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sabato 29 ottobre 2022

È una vera e propria arma contro i fascisti





[...] banda [...] guidata dal giovane medico Felice Cascione, per tutti “u megu”. Inizialmente essa è stanziata in località “Magaietto” nel comune di Diano Castello, dove si raccolgono e si organizzano i gruppi di giovani che per primi vi affluiscono.
Verso la fine di novembre 1943 le condizioni del momento consiglieranno lo spostamento della banda in via di formazione in una zona ritenuta più sicura dietro la montagna del Pizzo d’Evigno, che sovrasta le Valli di Oneglia, di Diano e di Andora, in alcuni casoni nella zona del “Passu du Beu” sopra la frazione Duranti nel Comune di Stellanello (SV) in Val Merula dove resterà fino al 20 dicembre.
Durante questo periodo [...] nei periodi di calma, alla sera intorno al fuoco nasceranno le prime strofe della canzone “Fischia il  vento”,  destinata  in  breve  tempo  a  diventare, attraverso la sua diffusione spontanea, l’inno di tutta la Resistenza. [...]
Tra questi giovani volontari c’è il partigiano “Ivan”, Giacomo Sibilla, reduce dalla campagna di Russia dove aveva imparato una popolare canzone, “Katiuscia”, che parlava della nostalgia di una ragazza per il suo soldato al fronte.
Il motivo suonato con la chitarra da “Ivan” è orecchiabile e accattivante per tutti e, le stesse condizioni di questi partigiani e la dura vita che conducono, assieme all’anelito che li spinge, suggeriscono all’animo sensibile del Comandante Cascione le parole ed i primi versi del loro inno. “Fischia il vento, urla la bufera, scarpe rotte eppur bisogna ardir, a conquistare la rossa primavera, in cui sorge il sol dell’avvenir”. [...]
In seguito alla Battaglia di Colla Bassa, detta anche di Montegrazie, del 13 e 14 dicembre 1943, la sede del comando della banda di Felice Cascione al Passu du Beu divenne insicura, troppo esposta alla prevedibile reazione fascista. [...]
All’alba del 21 dicembre 1943 iniziò il trasferimento verso la nuova destinazione. 
Si discese al paese di Testico (SV) e da qui verso il fondovalle del torrente Lerrone passando da Poggio Bottaro. 
Giunti sotto il paese di Casanova Lerrone i partigiani di Cascione risalirono la montagna verso Nord [...]
La Notte di Natale del 1943 gli abitanti della frazione Curenna del Comune di Vendone, uscendo dalla messa di mezzanotte, avranno la sorpresa di trovare il gruppo dei partigiani armati sul sagrato della chiesa, ad intonare la loro nuova canzone “Fischia il vento” nella sua primitiva stesura, che verrà rifinita e completata nel Casone dei Crovi i giorni seguenti.
Ogni partigiano fu accolto il giorno di Natale presso le famiglie del paese che si strinsero a loro in un abbraccio fraterno e solidale. [...]
Il 6 gennaio 1944 Felice Cascione e buona parte della banda in pieno assetto si portano a scopo esplorativo al paese di Alto dove vengono accolti dagli altri partigiani e da parte della popolazione. Viene improvvisata una piccola festa nel corso della quale verrà cantato ufficialmente l’inno della  banda  nel  suo  testo  definitivo.
Roberto Moriani, Tra quei sentieri nacque “Fischia il vento, Patria Indipendente, n° 1, gennaio 2013
 
Fonte: Eppur bisogna andar

È una vera e propria arma contro i fascisti. Li fa impazzire, mi dicono, solo a sentirla. Se la cantasse un neonato l’ammazzerebbero col cannone.

(B. Fenoglio, “Il partigiano Johnny”)
Tra i boschi, nel Comune di Stellanello (SV), coperto dalla vegetazione incolta, sorge un vecchio casolare. All’apparenza non è che un rudere, ma sul finire del 1943 il casone di “Passu du Beu” fu il rifugio della banda di partigiani di Felice Cascione e proprio lì fu ideato “Fischia il vento”, inno dapprima della Divisione Garibaldi e poi della Resistenza tutta. A riscoprire il luogo è stata l’associazione “Eppur bisogna andar”, che si propone di recuperare e valorizzare i siti, i sentieri, i manufatti che hanno segnato il difficile cammino di giustizia e dignità dei partigiani della “I Zona Operativa Liguria”.
[...] Nel dicembre del 1943, poco più di venti giovani partigiani della divisione garibaldina al comando di Felice Cascione - per tutti “u Megu” (il medico) - cominciano a percorrere un sentiero che sale da Casanova Lerrone, entroterra di Albenga, verso le prime pendici delle Alpi Marittime. Su quel sentiero, questo gruppo di ventenni alla guerra cammina di notte, si ferma di giorno, nei casoni dove si ripara il bestiame, o dove i contadini tengono gli attrezzi o qualcosa per affrontare la fame della guerra.
Cascione ha solo 25 anni, bello e carismatico come dev’essere un eroe; orfano di padre in tenera età, cresce con la madre, maestra elementare determinata e antifascista, che riesce a farlo studiare. È uno sportivo, campione italiano di nuoto e pallanuoto: capitano della squadra imperiese del Gruppo Universitario Fascista e secondo ai Mondiali con la nazionale universitaria, lascia Genova per la Sapienza a Roma e infine si laurea in Medicina a Bologna nel ’42, in fuga dalla burocrazia fascista che lo ostacolava negli esami e nelle graduatorie per un posto alla Casa dello Studente.
Il giovane Felice era nel mirino per le sue frequentazioni, che lo avevano introdotto nel partito comunista clandestino e presentato a Natta e Pajetta: decide di aderire al partito ancora prima di essere medico, la sua scelta di vita. Appena laureato, diventa subito popolare a Oneglia perché non fa pagare medicine né visite a chi ha bisogno e non ha soldi. Arrestato con la madre durante le manifestazioni successive alla caduta di Mussolini, nell’agosto del ‘43 sconta venti giorni di prigione per adunata sediziosa e, dopo l’armistizio, si rifugia sui monti coi compagni.
Tra loro c’è Giacomo Sibilla detto Ivan, operaio che ha fatto la campagna di Russia e porta una chitarra a tracolla accanto al mitra. È lui che la sera, nei casolari diroccati, strimpella Katjuša, la celebre melodia popolare russa; il testo del poeta Isakovskij parlerebbe di meli e peri in fiore, ma già i soldati italiani nella steppa l’avevano storpiato con riferimenti al vento e alle loro scarpe di cartone. “U Megu” s’ingegna a riadattarlo, per questa nuova guerra.
La canzone viene scritta su un foglietto staccato da un ricettario medico, il suo; nevica, fa freddo, la tramontana scura urla sui costoni.
“Soffia il vento, urla la bufera, scarpe rotte eppur bisogna agir / a conquistare la nostra (?) primavera in cui sorge il sol dell’Avvenire”, recitava la prima strofa a matita, in calligrafia ordinata.
Cascione la spedisce dai monti liguri alla mamma Maria, che gliela fa riavere corretta e dattiloscritta: soffia è diventato fischia, agir è ardir, e la primavera non ha più punto interrogativo, non è più nostra ma rossa. La prima volta viene intonata dalla brigata di Cascione davanti al portone della chiesa di un borgo isolato in valle Arroscia, dopo la messa della vigilia di Natale, davanti a un pentolone di castagne; la ricanteranno, questa volta completa, davanti alla chiesa di Alto, il giorno dell’Epifania del ‘44.
Pochi giorni più tardi Cascione viene trucidato dai fascisti, dopo solo 141 giorni di lotta partigiana, mentre i suoi versi, cantati di bosco in bosco, diventano l’inno ufficiale della Resistenza, prima ancora della più trasversale “Bella ciao”.
Alberto Quattrocolo, 1944, viene ucciso il partigiano Felice Cascione, autore di "Fischia il vento", Me.Dia.Re., 27 gennaio 2019 

Alla fine di novembre del 1943, Felice Cascione e la sua banda di partigiani, sempre più braccati dai nemici nazisti e fascisti, dal casone di Magaietto (Diano Castello) si spostarono a nord, per trovare un luogo più sicuro nella boscaglia, dove, in considerazione dell’arrivo della fredda stagione, dovettero prendere strategiche decisioni di attacco al nemico.
Trovarono nella zona di Stellanello, sopra Andora, il casone a due piani di “U Passu du Beiu”. In questo luogo impervio dei monti liguri, in un momento epico e decisivo della guerra, il comandante Felice Cascione, insieme ai compagni della sua banda, decise di scrivere una canzone come “inno” alla Resistenza italiana: “Fischia il Vento”.
Alla presenza di Cascione, la canzone fu poi cantata per la prima volta dai partigiani ad Alto (CN) il giorno dell’Epifania del 1944.
Tre settimane dopo Felice Cascione, nel tentativo di salvare i suoi compagni da una imboscata nazifascista, perse la vita da eroe.
Christian Flammia, Alle origini della nostra civiltà: il casone di “U Passu du Beiu” dove fu scritta la canzone “Fischia il Vento”. Un luogo leggendario per la Liguria, Rete Genova, 22 settembre 2018
 
Il monumento dedicato alla canzone "Fischia il vento", realizzato dall'artista Flavio Furlani. Foto: Trucioli art. cit. infra

Sabato 17 luglio 2021, alle 11,00 presso i Giardini “Libero Nante”, zona Pontelungo di Albenga solenne inaugurazione del Monumento “Partigiani cantano Fischia il Vento”, dell’artista Flavio FURLANI, donato al Comune dal Prof. Nicola Nante in memoria del padre.
Libero Nante, già medico condotto nell’entroterra ingauno (7 Specialità e Primario Chirurgo), partigiano e Dirigente Sanitario dell’ospedaletto da campo a Carnino e poi della Brigata Nino Berio ad Alto. Imprenditore nella ricostruzione postbellica della rete di assistenza sanitaria ingauna, fondò due Case di Cura, di cui una, la “San Michele” in attività.
[...] Il testo fu partorito sotto la regia del Capo Partigiano, Dr. Felice CASCIONE, uno dei primi martiri della Guerra di Liberazione (settembre 1943-aprile 1945), Medaglia d’Oro al Valore Militare, nelle lunghe notti passate con i compagni d’arme nei “Casoni” di montagna, baite che li ospitavano via via, in preparazione degli assalti o in fuga dalle rappresaglie nazi-fasciste. Nel “Casone di Votagrande” presso “u Passu du Beu”, alle spalle del Pizzo d’Evigno (Stellanello-SV, inizio dicembre 1943) ai gregari della banda ribelle viene l’idea di scrivere un proprio inno: Giacomo SIBILLA (IVAN), reduce dalla Campagna di Russia (agosto 1941-dicembre 1943, sempre nel contesto della Seconda Guerra Mondiale), accompagnandosi con la chitarra intona l’aria di Katiuscia (canzone popolare russa, testo di Ivan ISAKOVSKIJ, musica di Matvej BLANTER).
Felice (U MEGU - il Medico) e Silvano ALTERISO (VASSILI) scrivono i primi versi. Le strofe vengono completate tra il 15 ed il 25 dicembre, nel “Casone dei Crovi”, sul monte Castellermo (Vendone-SV), con la collaborazione di altri Partigiani della Banda; la madre di Felice, Maria BAIARDO, maestra, vi apporterà le prime correzioni. Una prima prova del testo completo avvenne a Curenna (frazione di Vendone-SV), dalle cui famiglie i Partigiani vennero ospitati la sera di Natale del ’43.
Vi furono (e vi sono) incertezze su alcune parole, in particolare sulla prima (inizialmente “soffia” oppure “urla” oppure “fischia”), ma anche tra “ardir” ed “andar”, nonché, soprattutto, sull’aggettivo “rossa” oppure “nostra”, attribuito a “primavera” e “bandiera”: chi le voleva più marcatamente di parte, chi preferiva rispecchiare in quei versi l’unione di tutte le forze partigiane, senza distinzione di colore, così da unire in una sola causa tutti i combattenti antifascisti, manifestando un sentimento universale di fratellanza e unione tra gli uomini. La canzone riceverà forma matura a “Case Fontane” (sopra il Lago della Madonna di Alto-CN, alle pendici del Monte Dubasso), dove, pochi giorni dopo, Felice CASCIONE troverà eroica morte sotto il fuoco nazi-fascista, il 27 gennaio 1944.
“Fischia il Vento” fu ufficialmente cantata per la prima volta in pubblico dalla Banda Partigiana, passata in rassegna da Felice CASCIONE, sul sagrato della Chiesa di San Michele in Alto (CN), il giorno dell’Epifania 1944, divenendo rapidamente “la canzone più nota ed importante nella Lotta di Liberazione”.
[...]
Fischia il vento, urla la bufera

