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domenica 8 settembre 2024

Andava in giro col biroccio a raccogliere armi per i primi partigiani imperiesi

Cervo (IM)

Ma scendiamo in alcuni particolari: come abbiamo sopraccitato, contemporaneamente al disfacimento delle formazioni militari italiane, il movimento delle forze antifasciste [n.d.r.: ad Imperia e dintorni] inizia la preparazione dei mezzi per la lotta armata. Giorno dopo giorno le sue forze crescono. Vecchi, giovani, donne si adoperano per essere di aiuto ai primi protagonisti. Si crea il momento favorevole per dare al movimento di Liberazione una direzione organizzativa. Sotto la guida del PCI e di altre forze democratiche è organizzato un servizio con Comitati di raccolta di vivere e indumenti per i militari italiani sbandati. Grazie a queste iniziative gli antifascisti si rendono conto della vastità delle forze che li sostengono. Cresce il loro entusiasmo. A Cervo organizzano una riunione in località "Bundai" e a San Bartolomeo presso l'oratorio di San Rocco su iniziativa di Giovanni Cotta (Karenzi), che va in giro col biroccio a raccogliere armi insieme a Giacomo Ciaccone (Semeria). Grazie ad Antonio Ghirardi, per le forze della Resistenza in due giorni si riesce a ricuperare un deposito di armi e munizioni, abbandonato in una baracca su Capo Berta. A San Bartolomeo viene costituito un deposito di derrate alimentari in un magazzino di Giuseppe Mantica, messo a disposizione dei soldati sbandati. Tramite un collegamento attuato da Amerigo Realino, il comandante la Stazione dei carabinieri di Diano Marina consegna al Cotta e al compagno Maraboli vari fucili.
Intanto sulle alture si costituiscono i primi gruppi partigiani armati. Alcuni giovani comunisti imperiesi, tra cui Angelo Setti, Carlo Delle Piane, Nino Berio, Carlo Trucco, Secondo Rovere, Tonino Bertelli, Orazio Parodi (Guan), dopo una serie di notizie contrastanti, pensano di affrontare i Tedeschi su Capo Berta. Ricuperate le armi in un ex caposaldo (due mitragliatrici Skoda, bombe a mano e alcuni fucili), salgono verso l'Alpicella, ma non fanno in tempo a bloccare il valico e perciò le nascondono in un soffitto di una casa di campagna. Un gruppo di militari che si aggira nella zona del Pizzo d'Evigno, formatosi il 9 settembre e comandato da un ufficiale di Albenga, si scioglierà dopo qualche giorno. Altri gruppi di non trascurabile importanza, costituiti da soldati e ufficiali del disciolto esercito, in generale elementi attendisti, al momento non decisi di passare all'azione, vagano nei dintorni. Un centinaio di questi elementi sostano per qualche giorno sulla collina tra Oneglia e Diano Castello, poi spariscono. Una trentina di giovani della valle Impero si rifugiano in alcuni casoni oltre il "Passo della Colla", nella "Vota Grande".
Come abbiamo in qualche modo già accennato, piano piano questi gruppi si scioglieranno come la neve al sole e nella neve rimarranno solamente quegli uomini di cui tratteremo ora, cioè piccole bande in lotta contro i nemici tedeschi e fascisti e contro quello più crudele: il freddo.
Il 10, o l'11 settembre, un gruppo di giovani, che già avevano pubblicamente dimostrato il loro antifascismo nelle giornate del 25 luglio, con la caduta di Mussolini, consci del pericolo che stanno correndo di venire arrestati dai nazifascisti, abbandonata Oneglia e altri luoghi del litorale, salgono in collina e dopo alcune ore di cammino, raggiungono la località detta "Cianassi" nel territorio del Comune di Diano Castello. Sono conoscitori dei luoghi e uomini che, in seguito, diventeranno famosi partigiani combattenti.
Il già citato Giuseppe Aicardi, cittadino di Diano Castello e fervente antifascista, guida questi giovani in un fienile di sua proprietà ove li invita a trascorrere la notte, mentre giunge sua moglie che porta loro un coniglio arrostito per cena. Il giorno successivo li conduce in località "Vivano", più nascosta e sicura dove, in una casupola coperta dall'edera, trascorrono la seconda notte di fuga. Poi lo spostamento riprende verso la località "Bestagno" o "Magaietto", dove questi primi, insieme a quelli che seguiranno nei giorni successivi, come vedremo più avanti, rimarranno circa un mese.
Cosa sorprendente: quando Aldo Gaggino, uno dei componenti la banda, nei pressi apre la porta di una casetta di campagna di proprietà del commendatore Giuseppe Quaglia, appare alla sua vista un uomo stanco, barbuto e accovacciato nella penombra, che subito si alza. Vedendolo alto e nel viso, il Gaggino, rimasto perplesso per alcuni istanti, dopo un poco esclama: "Io ti conosco, tu sei Cascione, u Megu". Questi vorrebbe negare la sua identità, ma viene riconosciuto anche dagli altri. Spiega il perché si trova in quel luogo: aveva dovuto fuggire in fretta per non essere acciuffato dai fascisti.
Quando i giovani presenti manifestano l'intenzione di formare una banda armata per fare la guerriglia ai nazifascisti, Cascione risponde: "Allora siamo tutti qui per la stessa causa, mettiamoci insieme. In quel momento giunge anche Nino Giacomelli, il compagno di Cascione, che era andato a compiere una ricognizione nei dintorni. In quel momento Felice Cascione viene acclamato capo della banda.
Francesco Biga, Felice Cascione e la sua canzone immortale, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, tip. Dominici Imperia, 2007

domenica 9 giugno 2024

Portare nottetempo agenti segreti tedeschi

Fonte: Giulio Gavino, art. cit. infra
 
Il "Molch" era dunque un sottomarino monoposto armato con due siluri da 533 millimetri. Il primo prototipo fu sperimentato a Eckernförde, una cittadina dello Schleswig-Holstein in Germania, il 12 giugno 1944 ed in seguito furono realizzati un totale di 363 "Molch" (fino al gennaio 1945). La torretta aveva due finestre ed era coperta da una cupola in plexiglass. Poteva viaggiare a due sole velocità e la retromarcia non era prevista. Scomodo da manovrare, in combattimento risultò un grosso fiasco e fu principalmente utilizzato per addestramento. La prima unità operativa dotata di "Molch" fu la K-Flottille 411. Il dimensionamento della prima flottiglia (sessanta "Molch" e trecentocinquanta uomini) si dimostrò eccessivo: durante gli spostamenti la lunga colonna fu spesso bersaglio degli attacchi della aviazione alleata e dei partigiani. Fu perciò deciso di ridurre le dimensioni delle successive flottiglie. Durante i primi test molti "Molch" affondarono col proprio pilota. Quando dodici "Molch" vennero impiegati per la prima volta contro le pattuglie alleate al largo di Mentone e Nizza; fu un disastro: la flotta alleata non subì alcun danno, mentre soltanto due "Molch" ritornarono solo per essere distrutti successivamente dal bombardamento di San Remo. Le operazioni della KF-411 furono interrotte. Il 20 settembre 1944 il resto della KF-411 fu trasferito a Trieste e dislocata a Sistiana.
Paolo Geri, Scampoli di storia: La base dei sommergibili a Sistiana durante la seconda guerra mondiale (1943-1945), Bora.La, 5 settembre 2010 
 
Verso la fine del 1944 una Germania sull’orlo della sconfitta continuava a riporre tutte le proprie speranze nelle nuove tecnologie, a partire dalle V1 e V2, arrivando alle wunderwaffen, quest’ultime niente più che capolavori di propaganda, pericolose e inefficienti.
I sommergibili Molch rientravano in questa categoria: erano costrutti scomodi e inaffidabili, mini sottomarini comandati da un’unica persona. Dopo aver constatato in mare la sconfitta degli U-Boot, la Kriegsmarine aveva iniziato a sperimentare con le K-flottiglie, ovvero reparti di mini sommergibili sull’esempio italiano della Decima Mas. Incursioni fulminee e notturne, capaci di sorprendere le flotte degli Alleati. I Molch - noti anche come Salamandre o Squali da Posta - presentavano un posto guida con una piccola torretta, dotata di due finestre e una cupola di plexiglass, a sua volta con funzione di portello di entrata. La torretta era anche dotata dell’indispensabile periscopio, mentre nel corpo inferiore della macchina erano situati i due siluri, agganciati con speciali staffe. I piloti assumevano Pervitin per rimanere svegli anche quarantotto ore di fila, fino a raggiungere il bersaglio, colpire e ritornare alla base. Proprio al momento di sganciare il siluro, il Molch palesava l’ennesimo difetto: il sommergibile doveva riemergere in superficie, esponendo così il pilota allo sguardo (e alle armi) delle navi nemiche.
Le prime prove non furono infatti brillanti: i Molch avevano solo due velocità, erano scomodissimi da manovrare e l’unico modo per orientarsi era guardare il cielo stellato dalla cupola. L’impossibilità di usare la retromarcia li rese presto letali più per i piloti che per i nemici, con alcuni, mortali, incidenti persino durante l’addestramento. Eppure, se il Fuhrer lo desiderava, doveva essere fatto.
Fu così che dodici Molch s’inabissarono diretti verso il nemico il 25 e il 26 settembre 1944, al largo di Mentone e Nizza. Le navi che avrebbero dovuto affondare scatenarono tutto il proprio arsenale di bombe di profondità, distruggendo dieci Molch su dodici. I restanti riuscirono a tornare, salvo poi venire distrutti dal bombardamento di Sanremo.
Sistiana iniziò così a interessare non solo l’esercito di terra, ma la stessa marina, perchè divenne, dall’11 novembre 1944, la sede dei rimanenti Molch, all’incirca una trentina.
Zeno Saracino, I Molch di Sistiana. L’eredità sommersa dei mini sottomarini nazisti, Triestenews, 20 luglio 2019

Alla fine del 1944 la disfatta della Germania appariva inevitabile ed i tedeschi stavano disperatamente giocando quelle che ritenevano le loro carte migliori e più ingegnose. Sono di questo periodo le temibili V1 e V2 che pur rappresentavano un ingannevole successo.  Gli Alleati ormai erano superiori sia in terra che in aria. Ma anche in mare i tedeschi non se la passavano bene e gli U-Boot erano ormai fortemente penalizzati dalle tecnologie di localizzazione delle forze alleate. In uno scenario disperato ed ormai senza speranza furono create le K-Flottiglie: reparti per attacchi notturni con mini sommergibili  che si riteneva difficile da localizzare e che replicavano le strategie della Decima Mas Italiana. A poppa vi era il posto di guida sormontato da una piccola torretta che aveva due finestre ed era coperta da una cupola in plexiglass che faceva anche da portello di entrata. Sulla torretta era posizionato un periscopio per l’osservazione in immersione. Sotto, erano agganciati a speciali staffe, due siluri.
In combattimento, peraltro, i molch si rivelarono un fallimento totale. I piloti navigavano pressoché alla cieca e spesso usando come riferimento le sole stelle visibili tramite la cupola in plexiglass sulla torretta. Il lancio dei siluri poteva avvenire solo a pelo d’acqua rendendo sostanzialmente vulnerabile il sottomarino proprio nel momento più cruciale. Il Molch poteva viaggiare a due sole velocità e la retromarcia non era prevista. Scomodo da manovrare, il Molch in combattimento risultò un grosso fiasco e fu principalmente utilizzato per addestramento. Già durante i primi test, molti Molch affondarono con il proprio pilota. Il 25 e 26 settembre 1944, 12 Molch vennero impiegati per la prima volta contro le pattuglie alleate al largo di Mentone e Nizza. Fu un disastro! La flotta alleata non subì alcun danno, mentre soltanto due Molch ritornarono solo per essere distrutti successivamente dal bombardamento di Sanremo. L’11 novembre 1944, i Molch rimanenti furono trasferiti a Trieste e dislocati a Sistiana dove i tedeschi costruirono appositamente una base nella  piccola baia sormontata dal romantico sentiero Rilke. La montagna che arriva fino alla spiaggia era un riparo ideale e fu "scavata" per aprire gallerie e sale a custodire i molch. Ancora oggi si vedono i varchi sulla montagna utlizzati per le  mitragliatrici ed i cannoni. Fu costruito anche un largo scivolo per mettere in mare i mezzi subacquei.
Redazione, I sommergibili tedeschi Molch, Sommozzatori Rari Nantes
 
