Uno dei casi più rappresentativi del rapporto tra donne e violenza durante la guerra civile in Italia è quello di Maria Concetta Zucco, soprannominata la “donna velata” per il travestimento - composto da occhiali scuri, fazzoletto davanti al viso e divisa delle Brigate Nere - con il quale era solita procedere a rastrellamenti e interrogatori <663.
Condannata dalla Cas di Imperia il 22 novembre 1946, il suo processo fu seguito con vivo interesse dall’opinione pubblica e suscitò particolare scalpore, per il fascino sinistro che evocavano le sue gesta sanguinose e il suo abbigliamento maschile. Nell’annunciare l’inizio del dibattimento, il giornale “Il Lavoro” l’aveva infatti definita una «donna perfida e malvagia che regge degnamente il confronto con quante altre ignobili feroci seviziatrici ha rivelato il triste periodo della dominazione nazifascista»: "il processo rivelerà le sue malefatte. Rivivremo le gesta della “donna velata” in testa alle squadracce dei rastrellatori, seminascosta sotto al cappuccio, gli occhi di un nero viscido celati dietro gli occhiali di tartaruga, alla caccia dei patrioti indiziati, sempre prima ad intonare oscene canzoni di trionfo quando le “operazioni” erano, mercé sua, condotte a termine". <664.
La Zucco era nata nel 1916 a Scido, in Calabria, ed era cresciuta in un ambiente antifascista. Con la famiglia si era poi trasferita ad Antibes, in Francia, per sfuggire alle persecuzioni del regime. Qui aveva conosciuto il marito, Yvon Clement Soli, membro della resistenza francese.
Secondo quanto dichiarato dalla stessa imputata durante l’interrogatorio del luglio 1945, nel settembre del 1944 fu catturata dai tedeschi durante un rastrellamento e destinata alla deportazione in Germania. A Verona riuscì tuttavia a fuggire e a raggiungere Alassio da dove, insieme a due compagni di viaggio, Elisabetta Rossi e Domenico Viale, si spostò a Imperia, intenzionata a tornare in Francia. Qui un brigadiere della Guardia di Finanza, Enrico Gentile, la presentò all’antifascista Salvatore Cangemi, introducendola come la moglie di un resistente francese. Quest’ultimo a sua volta si offrì di nascondere per circa un mese Maria, la Rossi e il Viale a casa di Lucia Inglesi [n.d.r.: in alcuni documenti - quali l'autenticazione della dichiarazione congiunta di Maria Zucco e Elisabetta Rossi, da vedere infra - il cognome riportato è Inglese] Scorrano, dove abitualmente si ritrovavano i membri del Cln di Imperia. Lo stesso Cangemi li accompagnò poi a Sant’Agata, da dove altri partigiani li aiutarono a passare il confine con Ventimiglia. Sempre secondo il racconto della Zucco, tuttavia, i tre furono traditi da un contrabbandiere e arrestati dagli uomini della Gnr di Imperia, comandati dal tenente Vannucci. Sottoposti a pesanti interrogatori e a minacce di morte, sia lei che la Rossi decisero di collaborare.
Questa la versione della Zucco; secondo Francesco Biga, invece, la Zucco e la Rossi vennero in Italia con il preciso scopo di infiltrarsi nelle formazioni partigiane, e furono arrestate dai tedeschi solo affinché queste potessero presentarsi come antifasciste e guadagnarsi la fiducia dei compagni <665.
All’interno del fascicolo processuale della Zucco, infatti, è presente il rapporto del suo arresto da parte del 1° plotone fucilieri della Gnr di Ventimiglia, dove le due donne si dichiarano “espatriate volontariamente” in quanto appartenenti a organizzazioni collaborazioniste francesi e prendono le distanze dall’ambiente antifascista che le aveva accolte: "Si è proceduto al fermo delle nominate in oggetto, espatriate volontariamente dalla Francia in seguito allo sbarco Anglo americano, la prima perché appartenente al Fronte Popolare Francese [sic], la seconda perché appartenente alla Milizia Francese. Le suddette si sono presentate a questo Comando dichiarando di voler oltrepassare il fronte di guerra per raggiungere i loro parenti nella Francia occupata. Spontaneamente hanno fatto dichiarazioni sul Comitato di Liberazione di Imperia, sulla banda “Pelletta” come da accluse dichiarazioni scritte". <666.
La Zucco rivelò dunque tutti i nomi dei componenti del Cln con i quali era venuta in contatto, indicando i luoghi dove questi si riunivano clandestinamente.
Il 14 gennaio partecipò inoltre a un rastrellamento nazifascista a Sant’Agata, durante il quale quasi tutti gli uomini del paese che le erano stati presentati come partigiani vennero arrestati. Faustino Zanchi, che nel novembre del 1944 aveva accompagnato in montagna la Zucco e i suoi compagni, riferì di essere stato prelevato da casa alle cinque di mattina e condotto in piazza; qui venne gettato in un fuoco, e, mentre le fiamme gli bruciavano gli abiti, percosso a sangue dai militi della Gnr e dalla Zucco, che lo picchiò con il calcio della pistola <667. Anche uno sfollato nel comune di Sant’Agata raccontò di essere stato interrogato e picchiato dalla donna velata: «alle mie risposte negative […] la Zucco mi percuoteva a sangue sul viso con la pistola che essa teneva, gridandomi in faccia che lassù eravamo tutti ribelli e nessuno voleva confessarlo» <668.
Alcuni, infine, riconosciuti e segnalati da Maria, vennero giudicati da un tribunale tedesco e condannati a morte. Uno di questi fu Adolfo Stenca, arrestato durante il rastrellamento a Sant’Agata. Dell’identificazione di quest’ultimo abbiamo la testimonianza del partigiano “Maschera Bianca”, catturato insieme a lui il 14 gennaio 1945: "infine furono chiamati i ventiquattro rastrellati tra i quali mi trovavo anch’io e, incolonnati, ci portarono dall’altro lato del corridoio dove si trovava già la SS italiana e gli ufficiali della BN: Va, Lo, F, B, ecc.., ed infine uscì dagli uffici la “Donna velata” che ci passò davanti fissandoci, con quegli occhiali scuri. Si soffermò alquanto davanti a noi, come volesse ravvisare in ciascuno quelli che aveva conosciuto in montagna, quelli stessi che l’avevano trattata come una sorella. Giunta che fu davanti allo Stenca, senza esitare lo tolse dalla fila e fece cenno all’ufficiale della BN che avevano terminato. Ricondotti in cella, dopo una mezz’ora vidi Stenca che lo portavano verso la cella n. 1 e cioè quella dove si trovavano i condannati a morte". <669.
Nel dopoguerra, alla notizia dell’arresto della Zucco, numerosi testimoni sporsero denuncia contro di lei, riferendo di arresti, perquisizioni, saccheggi e sevizie sui prigionieri.
Testimoniò inoltre Salvatore Cangemi, che le aveva accordato fiducia introducendola nell’ambiente antifascista di Imperia e che la accusò di «feroci assassini, rapine, persecuzioni violente, torture e sevizie a sangue a cui essa “pasionaria” fece sottoporre e sottopose una schiera di giovani e giovane innocenti» <670.
Infine, durante il processo la Zucco dovette confrontarsi con Lucia Scorrano, che l’aveva ospitata per quasi un mese in casa sua, nascondendola dai nazifascisti. La testimone dichiarò infatti in Corte d’Assise di essere stata prelevata in barella dall’ospedale di Oneglia - dove si trovava ricoverata a seguito di un intervento chirurgico - e trasportata alla Caserma Gandolfo; qui, allo scopo di farle rivelare i nomi degli appartenenti al Cln, fu torturata e seviziata. La Zucco vi si accanì particolarmente, passandole sotto la pianta dei piedi delle candele accese e percuotendola alternativamente con sbarre di legno e una corda bagnata. La Scorrano riferì inoltre che i militi della Gnr le avevano strappato il tampone della ferita alla gamba infilandoci la canna del moschetto, le avevano bruciato i seni, strappato i peli degli organi genitali e rotto le costole; fu inoltre costretta dalla Zucco a ingerire dell’urina, che le
procurò danni permanenti allo stomaco <671.
La Zucco riconobbe la sua partecipazione al rastrellamento di Sant’Agata, ma cercò di minimizzare il suo ruolo nei riconoscimenti, negli arresti e nelle torture inflitte ai partigiani.
Indicò inoltre la sua compagna di viaggio, Elisabetta Rossi, come responsabile dell’identificazione degli antifascisti catturati, dichiarando che questa aveva annotato su un taccuino i nomi dei membri del Cln e l’aveva consegnato alla Gnr.
La donna sostenne anche di aver cercato di ostacolare le missioni nazifasciste a cui, secondo il suo racconto, era stata costretta a partecipare, aggiungendo addirittura di essersi messa al servizio delle forze alleate a partire dal febbraio 1945.
Come sottolineato da Cecilia Nubola, dunque, la Zucco «non essendo né un’ingenua né una sprovveduta, seppe creare ad arte una cortina di fumo attorno alla sua vita e alle sue scelte» <672 che rese difficoltosa la ricostruzione dei fatti e delle vicende in cui era coinvolta.
Ancora più complesso, inoltre, è il tentativo di rintracciare le motivazioni che la condussero a schierarsi con la Gnr e a prendere parte alle sevizie sui prigionieri.
In linea - come vedremo - con il consueto paternalismo giudiziario adottato nei confronti delle collaborazioniste, avvocati difensori e giornalisti la descrissero come una donna innamorata, plagiata dall’amante fascista, spinta da gelosia e frustrata da un amore non corrisposto: «siamo forse davanti ad una creatura cui fu sempre negato l’amore e che per l’amore che non le è concesso, si abbandona a sadismo contro coloro che dell’amore possono godere?» <673.
Ma se le trame amorose non sono ovviamente sufficienti a giustificare la condotta dell’imputata, ancora più difficile - come sottolinea Alberico - risulta individuarne una motivazione politica: la Zucco era cresciuta in un ambiente antifascista e durante il processo furono pochissimi i riferimenti alla sua fede fascista. <674
L’emergere della figura della Zucco è dunque, secondo l’autrice, da ricondurre al «clima di corruzione, disfacimento morale e di estremizzazione della violenza che caratterizzò gli ultimi anni di guerra e che agevolò veri e propri casi di criminalità» <675. Il suo coinvolgimento fu probabilmente motivato dai vantaggi materiali che derivavano dalla sua posizione, dimostrati dalle numerose razzie a cui partecipò durante i rastrellamenti. In particolare, la Zucco dovette sentirsi attratta da un ruolo che le dava un profondo senso di onnipotenza e le procurava un inedito potere di vita e di morte sugli altri.
La Cas di Imperia la condannò dunque a 30 anni di reclusione, e la Cassazione, pur condonandole un terzo della pena, ne rigettò il ricorso riconoscendo nelle torture inflitte alla Scorrano quelle “sevizie particolarmente efferate” escluse dall’amnistia Togliatti.
Il 9 giugno 1951, tuttavia, il guardasigilli Piccioni firmò il decreto per la liberazione condizionale: dopo appena 5 anni di carcere la “donna velata” era libera <676.
[NOTE]
663 Cfr ACS, Ministero di Grazia e di Giustizia, Direzione generale affari penali grazia e casellario, Ufficio Grazie, Collaborazionisti, Maria Concetta Zucco; F. Alberico, La “donna velata”: un caso di collaborazionismo femminile nell’imperiese, in «Storia e Memoria», 1, 2008, pp. 49-67; F. Biga, Storia della Resistenza imperiese (I Zona Liguria). La Resistenza nella Provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, III, Milanostampa, Farigliano (CN), 1977; C. Nubola, Fasciste di Salò, op.cit. pp. 115-122; F. Gori, Ausiliarie, spie, amanti, op.cit. pp. 91-94.
664 La “Donna Velata” domani di turno in Corte d’Assise, in «Il Lavoro», edizione Imperia, 20.11.1946, cit. in F. Alberico, La “donna velata”, op. cit. p. 49.
665 F. Biga, Storia della Resistenza imperiese, op.cit. pp. 576-577.
666 Verbale di fermo di Maria Zucco. e Lisetta Rossi. del 3 gennaio 1945, inviato dalla Gnr di Ventimiglia al Comando Gnr di Sanremo, cit. in F. Gori, Ausiliarie, spie, amanti, op.cit., p. 91. La dichiarazione di fede fascista, tuttavia, rilasciata durante un interrogatorio della Gnr, non è particolarmente significativa perché potrebbe essere stata fatta, come scrive Alberico, a causa della difficoltà della situazione contingente.
667 F. Gori, Ausiliarie, spie, amanti, op.cit. p. 93.
668 Ivi, p. 93-94.
669 F. Alberico, La “donna velata”, op. cit. p. 66; F. Biga, Storia della Resistenza imperiese, op.cit. p. 584; C. Nubola, Fasciste di Salò, op. cit. p. 120.
670 F. Alberico, La “donna velata”, op. cit. p. 55.
671 Ivi, p. 56-58; C. Nubola, Fasciste di Salò, op. cit. p. 120.
672 C. Nubola, Fasciste di Salò, op. cit. p. 121.
673 F. Alberico, La “donna velata”, op. cit. p. 64.
674 Ivi, p. 65.
675 Ivi, p. 66.
676 C. Nubola, Fasciste di Salò, op. cit. p. 122.
Barbara De Luna, Le donne del nemico. I processi per collaborazionismo nel dopoguerra: Francia e Italia a confronto. 1944-1951, Tesi di Dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna in cotutela con Université Paris 1 Panthéon Sorbonne, maggio 2021
Condannata dalla Cas di Imperia il 22 novembre 1946, il suo processo fu seguito con vivo interesse dall’opinione pubblica e suscitò particolare scalpore, per il fascino sinistro che evocavano le sue gesta sanguinose e il suo abbigliamento maschile. Nell’annunciare l’inizio del dibattimento, il giornale “Il Lavoro” l’aveva infatti definita una «donna perfida e malvagia che regge degnamente il confronto con quante altre ignobili feroci seviziatrici ha rivelato il triste periodo della dominazione nazifascista»: "il processo rivelerà le sue malefatte. Rivivremo le gesta della “donna velata” in testa alle squadracce dei rastrellatori, seminascosta sotto al cappuccio, gli occhi di un nero viscido celati dietro gli occhiali di tartaruga, alla caccia dei patrioti indiziati, sempre prima ad intonare oscene canzoni di trionfo quando le “operazioni” erano, mercé sua, condotte a termine". <664.
La Zucco era nata nel 1916 a Scido, in Calabria, ed era cresciuta in un ambiente antifascista. Con la famiglia si era poi trasferita ad Antibes, in Francia, per sfuggire alle persecuzioni del regime. Qui aveva conosciuto il marito, Yvon Clement Soli, membro della resistenza francese.
Secondo quanto dichiarato dalla stessa imputata durante l’interrogatorio del luglio 1945, nel settembre del 1944 fu catturata dai tedeschi durante un rastrellamento e destinata alla deportazione in Germania. A Verona riuscì tuttavia a fuggire e a raggiungere Alassio da dove, insieme a due compagni di viaggio, Elisabetta Rossi e Domenico Viale, si spostò a Imperia, intenzionata a tornare in Francia. Qui un brigadiere della Guardia di Finanza, Enrico Gentile, la presentò all’antifascista Salvatore Cangemi, introducendola come la moglie di un resistente francese. Quest’ultimo a sua volta si offrì di nascondere per circa un mese Maria, la Rossi e il Viale a casa di Lucia Inglesi [n.d.r.: in alcuni documenti - quali l'autenticazione della dichiarazione congiunta di Maria Zucco e Elisabetta Rossi, da vedere infra - il cognome riportato è Inglese] Scorrano, dove abitualmente si ritrovavano i membri del Cln di Imperia. Lo stesso Cangemi li accompagnò poi a Sant’Agata, da dove altri partigiani li aiutarono a passare il confine con Ventimiglia. Sempre secondo il racconto della Zucco, tuttavia, i tre furono traditi da un contrabbandiere e arrestati dagli uomini della Gnr di Imperia, comandati dal tenente Vannucci. Sottoposti a pesanti interrogatori e a minacce di morte, sia lei che la Rossi decisero di collaborare.
Questa la versione della Zucco; secondo Francesco Biga, invece, la Zucco e la Rossi vennero in Italia con il preciso scopo di infiltrarsi nelle formazioni partigiane, e furono arrestate dai tedeschi solo affinché queste potessero presentarsi come antifasciste e guadagnarsi la fiducia dei compagni <665.
All’interno del fascicolo processuale della Zucco, infatti, è presente il rapporto del suo arresto da parte del 1° plotone fucilieri della Gnr di Ventimiglia, dove le due donne si dichiarano “espatriate volontariamente” in quanto appartenenti a organizzazioni collaborazioniste francesi e prendono le distanze dall’ambiente antifascista che le aveva accolte: "Si è proceduto al fermo delle nominate in oggetto, espatriate volontariamente dalla Francia in seguito allo sbarco Anglo americano, la prima perché appartenente al Fronte Popolare Francese [sic], la seconda perché appartenente alla Milizia Francese. Le suddette si sono presentate a questo Comando dichiarando di voler oltrepassare il fronte di guerra per raggiungere i loro parenti nella Francia occupata. Spontaneamente hanno fatto dichiarazioni sul Comitato di Liberazione di Imperia, sulla banda “Pelletta” come da accluse dichiarazioni scritte". <666.
La Zucco rivelò dunque tutti i nomi dei componenti del Cln con i quali era venuta in contatto, indicando i luoghi dove questi si riunivano clandestinamente.
Il 14 gennaio partecipò inoltre a un rastrellamento nazifascista a Sant’Agata, durante il quale quasi tutti gli uomini del paese che le erano stati presentati come partigiani vennero arrestati. Faustino Zanchi, che nel novembre del 1944 aveva accompagnato in montagna la Zucco e i suoi compagni, riferì di essere stato prelevato da casa alle cinque di mattina e condotto in piazza; qui venne gettato in un fuoco, e, mentre le fiamme gli bruciavano gli abiti, percosso a sangue dai militi della Gnr e dalla Zucco, che lo picchiò con il calcio della pistola <667. Anche uno sfollato nel comune di Sant’Agata raccontò di essere stato interrogato e picchiato dalla donna velata: «alle mie risposte negative […] la Zucco mi percuoteva a sangue sul viso con la pistola che essa teneva, gridandomi in faccia che lassù eravamo tutti ribelli e nessuno voleva confessarlo» <668.
Alcuni, infine, riconosciuti e segnalati da Maria, vennero giudicati da un tribunale tedesco e condannati a morte. Uno di questi fu Adolfo Stenca, arrestato durante il rastrellamento a Sant’Agata. Dell’identificazione di quest’ultimo abbiamo la testimonianza del partigiano “Maschera Bianca”, catturato insieme a lui il 14 gennaio 1945: "infine furono chiamati i ventiquattro rastrellati tra i quali mi trovavo anch’io e, incolonnati, ci portarono dall’altro lato del corridoio dove si trovava già la SS italiana e gli ufficiali della BN: Va, Lo, F, B, ecc.., ed infine uscì dagli uffici la “Donna velata” che ci passò davanti fissandoci, con quegli occhiali scuri. Si soffermò alquanto davanti a noi, come volesse ravvisare in ciascuno quelli che aveva conosciuto in montagna, quelli stessi che l’avevano trattata come una sorella. Giunta che fu davanti allo Stenca, senza esitare lo tolse dalla fila e fece cenno all’ufficiale della BN che avevano terminato. Ricondotti in cella, dopo una mezz’ora vidi Stenca che lo portavano verso la cella n. 1 e cioè quella dove si trovavano i condannati a morte". <669.
Nel dopoguerra, alla notizia dell’arresto della Zucco, numerosi testimoni sporsero denuncia contro di lei, riferendo di arresti, perquisizioni, saccheggi e sevizie sui prigionieri.
Testimoniò inoltre Salvatore Cangemi, che le aveva accordato fiducia introducendola nell’ambiente antifascista di Imperia e che la accusò di «feroci assassini, rapine, persecuzioni violente, torture e sevizie a sangue a cui essa “pasionaria” fece sottoporre e sottopose una schiera di giovani e giovane innocenti» <670.
Infine, durante il processo la Zucco dovette confrontarsi con Lucia Scorrano, che l’aveva ospitata per quasi un mese in casa sua, nascondendola dai nazifascisti. La testimone dichiarò infatti in Corte d’Assise di essere stata prelevata in barella dall’ospedale di Oneglia - dove si trovava ricoverata a seguito di un intervento chirurgico - e trasportata alla Caserma Gandolfo; qui, allo scopo di farle rivelare i nomi degli appartenenti al Cln, fu torturata e seviziata. La Zucco vi si accanì particolarmente, passandole sotto la pianta dei piedi delle candele accese e percuotendola alternativamente con sbarre di legno e una corda bagnata. La Scorrano riferì inoltre che i militi della Gnr le avevano strappato il tampone della ferita alla gamba infilandoci la canna del moschetto, le avevano bruciato i seni, strappato i peli degli organi genitali e rotto le costole; fu inoltre costretta dalla Zucco a ingerire dell’urina, che le
procurò danni permanenti allo stomaco <671.
La Zucco riconobbe la sua partecipazione al rastrellamento di Sant’Agata, ma cercò di minimizzare il suo ruolo nei riconoscimenti, negli arresti e nelle torture inflitte ai partigiani.
Indicò inoltre la sua compagna di viaggio, Elisabetta Rossi, come responsabile dell’identificazione degli antifascisti catturati, dichiarando che questa aveva annotato su un taccuino i nomi dei membri del Cln e l’aveva consegnato alla Gnr.
La donna sostenne anche di aver cercato di ostacolare le missioni nazifasciste a cui, secondo il suo racconto, era stata costretta a partecipare, aggiungendo addirittura di essersi messa al servizio delle forze alleate a partire dal febbraio 1945.
Come sottolineato da Cecilia Nubola, dunque, la Zucco «non essendo né un’ingenua né una sprovveduta, seppe creare ad arte una cortina di fumo attorno alla sua vita e alle sue scelte» <672 che rese difficoltosa la ricostruzione dei fatti e delle vicende in cui era coinvolta.
Ancora più complesso, inoltre, è il tentativo di rintracciare le motivazioni che la condussero a schierarsi con la Gnr e a prendere parte alle sevizie sui prigionieri.
In linea - come vedremo - con il consueto paternalismo giudiziario adottato nei confronti delle collaborazioniste, avvocati difensori e giornalisti la descrissero come una donna innamorata, plagiata dall’amante fascista, spinta da gelosia e frustrata da un amore non corrisposto: «siamo forse davanti ad una creatura cui fu sempre negato l’amore e che per l’amore che non le è concesso, si abbandona a sadismo contro coloro che dell’amore possono godere?» <673.
Ma se le trame amorose non sono ovviamente sufficienti a giustificare la condotta dell’imputata, ancora più difficile - come sottolinea Alberico - risulta individuarne una motivazione politica: la Zucco era cresciuta in un ambiente antifascista e durante il processo furono pochissimi i riferimenti alla sua fede fascista. <674
L’emergere della figura della Zucco è dunque, secondo l’autrice, da ricondurre al «clima di corruzione, disfacimento morale e di estremizzazione della violenza che caratterizzò gli ultimi anni di guerra e che agevolò veri e propri casi di criminalità» <675. Il suo coinvolgimento fu probabilmente motivato dai vantaggi materiali che derivavano dalla sua posizione, dimostrati dalle numerose razzie a cui partecipò durante i rastrellamenti. In particolare, la Zucco dovette sentirsi attratta da un ruolo che le dava un profondo senso di onnipotenza e le procurava un inedito potere di vita e di morte sugli altri.
La Cas di Imperia la condannò dunque a 30 anni di reclusione, e la Cassazione, pur condonandole un terzo della pena, ne rigettò il ricorso riconoscendo nelle torture inflitte alla Scorrano quelle “sevizie particolarmente efferate” escluse dall’amnistia Togliatti.
Il 9 giugno 1951, tuttavia, il guardasigilli Piccioni firmò il decreto per la liberazione condizionale: dopo appena 5 anni di carcere la “donna velata” era libera <676.
[NOTE]
663 Cfr ACS, Ministero di Grazia e di Giustizia, Direzione generale affari penali grazia e casellario, Ufficio Grazie, Collaborazionisti, Maria Concetta Zucco; F. Alberico, La “donna velata”: un caso di collaborazionismo femminile nell’imperiese, in «Storia e Memoria», 1, 2008, pp. 49-67; F. Biga, Storia della Resistenza imperiese (I Zona Liguria). La Resistenza nella Provincia di Imperia da settembre a fine anno 1944, III, Milanostampa, Farigliano (CN), 1977; C. Nubola, Fasciste di Salò, op.cit. pp. 115-122; F. Gori, Ausiliarie, spie, amanti, op.cit. pp. 91-94.
664 La “Donna Velata” domani di turno in Corte d’Assise, in «Il Lavoro», edizione Imperia, 20.11.1946, cit. in F. Alberico, La “donna velata”, op. cit. p. 49.
665 F. Biga, Storia della Resistenza imperiese, op.cit. pp. 576-577.
666 Verbale di fermo di Maria Zucco. e Lisetta Rossi. del 3 gennaio 1945, inviato dalla Gnr di Ventimiglia al Comando Gnr di Sanremo, cit. in F. Gori, Ausiliarie, spie, amanti, op.cit., p. 91. La dichiarazione di fede fascista, tuttavia, rilasciata durante un interrogatorio della Gnr, non è particolarmente significativa perché potrebbe essere stata fatta, come scrive Alberico, a causa della difficoltà della situazione contingente.
667 F. Gori, Ausiliarie, spie, amanti, op.cit. p. 93.
668 Ivi, p. 93-94.
669 F. Alberico, La “donna velata”, op. cit. p. 66; F. Biga, Storia della Resistenza imperiese, op.cit. p. 584; C. Nubola, Fasciste di Salò, op. cit. p. 120.
670 F. Alberico, La “donna velata”, op. cit. p. 55.
671 Ivi, p. 56-58; C. Nubola, Fasciste di Salò, op. cit. p. 120.
672 C. Nubola, Fasciste di Salò, op. cit. p. 121.
673 F. Alberico, La “donna velata”, op. cit. p. 64.
674 Ivi, p. 65.
675 Ivi, p. 66.
676 C. Nubola, Fasciste di Salò, op. cit. p. 122.
Barbara De Luna, Le donne del nemico. I processi per collaborazionismo nel dopoguerra: Francia e Italia a confronto. 1944-1951, Tesi di Dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna in cotutela con Université Paris 1 Panthéon Sorbonne, maggio 2021
Una piazzetta di Alassio (SV) |
Maria Zucco F., meridionale di origine, emigrata in Francia, aveva fatto parte di una formazione paramilitare fascista, il “Fronte popolare francese”, in una zona della Francia meridionale. Sfaldatosi, come le altre formazioni fasciste, con lo sbarco alleato in Provenza del 15 agosto 1944, con altri connazionali, per sfuggire alla giustizia partigiana, cerca rifugio in Italia.
Arrestata, a quanto pare per prevenzione, venne tenuta prigioniera dai
nazifascisti nei pressi di Alassio, dove fu liberata, a metà
settembre dello stesso anno, durante un’azione partigiana.
Fingendosi una patriota, per dar credibilità a questa sua finzione, partecipa ad azioni di guerriglia urbana.
Ai primi di novembre 1944 chiede di poter raggiungere la Francia, dove dice di avere parenti, attraverso le montagne.
Entra in contatto con informatori, staffette, comandanti partigiani e
viene a conoscenza di uomini e di località dove operano molte bande.
Nel tragitto pernotta a Sant’Agata [Frazione di Imperia] la sera del 22 novembre 1944, in casa di Giovannina Mela, dove conosce Sacchetto (Giuseppe Mela), Faustino Zanchi e Rino (Adolfo Stenca). Sono con lei la sua amica Lisetta Rossi, ex militante fascista della “Milizia Francese” e, secondo Francesco Biga [Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III], certo Domenico Villa, [ma] Dominic Villani, secondo Sacchettin (Pierino Mela), che si intrattenne a lungo con lui, chiacchierando in francese.
Con questi suoi amici passa di banda in banda, fino a raggiungere il confine.
Nel tragitto pernotta a Sant’Agata [Frazione di Imperia] la sera del 22 novembre 1944, in casa di Giovannina Mela, dove conosce Sacchetto (Giuseppe Mela), Faustino Zanchi e Rino (Adolfo Stenca). Sono con lei la sua amica Lisetta Rossi, ex militante fascista della “Milizia Francese” e, secondo Francesco Biga [Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria), Vol. III], certo Domenico Villa, [ma] Dominic Villani, secondo Sacchettin (Pierino Mela), che si intrattenne a lungo con lui, chiacchierando in francese.
Con questi suoi amici passa di banda in banda, fino a raggiungere il confine.
Ma mentre essi proseguono per Nizza, la Zucco, portata ormai a termine
la sua scaltra azione di infiltrazione nel movimento resistenziale,
tradendo in modo vile i compagni che le hanno dato aiuto fraterno, si
ferma in Italia e diventa preziosa collaboratrice dei nazifascisti.
Nel gennaio 1945 assume, con il grado di Capitanessa, il comando del Corpo Ausiliario, costituito da alcune decine di donne imperiesi, figlie di immigrati, che si era costituito nel dicembre dell’anno precedente.
Nel gennaio 1945 assume, con il grado di Capitanessa, il comando del Corpo Ausiliario, costituito da alcune decine di donne imperiesi, figlie di immigrati, che si era costituito nel dicembre dell’anno precedente.
Da questo momento Maria Zucco diventa la "Donna Velata", la famigerata
"Donna Velata", terrore per mesi delle nostre vallate, dove seminerà
lutti e sangue a piene mani.
Veste la divisa delle Brigate Nere e per non farsi riconoscere dalle
vittime, nasconde il viso con un cappuccio e un paio di occhiali scuri.
... instancabile nei rastrellamenti, a fianco dei figuri più tristemente conosciuti (il Cap. Borro, i tenenti Vannucci e Lo Faro, il Cap. Ferrari, ecc.), sadica torturatrice delle sue vittime.
Durante i giorni della Liberazione viene arrestata e riesce a fuggire, ma ripresa, viene rinchiusa nel carcere di Oneglia [Imperia].
... instancabile nei rastrellamenti, a fianco dei figuri più tristemente conosciuti (il Cap. Borro, i tenenti Vannucci e Lo Faro, il Cap. Ferrari, ecc.), sadica torturatrice delle sue vittime.
Durante i giorni della Liberazione viene arrestata e riesce a fuggire, ma ripresa, viene rinchiusa nel carcere di Oneglia [Imperia].
Processata, viene condannata a morte, ma subdolamente dichiaratasi
incinta, non viene giustiziata, anzi, grazie all’amnistia, liberata a
supremo scorno e dileggio delle sue vittime!
Attilio Mela, Qualcosa della Resistenza: ricordi personali, episodi, interviste, contributi vari, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1995
Nell'Archivio dell'Isrecim è conservato un documento intitolato "Denuncia", steso dal nemico, che riporteremo tra poco. Il documento riguarda la "donna velata". Ricuperato dai partigiani nel Comando della 33^ Legione della GNR il 25 aprile 1945, ci dice qualcosa di più su questa infame figura femminile. Delinea un personaggio di una doppiezza che risulta imbarazzante anche per il nemico, incerto sulle prime se fidarsi esso stesso di fronte a un comportamento tanto subdolo e spregiudicato. Ma ben presto questa donna gli si rivelerà come una preziosa risorsa, ed anzi una pedina fondamentale nella spietata offensiva contro le forze della Resistenza Imperiese, come chiaramente attestato dalla "Denuncia" in questione.
[...] Ritornando ora al documento nazifascista, eccone il testo:
Il Comando della Guardia Nazionale Repubblicana posta da campo n. 627 il 10 marzo 1945 (prot. n. 1454/5), oggetto: Comitato di Liberazione Nazionale e S.A.P. Di Imperia Oneglia, invia copia di denuncia:
"... Alla Procura Generale di Stato, presso il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato (P.C. 179), e per conoscenza:
Al Procuratore di Stato presso il Tribunale Militare Regionale di Guerra di Alessandria, in Novi Ligure.
Al Comando Generale G.N.R. (P.C. 707).
All'Ispettore Regionale G.N.R. per La Liguria (P.C. 773).
Al Vicecomando Regionale Militare (P.C. 733).
Al Capo della Provincia (Sede).
Al Questore (sede).
Al Comando SS Germanico (sede).
Alla Direzione Carceri Giudiziarie (sede).
All'ufficio II (sede).
Sciogliendo la riserva contenuta in precedenti rapporti di denuncia, 26 gennaio 1945, n.1-54/1; 6 febbraio 1945, n.1-54/3 e 20 febbraio 1945, n. 1-54/4, riferisco:
In data 3 gennaio 1945 venivano fermate dal Comando I Plotone Fucilieri GNR di Ventimiglia, le nominate Zucco Maria e Rossi Lisetta, suddite Francesi, che erano espatriate volontariamente dalla Francia in seguito allo sbarco angloamericano, perché appartenenti la prima al Fronte Popolare Francese, la seconda alla Milizia Francese. Le suddette si erano presentate al quel Comando dichiarando di voler riattraversare il fronte di guerra per raggiungere i loro parenti nella Francia rioccupata; a tale scopo avevano già tentato inutilmente attraverso la montagna, con l'appoggio di partigiani. Le stesse facevano spontaneamente dichiarazioni sul Comitato di Liberazione Nazionale di Imperia Oneglia, sulle bande ribelli con le quali erano state a contatto, dichiarazioni di cui, mentre qualcuna poteva ritenersi fantastica ed inattendibile, altre invece presentavano un serio fondamento, anche in concomitanza con gli elementi già in possesso di questo Comando.
Si decideva perciò di far venire ad Imperia la Zucco Maria, per notare alla stregua delle sue informazioni sul posto, e del riconoscimento diretto di persone da essa conosciute solo di vista e con soprannomi, per accedere alla loro identificazione e conseguente fermo.
Essendosi appresso dalla relazione delle stesse che esse avevano avuto ricetto in Imperia, Via Diano Calderina n.33, nell'abitazione di certa Inglese Lucia in Scorrano, ove convenivano sovente elementi militanti nelle organizzazioni antinazionali, si effettuava una sorpresa in tale casa, ove non si riveniva la Inglese, ma un suo inquilino, tale Simonelli Pietro, maresciallo di marina in pensione; la Inglese veniva invece rintracciata in casa di certo Cangemi Salvatore, ed essendo ammalata si inviava all'ospedale civico in stato di piantonamento.
Contemporaneamente venivano fermate diverse persone segnalate dalla informatrice, e precisamente: Sordello Roberto, Delle Piane Carlo, Filiè Armando, Fernandez Luigi, Roncetti Silvio, Zanchi Faustino, Costa Salvatore, De Leo Vincenzo, alcuni dei quali fortemente indiziati, altri per essere ritenuti in grado di dare proficue informazioni.
[...] Premesso quanto sopra, denuncio le persone elencate sopra n. 25 (dal n.1 al n.25) a codesto Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato per il procedimento a loro carico, per quelle imputazioni che saranno da codesta Procura Generale ravvisare nel caso. Unisco i verbali di interrogatorio, dichiarazioni di accusa e in originale i documenti sequestrati.
Il comandante provinciale, colonnello Gianni Bernardi. Per copia conforme. Imperia, lì 29 marzo 1945 XXIII, Per il segretario [firma illeggibile]".
Sarebbe stato interessante, ancor di più importante, poter consultare gli allegati degli interrogatori, ma ciò non è stato possibile perchè di essi non venne fatta copia da parte del comando della G.N.R.
Tra le forze partigiane le perdite maggiori riguardarono l'8° distaccamento S.A.P. della I Brigata “Walter Berio”, col quale la “donna velata” era stata più a contatto. Naturalmente nel documento di denuncia non sono menzionate le torture inflitte agli arrestati durante gli interrogatori, ricordate già nel precedente capitolo. Riguardo alla data dell'invio della denuncia al procuratore (29 marzo 1945), siamo meno di un mese dalla Liberazione, per cui, appare evidente, l'estensore del rapporto cercò di attenuare nel complesso, la gravità delle accuse rivolte ad ogni singolo accusato, forse con qualche speranza, come si suol dire, di farla franca al momento della resa dei conti, sentita come vicina anche dal nemico. Purtroppo molti accusatori e torturatori in effetti la faranno franca.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria) - vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016
[...] Ritornando ora al documento nazifascista, eccone il testo:
Il Comando della Guardia Nazionale Repubblicana posta da campo n. 627 il 10 marzo 1945 (prot. n. 1454/5), oggetto: Comitato di Liberazione Nazionale e S.A.P. Di Imperia Oneglia, invia copia di denuncia:
"... Alla Procura Generale di Stato, presso il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato (P.C. 179), e per conoscenza:
Al Procuratore di Stato presso il Tribunale Militare Regionale di Guerra di Alessandria, in Novi Ligure.
Al Comando Generale G.N.R. (P.C. 707).
All'Ispettore Regionale G.N.R. per La Liguria (P.C. 773).
Al Vicecomando Regionale Militare (P.C. 733).
Al Capo della Provincia (Sede).
Al Questore (sede).
Al Comando SS Germanico (sede).
Alla Direzione Carceri Giudiziarie (sede).
All'ufficio II (sede).
Sciogliendo la riserva contenuta in precedenti rapporti di denuncia, 26 gennaio 1945, n.1-54/1; 6 febbraio 1945, n.1-54/3 e 20 febbraio 1945, n. 1-54/4, riferisco:
In data 3 gennaio 1945 venivano fermate dal Comando I Plotone Fucilieri GNR di Ventimiglia, le nominate Zucco Maria e Rossi Lisetta, suddite Francesi, che erano espatriate volontariamente dalla Francia in seguito allo sbarco angloamericano, perché appartenenti la prima al Fronte Popolare Francese, la seconda alla Milizia Francese. Le suddette si erano presentate al quel Comando dichiarando di voler riattraversare il fronte di guerra per raggiungere i loro parenti nella Francia rioccupata; a tale scopo avevano già tentato inutilmente attraverso la montagna, con l'appoggio di partigiani. Le stesse facevano spontaneamente dichiarazioni sul Comitato di Liberazione Nazionale di Imperia Oneglia, sulle bande ribelli con le quali erano state a contatto, dichiarazioni di cui, mentre qualcuna poteva ritenersi fantastica ed inattendibile, altre invece presentavano un serio fondamento, anche in concomitanza con gli elementi già in possesso di questo Comando.
Si decideva perciò di far venire ad Imperia la Zucco Maria, per notare alla stregua delle sue informazioni sul posto, e del riconoscimento diretto di persone da essa conosciute solo di vista e con soprannomi, per accedere alla loro identificazione e conseguente fermo.
Essendosi appresso dalla relazione delle stesse che esse avevano avuto ricetto in Imperia, Via Diano Calderina n.33, nell'abitazione di certa Inglese Lucia in Scorrano, ove convenivano sovente elementi militanti nelle organizzazioni antinazionali, si effettuava una sorpresa in tale casa, ove non si riveniva la Inglese, ma un suo inquilino, tale Simonelli Pietro, maresciallo di marina in pensione; la Inglese veniva invece rintracciata in casa di certo Cangemi Salvatore, ed essendo ammalata si inviava all'ospedale civico in stato di piantonamento.
Contemporaneamente venivano fermate diverse persone segnalate dalla informatrice, e precisamente: Sordello Roberto, Delle Piane Carlo, Filiè Armando, Fernandez Luigi, Roncetti Silvio, Zanchi Faustino, Costa Salvatore, De Leo Vincenzo, alcuni dei quali fortemente indiziati, altri per essere ritenuti in grado di dare proficue informazioni.
[...] Premesso quanto sopra, denuncio le persone elencate sopra n. 25 (dal n.1 al n.25) a codesto Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato per il procedimento a loro carico, per quelle imputazioni che saranno da codesta Procura Generale ravvisare nel caso. Unisco i verbali di interrogatorio, dichiarazioni di accusa e in originale i documenti sequestrati.
Il comandante provinciale, colonnello Gianni Bernardi. Per copia conforme. Imperia, lì 29 marzo 1945 XXIII, Per il segretario [firma illeggibile]".
Sarebbe stato interessante, ancor di più importante, poter consultare gli allegati degli interrogatori, ma ciò non è stato possibile perchè di essi non venne fatta copia da parte del comando della G.N.R.
Tra le forze partigiane le perdite maggiori riguardarono l'8° distaccamento S.A.P. della I Brigata “Walter Berio”, col quale la “donna velata” era stata più a contatto. Naturalmente nel documento di denuncia non sono menzionate le torture inflitte agli arrestati durante gli interrogatori, ricordate già nel precedente capitolo. Riguardo alla data dell'invio della denuncia al procuratore (29 marzo 1945), siamo meno di un mese dalla Liberazione, per cui, appare evidente, l'estensore del rapporto cercò di attenuare nel complesso, la gravità delle accuse rivolte ad ogni singolo accusato, forse con qualche speranza, come si suol dire, di farla franca al momento della resa dei conti, sentita come vicina anche dal nemico. Purtroppo molti accusatori e torturatori in effetti la faranno franca.
Francesco Biga e Ferruccio Iebole (a cura di Vittorio Detassis), Storia della Resistenza Imperiese (I^ Zona Liguria) - vol. V, Ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2016
Ventimiglia (IM): l'edificio tra Piazza XX Settembre e Via Hanbury, che ancora in tempo di guerra era caserma dei carabinieri |
Munite di tessere d'identità false, ora non più in nostro possesso perché da noi distrutte per timore, scortate da due del Comitato abbiamo raggiunto S. Agata e successivamente Villa Talla, residenza del comando della 4^ brigata e della banda Pelletta.
Dopo una breve permanenza, consigliate dai partigiani siamo andate a Badalucco, da dove attraverso i monti avremmo dovuto raggiungere la Francia. Ma noi, ormai libere, abbiamo deciso di andare per la via Aurelia e così siamo giunte a Ventimiglia.
Fanno parte del Comitato di Liberazione di Imperia: Roberto Sordello, Presidente, abitante a Borgo d'Oneglia; Giorgi Gaetano, Nino, Marcello Cristiano calzolaio dei guardiani delle carceri di Oneglia, tutti abitanti ad Oneglia, il nominato Rino abitante a S. Agata; il nominato Sacchetto, al secolo Mela Giuseppe, adibito al collegamento tra il Comitato e le Brigate [...]
Favoreggiano (?) [n.d.r.: punto di domanda del documento originale] il Comitato: l'impiegato addetto all'ufficio carte d'identità che ha sede in Oneglia nei locali dell'istituto Magistrale, il quale dietro richiesta del Carboni ha rilasciato la tessera intestata a Zucco Maria Antonia alla signorina Lisetta Rossi e la tessera intestata a Santoro Concetta alla signora Zucco Maria [...]
alcuni dei componenti della guardia interna delle carceri di Oneglia con il favoreggiamento dei quali il 4 novembre 1944 certo Guasco è riuscito a fuggire.
Il fatto che il Comitato è preavvisato e informato minuziosamente ogni qualvolta si organizzi un rastrellamento e altra cosa del genere fa pensare che anche tra le file della g.n.r. e delle altre istituzioni politiche e militari vi siano dei favoreggiatori.
[...] Durante il breve soggiorno di Villatalla i partigiani ci hanno mostrato due fosse, in una delle quali giaceva il cadavere di un bersagliere, nell'altra quella di un console della Milizia [...]
Dichiarazione rilasciata alla Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) di Ventimiglia da Maria Zucco e Lisetta Rossi il 3 gennaio 1945, riproduzione dichiarata conforme all'originale il 15 gennaio 1946 dalla Procura di Imperia, documento in Archivio di Stato di Genova, copia di Paolo Bianchi di Sanremo