Scarpe rotte e pur bisogna andar

A conquistare la nostra primavera

In cui sorge il sol dell’avvenir.

Ogni contrada è patria del ribelle

Ogni donna a noi dona un sospir

Nella notte ci guidano le stelle

Forte il cuore e il braccio nel colpir.

Se ci coglie la crudele morte

Dura vendetta verrà dal Partigian

Ormai sicura è la bella sorte

Contro il vil che ognun di noi cerchiam

Cessa il vento, calma la bufera

Torna fiero a casa il Partigian

Sventolando la nostra bandiera

Vittoriosi alfin liberi siam.

Redazione, Albenga, grata, inaugura: ‘Partigiani cantano Fischia il Vento’. Monumento di Furlani donato al Comune dal prof. Nicola Nante in ricordo del padre, Trucioli, 15 luglio 2021

venerdì 19 agosto 2022

Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria alla Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati"

Una mappa di una parte della Città dei Fiori , realizzata dalle SAP di Sanremo alla vigilia dell'insurrezione finale. Fonte: Augusto Miroglio, La Liberazione in Liguria, Forni, Bologna, 1970

Le Squadre di Azione Patriottica (S.A.P.) ebbero una genesi più tardiva rispetto alle formazioni partigiane della montagna.
Infatti i loro inizi risalgono al luglio-agosto 1944. I motivi di questo ritardo sono da ascriversi al fatto che "l'epicentro dell'azione delle SAP è rappresentato dal cuore stesso delle città e dei paesi sedi di comandi tedeschi e fascisti" (Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese).
I Comandi delle S.A.P. dipendevano direttamente dal C.L.N. operante nella zona d'appartenenza delle formazioni stesse, che nacquero dall'aggregazione di preesistenti gruppi patriottici che agivano isolatamente.
Tra le competenze delle SAP vi era quella di "persuadere i militi della G.N.R. e della Divisione "San Marco" ad abbondonare le fila dell'esercito della RSI e raggiungere i Comandi partigiani" (Carlo Rubaudo, Op. cit.); non meno importante era l'azione di mantenere rischiosi, ma  necessari contatti con gli agenti di P.S. onde venire a conoscenza di imminenti rastrellamenti tedeschi; inoltre spettava alle Squadre d'Azione Patriottica fornire e provvedere, almeno in parte, all'approvvigionamento bellico dei reparti delle montagne.
Nella I^ Zona Liguria tutte le formazioni SAP furono inquadrate in una organizzazione che assumerà il nome di "Divisione SAP Giacinto Menotti Serrati", che potrà contare su ben 8 brigate.
Le brigate SAP erano le seguenti: I^ Brigata "Walter Berio" di Imperia Oneglia, costituitasi nell'agosto del 1944; II^ Brigata "Adolfo Stenca" di Imperia Oneglia, sorta nel febbraio del 1945; III^ Brigata "Domenico Novaro" di Diano Marina, nata nel settembre 1944; V^ Brigata "Giacomo Matteotti", VII^ Brigata "Giuseppe Anselmi", VI^ Brigata "Aldo Baggioli", tutte di Sanremo (IM) e tutte nate nel settembre '44; VIII^  Brigata "Guido Bandinelli" di Taggia, costituitasi nel settembre '44. Il distaccamento SAP di Vallecrosia, nato negli ultimi giorni di luglio 1944, emanazione della V^ Brigata. La IV^ Brigata S.A.P. "Lorenzo Acquarone" a Porto Maurizio di Imperia.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell'Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945). Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

La divisione Sap Serrati, I zona operativa della Liguria, costituita nell'autunno del 1944, opera sulle città costiere dell'imperiese, con 8 brigate dipendenti: 1a  W. Berio, 2a A. Stenca, 3a D.Novaro, 4a L. Acquarone, 5a  G. Matteotti, 6a A. Baggioli, 7a G. Anselmi, 8a G. Bendinelli e un distaccamento GAP E. Zamboni.
La I zona Liguria comprende la provincia di Imperia e l'Albenganese, porzione occidentale della provincia di Savona. Nella prima decade di giugno del 1944 le bande partigiane di questa zona, raggiunta una certa consistenza, si raggruppano nella 9a brigata d'assalto Garibaldi F. Cascione; nel mese successivo tale brigata fu elevata a 2a divisione d'assalto Garibaldi F. Cascione. In seguito vengono costituite anche la 15a divisione d'assalto Garibaldi S. Bonfante e la divisione SAP G. M. Serrati.
Redazione, Divisione Sap Menotti Serrati, 9centRo

Le Squadre di Azione Patriottica (SAP) corrispondevano alle brigate di montagna per l'azione nelle città, ricevendo anch'esse direttive dal CLN. Tali squadre si trovarono tuttavia a fronteggiare la difficoltà di operare in ambito cittadino, dove naturalmente la pressione del nemico era maggiore, senza neppure poter contare su di un armamento adeguato. Tuttavia la relazione tra gruppi di montagna e di città si rivelò fondamentale nel prosieguo della lotta partigiana. Organizzazioni delle Sap erano presenti a Imperia, Sanremo, Diano Marina, Taggia e Vallecrosia, ma molti suoi componenti furono smascherati dai fascisti grazie all'aiuto di una spia nota come "donna velata", che segnalò loro molti nomi di partigiani da lei precedentemente conosciuti. Ciononostante, dall'estate del 1944 sino ai giorni della Liberazione, le SAP agirono efficacemente nelle città costiere, al pari dei GAP, sostanzialmente con gli stessi obiettivi: sabotaggi, liberazioni di prigionieri, recupero di armi, soppressione di spie e attività propagandistica.
Paolo Revelli, La seconda guerra mondiale nell'estremo ponente ligure, Atene Edizioni, Arma di Taggia (IM), 2012
 
2 gennaio 1945 - Dal Distaccamento S.A.P. "Adriano Amadeo" al comando della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" - Comunicava che Villa Ughes e la caserma Siffredi ad Imperia erano state abbandonate dal comando tedesco, e risultate dopo un'ispezione prive di materiale e che i ponti della vallata di Imperia erano stati minati dal nemico, il quale, oltrettutto, aveva trasferito molto materiale in Lombardia.

3 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati", prot. n° 4, al C.L.N. di Imperia - Veniva fatta richiesta delle liste di persone già tassate e di quelle da tassare.

5 gennaio 1945 - Dal Comando della I^ Zona Operativa Liguria alla Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" - Venivano trasmesse le descrizioni fisiche di due spie da prelevare: il primo, zoppo, aveva circa 35-40 anni, l'altro, dai "piedi dolci", era di piccola statura.

29 gennaio 1945 - Dalla Sezione SIM Fondo Valle della II^ Divisione "Felice Cascione" al comando della Divisione SAP "Giacinto Menotti Serrati" - Trasmetteva l'ordinanza del comando alleato, pervenuta tramite il comando della II^ Divisione, per l'istituzione di un Servizio Informazioni Militari da parte delle SAP, sotto la guida della Sezione SIM della II^ Divisione.

30 gennaio 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giacinto Menotti Serrati" al Comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava le difficoltà nei collegamenti con la montagna a causa dell'inasprimento delle misure di sorveglianza adottate dal nemico.

22 febbraio 1945 - Dal comando delle Brigate S.A.P. di Sanremo al comando della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" ed al C.L.N. di Sanremo - Comunicava che il lavoro di riorganizzazione, nonostante la carenza di armi e la difficoltà di reperire uomini dotati di qualità militari, procedeva bene, con Brigate già suddivise in Distaccamenti.
 
22 febbraio 1945 - Documento riservato con il quale ai quadri partigiani interessati si trasmetteva la descrizione fisica della spia Rina Bocio, del servizio informazioni del nemico: "alta 1,65 metri, bruna, capelli corti, molto scura in viso..."

16 marzo 1945 - Dal comando delle Brigate S.A.P. di Sanremo al comando della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" ed al C.L.N. di Sanremo - Comunicava che continuava a migliorare l'organizzazione SAP con l'aumento sia di armamenti che di aderenti; che le squadre erano state ragguppate in Distaccamenti da impiegare "al momento opportuno in settori ben definiti"; che si stavano "repertando le armi in dotazione ai singoli organizzati"; che era in fase di preparazione un piano operativo che sarebbe stato sottoposto al comando della Divisione SAP ed al comando della II^ Divisione.

22 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Gianni Ro", Giuseppe Viani] del Comando Operativo della I^ Zona Liguria al comando della Divisione SAP "Giacinto Menotti Serrati" di Imperia - Richiedeva un appuntamento per avviare un lavoro in comune tra le forze patriottiche cittadine e le forze garibaldine di montagna.

