nemico aveva già visitato Vellego, Casanova, Degna, Poggiobottaro e Tèstico. A Poggiobottaro anzi era entrato più volte nella casa dove era il S.I.M. senza trovare traccia dei partigiani nascosti. Il nemico sapeva che il Comando era in Val Lerrone, aveva creduto che fosse ancora presso Marmoreo ed aveva battuto la zona a fondo. Non si poteva far quindi il nome di questi paesi perché il nemico non vi avrebbe creduto e sarebbe passato alle torture. Non rimaneva incontrollata che qualche frazione isolata come Segua e Ginestro; è probabile che il prigioniero abbia fatto questo nome per salvarsi e sviare le ricerche; per questo in seguito verrà da Pantera accusato di tradimento. L'accusa resterà però solo teorica perché Pimpirinella sparì e si disse che fosse deportato in Germania.
A Casanova quindi il 26 si sospettava che il Comando della Bonfante fosse a Ginestro: prevedendo una forte resistenza si decise di tentare il colpo in grande stile, non uno avrebbe dovuto sfuggire.
Ginestro è situato in una valletta laterale scavata da un ruscello che nasce sotto lo stradone Tèstico-Cesio e che finisce nel Lerrone. Due mulattiere provenienti da Degna e da Vellego scavalcano il Lerrone, si uniscono a fondovalle  presso la cappella dell'Ascensione, indi salgono nella valletta ripida e chiusa costeggiando il rivo sul lato occidentale. Il paese di Ginestro è situato in alto, verso la testata della valle, la massima parte sul versante occidentale verso Cesio, qualche casupola sul versante di fronte. Le due creste della piccola valle sono percorse da sentieri e mulattiere, i pendii sono a castagni, ulivi e rovi, molti rovi che rendono impraticabili le zone senza strade ed anche qualche sentiero come quello che dalla frazione orientale dovrebbe portare a Degna.
Questo il terreno, ottimo d'estate, mediocre d'inverno perché l'occultamento vi è difficile per la ristrettezza della zona e la scarsità di alberi a foglie perenni. Se si occupano in tempo le creste, la valle è difendibile. In caso di attacco di sorpresa ci si potrebbe ritirare su Poggiobottaro, Tèstico, Vellego e Degna, è però possibile essere anche attaccati simultaneamente da tutti questi punti ed allora la situazione può diventare disperata.
Due squadre del Garbagnati presidiano la frazione orientale, in quella principale ad occidente c'è una buona banda locale su cui si può contare, almeno per il servizio di guardia: sono giovani che non hanno risposto al bando italo-tedesco di Casanova e quindi condividono il nostro destino. Le sentinelle partigiane controllano la cresta orientale di Poggiobottaro e gli accessi da Tèstico, i borghesi la cresta verso Cesio e la mulattiera di fondovalle.
La mattina del 27 i borghesi danno l'allarme: colonne provenienti da Degna e Vellego risalgono la valle puntando verso il paese: sono Cacciatori degli Appennini, non si sa quanti siano ma è evidente la loro intenzione di rastrellare.
Appena dato l'allarme i partigiani impugnano le armi e puntano verso la cresta: se riescono ad arrivare in cima potranno dare una buona lezione ai rastrellatori perché con le mitraglie pesanti piazzate sulla cresta potranno battere agevolmente la strada di Ginestro. E' necessario salire rapidamente per non essere colti sul versante in fase di spostamento. Purtroppo è già tardi: come si temeva, il nemico non attacca solo da fondovalle. Mentre salgono, i garibaldini incontrano la pattuglia che era in cresta che scende: ci sono i tedeschi che da Tèstico salgono sull'altro versante. Sono già in cresta? E' probabile perché, quando la sentinella li ha avvistati, erano ormai vicini. La pattuglia ha preferito scendere ad avvisare piuttosto che dare l'allarme sparando per non rivelare la propria presenza. Questo ritardo ci è fatale: ormai i partigiani sono tra due fuochi: bloccati sul pendio da tre lati col nemico di fronte, di sopra e di fianco.
Riconquistare la cresta è difficilissimo perché dal versante di fronte gli alpini possono controllare i nostri movimenti e spararci addosso; sperare che il nemico non ci veda è impossibile, perché la manovra indica chiaramente che il rastrellamento è per noi. Non rimane che cercare di ripiegare verso Degna per il vecchio sentiero impraticabile, passando come si potrà. Se necessario si darà battaglia per aprirsi il varco.
La lotta si sviluppa violenta: il nemico piazzato tra gli ulivi e nel paese di fronte tira sui nostri con tutte le sue armi, i partigiani, occultati tra i roveti ed i cespugli, si spostano a tratti, a brevi balzi rapidi, verso il fianco libero, cercando di non esporsi ai colpi nemici. Le armi del Garbagnati rispondono ai colpi cercando di individuare le mitraglie più pericolose, di coprire la ritirata dei compagni.
