Visualizzazione post con etichetta febbraio. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta febbraio. Mostra tutti i post

martedì 19 gennaio 2021

Su piloti ed ufficiali alleati in fuga verso la libertà con l'aiuto dei partigiani imperiesi

Una vista da Ceriana (IM) - Foto: Alessandro Spataro

Un ufficiale di collegamento americano della Missione Alleata, di nome Walker Harris, abbattuto con il suo apparecchio nel novembre del 1944 sopra Casale Moferrato, preso prigioniero e portato a Genova dai Tedeschi, riuscì a fuggire e dopo varie peripezie raggiunse in dicenbre il 3° battaglione "Candido Queirolo" comandato da "Gori" [Domenico Simi] (V^ Brigata), ove rimase fino alla Liberazione perché non si riuscì a trasportarlo in Francia, come aveva ordinato il comandante "Vittò" alla V^ Brigata il 3 gennaio 1945. (Lettera del 3-1-1945, prot. n. 496/F/6 Isrecim).
Francesco Biga, Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III. La Resistenza nella provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, a cura dell'Amministrazione Provinciale di Imperia e con patrocinio Isrecim, Milanostampa Editore, Farigliano, 1977
 
[ n.d.r.: le vicende riguardanti in Piemonte piloti e prigionieri alleati e partigiani hanno avuto spesso incroci con l'attività dei garibaldini della I^ Zona Operativa Liguria, come nel caso di una parte della Missione Flap ]

L'operazione più importante alla quale partecipai fu la fuga dei 5 prigionieri alleati che trasportammo in Francia. I 5 soldati erano 2 americani, 2 inglesi e un francese. Gli inglesi erano: Michael Ross, capitano del Welch Regiment; Cecil "George" Bell, tenente della Highland Light Infantry. Il francese era Fernand Guyot, pilota. Gli americani erano i piloti Erickson e Klemme: non ne so né il nome, né il reparto, né altri dettagli, solo che erano piloti [n.d.r.: da ricerche fatte compiere presso l'Istituto Storico dell'US Air Force, Giuseppe Mac Fiorucci (vedere infra) appurò che si trattava di Lauren Erickson, tenente pilota di P38 Lightnings, 1° Gruppo 270° Squadrone, e Ardell Klemme, tenente pilota di bombardieri B25, 340° gruppo, 489° Squadrone]. Dopo l'8 settembre 1943 erano fuggiti dai campi di prigionia e avevano vagato per l'Italia settentrionale alla ricerca di un passaggio per la Svizzera o per la Francia liberata. La Resistenza li nascose a Taggia (IM) per qualche tempo, sperando nell'arrivo di un sottomarino per metterli in salvo. Nel febbraio del 1945 il Comando decise di tentare da Vallecrosia [...] Renato Dorgia, "Plancia" *, in Gruppo Sbarchi Vallecrosia di Giuseppe Mac Fiorucci, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia - Comune di Vallecrosia (IM) - Provincia di Imperia - Associazione Culturale "Il Ponte" di Vallecrosia (IM), 2007> * insignito di Croce al Merito di guerra per attività partigiana

Il 24 gennaio [1945] il dott. Marchesi precipitatosi in casa mia [Villa Llo di mare in zona Arziglia a Bordighera (IM)] comunicò che i tedeschi dovevan partire entro 2 giorni, prelevando tutti i designati ostaggi di cui io risultai capolista. Si impose una fuga generale; Marchesi collocò altrove cognata e nipote, noi ci rifugiammo nella villa di Kurt Hermann… nazista, naturalmente a sua insaputa: i 2 ufficiali inglesi, guidati da mio figlio pei monti, di notte, raggiunsero rifugi ignoti, mentre mio figlio scendeva la costa in attesa degli avvenimenti. La notizia dataci risultò imprecisa, chè la fuga tedesca tardò ancora 3 mesi. Ma i 2 inglesi dopo romanzesche avventure in montagna e sulla costa di Vallecrosia raggiunsero la Francia e si misero finalmente al sicuro. Oggi scrivono dall’Inghilterra […] I 2 ufficiali inglesi si chiamano: Michael Ross e George Bell. Altro aiuto avemmo nell’occultamento dei 2 inglesi dal compagno Luigi Negro, autista della villa Hermann alla Madonna della Ruota. Egli ospitò una notte i 2 alleati nella detta villa, nonostante la permanenza di scolte tedesche nelle adiacenze e la possibilità di sorprese da parte del padrone e dei suoi accoliti.
Giuseppe Porcheddu, manoscritto (copia anche presso il già citato Isrecim - Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia - )
edito in Francesco Mocci (con il contributo di Dario Canavese di Ventimiglia), Il capitano Gino Punzi, alpino e partigiano, Alzani Editore, Pinerolo (TO), 2019 

Klemme, caduto al confine con il Piemonte, fu dunque indirizzato verso il Monferrato e si ritrovò con Walker Harris. Entrambi, purtroppo, persero il volo del 19 novembre [1944]. Il giorno successivo, i tedeschi attaccarono il campo d’aviazione di Vesime, se ne impadronirono e dissestarono il terreno di volo arandolo ripetutamente. I partigiani sarebbero nuovamente riusciti a rimetterlo in funzione, ma non prima della primavera successiva. Sfumata questa possibilità, Augusto Bobbio decise di trasferire Harris e Klemme a Prea, nella zona di Cuneo.
I due aviatori, marciando sempre di notte, giunsero a Prea tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre del 1944. Furono presi in consegna dai partigiani di un’altra formazione autonoma, la Divisione Alpi di Pietro Cosa, che operava in collegamento con una Missione militare [
Flap] anch’essa britannica.
Di quest’ultima Missione aveva fatto parte, tra agosto e ottobre, un singolare personaggio, il capitano canadese Paul Morton. Morton era un giornalista ed era stato paracadutato con il compito di inviare corrispondenze di guerra al Toronto Star. Esibire un corrispondente dietro le linee nemiche era una mossa di forte impatto propagandistico, come ben sapevano le autorità britanniche, attente a questi dettagli. Morton era stato tra i primi a contribuire al passaggio in Francia di aviatori ed ex prigionieri attraverso un sentiero che si inerpicava sul Colle di Tenda. Dopo lo sbarco alleato in Provenza, infatti, le forze tedesche erano state respinte da un’ampia parte della Francia meridionale.
Nelle memorie scritte dopo la guerra, Morton ricorda <un pilota da caccia del Nebraska> che gli diede non pochi grattacapi: <mi annunciò che, poiché il suo addestramento era costato al suo governo più di centomila dollari, lui era l’uomo di maggior valore tra tutti noi, e perciò avrebbe dovuto andare in Francia per primo>. Morton diede una lunga occhiata alle vette innevate delle Alpi, quindi ribattè che, per parte sua, il pilota poteva andarsene in Francia anche subito [15]. Quel pilota era certamente Reginald Jacobson, nato, appunto, in Nebraska nel 1921 e abbattuto in settembre presso Saluzzo.
Quando Harris arrivò a Prea, Paul Morton era già stato richiamato. Il mutato clima politico-militare nei confronti della Resistenza aveva indotto le autorità britanniche a censurare i suoi articoli e a rispedirlo in Canada [16]. Intanto, era ancora a mordere il freno Reginald Jacobson, malgrado nel frattempo almeno due gruppi fossero passati in Francia.
Non vi fu tempo per organizzare la partenza di un nuovo gruppo. Il 2 dicembre le forze tedesche attaccarono le zone libere del Piemonte Meridionale. Gli aviatori vennero separati: Harris e Jacobson furono avviati in direzione Sud, verso la Liguria. L’estremo Ponente ligure, infatti, dopo l’arrivo delle forze alleate nella Costa Azzurra, era diventato un importante punto di partenza per chi volesse tentare di passare le linee.
Molti aviatori caduti in Piemonte o in Liguria venivano indirizzati verso l’Imperiese: tra di essi, anche Ian Smith, futuro presidente della Rhodesia, all’epoca pilota da caccia nella RAF [17]. La Resistenza italiana attivò addirittura un Gruppo Sbarchi: piccole imbarcazioni prendevano il largo dal litorale di Vallecrosia per poi sbarcare sulla Costa Azzurra [18].
Walker Harris fu aggregato al Battaglione Garibaldi Candido Queirolo, comandato da Domenico Simi Gori, che affiancò il Gruppo Sbarchi nell’organizzare il passaggio in Francia di ex prigionieri e aviatori alleati. Harris trascorse circa due mesi sui monti nell’entroterra di Taggia: era iniziato l’inverno, un inverno particolarmente aspro, che coincideva con una fase critica per la Resistenza. Successivamente fu nascosto in una cava nei pressi di Ceriana, in mezzo agli ulivi.
Qui lo vennero a stanare i soldati tedeschi, informati da una delazione. Harris venne pertanto incarcerato a Sanremo. Lo interrogò un ufficiale della Kriegsmarine, Georg Sessler, <che ci ha sempre trattati bene, nei limiti della sua autorità e delle circostanze>, ricorda l’aviatore. Di quei giorni, ad Harris rimase impresso anche il bombardamento navale [a febbraio 1945] subito dalla città: un incrociatore francese, infatti, il Jeanne D’Arc, periodicamente compariva al largo e cannoneggiava Sanremo [19]. In seguito, Harris venne tradotto a Genova e rinchiuso nel carcere di Marassi.
L’odissea del giovane aviatore durava ormai da mesi. La campagna d’Italia volgeva al termine e la Resistenza si preparava all’insurrezione finale. Il comando tedesco dispose di trasferire Harris e altri prigionieri in Germania, ma il veicolo su cui erano stati caricati fu bloccato dai partigiani e l’aviatore recuperò la libertà. Il 27 aprile le truppe americane entravano a Genova.
Harris si riunì ai suoi e rientrò negli Stati Uniti, dove ha vissuto sino al 3 giugno 2008, data della sua scomparsa. Negli anni della maturità era tornato più volte in Italia, ad incontrare ex partigiani e i loro discendenti, a ripercorrere i luoghi delle sue avventure di gioventù e a fare scorta di spumante. Nel 2003 è stato intervistato dalla Stampa, che lo ha promosso ufficiale pilota e messo ai comandi del suo B-25, e ha ringraziato gli italiani che lo avevano aiutato [20].
[15] Paul Morton, Missione Inside tra i partigiani del Nord Italia, Cuneo, L’Arciere, 1979, p. 91.
[16] In tempi recenti, un altro giornalista canadese, Dan North, ha svolto una ricerca storica per ricostruire la vicenda di Morton, venendo anche in Italia: Alberto Papuzzi, Sulle tracce di Paul Morton, il reporter partigiano che il Toronto Star censurò, “La Stampa”, 8 luglio 2008. Dalla ricerca è nato il libro Inappropriate conduct, pubblicato nel 2009.
[17] Ian Smith, ufficiale pilota di uno Spitfire, fu abbattuto il 22 giugno 1944 e precipitò in località Vallescura, nel Savonese: Bruno Chionetti-Riccardo Rosa-Gianluigi Usai, Aerei su Savona. Storie di piloti ed aerei caduti in provincia di Savona, Voghera, Marvia, 2010.
[18] Giuseppe Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, Imperia, ISREC, 2007.
[19] Secondo il diario di guerra di Giuseppe Biancheri, messo in rete nel sito www.cumpagniadiventemigliusi.it., l’incrociatore cannoneggiò Sanremo il 6 febbraio, il 2, il 20 e il 31 marzo, il 12 e il 15 aprile 1945.
[20] Così bombardai il ponte di Casale, “La Stampa”, edizione di Alessandria, 6 maggio 2003.

Alberto Magnani, I sentieri della salvezza. Aviatori americani e resistenza italiana tra Piemonte e Liguria, in Gruppo Ricercatori Aerei Caduti Piacenza (Grac) 

Walker Harris con la moglie, durante una visita nel 2000 alla casupola dove era situata la base della Missione Flap. In mezzo, Pietro Cosa, il figlio di Piero Cosa, comandante della Divisione Autonoma "Alpi" - Fonte: Grac

Da informazioni non controllate o da semplici supposizioni popolari sembra invece che Dell Klemme si sia salvato […] passare e ripassare più volte a volo radente su Pecetto un aereo il quale, raggiunta l'altezza del Castello, avrebbe effettuato alcune scivolate d'ala per trasmettere l'ultimo saluto ai suoi amici di un tempo. Il pilota di quell'aereo sarebbe stato Dell Klemme. Osvaldo Mussio, Tra lo Scrivia e il Po. Uomini e episodi della Resistenza, Edizioni dell'Orso, 1982

[ n.d.r.: Ross, Michael Ross, nel suo From Liguria with love. Capture, imprisonment and escape in wartime Italy, Minerva Press, London, 1997 (aggiornato di recente dal figlio, David Ross, The British Partisan, Pen & Sword, London, 2019), raccontò in modo dettagliato anche la permanenza sua e di Bell tra i partigiani imperiesi. Dei patrioti non fece mai nomi veri o di battaglia, ad eccezione del sopra citato Giuseppe Porcheddu e della sua famiglia, presso i quali idue ufficiali britannici trovarono ospitalità clandestina per circa un anno, di Renato Brunati, martire della Resistenza, e Lina Meiffret, tornata salva dalla deportazione in Germania, ma tormentata, a dir poco, nello spirito, i quali per primi sul finire del 1943 diedero loro rifugio ai due ufficiali in Baiardo, di Vito - Vitò, Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo, comandante della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione" - di Achille - identificabile in Achille "Andrea" Lamberti del Gruppo Sbarchi Vallecrosia - e di Giuseppe Porcheddu, colui che li tenne nascosti per circa un anno e che tentò di aiutarli in varie maniere. Di questo libro qui si vogliono citare solo alcuni fatti immediatamente antecedenti la fuga finale. Che per tre volte,  a seguito delle comunicazioni via radio fatte dal telegrafista dell'ufficiale di collegamento alleato, il capitano del SOE britannico Robert Bentley, un sommergibile inglese si avvicinò alla costa vicino a Taggia - forse alla Curva del Don di Riva Ligure, già altre volte pensata per simili missioni; che che per due volte la scorta dei partigiani ed il gruppetto degli alleati - tra i quali i sopra menzionati Erickson e Klemme - che dovevano imbarcarsi dovettero fuggire perché trovarono i tedeschi che li mitragliarono con l'ausilio di bengala; che all'ultimo appuntamento con il natante i nazisti attesero invano, perché nel frattempo i garibaldini avevano individuato la spia che aveva messo in allarme il nemico, una giovane donna, di probabile origine iugoslava, prontamente giustiziata. Che risultarono dispersi, poco prima della loro partenza, due partigiani e due americani, indicati come Ricky e Reg. E che alla fine si compose la squadra che, come già detto qui all'inizio, marciò verso Vallecrosia ]

Giorni dopo recuperammo altre due barche dal solito deposito […] finalmente portammo i battelli al mare e i 7 passeggeri (i 5 alleati e i 2 "passeur"). Prima di partire uno dei "passeur" volle collaudare le barche per verificare che tenesso il mare. Imbarcati tutti, partirono in 9 guidati da Achille e un altro, non ricordo se "Gireu" [Pietro Gerolamo Marcenaro] o Renzo Rossi o altri. Credo Renzo Rossi, che era il capo di tutta l’organizzazione sbarchi. Arrivarono sani e salvi e questa operazione accrebbe non poco la considerazione degli alleati per la Sezione Sbarchi di Vallecrosia.
Renato Dorgia in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit. 

martedì 17 novembre 2020

Quel viaggio clandestino a Genova dell'ispettore partigiano Simon



Una vista dal centro abitato di Ceriana (IM) in direzione della vallata di Beuzi
 
10 febbraio 1945 - Foglio di viaggio di "Simon" [Carlo Farini], ispettore della I^ Zona Operativa Liguria, sotto il falso nome di Arrigo Giovanni, documento valido dal 14 al 28 febbraio 1945 a firma dell'Ortskommandatur per un viaggio da Taggia a Savona allo scopo di acquistare derrate alimentari per la [immaginaria] famiglia.
10 febbraio 1945 - Certificato n° 23 del comune di Taggia comprovante l'autenticità della fotografia di Arrigo Giovanni, fu Gio Batta, nato a Rimini il 28 febbraio 1888, di professione commerciante.
11 febbraio 1945 - Dal CLN di Sanremo a "Simon" [Carlo Farini] - Forniva ragguagli circa la copertura di identità (falso nome di Giovanni Arrigo), la motivazione (acquisto di derrate alimentari) ed altri accorgimenti cospirativi per un viaggio a Genova, dove il comandante avrebbe dovuto incontrare il CLN ligure e sottolineava che il "foglio di viaggio" risultava valido solo per il tratto Taggia-Savona, per cui "Simon" avrebbe dovuto compiere il resto del tragitto clandestinamente in autovettura.
11 febbraio 1945 - Dal CLN di Sanremo, prot. n° 272, all'ispettore della I^ Zona Operativa Liguria - Ringraziava per l'accoglienza ricevuta da parte dei partigiani di montagna durante il costruttivo incontro del 9 febbraio [n.d.r.: Convegno di Beusi  - vedere infra - ], in cui si erano risolti numerosi problemi della lotta comune.
[n.d..r.: e l'ispettore non poteva non relazionare a Genova, dove si recava per assumere una carica a livello regionale, abbandonando, quindi, la I^ Zona Operativa Liguria, non poteva non relazionare degli esiti del Convegno qui di seguito citato, al quale era stato presente anche il capitano britannico Robert Bentley, ufficiale alleato di collegamento]
12 marzo 1945 - Da "Simon" a "Curto" [Nino Siccardi] - Segnalava che era giunto sano e salvo [a Genova] e che il 15 marzo attraverso "Cammeo" [Mario Mascia] avrebbe "fatto avere al movimento di liberazione della I^ Zona lire 3.000.000 per il mese di marzo". Chiedeva una descrizione dettagliata delle azioni effettuate. Comunicava che si dimostrava necessario ostacolare in ogni modo la fuga dei tedeschi dalla zona ed impedire loro di razziare materiale e di distruggere ed incendiare paesi; che da quel momento le formazioni partigiane dovevano avere obiettivi da proteggere quali, ad esempio, acquedotti, centrali elettriche, linee dell'alta tensione e le formazioni SAP e quelle vicine alle città dovevano sorvegliare i porti, le officine del gas, le industrie, le linee ferroviarie e tramviarie e tutti gli istituti pubblici; che "già da adesso occorre conoscere il numero e l'ubicazione dei guastatori fascisti e tedeschi, onde sorvegliarli e poterli contrastare al momento dell'azione"; che bisognava preparare un piano, in accordo con le SAP, per l'occupazione delle città della costa e la salvaguardia dei punti strategici, un progetto da inviare tramite lo stesso "Simon" al Comando Militare Unificato della Liguria; che per quanto riguardava i rapporti con i "cugini", vale a dire gli alleati, precisava che gli anglo-americani "fungono da collegamento e non da comando; pur nella piena collaborazione vi deve essere indipendenza e dignità nazionale".
da documenti IsrecIm in Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo II - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

