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martedì 5 novembre 2024

Hanno preso Aldo, il capo della Stella Rossa

Mondovì (CN). Fonte: mapio.net

Arnera, capo di Stato Maggiore della I^ Brigata "Silvano Belgrano", a quel tempo ancora incorporata nella II^ Divisione "Felice Cascione", venne arrestato in Val Tanaro il 18 dicembre 1944 a seguito di un'involontaria delazione e fu fucilato a Mondovì (CN) il 27 dicembre 1944. A lui venne intitolata la IV^ Brigata della nuova Divisione "Silvio Bonfante".
Si presero contatti anche con le formazioni autonome di "Mauri".
Rocco Fava, La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste,  Anno Accademico 1998-1999

Domenico Arnera, nato a Savona il 25 aprile 1917, aiuto disegnatore, già sottufficiale di marina. Come molti savonesi di Villapiana, quartiere dove abita, aderisce al movimento della Resistenza. Agli inizi di luglio 1944 è tra gli organizzatori delle formazioni garibaldine liguri in Val Tanaro, comandante del Distaccamento "Bellina", dislocato a Fontane di Frabosa Soprana: è attivissimo nella raccolta di derrate alimentari, coperte ed abiti per i distaccamenti. A fine ottobre è Capo di Stato Maggiore della Brigata "Belgrano" della Divisione Garibaldi "Felice Cascione". È arrestato in Val Corsaglia il 18 dicembre 1944, a seguito di una involontaria delazione di un abitante del luogo che, vedendolo passare scortato da un tedesco armato, pare abbia commentato: "Hanno preso Aldo, il capo della Stella Rossa". In realtà Arnera, in compagnia di Fred Sutterline (disertore tedesco ancora in divisa, appena arruolatosi con i partigiani) è in viaggio verso l'ospedale di Mondovì per ricevere cure appropriate e debellare un'infezione. È condotto a Corsaglia, quindi a Mondovì Piazza e rinchiuso nelle carceri della Caserma Galliano. I tentativi dei comandi partigiani per uno scambio di prigionieri non danno l'esito sperato; Aldo viene fucilato il 27 dicembre 1944.
Decorato alla memoria di medaglia di bronzo al valor militare: "Durante un forte rastrellamento da parte del nemico, incurante del pericolo, sotto l'imperversare di un'intensa azione di fuoco, provvedeva ad occultare un ingente quantitativo di viveri evitando che cadesse in mani nemiche. Sebbene ferito, rimaneva ancora per cinque giorni al suo posto di lotta, finché sfinito di forze, veniva fatto prigioniero; sottoposto a torture e sevizie le sopportava fieramente destando l'ammirazione dello stesso avversario. Affrontava serenamente la morte senza svelare alcuna notizia". Val Corsaglia-Mondovì, 10-27 dicembre '44
Redazione, Arrivano i Partigiani - inserto 2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona, I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011

Prima di proseguire con la storia di Elia accenno alla fine drammatica del suo carissimo compagno ed ex comandante "Aldo" Domenico Arnera. Di questa morte Elia ne sarà edotto quando a sua volta sarà arrestato e giungerà nella medesima stanza di reclusione. Ecco gli avvenimenti.
Il grande rastrellamento delle forze nazi fasciste iniziato il 7 dicembre 1944 ha portato alla morte molti partigiani dell'intendenza garibaldina ligure comandata dal tenente "Aldo". Sono stati fucilati: De Grossi, Regis, Grondona, Pastorelli, altri sono dispersi o sono in arresto. Il 17.12.1944 Domenico Arnera è affetto da un'infezione alla mano causata da una ferita prodotta dalla ventola di una macchina o da una catena della moto (l'incidente non è chiaro): si è ferito mentre la stava riparando. L'alta febbre gli pervade tutto il corpo, nonostante le cure prestate dal dottore partigiano Severino Travaglio, nato a Mondovì (CN) il 18.12.1918, con i medicinali di fortuna allora disponibili.
"Aldo" decide a questo punto di farsi ricoverare nell'ospedale di Mondovì. In tasca ha un permesso tedesco ed è accompagnato da un disertore tedesco ancora in divisa, Fred Sutterline, un alsaziano di Moulhouse, recentemente arruolato tra i partigiani (sequestrato a Mondovì - vedi lettera precedente di "Aldo").
"Aldo" ha passato la notte a Corsaglia nell'albergo Europa e si avvia verso l'ospedale di buon'ora. <31 Passa davanti alla trattoria di Corsagliola dove vi sono seduti il calzolaio Giovanni Viglietti, il panettiere Giovanni Prucca ed il suo garzone Volpe. Seduto ad un altro tavolo c'è il maresciallo degli Alpini del Cadore M. Massa. Scorgono il passaggio di "Aldo" accompagnato dal disertore tedesco armato ed il commento che echeggia dalla bocca del calzolaio è: "Hanno arrestato Aldo, il capo delle Stelle Rosse". Il maresciallo repubblichino intuisce, si precipita fuori dalla trattoria, li rincorre e li arresta.
Questa delazione forse involontaria o superficiale procura in seguito un processo partigiano al calzolaio Giovanni Viglietti che, nonostante i buoni rapporti di collaborazione con le forze resistenti, vede svolgersi un'accurata indagine sul fatto da parte garibaldina, effettuata dai comandante "Lello" Raffaello Nante, di Nicola, nato ad Imperia il 07.10.1924, valoroso capo partigiano sottoposto di "Fra Diavolo". <32 "Lello" ha aderito al movimento ribelle assieme al fratello "Libero", Libero Nante, nato a Imperia il 30.lO.1920, allora studente universitario in medicina, e alla sorella Angela Nante, nata nel 1929.
Il Viglietti è convocato a Fontane [Frazione di Frabosa Soprana (CN)] per il processo, viene accompagnato dal partigiano Francesco Bellotto, "Valleggia", nato a Teolo (PD) il 05.07.1925, ma Quilianese di adozione. <33  Dall'interrogatorio delle persone presenti e dal Viglietti stesso emergono delle dichiarazioni un po' discordi, forse un po' reticenti, ma "Lello" lo tratta con umanità, senza il rigore del tempo. Altri partigiani del Gruppo del Cap. Cosa testimoniano a favore del Viglietti: tra essi figurano il famoso gruppetto di Sardi, Giovanni Salis, Mauro Pisano, Agostino Schirra, Raffaele Mannai e i monregalesi Claudio Manfredi e Piero Basso. <34 E' fuor di dubbio che Arnera conoscesse il calzolaio con cui ha intrattenuto rapporti per l'acquisto di scarponi: l'esclamazione incriminata forse è dovuta alla sorpresa del passaggio. Dopo aver redatto diligentemente le dichiarazioni degli interrogati, la sentenza conclude il processo non toccando la vita ma solo il portafoglio. Sono ben duecentomila lire di multa comminate e regolarmente pagate dal Viglietti, come attesta la ricevuta (rintracciata nell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia) controfirmata da Germano Tronville. E' una cifra notevole ma commisurata all'alto grado che rivestiva il ten. "Aldo". <35
Torno all'arresto di Arnera:
Domenico è condotto a Corsaglia, quindi a Mondovì Piazza e rinchiuso nelle carceri della Caserma Galliano; da una sua lettera fatta uscire fortunosamente dalla prigione dalla staffetta "Iuccia/Sonia", Rustichelli Martini Maria, nata a
Moline di Vicoforte Mondovi (CN) 10.11.1900, e "Matilde", Cuniberti Martini Margherita, nata a Vicoforte Mondovì (CN) 03.08.1903, ci ricorda la sua triste condizione di prigioniero "carico di pidocchi" e la drammaticità della sua detenzione. Spera di uscire vivo da quell'inferno ventilando uno scambio tra prigionieri partigiani/fascisti. Purtroppo per il tenente "Aldo" l'agognata libertà sarà solo un sogno: c'è la fretta di un nuovo bagno di sangue nel comando tedesco di Mondovì, dopo quello del 18.12.1944, dove sono stati giustiziati Domenico Penazzo, Giovanni Scotto, Giuseppe Regis "Placido", suo inseparabile compagno di banda, savonese di adozione, e Giovanni Audisio, una guardia campestre che, prigioniera dei partigiani, è arrestata nel rastrellamento dai tedeschi e accusata di essere un partigiano. Non viene creduta la sua fede fascista e deve soccombere al pari degli altri partigiani.
Ecco il testo della lettera di "Aldo" <36:
"all'interrogatorio ho detto di essere venuto nei partigiani il 12 Agosto circa, perché convinto dalla propaganda per la paura di essere portato sul fronte a combattere. Ho riferito che facevo soltanto il servizio di rifornimenti viveri, vestiario, ecc. Ho detto che mi ha accompagnato un tizio che non conosco verso i partigiani e sono sempre stato in magazzino. Le località in cui io sono stato sono: Ponti di Nava, Piaggia, Viozene, Fontane. Se è possibile comunicare al Curto della mia prigionia e far sì di avere un cambio, quindi se prendono dei prigionieri tenerli per me, oppure rivolgersi anche ad altre formazioni del Piemonte ed in caso prendano qualcuno tenerlo per il cambio con me. Io non ho parlato. Ho detto che a Mondovì ed in altre zone io non ho nessun collegamento. Mi occorre: sigarette, fazzoletto e quello che si può perché sono pieno di pidocchi. Saluti fraterni a tutti, Aldo".
Dopo circa dieci giorni dal suo arresto, mercoledì 27.12.1944, per il tenente e i suoi compagni di sventura, Luigi Borini, Francesco Leonardi, Alberto Tallone, RoccoVerdone è l'ultimo giorno di vita. Si salva una donna, "Mitzi", madre di quattro figlie, con il marito in guerra (così dice lei): condannata a morte e detenuta con gli uomini (cosa alquanto strana), è graziata e rilasciata all'ultimo minuto.
Viene comunicata l'esecuzione: di lì a poco tempo arriva il prete Don Vincenzo Sclavo, che raccoglie le ultime volontà dei condannati, i pochi oggetti personali da far pervenire ai famigliari ed amici <37. Dopo un sentimento di ribellione ad una morte così crudele che attanaglia tutti i reclusi, subentra la rassegnazione. Francesco Leonardi ha sperato fino all'ultimo nello scambio: dal mese di novembre c'è in piedi una trattativa, il suo nome compare in un documento tedesco (ne parlerò in seguito) con una lunga serie di persone.
Il 07.12.1944 sono ceduti 31 tedeschi catturati a Pogliola (CN) e liberati 90 ostaggi delle Nuove a Torino ma per lui nulla, nessuna liberazione, una crudeltà. "Mitzi", dopo aver salutato e baciato i condannati, sviene. Forse si è affezionata durante la prigionia a questi compagni, non regge vederli andare incontro alla morte. Borini, il più giovane, recrimina su questa sorte; solo un prigioniero già ferito e claudicante nella via Vasco che li porta alla fucilazione, si lamenta penosamente preso dallo sconforto. Gli altri condannati con le mani legate dietro la schiena ma con coraggio affrontano il plotone di esecuzione e i ghigni dei giustizieri comandati da un maggiore che non li fa fucilare tutti assieme, ma per incutere ancora più dolore e paura li uccide uno per volta. Arnera è il terzo, il suo ultimo pensiero per l'amata Minnie si ferma tra gli schizzi di sangue prodotti dalle raffiche dei mitra. Poi i corpi sono portati al cimitero con l'ausilio del comune che fornisce le casse di legno e l'opera pietosa di alcune donne del soccorso.
Il tenente "Aldo" è decorato con medaglia di bronzo.
Un'ultima annotazione da tenere a mente: "Aldo" muore due giorni prima dell'arresto di Elia Sola, che sarà imprigionato a sua volta nello stesso stanzone e con i medesimi compagni reclusi con "Aldo".
[NOTE]
32 Verbale all'Isrecim
33 Testimonianza orale di Francesco Bellotto
34 Verbale all'Isrecim
35 Documento originale in Isrecim
36 Lettera inviata ad Alfonso = Aldo Peirone, Isrecim
37 Diario scritto di Don Vincenzo Sclavo a Niella Tanaro

Ferruccio Iebole, Partigiani, Martiri Liguri, Piemontesi e Cacciatori degli Appennini, Edizione AeC - Mondovì, 2005, pp. 47-50 

giovedì 10 ottobre 2024

In provincia di Imperia ci fu la più alta percentuale di vittime di tutta l'Italia del Nord durante l'occupazione tedesca

Copia della prima pagina di un documento di denuncia a carico della "Donna Velata". Ricerca di Paolo Bianchi. Fonte: Archivio di Stato - Genova.