Colpi di cannone, raffiche di mitragliatrice, motori lanciati alla massima velocità, scafi che sfiorano i campi minati a pelo d’acqua. Le immagini che emergono dall’archivio del Naval History and Heritage Command statunitense raccontano la storia poco conosciuta della battaglia navale di Sanremo, combattuta tra la notte e l’alba del 2 ottobre 1944. Uno scontro che portò le forze Usa impegnate nel Mediterraneo a catturare per la prima volta due barchini esplosivi MTM (acronimo di Motoscafo da Turismo Modificato), vanto delle forze anfibie della Regia Marina prima e della Repubblica di Salò poi, affidate ai marinai della Kriegsmarine che nella città dei fiori erano arrivati un mese prima per sperimentare i mini sottomarini “Molch”, fallimentare arma segreta di Hitler [...]
Dall’archivio Usa, dissequestrato qualche anno fa, emergono anche i documenti relativi all’impiego delle flottiglie naziste nel Ponente Ligure, i verbali di interrogatorio dei prigionieri, l’attività di intelligence e ricognizione. I tedeschi avevano i mini sottomarini “Molch” e “Mader” da testare ma la Kriegsmarine si occupava anche di altro. Come ad esempio portare nottetempo agenti segreti dell’Abwehr reclutati dal maggiore Karl Sessler [n.d.r.: in effetti, Georg Sessler, che non era un operativo dell'Abwehr - vedere infra] tra la comunità internazionale che ancora viveva a Sanremo, a Marsiglia e Nizza per raccogliere informazioni sulle forze alleate sbarcate nella Francia del Sud con l’operazione “Dragoon”. Berlino voleva sapere quali e quante navi da guerra ci fossero e come poterle colpire.
I dettagli di quella notte di combattimenti sono custoditi nei registri di bordo dell’USS Gleaves [...] Nel frattempo un colpo di 88 dalla costa raggiunge il Gleaves provocando lievi danni e una mezza dozzina di feriti lievi. La nave intanto per sfuggire ai barchini ha iniziato a procedere a zig zag e il comandante ha dato piena potenza alle macchine. Dopo alcune salve esplose verso la costa si allontana dal golfo di Sanremo con la copertura delle motosiluranti che intanto hanno intercettato altri due barchini arrivati di rinforzo. La cattura avviene in quel frangente. I marinai americani circondano i due scafi degli MTM (uno, colpito, poco dopo affonderà) e recuperano i piloti tedeschi che si erano lanciati in mare con le tute da sommozzatori. Alle luci dell’alba il Gleaves torna indietro, la preda di guerra viene caricata a bordo e portata in Costa Azzurra. Scattano le indagini per scoprire il funzionamento dei barchini.
Giulio Gavino, 1944, battaglia in mare a Sanremo: barchini esplosivi all’attacco, Il Secolo XIX, 3 marzo 2023
 
Nell’agosto del 1944 Georg Sessler fu inviato a dirigere l'ufficio di Sanremo che si occupava principalmente di intercettare le trasmissioni radio alleate ma venne incaricato dal suo superiore, il Colonello Engelmann, di reclutare agenti da inviare oltre le linee nemiche. A Sanremo assunse il nome di Doctor Steinbacher.
I diretti collaboratori di Sessler erano Leon Jacobs alias Felix, l’operatore radio Wihlelm Schönherr alias William e il tuttofare Widenmeyer, oltre ad alcuni agenti di nazionalità italiana e francese.
L’ordine ricevuto da Engelmann di occuparsi anche delle infiltrazioni di agenti oltre le linee nemiche mise l’ufficio di Sessler in concorrenza con un’altra struttura presente a Sanremo, retta dallo Sturmannführer Helmut Gohl della Sicherheitspolizei e SD, l’"ufficio VI", la cui attività era dedita al sabotaggio e allo spionaggio diretta contro le forze alleate presenti in Provenza e in Costa Azzurra. La sede sanremese dell’Ufficio VI della S.D. si trovava a Villa Araga, di fronte alla stazione del filobus. Dell’ufficio di Gohl, oltre al suo stretto collaboratore Selm, facevano parte gli Obersturmführer Senner alias Sommer e Werner Neissen e si avvaleva di più di un centinaio di membri del Parti Populaire Français, P.F.F., collaborazionisti durante la stagione del maresciallo Petain, in quel periodo pronti a tornare in Francia per spiare la dislocazione delle forze alleate e compiere azioni di sabotaggio. La missione che coinvolgeva questi esuli fancesi prendeva il nome di operazione Bertram e Tosca.
A Sanremo un altro ufficio della Sicherheitspolizei e SD, che si occupava principalmente di repressione delle bande partigiane e dei reati di natura politica e di repressione del mercato nero, era retta dall’Oberschführer Josef Reiter, che non mancava di inserirsi a gamba tesa anche nelle attività degli uffici precedentemente descritti. Reiter era alle dirette dipendenze del comando di Genova, retto da Friedrich Wilhelm Konrad Sigfrid Engel (Warnau am der Havel 11/2/1909 - Amburgo 4/2/2006), condannato all’ergastolo in contumacia per le stragi del Turchino, della Benedicta, di Portofino e di Crevasco dove, nel complesso, furono fucilati ben duecentoquarantotto tra partigiani e antifascisti.
Giorgio Caudano, Appunti, 2020
 
[ n.d.r.: alcuni lavori di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano (con Paolo Veziano), Dietro le linee nemiche. La guerra delle spie al confine italo-francese 1944-1945, Regione Liguria - Consiglio Regionale, IsrecIm, Fusta editore, 2024; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I Caduti della Lotta di Liberazione nella I^ Zona Operativa Liguria, ed. in pr., 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]
 
Il 1° ottobre i piloti dell'Army Cub scoprirono i MAS tedeschi nel porto di San Remo. Un bombardamento ben mirato, nonostante il forte fuoco di risposta, provocò la distruzione di almeno tre di queste imbarcazioni e la demolizione delle strutture per la riparazione delle barche e di altre installazioni portuali. L'incrociatore USS Gleaves trovò anche il tempo di distruggere almeno una batteria da 88 mm (3 pollici), che si era rivelata pericolosa durante l'attacco. Il giorno successivo, assistito da aerei della USS Brooklyn, bombardò gli stabilimenti costieri, le postazioni delle batterie e le navi nel porto di Oneglia, facendo gravi danni a due grandi navi mercantili nemiche, distruggendo una batteria di difesa costiera e una batteria antiaerea vicino al porto. Durante quell'azione il Gleaves ricevette alcuni dei pochi colpi della sua carriera quando un proiettile da 88 millimetri perforò il suo scafo con le schegge.
Durante la notte, mentre pattugliava al largo di Sanremo, il radar di Gleaves individuò tre navi nemiche che si muovevano lungo la costa. Senza assistenza, si avvicinò a loro, nonostante sapesse della presenza di campi minati, e riuscì a distruggerne uno, costringendo gli altri due al ritiro. Più tardi, quella notte, i restanti due furono nuovamente individuati mentre cercavano di raggiungere Sanremo. Ancora una volta, Gleaves attaccò e questa volta distrusse una seconda nave del gruppo e riportò la terza a Genova, probabilmente in condizioni danneggiate.
Mentre tornava alla sua posizione iniziale al largo di San Remo, quella notte il Gleaves fu ingaggiato per la terza volta a battaglia poiché divenne oggetto di un attacco da parte di almeno cinque motoscafi esplosivi con equipaggio suicida. L'uso accorto e combinato di colpi di cannone, di bombe di profondità e di forti virate alla massima velocità lo misero in salvo, lasciando quattro imbarcazioni affondate nella sua scia. La mattina seguente, tornanto in zona, l'equipaggio catturò il quinto motoscafo intatto e con ancora a bordo due operatori. Per quanto è noto, quella fu la prima imbarcazione di quel tipo catturata ai tedeschi e fornì preziose informazioni tattiche alle forze alleate nella zona.
Nel dicembre 1944 il Gleaves fu assegnato come nave di supporto antincendio vicino alle posizioni alleate sulla frontiera franco-italiana e svolse questo compito fino alla partenza per gli Stati Uniti nel febbraio 1945.
Redazione, USS Gleaves, Wikipedia
 

domenica 10 dicembre 2023

Il giorno dopo sette garibaldini del primo distaccamento, in missione a Pietrabruna, catturano e disarmano quattro bersaglieri repubblichini

Pietrabruna (IM): uno scorcio

A sua volta il Comando della II divisione «F. Cascione» il 18 di settembre [1944] costituisce il distaccamento mortaisti che assume il nome del garibaldino caduto Ettore Bacigalupo e il distaccamento rifornimento viveri in Fontane di Frabosa al comando di Domenico Arnera (Aldo). Assegna alla I brigata «S. Belgrano» i distaccamenti «G. Catter» al comando di Mario Gennari (Fernandel) e «G. Maccanò» al comando di Giuseppe Garibaldi (Fra Diavolo).
Sciolto il battaglione «Lupi» di E. Pelazza, con i suoi elementi vengono costituiti i distaccamenti «L. Fiorenza» e «I. Rainis», rispettivamente al comando di Valerio Ghirardo (Antonio) e Giacomo Ardissone (Basco).
I due distaccamenti di «Domatore» e «Battaia» assumono i nomi dei caduti Elio Castellari e Antonio Terragno.
Intanto i Tedeschi sgomberano Pieve di Teco, Nava, Ormea e altre località lungo la statale n. 28 che rimane libera, ma non sgomberano le città della costa. Non si conoscono gli scopi di tali movimenti nemici. Si decide di far saltare tutti i ponti ricostruiti dai Tedeschi sulla predetta strada per creare loro maggiori difficoltà. Con i muli viene recuperato il materiale pesante nascosto a Moano durante il grande rastrellamento svoltosi tra l'8 e il 12 agosto.
Una grande retata elimina molte spie e collaborazionisti annidati in Pieve di Teco. Però il Comando non ordina di occupare la città e gli altri paesi lasciati liberi dal nemico per timore di una trappola dato che, ormai, il fronte
francese si era stabilizzato e perciò i Tedeschi potevano manovrare molte forze rimaste disimpegnate.
Si conviene di occupare i valichi e le cime dei monti in modo da poter dominare la situazione come si era dominata il 25 di luglio, il 9 di agosto, il 4-5 di settembre, ed aspettare il successivo rastrellamento che, certamente, come l'esperienza passata aveva dimostrato, non avrebbe tardato.
Nel retrofronte il nemico doveva assolutamente avere le spalle tranquille e sicure, e così una via libera per una eventuale ritirata, come poteva essere la statale n. 28.
A ponente della I brigata operavano le formazioni della IV dalla valle Impero alla valle Argentina, e quelle della V dalla valle Argentina alla valle Roja.
Il 9 di settembre due garibaldini del 10° distaccamento «W. Berio», spintisi nel centro di Oneglia, prelevano e giustiziano un milite delle brigate nere; altre squadre recuperano tremila colpi di «Mauser» in una postazione a Santo Stefano, due fucili e bombe a mano in località Santa Brigida.
A Taggia i Tedeschi fucilano il garibaldino Antonio Martina fu Vincenzo, nato nel 1887. L'11 alcuni garibaldini puntano su Bestagno per prelevare delle spie; segue una rappresaglia nazifascista.
Il 13 di settembre, mentre i distaccamenti di «Dankò» e «Peletta» prendono posizione al passo della Follia e il distaccamento di Nino Verda al passo del Grillo, altre squadre ingaggiano combattimento con una trentina di Tedeschi in località Isolalunga, dopo di che, richiesto dal nemico l'intervento dei mortai da 81 mm. piazzati sul monte Papé a un chilometro di distanza dallo scontro, i garibaldini, sganciatisi e non accertate le perdite inflitte al nemico, ripiegano incolumi.
Cinque garibaldini del 3° battaglione «Artù» in missione, trascorsa la notte in Castellaro, all'alba del 18 di settembre mentre si avviano fuori paese sono sorpresi da un plotone di Tedeschi; una raffica colpisce al capo il volontario Antonio Boeri (Pescio) di Antonio, nato a Badalucco il 13.12.1919, che rimane ucciso all'istante.
In seguito ad un attacco garibaldino a soldati in perlustrazione a Santa Brigida (un morto ed alcuni feriti) il nemico bombarda Dolcedo con cannoni piazzati nella valle di Oneglia. In tale circostanza muore il civile Giobatta Guasco ed il paese subisce danni materiali (A.S.R.).
Nei giorni che seguono, in previsione di un rastrellamento che dovrebbe partire da Chiusavecchia e da Pontedassio, il distaccamento di «John» prende posizione ai passi di Ville e della Pistona, i distaccamenti di «Romolo» e di «Mirko»  [Angelo Setti] a Colla d'Oggia, il «Paglieri F.» in località Arzéne. Sorpreso dai partigiani in allarme il nemico desiste dalla sua azione.
Il giorno dopo sette garibaldini del primo distaccamento, in missione a Pietrabruna, catturano e disarmano quattro bersaglieri repubblichini recuperando un mitra, due fucili tedeschi e cinque bombe a mano.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, ed. Amministrazione Provinciale di Imperia e patrocinio IsrecIm, Milanostampa, 1977