25 marzo 1945 - Dal capo di Stato Maggiore ["Gianni Ro", Giuseppe Viani] del Comando Operativo della I^ Zona Liguria alle formazioni SAP - Affermava che per ragioni non dipendenti dal mittente non avevano "avuto un fruttuoso seguito" gli accordi raggiunti il 27 dicembre 1944 tra il comando SAP ed il Comando Operativo della I^ Zona Liguria; che, pertanto, la collaborazione operativa si sarebbe attuata con azioni dimostrative e dirette, "predeterminate con le formazioni" garibaldine che avrebbero provveduto a fornire le munizioni da usare; che la "collaborazione attiva" era in quel momento "ostacolata dalla mancanza di munizioni e armi"; che, tuttavia, potevano essere raggiunti "ottimi risultati nel campo informativo, vitale per l'attuazione della guerriglia"; che i sapisti, "svolgendo la loro normale attività", erano a stretto contatto con il nemico; che era necessario estendere a tutta la provincia la rete di informatori; che servivano notizie riguardo al nemico sulle postazioni, sulle fortificazioni, sui lavori campali, sui presidi, sui magazzini, sui movimenti; che il servizio informazioni doveva essere esteso a tutti i sapisti e non lasciato al solo SIM; che ad ogni squadra doveva essere assegnato un territorio; che per "il reperimento delle notizie" si era dimostrato fruttuoso il sistema adottato dalla Brigata SAP di Diano Marina, il cui commissario passava giornalmente dai suoi informatori a raccogliere le notizie; che un commissario di Brigata SAP aveva l'incarico "di vagliare le notizie ricevute vagliandone l'importanza"; che dopo il predetto vaglio le informazioni dovevano essere trasmesse ai livelli competenti delle formazioni partigiane; che era ormai vitale instaurare uno stretto collegamento tra ogni Brigata SAP con una formazione garibaldina.
 
25 marzo 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giacinto Menotti Serrati" al CLN provinciale di Imperia - Segnalava che i tedeschi stavano usando "tutti i mezzi possibili per ammassare il maggior quantitatvo di olio possibile; pare, addirittura, che ne vogliano portare via 60.000 quintali, anche se non ci riusciranno. Tuttavia, anche se ne asportassero solo qualche quintale sarebbe un grave danno per la già provata economia della zona che non ha altre risorse". Comunicava che i tedeschi avevano avuto diversi allarmi navali e che durante la notte precedente avevano "applicato le micce alle mine". Riferiva che in un incontro con  Giorgio [Giorgio Olivero, comandante della Divisione Bonfante] era stato preso l'accordo di interrompere per brevi tratti sia la via Aurelia sia la ferrovia, ma che per motivi sconosciuti tali azioni concertate non erano state effettuate.

5 aprile 1945 - Dal comando della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Riproponeva di effettuare un'azione contro la strada ferrata in Località Capo Rollo [località di Cervo (IM)] "sia per impedire l'asporto di elevati quantitativi di olio dalla provincia di Imperia che per impedire una rapida fuga dei tedeschi ed in particolare dei fascisti".

5 aprile 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" alla Sezione S.I.M. del Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Segnalava che nel bunker sopra il torrente Impero ad Imperia era stato costruito un posto vedetta vicino al mare, costantemente sorvegliato: che un analogo osservatorio era stato edificato in località San Martino di Sanremo; che tali provvedimenti inducevano a pensare che tra le file nemiche regnasse l'allarme continuo; che il 4 aprile sulla strada 28 erano transitati in direzione nord 40 uomini con affardellamento completo; che continuavano le lamentele contro la Sepral [uno dei tanti enti annonari istituiti durante la guerra] "banda organizzata per la borsa nera su vasta scala"; che i tedeschi risultavano "sempre più demotivati alla lotta, contuinuano la tendenza di avvicinamento alla popolazione".

6 aprile 1945 - Dal comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" al comando della I^ Brigata "Silvano Belgrano" - Disponeva di incaricare "Quan" di recarsi a studiare la situazione della centrale elettrica di Oneglia ad Imperia perché sarebbe occorso, con la forza o con l'astuzia, tentare di impedire ai tedeschi di fare brillare l'impianto e per lo svolgimento di tale operazione di salvataggio di operare con le SAP.

7 aprile 1945 - Dal  Comando della I^ Zona Operativa Liguria alla segreteria del  Comando della I^ Zona Operativa Liguria - Segnalava che il capo di Stato Maggiore del Comando Operativo della I^ Zona Liguria, "Gianni Ro" [Giuseppe Viani], doveva essere avvisato della riunione in preparazione tra i CLN, le SAP e le formazioni garibaldine...

9 aprile 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 566/CL, all'Ispettorato del  Comando della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava che "Piero", ufficiale addetto al comando SAP, sarebbe salito in montagna perché ricercato attivamente dal nemico.

10 aprile 1945 - Dalla Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" alla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] del Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Segnalava che a Capo Berta [tra Imperia e Diano Marina] era stata piazzata una batteria antisbarco protetta dal filo spinato; che lungo l'argine destro del torrente Impero e in Castelvecchio ad Imperia erano in fase di preparazione alcuni sbarramenti fatti con pezzi di rotaie; che il giorno 7 era partita dalla Cava Rossa, diretta a nord, una colonna tedesca di 40 soldati, 8 carri grandi, 8 carri piccoli.

13 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" [di Albenga (SV)] al Rappresentante [Robert Bentley, capitano del SOE britannico, ufficiale di collegamento alleato con i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria] dell'Alto Comando Alleato ed al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava che come da accordi presi iniziava il servizio informazioni; che i tedeschi avevano asportato dal forte di Zuccarello tutte le munizioni; che facevano la stessa operazione dai magazzini situati nei pressi di Albenga; che l'11 aprile era transitato "da est ad ovest un camion con rimorchio carico di 70 fusti pieni di benzina"; che nella galleria tra Ceriale e Borghetto vi era un treno blindato, armato con 4 pezzi da 120 e con 2 mitragliatrici da 20 mm; che il nemico aveva intensificato la sorveglianza nelle valli vicine ad Albenga sino ad istituire un nuovo posto di blocco sulla strada Arnasco-Albenga-Coasco [Frazione di Villanova d'Albenga (SV)].

17 aprile 1945 - Dalla Sezione S.I.M. [Servizio Informazioni Militari] della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" alla Sezione S.I.M. del Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava come sarebbero stati indicati gli obiettivi militari (ad esempio 1, parrocchia di Castelvecchio, abbandonata dai 25 militari ivi accantonati; 32, il bunker presso il ponte della via Aurelia sul torrente Impero, ormai sgombrato dai 10 tedeschi che prima l'occupavano), che i 30 tedeschi di stanza a Casa La Lena si erano trasferiti a Pontedassio in sostituzione di loro camerati diretti verso le montagne piemontesi; che i tedeschi per paura di essere uccisi dai garibaldini intendevano arrendersi agli alleati.

18 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giacinto Menotti Serrati" all'ispettore "Giulio" [Carlo Paoletti] della I^ Zona Operativa Liguria - Comunicava che nell'organico della Divisione militavano 75 uomini ad Oneglia, 75 a Porto Maurizio, 100 uomini nella Brigata di Sanremo, che avrebbero potuto essere inquadrati nelle SAP anche i giovani del Fronte della Gioventù ed "alcuni compagni anziani del Partito", che il 6 aprile una squadra SAP di Porto Maurizio aveva fatto esplodere una bomba nella "casa del soldato" rendendo inutilizzabile l'edificio.

18 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" [di Albenga (SV)] al rappresentante dell'Alto Comando Alleato [ufficiale di collegamento, capitano del SOE britannico, Robert Bentley] ed al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Comunicava che il 17 aprile erano transitati sulla via Aurelia in direzione ovest 2 camion, 6 auto, 5 autocarri tutti vuoti, verso est 1 camion coperto, 1 camion vuoto, 1 treno carico di paglia e fieno; che il presidio di Coasco era partito per il fronte; che il figlio del maggiore Vignola agiva come spia.

19 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" [di Albenga (SV)], prot. n° 56, al rappresentante dell'Alto Comando Alleato [ufficiale di collegamento, capitano del SOE britannico, Robert Bentley] ed al comando della VI^ Divisione "Silvio Bonfante" - Informava che "il giorno 18 u.s. sono transitati sulla via Aurelia verso est 3 camion coperti, 3 moto con militari, 1 auto con 4 soldati, 1 camion carico di materiale, 1 autobus carico di truppa ed 1 colonna di 10 carri. In direzione ovest sono passate 6 macchine cariche di armi ed 1 camion vuoto. Proveniente da Ventimiglia è transitato un treno carico di materiale diretto a Savona. A Leca d'Albenga vi sono 100 uomini di truppa e 15 tra ufficiali e sottoufficali. Pare che Vignola del Dst. Bortolotti svolga azione di spionaggio ai danni dei garibaldini. Pipetta continua a lavorare per i tedeschi. Si allega la foto di una ragazza che agisce a Garlenda e che con la scusa della borsa nera fornisce notizie ai tedeschi. L'isola Gallinara non ha più il presidio tedesco e sembra che non verrà rimpiazzato".

19 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giacinto Menotti Serrati", prot. n° 11, al SIM della I^ Zona Operativa Liguria - Avvertiva che "nell'obiettivo n° 18 [pini Spinelli e Villa Isnardi] è stato ricostruito il caposaldo con difesa passiva; nell'obiettivo n° 27 [porto di Oneglia ad Imperia] i 3 bunker sono presidiati da 30 uomini; presso l'obiettivo n° 4 [presidio di Oliveto, Frazione di Imperia] sono giunti 20-30 tedeschi da Pieve di Teco, sostituendo in parte il presidio precedente. Sulla strada n° 28 sono transitati 30-40 tedeschi con l'affardellamento completo, diretti a nord, con probabile provenienza da Taggia o da San Remo. Sulla via Aurelia traffico normale anche se di tanto in tanto transita un drappello di tedeschi, sempre in direzione est. Le vetture a causa della scarsità di carburante si rimorchiano a due a due".

22 aprile 1945 - Dal comando della II^ Divisione "Felice Cascione" al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Chiedeva con urgenza precise disposizioni nei confronti "delle truppe liberatrici, che con ogni probabilità saranno Degolliste; le competenze nei confronti del CLN e delle SAP secondo gli accordi intervenuti tra voi e dette organizzazioni... se bisogna portare gradi, in caso positivo quali".

22 aprile 1945  - Dal capo di Stato Maggiore [Gianni Ro, Giuseppe Viani] della I^ Zona Operativa Liguria, prot. n° 29, al comando della Divisione S.A.P. "Giacinto Menotti Serrati" - Veniva richiesta per conoscenza una copia delle comunicazioni fatte dal comando SAP al comando della I^ Zona e si sottolineava la necessità di contatti settimanali per l'analisi delle situazioni SAP in provincia di Imperia.

22 aprile 1945  - Dal Comando Operativo della I^ Zona Liguria alle S.A.P. di Imperia Oneglia [I^ Brigata S.A.P. "Walter Berio"  e II^ Brigata S.A.P. "Adolfo Stenca"] - Veniva criticato il fatto che elementi SAP di Costa d'Oneglia [Frazione di Imperia] avessero distolto il comandante Mancen [Massimo Gismondi, comandante della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della VI^ "Silvio Bonfante"] dallo svolgere un'azione e che, come era stato riferito, alcuni sapisti tenessero nascosti dei moschetti che non intendevano utilizzare. E che tutto ciò era "in netto contrasto con le direttive del CLN per la guerriglia partigiana". Si aggiungeva un riferimento severo alla SAP di Cervo (IM), nella quale era stato nominato comandante un ex garibaldino, che si era allontanato nel periodo invernale. "Chi tiene le armi sotto terra in questo momento decisivo diserta la lotta e tradisce la causa. Non sarà degno di essere considerato un combattente per la libertà. Occorre rompere gli indugi."