Nell'Imperiese la lotta resistenziale al nazifascismo si sviluppò intensamente e assunse un'asprezza inaudita. Lo confermano questi numeri: 582 partigiani, patrioti e renitenti alla leva caduti in battaglia o fucilati: 524 civili uccisi durante le rappresaglie nazifasciste o nei campi di stenninio: una trentina di partigiani deceduti dopo la guerra in seguito a gravi ferite; 22 stranieri di nazionalità diverse, disertori della Wehrmacht, uccisi in battaglia o fucilati dai nazifascisti.
Sicuramente fu la più alta percentuale di vittime - rispetto agli abitanti - di tutta l'Italia del Nord durante l'occupazione tedesca. Altro triste primato riguarda un numero consistente di partigiani che si sono suicidati piuttosto di cadere nelle mani dei fascisti locali.
Le cause di queste numerose perdite, a mio avviso, sono da attribuirsi ai seguenti motivi:
- la maggior parte delle località imperiesi, dove i partigiani risiedevano, erano arroccate: quando venivano attaccate e circondate dai nazifascisti, i partigiani avevano poche vie di fuga; quasi sempre combattevano sino alla morte. Ad esempio nel massiccio rastrellamento del gennaio '45 un centinaio di partigiani cadde in battaglia e chi si salvò dovette sconfinare tra mille difficoltà, a causa del freddo e della neve, in Piemonte;
- tutte le formazioni partigiane nell'Imperiese erano garibaldine: chi cadeva nelle mani del nemico difficilmente ne usciva vivo; la stessa cosa succedeva ai nazifascisti; raramente si effettuavano scambi di prigionieri;
- la provincia di Imperia, essendo sul confine francese, era considerata una zona strategica. Gli sbarchi alleati avvenuti in Normandia e in Provenza (nell'estate del '44) avevano fatto concentrare in quelle zone numerosissime truppe tedesche.
- le spie fasciste erano ovunque: la più famosa fu Maria Concetta Zucco, chiamata "La Donna Velata" o "La Francese", la quale venne infiltrata per qualche mese nelle fila della Resistenza e quando ritornò dai fascisti fece arrestare un centinaio di patrioti e loro fiancheggiatori, 33 vennero fucilati mentre gli altri furono deportati in Germania;
- operava in provincia di Imperia una formazione fascista della GNR di Ordine Pubblico (O.P.). con 152 militi, al comando del capitano Giovanni Ferraris: essi diedero una spietata caccia ai renitenti alla leva, ai partigiani e ai civili e davano loro protezione. Per la loro ferocia, questa formazione venne denominata con disprezzo dai partigiani imperiesi. la "Banda Ferraris".
Finita la guerra il capitano Giovannni Ferraris e diversi suoi militi - il 22 dicembre del 1947 - vennero condannati a morte dal Tribunale di Cuneo come criminali di guerra (in seguito furono tutti amnistiati). Dalle testimonianze al processo si venne a sapere che 137 partigiani e civili della provincia di Imperia, Savona e Cuneo, presi prigionieri, vennero fucilati o impiccati dopo atroci sevizie e altrettanti partigiani furono uccisi in battaglia durante i rastrellamenti.
Alla Provincia di Imperia venne conferita la Medaglia d'oro al valor militare.
Fulvio Sasso, ... E il sangue dei vincitori. Rappresaglie e stragi nazifasciste in Italia (1943-'45), L. Editrice, 2010, pp. 82,83

sabato 28 settembre 2024

Ai primi di dicembre 1944 i partigiani imperiesi si riorganizzarono

Marmoreo, frazione di Casanova Lerrone (SV). Fonte: mapcarta.com

Il giorno dopo [30 novembre 1944], verso sera, lasciammo Casanova diretti a Marmoreo [n.d.r.: frazione del comune di Casanova Lerrone (SV)]: Sandro, il dattilografo, aveva trovato una casa tra gli ulivi a qualche chilometro dal paese, forse sarà adatta per noi. Mentre seguivamo il mulo con i materassi, pareva che lassù non vi fosse fieno, una voce mi chiamò tra gli alberi. Mi voltai e vidi un giovane con la vanga: «Livorno, come mai sei qui?» gli chiesi. Mi fermai con lui per qualche minuto. Livorno, un ex San Marco, ai tempi di Piaggia era conducente di muli. Quando il clima era peggiorato mi aveva chiesto più volte come avrebbe potuto raggiungere la Toscana per passare le linee. Lo avevo consigliato di accompagnare Citrato che andava periodicamente di staffetta alla Divisione di Savona. Di banda in banda avrebbe potuto arrivare fino a La Spezia e forse più oltre, ma il coraggio del primo passo gli era mancato. Nello sbandamento di Piaggia era scomparso. Ora lo rivedevo contadino a Casanova: era riuscito a salvarsi ed ora lavorava da una famiglia che lo nutriva e gli aveva fornito un vestito borghese. Non lo vedrò più nè saprò nulla di certo di lui. Qualche tempo dopo il Comando denuncerà il tradimento di un partigiano di nome Livorno.
Dopo qualche giorno di permanenza nelia nuova base presso Marmoreo il Comando si accorse di non aver raggiunto la sicurezza cercata. Per la necessità di rifornirsi di viveri al vicino distaccamento di Domatore [Domenico Trincheri], per l'atteggiamento di Mancen [Massimo Gismondi] che conduceva in sede partigiani in ogni occasione, fu in breve noto a partigiani e borghesi che il Comando Brigata era nei dintorni di Marmoreo.
Trovare una nuova sistemazione non era semplice, sperammo così che la voce si diffondesse con una certa lentezza, che il nemico non ne venisse presto informato. Continuammo a lavorare nella stessa sede, solo verso l'alba, l'ora più pericolosa, vedevo che spesso Gigi si svegliava ed usciva: tra noi ed il nemico non c'era nessuna banda né alcuna sentinella. Gigi che, più anziano, aveva il sonno più leggero di noi e forse anche più giudizio, montava spontaneamente la guardia per i compagni che dormivano.
La nuova situazione venne esaminata a fondo da Giorgio, vicecomandante della Cascione, che giunse a Casanova in quei giorni portando la circolare 23 del 24 novembre [n.d.r.: a quella data la I^ Zona Operativa Liguria coincideva ancora con la menzionata Divisione "Felice Cascione", ma la I^ Brigata "Silvano Belgrano", alla quale appartenevano molti dei partigiani qui citati dall'autore, Gino Glorio "Magnesia", di questo diario - ed egli stesso, va da sé - si sarebbe trasformata il 19 dicembre 1944 nella Divisione "Silvio Bonfante" con comandante Giorgio, Giorgio Olivero]. Le disposizioni dei Comandi superiori erano precise: la meta non era più l'occupazione imminente della costa, con l'appoggio degli alleati avanzanti, bensì la sopravvivenza come movimento organizzato. Non più quindi aumentare il numero, l'armamento, la coesione dei reparti, ma conservare fino alla primavera un minimo di effettivi, di armni, di quadri intorno a cui ricostruire rapidamente le bande onde esser pronti quando, tornato il buon tempo, i giovani sarebbero riaccorsi sui monti. Era necessario superare i rastrellamenti, i disagi, resistere alla stanchezza, alla demoralizzazione. Era urgente adottare una nuova tattica, l'esperienza del passato inverno era stata tragica: le bande badogliane che avevano mantenuto fino a marzo l'organizzazione autunnale erano state disfatte: solo adottando nuovi metodi di guerriglia potevamo sperare di salvarci.
Il Comando doveva limitare ulteriormente gli effettivi e suddividersi in gruppi. Un gruppo: comandante e vicecomandante, commissario e vicecommissario doveva stabilirsi in una sede segreta appoggiandosi ad una famiglia sicura. Venivano eliminati cuoco e dattilografo. Due componenti del comando a turno avrebbero dovuto restare in sede, gli altri due avrebbero ispezionato i distaccamenti. In caso di rastrellamento ci si sarebbe uniti alla banda più vicina o ci si sarebbe organizzati in precedenza scavando un rifugio sotterraneo.
Altro gruppo sarebbe stato il S.I.M. [Servizio Informazioni Militare], che avrebbe dovuto spingersi il più possibile verso la costa. I due gruppi sarebbero stati collegali fra loro e con le bande per mezzo del recapito staffetta. L'amministratore [n.d.r.: nel caso della Brigata "Belgrano" l'autore del diario, Gino Glorio "Magnesia"] sarebbe stato autonomo girando per i pagamenti per i paesi ed i distaccamenti, e fissando la sua base dove gli sarebbe parso meglio l'arrivo dei fondi e i contatti col C.L.N. sarebbero stati curali dal S.I.M.
Disposizioni analoghe erano state adottate dal Comando divisionale e dal comando zona, si riteneva quindi che fossero possibili.
Per quanto riguardava le bande era necessario ridurre gli effettivi. Tutti coloro che per la stanchezza e la demoralizzazione erano ormai un elemento disgregatore per le bande venissero pure congedati; era però opportuno non perdere definitivameme i contatti con questi elementi. Le disposizioni del Comando ci parvero poco chiare su questo punto. Si parlava di costituire squadre di riserva agli ordini di un comandante di valle, persona di valore, posata, già facente parte del movimento. Il garibaldino che lasciava la banda avrebbe consegnato l'arma al comandante di valle che ne avrebbe curato la custodia, indi avrebbe potuto tornare al proprio paese o impiegarsi presso qualche famiglia locale per il raccolto delle olive.
I commissari avrebbero dovuto mettersi in contatto con le giunte comunali, che si andavano organizzando, per sapere quanta mano d'opera avrebbe potuto assorbire ogni paese. Lo scopo di tutto ciò era che i partigiani che chiedevano il congedo non si sentissero abbandonati alla loro sorte e si trattenessero nella zona da noi controllata. In caso di bisogno un capobanda in transito avrebbe potuto rivolgersi al comandante di valle per ottenere la collaborazione degli ex partigiani presenti per un servizio di guardia o un appoggio armato. Per essere in grado di appoggiare i compagni che continuavano la lotta armata il garibaldino delle squadre di riserva, con l'eventuale collaborazione delle S.A.P. locali, avrebbe dovuto scavare un rifugio per sè e per i compagni delle bande armate, impratichirsi dei sentieri e del terreno onde poter guidare in caso di bisogno i compagni in missione.
Per coloro che restavano nelle bande a continuare la lotta armata era necessario ad ogni costo rialzare il tenore di vita, fornire vitto abbondante, vestiario e tabacco. Le bande armate avrebbero avuto il distintivo di reparti d'assalto mentre, per quelli passati alla riserva, i mesi di licenza sarebbero stati calcolati come mesi di appartenenza al movimento. Come si vede il progetto era ben studiato e la collaborazione dei partigiani di riserva nei paesi avrebbe potuto riuscirci preziosa come lo era stato l'appoggio che ci avevano fornito a Carnino Rico e gli altri ex partigiani di Umberto quando avevamo recuperato i feriti da Upega.
Se un difetto si può trovare a questo progetto era che difficilmente sarebbe stato possibile applicarlo integralmente. Vi sarebbe stata una inevitabile dispersione di coloro che lasciavano le bande armate e l'autonomia riacquistata li avrebbe portati a subire influenze diverse e maggiori dell'autorità del comandante di valle. La maggior parte dei congedati sarebbe stata inevitabilmente sottratta all'ambiente partigiano. Era poi necessario un tempo abbastanza lungo per prendere contatto con le giunte, scegliere i comandanti di valle, scavare i rifugi, provvedimenti che, quasi tutti, avrebbero dovuto precedere il congedo degli uomini.
In base alle notizie recate da Giorgio questo tempo pareva mancare: il concentramento di sempre nuove forze nemiche faceva prevedere l'inizio di un nuovo rastrellamento prima di Natale.
Dopo il rastrellamento, che avrebbe coinvlto tutta la nostra zona, il nemico avrebbe tentato di riaprire al traffico la Albenga-Pieve interrotta da noi in più di nove punti. I tedeschi avrebbero posto presidi in quasi tutti i paesi per requisire tutto il raccolto dell'olio, poiché la Liguria era ormai l'ultima regione occupata dalla Germania che producesse olio d'oliva.
Per evitare che il nemico conoscesse le nostre basi avremmo dovuto attaccarlo solo a distanza da esse ed occultarci evitando la lotta, se colonne nemiche fossero passate a breve distanza dalle nostre sedi. Nei giorni immediatamente prima del rastrellamento tutte le azioni avrebbero dovuto esser sospese.
C'era il pericolo che tali misure, interpretate oltre il loro significato letterale, inducessero ad astenersi comunque dalla lotta con conseguenze morali imprevedibili.
All'inizio del rastrellainento era previsto un ripiegamento generale oltre la carrozzabile Albenga-Garessio nel territorio della divisione di Savona.
Sarebbe stata una manovra molto difficile perché tutte le carrozzabili erano perpendicolari alla direzione di marcia, pure tornare oltre il Mongioie non sarebbe staro possibile per la neve ormai alta, né ritornare nella zona di Piaggia priva di risorse alimentari.
Era necessario che la riduzione degli effettivi e l'applicazione della organizzazione invernale precedessero l'attacco nemico.
Appena partito Giorgio, le conseguenze delle nuove disposizioni furono chiare quasi subito. Mancen rifiutò in pratica di adottare la tattica cospirativa e comparve al Comando solo saltuariamente; non c'era quindi la possibilità di alternarsi. Il S.I.M. si trasferì a Poggio, a fondo valle sotto Casanova, sottraendosi così alla diretta influenza del comando. Abbandonati a loro stessi, i vari uffici, invece di riorganizzarsi, entrarono in una specie di letargo. Appena giunta la circolare i capibanda invitarono chi voleva ad andarsene immnediatamente.
A metà dicembre, giunse un contrordine: un supplemento alla circolare 23, ma in parte era tardi.
La circolare nuova rettificava ed in gran parte modificava radicalmente le disposizioni precedenti. Dallo stile e dallo spirito che l'animava era chiaramente opera di Simon.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 62-65