I partigiani sono abituati a vedere la morte da vicino; pure poche volte una banda si trovò in una situazione così grave; erano necessari tutta l'esperienza, l'allenamento, il coraggio affinati in lunghi mesi di lotta per riuscire a sganciarsi. Nella ritirata si forma un gruppo composto da Osvaldo, Pantera, Formica, Pirata e Brescia: procedono a sbalzi fra i rovi fin quando vengono bloccati da un piccolo dirupo: quattro o cinque metri più sotto è la piazzola di una carbonaia battuta delle mitraglie nemiche, più in là il bosco. E' necessario saltare sotto il fuoco. Prima tenta Osvaldo: una raffica di colpi gli strappa la coperta dalle spalle e lo ferisce leggermente ad un piede, ma riesce a passare. Poi è la volta di Pirata, che era stato con la Matteotti: viene colpito ad un braccio e perde il fucile automatico. Poi è la volta di Pantera, Formica e Brescia: passano incolumi. Al margine del bosco Brescia si ferma, prende il mitragliatore che ha portato con sé e riprende a sparare sui fascisti che gridano ai partigiani di arrendersi. Per meglio sparare si alza in piedi, invano incitato da Pantera a venir via. Una raffica nemica lo colpisce alle braccia, un'altra gli crivella il ventre. Gli altri proseguono la ritirata al coperto del bosco. Cade Romano, che si diceva avesse preso parte a Roma all'attentato di Via Rasella. Chissà come era finito in settembre con i San Marco di base a Chiappa:  quando i partigiani si erano avvicinati al suo reparto aveva fatto arrendere i compagni evitando il combattimento. Mentre il «Garbagnati» ripiegava Romano si smarrì e scese a fondovalle assieme a Mimmo. Scontratisi con una pattuglia nemica vennero catturati entrambi. Poco dopo Mimmo tentò la fuga e, lasciando la giacca fra i rovi, riuscì a dileguarsi. Romano, fuggito anche lui, incontrò un'altra colonna e venne fulminato da una scarica. Sono perduti per il «Garbagnati» la mitraglia di Brescia ed il fucile di Pirata, le altre armi e parte del materiale vengono invece salvate. Il terreno è aspro ed impervio, in molti punti vere barriere di rovi vengono sfondate dai partigiani lanciatisi tra le spine per aprirsi un varco: nuovi sentieri vengono aperti nel sottobosco nella disperata fuga della banda sotto il fuoco nemico. Anche questa volta si riesce ad uscirne; a poco a poco la valle si allarga, i colpi si fanno più radi, i partigiani passano in Val Lerrone, quindi la banda si disperde.
Le perdite nemiche non furono accertate; qualche tempo dopo il corpo di un alpino fu trovato nella cappella dell'Ascensione: forse un ferito dissanguatosi che aveva cercato un inutile rifugio. Di altri caduti non avemmo notizia.
Il nemico incendiò a Ginestro la cappelletta che era stata la nostra base, saccheggiò a fondo Ginestro usando i metodi propri delle squadre comandate dal cap. Ferraris del quale alcuni dissero di aver riconosciuto la voce che intimava ai partigiani la resa, poi tornò da dove era partito: il colpo era andato in gran parte a vuoto.
Pantera ed Osvaldo ripiegarono su Degna, poi di là proseguirono per Ubaghetta. Osvaldo era malato, una febbre forte lo aveva colpito da qualche giorno e la sua marcia era difficile e lenta. Ad Ubaghetta il nemico si accorse dell'avvicinarsi dei nostri e li attese appostato con una mitraglia: avrebbe ripetuto il colpo già riuscito e che era costato la vita di Miscioscia. Quando i nostri erano ormai quasi a tiro incontrarono un civile che, in preda ad una violenta emozione, li avvertì che il nemico li aspettava. Così questa volta l'agguato andò a vuoto.
Lo scontro di Ginestro fu l'ultimo del rastrellamento: il 28 ed il 29 i nemici sgomberarono la Val Pennavaira, la Val Lerrone, la Valle di Stellanello. In Val d'Arroscia rimase solo un presidio a Ranzo.
Ancora una volta i partigiani possono riunirsi, contarsi, seppellire i loro morti, riannodare le file strappate.
Il bilancio del rastrellamento? Quale era stato intanto l'obiettivo nemico? L'annientamento del movimento partigiano?
L'inverno ci aveva obbligato a scendere in una zona militarmente infelice, senza possibilità di ritirata. Eravamo rimasti in pochi, male armati: se il nostro annientamento non fosse riuscito ora, non sarebbe riuscito mai più. Il rastrellamento invernale era stato la migliore e forse ultima occasione che aveva avuto il nemico.
I mezzi impiegati? Vari: l'attacco diretto contro le bande, il presidio dei paesi, il pattugliamento degli stradoni per impedire il raggruppamento degli sbandati, per aumentare le possibilità di catture fortite. Le minacce contro i civili dovevano impedire che i banditi trovassero appoggio, potessero mimetizzarsi tra i giovani dei paesi per poi tornare ad accrescere gli effettivi delle bande.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 156-160