23 aprile 1945 - Dal comando della Divisione SAP "Giuseppe Mazzini" [di Albenga (SV)], prot. n° 60, al Rappresentante dell'Alto Comando Alleato [ufficiale di collegamento, capitano del SOE britannico, Robert Bentley] - Scriveva che "si segnalano i seguenti movimenti avvenuti sulla via Aurelia il 21 u.s.: 3 camion diretti ad est che trasportavano truppe ed un mezzo d'assalto; un treno da Ventimiglia per Savona carico di materiale. Dalla stazione di Albenga sono stati caricati 40 carri agricoli, munizioni, mine e materiale vario diretti a Garessio via colle San Bernardo".
 
da documenti IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit. Tomo II

mercoledì 25 maggio 2022

Oggi si viene a conoscenza che l'azione di rastrellamento a Coldirodi è stata compiuta dal Comando Tedesco e dai Bersaglieri più vicini di noi

Coldirodi, oggi Frazione del Comune di Sanremo (IM): Monumento ai Partigiani Caduti: Caputi, Giaccaglia, Graziano

Fin dai primi giorni del mese di dicembre 1944 si era abbattuta con una violenza e una ferocia indicibili sulle popolazioni comprese tra la val Nervia e le valli imperiesi la furia delle truppe naziste e dei loro alleati, i terribili “Cacciatori degli Appennini”, con l'intento di eliminare ogni traccia della presenza partigiana in questa zona, per poter affrontare il temuto arrivo degli alleati dalla vicina Francia, e di cui credevano fosse prossimo lo sbarco. Essi usavano la tecnica della rappresaglia sulle popolazioni: quando diciamo Resistenza infatti parliamo non solo dei partigiani, ma di tutti quei contadini, artigiani, uomini e donne che, al contrario delle spie, profumatamente ricompensate, rifiutarono - pagando per questo un prezzo altissimo - di denunciare i nascondigli dei Partigiani.

In questo mese infatti avvennero gli eccidi di Grimaldi, Castelvittorio, Torre Paponi, Villa Talla che costarono la vita di tanti civili, donne, uomini, bambini e sacerdoti, oltre alla devastazione dei paesi
In questo clima di violenza e terrore il 19 dicembre a Ospedaletti vengono rastrellate 503 persone: i giovani catturati sono avviati alle armi o condotti in Germania, e quello è lo stesso giorno in cui avviene lo scontro con i Partigiani a Coldirodi [n.d.r.: all'epoca Frazione del Comune di Ospedaletti].
Otto partigiani della “Volante” del Comando della V^ Brigata Garibaldi, provenienti dalle alture di Taggia, stavano tornando verso il paese, attraverso le montagne, suddivisi in terne per ragioni di sicurezza: erano scesi a Coldirodi sull’imbrunire del 18 dicembre 1944 e avevano prelevato il giovane Giuseppe Graziano per appurare se erano vere le notizie riguardanti il padre che, da informazioni pervenute, si temeva potesse essere un informatore del nemico: il giovane si era offerto di seguirli al posto del padre. 
Dopo aver ascoltato le sue dichiarazioni i partigiani si erano resi conto che le informazioni avute erano false, per cui, nella notte del giorno successivo, il tragico 19 dicembre 1944, avevano deciso di riaccompagnare a casa il giovane Giuseppe, e mettere fine all’ansia dei suoi familiari al più presto. Giunti in vista del paese, avevano chiesto a Giuseppe di fare loro da guida attraverso le mulattiere che egli, essendo del posto, conosceva meglio. 
Giunti in questo punto furono però colti da un nutrito fuoco di un gruppo di nazifascisti appostati.
Caddero, colpiti a morte i due Partigiani della prima terna: Caputi Giuseppe (Pasquale) di Molfetta, Giaccaglia Lelio (Bill) di Perugia, e con essi venne colpito a morte Graziano Giuseppe. Mentre il restante gruppo di Partigiani, nonostante alcuni feriti, riusciva a sganciarsi, Giuseppe si trascinò morente lungo un viottolo fino ad una scalinata presso un’abitazione e lì morì, dopo una lunga agonia, perché a nessuno fu possibile prestargli soccorso, data la presenza dei nazifascisti sul luogo dello scontro che lo impedivano. Il suo nome è inciso sulla lapide posta nel luogo ove terminò la sua giovane vita. Aveva 19 anni. 
All’alba del giorno seguente i nazisti giunsero in forze nel paese e rastrellarono tutti gli abitanti di Coldirodi riunendoli nella chiesa: gli uomini vennero portati a Sanremo e furono rilasciati solo grazie all’intercessione del Parroco Giovanni Battista Lanteri, pochi alla volta.
Redazione, Sanremo: domenica prossima la cerimonia organizzata dall'Anpi per commemorare i caduti di Coldirodi, Sanremo.news, 5 dicembre 2019 
 
A sinistra, in collina, Coldirodi; sulla costa, Ospedaletti. Una vista da Bordighera

I Tedeschi, sempre convinti dello sbarco di commandos nemici, rastrellano Ospedaletti il giorno 19: vengono fermate 503 persone, i giovani sono inviati alle armi, due in Germania (Celeste Trevisan fu Domenico non farà più ritorno), saccheggiate molte case.
A Coldirodi catturano e fucilano i garibaldini della V brigata Lelio Giaccaglia (Bill) fu Carlo nato a Perugia il 28-1-1921, Giuseppe Graziano di Giuseppe, e, il giorno 22, Giuseppe Caputi (Pasquale) di Pasquale, nato a Molfetta  il 15-7-1923.
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. Da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con il patrocinio dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, Milanostampa Editore - Farigliano, 1977

Coldirodi vista da Ospedaletti
 
In Liguria furono attivi Giuseppe Abbattista e Giuseppe Caputi (nome di battaglia "Pasquale"), il primo attivo nella 2° Brigata Julia dell'esercito italiano, il secondo nella V Brigata Nuvoloni delle Divisioni Garibaldi intitolate alla memoria di Felice Cascione, autore del canto partigiano "Fischia il vento". Giuseppe Caputi cadde in combattimento il 22 dicembre 1944 a Coldirodi, in provincia di Imperia.
Redazione, Rifondazione Comunista ricorda le storie dei partigiani di Molfetta, Molfetta viva, 25 aprile 2020 

Ospedaletti (IM): una vista da Coldirodi

[...] Il fatto avvenne il 19 dicembre 1944 in frazione Coldirodi: una pattuglia di Partigiani giunta nella parte nord del paese dove riaccompagnava il giovane Graziano, fu colta da un nutrito fuoco di un gruppo di nazifascisti lì appostati, proprio nel luogo dove ora sorge il cippo che ricorda i Caduti.
Caddero subito i due Partigiani che erano nel primo gruppo: Caputi Giuseppe (Pasquale), Giaccaglia Lelio (Bill) e con essi venne colpito a morte il diciannovenne Giuseppe. Mentre il restante gruppo di Partigiani, nonostante alcuni feriti, riusciva a sganciarsi, Giuseppe si trascinò morente lungo un viottolo fino ad una scalinata presso un’abitazione e lì morì dopo una lunga agonia perché a nessuno fu possibile prestargli soccorso, data la presenza dei nazifascisti sul luogo dello scontro. Il suo nome, Graziano Giuseppe, è inciso su una lapide posta nel luogo ove terminò la sua giovane vita. All’alba del giorno seguente i nazisti giunsero in forze nel paese e rastrellarono tutti gli abitanti portandoli nella chiesa: gli uomini vennero portati a Sanremo e furono rilasciati solo grazie all’intercessione del Parroco Giovanni Battista Lanteri, pochi alla volta.
Ma.Gu., A Coldirodi saranno commemorati i Partigiani uccisi dai nazifascisti, Riviera24.it, 18 dicembre 2010

Coldirodi vista dal confine tra Bordighera ed Ospedaletti

13 dicembre 1944
Anche questa notte vengono inviati sei uomini di guardia a Villa Giulia per servizio di vigilanza e di difesa di quella caserma che rigurgita di prigionieri politici e di ostaggi.
Ho ordine d'intensificare la vigilanza per il Bando del Capo della Provincia relativo alla fucilazione di tutti i prigionieri politici, in S. Remo, se entro il 15 c.m. non verranno rilasciati il Maggiore Papalepore ed il maresciallo Messina, prelevati dai ribelli a S. Martino.
Novità del servizio: n.n.
La guardia era comandata dal Legionario Carlevaris.
Visto il Comandante Mangano - il Vice Comandante
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan, Documento in Archivio di Stato di Genova, copia di Paolo Bianchi di Sanremo
 
Il 10 dicembre 1944, alcuni garibaldini prelevano a San Remo il maggiore della 12^ Compagnia Provinciale della Milizia Ignazio Pappalepore e il maresciallo Giuseppe Messina. Il giorno stesso i due malcapitati furono passati per armi in zona Peiranze in località Pian dei Bosi di Sanremo. In relazione la prefettura d’Imperia informava con un manifesto che se entro il giorno 15 (dicembre) i due suddetti militari non fossero stati rilasciati, avrebbe ordinato la fucilazione di tutti i detenuti politici trattenuti nelle carceri di Sanremo e di Imperia. Il CNL sanremese rispose con un altrettanto minaccioso manifesto con cui si decretava la pena di morte per tutti gli appartenenti al Partito fascista repubblicano, da eseguirsi se la suddetta fucilazione fosse avvenuta. Forse intimorito dalla minaccia ricevuta il Tribunale speciale di Sanremo aggiornò la seduta non facendo seguito alla minaccia precedentemente affissa sui manifesti. Le conseguenze però non si fecero attendere molto. Tra il 19 e il 22 del mese stesso fu organizzato un grosso rastrellamento sulle alture della città. A Coldirodi vennero uccisi, rispettivamente il 19 e il 22, Giaccaglia e Caputi. Il 22 vennero catturati in città nei pressi della loro abitazione i fratelli Zoccarato, che vennero fucilati sul posto in presenza della loro madre.
Giorgio
Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, Edito dall'Autore, 2020

[ n.d.r. tra gli altri lavori di Giorgio Caudano: Marco Cassini e Giorgio Caudano, Bordighera al tempo di Bicknell e Monet, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2021; Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021; a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone, La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944-8 ottobre 1944), Comune di Pigna, IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea… memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016;
Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, Edito dall'Autore, 2016
 
Copia di una delle pagine del Diario del Distaccamento di Sanremo della Brigata Nera cit. infra