lunedì 19 agosto 2024

Il 24 maggio 1944, in seguito a delazione, è prelevato da casa con una scusa di lavoro, incarcerato prima a Oneglia e poi a Genova

Bordighera (IM): il centro città

Tommaso Frontero [all'epoca residente in Bordighera], reduce da Mauthausen:
«Nel campo vi erano delle baracche allineate, in ciascuna delle quali dormivano circa 150 prigionieri. Vi era pure uno stanzone con attrezzature sanitarie, la cosiddetta infermeria: i medici erano detenuti ebrei. La sera i Tedeschi chiudevano le porte delle baracche dall’esterno e le riaprivano il mattino successivo. Poiché ai prigionieri era concesso passeggiare in determinate zone del campo, ed all’esterno vi erano le vaste coltivazioni di frumento, i parenti che si recavano segretamente in visita ai loro cari si nascondevano tra il grano. I detenuti politici venivano tenuti separati da quelli per reati comuni».
A Marassi, Frontero si era messo in contatto con patrioti che avevano fatto parte della già accennata organizzazione «Otto» (prof. Ottorino Balduzzi; prof. Franco Antolini, membro del CLN di Genova; prof. Eros Lanfranchi, deceduto in seguito a Mauthausen), tutti antifascisti di grande rilievo che avevano ricoperto importanti incarichi organizzativi nella Resistenza.
I Tedeschi, con tutta probabilità, erano venuti a conoscenza dell’organizzazione. Sicchè, dopo un breve periodo di permanenza dei prigionieri provenienti da Marassi, decisero di eliminare il campo di Fossoli. Fecero arrivare una colonna di camion, vi caricarono cinquecento prigionieri e li trasportarono alla stazione ferroviaria. Rimasero a terra settanta malcapitati (parte di coloro che avevano occupato le baracche n. 16 e n. 17): furono uccisi ed il campo fu chiuso.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) - Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992

Rutoli Brunello (“Rino Borelli”), di San Remo (Imperia); iscritto al 2° anno di Medicina e Chirurgia; Partigiano combattente e Aiutante maggiore della Brigata “Guido Negri” n. 29 novembre 1923 - m. 10 dicembre 1944
Luogo della morte: Caduto durante un «Conflitto con un gruppo di briganti neri avvenuto a Codevigo di Piove (Padova) il 10 dicembre 1944 - Nel tentativo di prestare soccorso e vendicare un compagno caduto dopo aver disarmato due avversari cadeva colpito da una raffica» <361.
Riconoscimenti militari: 1 medaglia d’argento al v.m.
Riconoscimenti dell’Università: Laurea h.c. 11 giugno 1947.
[NOTA]
361 Dal foglio notizie contenuto in: Archivio del Novecento dell’Università degli Studi di Padova, Fascicoli personali degli studenti, Facoltà di Medicina e Chirurgia, mat. 154/34, «Rutoli Brunello».
Giacomo Graziuso, Gioventù e Università italiana tra fascismo e Resistenza: l’attribuzione delle lauree Honoris Causa nell’Archivio del Novecento dell’Università di Padova (1926 - 1956), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova,  Anno Accademico 2013-2014

INVENTARIO
SCHEDE MATRICOLARI
SCHEDE RELATIVE AI DETENUTI DEL REPARTO TEDESCO DEL CARCERE DI REGINA COELI
Schede carcerarie relative ai reclusi del reparto tedesco di Regina Coeli. Si riportano in ordine alfabetico nominativo (cognome e nome), luogo di nascita, data di nascita di ogni detenuto.
28 settembre 1943, 2 giugno 1944, 1666 originali; 1677 traduzioni in italiano; 2 copie fotografiche di originali tedeschi dispersi
[...]
Mag […]ne Asilio   Cannes   1899 dic. 30
Mag[…]tto Gloria   San Remo 1904 apr. 24
Tirabassi Vincenzo San Remo 1916 gen. 12
Alessia A. Glielmi, Guida all’archivio del Museo storico della Liberazione e inventariazione del materiale documentario delle forze tedesche di occupazione, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Udine, Anno Accademico 2011-2012

Il campo di Fossoli è noto per essere stato il Polizei- und Durchgangslager controllato dalle SS della Sicherheitspolizei und SD in Italia facenti capo a Wilhelm Harster: come tale fu un campo di transito per ebrei e politici in attesa di essere deportati nel Reich e fu attivo dal marzo del 1944 sino ai primi di agosto dello stesso anno, quando la struttura principale di raccolta dei prigionieri destinati alla deportazione divenne il campo di Bolzano.
Roberta Mira, Il campo di Fossoli e il reclutamento di forza lavoro per la Germania nazista, Fondazione Fossoli, 2019