29 gennaio 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione sull'andamento della Divisione e sulla dislocazione dei suoi reparti, rispetto ai quali segnalava lo spostamento del Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" nella zona di Aurigo e del Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" della menzionata Brigata in Val Pennavaira.
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione: "... Il 26 gennaio il commissario di Brigata [III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] 'Gapon' [Felice Scotto] veniva attaccato dai soldati della RSI, ma infliggeva loro la perdita di 6 uomini. I soldati repubblicani occupavano Alto, Nasino, Borgo Ranzo, Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta; il 21 gennaio occupavano altresì Casanova Lerrone, Marmoreo, Garlenda, Testico, San Damiano, Degna e Vellego. Il 22 gennaio il nemico abbandonava Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta. Il 27 gennaio le forze avversarie attaccavano una squadra la quale riportava la perdita di 2 garibaldini. Durante il rastrellamento il capo di Stato Maggiore della Divisione insieme ai comandanti 'Cimitero' [Bruno Schivo] e 'Meazza' [Pietro Maggio] con 2 Distaccamenti attaccavano in più punti il nemico infiggendo la perdita di 13 uomini e subendo l'uccisione di 1 solo partigiano".
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" a... allegato n° 24 circa le perdite subite nel mese di gennaio 1945: "... il 23 Germano Cardoletti; il 26 Ettore Talluri, Bruno Cavalli, Walter Del Carpio, Giuseppe Lobba, Oreste Medica, Ugo Moschi, Luciano Mantovani, Fausto Romano, tutti deceduti a Degolla e a Cappella Soprana Renzo Orbotti; il 27 a Ginestro Mario Longhi (Brescia) e Silvio Paloni (Romano)...".
2 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sui fatti di Ginestro e di Testico del 27 gennaio 1945, quando vennero attaccate 2 squadre del Distaccamento "Garbagnati" e rimasero uccisi "Brescia" [Mario Longhi] e "Romano" [Silvio Paloni].
3 febbraio 1945 - Dal commissario prefettizio di Albenga ai podestà di Ortovero, Villanova d'Albenga, Casanova Lerrone, Vendone, Nasino, Castelbianco, Castelvecchio, Zuccarello, Cisano sul Neva e Garlenda - Trasmetteva l'ordine della Feldgendarmerie di fare rientrare nella Brigata Nera di Albenga le giovani reclute che, appena arrivate all'arruolamento, si erano allontanate dalla caserma, perché passibili di fucilazione come "banditi".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

sabato 3 agosto 2024

Partendo da Capo Nero, il primo muro Todt lo troviamo nei pressi della storica "Pria Longa"

Sanremo (IM): Corso Imperatrice

E proprio nell'estate del 1943, anche nella città di Sanremo, la TODT, affiancata in molti casi dalle imprese italiane Paladino di Roma, Bertelè e Piazzoli di Milano, realizzava importanti opere difensive, un muro anti sbarco inframmezzato e guarnito da tutta una serie di postazioni mobili e permanenti, bunker poderosi usati sia come punti di osservazione che come piazzole per batterie costiere.
Il vallo anti sbarco sanremese era dislocato in tre punti precisi della battigia, per la precisione dove la presenza di spiagge consentiva ad eventuali mezzi da sbarco di entrare facilmente in città. Per questa semplice ragione tattica vennero trascurati tutti quei tratti di costa scoscesi, a strapiombo sul mare o separati da questo con muri particolarmente alti, come quelli ferroviari di Villa Helios, corso Imperatrice e la Brise.
Partendo da Capo Nero, il primo muro TODT lo troviamo nei pressi della storica "Pria Longa" (località già nota per il famoso sbarco delle truppe d'occupazione genovesi comandate dal Generale Agostino Pinelli nel giugno del 1753). Tale tratto di fortificazione, superato il rio Foce, si concludeva ad ovest del porticciuolo dell'Imperatrice con una postazione fissa antiaerea e costiera piazzata sul caposaldo più esposto a mare di quella che avrebbe dovuto divenire la dipendenza estiva della casa da gioco sanremese.
Da questo punto e sino al Mulino Bianchi, ex Casa del Fascio, costruito sull'argine destro del torrente San Romolo, i muri di contenimento del sedime ferroviario e del sovrastante Corso Imperatrice, erano di per sé più che sufficienti ad impedire qualsiasi atterraggio di mezzi da sbarco. Tuttavia, proprio di fronte ai giardini dell'Hotel Royal, a scanso di equivoci, era stata eretta una bella postazione per mitragliere, tuttora presente e mascherata da cespugli di pitosforo.
A partire dallo spiazzo antistante il Mulino Bianchi (Sporting Club), il vallo riprendeva la sua continuità verso levante, circondando, lungo la via Umberto (odierna Via Nino Bixio), il porto cittadino reso così del tutto separato e inaccessibile dal lato terra.
Questo secondo tratto, senza dubbio il più importante, terminava oltre i bagni Italia, sul confine con il Morgana, là dove inizia il contrafforte di contenimento a mare della passeggiata Trento & Trieste. A monte degli stabilimenti balneari del Morgana, l'intera via Fiume sino alla sua confluenza con il Rondò Francia, allora priva degli odierni palazzi, aveva tutti i giardini limitrofi minati.
Il terzo e ultimo tratto di muro della TODT riprendeva oltre il bar Sud-Est con un grosso bunker sul mare e, superata la foce del torrente San Martino, sempre intercalato da numerose postazioni campali, giungeva sino all'inizio della Brise, poco sotto il passaggio a livello di fronte al campo Polisvortivo. Al termine del tratto a mare della via alla Brise, sopra l'accesso della galleria ferroviaria in regione Vesca, era, ed è ancora presente, un massiccio bunker adibito ad osservatorio fisso e postazione difensiva costiera.
Queste le opere, facenti parte del Vallo Ligure, realizzate dall'impresa dello sfortunato ingegnere Fritz Todt nel Comune di Sanremo con maestranze locali, formate perlopiù da cittadini allettati da una paga sicura in tempi incerti e grami, ma anche da coloro i quali non volevano più combattere in prima linea una guerra che stava diventando tristemente fratricida.
Renato Tavanti, Sanremo. "Nido di vipere". Piccola cronaca di guerra. Volume primo, Atene Edizioni, 2005

Con i limitati mezzi a nostra disposizione iniziammo con Ciccio Corrado e Virgilio Oddo, nel maggio 1944, il montaggio di una radiotrasmittente someggiabile, da 75 W.
[...] «Alfa» domanda 24 ore di tempo per procurarsi la benzina ed intanto nasconde nel suo ufficio le cassette contenenti l’apparecchio. Il figlio di Millo, Luigino, interessa anche il Dr. Giampalmo della Todt che possiede una Topolino con tanto di O.T. Artz sul parabrise. Adesione e partenza il mattino successivo prestissimo: Luigino Millo, il Dr. Giampalmo, che l’accompagna, e la Topolino hanno la loro gatta da pelare. Quando si dice la fortuna! Fuori Sanremo due militari tedeschi della SS fermano la macchina: «noi andare Imperia…».Sospiro di sollievo dei nostri amici e scorta sicura per almeno venti chilometri con due angeli custodi che nel frattempo si erano sistemati alla meglio sulle cassette.
Ad Imperia una staffetta li attende e, come Dio vuole, filtrando attraverso quattro blocchi tedeschi, la macchina arriva a Tavole accolta da un «urrà» formidabile.
Mario Mascia, L’epopea dell’esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia

A metà ottobre 1944 avvenne a Sanremo la più grave deportazione in massa di civili della provincia.
I tedeschi, partiti con questo obiettivo da Savona, operarono diverse centinaia di controlli ai danni dei cittadini sanremesi.
Centinaia di persone furono avviate al centro di raccolta, costituito nell'attuale Piazza Eroi Sanremesi, circondata da SS armate di mitra e financo di mitragliatrici.
Dopo diverse ore di fermo un numero considerevole di abitanti venne rilasciato, mentre 150 uomini, quelli fisicamente più idonei, vennero fatti salire su camion per essere trasportati alle carceri di Marassi a Genova.
Genova fu una tappa intermedia.
La triste meta era per loro, due settimane dopo, il campo di concentramento di Bolzano.
Si legge in Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, ed. Amministrazione Provinciale di Imperia, Milanostampa, 1977: "a turno sono rapati e passati alla doccia... nell'ufficio materiale ricevono il distintivo: un triangolino di stoffa rossa ed una striscia con il numero di matricola".
Dopo un paio di mesi di vita irta di stenti e di sacrifici, i prigionieri catturati a Sanremo vennero utilizzati, quando le potenze dell'Asse erano ormai agonizzanti, come "liberi lavoratori" in organizzazioni similari alla Todt, di stanza in Alto Adige.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Il 16 ottobre 1944 tra 130 e 160 persone furono catturate durante un rastrellamento nel quartiere della Pigna di Sanremo e inviate al lavoro a Bolzano e nella rete dei suoi sottocampi, e tra il 15 e il 17 novembre altre 60 furono prese nel corso di un’azione antipartigiana nel quartiere collinare sanremese di S. Romolo. Altra manodopera fu prelevata nel corso di rastrellamenti in centri montani e della costa.
Redazione, Liguria, Tante braccia per il Reich

La colonna con i rimorchi dei «Molch» arrivò in città nella notte, destinazione la base che l’organizzazione Todt aveva realizzato a Ponente della città i cui resti (i bunker e le gallerie d’approdo) sono venuti alla luce pochi mesi fa nell’ambito della costruzione del nuovo albergo a Pian di Poma. Li avevano nascosti nella galleria del treno di Capo Nero, perchè non venissero colpiti in caso di bombardamenti o notati da eventuali voli di ricognizione alleati.
Giusto il tempo di renderli operativi, dotandoli ciascuno di due siluri, e da Berlino venne disposto l’attacco. Ma i «Molch», lentissimi e con grandi problemi di manovrabilità (non avevano la retromarcia), non ebbero successo. Incrociarono per circa 30 ore al largo di Mentone e di Villefranche prima di incappare nella squadra alleata che, soprattutto grazie al radar, individuò subito la loro presenza e ritenendo che si trattasse di normali sommergibili li ricoprì di decine e decine di bombe di profondità (che fecero esplodere anche alcuni siluri).
Giulio Gavino, Il fallimento delle “salamandre” di Hitler in missione dalla base segreta di Sanremo, Il Secolo XIX, 21 settembre 2018

Sergio Grignolio (Ghepeu), di Sanremo, lavora giovanissimo come fabbro. Di formazione comunista. Nel 1943 é richiamato alle armi. Dopo l'8 settembre é arrestato e lavora alla Todt per i Tedeschi. Il 1à maggio 1944 effettua un lancio di volantini in fabbrica e poi fugge in montagna. E' stato protagonista di azioni cruente e difficili.
Redazione, Fondo Memoria Orale, Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell’età contemporanea

22 Ottobre [1944]
La X Flottiglia Mas che era all'Albergo Splendido, dopo il bombardamento navale dell'altro giorno, dove l'albergo è stato quasi colpito, si è trasferita momentaneamente all'Albergo Astoria, in attesa di trovare altrove, poiché questa casa è già a disposizione della "Wermacht" e della "Todt".
[n.d.r.: dal diario di una ragazza rimasta ignota, figlia di albergatori di Sanremo]
Renato Tavanti, Sanremo. "Nido di vipere". Piccola cronaca di guerra. Volume terzo, Atene Edizioni, 2006

4 gennaio 1945
Risulta che la ditta Paladino è diventata un covo di autentici ribelli, renitenti, disertori e simili.
Certamente questi individui sono mimetizzati per il periodo invernale ed è più che certo che passato il periodo del freddo se ne torneranno ai monti in primavera e li avremo di nuovo di fronte.
Informare il comando tedesco.
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan, documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo

7 marzo 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 389/SIM,  alla Sezione SIM della V^ Brigata - Comunicava che 'Piero', responsabile del CLN di Ospedaletti, entrato nella ditta Paladino, si trovava in quel periodo a Taggia con una lettera di garanzia dello scrivente Comitato.
8 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della V^ Brigata, prot. n° 325, al Comando Operativo della I^ Zona ed alla Sezione SIM della II^ Divisione - Comunicava che nella zona di Taggia (IM) 22 operai della ditta Paladino stavano costruendo baracche, gallerie e trincee...
20 aprile 1945 - Da "Santamaria" al commissario "Orsini" - Informava che "sono arrivati presso lo scrivente 3 uomini, di cui 2 ex Bande Nere ed 1 ex lavoratore dell'organizzazione Paladino".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Francesco Paladino in RSI dirige l'Organizzazione Paladino (nel dopoguerra viene celebrato re degli imboscati). Nato a Scilla (RC) il 5 novembre 1890, muore a Sanremo (IM) il 16 ottobre 1974.
Redazione, Fondazione RSI

venerdì 19 luglio 2024

Quel giorno dovevano salire i Tedeschi in paese

Viozene, Frazione del Comune di Ormea (CN). Foto: Arbenganese. Fonte: Wikimedia

Nella notte dal 5/6 dicembre 1944 alcune donne, giunte da Ponte di Nava, recano la notizia che il giorno dopo i Tedeschi sarebbero saliti a Viozene [Frazione del Comune di Ormea (CN)] ed io fui informato di ciò.
Il mattino seguente, dopo aver celebrato la Santa Messa, uscito fuori della chiesa fui colpito da uno strano ed insolito silenzio che regnava in paese. Domandato il motivo mi fu risposto che quel giorno dovevano salire i Tedeschi in paese e che a quella notizia, portata a Viozene nella notte, quasi tutti i partigiani e la popolazione erano fuggiti prima che facesse giorno.
Avevo dormito nella vecchia canonica attigua alla chiesa, ma alla notizia mi recai nella nuova per dare l'allarme in caso vi si trovassero ancora delle persone. Trovai l'edificio aperto e vuoto mentre i pochi partigiani ammalati si erano già allontanati, lasciando tuttavia chiari segni della loro presenza in passato. Allora cercai di far sparire ogni traccia sospetta, specialmente nel salone del primo piano adibito ad infermeria, quindi ritornai in chiesa in attesa di eventi.
Nel primo mattino, mentre le persone rimaste stavano chiuse in casa, un gruppo di partigiani di stanza in Pian Rosso, tra cui un certo Gian Luigi Martini di Diano Marina ed un certo Ramoino di Cesio, forse ignari dell'allarme della notte precedente, scesero in paese in cerca di viveri. La popolazione diede loro tutto il necessario purchè si allontanassero subito, dato il pericolo incombente; così non tardarono a riprendere la via di Pian Rosso, quantunque considerassero con scetticismo la paura dei Viozenesi. Appena giunsero in località Baraccone, ove ha inizio il sentiero che sale a Pian Rosso, dalla Costa del Pagano, di fianco a Viozene, dalle fasce allora coltivate, all’altezza della Borgata Toria, incominciò un infernale fuoco di mitragliatrici e di altre armi da fuoco tedesche.
I Tedeschi (come dopo si seppe) dalle prime ore del mattino si erano appostati in quel posto da cui si poteva avere sott’occhio tutta Viozene e la zona circostante. Ai primi colpi sparati, il Martino sopraddetto incominciò a zoppicare: era stato colpito da una pallottola ai piedi e si diresse, camminando come poteva, verso la Borgata Mussi, preceduto da un suo compagno di Genova.
Il Ramorino, con altri compagni, si precipitò a valle verso il Negrone e con quanti erano con lui riuscì a mettersi in salvo nella zona di Pian Cavallo. Il Martino ed il suo compagno, mentre stavano fuggendo verso la Borgata Mussi, si imbatterono in una formazione di Tedeschi appostati nei pressi di detta Borgata.
La zona di Viozene, con un piano ben premeditato, era stata chiusa, fin dalle prime ore, in una ferrea morsa da Tedeschi provenienti da Ponti di Nava e da Upega. I due furono immediatamente fucilati sul posto: il compagno del Martino (di cui lo scrivente non ha potuto conoscere il nome) sul sentiero che da Viozene porta ai Mussi, proprio nel punto in cui il ruscello attraversa detto sentiero; il Martino che seguiva a distanza, essendo ferito ai piedi, un po’ più avanti verso Viozene, al di sopra dello stesso sentiero. Una croce di legno fu posta per entrambi sul luogo ove furono fucilati.
Per tutta la giornata continuarono gli spari e le raffiche tedesche in tutte le direzioni, tra il terrore della popolazione rimasta in paese, chiusa nelle loro case, in attesa di qualche tragico destino. Verso sera i Tedeschi, muovendo dai Mussi e da Toria, si riunirono in Viozene.
Il Parroco sottoscritto, subito ricercato, fu appoggiato al muro della Chiesa per essere fucilato. Gli scarponi militari ed altri indumenti, avuti in cambio da soldati italiani di passaggio, che gli trovarono addosso, dopo avergli aperto la talare, furono sufficienti cause della sua condanna. Mentre già il gruppo di soldati Tedeschi stava estraendo le pistole, uno scoppio fortissimo, a brevissima distanza, li mise nello scompiglio e li fece momentaneamente fuggire in cerca di un rifugio. Il sottoscritto approfittò di questo momento di confusione per fuggire anche lui e andò a nascondersi in un oscuro angolo in fondo alla Chiesa. Ricercato poco dopo, non fu ritrovato dai Tedeschi, i quali dalla Chiesa entrarono nella Sacrestia e di qui nella vicina Canonica mettendo a soqquadro e distruggendo ogni cosa.
Tutti gli uomini trovati in paese furono, a forza, fatti uscire dalle loro case e condotti, tutti insieme, in un prato nel centro dell’abitato (nel luogo ove fu costruita la casa del Sig. Dulbecco) davanti ad un nido di mitragliatrici; intanto la soldataglia, entrata nelle case, faceva man bassa di quanto trovava e rubava il poco bestiame della popolazione. Fatto bottino di quanto ancora trovarono in Paese, i Tedeschi presero la via di Ponti di Nava.
Si seppe poi anche che essi al mattino, salendo a Viozene, avevano ucciso un innocente individuo, residente in una Borgata di Ormea, il quale stava scendendo verso Ponti di Nava e di cui il sottoscritto non sa il nome. Fu ucciso dai Tedeschi a Rio Bianco ed ivi rimase seppellito (nella nuda terra) fino al termine della guerra.
La giornata si chiuse tra il terrore della popolazione, privata di tutto il bestiame che ancora le era rimasto e nella pesante incertezza sulla sorte di quanti erano fuggiti.
Per fortuna in quella triste giornata Viozene non ebbe a subire perdite tra la popolazione.
I fuggiti di casa, specialmente i giovani, rimasero tutto il giorno nascosti nei cespugli, nelle caverne e negli anfratti di Pian Cavallo e del Mongioie, donde potevano seguire le mosse dei Tedeschi. Questi, però, due giorni dopo, l’8 dicembre, fecero ritorno a Viozene e vi rimasero fino alla fine del mese. Imposero il coprifuoco nelle ore notturne ed entravano sovente nelle case private ordinando da mangiare ed imponendo che fosse loro preparato ciò che da essi veniva stabilito.
In quei giorni venne devastata la Canonica di Viozene (Villa Bottaro), quella che era stata adibita ad ospedale. I Tedeschi la resero inabitabile, rompendo finestre, porte, mobili, portando via coperte, biancheria ed altri oggetti.
Non soltanto in quel periodo i Tedeschi rimasero in Viozene, ma giorno e notte mantennero, fino a quando se ne andarono, un rigoroso controllo dei valichi delle Saline e del Bocchin dell’Aseo. In quel tempo essi avevano lanciato un forte attacco contro i Partigiani delle Valli Ellero e Corsaglia. Molti cercavano di porsi in salvo verso Viozene attraverso i valichi sopraddetti ed inconsciamente venivano a cadere nelle mani dei Tedeschi che, legati con delle corde, a piccoli gruppi, li conducevano a Viozene e di lì ai forti di Nava, ove venivano fucilati. Questa fu la sorte di tanti giovani di cui le famiglie ignorarono per sempre il luogo ed il genere di morte che ebbero a subire.
Verso la fine di dicembre tutti i Tedeschi ritornarono a Ponti di Nava. La popolazione derubata dai Tedeschi del bestiame e degli scarsi prodotti agricoli (avena, grano, patate) si dibatteva nella penuria, sempre più carente di viveri; unico sostentamento erano le patate.
Don Paolo Regis, Diari, A Vaštéra, Anno XXII - Primavera - Estate 2012