"Ed eccola, nutrita, improvvisa eppur prevista, la scarica dell'imboscata, proveniente dai terrazzi degli ulivi. Il sergente Bolla rotola a destra della strada che ci riporta a San Lorenzo: io, colpito ed immobilizzato all'anca destra, mentre sto facendo una piroetta, con perfetta manovra di "a terra" come nelle esercitazioni lungo la Bormida.
Finisco in una scanalatura del terreno e una miriade di proiettili arriva a dieci centimentri di distanza dal mio corpo, oramai al sicuro, e scalfiggono il suolo. Ma sento anche, benedetta ed assai violenta, la reazione degli altri bersaglieri col fuoco di copertura, un poco più dietro, che muta a nostro favore le sorti dell'imboscata.
[...] A tarda notte (io su un carretto) si giunge a S. Lorenzo al Mare. Vengo raccattato da un furgoncino, mandatoci incontro dal Comando e guidato dal bersagliere Carlo Bioni di Montichiari, con il bersagliere Lucio Questa di Brescia, a protezione, sul parafango anteriore destro.
Amici cari, benvenuti.
Sono portato a notte fonda all'Ospedale da campo di Taggia.
Vengo a sapere che anche il sergente Bolla, avanti a me, è salvo, pure se con una pallottola in un polpaccio.
[...] Avevamo lasciato Pietrabruna e ci dirigevamo verso le nostre postazioni a valle.
Mancavano all'appello il sergente maggiore Quartero, il caporal maggiore Rosier, il caporale Azzi, il bersagliere Bonadei che sapevamo essere stati catturati dai partigiani".
Queste - sullo scontro di Pietrabruna - le parole di un ex bersagliere di Salò, nostalgico, così come riportate nel libello di Umberto Maria Bottino, I nostri giorni cremisi. 1943-1995 <Attilio Negri srl, Rozzano (MI), 1995>, parole che in ogni caso confermano la portata dell'evento, risolto con successo dai garibaldini.
Adriano Maini

mercoledì 6 settembre 2023

Il nuovo Comitato era subito riconosciuto dal CLN Regionale Liguria e durerà in carica dal primo febbraio 1944 alla Liberazione, con giurisdizione su tutta la Provincia di Imperia e sul Circondario di Albenga

Imperia: uno scorcio di Porto Maurizio

Il 10 settembre 1943, dopo una prima riunione in Imperia di quadri comunisti, seguita da una seconda, alla quale, oltre ai comunisti parteciparono uomini politici delle altre correnti antifasciste, venne formato un "triangolo militare", composto da Nino Siccardi, Felice Cascione e Carlo Aliprandi, con l'incarico di inviare altri uomini in montagna, aiutare con viveri, armi e munizioni quelli che già vi si trovavano, organizzare militarmente anche gli uomini della città. Contemporaneamente, con militari rimasti sul posto, si sarebbe provveduto ad asportare armi, munizioni e vestiario dalle caserme. Così, prima dell'arrivo dei tedeschi furono ricuperate cinque mitragliatrici, oltre cento fucili, alcune decine di rivoltelle, parecchie migliaia di cartucce, cassette di bombe a mano, coperte, scarponi e così via.
Due giorni dopo, il 12 settembre, i tedeschi giungevano ad Imperia prendendo possesso della città. Il Centro sopraddetto, con i suoi collaboratori, funzionava e teneva i collegamenti con quello di Genova, svolgendo altresì una funzione di raccordo tra la città della Lanterna e i centri minori di Albenga, Alassio, Diano Marina e Sanremo. Il materiale di propaganda proveniente dal Centro di Genova veniva regolarmente diffuso nella zona.
Verso la fine di settembre 1943, Gian Carlo Paietta giunse ad Imperia, inviato dal Centro di Genova per prendere contatto con l'organizzazione comunista locale. Scopo della riunione era quello di lanciare tutta l'organizzazione comunista nella lotta di liberazione, trattandosi, tra l'altro, di una rete politicamente già ben ramificata nella Provincia.
[...] Dopo l'eroica morte di Felice Cascione in montagna (Alto, 27.1.1944), il Comitato decideva di inviare Nino Siccardi (Curto) a prendere il comando delle formazioni partigiane della I Zona Operativa Liguria. Il primo febbraio 1944 il primo CLN Provinciale veniva modificato in quanto, essendo stati individuati dai nazifascisti, i membri Viale e Berio dovettero allontanarsi, mentre Giacomo Castagneto, per disposizione del PCI, si trasferiva a Cuneo a dirigere la Federazione del Partito in quella Provincia, in sostituzione del compagno Barale, caduto durante l'incendio di Boves da parte dei tedeschi. Lasciò infine il CLN Giacomo Amoretti, pur restando nelle file dell'organizzazione della Resistenza a Imperia, per trasferirsi poi nei primi giorni di settembre 1944 a Genova, a far parte del Comando della Delegazione delle Brigate Garibaldi della Liguria.
Il nuovo Comitato era subito riconosciuto dal CLN Regionale Liguria e durerà in carica dal primo febbraio 1944 alla Liberazione, con giurisdizione su tutta la Provincia di Imperia e sul Circondario di Albenga. Questa la formazione del nuovo Comitato: Gaetano Ughes (PCI), presidente; Ernesto Valcado (PSIUP), Carlo Folco (DC), (Ugo Frontero (PSIUP), Carlo Aliprandi (PCI) e Amilcare Ciccione (DC), tutti e tre addetti militari.
Allo scopo di coordinare l'azione militare, che andava oramai assumendo un ruolo di prim'ordine nella lotta di liberazione nazionale, veniva pure costituito alle dirette dipendenze del CLN un centro militare che riprendeva le funzioni del "triangolo militare", creato subito dopo l'armistizio e poi sciolto a fine novembre 1943, quando i suoi più attivi componenti erano stati inviati in montagna per organizzare le formazioni partigiane. Del Centro Militare, strettamente integrato nel gruppo politico del CLN e da questo dipendente, fecero parte, fino alla Liberazione, i tre addetti militari del CLN stesso, Carlo Aliprandi (Il Lungo), Amilcare Ciccione (Milcoz) e Ugo Frontero (Ugo).
Nell'intento di garantire la clandestinità dell'organizzazione e sventare i continui tentativi della polizia nemica di annientarne gli organismi dirigenti, nonché onde evitare inutili dispersioni di energie, venne deciso di accentrare, per quanto possibile, nelle mani del presidente e segretario la gran parte dell'organizzazione politica (stampa e propaganda, organizzazione locale e gli svariati e delicati servizi di collegamento), anche in considerazione del fatto che il presidente era in grado di valersi, nell'espletamento delle sue funzioni, della già esistente organizzazione del PCI e dei suoi principali terminali nella Provincia. Anche gran parte della finanza venne affidata alle cure del segretario, il quale poteva così disporre sia dei fondi che giungevano saltuariamente dal Centro di Genova, sia di quelli raccolti o prelevati nella città di Imperia e nei Centri della Provincia, e quindi provvedere di volta in volta, anche nei casi di emergenza, ai necessari finanziamenti, si trattasse delle forze operanti in città o delle formazioni partigiane in montagna, le cui esigenze si andavano facendo sempre più onerose e complesse con il crescere delle loro file.
I membri del Comitato di Liberazione si riunivano periodicamente, quasi sempre con la presenza di uno o di tutti gli addetti militari. Nei primi mesi del 1944 le riunioni avvenivano una o due volte la settimana, poi, quando i tempi divennero più duri e la situazione si fece pericolosa, in media ogni quindici o venti giorni. Generalmente le riunioni avevano luogo nell'abitazione del segretario. Talvolta, quando si sospettava un pericolo, presso quella dell'avvocato Folco, di Valcado, o di uno degli addetti militari. In alcune occasioni, convegni vennero tenuti in caffè cittadini.
[...] Il segretario, nello svolgimento della sua complessa e difficile attività politica e finanziaria, d'informazione e di collegamento, era affiancato da numerosi organi, generalmente collegiali, alcuni con proprie organizzazioni autonome, di cui egli stesso si serviva. Si deve all'instancabile attività di questi organi ausiliari se la rete cospirativa poté funzionare efficacemente fino alla Liberazione. I primi organismi ausiliari del CLN imperiese, costituiti nella primavera del 1944, furono la squadra politica e finanziaria, ed il gruppo di collegamento e staffette. La costituzione di tali organi coincise con il riconoscimento del CLN di Imperia quale organo di Governo per la Provincia, riconoscimento che il CLN di Genova fece pervenire, su autorizzazione del CLN Alta Italia, nei primi giorni di aprile 1944. La costituzione della squadra politica e finanziaria, e del gruppo collegato a staffette, si rese necessaria
per il continuo accrescersi dei bisogni inerenti alla lotta partigiana in montagna e a quella clandestina nei centri della Provincia.
Infatti con la costituzione definitiva della IX Brigata d'assalto Garibaldi (metà giugno 1944) sulle montagne dell'entroterra, sotto il comando di Nino Siccardi (Curto) ed il commissario Libero Briganti (Giulio), brigata elevata poi il primo luglio successivo a II Divisione d'assalto Garibaldi "Felice Cascione", si rese opportuno un collegamento regolare ed efficiente con la montagna, non solo, ma anche un intensificato invio di danaro, viveri, armi, munizioni, vestiario e medicinali, e l'organizzazione di un vero e proprio servizio d'informazione (SIM), diretto da uomini preparati a questo compito, essenziale per lo sviluppo ulteriore di una lotta fatta principalmente di colpi di mano, sorprese, agguati.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria) - vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016 
 
I C.L.N. locali con l'approssimarsi della fine del 1944 avevano suddiviso il territorio di competenza della I^ Zona Operativa Liguria in tre parti. La "A" comprendeva il territorio da Ventimiglia (IM) a Santo Stefano al Mare (IM), comprese  tutte le vallate. La "B" i paesi tra Imperia e Cervo (IM) e vallate. La "C" riguardava il territorio tra Andora (SV) ed Albenga (SV).
I Comitati di Liberazione Nazionale, benché clandestini e perseguitati, si prefiggevano l'obiettivo di condurre con ogni mezzo la lotta per la liberazione di tutto il territorio occupato, cooperando con le squadre di montagna e supportandole con apporti di tipo economico, logistico e politico-militare.
I C.L.N. locali si facevano, inoltre, carico, della propaganda antifascista, di aiutare le famiglie dei combattenti partigiani e di raccogliere notizie sugli spostamenti delle truppe nazifasciste.
Il C.L.N. di Sanremo (IM), avendo, come sottolineato poco sopra, il proprio raggio d'azione dalla frontiera con la Francia a Santo Stefano al Mare (IM), intrattenne rapporti quasi giornalieri con il comando della II^ Divisione "Felice Cascione". E furono molto stretti anche i rapporti tra il  CLN di Taggia (IM) con il comando del III° Battaglione "Candido Queirolo" della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

giovedì 20 luglio 2023

La squadra dei mortaisti partigiani era composta da quattro soldati della divisione San Marco, che avevano disertato

Dintorni di Rezzo (IM). Fonte: Parco Naturale Alpi Liguri

Insomma, nella cameretta di Oliveto si dormiva - si fa per dire - meglio. Dopo aver trascorso una notte quasi insonne, all'alba del giorno 5 settembre 1944 tutto l'accampamento era in movimento: avevamo udito lunghe raffiche di mayerling (la terribile arma automatica tedesca) provenienti da lontano. Prestato un poco di attenzione, ne individuammo la direzione: giungevano dal passo della Fenaira, dove era dislocato il distaccamento di "Germano" che controllava la strada proveniente da Molini di Triora e Andagna. Purtroppo, oltre che da quella parte, stavano giungendo i primi drappelli tedeschi anche da Rezzo e da Montegrosso - Men­datica, mentre il grosso delle truppe aveva già occupato tutte le montagne che si ergono intorno alla conca di Rezzo. Un grande rastrellamento nemico era in atto.
"Germano" resistette fino al limite delle forze, ma poi, preso tra due fuochi (dalla parte di Andagna e da quella del Passo della Mezzaluna), dovette desistere, lasciando purtroppo sul terreno Ettore Bacigalupo ("Genovese"), Felice Spalla, Pietro Glorio ("Gambin"), Aldo Gagliolo ("Terribile") e Italo Ghirardi ("Gherardo"). Anche Montegrande era stato occupato dai tedeschi.
Fu ad un certo momento della mattinata che il comandante Silvio Bonfante ("Cion"), rivolgendosi a Massimo Gismondi ("Mancen"), disse: «Bisogna che tu vada a sloggiare i tedeschi da Montegrande, perché ci tengono sotto tiro».
Al che "Mancen" rispose: «Ti sembra una cosa facile?». La risposta di "Cion" fu drastica: «Se non ci vai tu, ci vado io». A questo punto "Mancen" si decise, chiedendo una quindicina di volontari. Io ero già stato aggregato al reparto mortaisti, ma, se così non fosse stato, non sarei stato di certo un volontario. L'avventura del molino dei Giusi e il miracolo di Oliveto avevano destato in me un poco di paura.
"Mancen" con i suoi uomini partì per Montegrande e noi mortaisti ci preparammo ad agevolargli la salita. L'azione si doveva svolgere in modo che, quando la squadra dei volontari fosse giunta ad una cinquantina di metri dalla vetta, fuori dalla vegetazione, dopo un segnale convenuto avremmo incominciato a sparare con i mortai. Dovevamo essere precisi per non colpire i nostri compagni. La squadra dei mortaisti era composta da quattro soldati della divisione San Marco, che avevano disertato e raggiunto le nostre file in montagna, abbandonando il presidio di Chiappa in val Steria. Essi maneggiavano i mortai, mentre un'altra trentina di disertori della stessa divisione faceva da supporto. Istruiti in Germania, erano gente molto preparata, e presto lo dimostrarono. Dopo circa mezz'ora che era partito "Mancen", lui ci segnalò di aprire il fuoco. Noi che nel frattempo avevamo puntato il mortaio nel modo giusto, sotto la guida del sergente mortaista, al segnale iniziammo a sparare, in verità con un poco di preoccupazione perché, durante il trasporto dell'arma da Chiappa a San Bernardo di Conio, il sistema meccanico di puntamento si era rotto. Il sergente dimostrò in quel frangente la sua abilità. Mise in opera un sistema di puntamento manuale che si dimostrò efficacissimo. Salito sul tetto della vecchia chiesetta di San Bernardo, guardò Montegrande e quindi il mortaio, si piazzò nelle direzione retta dei due punti di riferimento e lasciò cadere a terra un'assicina di legno che si piantò nel terreno. Fatto questo, saltò a terra dal tetto della chiesetta che era abbastanza basso e, estratto dalla tasca un taccuino, fece alcuni calcoli. lo non capivo niente di quello che stava facendo. Terminati i calcoli e raggiunto il mortaio, maneggiò i vari sistemi di alzo e di brandeggio. Infine disse: «Credo che così vada bene, possiamo iniziare il fuoco». Tra me pensavo che, se "Mancen" e gli altri avessero saputo in che modo era stato eseguito il puntamento, indubbiamente sarebbero velocemente fuggiti dal luogo dove si erano appostati.
Uno degli inservienti infilò nel mortaio una bomba da 81 che, con un colpo secco, partì immediatamente. Attendemmo con ansia l'arrivo della bomba su Montegrande. Quando vedemmo lo scoppio proprio in cima al monte dove i tedeschi erano piazzati, esultammo per l'abilità del sergente e per lo scampato pericolo della nostra squadra di volontari.
Era giunto il momento decisivo. I nostri iniziarono l'assalto sparando all'impazzata, mentre i tedeschi, raggiunti da altri colpi di mortaio, si ritirarono verso il passo della Fenaira.
Conquistata la cima del monte, "Mancen" iniziò l'inseguimento del nemico, accompagnato dai tiri del mortaio che il sergente spostava gradatamente a destra man mano che i colpi partivano, per non colpire gli inseguitori.
Dopo aver sparato ancora una decina di colpi, però, purtroppo dovemmo smettere perché le bombe incominciarono a scarseggiare. Non potevamo più sciuparne.
Dimenticavo di dire che il mio compito, durante gli spari, era molto importante: portavo le cassette delle bombe dal luogo dove erano state sistemate, lontano dal mortaio una cinquantina di metri per sicurezza, all'arma che era al riparo della chiesetta. Con altri tre compagni dovevo percorrere quel tratto allo scoperto, per cui ogni tanto sentivamo fischiare vicino pallottole nemiche. Al fianco del mortaio era stata piazzata una mitragliatrice pesante che, azionata da Giuseppe Gennari ("Gino"), impediva ai tedeschi di avanzare dalla strada di Rezzo verso San Bernardo di Conio. Quando le sparatorie si placarono, mentre stava scendendo con la sera anche la nebbia, la squadra di "Mancen" fu costretta a ritirarsi da Montegrande portando con sé prigioniero un sergente tedesco. Nell'azione solo un partigiano era stato leggermente ferito ad un braccio.
Giunta la notte, mentre i tedeschi, impressionati dall'azione partigiana, avevano sospeso momentaneamente il rastrellamento, i distaccamenti di Franco Bianchi ("Stalin"), di "Germano" e di altri comandanti adottarono la tattica di disperdersi nei boschi. Noi, invece, caricammo su una decina di muli i mortai, le armi pesanti, le marmitte, i viveri e le munizioni, e con "Mancen", i fratelli Gennari, "Mancinotto", "Sardena", "Cigré'" (eravamo circa una trentina) ci calammo verso Rezzo per tentare di passare da qualche parte nella valle di Pieve di Teco, per avviarci poi verso Montegrosso - Mendatica. Ma, giunti vicino a Rezzo, venimmo a sapere che il paese era occupato dai tedeschi. Fummo costretti ad incamminarci verso il passo delle Bisciaire e, quando stavamo per giungere sul crinale, fummo accolti da lunghe raffiche nemiche. Era evidente che, prima che facesse buio, i tedeschi avevano piazzato le mitragliatrici sulla mulattiera, e, quando avevano sentito il rumore prodotto da una decina di muli, avevano dato inizio alla sparatoria. Fortuna volle che non fossimo sulla giusta traiettoria, così fummo in grado di scaricare i muli cbe abbandonammo al loro destino. Nascondemmo in modo precario il materiale scaricato, quindi ci buttammo di corsa dentro il bosco di Rezzo, fuori tiro perché protetti da una costiera.
Durante la notte incominciò a piovere e ci inzuppammo all'inverosimile. Credo che nessuno sia riuscito a dormire. All'alba, a mille metri di altezza, faceva un freddo intenso, mentre noi non avevamo vestiti di ricambio per poterci togliere quelli bagnati di dosso. Ricordo che Mario Gennari ("Fernandel") batteva i denti dal freddo fino a dare fastidio: forse era meno coperto degli altri. Dovemmo stare due giorni fermi in quel bruttissimo posto, mentre i tedeschi con pattuglioni di quindici/venti uomini venivano giù dai passi sparando raffiche a casaccio nei boschi inaccessibili, come era il nostro, e perquisivano tutte le baite sui pianori.
Racconterò quanto mi dissero alcuni partigiani che erano nascosti con il comandante Nino Siccardi ("Curto") in una di queste baite, aggiungendo che, prima di perquisirle, con grande prudenza, i tedeschi piazzavano contro le porte e le finestre delle stesse le armi automatiche.
Quando una pattuglia nemica giunse davanti alla baita dove si erano rifugiati "Curto" e alcuni suoi compagni, essa fu attratta da un albero carico di magnifiche mele. I componenti la pattuglia si misero a raccoglierle e a mangiarle, mentre i partigiani, all'interno della baita, col cuore in gola, attendevano in silenzio il momento decisivo. Se i tedeschi si fossero avvicinati alla baita, loro sarebbero usciti sparando all'impazzata, e cercando di disperdersi. E' incredibile dire che il "Curto", con la sua nota flemma, mentre osservava attraverso una fessura della porta i tedeschi che mangiavano le mele, si rammaricava pensando che se le stavano mangiando tutte, senza lasciarne alcuna ai partigiani. Il "Curto" aveva un eccezionale sangue freddo. Non sapeva cosa fosse la paura. Lo dimostrò in numerosissimi episodi. E ciò infondeva coraggio a tutti i partigiani. La spasmodica attesa durò due giorni, poi il nemico andò via e noi ci portammo verso la Casa Rossa (una baita dispersa nel bosco), per vedere se fosse già stata raggiunta da altri partigiani. Infatti colà ne trovammo alcuni. La baita era stata la sede del Comando e qualcuno nei pressi aveva nascosto della pasta. Fu recuperata e cotta senza sale in una marmitta. Da due giorni eravamo digiuni, una fame nera ci tormentava. Non avendo un piatto o una gavetta, per non perdere il giro, feci servire la mia razione in un pezzo di carta che avevo trovato lì per terra.
Andammo poi singolarmente a scavare in un terreno dove avevano già tolto le patate, riuscendo a trovarne parecchie, che bollimmo e mangiammo.
Dunque, il rastrellamento nemico finì due giorni dopo che era iniziato. Perdemmo una decina di partigiani. I tedeschi uccisero alcuni civili. Giorni dopo recuperammo le salme di due carbonai del luogo. Se non avessimo sentito il loro cattivo odore, chissà per quanto tempo sarebbero rimaste insepolte! Le perdite nemiche furono indubbiamente superiori alle nostre, ma non saprei quantificarle.
Di notevole c'è da dire che, se fossimo stati bene informati, potevamo ritirarci tranquillamente lungo la strada San Bernardo di Conio - Colle San Bartolomeo (una decina di chilometri), poiché la strada non era stata percorsa dal nemico, quindi era rimasta sempre libera.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998, pp. 52-57

venerdì 26 maggio 2023

Arrestato il 22 aprile 1944 a Pieve di Teco con un altro dalle SS tedesche

Pigna (IM)

Al posto di sbarco di Voltri arrivava nel febbraio del ’44 [il 1° febbraio] una prima missione capitanata da un certo Siro [Cavallino Italo, tenente del genio guastatori] con un istruttore di sabotaggio portante il nome di Annibale [Bellegrandi Nino, sottotenente di artiglieria] (che fu poi fucilato dalle S.S. [a Cravasco]) e dal R.T. Biagio [Balestri Secondo, sottocapo r.t.]. Siro e il R.T. furono avviati nella zona di Mondovì e messi a disposizione della organizzazioni partigiane del Basso Piemonte alle dipendenze dell’ufficiale di collegamento responsabile di zona Repetto; l’Annibale tenuto a disposizione ed utilizzato in vari settori (anche a Genova città) come istruttore di sabotaggio. La missione era denominata LLL2-CHARTERHOUSE, proveniva da Bastia con un MAS italiano e operò, fino all'arresto di “Siro” avvenuto il 13 marzo 1944, comunicando alla base informazioni per i lanci di rifornimenti alle formazioni operanti in Val Pesio, Val Ellero, Val Corsaglia e Val Casotto. “Biagio” fu arrestato il 22 aprile, fu costretto con le minacce e le torture a trasmettere alla base false notizie date dai tedeschi, ma riuscì a cambiare alcuni gruppi cifrati ed a far capire, in questo modo, di essere in mano delle SS. Riuscì a fuggire il 31 luglio e a riprendere contatto con i partigiani garibaldini operanti nella zona nord della provincia di Imperia. Verso la metà di settembre [nd.r.: in effetti, ai primi di ottobre 1944, previa consultazione con i partigiani della Divisione Cascione, che stavano difendendo la Libera Repubblica di Pigna e che aiutarono quella missione, accompagnata anche da altri partigiani del Cuneese e da piloti ed avieri alleati, sfuggiti ai tedeschi, il cui capo, Lees, preferì per arrivare alle linee amiche procedere a dividerla in tre gruppi, che seguirono tre diversi itinerari], attraversò il confine con la Francia insieme al capitano Michael Lees, comandante della missione FLAP2-BARSTON, e da Avignone, in aereo tornò a Bari il 15 settembre 1944. A Balestri è stata conferita la Medaglia d’argento al valor militare…
Antonio Martino, L’attività di intelligence dell’Organizzazione OTTO nella relazione del prof. Balduzzi, pubblicato su Quaderni savonesi. Studi e ricerche sulla Resistenza e l’età contemporanea dell’
Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea della Provincia di Savona, n. 24, Savona, 2011
 
Giorgio, Giorgio I, poi Cis, Alpron a dicembre 1943 fu presente ad Alto (CN), in quanto attivo nei collegamenti con Mauri, Enrico Martini, con il servizio Lanci dell'Organizzazione "Otto". Passò, poi, a militare nelle formazioni garibaldine della I^ Zona, nelle quali diventò in seguito capo di Stato maggiore della  I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ Divisione "Silvio Bonfante". Giorgio Caudano ha rintracciato presso l'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia due relazioni scritte a suo tempo da Giorgio Alpron, una in particolare molto dettagliata sulla Missione Otto: in quest'ultima emergono soprattutto tracce inedite sulla fine dell'organizzazione Otto: "[...] gli Alleati questi pretesero da 'Amilcare' informazioni militari e ferroviarie ma gli inibirono di interessarsi ai collegamenti Partigiani con nostro mezzo, benché li avessimo fatti avvertire della nuova situazione, dell'arresto di 'Biagio' [Secondo Balestri]". Nella testimonianza di Balestri, che era riuscito a fuggire dall'ultima sua prigionia, a raggiungere i garibaldini della I^ Zona Liguria che avevano in quel periodo liberato Pigna e ad aggregarsi all'esfiltrazione in Francia del gruppo del capitano Lees, si può, invece, leggere: "del tradimento di Pagani, Di Fiori e Cottini [...] mentre Silvia Roggero lasciò Genova con me solo in Agosto [del 1944] quando l'assoluta inutilità di ogni mio tentativo di ulteriori collegamenti con gli Alleati, ormai compiuti da solo perché anche Lodigiani era stato arrestato, mi convinsero a lasciare il lavoro clandestino per riprendere il mio posto fra i Partigiani della 1° zona operativa in Liguria [...]".
Adriano Maini
 
In arrivo - LLL 2 N. 26 - Da comando valle Pesio alt Avevamo chiesto che Biagio [Secondo Balestri] rimanesse con noi per evitare che con l'eventuale ritorno di Siro fosse trasferito in altro luogo alt Il posto più sicuro per lui et radio est qui in alta montagna inaccessibile ed ben protetto dalle nostre forze ormai ben armate et munizionate in seguito vostri preziosi lanci alt Sarebbe grave imprudenza viaggio di Biagio at Genova così pure sarebbe assai pericoloso in questo momento eseguire trasmissioni da altro luogo alt. Vi facciamo presente che pur essendo in alta montagna et per mezzo del nostro servizio informazioni potrà ancora rendervi prezioso servizio alt Dateci conferma se autorizzate sua permanenza qui alt Comando Valle Pesio alt. Ricevuto il 29 marzo 1944. NOTA del Capo-sezione: Consigliamo aderire - Preghiamo sempre che banda garantisca incolumità stazione non impegnando combattimento.
In arrivo - LLL 2 N. 28 - Da Comando Valle Pesio alt. Siamo ancora bloccati ma il nemico non osa attaccarci alt Continuiamo la preparazione difensiva alt Abbiamo avuto due scontri di pattuglie quattordici feriti al nemico alt Patrioti... un ferito alt Ricevuto lancio ringraziamo sentitamente abbiamo recuperato trentasette casse di viveri alt Vi preghiamo mandarci gallette scatolette carne duecento gavette inglesi cento zaini da montagna due mortai munizioni per mitragliatrice Bren razzi rossi et verdi cinque radio Wirelesse n. trentotto MK due et venti pile ricambio alt Banda Valle Grana chiede lancio urgente alt messaggi positivo "La terra est gelida" alt Negativo "La stufa fa fumo" alt Biagio. Ricevuto il 31 marzo 1944. NOTA del Capo-sezione: Bravo questo ragazzo ["Biagio", Secondo Balestri]
trascrizione di messaggi cifrati della missione CHARTERHOUSE (LLL 2) in Claudia Nasini, Una guerra di spie. Intelligence anglo-americana, Resistenza e badogliani nella sesta Zona operativa ligure partigiana (1943-1945), Tangram Edizioni Scientifiche, Trento, 2012
 
Nella ritirata raggiungemmo Upega, Salse, Valcona, Piaggia e Mendatica, dove tentai inutilmente di collegarmi con la base, posta la radio in una casa del paese. Il capitano Cosa divise il resto della banda in varie squadre e le inviò verso le Langhe dove operava il maggiore Mauri.
Dopo aver nascosto la radio ed i cifrari, il capitano Cosa, un suo uomo di fidcia, certo Gabriele ed io decidemmo di raggiungere Genova per rintracciare qualcuno dell'Organizzazione Otto ed Annibale.
In corso Buenos Ayres incontranmmo un certo "Giorgio [n.d.r.: verisimilmente il già citato Giorgio Alpron], scampato alla cattura, il quale ci consigliò di ritornare a recuperare la radio e continuare la trasmissione in luogo sicuro di sua conoscenza.
Il 20 aprile 1944 partii con Gabriele per Mendatica, da dove avrei dovuto trasmettere un messaggio scritto da Giorgio stesso.
In una casa ai "Ponti" di Pornassio (Imperia) tentai il collegamento senza riuscire a captare nulla. Pazienza! Ripartimmo a piedi, sempre io e Gabriele, per Albenga, dove il martedì mattina in stazione ci doveva atttendere Giorgio per condurci nel luogo sicuro cui aveva accennato.
Arrivammo a Pieve di Teco che imbruniva e prendemmo alloggio all'albergo "La Pace". Un delatore ci tradì e, mentre ci stavano appisolando in camere diverse, sentimmo aprire la porta e l'intimazione di "mani in alto". Era il maresciallo dei carabinieri, accompagnato dalla spia e da quattro carabinieri, tutti armati.
Secondo "Biagio" Balestri, La missione in valle Pesio 

"Biagio", arrestato il 22 aprile 1944, fu costretto con minacce e torture a trasmettere alla base false notizie date dai tedeschi, ma riuscì a cambiare alcuni gruppi cifrati e far capire, così, di essere in mano alle SS. Riuscì a fuggire il 31 luglio 1944 e a riprendere contatto con patrioti garibaldini operanti nella zona nord della provincia di Imperia. Verso la metà di settembre attraversò il confine con la Francia insieme ad un ufficiale inglese e da Avignone, in aereo, tornò a Bari il 15 settembre 1944 [n.d.r.: sulla data del rientro di Balestri vedere nostra precedente nota].
Claudia Nasini, Op. cit.

Il 29 settembre [1944] partiva pure Secondo Balestri (Biagio), unico salvatosi di una missione alleata denominata Charterhouse LLL 2, destinata alla Riviera Ligure di ponente ed al basso Cuneese che, partita il 15 gennaio 1944 da Brindisi, sbarcata sulla costa con mezzi navali, composta dai militari Italo Cavallino (Siro), Nino Bellegrandi (Annibale) e dal suddetto Balestri, dopo varie peripezie venne annientata. Biagio, arrestato il 22 aprile 1944 a Pieve di Teco con un altro dalle SS tedesche per delazione di un certo Santacroce, e torturato, fu costretto a trasmettere alla sua base messaggi preparati da un ufficiale tedesco di nome Reiter. Poi il 31 luglio riuscì a fuggire e a rifugiarsi presso il comando della V^ Brigata [“Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione “Felice Cascione“] a Pigna, dove rimase fino al 29 di settembre). Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III., ed. Amministrazione Provinciale di Imperia, 1977

Il maresciallo Reiter apparteneva al comando SD di Sanremo (IM), dove faceva da autista, dalla metà di marzo 1944 sino al termine della guerra, un certo Fioravante Martinoia, nato il 24 febbraio 1915 a Vallecrosia, il cui verbale di interrogatorio, in italiano, come persona in custodia alla Corte d'Assise Straordinaria di Sanremo, confluì in un documento, con data 2 giugno 1947, dell'OSS statunitense, antenato della CIA. Faceva da interprete in quella sede di Sanremo, più o meno dalla fine del 1944, anche un certo Ernest  Schiffereger, un italiano altoatesino, che aveva optato nel 1939 per la nazionalità tedesca ed era poi entrato nelle SS. Sia lo Schifferegger che il Martinoia, entrambi alla data del rapporto OSS ancora in custodia alla Corte d'Assise Straordinaria di Sanremo, resero tragiche ammissioni su diversi misfatti nazifascisti, compiuti in provincia di Imperia.
Adriano Maini

Reiter Giuseppe. Maresciallo delle SS; Comandante dell'ufficio di Sanremo [...] Ferrari, ex ufficiale dell'esercito, informatore di Josef Reiter a Sanremo. In seguito per falsa denuncia fu arrestato dalle SS. Età anni 40, alto 1,64, corporatura snella, capelli: completamente calvo.
Considerazioni dei curatori nel documento OSS già citato

Circa l'attività di Reiter e compagni ben poco posso dire in quanto il mio compito era strettamente quello di autista e non mi era permesso di entrare nell'ufficio se non per il tempo necessario a ritirare i fogli di marcia per la macchina [...] Per quanto riguarda le sevizie e torture che i tedeschi solevano fare nei riguardi degli arrestati, in coscienza debbo affermare che non ho mai assistito a scene del genere. Sentivo dire che alle volte quando gli arrestati non parlavano venivano menati. Io però non ho mai visto dei detenuti seviziati o che portassero i segni di percosse [...]
Fioravante Martinoia (ex autista delle SS di Sanremo), dichiarazioni in un verbale di interrogatorio, ripreso dal documento OSS citato

giovedì 30 marzo 2023

Terminato il rastrellamento, il Comando partigiano nuovamente dispone la sua dislocazione nel bosco di Rezzo

Il Bosco di Rezzo vicino al Passo della Teglia. Foto: Pampuco su Wikipedia

Finalmente anche il giorno 6 [settembre 1944] ha termine; il nemico riunisce i reparti rastrellanti [nd.r.: si trattava della battaglia di Montegrande], riforma le colonne, si concentra a fondo valle.
Il pugno di ferro si era stretto; che aveva preso? Che risultato aveva avuto il grande spiegamento di forze aiutate da circostanze eccezionali favorevoli? Nulla, quasi nulla: su più di un migliaio di partigiani, solo una diecina caduti nella rete. Ettore Bacigalupo, Aldo Gagliolo, Italo Ghirardi erano caduti il primo giorno. Germano Valsecchi (Germano) di Giovanni, nato a Bergamo il 14.4-1927, uno della IV brigata, catturato mentre, estenuato, dormiva in un fienile, venne impiccato a San Bernardo di Conio. I civili Michele e Luigi Vinai saranno trovati tra i cespugli crivellati di colpi (7).
Altri tre garibaldini, catturati dal nemico, riusciranno a fuggire con l'aiuto dei civili.
Alle ultime luci del tramonto i Tedeschi lasciano il bosco; le macerie fumanti di San Bernardo di Conio, di case Rosse, di case Dell'Erba, delle cascine e dei fienili distrutti, indicano che anche lì, come a Triora, a Molini, a Pornassio, a Villa Talla, erano passate le truppe di Hitler.
Non note le perdite nemiche. La popolazione aveva scorto scendere per la rotabile di Rezzo alcuni carri chiusi e sanguinanti.
Terminato il rastrellamento, il Comando divisionale nuovamente dispone la sua dislocazione nel bosco di Rezzo riuscendo a riorganizzare in brevissimo tempo tutta la divisione, dai Comandi ai distaccamnenti, per prepararla alle previste battaglie autunnali.
A livello della critica storica, non è stato ancora chiarito lo scopo degli annunci radio alleati della loro offensiva sulla costa ligure, poi mancata, con la conseguenza di creare, per alcuni giorni, una situazione precaria gravissima alle formazioni partigiane. Solo le autorità politiche e militari inglesi e americane avrebbero potuto dare una risposta all'interrogativo che si sono posti gli uomini del Comando militare unificato regionale e della Resistenza imperiese che, sempre, hanno avuto dagli alleati incitamenti alla lotta ma, in riscontro, per tutto il 1944, mai hanno ricevuto da loro un fucile o una cartuccia, e che il 5 di agosto ed il 5 di settembre hanno rischiato la vita per causa della leggerezza o di qualche equivoca intenzione... del Comando anglo-americano.
Come si sa, le formazioni garibaldine erano organizzate dal P.C.I., e la II divisione «F. Cascione» era una divisione garibaldina.
L'8 di settembre nella zona di Triora, una compagnia di Tedeschi a bordo di due camions, caduta in un'imboscata, lascia sul terreno parecchi morti.
Il nemico fucila a San Remo il partigiano Ciccio Corradi (Gigi) di Agostino, nato a San Remo l'8.5.1925, che in agosto aveva consegnato ad Alfredo Esposito di San Remo una trasmittente da portare in montagna (8).
 
San Bernardo di Conio. Foto: nico su Riviera Time

[NOTE]
(7) Encomi solenni e promozioni.
Il 15 settembre 1944 il Comando divisionale premiava coloro i quali si distinsero singolarmente o ad intere squadre nella battaglia di monte Grande, con splendide motivazioni, promozioni e proposte di decorazioni, che da sole costituiscono il più alto elogio allo spirito combattivo delle formazioni garibaldine:
1) Encomio solenne alla squadra d'assalto della I brigata «Silvano Belgrano» per l'eroico contegno avuto durante l'attacco al monte Grande nella giornata del 5 corrente mese. Guidata dal suo comandante «Mancen» [Massimo Gismondi], dopo aver raggiunto d'assalto la cima del monte causando gravissime perdite al nemico, si manteneva sulle posizioni malgrado i contrattacchi dell'avversario fino alle tarde ore della sera permettendo alle forze della divisione, poste in difficoltà, di ritirarsi in buon ordine e senza perdite.
2) Encomio solenne alla squadra mortaisti ed al suo comandante «Romano» per aver contribuito validamente al successo della squadra d'assalto con il suo tiro preciso mettendo in fuga il nemico, sotto la guida del comandante di brigata «Cion».
3) Encomio solenne alla squadra del distaccamento di «Socrate», guidata dal volontario «Vittorio il Biondo», per aver partecipato all'azione della conquista di monte Grande con impeto e coraggio; contribuendo al successo delle nostre forze.
4) Di «motu proprio» il Comando divisionale per i motivi suddetti: promuove il comandante di brigata «Cion» [Silvio Bonfante] vice comandante di divisione per il suo comportamento durante l'azione di monte Grande, per la perizia dimostrata e per tutta la sua attività che lo addita come uno dei migliori comandanti delle nostre brigate.
Promuove il comandante «Mancen» del distaccamento d'assalto «G. Garbagnati» della I brigata a vice comandante di brigata.
Propone al Comando militare della Liguria che al comandante «Cion» e al comandante «Mancen» sia conferita la decorazione al valore partigiano.
5) Proposta per la medaglia d'argento al valor militare alla memoria del garibaldino «Ettore Bacigalupo», vice comandante del distaccamento «A. Viani» con la seguente motivazione:
«Avvertito che una postazione attaccata dai Tedeschi aveva perduto il mitragliatore, si slanciava al seguito del comandante di distaccamento al contrattacco per recuperare l'arma. Accolti nel tentativo dalla violenta reazione del nemico ormai attestato sulla posizione perduta, i garibaldini persistevano sinché, visto inutile ogni tentativo, iniziavano un ripiegamento. Ettore Bacigalupo con le lacrime agli occhi per la perdita di quel mitragliatore tedesco da lui conquistato alcuni giorni prima, non volle desistere dall'impresa. Riportatosi sotto la postazione nemica l'attaccava nuovamente con l'audacia dei forti. Lanciatosi improvvisamente contro i Tedeschi dal riparo che aveva raggiunto, imbracciando un mitragliatore «Otcis», riusciva a far tacere la mitragliatrice nemica, ma, colpito da una raffica di machinen-pistole, cadeva esamine. Il suo corpo fu poi ritrovato deturpato dalla rabbia nazista. Monte Grande (Rezzo-Imperia) 5.9.1944».
(8) Come informa una lettera, del 16.9.1944, inviata da «Petrowich» a «Prof», il Corradi fu ucciso nella caserma «La Marmora» [di Sanremo, zona San Martino] con raffiche di mitra, prima alle gambe e poi alla testa, dai fascisti del comandante G. che, già, aveva fatto arrestare e rinchiudere nella villa Magnolia l'antifascista cap. Amilcare Rambaldi (Archivio [IsrecIm], fascicolo 4.11.1944).
 
Dintorni di Rezzo (IM). Fonte: Ponente Ligustico

Francesco Biga
, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977

mercoledì 22 giugno 2022

Dissero che anche qui stavolta andava bene chiamarsi garibaldini

Imperia: il porto di Porto Maurizio

Subito dopo l'8 settembre 1943, antifascisti dei vari gruppi e delle varie tendenze si avvicinarono alle caserme, per tentare di ricuperare le armi. Frattanto, piccoli nuclei di tedeschi, ma bene armati, bene organizzati, e spalleggiati da forze che potranno intervenire al più presto, si impadroniscono delle città della costa. In Imperia arrivano dapprima due tedeschi, in motocicletta, la mattina del 9 settembre, e la popolazione, che è praticamente inerme, e non sa se, dopo i primi venuti, siano per arrivare altri tedeschi, reprime l'ira e l'indignazione, e non reagisce. Infatti, dietro alle prime pattuglie vi erano forze soverchianti.
Fra gli antifascisti che poi cadranno per il ricupero delle armi si adoperano: in Porto Maurizio i fratelli Enrico e Nicola Serra, e in Oneglia i giovani comunisti Nino Berio e Carlo Delle Piane.
Fra i molti altri, che parteciparono alle operazioni di ricupero anni, si ricordano, ad esempio: i giovani Angelo Setti (o «Mirko»), Tonino Berrelli (poi «Alioscia») e Rovere Secondo (o «Uliano»), i quali, insieme con Carlo Delle Piane e con Nino Berio, presero armi varie, più due mitragliatori Skoda, che, portati a Magaietto, furono le due prime armi automatiche in dotazione della banda «Cascione».
I mitragliatori suddetti erano stati presi dietro «Villa Novarini», dove, poco prima, li aveva abbandonati una postazione italiana del disciolto esercito.
Anche sul disciolto esercito, e sui militari di truppa, si può citare qualche particolare, per dare una più completa idea dello svolgersi degli eventi.
In Oneglia vi era di stanza la Divisione «Cosseria». Questa Divisione la mattina del 9 settembre era partita alla volta di Nava; a Nava si era scontrata con pattuglie tedesche, il Generale comandante la Divisione e gli altri ufficiali se ne erano andati, e la truppa si era dispersa. Aveva fatto resistenza solo il gruppo che era stato di posto al Monte Bardelino, gruppo del quale facevano parte: Caffaro Michelino, Perrone Angelo o Vinicio (poi «Bancarà», in seguito caduto in montagna presso Tavole), Ninetto siciliano e altri. Caffaro Michelino era anche rimasto ferito. Dopo lo scontro e la sparatoria, il gruppo si recò a Sant'Agata, dove entrò in contatto con Mela Giuseppe (o «Sacchetto») e con Stenca Adolfo (o «Rino»). Non molto dopo, alcuni degli uomini entrarono nella banda «Cascione», e sono già presenti ad Alto; Perrone Angelo rimase invece a Sant'Agata, ed entrerà nelle Formazioni più tardi.
Prima che la Divisione «Cosseria» partisse da Oneglia, sempre la mattina del 9 settembre, alcuni giovani (tra cui Setti Angelo o «Mirko») si erano presentati al Generale comandante, chiedendo di avere le armi. Il Generale aveva risposto che alla difesa della zona avrebbe provveduto lui stesso.
Gli antifascisti, ora, si propongono di organizzare i militari e i giovani che si sono dati alla macchia.
Il lavoro per organizzare i militari e i civili alla macchia viene fatto, intensamente, sia dagli antifascisti che sono rimasti in città, sia da quelli che si sono recati in montagna, con i quali i primi cercano di collegare i gruppi o i singoli individui con cui riescono ad avere contatto.
Così, nel circondario di Imperia si formano tre prime bande
[...] Incorporato nel gruppo di Borgo d'Oneglia è pure da considerarsi Antonio Dell'Aglio, ex carcerato politico.
Antonio Dell'Aglio, pur essendo aggregato al gruppo di Borgo d'Oneglia, svolgeva soprattutto un lavoro organizzativo di indole generale. Il gruppo di Borgo d'Oneglia fu anche chiamato «gruppo dei politici», perché molti dei componenti di esso avevano già subito arresti e condanne per motivi politici.
I fratelli Peruzzi, inoltre, erano noti, come si è detto, per la partecipazione di due di essi quali antifascisti e comunisti alla guerra di Spagna.
Dalla parte di Imperia, paesi facilmente in contatto con la zona del Monte Faudo sono: Valloria, Tavole, Villa Talla, e, sebbene assai più distante, anche Pantasina e Vasia, alquanto spostati verso levante, e - specialmente Vasia - quasi ai piedi del Monte Acquarone.
Praticamente in tutto questo territorio operavano i fratelli Serra e i loro amici. Ad essi, in momenti diversi, si aggregarono pure altre persone, come, ad esempio, i fratelli Di Maggio Antonio e Giobatta, Ericario Giovanni (fratello del già ricordato Ericario Carlo deceduto in Germania), Amoretti Filippo di Tommaso, tutti della corrente Comunista, nonché Acquarone Giovanni fu Maurizio (detto «Barba»).
I fratelli Serra, previa consultazione con lo scrivente, nei gruppi del quale erano incorporati, erano saliti in montagna - con espresso incarico di organizzare i giovani alla macchia - nei giorni immediatamente seguiti all'armistizio dell'8 settembre, dopo essersi adoperati, fra l'altro, per il ricupero delle armi (Enrico aveva partecipato all'azione per tentare di recuperare le armi della Capitaneria di porto in Porto Maurizio, il 9 settembre, ed entrambi qualche giorno dopo avevano preso parte ad un'azione per l'occultamento e il trasporto di armi della caserma Crespi, già precedentemente fatte uscire dalla caserma stessa). Nicola, diplomato in ragioneria, studente universitario della facoltà di scienze economiche e commerciali, sottotenente di complemento a Chiari l'8 settembre, era appassionato studioso di Croce, e appariva di tendenze liberali; Enrico, fornito del diploma di capitano marittimo (conseguito al Nautico di Savona dopo avere frequentato il ginnasio-liceo di Oneglia), e già collegato, tramite lo scrivente, al Partito d'Azione, dimostrava, in genere, lo stesso orientamento politico del fratello. Arrestati nel dicembre del '43, morirono, come già è stato ricordato, a Mauthausen, dopo indicibili sofferenze.
Acquarone Aldo, o Sebastiano Aldo, di Lena Pilotti e fu Federico, appartenente allo stesso gruppo di montagna dei fratelli Serra, era nato in Imperia il 12 agosto 1924. Fermato mentre si trovava nella propria abitazione, fu costretto - per evitare molestie alla madre - a frequentare in Germania i corsi di addestramento dell'esercito di Salò; ma riuscì di nuovo a fuggire, e tornò in montagna verso la fine del '44 col soprannome di «Alpino». Fu ucciso dai nazifascisti nelle vicinanze di Tavole nel gennaio del 1945 (17 gennaio). Il di lui padre, Federico, era morto nella campagna di Russia.
In montagna con i Serra vi era anche stato il giovane Bruno Gazzano, nato a Roma il 19 febbraio del '24, ma oriundo imperiese. Il Gazzano, arrestato dalla GNR l'11-2-44, fu successivamente incarcerato ad Oneglia e a Genova (Marassi), e quindi deportato nel campo di concentramento di Fossoli. Di qui dimesso, verso la fine del giugno 1944 entrerà nelle formazioni partigiane «GL» dislocate nei dintorni di La Spezia; di nuovo arrestato il 3 agosto del '44, sarà incarcerato prima a Marassi in Genova, poi a San Vittore a Milano, e quindi sarà successivamente deportato nei campi di concentramento di Bolzano e in quelli di Flossenburg, dove morì in data 22-2-45, nella dipendenza di Hersbruk.
Il nucleo centrale del gruppo dei fratelli Serra aveva la caratteristica di essere formato specialmente di giovani intellettuali, o comunque studiosi di problemi economici, sociali, politici.
La località «Bestagni-Magaietto», nella quale era sistemato il gruppo «Cascione» è situata nel territorio del Comune di Diano Castello, a sua volta situato nella zona di Diano Marina.
[...] Carlo Carli, Luccio Verda, Gregis e Valcado, pure costituendo un gruppo a sé, erano in genere insieme con gli uomini del gruppo «Castagno» anche per i precedenti rapporti di amicizia che esistevano fra alcuni di loro. Più tardi due gruppi, quello di Castagno e quello di Trucco, si unirono a formarne uno solo; Carli, Valcado, Luccio Verda e Gregis continuarono a costituire un piccolo gruppo a sé stante.
Il gruppo di Eolo Castagno era partito, per recarsi in «Inimonti», da una casa di campagna di Ughes Giacomo, situata sul pendio del Bardellino rivolto verso il torrente Impero (con Eolo vi era anche Ivar Oddone, poi «Kimi», nipote di Ughes).
A un certo momento al gruppo stesso si collegano oltre cinquanta persone (militari sbandati e civili fuggiaschi); ma, poco tempo dopo, molte di esse torneranno in città.
Frattanto è avvenuta l'unificazione del gruppo di Trucco con quello di Eolo Castagno (il quale apparteneva anch'egli alla corrente comunista).
Cascione si reca in «Inimonti»; conosceva già varie persone, come Ivar Oddone e Carlo Carli; a Trucco G.B. viene presentato da Nino Giacomelli. Il gruppo di Eolo e di Trucco si collega con quello di Cascione in modo da formare con esso un organismo unitario; e quando Cascione si trasferirà da Magaietto a Pizzo d'Evigno, anche il gruppo di Trucco e Castagno si recherà nella medesima zona.
[...] Carlo Carli, allievo ufficiale di complemento, il giorno 8 settembre '43 era in licenza ad Ormea. Rientra in Imperia la sera del giorno stesso e si incontra con Ricci Raimondo. La mattina del 9 settembre '43 si presenta, per il ricupero delle armi, alla Capitaneria di porto, in Porto Maurizio, dove s' incontra di nuovo con Ricci Raimondo che nella Capitaneria stessa è ufficiale di complemento, nonché con Castagneto Giacomo, con lo scrivente Giovanni Strato, con Serra Enrico e con altri, ivi convenuti per il medesimo scopo.
La sera del 9 settembre, insieme con Ricci Raimondo, Carli provvede all'affondamento di una piccola petroliera ormeggiata nel porto di Oneglia, aprendo valvole nella sentina. Vari mesi più tardi i tedeschi rimetteranno a galla la petroliera e la porteranno via.
Nei primi giorni del settembre '43 (periodo dall'8 al 20), in casa dell'avv. Ambrogio Viale Carlo Carli si incontra pure con lo scrivente Giovanni Strato, già incaricato per la costituzione e l'organizzazione della DC; e si parla, fra l'altro, del lavoro relativo alla creazione di gruppi armati in città e in montagna.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza Imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976

Imperia: Calata G.B. Cuneo del porto di Oneglia

Negli stessi giorni altri patrioti senza tanti pensamenti e di su e di giù, che tanto non servivano, affondarono una piccola petroliera nel porto di Oneglia.
Ci andarono di nascosto soltanto con un po' di pratica che avevano, e qualche spiata dei camalli sulla banchina.
Non dissero niente a nessuno prima di come volevano fare dopo, ma ci riuscirono che non pareva vero, allagandoci subito la sentina con così poco rumore che i marinai non poterono manco dare l'allarme.
Nella caserma Crespi, anche lì senza tanti preamboli, arrivarono presto al colonnello: che non facesse il fesso e si sbrigasse subito, essendo già troppo tardi e bisognando collaborare coi ribelli senza discutere.
Presero le armi alla rinfusa più che poterono senza perdere tempo con la burocrazia e senza il carico e lo scarico di fureria; lo stesso più o meno, sempre alla svelta, fecero entrando nella Capitaneria di Porto, e poi tornandosene rasentarono di corsa la banchina come dei contrabbandieri.
Mitragliatori bombe a mano fucili moschetti e caricatori a vanvera, così come capitarono qua e là con tutto il munizionamento che poterono, li arraffarono anche dalle scorte private dello sbandamento generale.
- Svelti, e spicciarsi perché adesso c'è poco da fare i furbi, sennò guai - gli dicevano entrando nelle case che sapevano.
Nella raccolta per armarsi, i più svelti furono i comunisti già organizzati belli e pronti in segreto col tirocinio che avevano; si misero in più soltanto la stella rossa sui berretti come in Spagna, siccome li avevano già collaudati nella guerra civile; per non dare nell'occhio a causa del partito, dissero che anche qui stavolta andava bene chiamarsi garibaldini.
Dissero che la faccenda di Garibaldi è sempre buona quando c'è da fantasticare sull'eroe dei due mondi in transito per Caprera col sacco di sementi.
Gli altri già pronti in divisa grigioverde sulle montagne, tirarono avanti come ho detto con quel vestiario militare, che per fare la guerra era sempre il più adatto. Soltanto in più ci aggiunsero le mostrine tricolori per una questione di principio prevalentemente piemontese; così li chiamarono badogliani non sapendo sul momento come chiamarli diversamente, ma non voleva dire proprio niente questo nome.
Difatti loro volevano soltanto continuare ad essere dei patrioti amanti della patria, o con Badoglio o senza, chi se ne sbatte le balle.
Il medico Felice Cascione di Porto Maurizio fu il primo tra quelli che scelsero qui vicino al mare di praticare il ribellismo nel traffico della clandestinità.
Era un giovane prestante e intelligente molto sportivo, ex nazionale di pallanuoto e già famoso nei dintorni in cospirazione.
Armi sempre pronte all'erta nel recapito fuori mano - qui va bene se c'è da fare con l'allarme o senza, poi si vedrà - cominciò alla garibaldina per provare come si fa; e così a due passi dal mare nei primi tempi si arrangiarono alla meglio nel casone rustico di Magaietto, sopra Diano Marina.
Lui era convinto come qualmente adesso basta discutere di nascosto o col tirocinio in corsia, quando invece bisogna esercitare all'aperto o al chiuso non importa come, essendo clandestini: ma si capisce dove c'è più di bisogno per la guerriglia, e subito perdio.
Osvaldo Contestabile, Scarpe rotte libertà. Storia partigiana, Cappelli editore, 1982, pp. 18-19

venerdì 4 marzo 2022

A conoscenza che il 28 i Tedeschi avevano lasciato Ceriana, il Comando della divisione decide di effettuare un attacco contro il presidio repubblichino

Ceriana (IM)

«Orsini» (Agostino Bramé) racconta:
"Da molti giorni era in istudio presso il Comando della V Brigata un'azione da condurre contro Ceriana, posta sulla strada Sanremo-Baiardo a 12 Km. dalla costa. Molte erano le difficoltà da superare. Infatti il presidio di Ceriana era composto da una trentina di tedeschi e da circa 80 bersaglieri, per la maggior parte volontari, gente esaltata e particolarmente accanita contro le nostre formazioni. Gli uomini del presidio di Ceriana, aspettando o, per lo meno, presumendo un attacco da parte nostra, avevano preso tutte le misure del caso, ponendo reticolati e cavalli di frisia attorno alle loro postazioni, fortificando e barricando le case ove essi alloggiavano. Ostacolo particolarmente difficile era offerto dalla galleria posta all'ingresso del paese per chi proviene da Baiardo: nell'interno di essa erano piazzati quattro fucili mitragliatori con due sentinelle fisse. Il 28 settembre 1944 ci giungeva notizia che i tedeschi si erano allontanati da Ceriana lasciandovi solo 5 o 6 uomini. I bersaglieri invece rimanevano al completo. Si decideva allora di studiare e condurre l'attacco.
Il Vice Comandante di Brigata Brescia [n.d.r.: Umberto Bonomini] si portava presso il II° Distaccamento e con il Comandante Gino [n.d.r.: Gino Napolitano] prendeva tutti gli accordi e le disposizioni necessarie per la buona riuscita dell'azione che veniva fissata per il giorno 30 Settembre alle ore sei. Contemporaneamente veniva inviato ordine all'VIII Distaccamento di Gori [n.d.r.: Domenico Simi] affinché inviasse una trentina di uomini sulla strada Sanremo-Ceriana allo scopo di impedire l'afflusso di rinforzi durante l'azione. Nella notte, mentre due uomini interrompevano le comunicazioni telefoniche fra Ceriana e Sanremo, quattro squadre del II° Distaccamento si portavano ai posti di battaglia, in precedenza fissati, con compiti specifici e ben definiti. Non appena dal campanile del paese scoccavano le sei, tutti si ponevano in movimento.
Le due sentinelle alla galleria venivano sorprese e disarmate, i quattro fucili mitragliatori prelevati, l'alloggio di una squadra di bersaglieri assalito e l'intera squadra catturata. Tutto procedeva secondo quanto previsto, senonché una pattuglia di bersaglieri, che stava eseguendo un giro esplorativo, gettava l'allarme in paese con lancio di bombe a mano e nutrito fuoco di fucileria. In un attimo tutti i bersaglieri uscivano dalle loro camerate e si trinceravano nelle case, dalle finestre delle quali aprivano un violento fuoco. Pertanto veniva dato ordine alle nostre squadre, che già erano nell'interno del paese, di arretrare e portarsi fuori tiro. Ciò veniva eseguito in perfetto ordine. Dopo pochi minuti si tentava un altro attacco che veniva respinto. Si decideva allora di mettere alla testa di una nostra squadra i bersaglieri già catturati e di avanzare dietro di loro. I bersaglieri rimasti in Ceriana, benché accortisi di  quanto stava succedendo, non esitarono a sparare sui loro stessi compagni. Si doveva quindi desistere da ogni ulteriore tentativo, tanto più che era entrato in azione un pezzo anticarro da 47/32 che batteva i dintorni del paese. Veniva allora inviato uno dei bersaglieri catturati dal Capitano comandante il presidio per chiedergli la resa. Il bersagliere tornava portando risposta negativa, mentre più violento si faceva il fuoco dei difensori, appoggiati anche da alcune  mitragliatrici pesanti. Tutti i Garibaldini che parteciparono all'azione facevano allora ritorno all'accampamento. Non si lamentò alcun ferito da parte nostra.
Risultato dell'azione:
1) Catturati: quattro fucili mitragliatori (due Saint-Etienne e due Breda), un Mitra Beretta, una pistola automatica e due cassette di munizioni per fucile mitragliatore.
2) Fatti prigionieri otto bersaglieri fra i quali un sergente.
3) Ferito mortalmente con tre colpi il Tenente Perrucchetti, tristemente famoso per la sua crudeltà e la sua faziosità, nonché un caporale maggiore e due altri bersaglieri.
4) Probabilmente colpiti da una nostra raffica altri sei o sette bersaglieri".
Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, Edizioni ALIS, Sanremo, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia
 
[...] Per mezzo degli informatori venuto a conoscenza che il 28 i Tedeschi avevano lasciato Ceriana, il Comando della divisione «F. Cascione» decide di effettuare un attacco contro il presidio repubblichino e incarica Umberto Bonomini (Brescia), vicecomandante della V brigata, di elaborare il piano d'azione e portare a compimento l'impresa.
Il distaccamento di Gino Napolitano (Gino), dislocato in località Beulla, ritenuto il più preparato come uomini e mezzi, viene scelto per l'attacco che, tuttavia, presenta paurose incognite.
Infatti sarebbe follia cercare di affrontare e piegare i nemici con la forza; ai primi colpi il campo rimarrebbe subito a loro e, per questo, non varrebbe sacrificare inutilmente gli uomini. Quindi, pensano i garibaldini, se non si può attuare una strategia campale per l'enorme disparità numerica e, soprattutto, di armamenti, si può sempre giocare secondo il sistema tattico della guerriglia: sorpresa e audacia.
Però questi due fattori non serviranno a neutralizzare i cannoni e i troppi mortai dei bersaglieri fascisti.
Questo pensano «Gino» e «Brescia», i due capi partigiani, ma conoscono bene il coraggio dei loro volontari e sanno che al momento opportuno risponderanno all'appello col fuoco del loro entusiasmo, non meno micidiale di quello delle armi.
Studiano con meticolosa cura la zona e le opere di difesa nemiche e decidono di passare senz'altro all'attuazione del piano di attacco, basato essenzialmente su tre elementi caratteristici di ogni azione partigiana: eludere la sorveglianza del nemico, illuderlo sulla vera entità delle forze operanti e sorprenderlo con azione rapida e sconcertante. Oltre quaranta garibaldini del 2° distaccamento partecipano all'azione; oltre quaranta ribelli non bene in arnese, come si suol dire, contro 150 soldati repubblichini ben riforniti, equipaggiati di tutto punto, agguerriti e guardinghi. Il bollettino che il comando fascista emetterà all'indodomani, per mascherare un nuovo scacco subito e salvare, così, almeno a parole, l'onore assai dubbio della sua bandiera, parlerà di  «... 400 fuorilegge contro quindici valorosi guerrieri combattenti sotto le insegne del Littorio ...».
Alle sei precise del mattino, scoccate dal campanile, il 30 di settembre, mentre una trentina di uomini dell'8° distaccamento «Gori» bloccano la strada San Remo-Ceriana per ostacolare l'afflusso di rinforzi e due partigiani interrompono le comunicazioni telefoniche tagliando la linea dei fascisti, quattro squadre di dieci uomini ciascuna scattano contemporaneamente all'attacco del forte presidio nemico che è ubicato al centro del paese, investendo Ceriana da quattro lati. Le sentinelle avanzate vengono sorprese, catturate e disarmate, così quelle della galleria, mentre una squadra di sei bersaglieri è catturata in un alloggio della periferia. L'azione è facilitata dal sottonente Nino De Sanctis e  dal sergente Baldo della 7^ compagnia bersaglieri, che, accordatisi in precedenza, lasciano entrare i garibaldini nell'accampamento.
Ma nonostante ciò, con lancio di bombe a mano una pattuglia nemica riesce a dare l'allarme e la lotta ha inizio. I bersaglieri e i cinque Tedeschi rimasti, adottando una tattica mai prima usata in simili casi, si sparpagliano nelle case dei civili improvvisandosi franchi tiratori e aprono un fuoco infernale  sui  garibaldini  che  avanzano  per  i  viottoli del  paese.  Da ogni lato  il  piombo  nemico  fischia  rabbioso e  contrasta il passo ai partigiani che combattono come possono. Dopo mezz'ora d'impari lotta le quattro squadre attaccanti si ritirano sulle basi di partenza alla periferia del paese.
I comandanti si concertano, si interrogano gli uomini: la volontà unanime è di continuare, di non  mollare. Durante la pausa il bersagliere prigioniero Visconti da Desenzano viene inviato dal comandante del presidio per chiedere la resa. Viene respinta. Allora le «stelle rosse» (così il nemico chiamava i partigiani) ritornano nella mischia cruenta, avanzando in ordine sparso e mirando con calma e precisione sulle divise grigioverdi dei fascisti. Anche alcuni Cerianesi partecipano alla lotta.
Lo stesso tenente Perrucchetti comandante del presidio, un caporal maggiore e due bersaglieri rimangono mortalmente feriti; sembra che la stella giustiziera guidi le schiere di «Gino» e di «Brescia», le quali catturano altri nemici, mentre una mezza dozzina rimangono colpiti in modo grave da raffiche di mitra.
Questa seconda partita si conclude in meno di un quarto d'ora con un brillante successo: i partigiani si ritirano senza aver subito perdite. Attaccano una terza volta per far cadere gli assediati e una terza ondata di guerriglieri, che sono obbligati a portare con loro i prigionieri, investe nuovamente Ceriana. I nazifascisti non esitano a sparare sui loro uomini; riusciti a piazzare due cannoni per difendersi da un pugno di armati, sparano a zero; i boati coprono le altre voci della battaglia.
Intanto camions carichi di rinforzi nemici provenienti da San Remo si dirigono a tutto motore sul luogo degli scontri.
La situazione diventa insostenibile per i garibaldini e la ritirata si rende necessaria, tanto più che un bersagliere, inviato al Comando fascista per chiedere nuovamente la resa, era ritornato con risposta negativa.
Infatti i garibaldini del 2° distaccamento si sganciano e retrocedono in buon ordine verso il loro accampamento con la preda bellica comprendente due mitragliatrici pesanti «Saint-Etienne», due mitra «Breda», un mitra «Beretta», diverse  pistole, moschetti, munizioni e undici prigionieri.
Ventun nemici messi fuori combattimento (morti e feriti), sono il lusinghiero bilancio di questa giornata di lotta che ha dato una chiara, luminosa risposta all'invito scritto sui muri di Baiardo dagli stessi bersaglieri durante un rastrellamento: « Se avete del coraggio veniteci a trovare» (1).
Una seconda volta non lo scrissero più.
(l) I bersaglieri catturati nella lotta erano del primo plotone, i medesimi che il 25 di settembre avevano saccheggiato Baiardo con particolare ferocia. Probabilmente si trattava di un plotone scelto. Fatti sfilare per il suddetto paese  prima della punizione, vennero sottratti a stento alla popolazione desiderosa di linciarli (da una relazione del Tribunale di brigata).
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977
 
[n.d.r.: per combinazione su questi fatti di Ceriana ci sono anche delle narrazioni di nostalgici saloini, che qui sotto si riportano in stralci...]

Lettera del capitano Pietro Borroni, dei Bersaglieri di Salò, cit. infra

Vi prego portare a conoscenza della Famiglia Gazzaniga che il Cap. Gazzaniga Attilio residente a Zinesca Via Roma II risulta disperso in zona di operazioni per azione contro bande ribelli il 30 settembre 1944. Da informazioni di testimoni oculari è certo che il disperso ha reagito coraggiosamente e combattuto meritando perciò il trattamento di "presente alle bandiere". Il Comandante di Battaglione, Cap. Pietro Borroni, Comando 2° Battaglione Bersaglieri "Maiora Viribus Audere", Al Capo della Provincia - Pavia, proto 5742 in data 22 novembre 1944, oggetto: caporale Gazzaniga Attilio [...] La situazione in Ceriana è tranquilla e apparentemente sotto controllo, nostro per l'esattezza. Sono le prime ore del pomeriggio e, da solo, mi viene voglia di fare una visitina agli amici che presidiano il posto di controllo verso Baiardo [...] Quel poveraccio, in fondo - che voleva rendersi utile ai suoi amici partigiani - è stato tratto in errore soltanto dalla varietà del nostro abbigliamento, non proprio 'uniforme' nel senso letterale della parola: nel mio caso, visto di spalle, potevano essergli fatali i miei pantaloni mimetici ed il berretto, analogo, che portavo in luogo dell'inconfondibile fez. Sicuramente quella persona non leggerà mai questa mia memoria ma, se potesse venirne a conoscenza, potrebbe per assurdo riscrivere all'anagrafe di Ceriana una nuova data di nascita, collocandola in quel giorno di ottobre del 1944 [racconto di]  Franco Leotta
[...] Una banda di ribelli travestiti da bersaglieri sorprende in piena notte gli uomini di guardia e riesce così a prelevare molti militari del primo plotone che stanno dormendo tranquillamente nei loro alloggiamenti. Per fortuna non tutto va liscio a questi gentiluomini dell'imboscata: uno dei prelevati, il bersagliere Passarella, non ci sta e tenta una disperata ribellione. Partono di conseguenza alcuni colpi di arma da fuoco che mettono in allarme l'addormentato presidio. Il coraggioso "commando" scappa velocemente, trascinando con sé gli ostaggi, al di là della ben nota galleria dove si sente più sicuro. È così che inizia il 2 ottobre 1944 in quel di Ceriana, e cioè molto male [...] E' uno dei bersaglieri appena prelevati, un certo giovanissimo Luigi Visconti che è latore di un ultimatum: i bersaglieri devono arrendersi senza condizioni, pena l'uccisione di tutti gli ostaggi e questa minaccia sarà resa operativa anche nel caso in cui Visconti medesimo non abbia fatto ritorno con la risposta. Nessuno naturalmente pensa di arrendersi e tutti sconsigliano il ragazzo dal fare ritorno presso i rapitori ché il risultato purtroppo sarà/sarebbe comunque identico, ma il Visconti non vuole sentir ragioni e ritorna là dove ci sono, prigionieri, i suoi amici, portando la risposta della settima compagnia. (In giornata, poi, dopo alcune ore, verrà assassinato con un raro ingegnoso sistema di cui parleremo in seguito, insieme a tutti gli altri bersaglieri che erano stati prelevati). Passano alcune ore, si è fatto giorno, e si decide di inviare a Taggia un volontario (la missione ha scarse probabilità di riuscita; la si potrebbe definire "disperata") con l'incarico di mettere a giorno della situazione il comando di battaglione. Chiede ed ottiene l'incarico un mio amico, il bersagliere Arrigo Dante Biasioli di Milano, studente universitario, iscritto al primo anno della facoltà di medicina. Viene messa a disposizione una vecchia scassata bicicletta con la quale, trovandosi ad essere per una volta "bersagliere ciclista", il Biasioli parte a tutta birra per quella strada che in ripida discesa va verso una località chiamata Santa Filomena. Come sanno bene tutti quelli della settima compagnia questa Santa ci era decisamente ostile e, logicamente, si dimostrò tale anche in quell'occasione. Il "bersagliere ciclista" non giunse mai a Taggia, perché i partigiani, che avevano circondato completamente Ceriana, riuscirono faticosamente a bloccarlo proprio nei pressi di una maledetta curva, nota appunto come "la curva di Santa Filomena". Si seppe in seguito che quelle brave persone, dopo di avergli fatto scavare una fossa, qualche giorno dopo lo avevano assassinato con uno sbrigativo colpo di pistola alla nuca. Nel frattempo a Ceriana ci furono un po' di fuochi d'artificio. Loro sparavano verso il paese e dal paese noi cercavamo di fare del nostro meglio [...] E' interessante il resoconto che tale Agostino Brame detto "Orsini" fa dell'attacco del 2 ottobre a Ceriana [...] Perché l'autore non ha scritto di come dove, invece, vennero torturati e uccisi i bersaglieri nel sonno a Ceriana, ché appunto di costoro si sta parlando? Certamente una certa imprecisione nel ricordare o una non voluta dimenticanza. Capita nelle migliori famiglie, figuriamoci in quell'ambiente. Io non ne faccio una questione di destra o sinistra, di sopra o di sotto, o di un determinato colore [...]
Umberto Maria Bottino, I nostri giorni cremisi. 1943-1995, Attilio Negri srl, Rozzano, 1995