I nomi
Amabile Massimo. Nato a Ospedaletti (IM) il 5/9/1928. Matricola 5759 Blocco F Vipiteno. Fonti:24. Note: 24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma, evaso da Vipiteno, tornato a casa il 23/4/1945. 
Arnaldi Bruno. Nato a Sanremo (IM) il 15/2/1927. Blocco D H Vipiteno. Evaso il 20/4/1945. Fonti: 24. Note: 24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma, triangolo rosa.   
Avena Giulio. Nato a Pieve di Teco (IM) il 5/4/1891. Deportato da Bolzano il 5/9/1944 a Flossenbürg. Deceduto a Flossenbürg il 18/12/1944. Fonti: 6.
Bernardini Pietro. Nato a Sanremo (IM) il 15/12/1891. Deportato da Bolzano il 5/10/1944 a Dachau. Deceduto a Uberlingen il 26/2/1945. Fonti: 5.
Brussa Gaddini Teresa. Matricola 6153 Blocco F Merano. Fonti: 1, 2. Note: 2: 28/3 piazza Parasio Imperia.
Caprile Carlo. Nato a Imperia (IM) il 20/5/1905. Deportato da Bolzano il 19/1/1945 a Flossenbürg. Fonti: 6, 6bis.
Carli Benedetto. Nato a Rezzo (IM) il 21/5/1923, impiegato. Deportato da Bolzano l’1/2/1945 a Mauthausen. Deceduto a Mauthausen il 2/3/1945. Fonti: 3.
Cassamagnago Fernando. Nato a Lissone (MI) il 2/6/1924. Arrestato a Sanremo (IM). Deportato da Bolzano il 5/10/1944 a Dachau. Deceduto a Dachau il 9/3/1945. Fonti: 5.
Chiesa Federico. Nato a Carmagnola (TO) il 26/8/1911. Arrestato a Olivetta S. Michele (IM). Matricola 2994 Blocco A. Deportato da Bolzano il 14/12/1944 a Mauthausen. Deceduto a Mauthausen il 15/3/1945. Fonti: 3, 23. Note: 23: Elenco C pag 161.
Chittolini Esterino. Deportato il 16/1/1945. Matricola 8499. Blocco C A. Fonti: 1, 2. Note: 2: S. Lorenzo Imperia - Oneglia.
Corbellati Michelangelo. Nato a Sanremo (IM) il 23/12/1928. Matricola 5485 Vipiteno. Fonti: 24. Note: 24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma.
Cravaschino Antonio. Nato a Sanremo (IM) il 13/9/1909, frantoiano di olive. Arrestato a Sanremo loc. Suseneo Superiore (IM) il 15/11/1944. Deportato da Genova (GE) il 7/12/1944, arrivato l’8/12/1944. Matricola 7017 Blocco G. Liberato a Bolzano il 30/4/1945. Fonti: 2, 20. Note: 2: via Palma 1 S. Remo. 20: quest. 60. Citato in Pino Da Prati, Il triangolo rosso, Gastaldi, Milano-Roma 1946.
Dall’Orto Pinuccio. Deportato l’11/11/1944. Matricola 6018 Vipiteno E. Fonti: 1, 2. Note: 2: via S. Bernardo 49 Dolceacqua (Imperia).
Forte Antonio. Matricola 5971 Blocco G. Fonti: 1, 2. Note: 2: Lingueglietta Imperia.
Fucile Rosario. Nato a Messina (ME) il 26/11/1914, meccanico. Arrestato a Porto Maurizio (IM). Deportato da Bolzano il 5/10/1944 a Dachau. Liberato a Bad Gandersheim il 4/4/1945. Fonti: 5. Note: 5: Sup.
Gazzano Mario. Matricola 9954 Blocco E B. Fonti: 1, 2. Note: 2: Carrano; Cazzano, Villa Talla Imperia.
Gianotti Pierluigi. Nato a Torino (TO) il 27/7/1916, impiegato. Arrestato a S. Lorenzo al Mare (IM) l’8/8/1944. Deportato da Genova (GE). Matricola 9087 Blocco E. Fonti: 1, 2, 32. Note: 1: Giannotti. 1, 2: Luigi. 32: quest. 226.
Lagorio Gianbattista. Nato a Imperia (IM) il 14/5/1887, agricoltore. Arrestato a Imperia (IM). Deportato da Bolzano l’8/1/1945 a Mauthausen. Deceduto a Mauthausen il 28/3/1945. Fonti: 3.
Levy Elia Amedeo. Nato a Compiegne (Francia) il 29/8/1895. Arrestato a Imperia (IM) il 30/11/1943. Deportato da Bolzano il 24/10/1944 a Auschwitz. Deceduto a Auschwitz il 24/1/1945. Fonti: 4.
Malugani Aldo. Nato a Sanremo (IM) il 28/10/1927. Matricola 5791 Blocco D H Vipiteno.
Modena Carlo. Nato a Sanremo (IM) il 26/9/1927. Blocco H. Deportato da Bolzano a Landeck-Tirol. Fonti: 24. Note: 24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma.
Morelli Giuseppe. Nato a Sanremo (IM) il 14/1/1897, interprete. Deportato da Bolzano l’8/1/1945 a Mauthausen. Liberato a Mauthausen il 5/5/1945. Fonti: 3.
Musso Maria. Nata a Diano Arentino (IM) il 4/1/1924, casalinga. Arrestata a Diano Arentino (IM) il 2/9/1944. Deportata da Genova (GE). Deportata da Bolzano il 7/10/1944 a Ravensbrück. Liberata a Bergen Belsen. Fonti: 7, 32. Note: 32: quest. 321
Nardone Leonardo. Nato a Sanremo (IM) il 15/2/1927. Blocco D H Vipiteno. Evaso da Vipiteno il 20/4/1945. Fonti: 24. Note: 24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma.
Novaro Dante. Nato a Porto Maurizio (IM) il 22/1/1912, impiegato. Arrestato a Genova (GE). Deportato da Genova (GE) il 22/10/1944. Matricola 5301 Blocco E. Deportato da Bolzano l’8/1/1945 a Mauthausen. Deceduto a Mauthausen il 20/4/1945. Fonti: 3, 23. Note: 23: Elenco P pag 174. Citato in Piero Caleffi, Si fa presto a dire fame, Edizioni Avanti!, Milano 1954.
Orengo Francesco. Nato a Badalucco (IM) il 25/12/1927. Fonti: 24. Note:24, Busta 116: Archivio ANED Sezione di Roma.
Panizzutti Ruggero. Nato a Cugliate (VA) il 2/2/1908, tecnico. Arrestato a Sanremo (IM). Deportato da Bolzano il 20/11/1944 a Mauthausen. Deceduto a Ebensee il 5/5/1945. Fonti: 3.
Paolucci Isio. Nato a Ventimiglia (IM) l’11/12/1924, macellaio. Arrestato a Ventimiglia (IM). Deportato da Bolzano l’8/1/1945 a Mauthausen. Liberato a Mauthausen il 5/5/1945. Fonti: 3. Note: 3: Sup.
Pellegrini Pietro. Matricola 9987 Blocco E M Sarentino. Fonti: 1, 2. Note: 2: 11/3 - 24/3. Villa Talla (Imperia).
Piombo Aldo. Nato a Sanremo (IM) il 14/2/1928. Arrestato a Sanremo (IM). Deportato da Genova (GE) il 15/11/1944. Matricola 7087 Vipiteno. Liberato a Vipiteno il 00/5/1945. Fonti: 24. Note: 24, Busta 4, fascicolo 3: Scheda personale, attestato della Prefettura di Imperia, copia triangolo originale.
Ruggeri Giovanni. Matricola 7075 OT. Fonti: 2. Note: 2: San Remo (...).
Saglietto Francesco. Matricola 9976 Blocco E. Fonti: 1, 2. Note: 2: via Domenico Acquarone 16 Imperia.
Semeria Angelo. Nato a Sanremo (IM) il 16/7/1891. Deportato da Bolzano il 5/9/1944 a Flossenbürg. Deceduto a Flossenbürg il 31/12/1944. Fonti: 6.
Soleri Giovanni. Nato a Bordighera (IM) l’8/4/1920. Deportato da Bolzano il 19/1/1945 a Flossenbürg. Fonti: 6, 6bis. Note: 6bis: Soleri.
Toesca Onorato. Matricola 9965 Blocco E. Fonti: 1, 2. Note: 2: Borgomaro (Imperia).
Tomasi Silvio. Nato a Trento (TN) il 23/6/1907, capitano dell’Esercito. Arrestato a Sanremo (IM) [n.d.r.: le fonti più diffuse riportano questo arresto come avvenuto nella zona di Vemntimiglia-Bordighera]. Deportato da Bolzano il 5/8/1944 a Mauthausen. Deceduto a Gusen il 5/5/1945. Fonti: 3. Intervista dell’Autore a Gianfranco Maris, 4/3/2005.
Trucco Gerolamo. Nato a Pieve di Teco (IM) il 18/9/1893. Deportato da Bolzano il 5/9/1944 a Flossenbürg. Deceduto a Flossenbürg il 24/1/1945. Fonti: 6.
Verardo Danilo. Nato a Sanremo (IM) il 9/3/1914. Deportato da Bolzano il 19/1/1945 a Flossenbürg. Fonti: 6, 6bis.
Veronesi Ugo. Nato a Imperia (IM) il 3/2/1915. Matricola 9459 Blocco D C. Liberato a Bolzano. Fonti: 1, 2.
Viale Eraldo. Nato a Ventimiglia (IM) il 18/5/1911, meccanico auto. Arrestato a Ventimiglia (IM). Deportato da Bolzano il 5/8/1944 a Mauthausen. Deceduto a Gusen il 4/3/1945. Fonti: 3.
Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini nel Lager di Bolzano. Una tragedia italiana in 7.982 storie individuali, Fondazione Memoria della Deportazione/Mimesis - Milano, Seconda edizione rivista e ampliata, aprile 2005. Ricerca realizzata con il contributo dell'Unione Europea

Emilio Baletti (detto Milio), di anni 56, nato a Castelnuovo Don Bosco (Asti) il 31 luglio 1888, lattoniere, coniugato con Luigina Capra (di Chieri, provincia di Torino). Assessore comunale socialista a Chieri, è arrestato nell’aprile del 1921 per cospirazione politica, detenuto per 23 mesi nelle carceri Nuove di Torino fino al processo, quando viene assolto. Trasferitosi ad Albenga (Savona), continua l’attività politica clandestina, che intensifica dopo l’8 settembre. Il 24 maggio 1944, in seguito a delazione, è prelevato da casa con una scusa di lavoro, incarcerato prima a Oneglia e poi a Genova. Torturato dalle SS, non fa nomi. È trasferito a Fossoli ai primi di giugno, matricola 1475. Il suo corpo, contrassegnato all’esumazione col numero 57, fu riconosciuto da una carta d’identità del Comune di Albenga; l’identificazione fu confermata dalla vedova il 26 giugno 1945. La salma di Baletti fu trasportata a Chieri con un solenne funerale il 1° luglio 1945. Dall’aprile 1965 è tumulata nel Sacrario degli Eroi della Resistenza del cimitero di Chieri.
[...] Aveva compiuto da poco vent’anni, Giuseppe Palmero, manovale alle Ferrovie di Ventimiglia: era membro del gruppo “Giovine Italia”, che agiva alle dipendenze dell’omonima associazione clandestina repubblicana formata da molti ferrovieri di Ventimiglia, civili, militari e carabinieri - più di sessanta persone - che prendeva ordini dal capitano di fanteria Silvio Tommasi, anch’egli passato da Fossoli, deportato a Mauthausen, e qui deceduto. L’organizzazione aveva lo scopo di ostacolare il traffico di materiale bellico sia in Francia sia In Italia, ritenendo imminente lo sbarco alleato. Il gruppo doveva occupare militarmente la stazione ed un tratto della linea ferroviaria, per preservarle da sabotaggi delle truppe nemiche durante la prevista evacuazione. Tra il 22 e il 23 maggio 1944 una ventina di affiliati furono arrestati per la delazione di due infiltrati. Giuseppe Palmero fu arrestato a Bordighera, il 23 maggio 1944, portato a Oneglia, assieme ai fratelli Remo ed Ettore Renacci, trasferito al carcere di Marassi (Genova) e poi a Fossoli.
[...] Ettore Renacci, di anni 37, nato il 6 gennaio 1907 a Bordighera, ivi residente, calzolaio, coniugato con Gatto Maria. Arrestato a Bordighera il 23 maggio 1944, incarcerato prima a Imperia, poi a Genova, quindi trasferito a Fossoli tra il 6 e il 9 giugno, matricola campo 1455. Il suo corpo, contrassegnato all’esumazione col numero 8, fu riconosciuto dalla cognata Carmelina Gatti e da un conoscente.
Anna Maria Ori - Carla Bianchi Iacono - Metella Montanari, Uomini nomi memoria. Fossoli 12 luglio 1944, APM, 2004

Il Baletti, dopo drammatiche esperienze presso le varie polizie nazifasciste, fu inviato nel campo di concentramento di Fossoli. Tommaso Frontero (presidente del CLN cospirativo di Bordighera) compagno di prigionia del Baletti, racconta di lui con malcelata commozione che i nazifascisti lo sottoposero, per la sua fede antifascista e l’ostinato rifiuto a fare i nomi dei compagni di lotta, a dure sevizie ed a minacce severe; ma egli non venne mai meno ai suoi nobili sentimenti di altruismo. Il 12 luglio 1944 Emilio Baletti fu trucidato assieme ad altri patrioti e la Resistenza lo onorerà dando il suo nome ad una gloriosa brigata Matteotti che opererà nel Canavesano.
Di lì passò anche l’esuberanza giovanile di Bruno Gazzano di Porto Maurizio, che mi è stato caro amico di scuola.  […]
Carlo Rubaudo, Op. cit.

sabato 3 agosto 2024

Partendo da Capo Nero, il primo muro Todt lo troviamo nei pressi della storica "Pria Longa"