Prelevamento Magg. Pappalepore e Maresciallo Messina
In data di oggi, 19 [dicembre 1944], al Comandante perviene una lettera, con dentro altra chiusa, intestata "Alle autorità competenti. Sanremo".
Vi sono due biglietti.
I - Uno così concepito: "Ci perviene in questo momento una dichiarazione diretta a sua moglie di uno dei due militari prelevati nella notte del 10 c.m. dalla quale risulta che lo stesso collabora con i patrioti.
"Dal biglietto accompagnatore nulla risulta per il secondo, ma da indiscrezioni avute sembra goda ottima salute".
II - Nel retro di un certificato di identità della signora Lamorte Antonietta (moglie del Maresciallo Messina) si legge a matita: "Io sto bene e spero che collaborando in fiducia in pieno accordo con i patrioti rivederci presto con la sicurezza di una Italia libera. Viva i patrioti. Tuo caro Giuseppe. Baci ai bambini".
Evidentemente si tratta di un autografo del Maresciallo Messina a sua moglie. Carpito a forza? Spontaneo?
Il singolare documento viene portato in visione al Capitano Sainas (G.N.R.) e comunicato per l'urgenza al Capo della Provincia, a 1/2 telefono. Alla sera, ore 18 circa ne viene informato pure il Col. Bernardi dal Comandante e prima di tutto il Comandante la 32^ Brigata "A. Padoan" Massina M.
[...] Successivamene, verso le 5 viene in sede anche il camerata Ascheri Dario, pure di Coldirodi e aggiunge particolari interessanti.
Immediatamente il Comandante Mangano e il Vice Comandante si recano dal Capitano Sainas della G.N.R. per conferire in merito da farsi ossia per portarci a Coldirodi cogli uomini senz'altro.
Il Capitano Sainas informa che l'azione di rastrellamento è in mano al Comando Germanico e che si devono attendere ordini in merito.
Nell'attesa gli uomini del nostro distaccamento sono tenuti pronti.
Possono partire 25 legionari.
Nulla ci viene ordinato nelle ore che seguono.
20 dicembre 1944 / XXIII
Oggi si viene a conoscenza che l'azione di rastrellamento a Coldirodi è stata compiuta dal Comando Tedesco e dai Bersaglieri più vicini di noi. Tre ribelli sono stati uccisi. Altri feriti. Gli uomini dai sessant'anni ai 17, rastrellati nel paese, assommano a circa 350. Sono al Grande Albergo.
[...]
21 dicembre 1944 / XXIII
La G.N.R. (albergo Nizza) chiede quattro uomini di guardia al Grande Albergo dove sono gli ostaggi rastrellati a Coldirodi.
Il Comandante invia i seguenti Legionari: Galleani Giancarlo, Viale Francesco [...]
22 dicembre 1944 / XXIII
Il freddo stana i lupi dai boschi. Allo stesso modo scenderanno i banditi dalla montagna per penetrare alla spicciolata in città. Si rende opportuno organizzare una serie sistematica di agguati e di appostasmenti nelle vie di accesso, alla periferia di S. Remo. Le probabilità di arresti e di fermi aumenterebbero di certo. I nostri Legionari desiderano tali azioni.
[n.d.r.: a firma Mangano, capitano Angelo Mangano, comandante la Compagnia O.P. della XXXII Brigata Nera, e a firma del vice comandante]
23 dicembre 1944 / XXIII
[...] Della settantina di individui delle classi richiamate rastrellati ieri da tre pattuglie di nostri Legionari, da Corso Garibaldi al Casinò, non uno è stato trattenuto dalla G.N.R. (Compagnia fucilieri). Pare fossero tutti muniti di certificati di lavoro delle ditte più svariate. Comunque, il rastrellamento fu eseguito con perfetta organizzazione e non diede luogo ad incidenti.
Diario (brogliaccio) del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan, Documento in Archivio di Stato di Genova, copia di Paolo Bianchi di Sanremo

domenica 10 aprile 2022

Natale a casa per due partigiani di Imperia

Imperia (Oneglia): Via Amendola

Riportando in breve una statistica, possiamo dire che, mentre nel periodo estivo la consistenza numerica della I^ brigata ammontava a circa settecento partigiani, essa si ridusse ad un centinaio nell'inverno; gli uomini rimasti erano suddivisi in una dozzina per ogni distaccamento. Ecco perché i tedeschi si limitavano a fare delle puntate: sapevano che i partigiani potevano opporre poca resistenza.
Fu in quel periodo, durante questa pericolosa situazione, che decisi di farmi tagliare i capelli in modo normale; se mi avessero catturato con quei capelli lunghi, sarei stato immediatamente fucilato; non  mi avrebbero nemmeno chiesto: «Tu partigiano?». Invece con i capelli normali forse (dato che fin che c'è vita c'è speranza) non mi avrebbero fucilato subito, probabilmente più tardi. Aggiungo ancora che possibilmente non mi sarei lasciato catturare vivo.
A metà dicembre 1944, su ordine del comando [n.d.r.: della I^ Brigata "Silvano Belgrano" della Divisione "Silvio Bonfante"], ci trasferimmo a monte dell'abitato di Diano San Pietro, in una località denominata "Besta" e anche lì ci trovammo bene: solidarietà da parte della popolazione, la quale ci forniva viveri e tutto quanto ci poteva servire.
Fu in quei giorni che io e Germano Belgrano pensammo di trascorrere il Natale con le nostre famiglie. Però Germano aveva i genitori sfollati che non avrebbero potuto ospitarci, mentre la mia casa era più grande. Con le staffette stabilimmo che alcuni giovani della SAP di Oneglia ci avrebbero fatto strada e dalla cima di Santa Lucia ci avrebbero accompagnato e scortato con discrezione sino alla mia casa sita nell'attuale via Amendola.
Alla cima di Santa Lucia incontrammo Vittorio Aliprandi che, per ragioni di salute, era ritornato a casa ma si dava da fare. Ci disse di stare attenti alle caserme di Santa Lucia perché sulla strada c'era un commissariato di polizia, e all'inizio di via Roma, nell'ex caserma dei carabinieri, c'erano dei tedeschi. Dunque, avevamo un sapista davanti e uno dietro che ci scortavano; essendo pratici del luogo avrebbero notato subito degli sconosciuti e ci avrebbero messo in guardia. Ad ogni modo io e Germano avevamo la pistola e, all'occorrenza, ci saremmo difesi.
Quando le cose debbono andare bene, vanno bene, però si possono prendere anche delle paure: infatti, giunti davanti al commissariato di polizia, il caso volle che dei ragazzini, giocando a palla, rompessero un vetro alla porta del commissariato stesso, dal quale uscirono immediatamente due agenti in borghese chiedendo ad alta voce chi fosse stato il colpevole. Io misi la mano sulla pistola pronto ad usarla, ma Germano se ne accorse e, più freddo di me, mi disse di stare fermo, di far finta di niente e di proseguire. Per fortuna si fece avanti un ragazzino il quale, parlando con i poliziotti, ammise di essere stato l'autore del misfatto. Nel frattempo noi ci eravamo allontanati.
Ma quando giungemmo davanti alla caserma dove erano alloggiati i tedeschi, all'inizio di via Roma, scorgemmo un soldato di guardia; quando ci vide, ci guardò intensamente come se scorgesse in noi qualche cosa di strano. Anche in questa occasione misi mano alla pislola senza estrarla trovando sospetto quello sguardo insistente. Anche in questo caso Germano mi invitò ad essere normale non facendo caso alla sentinella.
Quando giungemmo in vico Santa Elisabetta (a cinquanta metri dopo la caserma) infilammo di corsa la scala che conduceva a casa mia. Ivi trovai i miei genitori, mia nonna, una zia, una cuginetta e la mia sorellina di otto anni; seguirono molti abbracci festosi per me e per Germano.
Dopo i convenevoli non potevamo non parlare della nostra situazione, della guerra, di coloro che erano morti sia in montagna che sotto i bombardamenti, dei partigiani fucilati in città e di altri argomenti simili. Intanto ci preparammo  a cenare e la cosa ci allettò alquanto perché mia madre ci aveva preparato delle cose buone, compreso un buon risotto alla seppia, cose che oramai noi avevamo dimenticato.
Ad un certo momento, mentre stavamo per iniziare a mangiare, sentimmo bussare alla porta; siccome non doveva arrivare più nessuno, rimanemmo perplessi. Allora io e Germano, guardandoci in faccia con apprensione, passammo nella stanza accanto mentre mia zia chiedeva, senza aprire la porta, chi avesse bussato. Rispose una voce gutturale, inequivocabilmente tedesca: «Sono Hans, signora, sono venuto a vedere se mi ha aggiustato la giacca della divisa». Io e Germano questa volta avevamo messo veramente mano alle pistole, ma a quella voce ci sedemmo tranquillizzati in attesa che il tedesco se ne andasse. Infatti, ritirata la giacca, si scusò per il disturbo recato nell'ora di cena; forse si sarebbe fermato volentieri a fare quattro chiacchiere, come se fosse stato con i suoi familiari, ma mia madre e mia zia gli fecero presente che a tavola vi erano due piatti in più perché dovevano giungere altri due parenti, per cui il tedesco se ne andò e noi potemmo ritornare a mangiare. Salimmo poi a dormire in un lettone e sprofondammo in morbidi materassi di lana ai quali da molto tempo avevamo rinunciato. Il giorno successivo giunse il padre di Germano a trovarci, stette un paio d'ore con noi, ci ricordò piangendo l'altro suo figlio, Silvano, caduto il 19 giugno 1944 durante il rastrellamento di Pizzo d'Evigno. Aveva paura per Germano, ma questi lo rassicurò raccontandogli qualche storia, facendo presente che la guerra sarebbe finita presto.
Sandro Badellino, Mia memoria partigiana. Esperienze di vita e vicende di lotta per la libertà di un garibaldino imperiese (1944-1945), edizioni Amadeo, Imperia, 1998

venerdì 17 settembre 2021

Ferito gravemente alla gamba destra un partigiano che poi risultò essere Modena Antonio

Pagina 10 (qui citata) del Diario del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan - cit. infra

Operazione antiribelle del 5 dicembre 1944/XXIII
A iniziativa del comando G.N.R. (Capitano Sainas) con 36 uomini della Provinciale (al comando del S. Ten. Greppia) e 15 uomini della Brg. Nera al Comando del V. Comte Ravina, si rastrella la zona della Cava di Verezzo (Verezzo Ponte e Rodi).
Comandano e dirigono l'azione il Capitano Sainas ed il Comandante Ten. Mangano.
Partenza dalla caserma ore 5,1/4
[...] Verso le 6,3/4 la pattuglia di destra (Pelucchini) svolge azione di fuoco e ferisce un ribelle che poi risultò essere un certo Modena Antonio il quale al momento del fermo tentò corrompere i legionari Pelucchini e Bartoli offrendo lire cinquecento (£. 500) cadauno per riscattare la propria libertà. Avuto un netto e reciso rifiuto pensò bene darsi alla fuga, e fu allora che Bartoli gli sparò e lo ferì gravemente alla gamba destra.
Bilancio generale dell'Azione: due fermi di renitenti alla leva ed un ribelle ferito.
[...] Visto/Il Comandante Mangano [...]
Diario del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan. Documento in Archivio di Stato di Genova, copia di Paolo Bianchi di Sanremo