Una vista su Taggia dalla località Beuzi. Foto: Eraldo Bigi

Uno scorcio di Località Beuzi. Foto: Eraldo Bigi

Il 9 febbraio 1945 il segretario del C.L.N. di Sanremo partecipava ad un convegno in montagna coi rappresentanti del Corpo Volontari della Libertà, del Comando Alleato e del C.L.N. Provinciale di Imperia, nel quale veniva stabilito di concedere al C.L.N. comunale di Sanremo l'autonomia assoluta e la giurisdizione su tutto il circondario, giurisdizione che il C.L.N. stesso aveva già virtualmente ottenuto fin dalla sua costituzione, in quanto il C.L.N.P., date le difficoltà del collegamento con la zona occidentale della Provincia, non era in grado di esercitarvi un'attività completa ed un'azione efficace.
Il C.L.N. di Sanremo, che nel frattempo aveva provveduto direttamente alla costituzione o al riconoscimento ufficiale dei C.L.N. comunali della sua zona, si trasformava in tal modo in C.L.N. circondariale.
L'attività svolta dal comitato circondariale di Sanremo fu multiforme e di grande ausilio per lo sviluppo della lotta di 1iberazione, tanto da ricevere gli elogi degli enti superiori e degli stessi ufficiali di collegamento alleati.
Mario Mascia, L'epopea dell'esercito scalzo, Ed. ALIS, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia
 
Il 9 febbraio 1945 a Beusi [n.d.r.: la dizione più corrente, a quanto pare, è, tuttavia, oggi Beuzi, località, in ogni caso, appartenente in parte anche al comune di Taggia] nei pressi di Ceriana (IM) in Valle Armea si tenne una riunione tra le organizzazioni cittadine e le formazioni di montagna della Resistenza imperiese e la delegazione della missione alleata.
Lo scopo del convegno era quello di "definire gli accordi importantissimi che investono la condotta generale della lotta in provincia, in relazione agli sviluppi della guerra generale che si avvia alla conclusione...".
Furono presenti Cammeo [Mario Mascia] del C.L.N. circondariale di Sanremo, ma anch'egli, al pari di Leandro e Gustavo, nell'occasione rappresentante del CLN della provincia di Imperia, Bob (capitano Robert Bentley), Simon, Sumi [Lorenzo Musso, commissario politico della I^ Zona Operativa Liguria], Gori [Domenico Simi, comandante del III° Battaglione "Candido Queirolo" della V^ Brigata d'Assalto Garibaldi "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione"], Tito [Rinaldo Risso, vice comandante della II^ Divisione], Diogene [Ermes Madini], Brunero [Franco Bianchi, responsabile del S.I.M. della V^ Brigata] e Terremoto.
Unico assente di rilievo fu Curto, Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria, in quanto ammalato.
Durante la riunione di Beusi si affrontarono i problemi "relativi alla collaborazione tra città e montagna, risolvendoli con spirito di fraterna collaborazione", così riferiva Luigi Massabò Pantera in Cronistoria militare della VI^ Divisione “Silvio Bonfante” [n.d.r.: diario inedito nel 1999, conservato presso l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia].
"Simon, con la sua parola incisiva e l'ampia visione dei problemi essenziali della guerra, tratteggiò, sottolineando con il suo gesto misurato il quadro della situazione presente e futura. Bentley, matita alla mano, esaminò le questioni relative alla situazione dei partiti, all'amministrazione pubblica all'atto della Liberazione, alle necessità richieste per il mantenimento dell'ordine e dei servizi collettivi. Si discusse a lungo sull'assegnazione delle cariche e alla fine si giunse all'accordo completo", così scriveva Mario Mascia [ Op. cit. ].
Segni evidenti del buon esito dell'incontro di Beusi furono le due lettere inviate dal C.L.N. circondariale di Sanremo a tutte le formazioni di montagna "per l'accoglienza ricevuta durante il costruttivo incontro del giorno 9 u.s., in cui si sono risolti numerosi problemi della lotta comune" tramite l'ispettore Simon, missiva dell'11 febbraio 1945 prot. n° 272, ed al capitano Robert Bentley, sempre l'11 febbraio 1945 con prot. n° 273.
[...] Il 29 marzo 1945 giunse presso il comando della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione" "Giulio" [anche "Mario", Carlo Paoletti], il nuovo ispettore della I^ Zona Operativa Liguria dopo che "Simon" era stato spostato a ricoprire incarichi di maggiore responsabilità.
Rocco Fava, Op. cit., Tomo I
 
29 marzo 1945 - Dalla Sezione SIM [Servizio Informazioni Militari] della V^ Brigata "Luigi Nuvoloni" della II^ Divisione "Felice Cascione", prot. n° 364, al Comando Operativo della I^ Zona Liguria - Comunicava l'arrivo di "Giulio" [anche "Mario", Raffaello Paoletti, nuovo ispettore di zona] accompagnato da una staffetta, giunto lo stesso giorno presso il comando della V^ Brigata con le credenziali per il Comando Operativo della I^ Zona.
da documento IsrecIm in Rocco Fava, Op. cit., Tomo II

Da Genova giunge a Imperia Raffaello Paoletti (Nello), inviato nella I^ Zona Operativa Llguria come ispettore, dal Comando Regionale, in sostituzione di Carlo Farini (Simon, Manes) che, come già innanzi si è detto, aveva raggiunto la capitale ligure per sostituire, nello stesso Comando, Raffaele Pieragostini (Rossi), catturato dal nemico. Riportiamo, in termini descrittivi, la brutta avventura capitata al Paoletti a Diano Marina, durante il suo viaggio, che in questo contesto, colorisce la parte del capitolo che segue, e dà il senso della precarietà di quei giorni, per tutti coloro che avevano intrapreso, nelle città, iniziative resistenziali. Ciò lo possiamo constatare da una memoria del Paoletti:
"... Il Comando Regionale del CLN aveva perduto ogni contatto con la I^ Zona, per cui era necessario ristabilire i collegamenti col Comando Piazza di Oneglia e col Comando I^ Zona in montagna. Inoltre mi si incaricava di far pervenire  un consistente finanziamento, illustrare e fare applicare le direttive politiche e militari del CLN, tra cui il "Piano A" per bloccare le forze nemiche in ritirata, in vista della insurrezione generale (2). Sommariamente mi si informò della situazione. Da alcune settimane si era senza notizie della I^ Zona imperiese. Si sapeva soltanto, confusamente che, a seguito di massicci rastrellamenti e di delazioni, la Resistenza Imperiese aveva subito dei durissimi colpi e molte erano state le perdite. Molti dirigenti locali avevano dovuto entrare nella più ferrea clandestinità..." [...]
(2) Piano A, vedasi il capitolo XVI del presente volume.
Francesco Biga, (con la collaborazione di Osvaldo Contestabile), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. IV: Dal Primo Gennaio 1945 alla Liberazione, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 2005
 
Fonte: Partigiani d'Italia

Nel marzo 1944 il Colonnello Carlo Farini (Simon), Ispettore della I e II Zona, Vincenzo Mistrangelo (Marcello), Commissario di Zona e Angelo Aime (Giorgio), al fine di sostenere più estesamente le formazioni partigiane, procedono alla costituzione dell'Intendenza di Zona [n.d.r.: la II Zona]
[...] I primi due depositi dell'intendenza sono stabiliti l'uno in Via Buscaglia [n.d.r.: a Savona], l'altro nel Comune di Quiliano, frazione di Valleggia; altri verranno in seguito costituiti in vari rioni della città.
Rodolfo Badarello - Enrico De Vincenzi, Savona insorge, Savona, Ars Graphica, ristampa 1978
 
Da una analisi dei dati riportati evince il concetto strategico più volte manifestato dall’allora ispettore delle Zone Operative I e II, Carlo Farini (Simon), il quale insisteva che le formazioni partigiane dovevano costituirsi con un ordinamento militare quale poteva avere un esercito nazionale. Gli organizzatori di tali formazioni fecero buon uso di tali consigli, utilizzando le esperienze messe a disposizione dagli ufficiali e dai soldati che avevano per mesi o per anni partecipato ad operazioni di guerra, col risultato di creare “formazioni” esperte e combattive che diedero veramente risultati positivi e che, quasi sempre, conclusero molte azioni, condotte contro il nemico, in modo risolutivo. E ciò è stato il bene più importante per la Resistenza Imperiese. Dunque, possiamo dire che tra una parte molto importante dell’ex Regio Esercito e della Resistenza non c’è stata soluzione di continuità, ed è per questo motivo se la Resistenza non è stata, ad un certo momento, considerata un Corpo a sé, ma un Corpo della Nazione: il Corpo Volontari della Libertà, la cui bandiera, insignita di medaglia d’oro al valor militare per attività partigiana, è conservata a Roma, al Vittoriano, insieme alle bandiere di tanti altri gloriosi Corpo dell’Esercito Italiano.
Dunque, la nostra disamina ci ha svelato un nuovo rapporto tra ex Esercito Italiano e Resistenza che fino ad ora, nel Ponente Ligure, per quanto ci riguarda, ci era rimasto sconosciuto e, grazie a questo Convegno, che ci ha indotto a varie ricerche, se si sono aperti in noi nuovi orizzonti che ci aiutano a capire nuove cose delle nostra Storia Contemporanea, sulle quali si era sempre sorvolato, non considerandole influenti.
Francesco Biga, Ufficiali e soldati del Regio Esercito nella Resistenza imperiese, Atti del Convegno storico LE FORZE ARMATE NELLA RESISTENZA (a cura di Mario Lorenzo Paggi e Fiorentina Lertora), venerdì 14 maggio 2004, Savona, Sala Consiliare della Provincia, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona 
 
Al centro del gruppo (partigiani della VI^ Divisione "Silvio Bonfante"), ripreso nella fotografia ad Albenga (SV) a Liberazione appena avvenuta, appare il comandante Simon in giacca chiara - Fonte: ANPI  Leca (SV)

Fonte: Rete Parri

Fonte: Rete Parri

Carlo Farini nasce a Ferrara il 27 febbraio 1895. Pubblicista. Comunista. Discende da una famiglia romagnola che ha dato al Risorgimento e al movimento repubblicano esponenti di rilievo. Nel 1903 segue la famiglia nel trasferimento a Terni, dove il padre Pietro - esponente socialista - è chiamato a dirigere una farmacia cooperativa e il giornale «La Turbina». Nel 1907 inizia la sua militanza all'interno delle organizzazioni del movimento operaio, con l'iscrizione al Partito socialista, concessa - nonostante la giovane età – a seguito dell'attività svolta nella mobilitazione operaia in risposta alla lunga serrata messa in atto dalla Società Terni. Con la fondazione della Federazione giovanile socialista (Fgs) la sua attività politica si svolge soprattutto all'interno di questa organizzazione. Nel 1914, trovandosi in Romagna, partecipa attivamente alle agitazioni della «settimana rossa». A seguito di ciò è condannato a due anni di carcere; la condanna viene però estinta in seguito ad amnistia. A Terni, nel periodo che precede l'intervento italiano nel primo conflitto mondiale, è uno dei protagonisti della mobilitazione contro la guerra. È, tuttavia, chiamato alle armi, e deve partecipare al conflitto. Nel dopoguerra, tornato a Terni, è nominato segretario della Fgs umbra. Nel 1920 aderisce alla frazione comunista ed è presente al Convegno della frazione, tenutosi a Imola. Al Congresso socialista di Livorno, nel 1921, è tra gli scissionisti e partecipa alla fondazione del Partito comunista d'Italia (Pcd’I). Contro la violenza del nascente fascismo diviene, a Terni e in Umbria, uno dei promotori degli Arditi del popolo. Al Convegno nazionale del movimento, tenuto a Roma nel luglio 1921, viene nominato comandante regionale per l'Umbria. È però costretto a lasciare tale carica in seguito alla diffida pronunciata dall'esecutivo del partito comunista contro i militanti che partecipano alle formazioni degli Arditi del popolo. Per sfuggire alle persecuzioni fasciste si trasferisce a Roma, dove il Partito lo incarica di organizzare e dirigere i numerosi profughi comunisti che arrivano nella capitale dalle varie regioni italiane. A ridosso della marcia su Roma partecipa al tentativo di organizzare una mobilitazione di massa contro il fascismo. Nominato membro del Comitato esecutivo della Federazione comunista romana, nel 1923 dirige, insieme ad Antonio Gigante, il grande sciopero degli edili svoltosi nella capitale. Successivamente, nel periodo dell'Aventino, organizza manifestazioni popolari contro il fascismo. Nel 1924 è delegato della Federazione romana alla Conferenza nazionale del Pcd’I, tenutasi a Como, dove sottoscrive la mozione di minoranza, firmata da molti esponenti della cosiddetta destra del partito. In tale periodo si fa promotore della stampa e diffusione clandestina di diversi numeri del foglio «Il Comunista». Nel febbraio 1925 viene arrestato insieme ad altri dirigenti comunisti; è rilasciato ad agosto in seguito ad amnistia. Ripresa l'attività politica, gli viene affidata la responsabilità della Sezione agraria dell'organizzazione comunista. Nel 1926 la direzione del Partito decide di farlo espatriare clandestinamente insieme ad Armando Fedeli. Dopo aver frequentato a Mosca la Scuola leninista internazionale, nel 1928 è inviato in Francia, dove dirige il Soccorso rosso italiano. A causa di contrasti avuti con dirigenti del partito, è rimosso dall'incarico e mandato a svolgere attività di agitazione e propaganda a Nizza. In questo periodo viene nominato membro della segreteria dei gruppi comunisti delle Alpi marittime e chiamato a far parte del Comitato regionale del partito comunista francese. Nel 1933 torna a Mosca, dove - essendo sottoposto ad inchiesta da parte dell'organizzazione comunista italiana - è inviato a lavorare in una fabbrica di automobili a Gorki: dapprima è impegnato nella direzione politica del «Club degli stranieri della fabbrica» e successivamente - permanendo la sua situazione di difficoltà all'interno del Partito - viene destinato a svolgere il lavoro di semplice operaio. Nel 1936, andando a soluzione i suoi problemi di carattere politico con l'organizzazione, è richiamato a Mosca, dove viene impiegato nella Sezione biblioteca dell'Istituto Marx-Engels-Lenin-Stalin e poi nella Biblioteca dell'Accademia delle Scienze. Nell'aprile 1937 è chiusa favorevolmente l'inchiesta nei suoi confronti. Pertanto, nel maggio successivo, viene accolta la sua richiesta di raggiungere la Spagna per combattere a difesa della repubblica. Invece di essere inviato, secondo la sua volontà, al fronte, viene destinato a dirigere - prima a Valencia, poi a Barcellona - le trasmissioni in lingua italiana di Radio Libertà. Nel luglio 1938 gravi motivi di salute lo costringono a tornare in Francia. Arrestato nel 1940, è internato nel campo di concentramento di Vernet. Nel gennaio 1942 è tradotto in Italia e condannato a cinque anni di confino da scontare nell'isola di Ventotene. Liberato nell'agosto 1943, si reca a Genova presso il fratello Ferruccio. Sorpreso dagli avvenimenti successivi all'8 settembre nella città ligure, partecipa attivamente all'organizzazione dei primi nuclei di partigiani. In seguito è nominato comandante regionale delle Brigate Garibaldi della Liguria e, dopo l'unificazione del movimento partigiano nel Corpo volontari della libertà, fa parte del Comando militare unificato della Liguria, in qualità di vicecomandante. Nel marzo 1945 è uno dei membri del Triumvirato insurrezionale ligure (per l'attività svolta nel corso della lotta di liberazione verrà decorato di medaglia d'argento al valor militare). Liberato anche il Nord-Italia, la direzione del partito comunista lo chiama a Roma per fargli dirigere l'Unione Editrice Sindacale Italiana. Deputato all'Assemblea costituente, viene di nuovo eletto in Parlamento nel 1948 e nel 1953. A Terni, oltre ad essere eletto consigliere comunale nel 1946, ricopre l'incarico di segretario della Federazione provinciale comunista. È membro del Consiglio nazionale dell'Associazione nazionale partigiani d'Italia (Anpi), dell'Associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna (Aicvas), della Presidenza onoraria dell'Associazione italiana perseguitati politici italiani antifascisti (Anppia), e presidente dell'Istituto storico della Resistenza di Imperia. Muore a Roma il 30 gennaio 1974.
Fonti e bibl.: Acs, Cpc, b. 1962, ad nomen; Asisuc, Anpi Terni, Resistenza/Liberazione, b. 10, fasc. 6; Archivio Raffaele Rossi, Autobiografia di Carlo Farini; Aicvas, Scheda biografica; Francesco Andreucci – Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, vol. II, Editori Riuniti, Roma 1976, ad indicem; Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza, a cura di Pietro Secchia, vol. II, La Pietra, Milano1971, ad vocem; Raffaele Rossi, Armando Fedeli Carlo Farini: dal socialismo umbro al «partito nuovo», Quaderni della Regione dell'Umbria, Perugia 1979; Patrizia Salvetti, Farini Carlo, in Dizionario Biografico degli italiani, vol. 45, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma 1995; Maria Selina Ametrano e Arnaldo Perrino, Costituenti dall'Umbria. Un contributo alla nascita della democrazia, Perugia, Isuc; Foligno, Editoriale Umbra, 2008, p. 148
Luciana Brunelli, Gianfranco Canali, Carlo Farini, Dizionario biografico umbro dell'Antifascismo e della Resistenza, Istituto per la Storia dell'Umbria contemporanea
 
Il 15 luglio 1944 la XXa Brigata Garibaldi aveva cambiato denominazione diventando la Seconda Brigata. Al di là del cambio di nome, l’unità subì una riorganizzazione generale dopo la crisi che l’aveva attanagliata nei giorni precedenti. I distaccamenti “Astengo” e “Calcagno” rimandarono a casa i volontari più scossi dagli ultimi rastrellamenti con la piena approvazione del comandante “Enrico”, mentre “Simon” accusava i commissari politici di non aver fatto abbastanza per preparare gli animi alla lotta <85. Quanto ai comandi, non risulta che vi siano stati avvicendamenti di rilievo. In definitiva, anche se per qualche tempo la Seconda Brigata ebbe meno uomini di quelli di cui disponeva in precedenza (il 30 luglio erano 227, un mese prima 240 <86), si trattava di una crisi di crescita del movimento garibaldino, più che mai bisognoso di allargare i contatti ed il reclutamento ma anche di oliare la macchina dei servizi, ancora carente sotto vari punti di vista. In questo senso l’istituzione del Comando di sottozona per Savona, decisa dal Comitato Militare Unificato di Genova a fine luglio, ebbe un effetto positivo e servì tra l’altro a migliorare le relazioni tra le varie anime dello schieramento antifascista, oltre che a coordinare i gruppi e le organizzazioni impegnati nella lotta di liberazione. A Carlo Farini “Simon”, primo comandante fino al suo passaggio in Prima zona a fine agosto, succedette poi una trojka formata da “Marcello” (Vincenzo Mistrangelo), “Fioretto” (Pietro Carzana) e il colonnello “Carlo Testa” (Rosario Zinnari), un uomo che si distinse per l’impegno profuso nel dirimere le controversie tra garibaldini ed autonomi e nella redazione dei piani insurrezionali <87.
[NOTE]
83 G. Gimelli, op. cit.,  vol. II, p. 226.
84 M. Calvo, op.cit., pp. 61-63.
85 Ibidem, p. 61.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet - La rivolta di una provincia ligure ('43-'45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000
 
Nel mese di luglio 1944, mese cruciale per la riorganizzazione delle nostre unità combattenti, giunse ad Imperia l'ispettore Simon.
Egli veniva a noi inviato dal Comando regionale per la coordinazione dei servizi militari, in fase di assestamento con la creazione della II^ Divisione d'assalto garibaldina Felice Cascione.
I nostri comandanti già conoscevano le magnifiche qualità di Simon: organizzatore di classe, combattente di Spagna, intelligenza superiore, spirito vivo, attività instancabile e, oltre tutto, una fede profonda ed operante che aveva  resistito a tutte le prove, anche le più terribili.
E fra noi, in questa difficilissima zona della guerra partigiana, le doti di Simon rifulsero ben presto e ne fecero, durante i lunghi mesi della sua permanenza in Provincia, uno degli artefici della resistenza.
Piccolo, il volto aperto e giovanile dominato dalla vasta fronte e sormontato dalla massa dei capelli argentei, l'Ispettore Simon era da per tutto: ovunque fosse necessario dare un ultimo tocco all'organizzazione; ovunque la battaglia
infuriasse; ovunque occorresse un consiglio, un giudizio o una parola incitatrice.
Lo si vedeva giungere improvvisamente di notte o di giorno, con la neve o sotto il sole scotta nte, sempre vigile e agile, malgrado gli anni, le fatiche e, spesso, le infermità.
Le formazioni garibaldine ebbero in lui il più valido sostenitore: quando sorsero incomprensioni e diffidenze, egli ne perorò la causa presso i Comandi superiori e quelli alleati, affrontando viaggi lunghi, sfibranti e pericolosi.
Fu per noi tutti, insomma, come un padre: un padre affettuoso e  vigile, e, talvolta, anche severo, di quella severità che è frutto di amore.
Quando ci lasciò, chiamato ad altro incarico, nel  marzo del 1945, sentimmo di aver perduto uno dei nostri migliori ed un compagno di lotta col quale avevamo diviso pericoli e cibo e sonno.
Ma l'opera sua rimase: rimase nella struttura del nostro esercito e nel suo spirito: e la vittoria garibaldina fu anche una sua vittoria.
Mario Mascia, L'Epopea dell'Esercito Scalzo, Edizioni ALIS, Sanremo, 1946, ristampa del 1975 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia
 
 




[n.d.r.: si pubblica qui sopra un documento firmato ai primi di agosto del 1944 da Carlo Simon Farini, documento conservato nell'Archivio dell'Istituto Grasmsci]
 
Al Comando Delegazione Liguria [...] Attendiamo con interesse il risultato del viaggio di Renato a Torino perché la situazione che si è venuta a creare con il maggiore Mauri ha bisogno di una soluzione. Fintanto che ciò non avverrà la nostra situazione resterà sempre difficile, poiché difficile sarà evitare attriti e pericolo di conflitti [...] La situazione della Divisione è caratterizzata dai tentativi di rastrellamento  che si susseguono con una certa continuità. In questa contingenza sono venuti in maggiore evidenza alcuni difetti di carattere organizzativo che si impongono alla soluzione degli stessi Comandanti e Commissari della Divisione stessa. [...] Tuttavia bisogna dire che la Divisione ha sopportato abbastanza bene, sia dal punto di vista militare che morale, il tentativo del nemico e la pressione militare a cui è sottoposta [...] 
Simon [Carlo Farini], documento citato, 3 agosto 1944

Il territorio che viene liberato è posto sul confine occidentale delle Alpi marittime, fra Imperia e Ventimiglia, al confine francese. Comprendeva il paese di Pigna, che ne fu la capitale, e poi Badalucco, Triora, Montalto, Carpasio, Molini di Triora e altri. In totale 22 comuni per circa 30.000 abitanti. Nella zona agivano le formazioni partigiane della II Divisione Garibaldi Cascione… Nella battaglia cadono molti partigiani e la V^ Brigata garibaldina si riduce a poco più di 200 uomini. Nel giro di un mese si arruolano 600 volontari, molti dei quali sono militi del battaglione San Marco che disertano la formazione fascista e si uniscono ai garibaldini, rivelandosi “ottimi combattenti partigiani”, come afferma la relazione del 5 di ottobre dell’ispettore della zona (Sul documento non c’è traccia del nome) <si trattava di Simon, detto anche Manes, Carlo Farini, ispettore, per l’appunto, della I^ e della II^ Zona Operativa Liguria> … Ma sul piano politico l’azione di formazione dei CLN e delle Giunte comunali non è facile. “Molte sono le difficoltà… per l’arretratezza politica delle popolazioni rurali, l’inesistenza dei partiti organizzati”. In molti paesi si riescono a costituire comunque i CLN, ma mancano i collegamenti con il CLN provinciale di Imperia. Il comando garibaldino cerca di supplire elaborando in data 15 settembre una circolare di istruzioni “sulla organizzazione dei CLN, delle Giunte comunali e sulla funzione di questi organismi nel momento attuale della lotta contro i nazifascisti”. Nelle Giunte, afferma sbrigativamente il commissario della Divisione Garibaldi Cascione, “la maggioranza deve essere assicurata alle classi meno abbienti, che sono la maggioranza nel paese”. Un criterio che forse non risponde rigorosamente ai principi della democrazia formale parlamentare, ma che ha il vantaggio di ridurre la questione a termini immediatamente chiari. Conclude peraltro la relazione delle formazioni garibaldine: “Il movimento del CLN e delle Giunte incontra grande favore in mezzo alle popolazioni… Tuttavia in molte località persiste ancora uno spirito di passività lamentevole”. E’ il mondo chiuso dei piccoli contadini che istintivamente diffidano di ogni sollecitazione di ordine politico; ma vi contribuisce anche la propaganda anticomunista svolta dagli autonomi di Mauri. In queste condizioni, il funzionamento delle Giunte - laddove si riesce a costituirle - è estremamente problematico, e perfino delle questioni dell’approvvigionamento dei viveri si deve occupare direttamente il comando partigiano. Una relazione afferma infatti che “non esiste un vero e proprio territorio occupato, ma esiste invece un territorio controllato”, che lascia totalmente fuori la fascia costiera.
Redazione, L'Imperiese, Le Repubbliche Partigiane

giovedì 5 novembre 2020

La morte dei fratelli partigiani Arena

Francesco e Raffaele Arena - Fonte: L'Alba della Piana

L'8 febbraio 1945 l'ispettore di zona Carlo Simon Farini sollecitò il comando della II^ Divisione d'Assalto Garibaldi "Felice Cascione" ad effettuare azioni concordate su Molini di Triora (IM) e San Bernardo di Conio, Frazione di Borgomaro (IM). Qualche giorno dopo giunse la risposta con la quale veniva chiarito che i motivi dell'inazione erano da ricercarsi nella penuria di colpi da mortaio e nel mancato aiuto da parte dei nostri amici (gli alleati), come recitava il documento. 
Il 16 febbraio il Comando della I^ Zona Operativa Liguria rassicurò la II^ Divisione sulla assoluta affidabilità degli alleati e sulla loro sincera volontà di cooperazione.
Durante la notte del 9 febbraio una colonna formata da soldati tedeschi, bersaglieri e militi delle Brigate Nere, guidati dietro informazioni e con la presenza di un ragazzo quattordicenne [Dino] precedentemente catturato dai bersaglieri di Bajardo, circondarono Argallo, Frazione di Badalucco (IM), sorprendendo nel sonno 5 garibaldini, Martinetto (Martino Blancardi, di Bordighera, capo squadra), Chimica, Biondo, Ba e Lucia, quest'ultima, staffetta, del I° Battaglione "Carlo Montagna" della IV^ Brigata "Elsio Guarrini" della II^ Divisione. Solo Martinetto riusciva, pur essendo ferito, a salvarsi, fuggendo. Gli altri partigiani, catturati, vennero in seguito fucilati. Un altro garibaldino, Masiero, era già stato ucciso mentre si stava allontanando da una casa privata.
Il 10 febbraio ci furono altri rastrellamenti, nel corso dei quali un reparto fascista, avvistati 2 fratelli garibaldini intenti ad aiutare il padre nei campi in Località San Faustino di Molini di Triora (IM), li raggiunsero e li uccisero sul posto. Si trattava dei fratelli Arena, Francesco (Fuoco) di 24 anni e Raffaele (Fulmine), di 22 anni.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Imperia (1 gennaio - 30 Aprile 1945) - Tomo I - Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998 - 1999

 
Francesco Arena - Fonte: L'Alba della Piana
 
Francesco e Raffaele Arena. Figli di Antonio Arena e di Maria Giuseppa Franco, nacquero entrambi a Melicucco (RC) nella casa posta all’inizio della via Provinciale, ai n. 2 e 4. Francesco venne alla luce il 13 ottobre 19211 mentre il fratello Raffaele il 17 agosto 1923. Pressoché nulle sono le notizie sui loro genitori negli archivi dei comuni di Melicucco e Polistena da noi consultati e nei quali, per motivi diversi, non si trova alcuna documentazione.
Ci vengono incontro i documenti custoditi dagli archivi del Comune di Taggia (Imperia) e dall’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea per la Provincia di Imperia grazie ai quali cercheremo di ricostruire la vicenda umana della famiglia Arena.
Il padre, agricoltore, era nato nel comune di Polistena il 5 gennaio 1895 da Giuseppe e Caterina Fonti, e si era trasferito in Liguria a Taggia (Imperia) il 16 agosto 1931. Il 5 aprile 1935, lo raggiunsero a Taggia la moglie ed i tre figli Francesco, Raffaele e Giuseppe. Il nucleo familiare si stabilì nella casa in Piazza San Benedetto al n. 10.
La famiglia versava in precarie condizioni economiche. Dopo pochi mesi, il 26 giugno 1935, all’età di 34 anni, moriva Maria Giuseppa Franco ed il marito si ritrovò da solo a crescere i tre ragazzi orfani di madre.
Gli Arena, come tutti gli Italiani, dovettero, loro malgrado, fare i conti con la guerra che aggiunse ulteriori disagi.
Francesco aveva conseguito la 3a elementare e svolgeva il mestiere di segantino mentre Raffaele, che aveva conseguito la 5a elementare, lavorava da panettiere.
Il fratello maggiore Francesco venne chiamato alle armi nella Regia Marina e al momento dell’armistizio era impegnato nelle operazioni in Jugoslavia. Raffaele invece era un civile.
I due giovani emigrati calabresi, evidentemente mal sopportavano i soprusi e le angherie del Regime fascista e, in momenti diversi, decisero di entrare a far parte delle Divisioni Partigiane “Garibaldi”.
Raffaele vi aderì il 5 maggio 1944 ed assunse il nome di battaglia di “Fulmine”, raggiungendo il grado di Capo squadra.
Il 9 agosto successivo venne raggiunto dal fratello Francesco, il quale assunse il nome di battaglia di “Fuoco” o “Sputafuoco” come semplice Garibaldino. Entrambi facevano parte del II Distaccamento del I Battaglione “Mario Bini”, inquadrato nella 5a Brigata “Luigi Nuvoloni” della 2a Divisione d’Assalto “Felice Cascione”.
Giovanni Quaranta, L'Alba della Piana

La compagnia di Cacciatori degli Appennini al completo effettuò un rastrellamento nella zona del Govo (San Faustino di Triora). Nell’entrare in paese, avendo visto due borghesi fuggire, il Ten.Cazzardo diede ordine di far fuoco su di loro. Uno dei due riuscì a dileguarsi, inseguito però da una squadra di militi, mentre l’altro, si fermò alzando le mani, ma al sopraggiungere dei miei compagni, riprese la fuga ed i militi, sparatogli addosso, lo uccisero sul colpo. Al rientro dell’altra squadra che era andata alla ricerca dell’altro fuggiasco, riferirono che lo avevano anche ucciso perché riconosciutolo come partigiano. (dichiarazione rilasciata da Tofanari Luciano, milite del Raggruppamento Cacciatori degli Appennini). Il partigiano Natale Massai (Mompracem) così ricorda quel giorno [...]
Giorgio Caudano [ Giorgio Caudano, Dal Mare alla Trincea... memorie di uomini, BB Europa, Cuneo, 2019; Silvia Alborno, Gisella Merello, Marco Farotto, Marco Cassini, Giorgio Caudano, Franck Vigliani, curatori della mostra Claude Monet, ritorno in Riviera, catalogo a cura di Aldo Herlaut, Silvana Editoriale, Milano 2019; La Magnifica Invenzione. I pionieri della fotografia in Val Nervia 1865-1925, a cura di Marco Cassini e Giorgio Caudano, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2016  ]
 
Il 9 febbraio 1945, i fratelli Francesco e Raffaele Arena trovarono insieme la morte in seguito a un rastrellamento da parte di una formazione di Cacciatori degli Appennini: i due vennero catturati e fucilati sul posto dopo essere stati sottoposti a torture.
Per conoscere meglio i particolari sulla morte dei due giovani ci affidiamo a due memorie compilate dal partigiano Natale Massai (Monpracen): 
Eravamo arrivati al mese di febbraio 1945, ed i Nazifascisti che perdevano su tutti i fronti di guerra, si accanivano sempre di più sui civili che uccidevano senza pietà, mentre contro noi partigiani facevano continui rastrellamenti, sfogando pure la loro rabbia contro quei bravi contadini dei luoghi, che, a rischio della propria vita, ci hanno aiutato in qualsiasi situazione, combattendo anche al nostro fianco. Il 9 febbraio 1945, sembrava una giornata tranquilla, senza rastrellamenti in vista. I due fratelli partigiani [Arena] che avevano il padre nella borgata di San Faustino, dove coltivava un po' di verdura in un piccolo appezzamento di terra, decisero di scendere in paese a dargli una mano nel lavoro. Quel giorno un gruppo di fascisti impegnati in un’azione di rastrellamento si era spinto nei dintorni del paese raggiungendo un’altura nella località detta “Gumbe” da dove si poteva dominare dall’alto il paese e le campagne sottostanti, piazzandovi una mitraglia.
Un altro gruppetto di tre o quattro fascisti, intanto, si addentrava in avanguardia nel paese sotto la guida dei colleghi dall’alto.
Avvistata la pattuglia, qualcuno del luogo si affrettò subito ad avvisare del pericolo imminente i due partigiani intenti a coltivare la terra e questi, nella vana speranza di trovare salvezza, pen-sarono di scappare verso due direzioni opposte: Raffaele verso la località “Naculetta” e Francesco verso la località “Murghetta”.
Maria Bianco (Fiora), testimone di quella giornata funesta, raccontò che appena i fascisti si accorsero della presenza di Francesco, lo puntarono con la mitraglia e gli spararono alcune raffiche.
Il fuggitivo, ogni volta che sentiva le sventagliate di proiettili fischiargli vicino, si fermava alzando le braccia in segno di resa. Ma appena i colpi cessavano, tentava nuovamente di sottrarsi al fuoco nemico riprendendo la corsa. Dopo alcuni tentativi di fuga, una raffica lo colpì al ventre e si accasciò al suolo. Raggiunto immediatamente dal gruppo di fascisti fu finito con un colpo alla testa.
Fu spogliato delle scarpe e dell’orologio. Gli presero il portafogli con i documenti. Giunti in paese li mostrarono alla gente del posto chiedendo loro se lo conoscevano. Naturalmente, nonostante lo conoscessero bene, tutti negarono.
 
Fonte: L'Alba della Piana
Fonte: L'Alba della Piana
Fonte: L'Alba della Piana
 
Nel frattempo, l’altro fratello Raffaele, raggiunta la località “Naculetta”, cercava riparo in un incavo di una roccia semi nascosta da un roveto. Il gruppo dei fascisti posizionato sull’altura scorse il malcapitato e, non potendolo colpire con la mitraglia perché lontano, indirizzò a voce la pattuglia che era entrata in paese all’inseguimento del fuggitivo fino a farlo catturare.
Il sergente che comandava la pattuglia chiese a gran voce a quelli in alto se il prigioniero doveva essere ucciso subito. La risposta fu negativa. Si diedero appuntamento tutti insieme in paese dove erano attesi dal loro tenente [...] Giunti in paese con il prigioniero, i fascisti si congiunsero con il grosso del gruppo.
Ma ormai anche per Raffaele la sorte era segnata.
I fascisti chiesero ancora una volta alla gente del posto se lo conoscevano e, mentre il prigioniero faceva segno col capo di dire
No, tutti risposero negativamente.
I fascisti sempre più imbestialiti, uccisero subito il giovane Raffaele con tre colpi: uno alla nuca facendogli saltare un pezzo, un altro ad un braccio e l’ultimo al cuore".
Così morirono i fratelli Francesco e Raffele Arena di Melicucco, trucidati dai fascisti, caduti per l’ideale di Libertà [...]
Giovanni Quaranta, L'Alba della Piana
 
Tofanari Luciano: nato a Carrara il 12 aprile 1924, milite del Raggruppamento Cacciatori degli Appennini - Interrogatorio del 10.11.45: [...] Quindi ci trasferimmo a Montalto Ligure (IM). Colà la mia compagnia al completo effettuò un rastrellamento nella zona di Aigovo (San Faustino). Nell’entrare in paese, avendo visto due borghesi fuggire, il Ten. Cazzardo diede ordine di far fuoco su di loro. Uno dei due riuscì a dileguarsi, inseguito però da una squadra di militi, mentre l’altro, colpito dalla nostra sparatoria, si fermò alzando le mani, ma al sopraggiungere dei miei compagni, riprese la fuga ed i militi, sparatogli addosso, lo uccisero subito. Al rientro dell’altra squadra che era andata alla ricerca dell’altro fuggiasco, riferirono che lo avevano anche ucciso perché riconosciutolo come partigiano. I due uccisi credo si chiamassero Arena [...] Deposizione di Lanza Ernestina:
«Il giorno 9 febbraio 1945 mi trovavo nella mia abitazione di Aigovo quando sentii piangere per la strada. Guardai dalla finestra e vidi passare Arena Raffaello che passava con alcuni soldati repubblicani dei Cacciatori degli Appennini, fra i quali notai un graduato che non sono in grado di indicare quale grado rivestisse. In quel mentre notai che i soldati picchiavano l’Arena col calcio del moschetto, chi con pugni e spintoni in modo da farlo cadere a terra e sentii che disse “Mamma mia”. Inoltre ho sentito che diceva “non statemi ad uccidere per rispetto a mio papà”. A seguito di tali parole ho sentito che il graduato gli rispose con la bestemmia "Porca Madonna, non farmi arrabbiare". Non sentii altro perché gli stessi proseguirono ed io non ebbi il coraggio di uscire sulla strada per vedere cosa succedeva. Dopo circa un quarto d’ora sentii quattro colpi d’arma da fuoco sparati a circa 300 metri da casa mia su una collina chiamata Carmo. Non vidi più ritornare i soldati perché passarono da un’altra strada. Appena questi si erano allontanati vennero in casa mia altri soldati a farsi dare da bere e rivoltisi a me dissero: “Signorina, andate a vedere vostro fratello che lo abbiamo ucciso sulla collina”. Io risposi che fratelli non ne avevo. Mi domandarono allora di dove era quello che avevano ammazzato e risposi che non lo avevo mai visto. Dopo di che uscirono e si allontanarono. Appena i soldati si allontanarono da Aigovo, assieme a mia mamma, ci recammo sulla collina sopradetta dove trovammo l’Arena Raffaele ucciso a terra bocconi e notai che dalla testa gli uscivano le cervella. Rimase sul posto fino al 12 febbraio. Avvisati i parenti questi poi ottennero il permesso di rimozione. Dalla finestra vidi anche Arena Francesco che scappava in direzione della mia casa oltrepassandola. I soldati lo inseguivano sparando con il mitra ed un soldato gli gridava dietro “Fermati porco che ti uccido”. So che appena allontanatisi i soldati anche l’Arena Francesco è stato trovato ucciso a circa mezzo chilometro da casa mia. Non sono in grado di indicare il nome di nessuno dei soldati che erano ad Aigovo, se mi fosse presentato sarei forse in grado di riconoscere quello che mi disse che aveva ucciso mio fratello».
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9,  StreetLib, Milano, 2019

lunedì 26 ottobre 2020

Il fallimento della missione alleata Zucca in provincia di Imperia


Il 12 andante la guardia di finanza di Riva S. Stefano procedeva all'arrivo del treno antimeridiano proveniente da Genova al fermo di un individuo che subito dopo riusciva a liberarsi ed a darsi alla fuga, senza essere raggiunto, nonostante l'inseguimento e l'esplosione di alcuni colpi.
L'individuo abbandonava una valigetta contenente un apparecchio radio trasmittente e ricevente di fabbricazione straniera, una pistola "Beretta" con caricatore carico e pallottola in canna e due lettere, una delle quali a firma MONTESI Aldo.
Sono in corso accurati accertamenti ed attive ricerche per l'identificazione ed arresto del responsabile.
L'apparecchio è stato consegnato al locale Comando Militare Germanico, a sua richiesta.
Null'altro da segnalare per il territorio di questa Provincia, ove non si sono verificati altri avvenimenti degni di particolare rilievo [...]
Ermanno Durante, Questore di Imperia, Relazione settimanale sulla situazione economica e politica della Provincia di Imperia, Al Capo della Polizia - Maderno, 29 febbraio 1944
 
Ermanno Durante, ex-Questore d’Imperia, torturatore di partigiani nel Campo di Fossoli
Daniel Degli Esposti, Episodio del Poligono del Cibeno, Fossoli, Carpi, 12.07.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia
 
Santo Stefano al Mare (IM): una vista, nell'ordine, fino a Riva Ligure, Arma di Taggia, costa orientale di Sanremo

[…] il caso della missione Zucca del 2677° reggimento O.S.S.-U.S. Army. Ne era a capo il tenente di artiglieria Piero Ziccardi, Zucca, Bruno, che, da Roma, fu inviato a Genova per attuare un collegamento fra il Comando Supremo e la città, con l’aiuto degli americani. Egli iniziò a tessere una rete informativa che ebbe un duro colpo la notte del 22 febbraio [1944] a Riva Santo Stefano [n.d.r.: oggi due distinti comuni della parte centrale della provincia di Imperia], quando la polizia sorprese alcuni appartenenti all’organizzazione che attendevano un sommergibile alleato che doveva sbarcare materiale. Vi fu uno scontro a fuoco, una radio fu sequestrata e fu perduta una borsa piena di documenti [...] 
Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale - Anno XXIX - 2015, Editore Ministero della Difesa
 
Il sommergibile citato era atteso davanti al margine occidentale di Riva Ligure e lo scontro con la polizia fascista dovrebbe essere accaduto secondo Peter Tompkins, citato qui infra, a Sanremo, ma la versione preferita dalla maggior parte degli autori che si sono occupati dell'episodio è similare a quella del Manzari, anche perché - vedere sia sopra che infra - esiste precisa documentazione di fonte repubblichina che avvalora tale circostanza; in ogni caso sulla dinamica dei fatti tutti gli autori si trovano sostanzialmente d'accordo.
Adriano Maini
 
Poco dopo la liberazione di Napoli, Stimolo [n.d.r.: già eroe delle Quattro Giornate di Napoli] era stato inviato da Bourgoin assieme ad altri a Roma per prendere contatti con i gruppi partigiani locali, tornando alla base di Pozzuoli alla fine del mese di novembre 1943. Successivamente era stato imbarcato nel sommergibile Axum che, nella notte tra il 4 e il 5 dicembre 1943 aveva sbarcato sulle rive tra Pesaro e Gabicce, al di sotto del Colle San Bartolo, numerosi agenti inviati da Bourgoin, destinati a varie distinte missioni nel Nord Italia. Tra di essi vi era Stimolo (Corvo), con l'obiettivo di raggiungere a Roma il fratello Luigi (Civetta) e con lui ed il radioperatore Aldo Montesi (Maria Giovanna), ricongiungersi con gli uomini della missione Zucca operativi a Genova per supportarli nel portare a termine l'incarico affidato.
 
L’OSS, nata nel 1942, diede un forte contributo per organizzare lo sbarco degli alleati in Sicilia e Corvo [Max Corvo] era alla testa del S.I. (Service Intelligency). L’OSS si frantumò in varie Sezioni ma Max [Corvo] rimase a capo del S.I. fino a fine guerra; a questa apparteneva anche l’ORI (Organizzazione Resistenza Italiana), composta da circa 45 agenti, costituita a Napoli nel novembre del 1943, al cui comando era Raimondo Craveri, sorretto dal suocero Benedetto Croce. La maggior parte dei 45 antifascisti proveniva dal nord Italia, e diede un importante contributo alla lotta partigiana [...] fu costituita una Sezione OSS-SIM presso il Governo Badoglio con a capo il Maggiore [André] Bourgoin, un americano di origine francese che odiava gli italiani.
Ennio Tassinari su Patria Indipendente,  18 febbraio 2007 

Uno scorcio dell'ex stazione ferroviaria di Riva - Santo Stefano

La quinta missione speciale condotta da una delle squadre a bordo del sottomarino Axum e denominata "Maria Giovanna", fu compiuta in Liguria. Il 5 dicembre 1943, Enzo Stimolo, nome in codice “Corvo”, che aveva già preso parte alla citata prima squadra a Roma, sbarcò, insieme con il radiotelegrafista Aldo Montesi, “Maria Giovanna”. Bourgoin ordinò a “Corvo” di andare a prendere suo fratello Luigi, “Civetta”, che era a Roma e di procedere immediatamente verso Genova per stabilire ivi il suo Quartier Generale e costituire una rete di agenti nella regione Liguria. Stimolo arrivò sano e salvo a Genova e stabilì immediatamente il collegamento con il Quartier Generale. Nello stesso tempo, intorno alla metà di febbraio, Bourgoin, che aveva pianificato due missioni denominate Richmond IV e V, decise di far atterrare sulla costa ligure, vicino a Sanremo, gli agenti che componevano le squadre incaricate delle predette missioni. A Stimolo “Corvo” fu ordinato di posizionarsi sulla spiaggia con la sua attrezzatura radio, in maniera tale da poter assicurare un costante collegamento diretto con le due spedizioni, prima del programmato atterraggio. Nel frattempo, Bourgoin e le due squadre sorvolavano la Corsica, con tutti gli uomini e l’equipaggio, in attesa di ricevere segnali da “Corvo”. Sfortunatamente, anche la missione di Stimolo e compagni non ebbe successo. L’epilogo fu così delineato dallo stesso capitano Bourgoin: “Sfortunatamente, al loro arrivo presso la stazione ferroviaria (di Sanremo, nda) la guardia doganale volle ispezionare la valigia nella quale era custodita l’attrezzatura radio. Stimolo tolse la valigia dalle mani del suo radio operatore e gli disse di scappare; repentinamente, si voltò indietro e sparò al doganiere un colpo di pistola; saltò sopra la barriera e sparì in mezzo alla folla. La radio andò perduta e Stimolo contattò immediatamente il Dottor Beltramini per avvertirlo di cancellare l’operazione in quanto non era più in tempo”.
L’episodio fu riportato in una versione parzialmente differente dal radio operatore Aldo Montesi, il quale, a differenza di quanto testimoniato da Bourgoin, non menzionò l’uccisione del doganiere, riferendo, al contrario, che “Corvo” era scappato, mentre l’altro lo aveva inseguito sparando. Infine, Montesi raccontò di essere restato immobile e, quindi, arrestato anche se poi, avendo risposto in modo non sospetto, fu solo perquisito e finalmente rilasciato: “Non trovarono niente di incriminante e io offrii a ciascuno un pacchetto di sigarette che accettarono […] Entrai in un ristorante per distruggere il piano di trasmissione e il cifrario che avevo in tasca […] Presi il treno per Genova”. <68.
Successivamente, il capitano Bourgoin paracadutò a Stimolo un’altra apparecchiatura radio sulle Alpi e quest’ultimo la trasportò a Genova. L’agente iniziò così a svolgere un lavoro molto interessante grazie al quale furono ottenute informazioni militari di grande valore.
68 Il rapporto Montesi (NARA RG 226, E. 124, B. 30), è citato da P. Tompkins che, a tal proposito, riportava anche la testimonianza di tale Tristano Luise “Dattilo” che avrebbe preso parte alla missione con “Corvo”, “Civetta” e Montesi, di cui invece Bourgoin non faceva menzione. P. Tompkins, L’altra Resistenza cit., pp. 400 e 401.
Michaela Sapio, Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012
 
Una vista del tratto di costa, compreso tra il levante di Sanremo e Santo Stefano al Mare (IM)

Nel frattempo Ziccardi, che aveva assunto il nome di copertura di "Zucca", doveva cercare un posto sicuro sulla costa Ligure dove poter sbarcare uomini ed equipaggiamento. Ziccardi-Zucca tornò a Genova dove, assieme al suo vecchio amico Tristano Luise, "Dattilo", collaborò con la missione di Enzo Stimolo (Corvo), sbarcato il 5 dicembre [1943] dal sottomarino Axum sulla costa adriatica con gli altri agenti di Bourgoin [...] Lo scopo di Bourgoin era di adoperare i due Stimolo, ex membri del SIM, per tenere sotto controllo Zucca e i suoi subagenti, arruolati tra i suoi studenti. Arrivati a Genova, i fratelli Stimolo, che non conoscevano nessuno da quelle parti, aggregandosi a Zucca e Dattilo informarono Bourgoin che avevano trovato un posto di sbarco su una spiaggia deserta cinque chilometri a sud [piuttosto, a levante] di San Remo, alle foci della fiumara di Taggia, poco prima di Santo Stefano al Mare [come per altre successive missioni alleate ipotizzate o fallite verso i partigiani imperiesi si trattava di una zona coincidente o abbastanza prossima al Giro del Don nell'attuale comune di Riva Ligure]. Per sbarcare in quel punto uomini ed equipaggiamento Bourgoin partì in volo per Bastia dopo aver ordinato a Stimolo di aspettarlo sulla spiaggia con la sua radio in modo da restare in contatto costante con lui, mentre, con gli uomini da sbarcare, si sarebbe avvicinato via mare. Il 22 febbraio Corvo, Dattilo e il radiooperatore Montesi presero il treno per San Remo. Zucca non poté partecipare perché quel giorno doveva essere a Milano per fare lezione all'università. I cospiratori, scesi alla stazione di San Remo, furono fermati all'uscita da una guardia doganale che insisteva nel voler ispezionare la valigetta in cui c'era la radio. Nel resoconto drammatizzato di Bourgoin: "Stimolo prese in mano la valigetta dall'RT [radiotelegrafista] e girandosi verso il doganiere gli sparò un colpo di pistola, uccidendolo. Saltò il cancello e si perse nella folla". Il racconto più sobrio di Dattilo, testimone della scena, non fa menzione di questa uccisione. Riferisce che Stimolo riuscì a scappare schivando una raffica sparatagli dietro. Questa testimonianza è convalidata dal radiooperatore Montesi con maggiori dettagli: "Corvo portava la radio e io una borsa con cose personali. Al primo posto di controllo egli riuscì ad evitare una perquisizione da parte di due guardie repubblicane, dicendo che la valigia conteneva strumenti chirurgici e che aveva premura perché vi era una persona in pericolo di vita. Le guardie gli credettero e lo lasciarono passare. Ma un po' più in là fu fermato da una persona in borghese che insisteva nel vedere dentro la valigia. Corvo gli ripeté la storia di prima, ma non fu creduto. Vedendo che l'uomo tirava fuori la rivoltella, Corvo pose la valigia su un muretto e scappò, mentre l'altro lo inseguì sparando". Montesi continua la sua descrizione: "Decisi di non muovermi e di mantenere la calma, pensando che se avessi cercato di scappare sarei stato inseguito... Le due guardie repubblicane mi arrestarono. Con calma chiesi loro perché. Che colpa avevo io se uno scappava con roba da borsa nera... A tutte le loro domande risposi in modo naturale e fortunatamente fui creduto. Frugarono nella mia borsa, nella quale avevo dichiarato esserci effetti personali e dodici pacchetti di sigarette. Non trovarono niente di incriminante e io offrii a ciascuno un pacchetto di sigarette, che accettarono volentieri... Entrai in un ristorante per distruggere il piano di trasmissione e il cifrario che avevo in tasca... Presi il treno per Genova". Dattilo, che portava una borsa di documenti da imbarcare, piena di informazioni che avrebbero potuto incriminarli tutti, riuscì a nasconderla in una casa diroccata sulla strada per Santo Stefano al Mare, evitando la polizia sopraggiunta su varie macchine. Dalla stazione di San Remo Dattilo partì per Milano e comunicò alla base attraverso la radio di Como che bisognava cancellare l'operazione. Per due giorni Corvo si nascose in montagna, inseguito dalla polizia, per poi tornare tranquillamente a Genova. Il 26 febbraio Alberto Blandi, "Falco", una giovane recluta di Zucca, tornò a Santo Stefano al Mare per cercare la borsa lasciata da Dattilo nella casa diroccata. Avendo indicazioni precise, quando non trovò la borsa capì che qualcuno l'aveva portata via, esponendo tutti loro a grave pericolo se fosse caduta in mano alle SS. Ma la Gestapo era già sulle loro tracce per via di un altro giovane reclutato da Zucca, "Conte". Questi si era messo a frequentare un interprete della Gestapo per ottenere informazioni ed era stato pedinato. Arrestato, "Conte" fu torturato brutalmente finché dopo dieci giorni fece il nome di Zucca [...] Zucca riuscì a scappare e si rifugiò a Milano, dove si aggregò alla rete di Como grazie alla moglie Wanda, lasciando a Dattilo l'organizzazione a Genova. Dattilo durò poco. Nella missione di Corvo a Genova si verificarono una serie di fatti ancora più gravi. Il debole di Bourgoin per il doppio gioco e per le trattative con i doppiogiochisti avrebbero avuto conseguenze disastrose [...]
Peter Tompkins, L'altra Resistenza. Servizi segreti, partigiani e guerra di liberazione nel racconto di un protagonista, Il Saggiatore, 2009
 
Il torrente Caravello a Riva Ligure

Il 22 febbraio 1944 Stimolo, Luise e Montesi, scesi alla stazione ferroviaria di Sanremo, furono bloccati da militi della RSI che chiedevano di ispezionare la loro valigetta, in cui era contenuta la radiotrasmittente. Stimolo, riuscito ad evitare la perquisizione con una scusa credibile, venne subito dopo bloccato da un individuo in borghese che richiese nuovamente di ispezionare la valigetta e che, alle risposte evasive dei cospiratori, fece l'atto di tirare fuori una rivoltella. A quel punto Stimolo abbandonò la valigia e si diede alla fuga, inseguito dai colpi di pistola, mentre i suoi compagni furono arrestati ma successivamente rilasciati, riuscendo abilmente a liberarsi dei documenti compromettenti che avevano addosso. Stimolo, dopo alcuni giorni di fuga, braccato dalla polizia, ritornò a Genova, continuando ad operare clandestinamente. 
 
Di questo periodo è pure da ricordarsi un fatto riguardante la missione Zucca, avvenuto nel territorio della provincia di Imperia. La missione "Zucca", centro di informazioni così denominato, aveva sede in Genova ed operava in collegamenti con esponenti di primo piano delle forze resistenziali della stessa città, con lo scopo di tenere contatti con gli Alleati [...] Nella notte del 22 febbraio 1944 alcuni componenti di detta missione, portatisi a Riva Santo Stefano in vicinanza di Arma di Taggia, erano in attesa di un sottomarino alleato, per "sbarcare e imbarcare materiale", quando furono scoperti dalla polizia dei nazifascisti. Vi fu uno scontro, durante il quale i nazifascisti perdettero un uomo; la missione "Zucca", da parte sua, perdette una radio trasmittente ed una borsa piena di documenti, la cattura della quale paralizzò per molto tempo l'attività della missione stessa. L'operazione progettata non si potè effettuare.
Giovanni Strato, Storia della Resistenza imperiese (I^ zona Liguria) - Vol. I. La Resistenza nella provincia di Imperia dalle origini a metà giugno 1944, Sabatelli Editore, Savona, 1976
 
Pagina 34 del Notiziario GNR del 3 marzo 1944 cit. infra - Fonte: Fondazione Luigi Micheletti

dalla LIGURIA
Imperia
Il 22 febbraio u.s., verso le ore 11,30, presso lo scalo ferroviario di Riva S. Stefano, una pattuglia annonaria della Guardia di Finanza fermò uno sconosciuto recante una pesante valigia. Costui abbandonò la valigia dandosi alla fuga, invano inseguito e fatto segno a colpi d'arma da fuoco. Nella valigia venne rinvenuto un apparecchio radio trasmittente e ricevente di marca inglese, una pistola automatica, una bussola e un foglio con codice convenzionale per trasmissioni. Il tutto fu consegnato al comando provinciale germanico.
Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana del giorno 3 marzo 1944, p. 34,  Fondazione Luigi Micheletti  
 
Sempre nella provincia di Imperia si svolse il 22 febbraio 1944 un'azione della cosidetta "Missione Zucca". Si trattava di un centro di informazioni con sede in Genova che svolgeva anche attività operativa sul territorio ligure e che organizzò, nella zona di Arma di Taggia, una missione al fine di sbarcare materiale da un sottomarino alleato. La missione fallì in quanto fu scoperta dalla polizia nazifascista e conseguenza di tale fallimento fu l'arresto, la deportazione e la fucilazione di alcuni dei suoi membri.
Paolo Revelli, La seconda guerra mondiale nell'estremo ponente ligure, Atene Edizioni, Arma di Taggia (IM), 2012
 
Nei mesi successivi, a causa della delazione di un membro nell'organizzazione che faceva il doppio gioco, vennero scoperti e, nell'estate del 1944, arrestati numerosi membri della missione, tra cui gli stessi Dattilo e Zucca, compromettendone definitivamente l'esito.