Sanremo (IM): Corso Imperatrice

E proprio nell'estate del 1943, anche nella città di Sanremo, la TODT, affiancata in molti casi dalle imprese italiane Paladino di Roma, Bertelè e Piazzoli di Milano, realizzava importanti opere difensive, un muro anti sbarco inframmezzato e guarnito da tutta una serie di postazioni mobili e permanenti, bunker poderosi usati sia come punti di osservazione che come piazzole per batterie costiere.
Il vallo anti sbarco sanremese era dislocato in tre punti precisi della battigia, per la precisione dove la presenza di spiagge consentiva ad eventuali mezzi da sbarco di entrare facilmente in città. Per questa semplice ragione tattica vennero trascurati tutti quei tratti di costa scoscesi, a strapiombo sul mare o separati da questo con muri particolarmente alti, come quelli ferroviari di Villa Helios, corso Imperatrice e la Brise.
Partendo da Capo Nero, il primo muro TODT lo troviamo nei pressi della storica "Pria Longa" (località già nota per il famoso sbarco delle truppe d'occupazione genovesi comandate dal Generale Agostino Pinelli nel giugno del 1753). Tale tratto di fortificazione, superato il rio Foce, si concludeva ad ovest del porticciuolo dell'Imperatrice con una postazione fissa antiaerea e costiera piazzata sul caposaldo più esposto a mare di quella che avrebbe dovuto divenire la dipendenza estiva della casa da gioco sanremese.
Da questo punto e sino al Mulino Bianchi, ex Casa del Fascio, costruito sull'argine destro del torrente San Romolo, i muri di contenimento del sedime ferroviario e del sovrastante Corso Imperatrice, erano di per sé più che sufficienti ad impedire qualsiasi atterraggio di mezzi da sbarco. Tuttavia, proprio di fronte ai giardini dell'Hotel Royal, a scanso di equivoci, era stata eretta una bella postazione per mitragliere, tuttora presente e mascherata da cespugli di pitosforo.
A partire dallo spiazzo antistante il Mulino Bianchi (Sporting Club), il vallo riprendeva la sua continuità verso levante, circondando, lungo la via Umberto (odierna Via Nino Bixio), il porto cittadino reso così del tutto separato e inaccessibile dal lato terra.
Questo secondo tratto, senza dubbio il più importante, terminava oltre i bagni Italia, sul confine con il Morgana, là dove inizia il contrafforte di contenimento a mare della passeggiata Trento & Trieste. A monte degli stabilimenti balneari del Morgana, l'intera via Fiume sino alla sua confluenza con il Rondò Francia, allora priva degli odierni palazzi, aveva tutti i giardini limitrofi minati.
Il terzo e ultimo tratto di muro della TODT riprendeva oltre il bar Sud-Est con un grosso bunker sul mare e, superata la foce del torrente San Martino, sempre intercalato da numerose postazioni campali, giungeva sino all'inizio della Brise, poco sotto il passaggio a livello di fronte al campo Polisvortivo. Al termine del tratto a mare della via alla Brise, sopra l'accesso della galleria ferroviaria in regione Vesca, era, ed è ancora presente, un massiccio bunker adibito ad osservatorio fisso e postazione difensiva costiera.
Queste le opere, facenti parte del Vallo Ligure, realizzate dall'impresa dello sfortunato ingegnere Fritz Todt nel Comune di Sanremo con maestranze locali, formate perlopiù da cittadini allettati da una paga sicura in tempi incerti e grami, ma anche da coloro i quali non volevano più combattere in prima linea una guerra che stava diventando tristemente fratricida.
Renato Tavanti, Sanremo. "Nido di vipere". Piccola cronaca di guerra. Volume primo, Atene Edizioni, 2005

Con i limitati mezzi a nostra disposizione iniziammo con Ciccio Corrado e Virgilio Oddo, nel maggio 1944, il montaggio di una radiotrasmittente someggiabile, da 75 W.
[...] «Alfa» domanda 24 ore di tempo per procurarsi la benzina ed intanto nasconde nel suo ufficio le cassette contenenti l’apparecchio. Il figlio di Millo, Luigino, interessa anche il Dr. Giampalmo della Todt che possiede una Topolino con tanto di O.T. Artz sul parabrise. Adesione e partenza il mattino successivo prestissimo: Luigino Millo, il Dr. Giampalmo, che l’accompagna, e la Topolino hanno la loro gatta da pelare. Quando si dice la fortuna! Fuori Sanremo due militari tedeschi della SS fermano la macchina: «noi andare Imperia…».Sospiro di sollievo dei nostri amici e scorta sicura per almeno venti chilometri con due angeli custodi che nel frattempo si erano sistemati alla meglio sulle cassette.
Ad Imperia una staffetta li attende e, come Dio vuole, filtrando attraverso quattro blocchi tedeschi, la macchina arriva a Tavole accolta da un «urrà» formidabile.
Mario Mascia, L’epopea dell’esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia

A metà ottobre 1944 avvenne a Sanremo la più grave deportazione in massa di civili della provincia.
I tedeschi, partiti con questo obiettivo da Savona, operarono diverse centinaia di controlli ai danni dei cittadini sanremesi.
Centinaia di persone furono avviate al centro di raccolta, costituito nell'attuale Piazza Eroi Sanremesi, circondata da SS armate di mitra e financo di mitragliatrici.
Dopo diverse ore di fermo un numero considerevole di abitanti venne rilasciato, mentre 150 uomini, quelli fisicamente più idonei, vennero fatti salire su camion per essere trasportati alle carceri di Marassi a Genova.
Genova fu una tappa intermedia.
La triste meta era per loro, due settimane dopo, il campo di concentramento di Bolzano.
Si legge in Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, ed. Amministrazione Provinciale di Imperia, Milanostampa, 1977: "a turno sono rapati e passati alla doccia... nell'ufficio materiale ricevono il distintivo: un triangolino di stoffa rossa ed una striscia con il numero di matricola".
Dopo un paio di mesi di vita irta di stenti e di sacrifici, i prigionieri catturati a Sanremo vennero utilizzati, quando le potenze dell'Asse erano ormai agonizzanti, come "liberi lavoratori" in organizzazioni similari alla Todt, di stanza in Alto Adige.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Il 16 ottobre 1944 tra 130 e 160 persone furono catturate durante un rastrellamento nel quartiere della Pigna di Sanremo e inviate al lavoro a Bolzano e nella rete dei suoi sottocampi, e tra il 15 e il 17 novembre altre 60 furono prese nel corso di un’azione antipartigiana nel quartiere collinare sanremese di S. Romolo. Altra manodopera fu prelevata nel corso di rastrellamenti in centri montani e della costa.
Redazione, Liguria, Tante braccia per il Reich

La colonna con i rimorchi dei «Molch» arrivò in città nella notte, destinazione la base che l’organizzazione Todt aveva realizzato a Ponente della città i cui resti (i bunker e le gallerie d’approdo) sono venuti alla luce pochi mesi fa nell’ambito della costruzione del nuovo albergo a Pian di Poma. Li avevano nascosti nella galleria del treno di Capo Nero, perchè non venissero colpiti in caso di bombardamenti o notati da eventuali voli di ricognizione alleati.
Giusto il tempo di renderli operativi, dotandoli ciascuno di due siluri, e da Berlino venne disposto l’attacco. Ma i «Molch», lentissimi e con grandi problemi di manovrabilità (non avevano la retromarcia), non ebbero successo. Incrociarono per circa 30 ore al largo di Mentone e di Villefranche prima di incappare nella squadra alleata che, soprattutto grazie al radar, individuò subito la loro presenza e ritenendo che si trattasse di normali sommergibili li ricoprì di decine e decine di bombe di profondità (che fecero esplodere anche alcuni siluri).
Giulio Gavino, Il fallimento delle “salamandre” di Hitler in missione dalla base segreta di Sanremo, Il Secolo XIX, 21 settembre 2018

Sergio Grignolio (Ghepeu), di Sanremo, lavora giovanissimo come fabbro. Di formazione comunista. Nel 1943 é richiamato alle armi. Dopo l'8 settembre é arrestato e lavora alla Todt per i Tedeschi. Il 1° maggio 1944 effettua un lancio di volantini in fabbrica e poi fugge in montagna. E' stato protagonista di azioni cruente e difficili.
Redazione, Fondo Memoria Orale, Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell’età contemporanea

22 Ottobre [1944]
La X Flottiglia Mas che era all'Albergo Splendido, dopo il bombardamento navale dell'altro giorno, dove l'albergo è stato quasi colpito, si è trasferita momentaneamente all'Albergo Astoria, in attesa di trovare altrove, poiché questa casa è già a disposizione della "Wermacht" e della "Todt".
[n.d.r.: dal diario di una ragazza rimasta ignota, figlia di albergatori di Sanremo]
Renato Tavanti, Sanremo. "Nido di vipere". Piccola cronaca di guerra. Volume terzo, Atene Edizioni, 2006

4 gennaio 1945
Risulta che la ditta Paladino è diventata un covo di autentici ribelli, renitenti, disertori e simili.
Certamente questi individui sono mimetizzati per il periodo invernale ed è più che certo che passato il periodo del freddo se ne torneranno ai monti in primavera e li avremo di nuovo di fronte.
Informare il comando tedesco.
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan, documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo

7 marzo 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 389/SIM,  alla Sezione SIM della V^ Brigata - Comunicava che 'Piero', responsabile del CLN di Ospedaletti, entrato nella ditta Paladino, si trovava in quel periodo a Taggia con una lettera di garanzia dello scrivente Comitato.
8 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM della V^ Brigata, prot. n° 325, al Comando Operativo della I^ Zona ed alla Sezione SIM della II^ Divisione - Comunicava che nella zona di Taggia (IM) 22 operai della ditta Paladino stavano costruendo baracche, gallerie e trincee...
20 aprile 1945 - Da "Santamaria" al commissario "Orsini" - Informava che "sono arrivati presso lo scrivente 3 uomini, di cui 2 ex Bande Nere ed 1 ex lavoratore dell'organizzazione Paladino".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Francesco Paladino in RSI dirige l'Organizzazione Paladino (nel dopoguerra viene celebrato re degli imboscati). Nato a Scilla (RC) il 5 novembre 1890, muore a Sanremo (IM) il 16 ottobre 1974.
Redazione, Fondazione RSI