BARTOLI IVO: nato a Buti (Pi) il 24 agosto 1924, squadrista della Brigata nera “Padoan”, distaccamento di Sanremo.
Interrogatorio del 26.6.1945:
Nei primi di gennaio del 1944 fui rastrellato in via Vittorio di Sanremo, nel caffè Iris, da agenti di polizia e internato nel campo di concentramento di Vallecrosia. Qui ci venne fatta la proposta di arruolarci nelle forze armate repubblicane o di andare a lavorare in Germania.
Decisi di arruolarmi nel Battaglione Italiani all’Estero di stanza a Taggia. Dopo alcuni giorni venni trasferito a Genova ed incorporato nel Comando Marina dove rimasi fino al mese di luglio quando disertai tornandomene a casa. Andai quindi in montagna, a Carmo Langan, con i patrioti. Qui sono rimasto 10 o 15 giorni dopo di che sono tornato a casa perché il Comandante Vittò [n.d.r.: Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo] ci disse che chi voleva rimanere sarebbe rimasto a proprio rischio e pericolo e chi voleva andarsene era libero di farlo.
Sono quindi tornato a Sanremo dove mi nascosi a casa di un mio amico. Dopo circa tre mesi tornai a casa mia e dove, dopo alcuni giorni, fui arrestato dai militi della brigata nera, i quali volevano consegnarmi alle SS tedesche.
Io per evitare ciò mi arruolai nelle brigate nere in data 11 novembre 1944.
Dopo 15 giorni, il comandante del distaccamento, Mangano, mi ordinò di andare a fare un rastrellamento a Verezzo con altri della brigata nera.
Giunti nei pressi di Verezzo venne catturato un certo Modena, che fu assegnato a me perché lo guardassi.
Dopo un po' il Modena mi chiese di accompagnarlo al comandante della pattuglia, Pelucchini Dario, perché doveva parlargli. Ci avviammo ma mentre io mi girai per chiamare il Pelucchini, il Modena se la diede a gambe. Allora io sparai un colpo in aria per intimorirlo ma, visto che non si fermava, io e gli altri miei compagni gli abbiamo sparato contro ed il Modena cadde per terra e rimase dietro un muro di una casa. Andammo a vedere ma il Modena non c’era più e cercatolo non lo abbiamo più trovato. Dopo poco sopraggiunse il Capitano Sainas della GNR, il quale con i suoi militi si recò a cercare il Modena che fu rintracciato dopo circa una mezz’ora e subito udimmo degli spari. Quando i militi vennero sul posto dove eravamo noi, portarono il Modena ferito ad una gamba. Non posso dire se il Modena venne ferito da noi o dai militi della GNR. Rimasi nella brigata nera fino al 13 dicembre 1944, giorno in cui venni cacciato via perché toglievo i detonatori alle bombe a mano e tradotto alla caserma Crespi di Imperia, insieme ai rastrellati
[...]
CURTI WALTER: nato a Sanremo il 1° agosto 1929, squadrista della Brigata nera “Padoan”, distaccamento di Sanremo.
Interrogatorio del 28.5.1945:
Mi arruolai volontariamente nella brigata nera di Imperia nel novembre del 1944 e assegnato al distaccamento di Sanremo dove sono rimasto fino al giorno 24 aprile, giorno in cui siamo partiti per Imperia per incolonnarci col comando di brigata e con il comando della GNR diretti a Milano. Ho partecipato ad un rastrellamento verso la fine di novembre unitamente a reparti tedeschi, bersaglieri, marina tedesca e truppe del comando provinciale nella zona di Ceriana. In tale occasione non venne operato nessun arresto però il reparto della marina tedesca diede alle fiamme alcune case a ridosso del paese.
Una seconda operazione a cui ho partecipato venne fatta presso le cave di Verezzo insieme a reparti della provinciale (GNR). Per ciò che riguarda il nostro settore posso affermare che venne fermato un certo Modena e poiché questo tentò di fuggire fu fatto segno a colpi di moschetto. Venne raggiunto da un colpo sparatogli del milite della brigata nera Ivo Bartoli e ferito ad un ginocchio, indi fu fatto prigioniero.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione. Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019

Personaggi: un capitano tedesco, un tenente dell’Upi e un capitano della Gnr; per essere più precisi, il capitano Sainas. Ancora una volta la barbara legge tedesca delle rappresaglie sta per essere messa in atto: il capitano tedesco chiede al tenente dell’UPI dodici ostaggi da fucilare. Ma il numero dei prigionieri a disposizione del tenente è solo di otto.
Il tedesco s’intestardisce: “Ho detto dodici, Se no ci rimetto”. Il tenente non sa come fare. Il tedesco minaccia di far arrestare e fucilare le prime persone che incontra per la strada. Alla fine consultando le liste e le pratiche il tenente riesce a trovare altri tre candidati alla morte. Ne manca ancora uno, ma il tedesco è irremovibile. Si fa avanti il cap. Sainas e dice al tenente: “Se vuoi te ne presto uno io, ma poi tu me lo restituisci”.
Italo Calvino, articolo pubblicato senza firma sul numero 5 di “La nostra lotta”, giovedì 9 maggio 1945

Esemplare a riguardo quanto accade nella notte tra il 24 e il 25 aprile 1944 a Monte Castelluccio di Norcia: qui un un reparto della Gnr di Perugia utilizzato per la controguerriglia, denominato significativamente compagnia della morte e comandato dal capitano Sainas e dai tenenti Facioni e Vannucci, dopo un breve scontro a fuoco catturò il partigiano spoletino Paolo Schiavetti Arcangeli e due prigionieri di guerra di nazionalità sudafricana, tutti furono uccisi a sangue freddo dopo la cattura. La stessa compagnia, particolarmente attiva nella primavera 1944 nei rastrellamenti condotti in collaborazione con reparti tedeschi nella zona di Nocera Umbra e Cascia, fu protagonista a Marsciano, della fucilazione dei fratelli Ceci, fornendo i volontari per costituire il plotone di esecuzione e assicurando il servizio d’ordine.
Angelo Bitti, La guerra ai civili in Umbria (1943-1944). Per un Atlante delle stragi naziste, ISUC, 2007
  
  
Interrogatorio di Ravinale Athos dell’8.4.1946: Mi sono arruolato volontariamente nella brigata nera sanremese il 10 novembre 1944. Fui subito incorporato ed assegnato a fare servizi di guardia alla caserma e pattuglie in città. Ho partecipato assieme ai miei compagni a diversi rastrellamenti contro i partigiani a Sanremo e dintorni. Il primo di detti rastrellamenti, l’ho eseguito nel novembre 1944 in regione San Michele, nella quale vennero fermati due renitenti che vennero poi rilasciati. Nella notte dal 2 al 3 dicembre 1944, in unione a militari tedeschi, a militi della GNR e militari repubblicani, ho partecipato con 18 miei compagni ad un rastrellamento nella zona di Ceriana - Taggia - Poggio. In detta azione non venne ucciso né ferito nessun partigiano né venne effettuato alcun fermo [...] Il 5 dicembre dello stesso anno ho partecipato ad un rastrellamento contro partigiani nella zona di Cave di Verezzo. In detta azione venne ferito gravemente alla gamba destra, ad opera del milite della brigata nera Bartoli, un partigiano che poi risultò essere Modena Antonio. Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione.Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019  

[n.d.r.: allo stato attuale non è stato possibile reperire altre informazioni sulla figura e sulla sorte del partigiano Antonio Modena, se non in una missiva del CLN di Sanremo in data 13 aprile 1945, n° prot. 500, indirizzata al comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", da cui si stralcia la seguente frase "informeremo la famiglia di Modena che lo stesso sta bene e scriverà": ammesso e non concesso che si trattasse della stessa persona]

mercoledì 30 giugno 2021

Il parroco porta le lettere al capitano Cristin

Molini di Triora (IM) - Fonte: Comune di Molini di Triora

Ricavo i dati da miei appunti del tempo e da una relazione del parroco di Molini di Triora (IM), in Valle Argentina, di cui segno tra virgolette le parole.
"Quando si ebbero i primi scontri armati tra le truppe nazifasciste e le bande partigiane a Carmo Langan, a Badalucco, a Carpenosa, a Santa Brigida, Molini fu subito sospettato dai tedeschi come centro di bande e ciò creò in essi quello stato d’animo di avversione verso i suoi abitanti".
Il martirio di Molini iniziò il 3 luglio 1944. Colonne di tedeschi puntavano sul paese da ogni parte. Presa dal panico, la popolazione, quasi in massa, abbandonò l’abitato e si diresse verso Corte o giù nei fondovalle. Ovunque i tedeschi passavano, sparavano a scopo intimidatorio o per paura.
"Fu durante questa sparatoria iniziale che caddero le prime vittime. Maiano Antonio, padre di famiglia, raggiunto dalla mitraglia in località Euscio. Fu ferito al ventre per il che si trascinò faticosamente, aiutato da Capponi detto Tulalua, fino a casa ove spirò la mattina seguente; Basso Pietro,vecchio di 78 anni e . . . a fianco veniva atterrato Bronda Pietro di Triora, 53 enne … Sulla strada di Perallo cadeva Moraldo Giacomo ed il 73 enne Arnaldi Francesco".
Il parroco ed il Commissario Prefettizio tentarono di parlamentare con il comando tedesco senza alcun risultato.
"Agli spari si aggiunse il saccheggio. Penetrati nelle case i nazifascisti prescelsero gli oggetti di valore, vestiti, capi di biancheria; rinchiusero il tutto in valigie, in sacchi, in ceste, e I’asportarono. Nelle case bivaccarono, ruppero oggetti, insudiciarono. Urla e canti di ubriachi si alternarono tutta la notte con violente quanto inutili raffiche di mitragliatrice".
La casa Campoverde, in Via San Bernardo, dopo uno scoppio cominciò a bruciare. La scusa fu che vi si erano trovate armi.
"… Fattosi giorno, la soldataglia usciva dalle case ed invadeva tutte le strade, convertendo la pirateria in un vero carnasciale stomachevole: ubriachi fradici, indossando vesti femminili, cantando sguaiatamente e continuando a tracannare vino, i soldati si spargevano un po’ dovunque, pronti ai richiami che indicassero case di maggior bottino . . . I capi facevano comunella con la truppa e lo stesso capitano comandante non rimaneva indietro nell’opera dei gregari".
Il parroco, che troppo si interessava alla sorte dei suoi parrocchiani, fu rinchiuso in casa sua e guardato a vista.
"ll 5 luglio si iniziò con l’incendio della casa Caldani in località Gianchette. La motivazione era che vi avevano trovato armi".
I nazifascisti si consideravano “Padroni” ed il saccheggio veniva chiamato “Premio di guerra”. In mattinata fu ritrovato il corpo di Allaria G. B. Secondo, ucciso probabilmente la sera del 4 e buttato sotto strada vicino al fossato in località Fontanelle.
"Alcuni reparti, il giorno 5 luglio 1944, si accingevano a partire. Una trentina di camion, stracarichi di masserizie, biancheria, vestiti, asportati dalle case… Purtroppo però la tragedia non era finita. La truppa ladra aveva lasciato dietro di sé il reparto guastatori e questi si erano messi subito alla loro triste opera".
Il  parroco era andato a cercare i suoi parrocchiani nascosti. Quando giunsero. presso il paese sentirono scoppi in ogni casa. Nello spazio di un’ora il paese era tutto un rogo immane.
Il giorno 6 luglio i più ardimentosi cercarono di estinguere i fuochi e salvare il salvabile.
Nel loro ritirarsi i nazisti avevano fatto un’altra vittima: Allaria G. B., novantenne, trovato sepolto sotto le macerie della propria casa.
Durante questo rastrellamento fu compiuto dai nazisti uno degli episodi più esecrandi di criminalità.
Catturarono qua e là nove persone provenienti da Gavano. Due da Sanremo, nativi di Corte, ed uno di Badalucco. Tra esse una giovinetta di 16 anni. Rinchiusi in una stalla-scantinato, torturati, furono inzuppati di liquido infiammabile e bruciati. Dopo la loro morte fu fatta crollare su di esse, mediante tritolo, la casa. Le vittime furono scoperte quando i loro corpi ormai in putrefazione, segnalarono la loro presenza.
I loro nomi sono:
Allaria Olivieri G.B. di Gavano
Faraldi Enrico di Gavano
Faraldi Livio Antonio di Gavano
Moraldo Vincenzo di Gavano
Allaria Olivieri Gerolamo di Gavano
Aliaria Olivieri Giuseppe di Ant. di Gavano
Allaria Olivieri Giacomo di Gavano
Allaria Olivieri Giuseppe fu Antonio di Gavano
Moraldo Maria Caterina di Gavano
Anfossi Virgilio di Sanremo
Pastorelli Domenico di Corte
Donzella Angelo di Corte
Boeri Antonio di Badalucco.
don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di “Domino nero”  Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975 

Molini di Triora, poco distante dal confine francese, era importante per i nazifascisti per la sua posizione strategica e l'aiuto elargito ai partigiani. Per tutti questi motivi, in occasione di un forte rastrellamento organizzato dai Tedeschi ai primi di luglio del 1944 per annientare le forze partigiane della provincia di Imperia, Molini di Triora era incluso nell'elenco dei paesi da punire e terrorizzare.
Il 3 luglio 1944 intorno a mezzogiorno si sparge la voce dell'imminente arrivo di truppe tedesche e la popolazione impaurita abbandona il paese, fuggendo precipitosamente. Gli abitanti si sparpagliano nelle zone limitrofe all'abitato, mentre il nemico investe il paese con due colonne convergenti da due direzioni (una scendendo dal Pizzo attraversando la frazione di Andagna e l'altra partita da Carmo Langan).
Verso le 17.30 le due colonne stringono il paese in una morsa. Cadono le prime vittime (Maiano, Basso, Bronda, Moraldo Giacomo).
Il parroco Don Ferdinando Novella e il Commissario prefettizio Carlo Viale cercano, a loro rischio, di trattare con il Comandante tedesco per indurlo alla clemenza sottolineando che non sono presenti formazioni partigiane e la popolazione è costituita da soli pacifici agricoltori. Malgrado le assicurazioni dell'ufficiale la sparatoria non cessa, anzi aumenta di intensità.
Occupato Molini di Triora, iniziano i saccheggi, le ruberie, le distruzioni e le gozzoviglie.
Il 4 luglio 1944 il parroco, dopo aver ottenuto il permesso dal comandante tedesco di uscire dall'abitato per andare a dar conforto agli abitanti fuggiti, per tre volte viene sempre bloccato dalle sentinelle.
Don Novella passando per il paese osserva inorridito gli effetti del saccheggio effettuato il giorno prima che non è ancora cessato, anzi inizia la distruzione e l'incendio di numerose case con la scusa di ritrovamento di armi da guerra da parte dei tedeschi.
Gravissimo il fatto avvenuto presso la Casa Campoverde in via San Bernardo (attualmente Via Nuova) - dal racconto del parroco Don Novella -: risulta che i nazifascisti avevano rastrellato dalle frazioni limitrofe 13 persone quasi tutti padri di famiglia, apolitici, laboriosi, tra i quali una ragazza di 16 anni (Moraldo Maria Caterina) rastrellata mentre portava le mucche al pascolo. Gli ostaggi furono rinchiusi in uno scantinato usato come stalla e dopo immancabili vessazioni si ipotizza che, dopo essere stati inzuppati di liquido infiammabile, furono bruciati vivi e quindi per occultare l'orribile delitto fu fatta crollare su di essi, con il tritolo, la casa. Furono ritrovati dopo quindici giorni dagli abitanti e dai parenti attirati dall'odore di cadaveri in decomposizione. Le salme furono sepolte nel Camposanto del paese.
Il 6 luglio 1944: non s'odono più scoppi e si placano gli incendi. La gente scende dalle alture e s'avvicina al paese. Molini di Triora si presenta in tutta la sua disperata desolazione: 104 case su 150 sono sinistrate ed interi gruppi di abitazioni sono crollati in blocco. La casa canonica è bruciata e con esso il suo archivio parrocchiale, il municipio è crollato sotto l'opera del tritolo, l'archivio municipale bruciato, distrutti l'oleificio, il mulino,l'ufficio postale, i due alberghi e la rimessa automobilistica Lantrua.
In questi orrendi primi giorni di luglio, gli altri piccoli centri non vivono molto più tranquilli del martoriato paese di Molini di Triora. Brucia Bregalla, spari su Andagna, su Creppo, alla Goletta, invasi Loreto, Corte, Cetta.
Ferro e fuoco anche nel Comune di Triora e le sue frazioni (2-5 luglio 1944). Reseconto finale dell'incendio: distrutte o rese inabitabili una settantina di case; cinquantadue famiglie restano senza tetto in un paese come Triora già spopolato dall'esodo. Alcune si sistemano presso i parenti; altre, che non possiedono nulla a Triora, s'allontanano per sempre.
Da “Storia della Resistenza imperiese” vol. II di Carlo Rubaudo (da pag. 177 a pag. 184 e pag. 193) e da “Il Martirio di Molini di Triora (3 luglio 1944 - 25 aprile 1945)” di Mons. Cav. Ferdinando Novella
Redazione, Episodio di Molini di Triora, 01-05.07.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia 
 
La popolazione di Molini fu aiutata dai paesi vicini con invio di viveri e vestiario. In settembre 1944 la calma ritorna perché un presidio partigiano veglia sul paese e sulla Alta Valle Argentina. Quando però i partigiani si devono ritirare in Piemonte, le truppe nazifasciste si insediano in paese.
"In novembre la permanenza dei reparti fascisti si fa quasi ininterrotta. Essi si insediano nelle poche case disponibili, facendone sloggiare i paesani: si fanno consegnare letti, materassi, stoviglie e viveri. … obbligano gli uomini a lavori pesanti… organizzano balli, obbligando, a mano armata, le fanciulle del paese ad intervenirvi ed inscenano il 2 novembre, giorno dedicato al ricardo dei morti, un vero carnasciale con schiamazzi, spari, ubriacature, a beffa degli affamati e terrorizzati abitanti".
Il prelievo di ostaggi è continuo e vessatorio. [...] Verso la metà di dicembre 1944 i nazisti vengono sostituiti da Granatieri Repubblichini, comandati dal capitano Cristin che colloca il suo comando in casa Daneri.
È lui, il presuntuoso, che la vigilia di Natale manda la circolare ai parroci, esigendo la lettura in chiesa, come è citato da me in un’altra parte. Ma fu anche autore di atti veramente criminali.
Tre giovani rastrellati dagli Alpini, i quali, incuranti della guarnigione di Molini [Molini di Triora (IM)], agivano per proprio conto, furono condannati a morte dal Cristin. La scena dell’esecuzione con i suoi preparativi crudeli e disumani fu vista da una buona parte della popolazione. […] "Allora il parroco si presenta al Cristin per chiedere la commutazione della pena, essendo i tre a lui noti come persone per bene. Il capitano risponde che ciò è impossibile e se vuole fare qualche cosa per essi può solamente annunziare ai condannati la sentenza irrevocabile e prepararli alla morte. Quantunque non ci sia nulla da sperare, il sacerdote tenta una seconda volta ed una terza, ma il capitano Cristin gli fa dire che attenda al suo ufficio di parroco e basta. I giovani accolgono la sentenza con pianti, si abbracciano tra di loro, protestano la loro innocenza, esibiscono la loro giovane età. Ma, confortati dal sacerdote, a poco a poco si calmano e si preparono da forti alla tragica fine. Si confessano, ricevono l’Eucarestia, quindi scrivono una lettera alle proprie famiglie. In esse, ognuno, per conto proprio, indipendentemente l’uno dall’altro, scrivono di andare verso la morte innocenti. Consegnano i documenti personali al parroco perchè li rimetta ai rispettivi parenti. Benché veda la situazione assolutamente disperata, il parroco porta le lettere al capitano Cristin e fa a lui notare la frase comune a tutti e tre “vado alla morte innocente”. Nel leggerla, il giustiziere sosta alquanto, poi, restituite le lettere dice di consegnarle ai rispettivi famigliari. Al parroco non rimane che accompagnare i tre giovani al luogo dell’esecuzione. D’altronde erano gli stessi a pregarlo di volerli assistere: “Venga almeno lei con noi”. Sono legate le loro mani, col filo di ferro, sul dorso e incolonnati tra due file di Cacciatori, quelli stessi che avevano eseguito il rastrellamento, il tragico corteo attraversa il paese per la via Grance e si porta nei pressi del cimitero in una fascia di proprietà di Adelina Sasso. Qui giunti sono disposti con la faccia rivolta verso il mare, prima però di alliniarsi, salutano ancora una volta il parroco. Un cacciatore interviene, li stacca dal parroco e li distanzia uno dall’altro, dieci centimetri circa. Quindi, dato da un sottotenente dei cacciatori l’ordine dell’esecuzione, una raffica di mitraglia li abbatte tutti e tre. Gli spari echeggiano giù fino al paese e si propagano lugubremente per tutta la valle. In ogni casa la gente, che era in attesa degli spari, rompe in singhiozzi. Le salme raccolte, dietro istanza del parroco, sono collocate in apposite casse e, poiché i caduti avevano espresso il desiderio di essere tumulati nel camposanto del proprio paese, ciò viene eseguito". Da una testimonianza di Don Ferdinando Novella, arciprete della Parrocchia di San Lorenzo Martire in Molini di Triora [ndr: dopo la pubblicazione di Don Micheletto, Op. cit. venne edito Cav. Ferdinando Novella, Il martirio di Molini Triora (3.07.44 - 25.4.1945), Comune di Molini di Triora, 2004]. Era il 16 gennaio 1945. Erano: Alberti Antonio, Verrando Domenico Quinto, Bova Giovanni, tutt’e tre di Agaggio Superiore. “Alcuni giorni dopo la suddetta esecuzione, il comandante Cristin, sfacciatamente, affiggeva un manifesto per il reclutamento dei giovani appartenenti alle classi dal 1914 al 1926, residenti a Molini di Triora. Redatto in forma altisonante e minacciosa, il manifesto ricordava i tre morti e terminava con le parole: Non avrete più pace”. Gli successe il ten. Renzo Barbieri delle Guardie Repubblichine, dominato da una paura indicibile."Fece costruire trincee stendere reticolati, alzare palizzate un po' ovunque, riducendo Molini una gabbia per le estese, quanto ridicole fortificazioni".  Il 17 febbraio 1945 per l’azione partigiana contro i guardiafili, in cui furono presi 10 repubblichini e tre tedeschi, furono rastrellati 20 ostaggi. ll comando tedesco ordinò il raduno dei parroci del Vicariato annunciando: se i tre tedeschi catturati non fossero stati restituiti, il comando si sarebbe sentito obbligato a far fucilare 14 banditi.  
Don Micheletto, Op. cit.

Barbieri Renzo nato a Golese (Pr) il 22 maggio 1916, Tenente e comandante di compagnia nel Raggruppamento Cacciatori degli Appennini
Interrogatorio del 4.9.1945: L’8 settembre mi trovavo quale S. Tenente di complemento nell’isola di Corfù presso il 41° Reggimento di Fanteria [...]
Verso la fine di novembre sono rientrato con la mia compagnia a Ceva ove sono rimasto sino ai primi di gennaio epoca in cui tutto il battaglione fu trasferito in Liguria ed io assegnato con la mia compagnia a Borgomaro, dove venne istituito un presidio da me comandato. Dopo circa dieci giorni di permanenza a Borgomaro sono passato con la mia compagnia a Molini di Triora. Effettivamente il Reggimento Cacciatori degli Appennini aveva il compito di effettuare rastrellamenti ma io non vi presi parte perché la mia compagnia aveva compiti di servizi interni. Alle mie dipendenze a Borgomaro avevo il Sottotenente Sacchetti, fervente fascista ed accanito antipartigiano il quale, di sua iniziativa, raccoglieva notizie ed effettuava fermi. Egli da solo si era arrogato il compito di certe operazioni di polizia né io potevo impedirglielo poiché il predetto era appoggiato dai comandi superiori. Una notte siamo partiti da Molini di Triora con l’intenzione di renderci conto della sicurezza del nostro presidio in relazione alla presenza di eventuali bande nei dintorni. A tale scopo pensammo di camuffarci da partigiani per attingere notizie. Faceva parte della spedizione anche il Sottotenente medico Corretti Francesco, accanito antipartigiani. Giunti in località S. Faustino, notammo una casa isolata e bussammo.
Ci trovammo in presenza di un signore che dichiarava essere un generale a riposo e di chiamarsi Mario Ferraroli. Il sottotenente medico Corretti gli disse che eravamo partigiani e gli chiese notizie su eventuali bande presenti in zona alle quali volevamo aggregarci. Il generale immediatamente spifferò che era sempre stato antifascista e genericamente disse che verso un determinato versante della montagna agiva una banda partigiana. Non avendo ottenuto altre informazioni ci allontanammo ma lungo la strada il Sottotenente Corretti mi fece osservare che bisognava provvedere al fermo del Ferraroli che si era dichiarato antifascista. Ritenni opportuno seguire il suo consiglio per evitare critiche al mio riguardo e mandai due militi a fermare il predetto generale. Il predetto venne trattenuto per due giorni in mia presenza da un tenente ed un maresciallo tedeschi e poi rilasciato. Ricordo che nell’aprile us, il Tenente Lazzari, alle mie dipendenze, si recò nella zona di Verdeggia per praticare accertamenti relativi al prelevamento di una pattuglia di militi. Il Lazzari ritornò portando circa dieci giovani che rastrellò nella zona ed accompagnò inoltre una certa Lanteri Maria e la figlia di lei, Rosa, perché il rispettivo marito e padre era stato indicato come partigiano. La Lanteri fu effettivamente interrogata in mia presenza dal tenente tedesco e dal Tenente Lazzari e fu picchiata con un frustino e minacciata con una pistola ma nego di averla io stesso minacciata o di averla malmenata. La Lanteri Maria fu poi rimessa in libertà mentre la di lei figlia Rosa fu trattenuta a lavorare presso il nostro presidio. Sono estraneo all’eccidio consumato dai tedeschi di cinque partigiani in Carpenosa. Escludo che miei uomini abbiano partecipato alla cattura ed all’uccisione dei cinque.
Nego di aver dato fra il 7 ed il 9 aprile us, ordini ad alcuni miei militi, mentre sostavo sulla piazza di Molini, di recarsi a prendere quattro individui a Carmo Langan e di metterli al muro. Non sono mai stato iscritto al PFR né al PNF.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 - Liguria: Imperia - Savona - La Spezia, StreetLib, Milano, 2019 

Il 3 marzo 1945 a Grattino, frazione di Molini di Triora, minuscolo borgo della Valle Argentina, furono catturati, perché in possesso di armi, Quinto Verrando e Livio Maggi. I due partigiani furono rinchiusi a Molini di Triora in un scantinato, insieme al parroco di Molini Don Rodini e al ragioniere Zappa, accusato di risorse economiche alle bande che però viene presto liberato. I due partigiani vennero presumibilmente torturati. Dopo otto giorni i due giovani con le mani legate sul dorso furono condotti ad Agaggio Superiore, dove i Tedeschi pensavano fossero i partigiani, perché ne indicassero l'ubicazione precisa. Rifiutatisi di parlare, giunti in Pian Carré furono freddamente giustiziati con un colpo di pistola alla nuca.
Verrando morirà subito, mentre Maggi verrà lasciato agonizzante sul terreno. Soccorso da alcuni contadini, morirà dopo due settimane.  Giorgio Caudano, Gli eroi sono tutti giovani e belli. I caduti della Lotta di Liberazione. I^ Zona Liguria, ed. in pr., 2020

[n.d.r.: altri lavori di Giorgio Caudano: Giorgio Caudano, L'immagine ritrovata. Ventimiglia e dintorni nei dipinti dell'Ottocento e primo Novecento, Alzani Editore, 2021;  La libera Repubblica di Pigna. Parentesi di democrazia (29 agosto 1944 - 8 ottobre 1944) (a cura di Paolo Veziano con il contributo di Giorgio Caudano e di Graziano Mamone), Comune di Pigna,  IsrecIm, Fusta Editore, 2020; Giorgio Caudano, Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016; Giorgio Caudano, Pigna. Storia di un paese, ed. in pr., 2016  ]

Nel mese di marzo gli ostaggi di turno subivano torture negli scantinati di casa Daneri e di casa Fognini.
Il 10 marzo 1945 il parroco veniva arrestato perché era salito sul campanile “per dar la corda all’orologio”,  scusa per fare segnalazioni ai banditi. Inoltre il diverso colore dei paramenti della messa, cambiato ogni giorno, era un messaggio ai partigiani. Venne rinchiuso nella cantina di casa sua. Fu liberato dopo molti giorni. Nella stessa prigione vennero rinchiusi due giovani partigiani: Verando Quinto di Agaggio e Maggi Lino di Genova, fucilati poi l’11 marzo presso Agaggio Superiore.
Il 18 marzo una ventina di ostaggi, prelevati dallo scantinato di casa Fognini, vennero condotti verso Taggia. Dodici venivano poi liberati e 6 fucilati o meglio mitragliati in una grotta sotto Carpenosa. Questi ultimi erano:
Lanteri Pierino di Verdeggia
Lombardo Calogero di Ravanusa (Sicilia)
Oliva Giovanni di Badalucco
Gamboni Pietro di Montello (Avellino)
Verrando Vincenzo di Agaggio
Cassini Vincenzo di Apricale
Il Verrando era il terzo morto della famiglia per cause belliche.
"Il Cassini era un vecchio cadente di oltre 72 anni dalla lunga barba bianca, mostrava numerose e profonde cicatrici dovute a sevizie e a torture. Fu accusato di rifornire olio alle bande partigiane. Niente di vero".
Il 14 aprile 1945 vengono rastrellati cinque uomini e mandati ai Ponti di Nava per lavori.
Il 19 aprile, dopo lo scoppio delle rocche di Drego, quasi tutti gli uomini validi vengono costretti, spinti come bestiame da lavoro, fin nei pressi di Drego per ripararvi una strada fatta saltare da bande partigiane.
Gli ultimi due giorni, il 24 e il 25 aprile 1945, sono giorni di inferno. La soldataglia, in ritirata, entra nottetempo nelle case; obbliga ammalati e poveri vecchi a cedere il letto; vi consuma pasti e porta via il rubabile.”
"Improvvisamente il presidio locale dei repubblichini, la sera del 25, lascia il paese. La poco gloriosa truppa, fedele e coerente fino all’ultimo all’insegna del ladro, cerca di improvvisare un mercato di tutta la mercanzia rubata; ma non trovando avventori, ammucchia il tutto e la da alle fiamme. Appiccano il fuoco anche ai rimanenti stabili delle caserme ancora intatti".
Ognuno lascia l’orma del suo operato. I nazifascisti lasciarono impronte infamanti, che non si cancelleranno più nel tempo e verranno perpetuate nella memoria storica.
Don Micheletto, Op. cit.

[...] Il giorno 18 marzo 1945, dalla prigione di casa Fognini strapiena di innocenti detenuti sul far della sera vengono fatti uscire una decina di giovani legati, al solito, con le mani sul dorso e incolonnati tra due file di tedeschi e vengono diretti, lungo la strada provinciale, verso Taggia.
Guai ai paesani che facessero solo cenno di riconoscerli e tanto peggio se osassero indirizzare una parola agli stessi! Il fucile sarebbe stato sempre pronto con lo sparo! Lungo la strada però uno o due dei prigionieri furono rilasciati. Quando il gruppo fu nei pressi della frazione Glori, si fece una seconda scelta, sicché non rimasero che sei. Questi, legati l'uno all'altro furono sospinti, nei pressi , alla imboccatura di una caverna. Venne piazzata una mitragliatrice e senza alcuna formalità falciati. Da lontano i pochi abitanti di Carpenosa (Molini di Triora) potettero assistere all'eccidio. Nei giorni appresso si poté avvicinare i corpi delle vittime e procedere al loro riconoscimento.
Econe il triste elenco:
Lanteri Pierino di Verdeggia (Triora)
Lombardo Calogero di Revenusa (Sicilia)
Oliva Giovanni di Badalucco
Gambone Pietro di Montello (Avellino)
Verrando Vincenzo di Agaggio (Molini di Triora)
Cassini Vincenzo di Apricale
Il Verrando, fratello di Quinto, era già stato fucilato il giorno 11 Marzo 1945; con i due fucilati i morti della loro famiglia raggiungevano la terna, poiché un terzo fratello era già morto soldato.
Il “Cassini” era un vecchio cadente, di oltre 72 anni dalla lunga bianca barba, mostrava numerose e profonde cicatrici dovute a sevizie e a torture. Fu accusato di rifornire olio alle bande Partigiane. Niente di vero.
Da “I Testimoni raccontano” a cura di Don Nino Allaria Olivieri (archivista Curia) pagg. 118 e 119 [...].
Roberto Moriani, Episodio di Carpenosa, Molini di Triora, 18.03.1945, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia