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sabato 10 agosto 2024

Cade Romano, che si diceva avesse preso parte a Roma all'attentato di Via Rasella

Degna, Frazione del comune di Casanova Lerrone (SV). Fonte: F.A.I.

Il 26 gennaio 1945 riprese il grande rastrellamento ai danni delle formazioni della Divisione "Silvio Bonfante", iniziato sei giorni prima. Verso la sera del 26, infatti, il Distaccamento “Giuseppe Catter” della III^ Brigata “Ettore Bacigalupo” con una marcia di quasi cento chilometri si portò dalla Val Pennavaira alle pendici del monte Torre. Giunti nei pressi della Cappella Soprana di Stellanello (SV), quattro garibaldini si accantonarono in un sito da cui avvistarono una colonna di “Monte Rosa”. “Il commissario Gapon (Renzo Scotto), il capo squadra Bruno (Bruno Amoretti), i garibaldini Marat e Franco (Dante Del Polito) combatterono eroicamente, uccidendo il tenente comandante del pattuglione, un sottoufficiale e quattro soldati. Il nemico rimane disorientato e facilita lo sganciamento dei garibaldini”: così annotò Luigi Massabò “Pantera”, vice comandante della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", nella sua Cronistoria militare della VI^ Divisione “Silvio Bonfante” [n.d.r.: documento inedito perlomeno nel 1999, al momento della stesura della qui citata tesi di laurea, documento conservato presso l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia]. Tra quei partigiani vi era anche “Marat” (Renzo Urbotti, nato nel 1920 a Reggio Emilia), che dopo pochi metri morirà per le ferite riportate nello scontro. Anche il giorno 27 gennaio 1945 fu segnato da vasti rastrellamenti nemici, in particolare da formazioni della “Muti” e della “Monte Rosa”, che batterono la zona di Ginestro [Frazione di Testico in provincia di Savona]. Alle 7 del mattino “la pattuglia a fondo valle comunica che il nemico si avvicina alla nostra zona… le squadre vengono disposte in ordine di combattimento. Il garibaldino Brescia (Longhi Mario) allo scoperto, con il suo inseparabile M.G., apriva il fuoco contro il nemico avanzante. Una raffica avversaria gli asportava l’arma dalle mani… veniva colpito mortalmente alla testa”: ancora una memoria di Luigi Massabò “Pantera”, Op. cit. Durante lo stesso combattimento periva, altresì, il garibaldino “Romano” (Paloni Silvio). Le due squadre del Distaccamento “Giovanni Garbagnati” della I^ Brigata “Silvano Belgrano” della Divisione "Silvio Bonfante" riuscirono ad aprirsi la strada per la fuga perdendo un fucile tapum ed una macchina da scrivere. Il 28 gennaio le truppe addette ai rastrellamenti abbandonarono le valli presidiate nei giorni precedenti (Pennavaira, Arroscia e Lerrone), ad eccezione della valle di Andora che sarà abbandonata il giorno successivo. Unico grande presidio della zona rimarrà quello di Borgo di Ranzo, sede comunale di Ranzo (IM), che ospiterà circa centoventi soldati delle “Brigate Nere”. Cessato il pericolo costituito dai rastrellamenti dei giorni precedenti, il Comando Divisionale della “Bonfante” dispose lo spostamento nella valle d’Arroscia (parte nord) del Comando della III^ Brigata e della sua Intendenza, mentre il Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata “Ettore Bacigalupo” si spostava nella zona di Aurigo ed il Distaccamento “Gian Francesco De Marchi”, sempre dell’appena citata Brigata, in Val Pennavaira.  Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Il riposo di Gapon [n.d.r.: Felice Scotto, commissario della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" della Divisione Garibaldi "Silvio Bonfante] è breve, il freddo è intenso e fermarsi all'aperto sarebbe fatale per tutti. I quattro scendono a un casone a Cappella Soprana, il pensiero dei compagni che fra poco saranno in salvo li tranquillizza in parte, ma dà anche un'acuta malinconia. Nel casone sono soli, intorno freddo, neve, squallore. Che fare? Accendono un fuoco per scaldarsi, per ravvivare l'ambiente, per asciugare gli abiti bagnati, per sentirsi meno soli.
Non saranno più soli fra poco: un gruppo di Cacciatori degli Appennini ha visto il fumo levarsi dal casone; di solito a quell'altezza i casolari sono vuoti d'inverno: quel fumo puzza di ribelli, gli alpini decidono di andare a vedere.
Gli alpini salgono lungo il pendio cauti, silenziosi: è necessario cogliere i partigiani di sorpresa e intorno il terreno è bianco di neve e scoperto; se i ribelli avessero una mitraglia pesante e sparassero sarebbero guai.
Bruno avvista gli alpini ed avverte: «Gapon, c'è la Monte Rosa!». I partigiani guardano la colonna che sale e comprendono che ormai è tardi per uscire: i fascisti sono troppo vicini e loro troppo stanchi, verrebbero colpiti agevolmente nella fuga allo scoperto. Non rimane che attendere, attendere cosa? Di essere assediati che hanno solo tre moschetti ed un mitra Mas francese, che tira solo a raffica ed a breve distanza?
Gapon ha un piano, disperato, ma il solo possibile: attendere, attendere che il nemico sia a pochi metri, che l'ufficiale in punta di piedi si avvicini ad una porta, allora Gapon si affaccia all'altra che è a fianco della prima e spara sul tenente, gli altri assieme tirano sul grosso. Il nemico è sorpreso, esita, i nostri tirano ancora, gli alpini ripiegano lasciando sul terreno il tenente e cinque morti, allora i partigiani escono e si danno alla fuga. Bruno viene ferito ad una gamba, Marat [Renzo Urbotti] cammina a stento. Allora Gapon decide di fermarsi da solo, tratterrà il nemico facendo fuoco col MAS, attirando su di sé i colpi degli alpini, darà forse agli altri la possibilità di salvarsi. Gapon ha pochi colpi, spara come può raffiche brevi, poi si ritira a balzi, inseguito dalle raffiche del nemico, fin quando un banco di nebbia provvidenziale lo mette al coperto.
Lo scontro di Cappella Soprana costò al nemico sei morti, a noi uno: Marat che non riuscì a superare i disagi della marcia e del clima, che con Bruno perse la strada e nella notte finì assiderato presso il passo di Cesio.
Nei giorni tra il 24 ed il 27 Pantera [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"], che era rimasto nascosto presso Casanova, riesce a raggiungere Osvaldo [Osvaldo Contestabile, commissario della stessa Divisione partigiana] a Segua [borgata del comune di Casanova Lerrone (SV)].
La situazione in Val Lerrone è sempre grave, pattuglioni nemici del presidio di Casanova percorrono la carrozzabile a tutte le ore, tuttavia la frazione di Segua, per la stessa vicinanza allo stradone, è trascurata dagli alpini che non sospettano che un Comando partigiano possa rimanere in una zona tanto esposta. Il Comando vi sosterebbe ancora se non gli fosse giunta una notizia di una gravità incalcolabile: a Casanova è stato catturato Pimpirinella, una staffetta che è al corrente della sede del Comando, anzi conosce la stessa ubicazione dei rifugi di Segua. Poco dopo si sparge la voce che, durante l'interrogatorio, Pimpirinella ha parlato.
Il nemico da Casanova può piombare a Segua in mezz'ora, non vi è quindi da esitare, il comando deve partire. Per dove? Si decide di andare a Ginestro: là c'è un gruppo numeroso del G. Garbagnati, la banda di Stalin; in caso di bisogno si potrà contare su uomini decisi e su armi discrete. Partono così Pantera, Osvaldo ed una staffetta, quello che rimaneva del Comando della Bonfante.
Il nemico invece di attaccare Segua aveva già come obiettivo Ginestro. Perché? Ci fu chi lo mise al corrente dello spostamento? Probabilmente no, forse la verità fu diversa da quanto avevamo supposto. E' probabile che Pimpirinella, interrogato dagli alpini su dove fosse il comando divisionale, abbia compreso che tenersi sulla negativa era rischiare la pelle o la tortura. Non volendo tradire e sapendo che era nella zona di Degna fece il nome di Ginestro. Perché proprio Ginestro? E' difficile dirlo, probabilmente perché il nemico aveva già visitato Vellego, Casanova, Degna, Poggiobottaro e Tèstico. A Poggiobottaro anzi era entrato più volte nella casa dove era il S.I.M. senza trovare traccia dei partigiani nascosti. Il nemico sapeva che il Comando era in Val Lerrone, aveva creduto che fosse ancora presso Marmoreo ed aveva battuto la zona a fondo. Non si poteva far quindi il nome di questi paesi perché il nemico non vi avrebbe creduto e sarebbe passato alle torture. Non rimaneva incontrollata che qualche frazione isolata come Segua e Ginestro; è probabile che il prigioniero abbia fatto questo nome per salvarsi e sviare le ricerche; per questo in seguito verrà da Pantera accusato di tradimento. L'accusa resterà però solo teorica perché Pimpirinella sparì e si disse che fosse deportato in Germania.
A Casanova quindi il 26 si sospettava che il Comando della Bonfante fosse a Ginestro: prevedendo una forte resistenza si decise di tentare il colpo in grande stile, non uno avrebbe dovuto sfuggire.
Ginestro è situato in una valletta laterale scavata da un ruscello che nasce sotto lo stradone Tèstico-Cesio e che finisce nel Lerrone. Due mulattiere provenienti da Degna e da Vellego scavalcano il Lerrone, si uniscono a fondovalle  presso la cappella dell'Ascensione, indi salgono nella valletta ripida e chiusa costeggiando il rivo sul lato occidentale. Il paese di Ginestro è situato in alto, verso la testata della valle, la massima parte sul versante occidentale verso Cesio, qualche casupola sul versante di fronte. Le due creste della piccola valle sono percorse da sentieri e mulattiere, i pendii sono a castagni, ulivi e rovi, molti rovi che rendono impraticabili le zone senza strade ed anche qualche sentiero come quello che dalla frazione orientale dovrebbe portare a Degna.
Questo il terreno, ottimo d'estate, mediocre d'inverno perché l'occultamento vi è difficile per la ristrettezza della zona e la scarsità di alberi a foglie perenni. Se si occupano in tempo le creste, la valle è difendibile. In caso di attacco di sorpresa ci si potrebbe ritirare su Poggiobottaro, Tèstico, Vellego e Degna, è però possibile essere anche attaccati simultaneamente da tutti questi punti ed allora la situazione può diventare disperata.
Due squadre del Garbagnati presidiano la frazione orientale, in quella principale ad occidente c'è una buona banda locale su cui si può contare, almeno per il servizio di guardia: sono giovani che non hanno risposto al bando italo-tedesco di Casanova e quindi condividono il nostro destino. Le sentinelle partigiane controllano la cresta orientale di Poggiobottaro e gli accessi da Tèstico, i borghesi la cresta verso Cesio e la mulattiera di fondovalle.
La mattina del 27 i borghesi danno l'allarme: colonne provenienti da Degna e Vellego risalgono la valle puntando verso il paese: sono Cacciatori degli Appennini, non si sa quanti siano ma è evidente la loro intenzione di rastrellare.
Appena dato l'allarme i partigiani impugnano le armi e puntano verso la cresta: se riescono ad arrivare in cima potranno dare una buona lezione ai rastrellatori perché con le mitraglie pesanti piazzate sulla cresta potranno battere agevolmente la strada di Ginestro. E' necessario salire rapidamente per non essere colti sul versante in fase di spostamento. Purtroppo è già tardi: come si temeva, il nemico non attacca solo da fondovalle. Mentre salgono, i garibaldini incontrano la pattuglia che era in cresta che scende: ci sono i tedeschi che da Tèstico salgono sull'altro versante. Sono già in cresta? E' probabile perché, quando la sentinella li ha avvistati, erano ormai vicini. La pattuglia ha preferito scendere ad avvisare piuttosto che dare l'allarme sparando per non rivelare la propria presenza. Questo ritardo ci è fatale: ormai i partigiani sono tra due fuochi: bloccati sul pendio da tre lati col nemico di fronte, di sopra e di fianco.
Riconquistare la cresta è difficilissimo perché dal versante di fronte gli alpini possono controllare i nostri movimenti e spararci addosso; sperare che il nemico non ci veda è impossibile, perché la manovra indica chiaramente che il rastrellamento è per noi. Non rimane che cercare di ripiegare verso Degna per il vecchio sentiero impraticabile, passando come si potrà. Se necessario si darà battaglia per aprirsi il varco.
La lotta si sviluppa violenta: il nemico piazzato tra gli ulivi e nel paese di fronte tira sui nostri con tutte le sue armi, i partigiani, occultati tra i roveti ed i cespugli, si spostano a tratti, a brevi balzi rapidi, verso il fianco libero, cercando di non esporsi ai colpi nemici. Le armi del Garbagnati rispondono ai colpi cercando di individuare le mitraglie più pericolose, di coprire la ritirata dei compagni.
I partigiani sono abituati a vedere la morte da vicino; pure poche volte una banda si trovò in una situazione così grave; erano necessari tutta l'esperienza, l'allenamento, il coraggio affinati in lunghi mesi di lotta per riuscire a sganciarsi. Nella ritirata si forma un gruppo composto da Osvaldo, Pantera, Formica, Pirata e Brescia: procedono a sbalzi fra i rovi fin quando vengono bloccati da un piccolo dirupo: quattro o cinque metri più sotto è la piazzola di una carbonaia battuta delle mitraglie nemiche, più in là il bosco. E' necessario saltare sotto il fuoco. Prima tenta Osvaldo: una raffica di colpi gli strappa la coperta dalle spalle e lo ferisce leggermente ad un piede, ma riesce a passare. Poi è la volta di Pirata, che era stato con la Matteotti: viene colpito ad un braccio e perde il fucile automatico. Poi è la volta di Pantera, Formica e Brescia: passano incolumi. Al margine del bosco Brescia si ferma, prende il mitragliatore che ha portato con sé e riprende a sparare sui fascisti che gridano ai partigiani di arrendersi. Per meglio sparare si alza in piedi, invano incitato da Pantera a venir via. Una raffica nemica lo colpisce alle braccia, un'altra gli crivella il ventre. Gli altri proseguono la ritirata al coperto del bosco. Cade Romano, che si diceva avesse preso parte a Roma all'attentato di Via Rasella. Chissà come era finito in settembre con i San Marco di base a Chiappa:  quando i partigiani si erano avvicinati al suo reparto aveva fatto arrendere i compagni evitando il combattimento. Mentre il «Garbagnati» ripiegava Romano si smarrì e scese a fondovalle assieme a Mimmo. Scontratisi con una pattuglia nemica vennero catturati entrambi. Poco dopo Mimmo tentò la fuga e, lasciando la giacca fra i rovi, riuscì a dileguarsi. Romano, fuggito anche lui, incontrò un'altra colonna e venne fulminato da una scarica. Sono perduti per il «Garbagnati» la mitraglia di Brescia ed il fucile di Pirata, le altre armi e parte del materiale vengono invece salvate. Il terreno è aspro ed impervio, in molti punti vere barriere di rovi vengono sfondate dai partigiani lanciatisi tra le spine per aprirsi un varco: nuovi sentieri vengono aperti nel sottobosco nella disperata fuga della banda sotto il fuoco nemico. Anche questa volta si riesce ad uscirne; a poco a poco la valle si allarga, i colpi si fanno più radi, i partigiani passano in Val Lerrone, quindi la banda si disperde.
Le perdite nemiche non furono accertate; qualche tempo dopo il corpo di un alpino fu trovato nella cappella dell'Ascensione: forse un ferito dissanguatosi che aveva cercato un inutile rifugio. Di altri caduti non avemmo notizia.
Il nemico incendiò a Ginestro la cappelletta che era stata la nostra base, saccheggiò a fondo Ginestro usando i metodi propri delle squadre comandate dal cap. Ferraris del quale alcuni dissero di aver riconosciuto la voce che intimava ai partigiani la resa, poi tornò da dove era partito: il colpo era andato in gran parte a vuoto.
Pantera ed Osvaldo ripiegarono su Degna, poi di là proseguirono per Ubaghetta. Osvaldo era malato, una febbre forte lo aveva colpito da qualche giorno e la sua marcia era difficile e lenta. Ad Ubaghetta il nemico si accorse dell'avvicinarsi dei nostri e li attese appostato con una mitraglia: avrebbe ripetuto il colpo già riuscito e che era costato la vita di Miscioscia. Quando i nostri erano ormai quasi a tiro incontrarono un civile che, in preda ad una violenta emozione, li avvertì che il nemico li aspettava. Così questa volta l'agguato andò a vuoto.
Lo scontro di Ginestro fu l'ultimo del rastrellamento: il 28 ed il 29 i nemici sgomberarono la Val Pennavaira, la Val Lerrone, la Valle di Stellanello. In Val d'Arroscia rimase solo un presidio a Ranzo.
Ancora una volta i partigiani possono riunirsi, contarsi, seppellire i loro morti, riannodare le file strappate.
Il bilancio del rastrellamento? Quale era stato intanto l'obiettivo nemico? L'annientamento del movimento partigiano?
L'inverno ci aveva obbligato a scendere in una zona militarmente infelice, senza possibilità di ritirata. Eravamo rimasti in pochi, male armati: se il nostro annientamento non fosse riuscito ora, non sarebbe riuscito mai più. Il rastrellamento invernale era stato la migliore e forse ultima occasione che aveva avuto il nemico.
I mezzi impiegati? Vari: l'attacco diretto contro le bande, il presidio dei paesi, il pattugliamento degli stradoni per impedire il raggruppamento degli sbandati, per aumentare le possibilità di catture fortite. Le minacce contro i civili dovevano impedire che i banditi trovassero appoggio, potessero mimetizzarsi tra i giovani dei paesi per poi tornare ad accrescere gli effettivi delle bande.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980, pp. 156-160

29 gennaio 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione sull'andamento della Divisione e sulla dislocazione dei suoi reparti, rispetto ai quali segnalava lo spostamento del Distaccamento "Giuseppe Maccanò" della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" nella zona di Aurigo e del Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" della menzionata Brigata in Val Pennavaira.
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Zona Operativa Liguria - Relazione: "... Il 26 gennaio il commissario di Brigata [III^ Brigata "Ettore Bacigalupo"] 'Gapon' [Felice Scotto] veniva attaccato dai soldati della RSI, ma infliggeva loro la perdita di 6 uomini. I soldati repubblicani occupavano Alto, Nasino, Borgo Ranzo, Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta; il 21 gennaio occupavano altresì Casanova Lerrone, Marmoreo, Garlenda, Testico, San Damiano, Degna e Vellego. Il 22 gennaio il nemico abbandonava Borghetto d'Arroscia, Ubaga e Ubaghetta. Il 27 gennaio le forze avversarie attaccavano una squadra la quale riportava la perdita di 2 garibaldini. Durante il rastrellamento il capo di Stato Maggiore della Divisione insieme ai comandanti 'Cimitero' [Bruno Schivo] e 'Meazza' [Pietro Maggio] con 2 Distaccamenti attaccavano in più punti il nemico infiggendo la perdita di 13 uomini e subendo l'uccisione di 1 solo partigiano".
31 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" a... allegato n° 24 circa le perdite subite nel mese di gennaio 1945: "... il 23 Germano Cardoletti; il 26 Ettore Talluri, Bruno Cavalli, Walter Del Carpio, Giuseppe Lobba, Oreste Medica, Ugo Moschi, Luciano Mantovani, Fausto Romano, tutti deceduti a Degolla e a Cappella Soprana Renzo Orbotti; il 27 a Ginestro Mario Longhi (Brescia) e Silvio Paloni (Romano)...".
2 febbraio 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione sui fatti di Ginestro e di Testico del 27 gennaio 1945, quando vennero attaccate 2 squadre del Distaccamento "Garbagnati" e rimasero uccisi "Brescia" [Mario Longhi] e "Romano" [Silvio Paloni].
3 febbraio 1945 - Dal commissario prefettizio di Albenga ai podestà di Ortovero, Villanova d'Albenga, Casanova Lerrone, Vendone, Nasino, Castelbianco, Castelvecchio, Zuccarello, Cisano sul Neva e Garlenda - Trasmetteva l'ordine della Feldgendarmerie di fare rientrare nella Brigata Nera di Albenga le giovani reclute che, appena arrivate all'arruolamento, si erano allontanate dalla caserma, perché passibili di fucilazione come "banditi".
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

sabato 20 aprile 2024

La salma di Ivanoe Amoretti è oggi custodita nel sacello 103 del Mausoleo delle Fosse Ardeatine insieme a quelle delle altre vittime dell’eccidio

Ivanoe Amoretti. Fonte: Mausoleo Fosse Ardeatine

Ivanoe Amoretti nacque a Imperia il 12 novembre del 1920 da Augusto e Antonietta Delbecchi. Rimasto orfano di padre dall’età di quattro anni, fin da giovanissimo fu attivo membro del circolo Giac «Giosuè Borsi» di Imperia Oneglia. I compagni di associazione, in una testimonianza scritta dopo la sua morte, lo descrissero come uno dei soci più impegnati: «L’associazione Borsi di Oneglia lo ebbe tra i suoi più assidui Aspiranti. In seguito passato alla Sezione Effettivi fece parte del Gruppo Studenti di cui fu uno dei più zelanti ed assidui. Si dimostrò sempre di carattere buono e serio, aperto ed affettuoso con gli amici, i quali ne serba[ro]no gelosamente un perenne ricordo. Ebbe incarichi direttivi nell’Associazione dove temprò l’anima ed il cuore».
Dopo gli studi elementari e medi presso la città natale, si iscrisse al liceo scientifico di Genova e, ottenuto il diploma, alla Facoltà di ingegneria dell’università del capoluogo ligure. Ben presto, però, temendo che la madre non potesse sostenere la spesa per continuare i suoi studi, decise di fare domanda per essere ammesso all’accademia militare di Artiglieria e Genio di Torino. Passate brillantemente le selezioni, dopo il periodo di formazione ottenne il grado di sottotenente in servizio permanente effettivo e si vide assegnato alla 6ª divisione fanteria Isonzo con la quale partecipò alle operazioni belliche della Seconda guerra mondiale.
Nel corso del 1941 venne dapprima spedito con il suo reparto in Grecia, successivamente trasferito in Croazia per il presidio delle postazioni italiane più avanzate. Fu in questa nuova destinazione che venne raggiunto dalla notizia della firma dell’armistizio di Cassibile che, pur ponendo fine alle ostilità con gli angloamericani, lasciava drammaticamente aperto il nodo circa i rapporti da tenere con l’ex alleato germanico. In particolar modo, vista l’ambiguità degli ordini provenienti dal governo Badoglio e l’incertezza dei comandi militari sull’opportunità di resistere all’inevitabile offensiva tedesca, i reparti cominciarono a sbandarsi e diversi suoi commilitoni decisero di lasciare il loro posto per trovare una via di fuga e non rischiare la deportazione in Germania. Già il 9 settembre, infatti, la Wermacht attaccò le guarnigioni italiane presenti in Croazia e, dopo aver preso parte ai primi combattimenti ed essere stato ferito lievemente a una gamba, A. non poté che fare ritorno in patria unendosi ad altri ufficiali che avevano trovato il modo di recarsi a Roma.
Giunto nella capitale, prese immediati contatti con il movimento resistenziale che andava costituendosi. Dopo diversi colloqui con alcuni responsabili delle bande partigiane operanti nel territorio romano, decise di inserirsi tra le fila dell’organizzazione clandestina Travertino che era raccolta attorno alla figura di don Desiderio Nobels, carismatico parroco della chiesa di San Giuseppe nell’omonimo quartiere. Viste le sue capacità militari affinate durante il periodo di formazione e di servizio presso l’esercito, ad A. venne assegnato il compito di addestrare diversi nuclei di giovani volontari che si dicevano disponibili ad entrare tra le file dei partigiani, in particolar modo nei periodi successivi all’emanazione dei bandi di reclutamento fortemente voluti da Graziani. A questo, peraltro, aggiunse una delicatissima opera di informazione e contatto con le forze angloamericane che risalivano la penisola verso la capitale. Fu lo stesso don Nobels che nel dopoguerra ebbe modo di testimoniare: «Della sua attività nessuno sapeva nulla. Le preziose carte militari dei dintorni di Roma, arrotolate in una canna su cui sospendeva le cravatte, non furono scoperte. Nulla trapelò sull’organizzazione di cui faceva parte. Nulla, né a casa, né a via Tasso dove fu sottoposto a interrogatorio, né a Regina Coeli dove attendeva la fine. […] Il tenace e generoso Amoretti portò il suo segreto con fedeltà nel cupo silenzio delle fosse Ardeatine e vi fu sepolto con lui».
Il 12 febbraio del 1944 ebbe l’incarico di accertare gli effetti di un bombardamento effettuato dagli Alleati alla Cecchignola e di fornire notizie precise al fine di rettificare il lancio delle bombe per ottenere un risultato di maggior rilievo. Probabilmente a causa di una delazione, mentre era occupato in questo compito venne raggiunto da un manipolo di militi tedeschi che lo bloccarono e lo posero in stato di arresto. Condotto nelle carceri di via Tasso, A. fu duramente interrogato, percosso e torturato per diversi giorni, allo scopo di indurlo a confessare i nominativi dei responsabili del movimento resistenziale capitolino e le informazioni che attraverso la sua attività aveva recapitato al nemico. Trincerato dietro un ostinato silenzio, i suoi aguzzini dovettero infine arrendersi all’impossibilità di estorcergli rivelazioni e decisero di condurlo al carcere di Regina Coeli.
Il 23 marzo del 1944, a seguito di un’azione condotta da un Gap della capitale in via Rasella, in cui trovarono la morte trentatré militi della forza d’occupazione tedesca appartenenti alla XI Compagnia del III Battaglione Polizeiregiment Bozen, P. fu tra i 330, poi divenuti 335, nomi che vennero designati per la rappresaglia decisa dal comando nazista che scelse di condannare a morte dieci italiani per ogni tedesco morto nell’operazione gappista. Il giovane, dopo essere stato prelevato dalla sua cella, venne dunque condotto alle Fosse Ardeatine e trucidato insieme agli altri prigionieri designati. La salma di A. è oggi custodita nel sacello 103 del Mausoleo delle Fosse Ardeatine insieme a quelle delle altre vittime dell’eccidio.
Nel 1995 il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro gli conferì la medaglia di bronzo al valor militare alla memoria con la qualifica di tenente in servizio permanente effettivo e la seguente motivazione: «Subito dopo l’8 settembre 1943, rientrato dalla Croazia, prese parte ad alcune operazioni nelle montagne di Imperia. Recatosi a Roma nel novembre del 1943, entrò nell’associazione clandestina “Traversito” [sic]; fra l’altro ebbe l’incarico di fare sopralluoghi per il servizio segreto di informazioni alle dipendenze della 5a armata americana. Durante una difficile missione, 12 febbraio 1944, venne arrestato dalle SS tedesche; incarcerato e seviziato non tradì mai la causa. Fu barbaramente trucidato il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine».
Redazione, Ivanoe Amoretti, Biografie Resistenti

Ivanoe Amoretti nacque ad Imperia il dodici Novembre del 1920, figlio di Augusto ed Antonietta Delbecchi.
Entrato nell’esercito combatté durante la seconda guerra mondiale soprattutto nei Balcani: l’armistizio di Cassibile, l’otto Settembre del 1943, che segnò il termine delle ostilità tra italiani ed anglo-americani lo colse con il suo battaglione in Croazia, allora stato fantoccio guidato dal premier fascista Ante Pavelic. Riuscì fortunosamente a rientrare in Patria dove si unì alla pari di altri ufficiali e sottufficiali dell’armata italiana allo sbando ai partigiani.
Condusse la guerra di liberazione nel Lazio alle porte di Roma ed all’interno della città stessa. Fu inquadrato nella banda partigiana dell’Arco di Travertino, periferia sud- orientale di Roma, nata attorno alla figura del parroco belga della chiesa di San Giuseppe nell’omonimo quartiere, monsignor Desiderio Nobels. L’intento della banda, organizzata su volere degli anglo-americani, era quello di fornire il maggior numero di informazioni ai nuovi alleati proprio nel momento in cui essi stavano compiendo il maggior sforzo per liberare la capitale dall’oppressione nazi-fascista.
Amoretti fu un elemento molto prezioso di quella banda ma forse un tradimento da parte di una spia germanica ne decretò l’arresto. Candidato ad essere condannato a morte, Amoretti fu condotto nella tristemente nota pensione “Oltremare” di Via Principe Amedeo all’Esquilino e qui orrendamente torturato dagli sgherri della Gestapo. Fu tra i primi ad essere inserito, da Kappler, nell’elenco dei trucidandi alle Fosse Ardeatine.
Nel 1995 il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro gli conferì la medaglia di bronzo al valor militare alla memoria.  
Redazione, Ivanoe Amoretti, Infinita memoria 

venerdì 24 marzo 2023

Sull'atlantino dei partigiani la mia matita annerisce giorno per giorno le regioni della Germania che sfuggono al Terzo Reich

Andora (SV): dintorni. Foto: Eleonora Maini

Il problema degli effettivi venne risolto in pratica da ogni capobanda a suo piacimento. Le disposizioni del Comando lasciarono largo margine d'interpretazione e furono solo abbastanza precise nello sconsigliare l'arruolamento di repubblicani. Quasi tutti i comandanti ingrossarono la propria banda, poiché comandare molti uomini era ambizione diffusa.
Solo pochi come Stalin [Franco Bianchi, comandante di un Distaccamento] e qualche altro preferirono un pugno d'uomini decisi anteponendo la qualità alla quantità. Quando i distaccamenti si ingrossarono eccessivamente intervennero i comandi brigata e li scissero in due.
In Val Tanaro Fra' Diavolo operava del tutto autonomo inviando notizie saltuarie della sua attività. L'attrazione del suo nome era tale che la IV Brigata «D. Arnera», che dipendeva da lui, e che era agli inizi composta del solo distaccamento «M. Longhi», ai primi di aprile 1945 conterà ben cinque bande.
La I Brigata portò anch'essa il numero dei propri distaccamenti da tre a cinque assumendo uno schieramento a parziale difesa della valle d'Andora.
A nord la II e la III  Brigata si riprendevano più lentamente, date la crisi dei comandi e la mancanza di servizi efficienti.
Il 24 marzo 1945 l'attenzione si porta nuovamente su Alto perché pare imminente un lancio di maggiore importanza. Lo schieramento di difesa è meno imponente. Pensiamo che ciò sia dovuto alla rapidità con cui si è svolta la raccolta del primo lancio e alla lentezza della reazione nemica. Un rapido abbassarsi della temperatura e una ripresa delle piogge sui monti impone un nuovo duro sacrificio alle bande di presidio sulle cime. Il morale degli uomini, già duramente colpito dalla morte di Rostida [Costante Rustida Brando], subisce una nuova prova: l'aspetto della valle è tornato ad essere invernale, l'incubo del rastrellamento si alterna alla speranza del lancio imminente.
Torno ad Alto dal 24 al 28. Vi trovo Libero [Paolo Aicardi] con i resti del «G. Maccanò» salvatisi un mese prima dal rastrellamento di Aurigo. Gli uomini sono profondamente demoralizzati, il commissario li ha piantati. «Mi ha mandato lo Sten ed i soldi e non si è fatto più vedere», diceva Libero ai compagni. «E' stato galantuomo che ti ha mandato i soldi», lo consolava Turbine. C'era poi la faccenda del manifesto di mobilitazione di Aurigo. «Mi hanno dato gli arresti per la quarta volta», diceva Turbine. «Adesso però sono innocente. Non mi sono mai mosso da Alto da un mese ed un tipo strano che passa per Aurigo fa un manifesto e lo firma Turbine. Il Comando mi manda una lettera: Turbine agli arresti. Per fortuna che sono parole» Il tipo strano che aveva avuta la geniale idea del manifesto era Libero.
Il G. Maccanò venne sciolto, gli uomini aggregati alla brigata di Fra' Diavolo ed una nuova banda G. Maccanò, formata da nuove reclute, farà parte della IV Brigata.
La banda di Trucco o distaccamento M. Agnese che, dai tempi di Upega, ridotto a dodici uomini, vivacchiava nella Val di Mendatica, invitato più volte ad unirsi al grosso della Divisione, passò la «28» il giorno 25 fermandosi presso Moano [Frazione di Pieve di Teco (IM)].
I giorni passavano lenti tra la pioggia ed il fango nell'inutile attesa. Spesso il cavo a bassa tensione che collegava Alto con la dinamo in fondo al torrente aveva dispersioni e le trasmissioni radio subivano forti abbassamenti di volume. Cambiando rapidamente la spina del trasformatore riuscivamo a riprendere l'ascolto, ma ogni volta sfuggivano intere frasi ed ogni parola poteva essere quella del lancio da noi atteso. Al pomeriggio, alle 20.30, dopo cena ad ogni trasmissione gli incaricati dal comando, circondati dai compagni ascoltano parole e parole. Coi messaggi speciali giungono le notizie delle armate del Reno: l'offensiva finale è in corso, città e città, chilometri e chilometri di Germania vengono occupati dagli alleati: sull'atlantino dei partigiani la mia matita annerisce giorno per giorno le regioni della Germania che sfuggono al Terzo Reich. La fine del nazismo non è ormai più lontana, è però sempre più per noi un'incognita l'atteggiamento che terrà l'esercito tedesco in Italia. La disfatta in Germania rende sempre meno sicura la ritirata dall'Italia. Se gli alleati non sfonderanno sull'Appennino non diverrà l'Italia del nord una grande sacca come Creta, il fronte di Curlandia, i porti francesi sull'Atlantico? Assieme alla Norvegia ed alla Boemia non sarà la nostra terra l'ultimo rifugio del nazismo morente? Comunque il momento decisivo è vicino e noi siamo ancora terribilmente impreparati.
Ricordavo lo scorso autunno... I piani per l'occupazione di Imperia... Quanto siamo mutati da allora. Il passato tornava sempre alla nostra mente, parlando con i compagni si ricordavano episodi noti, si apprendevano particolari sconosciuti.
Gino Glorio (Magnesia), Alpi Marittime 1943-45. Diario di un partigiano - II parte, Nuova Editrice Genovese, 1980


22 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 234, al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" [comandante "Mancen" Massimo Gismondi] - Disponeva il passaggio di 10 Kg. di plastico con miccia e detonatore da "Ciccio" a "Marco" e di altri 10 Kg. da consegnare a "Mario".

23 marzo 1945 - Dal comando della Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 238, al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" [comandante "Mancen" Massimo Gismondi] - Chiedeva di completare i preparativi per andare a ritirare il materiale in arrivo con un aviolancio alleato; di sospendere il colpo progettato contro il posto di blocco di Cervo ed ogni altra azione; di sottrarsi al nemico in caso di attacco, ma, se obbligati, di reagire.

24 marzo 1945 - Dal comando della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava l'assegnazione degli encomi solenni alla memoria a "Rustida" ed a "Remo", sottolineando che "Rustida", Costante Brando, era nato a Milano il 25 ottobre 1925, mentre di "Remo" non si conoscevano i dati biografici.

25 marzo 1945 - Da "Pantera" [Luigi Massabò, vice comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] al comando della Divisione "Silvio Bonfante" - Segnalava che il 20 marzo 1945 alle ore 7 forze nemiche, provenienti da Pornassio, San Bernardo di Garessio, Cerisola, Acquetico e Castel Bianco, avevano effettuato un rastrellamento in Val Pennavaira; che i garibaldini di Caprauna, avvisati da una sentinella appostata sul Passo dei Pali, si erano spostati sulle rocche sovrastanti Alto; che il Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" era stato sorpreso e nella fuga aveva lasciato nel casone il mitragliatore Breda 1930 e diverso materiale di casermaggio; che i garibaldini "Rustida" [Costante Brando] e "Remo" [Francesco Pescatore] avevano aperto il fuoco, ma erano stati feriti da un colpo di mortaio; che "Rustida" dopo qualche minuto decedeva e "Remo" si suicidava per non cadere vivo in mano ai tedeschi; che i nemici avevano abbandonato la Val Pennavaira alle ore 22; che il servizio di sentinella di Alto-Caprauna aveva funzionato bene mentre quello di Nasino "pur avendo funzionato non ha preso sul serio l'allarme facendo giungere i nemici vicino ai casoni"; che stava per dare disposizione al comandante ["Gino", Giovanni Fossati] della II^ Brigata "Nino Berio" "di infliggere 12 ore di palo ai responsabili del cattivo funzionamento del servizio di guardia". Comunicava, poi, le situazioni di alcune formazioni: il Distaccamento "Giuseppe Maccanò" era privo di comandante perché "Riva" [Stefano Polini] si era rifugiato nelle Langhe ed aveva bisogno anche di un commissario; la stessa situazione si presentava al Distaccamento "Gian Francesco De Marchi" che aveva perso un mitragliatore; il comandante "Basco" [Giacomo Ardissone] aveva formato un altro Distaccamento che avrebbe preso probabilmente il nome di "Rustida" [Costante Brando]; una squadra del Distaccamento "Igino Rainis" aveva recuperato in Piemonte 1 mitragliatore pesante americano, 1 fucile inglese ed 1 Sten; il 22 marzo 1945 "Fra Diavolo" aveva compiuto un attentato sulla strada statale 28 in cui avevano trovato la morte la morte un maggiore tedesco ed altri soldati. Informava che era stato il comandante "Libero" [Paolo Aicardi] a firmare in modo arbitario a nome di "Turbine" [Alfredo Coppola] il manifesto del reclutamento non volontario di Aurigo e che i garibaldini della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni", condannati a morte dai tedeschi a Pieve di Teco, erano riusciti a fuggire e, avendolo richiesto, erano stati inquadrati nel Distaccamento "Igino Rainis" della II^ Brigata "Nino Berio".

25 marzo 1945 - Da "Boris" [Gustavo Berio, vice commissario della Divisione "Silvio Bonfante"] a "Mario" [Carlo De Lucis, commissario della Divisione "Silvio Bonfante"] ed a "Giorgio" [Giorgio Olivero, comandante della Divisione "Silvio Bonfante"] - Comunicava che rispetto a quando "Giorgio" era stato in visita in Val Pennavaira il morale della popolazione era mutato perché il rastrellamento del 3 marzo, nonostante la buona notizia del riuscito primo aviolancio alleato, l'aveva gettata nello sconforto; che dal citato lancio i partigiani si aspettavano almeno uno Sten; che il recente rastrellamento del 20 marzo avevano addirittura terrorizzato la popolazione per la minaccia tedesca di bruciare tutte le case. Segnalava "la non esemplare combattività" dei Distaccamenti "Igino Rainis" della II^ Brigata "Nino Berio" e "Giuseppe Maccanò" e l'efficienza delle altre formazioni della II^ Brigata "Nino Berio"; la formazione del Distaccamento "Costante Brando", dedicato alla memoria di "Rustida", per il quale proponeva "Meazza" [Pietro Maggio] come comandante; che "Fra Diavolo" nonostante le difficoltà che incontrava in Val Tanaro teneva "alto l'onore dei garibaldini".

26 marzo 1945 -Dal Comando Operativo [comandante "Curto", Nino Siccardi] della I^ Zona Liguria al comando [comandante "Giorgio", Giorgio Olivero] della Divisione "Silvio  Bonfante" - Comunicava che per ordine del Comando Militare Unificato Regionale [CMURL] la Divisione veniva rinominata "VI^ Divisione d'assalto Garibaldi Silvio Bonfante" e chiedeva notizie sull'imminente riunione tra CLN e garibaldini.

27 marzo 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" all'Intendenza della I^ Brigata - Comunicava la forza effettiva dei Distaccamenti della Brigata "per regolare la distribuzione dei viveri": Distaccamento "Francesco Agnese" 36 uomini, Distaccamento "Marco Agnese" 21 uomini, Distaccamento "Giovanni Garbagnati" 37 uomini, Distaccamento "Franco Piacentini" 15 uomini, Distaccamento "Angiolino Viani" 29 uomini, Comando Brigata 8 uomini.

28 marzo 1945 - Dal comando della I^ Zona Operativa Liguria al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - In considerazione del fatto che il campo di lancio scelto offriva maggiori possibilità di ricezione per un grande lancio diurno, si reputava positivamente il fatto di traferire per il momento parte della VI^ Divisione nella zona di lancio di Pian Rosso [Località di Viozene, Frazione di Ormea (CN)], mentre l'altra componente avrebbe dovuto attendere il lancio notturno già programmato [a Pian dell'Armetta nella zona di Caprauna (CN)]. Direttiva di effettuare sollecitamente il richiamato trasferimento, attesa l'imminenza del lancio.
28 marzo 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante", prot. n° 254, al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" [comandante "Mancen", Massimo Gismondi] - Comunicava che il Distaccamento "Giovanni Garbagnati" [comandato da "Stalin", Franco Bianchi] doveva trasferirsi a Testico con le sue 3 squadre; che "Zuvenotto" [Giovanni Tabbò] aveva riconsegnato lo Sten; che a partire da quel giorno le posizioni assegnate ai Distaccamenti dovevano avere postazioni coperte con feritoie per le armi ed essere anche adibite a dormitori.

28 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al capo di Stato Maggiore della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" ed ai comandi della I^ Brigata "Silvano Belgrano", della II^ Brigata "Nino Berio", della III^ Brigata "Ettore Bacigalupo", tutte della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che i comandanti delle formazioni in indirizzo dovevano far sapere alla popolazione "tramite la voce dei parroci" che chiunque avesse fatto trapelare informazioni sui garibaldini sarebbe stato processato, correndo anche il rischio di essere fucilato; che chi si fosse autoproclamato capo o rappresentante di una formazione garibaldina sarebbe stato punito con un numero di ore di palo, ancora da determinare e da scontare presso un Distaccamento; che quelle dispizioni entravano in vigore il 1° aprile 1945.

28 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al vice comandante ed al vice commissario della VI^ Divisione - Comunicava che il comandante della VI^ Divisione "Giorgio" [Giorgio Olivero] aveva trovato con la sua visita molto efficiente la I^ Brigata "Silvano Belgrano" [comandante "Mancen", Massimo Gismondi]. Sottolineava che occorreva riunire al più presto "il Tribunale Militare per analizzare e sanzionare i fatti di Nasino". Chiedeva di sollecitare il rientro di "Trucco" [vice commissario della II^ Brigata "Nino Berio"]. Informava che "Fra Diavolo" [in Val Tanaro] chiedeva rinforzi. Proponeva di formare un nuovo Distaccamento intitolato al caduto partigiano "Rustida" [Costante Brando] con "Libero" quale comandante. Segnalava che la III^ Brigata "Ettore Bacigalupo" "non funziona come dovrebbe".

28 marzo 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava che... il 22 marzo il Distaccamento divisionale "Mario Longhi", comandato da "Fra Diavolo" aveva ucciso sulla strada statale 28 in Val Tanaro un maggiore tedesco e 3 soldati.

28 marzo 1945 - Dal comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Relazione relativa alla proposta di assegnazione della medaglia d'oro al valor militare al caduto Roberto di Ferro.

da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

sabato 24 dicembre 2022

Li invio dalla SS germanica a prendere ordini in merito

Sanremo (IM): tratto iniziale della vallata lungo la quale si sale a Verezzo

Verbale d'interrogatorio
L'anno 1945 addì 27 del mese di maggio negli uffici della Questura di Savona, innanzi a noi sottoscritti Funzionari e agenti di P.S. si è fatto presentare il detenuto MACCAFERRI Edoardo di Gustavo e Hegji Magda, nato a Bordighera il 17/12/1929, ivi residente in Via L. Cadorna n. 15, ex milite della brigata nera di Imperia, il quale opportunamente interrogato dichiara quanto appresso:
"Il 21 gennaio 1945 presentai ad Alassio domanda per essere arruolato volontario nelle brigate nere e immediatamente fui assunto
[...] Ero a conoscenza del fatto che la brigata nera dipendeva direttamente dal comando SS Tedesche dal quale ricevevamo ordini in proposito".
Documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo 
 
24 dicembre 1944 XXIII
Si fa l'azione di rastrellamento in Montà Magnan Collabella [a Sanremo] alla casa di Zoccarato ed a quella più sotto alla distanza di 10-15 metri dalla prima. Questa ultima è la sede abituale della banda Borgogno (figlio) di cui fa pure parte il padre. Si tratta di un complesso di una decina di banditi che infettano la Villetta, S. Pietro, Verezzo. Sono gli stessi che hanno spogliato il camerata Rubi Tullio di ogni suo avere, nella casa di Verezzo dove trovasi sfollato. Partecipano all'azione anche otto soldati germanici al Comando di un maresciallo. L'operazione si svolgerà secondo il piano precedentemente studiato dal vicecomandante Ravina sui dati forniti dal Rubi e altro contadino che vuole conservare l'incognito. Per raggiungere maggiore efficacia e rendere la sorpresa più perfetta, gli uomini avvolgeranno le scarpe chiodate con stracci e bende onde evitare ogni rumore. Sarà di guida il milite n.n. I Legionari partono alle 19 circa. Giunti all'altezza della strada Magnan incrocio Via Goethe sopra le Carmelitane, un ribelle, evidentemente di guardia, dà l'alt ai nostri uomini, ma subito dopo se la dà a gambe, inseguito a tutto fiato. La pattuglia giunge così sul luogo d'un baleno e circonda le case. Dalle fasce circostanti sbucano due banditi e fuggono, ma vengono freddati con raffiche brevi di mitra (1). Altri due seguono la stessa sorte, colpiti dai tedeschi (2). E così altri due, uno dei quali prelevato in casa. Si tratta del Borgogno padre (3) [n.d.r.: seguono, in corsivo, le note originali in fondo alla pagina del brogliaccio] (1) Sono i fratelli Zoccarato. (2) Uno è Barbieri, il fratello dell'Avvocatessa. (3) Uno di questi non è stato identificato ancora e così un sesto. Tutti avevano rivoltelle e, parecchi, bandoliere di cuoio stile artiglieria. Avevano anche barbe lunghe e zazzere alla nuca come si usa tra ribelli, segni e caratteristiche inconfondibili. In casa sono pure state trovate varie donne e molta refurtiva, tra cui tutti gli oggetti rubati la notte prima al camerata Rubi, spogliati a Verezzo. Alte le urla e le imprecazioni delle donne. Tutti, banditi e invitate, avrebbero dovuto, stando all'evidenza dei preparativi riscontrati in casa, consumare un lauto banchetto a base di maiale e di agnello. L'operazione ha potuto avere un esito quasi insperato per i seguenti fattori: 1°. La rapidità dello spostamento degli uomini che non hanno dato tempo alle sentinelle avanzate di dare l'allarme alla banda. 2°. Il silenzio con cui hanno operato per via dell'involto di stracci applicati alle calzature, sì che anche a distanza di pochi metri dal covo dei banditi questi non si sono accorti della presenza dei nostri Legionari. 3°. La estrema decisione e precisione del tiro, soprattutto dei mitra dimostratisi eccellenti per operazioni del genere. 4°. Il chiarore lunare che ha permesso di individuare con relativa facilità i bersagli mobili anche se fra gli alberi. Tutti i documenti personali dei banditi uccisi sono stati raccolti dai germanici e portati al loro comando. Il maresciallo tedesco che ha diretto l'azione si è complimentato ripetutamente coi nostri Legionari. Gli uomini sono rientrati alle 22,45 senza avere subito alcuna perdita. Molto probabilmente i germanici torneranno sul posto domattina presto forse anche per prelevare le donne, non foss'altro per interrogarle e ricavarne dati preziosi sulle altre bande di banditi coi quali la banda Borgogno doveva necessariamente essere collegata. Il Vice Comandante, Aldo Ravina - Visto, il Comandante Angelo Mangano  
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan, Documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo

I Tedeschi, invece, con il metodo delle puntate improvvise continuavano le loro azioni. Il 20 dicembre, giunti a San Romolo con automezzi, rastrellano nuovamente il paese appiccando il fuoco a due ville e il 24 dicembre 1944 fucilano a San Remo, nei pressi della loro abitazione, in presenza della madre e delle sorelle, i fratelli Ugo (Attilio) e Giovanni (Giovanni) Zoccarato, rispettivamente di anni 22 e 20, componenti della brigata cittadina, catturati in rastrellamento.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977
 
La zona di Sanremo più prossima al Rondò Garibaldi - cit. infra - dal lato di levante, in un rilievo topografico realizzato dalle SAP alla vigilia della Liberazione. Fonte: Augusto Miroglio, La Liberazione in Liguria, Forni, Bologna, 1970

Interrogatorio di domenica 26 maggio 1945
Si domanda al sig. Rubbi [Rubi] se  è mai stato alla villa Fiorentina.
Egli nega.
A.D.R.: Nega di aver denunciato il prelevamento di vestiario alle brigate nere.
A nuova richiesta se lui ha denunciato il prelevamento nega sempre.
A domanda se conosce un contadino che ha denunciato ai tedeschi e fascisti il gruppo Borgogno, lui nega sempre.
In seguito a domanda se ha ancora la ricevuta rilasciatagli dal Renatino dice di averla stracciata. Tale ricevuta (dice la signorina Anna Borgogno [n.d.r.: su cui si torna infra, sorella di Renatino Borgogno e figlia di G.B. Borgogno] che fu mostrata nella villa Fiorentina dai tedeschi). Ammette di aver avuto la ricevuta dal Borgogno.
"Ammetto che Tito è stato il primo a venirmi a dire che ero stato derubato. L'unica persona a saperlo in un primo tempo era il Tito Calvini, in quanto la merce fu consegnata dal Calvini stesso al Borgogno" [n.d.r.: corsivo e virgolette - non presenti nell'originale - intorno alle parole pronunciate dal Rubi, per una maggiore scorrevolezza del testo].
Di fronte alle persistenti negazioni del Rubbi viene chiamato a confronto Pelucchini Dario.
Il Pelucchini ammette che durante il pomeriggio del 24 Dicembre Mangano diceva: "Quel belinon insiste perché vada a fare un rastrellamento e io non ne ho voglia, perché oggi vigilia di Natale non si deve andare a fare azioni".
"La sera del 24 verso le ore 18,30 mentre ci radunavamo come solito alla Villa Diana trovammo tutto un picchetto di tedeschi che evidentemente attendevano il nostro ritorno. Vidi il Rubbi nella caserma Diana accanto ai tedeschi. Mangano telefonò subito alla Villa Giulia perché gli mandasse un milite. Poco dopo arrivò questo milite di cui non conosco il nome ma che se dovessi rivedere lo riconoscerei. Il Rubi era presente mentre si preparava la spedizione che doveva concludersi con l'uccisione del Borgogno e dei fratelli Zuccherato [n.d.r.: Zoccarato: non l'unico milite fascista a storpiare il cognome di questi martiri partigiani]. Verso le ore 20 ci incaminammo verso il Rondò Garibaldi. Di fianco il giardino delle Carmelitane iniziammo la stradetta che sale fino Via Goethe e dopo pochi passi sentimmo il 'chivalà'. La squadra che di punta andava avanti era composta di tedeschi con Siri e Nicò. Rimanemmo indietro io, Rubi e due tedeschi. E Luciani Bartolomeo [n.d.r.: invece si trattava, in tutta evidenza, di Bartolomea Luciano, Ausiliaria S.A.F., in forza alla richiamata Brigata Nera "Padoan", che venne poi fucilata dai partigiani presso il cimitero della Foce di Sanremo il 26 aprile 1945 insieme - si può ritenere - ad Ambrogio Carlo Nicò, detto "Gin Mano Nera" e ad altri ex militi]. Ad un certo momento sentimmo in lontananza alcuni spari. Noi si proseguì ancora molto avanti. A un tal punto si sentì parlare. Ci fermammo e notammo un gruppo di gente i quali piangevano. Luciano e il maresciallo tedesco che erano con noi andarono a vedere cosa era successo e ritornarono dicendo "ci sono due morti che hanno la barba'. Vidi della gente di cui delle ragazze che piangevano. Ritornammo in Sanremo e al crocevia il Siri disse: 'sono ben dei delinquenti quei tedeschi'. Quando fummo dinanzi al Vittoria Roma il Rubi si fece accompagnare da un tedesco a casa. Affermo che fu il milite ad accompagnare la squadra al rastrellamento. Ne dedussi che lui conosceva i luoghi dove si rifugiavano i Borgogno e gli altri" [n.d.r.: virgolette e corsivo anche in questo caso nostri, per rimarcare le parole di Dario Pelucchini].
[n.d.r.: seguono le firme di Dario Pelucchini e di Anna Borgogno, che, fatta prigioniera sarà liberata con il "colpo partigiano" all'ospedale di Sanremo]
Io sottoscritto Rubi Tullio, ammetto che la deposizione del Pelucchini è vera e che io denunciai alle brigate nere il furto patito. Ammetto di essere stato insieme per tutta la durata della spedizione insieme al Pelucchini e al Bartolomeo Luciani [Bartolomea Luciano].
[n.d.r.: segue la firma di Tullio Rubi].
Documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo
 
Sanremo (IM): ex Parco delle Carmelitane

25 dicembre 1944 XXIII
Vengono al Comando due donne e un uomo per chiedere di coprire e se possibile rimuovere il cadavere del Borgogno che giace nella strada a pochi metri dinanzi all'ingresso della loro casa.
Li invio dalla SS germanica a prendere ordini in merito. Questo Comando non può dare disposizioni essendo l'azione stata diretta dal Comando Tedesco.
Il Vice Comandante, Aldo Ravina - Visto, il Comandante Angelo Mangano
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan, Documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo
 
Bronda Aldo, abitante a Sanremo in via Corradi, 20
Interrogatorio del 28 maggio 1945 davanti ad un Vice Commissario di Polizia in Sanremo: Un giorno o due prima di Natale venne all'Ufficio della brigata nera Rubi Tullio sfollato a Verezzo a riferire che in detta zona vi erano dei banditi, i quali avevano commesso diverse rapine, anche a lui, e che andavano in Verezzo a fare delle feste; e che sapeva di certo che la vigilia di natale avrebbero fatto una baldoria in una casa, credo che sia stata la casa di Borgogno G.Batta. (Andateli a prendere perché se no io provvedo diversamente) [n.d.r.: frase pronunciata nell'occasione da Tullio Rubi]. La sera della vigilia di Natale vennero sei o otto tedeschi i quali chiesero due uomini armati e furono destinati Pelucchini e Niccò (Gin mano nera) armati di mitra; per precauzioni e per ordine dei tedeschi si fasciarono le scarpe di stracci ed andarono insieme ai tedeschi. Il giorno dopo ho scritto a macchina la relazione dell'operazione compiuta la sera del dicembre e tra l'altro c'era [scritto] che dietro informazioni di Rubbi Tullio due uomini della Brigata Nera insieme ai tedeschi avevano compiuto rastrellamenti nella zona Villetta Verezzo, sorprendendo dei partigiani che mangiavano in una casa; sentirono scappare, spararono dietro e sentirono un grido il quale dette l'allarme e gli altri scapparono inseguiti dalle scariche delle armi della pattuglia. Sono stati uccisi Borgogno Gio Batta - due fratelli Zoccarato e il fratello dell'Avv. Barbieri. Altri tre morti si trovano nel Boschetto a nord della casa.
Documento
in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo
 
Sanremo (IM): in primo piano la zona urbana subito a levante del Rondò Garibaldi

Gradi Elio, nato a Vallecrosia il 30 gennaio 1923, residente a Sanremo, in Via Bussana Vecchia n. 1, floricoltore, cannoniere della X Mas
Interrogatorio del 10 giugno 1945
nell'Ufficio del Nucleo di P.G. di Sanremo: [...] La sera della vigilia di Natale 1944, mentre rientravo da un breve permesso fruito presso la famiglia, ho visto nella sede della Brigata Nera di Sanremo, e precisamente all'Albergo Diana, 5 o 6 tedeschi i quali hanno preso con loro i militi PELUCCHINI Dario e "Gin Mano Nera", di cui non conosco il nome vero [n.d.r.: che era Ambrogio Carlo Nicò, Nicco in altri documenti, milite del distaccamento di Sanremo della brigata nera, fucilato insieme ad altri fascisti dai partigiani il 26 aprile 1945 nei pressi del cimitero della Foce di Sanremo], e sono usciti tutti completamente armati. Il giorno appresso ho saputo dai miei colleghi che i suddetti, la sera prima, si erano recati in regione Villetta (Verezzo), per effettuare un rastrellamento durante il quale erano stati uccisi i fratelli Zuccherato [Zoccarato].
Documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo 

Modena Giovanni, nato a Sanremo l'8 febbraio 1914.
Interrogatorio del 18 giugno 1945 nell'Ufficio del Nucleo di P.G. di Sanremo: La sera del 24 dicembre 1944, sarà stata l'una di notte, mentre mi trovavo nella Caserma di Villa Giulia, dove aveva sede il nostro reparto di G.N.R., venni chiamato al telefono dal comandante le brigate nere, Mangano, il quale mi disse di recarmi da lui immediatamente. Feci presente che non stavo bene, ma in seguito alle sue insistenze mi armai e ubbidii alle richieste. Giunto alla sede delle brigate nere il Mangano mi disse: "Tu che sei capace, bisogna andare a fare un rastrellamento in regione Magnan". Gli risposi che non stavo bene, ma ciononostante volle egualmente che eseguissi l'ordine. Vi erano pronti circa una quindicina di militari tedeschi e tre o quattro elementi delle brigate nere ed un borghese che conosco soltanto di vista il quale diresse l'operazione del rastrellamento. Anche gli uomini delle brigate nere mi sono noti solo di vista.
Il borghese che ci accompagnava corrisponde ai seguenti connotati: robusto, statura piuttosto alta, età circa 50 anni, colorito bruno, capelli leggermente brizzolati, barba rasa, parlava italiano.
Partimmo tutti assieme e li accompagnai fino a strada Magnan ivi mi fermai con un tedesco e gli altri proseguirono per l'operazione. Dopo circa una mezz'ora udimmo il crepitio delle armi ed al ritorno tra di noi della spedizione dissero che ne avevano ammazzati cinque, invece risultò poi che erano stati uccisi soltanto tre.
Finita così l'operazione rientrammo tutti nella sede di Sanremo delle brigate nere e di lì senza che io mi presentassi neppure al comandante Mangano rincasai presso la mia caserma di Villa Giulia.
Nel rientrare in sede, il borghese del quale ho dato i connotati, che secondo me guidava la spedizione, mi disse che era stato lui ad andare dal comando tedesco ed ottenere il rastrellamento che si era compiuto. Mi soggiunse persino che se non fosse stato per lui che era conosciuto dai tedeschi questi non avrebbero ordinato il rastrellamento. Gli uccisi durante la notte erano i fratelli Zuccherato [Zoccarato] ed uno di Baiardo. Quest'ultimo non lo conoscevo affatto, mentre i primi due erano dei miei amici.
Non ho altro da aggiungere.
Documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo 
 
Pelucchini Dario, nato a Città di Castello (Perugia) il 18 agosto 1920.
Interrogatorio del 18 giugno 1945 nell'Ufficio del Nucleo di P.G. di Sanremo: Allora il maresciallo tedesco divise le forze in due gruppi, uno avanti sempre con il Modena in testa, ed io con gli altri nel gruppetto di retroguardia.
[...] Dopo circa un quarto d'ora di strada udimmo delle donne piangere e così intuimmo che cosa era avvenuto e infatti ci rendemmo conto dell'accaduto. Notammo che a terra vi erano alcuni morti.
[...] Il Rubbi [Rubi] era rimasto sempre con me nel secondo gruppetto.
Giunti in Sanremo, come ho già deposto, il Rubbi si fece accompagnare da un tedesco a casa sua, gli altri tedeschi rincasarono per conto loro, io, il Modena, e gli altri due militi Luciano Bartolomeo [Bartolomea Luciano] e Siri G.Batta, e Nico Ambrogio proseguimmo ancora un poco assieme e poi il Siri e il Bartolomeo [la Bartolomea Luciano] si avviarono per conto proprio. Gli altri andammo direttamente dal Comandante Mangano che dormiva nel suo letto presso il comando delle brigate nere. Svegliatosi ci presentammo al suo cospetto ed il Modena fece una relazione verbale del come il rastrellamento era avvenuto, raccontando minuziosamente ogni particolare. Disse precisamente che aveva accompagnato i tedeschi e che giunti a un certo punto videro della gente scappare e spararono contro di loro uccidendone alcuni. Nella circostanza ricordo che anche Nico Ambrogio disse che anche lui aveva sparato contro quelli che scappavano. Precisò di aver riconosciuto uno dei morti nella persona di certo Barbieris.
Finita la relazione, il Mangano elogiò i presenti e disse di accompagnare il Modena con due militi, ma questo rifiutò di essere accompagnato e si avviò da solo.
Documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo 
 
27 gennaio 1945
Vicino alla casa di Marsaglia, bruciata due settimane fa, c'è una casa di Piombo. Il padrone, Piombo, ha la lebbra e la moglie si chiama "Santina". In quella casa ci vanno i ribelli [...] Taggiasco ed altri non di Borello. Ci stanno di giorno. Verso le 12 - 12,30 sono lì nel cortile della casa.
Urge prendere il nipote di Sughi Pietro che si chiama "Nini" e abita dal tabacchino di Battistotti (S. Bartolomeo). Ha 16-18 anni. Lui sa dove sta lo zio "Pier de le Vigne" (Sughi Pietro). Ha detto alla mamma di D.B.: "Gliel'ho detto che scappasse. E' uno stupido! Se ne doveva andare su".
Quella tale lettera a macchina consegnata da D.B. a me è stata mandata a D.B. da questo "Nini" al quale l'ha data lo zio Pier de le Vigne. Quest'ultimo l'ha avuta dal comando di Divisione "F. Cascione".
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan,  documento in Archivio di Stato di Genova, ricerca di Paolo Bianchi di Sanremo

30 gennaio 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 238, all'ispettore della I^ Zona Operativa Liguria ed al comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" - Segnalava l'arresto da parte dei tedeschi di alcuni appartenenti alla "banda Buzzi", tra i quali figuravano "Borgogno" e "Taganoff" [n.d.r.: Ernesto Lanteri, furiere di battaglione nella V^ Brigata], e l'uccisione di "Tripodi". "Mentre ci riserviamo farvi tenere completo rapporto a riguardo della banda dell'avvocato Buzzi entro la settimana, v'informiamo che, in questi ultimi giorni, alcuni membri della banda Buzzi sono stati arrestati dai tedeschi o dai membri delle Brigate nere. Come già comunicatovi il nominato Tripodi, membro della banda Buzzi, venne ucciso una decina di giorni or sono a San Martino, mentre si recava a compiere un'azione di prelevamento fondi. Un altro membro, Renatuccio Borgogno, figlio di G.B. Borgogno, ucciso unitamente ai fratelli Zoccarato dalle Brigate nere alla vigilia di Natale, è stato arrestato pochi giorni or sono. Sembra, infine, che un terzo membro, "Taganoff", già appartenente alle vostre formazioni, e da qualche tempo nascosto nelle vicinanze di San Remo, sia stato arruolato dal Buzzi la settimana scorsa. Anche il "Taganoff" venne misteriosamente sorpreso dalle brigate nere alcuni giorni or sono e arrestato".
7 marzo 1945 - Dalla Federazione provinciale di Imperia del PCI al Triumvirato Insurrezionale del PCI per la Liguria - Comunicava che ... l'autorità fascista era in crisi  e lamentava "una mancanza di comando coerente"; che il prefetto, pur "consapevole dei suoi crimini, continua sulla solita linea, non affiancato dal questore, che si mantiene neutrale"; che a Sanremo il capo delle Brigate Nere, Mangano, si vantava di aver formato il suo gruppo esclusivamente con ex partigiani e che ciò era vero perché si trattava di uomini delle vecchie SAP rastrellate, inseriti nelle squadre fasciste...
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), "La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945)" - Tomo II, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999
 
Moretta Eugenia: nata a Torino il 28 agosto 1908, ausiliaria nella Brigata Nera "Padoan"
Interrogatorio del 28.5.45:
Sono stata nella ausiliarie negli ultimi 4 mesi e più precisamente dal 22/2/1945. Riconosco le seguenti nominate come appartenenti alle ausiliarie: Botto Angela, Minoccio Rosa (Vice Comandante), Bosso Maria anni 18 di Torino, Santinon Amalia, anni 25 timbro virile, denti guasti, Matteoni Bianca, fidanzata del Comandante Musso, grassoccia, 21 anni, sempre armata. Non ricordo di aver detto ciò che afferma il Ten. Folgore che io dissi, a villa Magnolie [n.d.r.: di Sanremo, sede della G.N.R.], che avrei avuto piacere a partecipare a rastrellamenti contro i patrioti che io consideravo delinquenti. Io prestavo servizio negli uffici del comando della brigata nera ad Imperia dove sono rimasta fino all’ultimo giorno [...]
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione. Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019 

giovedì 23 settembre 2021

Il comando tedesco, aiutato dai fascisti, a Poggio di Sanremo la rappresaglia la mise in atto

Colline alle spalle di Poggio, Frazione di Sanremo (IM)

"[...] 24 novembre 1944. Altra mattinata di sole. Io sto giocando all’aperto, sul selciato della piazzetta del Dopolavoro, svogliatamente, perché, a differenza delle altre mattine, sono solo. Sento il rumore di un motore avvicinarsi. Mi affaccio dal parapetto e vedo arrivare un camion che arranca lentamente. L’automezzo entra nella stretta via che conduce alla piazza di Poggio ed sparisce al mio sguardo.
Dopo alcuni minuti rompe il silenzio un interminabile crepitio di mitraglia. Non faccio a tempo ad arrivare da mia mamma che si vede poco distante una spessa nube di fumo. In giro si sente un coro di urla e pianti. Si saprà poco dopo che i tedeschi hanno voluto, con quel gesto, vendicare l’uccisione di un loro commilitone, freddato pochi giorni prima non da un partigiano, ma da uno sbandato ubriaco. Questi, entrato nell’osteria della piazza, aveva compiuto la tragica bravata di sparare alle spalle del militare che stava giocando a carte o a bere. L’ucciso non apparteneva alle SS: era un graduato che non aveva mai mostrato crudeltà alcuna, addirittura ben voluto da tutti. La popolazione organizzò subito un funerale solenne, sperando di scongiurare la rappresaglia. Ma il comando tedesco, aiutato dai fascisti, prelevati dei prigionieri da Villa Oberg o dal Castello Devachan, la rappresaglia la mise in atto. Gli assassini, dopo avere ucciso i dieci giovani prigionieri, diedero fuoco all’osteria dove tutto aveva avuto inizio; poi, entrati nell’alloggio dal cui balcone una donna aveva gridato qualche parola ad uno dei condannati, chiamandolo per nome, distrussero e incendiarono tutto quanto trovarono, senza dimenticarsi, prima di risalire sul camion e ripartire, di ordinare che nessun abitante di Poggio si azzardasse a toccare i cadaveri sanguinanti.
Gli incendi vennero domati, la piazza rimase devastata per un bel pezzo, con i buchi lasciati dalle pallottole ben visibili su una saracinesca e un muro. I corpi, dopo un giorno o due, vennero furtivamente non sepolti, ma interrati provvisoriamente in un terreno vicino, ciascuno con attaccato a un piede un cartellino con le generalità. Tutto ciò fu organizzato dalle donne, guidate dal necroforo del paese.
[...] Mi sembra giusto ricordare, nome per nome, quei giovani torturati e uccisi dai nazi-fascisti, nostri ideali figli e nipoti:
Domenico Basso (Vincenzo) di Rocchetta Nervina (Imperia)
Giuseppe Castiglione ( Beppe) di Centuripe (Enna )
Pietro Catalano - Ventimiglia (Imperia)
Giovanni Ceriolo (Dino) - Bussana - Sanremo (Imperia)
Pietro Famiano (Piero) - Sant’Agata (Imperia)
Michele Ferrara (Magnin) - Pigna ( Imperia)
Aldo Limon - Olivetta San Michele ( Imperia)
Giobatta Littardi (Giovanni) - Pigna ( Imperia)
Paolo Selmi ( Biancon) - Genova
Ignoto
 
San Giacomo, Frazione di Sanremo (IM): Chiesa Parrocchiale

Al ritorno dall’avere trucidato a Poggio quei dieci giovani, i nazifascisti si fermarono in località San Giacomo e ne assassinarono davanti alla chiesa altri tre:
Marco Carabalona
Filippo Basso
Stefano Boero
Tutti e tre erano contadini di Rocchetta Nervina.
Poco prima della Liberazione, il 22 aprile 1945, veniva fucilato il patriota milanese Gualtiero Zanderighi (Tenore). Poggio di Sanremo ha avuto un’altra giovane vittima, Andrea Grossi Bianchi".
Chiara Salvini, Franco D’Imporzano commemora a nome dell'ANPI il 17 Novembre 2017 i martiri di Poggio uccisi dai nazisti nell'autunno del 1944, neldeliriononeromaisola, 29 novembre 2017

Poggio, Frazione di Sanremo (IM): un caruggio

Il 17 novembre al termine di un  rastrellamento condotto nel centro storico della Pigna e in Frazione Poggio, sempre di Sanremo, venivano fucilati 3 civili. A Poggio vennero anche bruciate alcune case.
Il 24 novembre i nazifascisti uccisero in Sanremo altre 10 persone su 24 prelevate in alcuni paesi.
Da Pigna vennero condotti a Poggio di Sanremo per essere fucilati i partigiani Giuseppe Castiglione, Pietro Famiano, Michele Ferrara, Giobatta Littardi, Angiolino Bianconi Selmi.
Da Rocchetta Nervina a San Giacomo di Sanremo, dove vennero trucidati, Domenico Basso, Filippo Basso, Stefano Boero e Marco Carabalona.
Sempre in Sanremo venne fucilato quel giorno il sapista Giovanni Dino Ceriolo.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 1999
 
Giovanni Ceriolo. Giovane bussanese ventitreenne partecipò alla Resistenza ligure nella 'prima zona" con il nome "Dino" (cfr. G. Gimelli, La resistenza in Liguria, Carocci Ed. 2005, p. 528).
L'estremo Ponente ligure era «di vitale importanza per le truppe germaniche che operarono sul confine e sulla costa... Secondo un calcolo aritmetico le brigate della prima zona risulterebbero tra quelle che hanno subito il maggior numero di rastrellamenti rispetto alle altre regioni operative della regione» (La resistenza in Liguria, cit., p. 517).
Bussana viveva in quell'epoca in una atmosfera da incubo: vi era dislocato un Comando tedesco e postazioni antisbarco erano collocate tra Bussana Vecchia e la nuova.
In quel torno di tempo il Parroco, Mons. Francesco Buffaria, fu minacciato di arresto per il rifiuto di rivelare i nomi di eventuali partigiani della parrocchia: generosamente si offerse in suo luogo Don Francesco Moro, allora vice parroco, che fu carcerato con il confratello di Arma di Taggia Don Angelo Nanni. Essi «assumono nel carcere "pur col pianto nel cuore" atteggiamenti di serenità o di allegria per tener viva la speranza negli altri prigionieri ed impedire che siano sopraffatti dal panico e dalla disperazione» (G. Strato, C. Rubaudo, F. Biga, Storia della resistenza imperiese I Zona Liguria, Sabatelli Ed. 1992, Vol. 2, p. 71).
Il Ceriolo fu arrestato a seguito di una irruzione nella sua casa e dopo dieci giorni, il 24 novembre 1944, fu sottoposto a fucilazione a Poggio di San Remo insieme ad altri nove compagni. A loro fu dedicata la piazza del triste evento col titolo "Piazza Martiri" e una lapide con la seguente scritta: Qui / la rabbia teutonica spegneva la giovinezza / di undici Martiri. / Perché il loro ricordo non muoia / e sia di esempio alle generazioni future / Poggio / incise sul marmo i loro nomi (cfr. M. Bottero, Memorie nella pietra, monumenti alla resistenza ligure, 1945‑1996, Ist. Storico della Resistenza Ligure, 1996, p. 219).
Si narra un triste episodio collegato a questa esecuzione: una conoscente di Giovanni, Maria Ceriolo, che si rivolse a lui da una finestra pronunciando il suo nome, fu punita con l'incendio della sua casa.
Redazione, Toponomastica bussanese, Sacro Cuore Bussana [Sanremo], ottobre 2015

Poggio, Frazione di Sanremo (IM): un vicolo

Elenco delle vittime decedute
Basso Domenico (nome di battaglia “Vincenzo”) di Marcellino nato a Rocchetta Nervina il 17.11.1901, anni 43, contadino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 11.05.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3209, fucilato a Poggio di Sanremo
Basso Filippo (nome di battaglia “Piccolo”) fu Stefano nato a Rocchetta Nervina il 25.11.1900, anni 43, contadino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 6.06.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3208, fucilato a San Giacomo di Sanremo
Boero Stefano (nome di battaglia “Stefano”) di Stefano nato a Rocchetta Nervina il 5.12.1905, anni 38, contadino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 4.06.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3215, fucilato a San Giacomo di Sanremo
Carabalona Marco (nome di battaglia “Marco”) fu Gio Batta nato a Rocchetta Nervina il 25.04.1900, anni 44, contadino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 2.06.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3226, fucilato a San Giacomo di Sanremo
Castiglione Giuseppe (nome di battaglia “Giuseppe”) fu Antonio nato a Centuripe (Enna) l' 1.06.1903, anni 41, contadino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 29.08.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 10514, fucilato a Poggio di Sanremo
Catalano Pietro, civile, fucilato a Poggio di Sanremo
Ceriolo Giovanni (nome di battaglia “Dino”) di Attilio nato a Bussana Sanremo il 23.02.1921, anni 23, partigiano (Divis. SAP, V Brig.) dal 10.10.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 15242, fucilato a Poggio di Sanremo
Famiano Pietro (nome di battaglia “Piero”) di Paolo nato a Santa Agata Militello (Messina) il 25.04.1913, anni 31, sott.ufficiale di carriera in S.P.E., partigiano (II Divis. V Brig.) dal 25.08.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3238, fucilato a Poggio di Sanremo
Ferrara Michele (nome di battaglia “Magnin”) di Isidoro nato a Pigna il 9.06.1897, anni 47, contadino e magnino, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 15.08.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 3242, fucilato a Poggio di Sanremo
Limon Aldo, civile, fucilato a Poggio di Sanremo
Littardi G.B. (nome di battaglia “Giovanni”) di Giovanni nato a Pigna il 13.01.1914, anni 30, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 18.06.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 61105, fucilato a Poggio di Sanremo
Selmi Angelo o Angiolino (nome di battaglia “Biancon”) di Sabatino nato a Genova il 13.10.1914, anni 30, operaio, partigiano (II Divis. V Brig.) dal 12.06.1944 al 24.11.1944, n° dichiaraz. Integrativa 12312 fucilato a Poggio di Sanremo
Ignoto
[...]
Monumenti/Cippi/Lapidi:
Lapide in marmo - riferita a rastrellamento e fucilazione del 24.11.1944 a Poggio - iscrizione “qui la rabbia teutonica spegneva la giovinezza di undici martiri perché il loro ricordo... ..” (vengono citati 11 martiri invece di 10 perché è stato inserito anche il nominativo di Zanderighi Gualtiero caduto a Poggio il 22.04.1945) - sita in frazione Poggio Comune di Sanremo.
Edicola in pietra e cemento: lapide in marmo riferita a rastrellamento e fucilazione (fraz. San Giacomo 24.11.1944 - n° 3 caduti) - iscrizione: “colpiti da crudele piombo nazista qui caddero per un Italia libera i Patrioti.... - sita in fraz. San Giacomo - Comune di Sanremo.
Sabina Giribaldi, Episodio di Poggio e San Giacomo, Sanremo, 24.11.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

Poggio, Frazione di Sanremo (IM): Chiesa Parrocchiale di Santa Margherita d'Antiochia

In epoca che il soggetto dice di non saper precisare, in una osteria di Poggio di S. Remo fu ucciso un militare tedesco appartenente alle 34^ divisione di fanteria.
Fu subito avvisato l'ufficio del RAITER, che si recò sul posto unitamente al soggetto e SCHMITD.
Il soggetto sostiene che in detta occasione essi si limitarono a chiedere al proprietario dell'osteria come si erano svolti i fatti.
Questi infatti disse che conosceva da diverso tempo il detto militare in quanto era già stato dislocato proprio a Poggio.
Fu poi trasferito nei pressi di Ventimiglia. Siccome aveva contratto rapporti di amicizia col proprietario, alla domenica era solito venirlo a trovare.
Anche quel giorno, come aveva fatto altre volte, il militare tedesco si era intrattenuto nell'osteria ed era vicino al banco intento a bere un bicchiere di vino, quando tre persone sedute ad un tavolo si alzarono e dopo averlo disarmato lo uccisero con un colpo di pistola.
Fatto ciò i tre, che il proprietario disse di non avere mai visto, fuggirono.
Dopo avere poi preso i connotati ed i documenti del militare il RAITER avvisò la Felgendarmeria e si pose quindi in contatto col generale LIEB comandante della 34^ divisione.
I^ FUCILAZIONE DI SEI O SETTE OSTAGGI
Ritornati al comando, il maresciallo Raiter telefonò al generale Lieb per riferire circa l'uccisione del militare.
Il soggetto sostiene di non essere stato presente quando il RAITER telefonava, né di essersi ulteriormente interessato dell'uccisione.
Solo due giorni dopo seppe che la 34^ divisione aveva fucilato sei o sette italiani quali ostaggi per l'uccisione del soldato tedesco.
Il soggetto insiste nel negare di conoscere particolari circa l'esecuzione sommaria degli italiani né di conoscere dove essi furono prelevati e sepolti.
Neanche dell'oste, che naturalmente avrebbe dovuto avere serie noie per l'uccisione avvenuta nel suo locale, il soggetto dice di saperne nulla.
Sa soltanto, o per meglio dire, ammette solo di aver saputo che a Poggio furono fucilati gli italiani per rappresaglia. 
Sintesi di un verbale di interrogatorio (Cas) a carico di Ernest Schifferegger (altoatesino, interprete, ex sergente SS, presente anche a Sanremo), verbale confluito in un rapporto del 2 giugno 1947 redatto dall’OSS statunitense

[ n.d.r.: Ernest Schifferegger, come si apprende dall'atto sopra citato, era un italiano altoatesino che, in occasione del referendum del 1939 aveva optato, come tutti i membri della sua numerosa famiglia, per la nazionalità tedesca. Entrato nelle SS, operò - a suo dire - solo nella logistica, su diversi punti del fronte occidentale. Era, tuttavia, a Roma come interprete, quando partecipò al prelievo di un gruppo 25 prigionieri politici italiani condotti a morte nella strage delle Fosse Ardeatine. Fece in seguito l’interprete per i nazisti anche a Sanremo. La relazione dell’OSS riporta che alla data del 2 giugno 1947 Schifferegger era ancora in custodia alla Corte d’Assise Straordinaria di Sanremo ]