venerdì 19 luglio 2024

Quel giorno dovevano salire i Tedeschi in paese

Viozene, Frazione del Comune di Ormea (CN). Foto: Arbenganese. Fonte: Wikimedia

Nella notte dal 5/6 dicembre 1944 alcune donne, giunte da Ponte di Nava, recano la notizia che il giorno dopo i Tedeschi sarebbero saliti a Viozene [Frazione del Comune di Ormea (CN)] ed io fui informato di ciò.
Il mattino seguente, dopo aver celebrato la Santa Messa, uscito fuori della chiesa fui colpito da uno strano ed insolito silenzio che regnava in paese. Domandato il motivo mi fu risposto che quel giorno dovevano salire i Tedeschi in paese e che a quella notizia, portata a Viozene nella notte, quasi tutti i partigiani e la popolazione erano fuggiti prima che facesse giorno.
Avevo dormito nella vecchia canonica attigua alla chiesa, ma alla notizia mi recai nella nuova per dare l'allarme in caso vi si trovassero ancora delle persone. Trovai l'edificio aperto e vuoto mentre i pochi partigiani ammalati si erano già allontanati, lasciando tuttavia chiari segni della loro presenza in passato. Allora cercai di far sparire ogni traccia sospetta, specialmente nel salone del primo piano adibito ad infermeria, quindi ritornai in chiesa in attesa di eventi.
Nel primo mattino, mentre le persone rimaste stavano chiuse in casa, un gruppo di partigiani di stanza in Pian Rosso, tra cui un certo Gian Luigi Martini di Diano Marina ed un certo Ramoino di Cesio, forse ignari dell'allarme della notte precedente, scesero in paese in cerca di viveri. La popolazione diede loro tutto il necessario purchè si allontanassero subito, dato il pericolo incombente; così non tardarono a riprendere la via di Pian Rosso, quantunque considerassero con scetticismo la paura dei Viozenesi. Appena giunsero in località Baraccone, ove ha inizio il sentiero che sale a Pian Rosso, dalla Costa del Pagano, di fianco a Viozene, dalle fasce allora coltivate, all’altezza della Borgata Toria, incominciò un infernale fuoco di mitragliatrici e di altre armi da fuoco tedesche.
I Tedeschi (come dopo si seppe) dalle prime ore del mattino si erano appostati in quel posto da cui si poteva avere sott’occhio tutta Viozene e la zona circostante. Ai primi colpi sparati, il Martino sopraddetto incominciò a zoppicare: era stato colpito da una pallottola ai piedi e si diresse, camminando come poteva, verso la Borgata Mussi, preceduto da un suo compagno di Genova.
Il Ramorino, con altri compagni, si precipitò a valle verso il Negrone e con quanti erano con lui riuscì a mettersi in salvo nella zona di Pian Cavallo. Il Martino ed il suo compagno, mentre stavano fuggendo verso la Borgata Mussi, si imbatterono in una formazione di Tedeschi appostati nei pressi di detta Borgata.
La zona di Viozene, con un piano ben premeditato, era stata chiusa, fin dalle prime ore, in una ferrea morsa da Tedeschi provenienti da Ponti di Nava e da Upega. I due furono immediatamente fucilati sul posto: il compagno del Martino (di cui lo scrivente non ha potuto conoscere il nome) sul sentiero che da Viozene porta ai Mussi, proprio nel punto in cui il ruscello attraversa detto sentiero; il Martino che seguiva a distanza, essendo ferito ai piedi, un po’ più avanti verso Viozene, al di sopra dello stesso sentiero. Una croce di legno fu posta per entrambi sul luogo ove furono fucilati.
Per tutta la giornata continuarono gli spari e le raffiche tedesche in tutte le direzioni, tra il terrore della popolazione rimasta in paese, chiusa nelle loro case, in attesa di qualche tragico destino. Verso sera i Tedeschi, muovendo dai Mussi e da Toria, si riunirono in Viozene.
Il Parroco sottoscritto, subito ricercato, fu appoggiato al muro della Chiesa per essere fucilato. Gli scarponi militari ed altri indumenti, avuti in cambio da soldati italiani di passaggio, che gli trovarono addosso, dopo avergli aperto la talare, furono sufficienti cause della sua condanna. Mentre già il gruppo di soldati Tedeschi stava estraendo le pistole, uno scoppio fortissimo, a brevissima distanza, li mise nello scompiglio e li fece momentaneamente fuggire in cerca di un rifugio. Il sottoscritto approfittò di questo momento di confusione per fuggire anche lui e andò a nascondersi in un oscuro angolo in fondo alla Chiesa. Ricercato poco dopo, non fu ritrovato dai Tedeschi, i quali dalla Chiesa entrarono nella Sacrestia e di qui nella vicina Canonica mettendo a soqquadro e distruggendo ogni cosa.
Tutti gli uomini trovati in paese furono, a forza, fatti uscire dalle loro case e condotti, tutti insieme, in un prato nel centro dell’abitato (nel luogo ove fu costruita la casa del Sig. Dulbecco) davanti ad un nido di mitragliatrici; intanto la soldataglia, entrata nelle case, faceva man bassa di quanto trovava e rubava il poco bestiame della popolazione. Fatto bottino di quanto ancora trovarono in Paese, i Tedeschi presero la via di Ponti di Nava.
Si seppe poi anche che essi al mattino, salendo a Viozene, avevano ucciso un innocente individuo, residente in una Borgata di Ormea, il quale stava scendendo verso Ponti di Nava e di cui il sottoscritto non sa il nome. Fu ucciso dai Tedeschi a Rio Bianco ed ivi rimase seppellito (nella nuda terra) fino al termine della guerra.
La giornata si chiuse tra il terrore della popolazione, privata di tutto il bestiame che ancora le era rimasto e nella pesante incertezza sulla sorte di quanti erano fuggiti.
Per fortuna in quella triste giornata Viozene non ebbe a subire perdite tra la popolazione.
I fuggiti di casa, specialmente i giovani, rimasero tutto il giorno nascosti nei cespugli, nelle caverne e negli anfratti di Pian Cavallo e del Mongioie, donde potevano seguire le mosse dei Tedeschi. Questi, però, due giorni dopo, l’8 dicembre, fecero ritorno a Viozene e vi rimasero fino alla fine del mese. Imposero il coprifuoco nelle ore notturne ed entravano sovente nelle case private ordinando da mangiare ed imponendo che fosse loro preparato ciò che da essi veniva stabilito.
In quei giorni venne devastata la Canonica di Viozene (Villa Bottaro), quella che era stata adibita ad ospedale. I Tedeschi la resero inabitabile, rompendo finestre, porte, mobili, portando via coperte, biancheria ed altri oggetti.
Non soltanto in quel periodo i Tedeschi rimasero in Viozene, ma giorno e notte mantennero, fino a quando se ne andarono, un rigoroso controllo dei valichi delle Saline e del Bocchin dell’Aseo. In quel tempo essi avevano lanciato un forte attacco contro i Partigiani delle Valli Ellero e Corsaglia. Molti cercavano di porsi in salvo verso Viozene attraverso i valichi sopraddetti ed inconsciamente venivano a cadere nelle mani dei Tedeschi che, legati con delle corde, a piccoli gruppi, li conducevano a Viozene e di lì ai forti di Nava, ove venivano fucilati. Questa fu la sorte di tanti giovani di cui le famiglie ignorarono per sempre il luogo ed il genere di morte che ebbero a subire.
Verso la fine di dicembre tutti i Tedeschi ritornarono a Ponti di Nava. La popolazione derubata dai Tedeschi del bestiame e degli scarsi prodotti agricoli (avena, grano, patate) si dibatteva nella penuria, sempre più carente di viveri; unico sostentamento erano le patate.
Don Paolo Regis, Diari, A Vaštéra, Anno XXII - Primavera - Estate 2012

domenica 30 giugno 2024

I tedeschi davano alle fiamme le stazioni ferroviarie di Ventimiglia e di San Remo

Sanremo (IM): la vecchia stazione ferroviaria

Il grande rastrellamento Pigna-Triora-Upega era stato attuato dai nazifascisti, a quanto si seppe, per sgomberare dall'insidia partigiana le strade che conducevano al Saccarello, e di là in Piemonte, necessarie per la ritirata in caso di sbarco alleato che i Tedeschi e le autorità fasciste temevano, sulla costa ponentina.
Molti sintomi, oltre alle informazioni fornite dai servizi di sicurezza, erano evidenti: non passava inosservato il diuturno lavoro di otto spazzamine e di cacciatorpediniere angloamericani sulla costa ligure, mentre una buona parte della flotta alleata del Mediterraneo si era concentrata nella rada di Villafranca, e si susseguivano ininterrottamente i bombardamenti aerei sulla costa.
In luglio e in agosto i nazifascisti avevano disposto uno schieramento lineare sulla costa con le forze della Wehrmacht e con le divisioni italiane "San Marco" e "Littorio"; ma nell'autunno, appunto per timore dello sbarco, lo modificarono dislocando le forze sui passi montani in profondità, fuori dal tiro delle artiglierie navali e per bloccare con poche forze, l'infiltrazione nella pianura cuneese delle forze alleate che fossero sbarcate sul litorale ligure. Questa fu la vera causa dei grandi rastrellamenti operati e delle distruzioni provocate. Il 29 di ottobre i Tedeschi davano alle fiamme le stazioni ferroviarie di Ventimiglia e di San Remo, facevano saltare il ponte sul Roja, la polveriera di Bussana e tutti i pali delle linee elettriche. Avevano già distrutto le centrali elettriche delle stazioni ferroviarie di Albenga e Diano Marina, requisito migliaia di biciclette, autoveicoli e cavalli, fatto saltare i carri cisterna sui porti onegliese e portorino, invitato la popolazione con manifesti a sgomberare la costa, minato la zona delle ex Ferriere [ad Imperia], minato la statale n. 28 tra Pontedassio e Chiusavecchia con mine da 200 chilogrammi di tritolo ciascuna (le mine erano poste a quaranta metri circa di distanza una dall'altra), minato le banchine dei porti, distrutto l'impianto del gas a Porto Maurizio, asportato i motori dal pastificio Agnesi, ecc.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977  

25 ottobre 1944
Oggi abbiamo avuto [a Sanremo] diverse incursioni aeree, mentre le navi hanno continuato a sparare verso Bordighera e Ventimiglia.
26 ottobre 1944
Questa mattina i tedeschi hanno fatto saltare la stazione di Ventimiglia, già precedentemente minata. Pure a Sanremo sono state poste mine, al porto, alla stazione, sotto la galleria ferroviaria vicino alla Villa Helios e sulla strada (via Aurelia), la villa Belloni e Villa Helios.
27 ottobre 1944
Da ieri c'è molto passaggio di materiale bellico proveniente dalla frontiera; una cinquantina di tedeschi si sono fermati a dormire nel nostro albergo e domattina ripartiranno verso Genova. La maggior parte di questi sono demoralizzati e non vedono l'ora di ritornare alle loro case.
28 ottobre 1944
Altri cinquanta tedeschi si sono fermati a dormire per questa notte. Vengono da Grimaldi; gli americani sono giunti alla frontiera e loro pattuglie arrivano fino a Grimaldi.
30 ottobre 1944
Le truppe tedesche fanno saltare i ponti sul Col di Tenda per impedire agli anglo-americani d'avanzare.
[n.d.r.: dal diario di una ragazza rimasta ignota, figlia di albergatori di Sanremo]
Renato Tavanti, Sanremo. "Nido di vipere". Piccola cronaca di guerra. Volume terzo, Atene Edizioni, 2006

domenica 9 giugno 2024

Portare nottetempo agenti segreti tedeschi

Fonte: Giulio Gavino, art. cit. infra
 
Il "Molch" era dunque un sottomarino monoposto armato con due siluri da 533 millimetri. Il primo prototipo fu sperimentato a Eckernförde, una cittadina dello Schleswig-Holstein in Germania, il 12 giugno 1944 ed in seguito furono realizzati un totale di 363 "Molch" (fino al gennaio 1945). La torretta aveva due finestre ed era coperta da una cupola in plexiglass. Poteva viaggiare a due sole velocità e la retromarcia non era prevista. Scomodo da manovrare, in combattimento risultò un grosso fiasco e fu principalmente utilizzato per addestramento. La prima unità operativa dotata di "Molch" fu la K-Flottille 411. Il dimensionamento della prima flottiglia (sessanta "Molch" e trecentocinquanta uomini) si dimostrò eccessivo: durante gli spostamenti la lunga colonna fu spesso bersaglio degli attacchi della aviazione alleata e dei partigiani. Fu perciò deciso di ridurre le dimensioni delle successive flottiglie. Durante i primi test molti "Molch" affondarono col proprio pilota. Quando dodici "Molch" vennero impiegati per la prima volta contro le pattuglie alleate al largo di Mentone e Nizza; fu un disastro: la flotta alleata non subì alcun danno, mentre soltanto due "Molch" ritornarono solo per essere distrutti successivamente dal bombardamento di San Remo. Le operazioni della KF-411 furono interrotte. Il 20 settembre 1944 il resto della KF-411 fu trasferito a Trieste e dislocata a Sistiana.
Paolo Geri, Scampoli di storia: La base dei sommergibili a Sistiana durante la seconda guerra mondiale (1943-1945), Bora.La, 5 settembre 2010 
 
Verso la fine del 1944 una Germania sull’orlo della sconfitta continuava a riporre tutte le proprie speranze nelle nuove tecnologie, a partire dalle V1 e V2, arrivando alle wunderwaffen, quest’ultime niente più che capolavori di propaganda, pericolose e inefficienti.
I sommergibili Molch rientravano in questa categoria: erano costrutti scomodi e inaffidabili, mini sottomarini comandati da un’unica persona. Dopo aver constatato in mare la sconfitta degli U-Boot, la Kriegsmarine aveva iniziato a sperimentare con le K-flottiglie, ovvero reparti di mini sommergibili sull’esempio italiano della Decima Mas. Incursioni fulminee e notturne, capaci di sorprendere le flotte degli Alleati. I Molch - noti anche come Salamandre o Squali da Posta - presentavano un posto guida con una piccola torretta, dotata di due finestre e una cupola di plexiglass, a sua volta con funzione di portello di entrata. La torretta era anche dotata dell’indispensabile periscopio, mentre nel corpo inferiore della macchina erano situati i due siluri, agganciati con speciali staffe. I piloti assumevano Pervitin per rimanere svegli anche quarantotto ore di fila, fino a raggiungere il bersaglio, colpire e ritornare alla base. Proprio al momento di sganciare il siluro, il Molch palesava l’ennesimo difetto: il sommergibile doveva riemergere in superficie, esponendo così il pilota allo sguardo (e alle armi) delle navi nemiche.
Le prime prove non furono infatti brillanti: i Molch avevano solo due velocità, erano scomodissimi da manovrare e l’unico modo per orientarsi era guardare il cielo stellato dalla cupola. L’impossibilità di usare la retromarcia li rese presto letali più per i piloti che per i nemici, con alcuni, mortali, incidenti persino durante l’addestramento. Eppure, se il Fuhrer lo desiderava, doveva essere fatto.
Fu così che dodici Molch s’inabissarono diretti verso il nemico il 25 e il 26 settembre 1944, al largo di Mentone e Nizza. Le navi che avrebbero dovuto affondare scatenarono tutto il proprio arsenale di bombe di profondità, distruggendo dieci Molch su dodici. I restanti riuscirono a tornare, salvo poi venire distrutti dal bombardamento di Sanremo.
Sistiana iniziò così a interessare non solo l’esercito di terra, ma la stessa marina, perchè divenne, dall’11 novembre 1944, la sede dei rimanenti Molch, all’incirca una trentina.
Zeno Saracino, I Molch di Sistiana. L’eredità sommersa dei mini sottomarini nazisti, Triestenews, 20 luglio 2019

Alla fine del 1944 la disfatta della Germania appariva inevitabile ed i tedeschi stavano disperatamente giocando quelle che ritenevano le loro carte migliori e più ingegnose. Sono di questo periodo le temibili V1 e V2 che pur rappresentavano un ingannevole successo.  Gli Alleati ormai erano superiori sia in terra che in aria. Ma anche in mare i tedeschi non se la passavano bene e gli U-Boot erano ormai fortemente penalizzati dalle tecnologie di localizzazione delle forze alleate. In uno scenario disperato ed ormai senza speranza furono create le K-Flottiglie: reparti per attacchi notturni con mini sommergibili  che si riteneva difficile da localizzare e che replicavano le strategie della Decima Mas Italiana. A poppa vi era il posto di guida sormontato da una piccola torretta che aveva due finestre ed era coperta da una cupola in plexiglass che faceva anche da portello di entrata. Sulla torretta era posizionato un periscopio per l’osservazione in immersione. Sotto, erano agganciati a speciali staffe, due siluri.
In combattimento, peraltro, i molch si rivelarono un fallimento totale. I piloti navigavano pressoché alla cieca e spesso usando come riferimento le sole stelle visibili tramite la cupola in plexiglass sulla torretta. Il lancio dei siluri poteva avvenire solo a pelo d’acqua rendendo sostanzialmente vulnerabile il sottomarino proprio nel momento più cruciale. Il Molch poteva viaggiare a due sole velocità e la retromarcia non era prevista. Scomodo da manovrare, il Molch in combattimento risultò un grosso fiasco e fu principalmente utilizzato per addestramento. Già durante i primi test, molti Molch affondarono con il proprio pilota. Il 25 e 26 settembre 1944, 12 Molch vennero impiegati per la prima volta contro le pattuglie alleate al largo di Mentone e Nizza. Fu un disastro! La flotta alleata non subì alcun danno, mentre soltanto due Molch ritornarono solo per essere distrutti successivamente dal bombardamento di Sanremo. L’11 novembre 1944, i Molch rimanenti furono trasferiti a Trieste e dislocati a Sistiana dove i tedeschi costruirono appositamente una base nella  piccola baia sormontata dal romantico sentiero Rilke. La montagna che arriva fino alla spiaggia era un riparo ideale e fu "scavata" per aprire gallerie e sale a custodire i molch. Ancora oggi si vedono i varchi sulla montagna utlizzati per le  mitragliatrici ed i cannoni. Fu costruito anche un largo scivolo per mettere in mare i mezzi subacquei.
Redazione, I sommergibili tedeschi Molch, Sommozzatori Rari Nantes
 
Colpi di cannone, raffiche di mitragliatrice, motori lanciati alla massima velocità, scafi che sfiorano i campi minati a pelo d’acqua. Le immagini che emergono dall’archivio del Naval History and Heritage Command statunitense raccontano la storia poco conosciuta della battaglia navale di Sanremo, combattuta tra la notte e l’alba del 2 ottobre 1944. Uno scontro che portò le forze Usa impegnate nel Mediterraneo a catturare per la prima volta due barchini esplosivi MTM (acronimo di Motoscafo da Turismo Modificato), vanto delle forze anfibie della Regia Marina prima e della Repubblica di Salò poi, affidate ai marinai della Kriegsmarine che nella città dei fiori erano arrivati un mese prima per sperimentare i mini sottomarini “Molch”, fallimentare arma segreta di Hitler [...]
Dall’archivio Usa, dissequestrato qualche anno fa, emergono anche i documenti relativi all’impiego delle flottiglie naziste nel Ponente Ligure, i verbali di interrogatorio dei prigionieri, l’attività di intelligence e ricognizione. I tedeschi avevano i mini sottomarini “Molch” e “Mader” da testare ma la Kriegsmarine si occupava anche di altro. Come ad esempio portare nottetempo agenti segreti dell’Abwehr reclutati dal maggiore Karl Sessler [n.d.r.: in effetti, Georg Sessler, che non era un operativo dell'Abwehr - vedere infra] tra la comunità internazionale che ancora viveva a Sanremo, a Marsiglia e Nizza per raccogliere informazioni sulle forze alleate sbarcate nella Francia del Sud con l’operazione “Dragoon”. Berlino voleva sapere quali e quante navi da guerra ci fossero e come poterle colpire.
I dettagli di quella notte di combattimenti sono custoditi nei registri di bordo dell’USS Gleaves [...] Nel frattempo un colpo di 88 dalla costa raggiunge il Gleaves provocando lievi danni e una mezza dozzina di feriti lievi. La nave intanto per sfuggire ai barchini ha iniziato a procedere a zig zag e il comandante ha dato piena potenza alle macchine. Dopo alcune salve esplose verso la costa si allontana dal golfo di Sanremo con la copertura delle motosiluranti che intanto hanno intercettato altri due barchini arrivati di rinforzo. La cattura avviene in quel frangente. I marinai americani circondano i due scafi degli MTM (uno, colpito, poco dopo affonderà) e recuperano i piloti tedeschi che si erano lanciati in mare con le tute da sommozzatori. Alle luci dell’alba il Gleaves torna indietro, la preda di guerra viene caricata a bordo e portata in Costa Azzurra. Scattano le indagini per scoprire il funzionamento dei barchini.
Giulio Gavino, 1944, battaglia in mare a Sanremo: barchini esplosivi all’attacco, Il Secolo XIX, 3 marzo 2023
 
Nell’agosto del 1944 Georg Sessler fu inviato a dirigere l'ufficio di Sanremo che si occupava principalmente di intercettare le trasmissioni radio alleate ma venne incaricato dal suo superiore, il Colonello Engelmann, di reclutare agenti da inviare oltre le linee nemiche. A Sanremo assunse il nome di Doctor Steinbacher.
I diretti collaboratori di Sessler erano Leon Jacobs alias Felix, l’operatore radio Wihlelm Schönherr alias William e il tuttofare Widenmeyer, oltre ad alcuni agenti di nazionalità italiana e francese.
L’ordine ricevuto da Engelmann di occuparsi anche delle infiltrazioni di agenti oltre le linee nemiche mise l’ufficio di Sessler in concorrenza con un’altra struttura presente a Sanremo, retta dallo Sturmannführer Helmut Gohl della Sicherheitspolizei e SD, l’"ufficio VI", la cui attività era dedita al sabotaggio e allo spionaggio diretta contro le forze alleate presenti in Provenza e in Costa Azzurra. La sede sanremese dell’Ufficio VI della S.D. si trovava a Villa Araga, di fronte alla stazione del filobus. Dell’ufficio di Gohl, oltre al suo stretto collaboratore Selm, facevano parte gli Obersturmführer Senner alias Sommer e Werner Neissen e si avvaleva di più di un centinaio di membri del Parti Populaire Français, P.F.F., collaborazionisti durante la stagione del maresciallo Petain, in quel periodo pronti a tornare in Francia per spiare la dislocazione delle forze alleate e compiere azioni di sabotaggio. La missione che coinvolgeva questi esuli fancesi prendeva il nome di operazione Bertram e Tosca.
A Sanremo un altro ufficio della Sicherheitspolizei e SD, che si occupava principalmente di repressione delle bande partigiane e dei reati di natura politica e di repressione del mercato nero, era retta dall’Oberschführer Josef Reiter, che non mancava di inserirsi a gamba tesa anche nelle attività degli uffici precedentemente descritti. Reiter era alle dirette dipendenze del comando di Genova, retto da Friedrich Wilhelm Konrad Sigfrid Engel (Warnau am der Havel 11/2/1909 - Amburgo 4/2/2006), condannato all’ergastolo in contumacia per le stragi del Turchino, della Benedicta, di Portofino e di Crevasco dove, nel complesso, furono fucilati ben duecentoquarantotto tra partigiani e antifascisti.
Giorgio Caudano, Appunti, 2020
 
[ n.d.r.: alcuni lavori di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano (con Paolo Veziano), Dietro le linee nemiche. La guerra delle spie al confine italo-francese 1944-1945, Regione Liguria - Consiglio Regionale, IsrecIm, Fusta editore, 2024; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]
 
Il 1° ottobre i piloti dell'Army Cub scoprirono i MAS tedeschi nel porto di San Remo. Un bombardamento ben mirato, nonostante il forte fuoco di risposta, provocò la distruzione di almeno tre di queste imbarcazioni e la demolizione delle strutture per la riparazione delle barche e di altre installazioni portuali. L'incrociatore USS Gleaves trovò anche il tempo di distruggere almeno una batteria da 88 mm (3 pollici), che si era rivelata pericolosa durante l'attacco. Il giorno successivo, assistito da aerei della USS Brooklyn, bombardò gli stabilimenti costieri, le postazioni delle batterie e le navi nel porto di Oneglia, facendo gravi danni a due grandi navi mercantili nemiche, distruggendo una batteria di difesa costiera e una batteria antiaerea vicino al porto. Durante quell'azione il Gleaves ricevette alcuni dei pochi colpi della sua carriera quando un proiettile da 88 millimetri perforò il suo scafo con le schegge.
Durante la notte, mentre pattugliava al largo di Sanremo, il radar di Gleaves individuò tre navi nemiche che si muovevano lungo la costa. Senza assistenza, si avvicinò a loro, nonostante sapesse della presenza di campi minati, e riuscì a distruggerne uno, costringendo gli altri due al ritiro. Più tardi, quella notte, i restanti due furono nuovamente individuati mentre cercavano di raggiungere Sanremo. Ancora una volta, Gleaves attaccò e questa volta distrusse una seconda nave del gruppo e riportò la terza a Genova, probabilmente in condizioni danneggiate.
Mentre tornava alla sua posizione iniziale al largo di San Remo, quella notte il Gleaves fu ingaggiato per la terza volta a battaglia poiché divenne oggetto di un attacco da parte di almeno cinque motoscafi esplosivi con equipaggio suicida. L'uso accorto e combinato di colpi di cannone, di bombe di profondità e di forti virate alla massima velocità lo misero in salvo, lasciando quattro imbarcazioni affondate nella sua scia. La mattina seguente, tornanto in zona, l'equipaggio catturò il quinto motoscafo intatto e con ancora a bordo due operatori. Per quanto è noto, quella fu la prima imbarcazione di quel tipo catturata ai tedeschi e fornì preziose informazioni tattiche alle forze alleate nella zona.
Nel dicembre 1944 il Gleaves fu assegnato come nave di supporto antincendio vicino alle posizioni alleate sulla frontiera franco-italiana e svolse questo compito fino alla partenza per gli Stati Uniti nel febbraio 1945.
Redazione, USS Gleaves, Wikipedia
 

venerdì 17 maggio 2024

Il capitano Bentley, appena finita la guerra, raccontava...

La parte bassa della zona orientale di Negi, Frazione di Perinaldo (IM)

Può dirmi qualcosa capitano della sua missione di collegamento con il comando operativo della I^ zona militare della Liguria?
Il capitano dei paracadustisti inglesi Robert (Bob) Bentley, che ho conosciuto in montagna e che ora è qui tra noi quale ufficiale dell'A.M.G., scuote la bruna testa e mi sorride, agitando l'indice...
"mi chiede indiscrezioni che io non posso permettermi..."
... soltanto il racconto di qualche sua avventura tra le nostre montagne...
[n.d.r.: Bentley, che, in effetti, faceva parte del SOE britannico, parla a questo punto nell'intervista rilasciata della preparazione della sua missione tra i partigiani: nel fare questo si riferisce anche alla Missione Kahnemann; aggiunge che aveva preso preventivo contatto con Stefano Leo Carabalona, che era arrivato l'11 dicembre 1944 in barca a remi con altri patrioti tra le fila alleate in Costa Azzurra; dettaglia, poi, il suo sbarco clandestino del 6 gennaio 1945 a Vallecrosia (IM), dove era atteso da uomini del locale Gruppo Sbarchi: di questi fa solo i nomi, anche perché erano stati di ausilio nella fase preparatoria, di Nino, Mimmo, Tonino, aggiungendo, di quest'ultimo, che lo aspettò a Negi, Frazione di Perinaldo (IM), dove ormai stavano arrivando, come si vedrà più avanti, gli uomini di Gino Napolitano, in quel momento commissario del I° Battaglione "Mario Bini" della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione", pochi giorni dopo vicecomandante della V^ Brigata. In effetti, in base alle disposizioni operative del comandante Holdsworth del 6 dicembre 1944, Bentley aveva già tentato con il radiotelegrafista caporale Millington di passare le linee ed entrare in Liguria attraverso i passi alpini: recavano con loro 500.000 lire per il compimento della missione e per aiutare i patrioti. Il maltempo e l’accresciuta sorveglianza tedesca avevano impedito il successo di questo approccio. Riprovando via mare, in una missione rinominata “Chimpanzee”, veniva accompagnato questa volta dal radiotelegrafista caporale MacDougall]
... Giungemmo a Negi [Frazione di Perinaldo (IM)] dove incontrammo un gruppo di partigiani di Gino  che ci attendeva per scortarci. Ripartimmo per Baiardo. Alla prima svolta, in distanza scorgemmo due figure solitarie venire verso di noi: un uomo altissimo ed un altro che sembrava molto piccolo accanto al primo. I due sopravvenuti si posero in posizione di difesa nello scorgerci, poi riconobbero gli uomini che ci accompagnavano e ci vennero incontro. Erano Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria] e Gino, che andavano, senza scorta, a minare la strada. Ci presentammo e subito ci affiatammo...
Che impressione le fecero?
Curto quello di capo nato: calmo, freddo, anzi, intelligente e coraggioso, dotato, nella sua impassibilità, di una sua sensibilità concentrata e di un non comune spirito di intuizione. Gino, un ragazzo espansivo, esuberante di vita, ma capace di tutti gli ardimenti e di tutte le temerità.
Spiegai al Curto l'incarico ricevuto e ci comprendemmo immediatamente. Insieme salimmo ai Vignai [Frazione di Baiardo (IM)] e quindi passai con il battaglione di Gori [Domenico Simi, comandante del III° Battaglione "Candido Queirolo" della V^ Brigata]...
[Alle 17.30 completammo l'operazione e raggiungemmo Vignai <Frazione di Baiardo (IM)>. Lì incontrai il sergente Henry Harris dell'USAAF che era stato con il maggiore Campbell... Più tardi scoprii che il sergente Harris era stato chiamato da Curto per controllarci ed essere sicuro che fossimo inglesi e non delle spie...
Robert Bentley in Giuseppe Mac Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia < Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale "Il Ponte" di Vallecrosia (IM)>, 2007]
... eravamo presso il Monte Faudo io, Curto, Sumi [Lorenzo Musso, commissario al comando operativo della I^ Zona Liguria] ed altri ragazzi. Si andava verso Imperia...
Dopo il rastrellamento tedesco a Beusi di fine febbraio il nemico aveva scoperto la mia presenza in montagna e mi dava una caccia spietata. Eravamo impossibilitati ad eseguire qualsiasi trasmissione e tutte le strade verso l'interno ci erano precluse. Gori, con il suo solito spirito pratico, pensò allora di prendere rifugio assieme a noi nel convento dei frati a Taggia. Scendemmo accompagnati da una guida del luogo...
E poi debbo aggiungere ad onor del vero che i giorni trascorsi in convento dopo due mesi di marce forzate, di spostamenti incessanti, di ansie terribili, furono per me una vacanza meravigliosa. Si dormiva in soffitta - erano con me anche Sumi e il radiotelegrafista Mac Dougall - e si stava benissimo. Avevamo un vero letto su cui stenderci e riposare. Ogni sera la nostra guida ci portava i viveri e la cucina dei Frati non era certamente da disprezzare, dati i momenti. Ricordo e sempre ricorderò le simpaticissime figure dei miei ospiti. Padre Vittorio, uomo coltissimo, col quale si discuteva di politica; Padre Serafino ancora giovanissimo che suonava molto bene il violino e sapeva cantare magnificamente. Padre Serafino era anche addetto alla cucina e spesso esercitava la sua voce durante la confezione dei suoi manicaretti, il che talvolta comportava piatti insipidi o troppo salati e salse dal gusto strano... ma lo si perdonava in considerazione del piacere che ci offriva con le sue canzoni. Nè potrò dimenticare l'allegro Padre Badalucco (questo era almeno il suo sopranome) il quale considerava appunto Badalucco il centro dell'universo: ci dava lezioni di strategia aerea e discuteva con noi della necessità di un lancio di parecchie divisioni paracadutiste sulla cittadina per affrettare la fine della guerra!...
Di notte si usciva, ci s'internava nel bosco e si tentava di usare la radio, ma la vicinanza del tedesco e la mancanza delle batterie, che erano state abbandonate a Beusi, non ci permisero mai una trasmissione efficiente. Molte volte corremmo il rischio di essere presi...
Anzi corse voce che lei era stato catturato.
  ... Ritornai a Beusi. Avevamo una capanna nel bosco. Il Battaglione Gori si era riformato e stava con noi. Insieme a me erano pure Curto e Sumi. Simon [Carlo Farini] nel frattempo era partito per Genova...
Ora una notte, una bella serena notte di luna, raffiche di mitragliatrice vicinissime mi svegliano. Il grosso delle nostre forze si era spostato: eravamo nel bosco in cinque o sei soltanto. Strisciammo fuori e scorgemmo, proprio davanti a noi, a non più di trenta o quaranta metri di distanza, un'arma automatica nemica che rafficava verso l'alto bosco. Sempre strisciando il più silenziosamente possibile, in attesa di vederci piombare addosso le pattuglie nemiche, ritornammo alla capanna e facemmo sparire i documenti. Mac si caricò della radio e tutti insieme, di albero in albero, carponi, ci spostammo verso il versante opposto da dove avremmo potuto scalare il pendio in caso fossimo stati minacciati di accerchiamento. Si rimase sul posto fino alle tre: la mitragliatrice nemica, durante tutto quel tempo non cessò mai di tirare. Verso le tre tacque finalmente e noi potemmo portarci su una breve radura, circondata dal folto, al sicuro da sguardi indiscreti, dove restammo con le armi pronte fino al mattino. Sentivamo più in basso i movimenti pesanti di uomini che si spostavano continuamente battendo i margini del bosco.
... Poco dopo scorgemmo colonne di fumo salire dalle case poste nella conca sotto di noi: i tedeschi avevano appiccato il fuoco alla borgata per rappresaglia. Eravamo tristi e preoccupati per gli amici che vi abitavano...
... La situazione si faceva critica. Eravamo un pugno di uomini con pochissime munizioni e la responsabilità della radio e dei documenti. Decidemmo di tentare una difficile ritirata verso Ciabaudo [Frazione di Badalucco (IM)].
... Ma prima dell'alba eravamo nuovamente in piedi e riprendevamo il cammino verso Ciabaudo, lieti di averla fatta in barba al tedesco ed allegri come prima...
Raccontarle tutte le altre mie avventure, da Ciabaudo a Baiardo e a Gerbonte, da Viozene a Agaggio [Frazione di Molini di Triora (IM)] e a Buggio [Frazione di Pigna (IM)], sarebbe troppo lungo. Le dirò per finire che mentre mi trovavo a Buggio presso i fratelli Aicardi il 24 aprile [1945] ci giunse una lettera del C.L.N. che ci informava della ritirata nemica. Con Curto, Sumi e Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della VI^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Silvio Bonfante"] stabilimmo gli ultimi piani ed i1 25 mattina, dopo aver infranto la resistenza di reparti tedeschi di retroguardia, facemmo il nostro ingresso ad Oneglia, finalmente libera. Tutta la popolazione ci accolse con commovente entusiasmo, quell'entusiasmo italiano che tocca il cuore perché vi si sente la passione...
Ancora una domanda, capitano, ed è l'ultima. Qual'è la sua impressione sulla lotta partigiana?
Magnifica. Ho assistito ad azioni che avrebbero inorgoglito armate ben più attrezzate. Sono stato testimone di eroismi inauditi. Potete andar fieri di questi vostri combattenti meravigliosi e dei loro capi il cui apporto alla causa comune è stato grandissimo e talvolta decisivo. Mercé il loro sacrificio l'Italia è rientrata nel consesso delle libere nazioni e giustizia dovrà esserle resa...
Mario Mascia, L’epopea dell’esercito scalzo, ed. A.L.I.S., 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia